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LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE - Curotti 20-02-2022

LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE
Docente: Marco Curotti
Autori: Rosa Tonelli, Sebastiano Pretto

LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE

Obiettivi della lezione sono:

● Conoscere la fisiopatologia muscolare riguardo gli effetti dell’immobilizzazione, del ridotto


uso e dell’allenamento, quindi della riabilitazione;
● Conoscenza degli effetti dei traumi muscolari e articolari sulla fisiopatologia muscolare;
● Conoscenza delle strategie di trattamento per la riabilitazione dopo la fase acuta;
● Classificazione delle lesioni muscolari ed il loro trattamento;
● Ipotesi e approccio terapeutico per il trattamento dei tessuti molli.

Tipologie delle fibre muscolari

Ogni muscolo è composto da fibre muscolari con caratteristiche differenti, presenti in percentuali
differenti a seconda della tipologia di muscolo e del compito che esso deve svolgere. Al contrario,
in una determinata unità motoria le fibre muscolari sono tutte della stessa tipologia e
rispecchiano le caratteristiche della fibra nervosa che le innerva. Sulla base di questo conetto, a
seconda del motoneurone che conduce lo stimolo elettrico all’unità motoria, possiamo avere una
prima suddivisione in:

• Fibre di grande diametro, alta soglia, alta frequenza, grandi Unità Motorie: dalle 300 alle
800 fibre muscolari, con scarsa precisione di movimento (muscoli grandi);
• Fibre di piccolo diametro, bassa soglia, bassa frequenza, piccole Unità Motorie: dalle 12
alle 180 fibre muscolari, con maggiore precisione di movimento (occhio e mano).

Una seconda classificazione può essere effettuata su una base metabolico-enzimatica. Avremo
quindi tre diverse tipologie di fibre muscolari:

• Tipo I: fibre “lente” (Slow Oxidative - SO);


• Tipo IIA: prima tipologia di fibre “veloci” (Fast Oxidative Glycolytic - FOG);
• Tipo IIB: seconda tipologia di fibre “veloci” (Fast Glycolytic - FG).

Le caratteristiche specifiche di queste fibre sono riassunte schematicamente nella tabella alla
fine del sotto capitolo seguente.

La forza muscolare: fattori determinanti

Le variabili che determinano lo sviluppo della forza muscolare sono:

▪ tipo e numero di Unità Motorie: il reclutamento è graduale dai piccoli motoneuroni a quelli
più grandi, in base alla richiesta funzionale specifica;
▪ lunghezza iniziale del muscolo: la lunghezza ottimale è quella in cui si ha la massima
sovrapposizione tra fibre actina e miosina;
▪ frequenza dello stimolo nervoso;

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▪ età del paziente: in base ad essa variano la quantità di fibre muscolari e il loro
reclutamento;
▪ sezione trasversa del muscolo: rappresenta il numero di sarcomeri in parallelo;
▪ eventuale presenza di inibizione muscolare di vario genere (dolore, AMI…).

Effetti di un ridotto uso (immobilizzazione)


Riguardo l’immobilizzazione è necessario ricordare alcuni aspetti peculiari, spesso non
considerati:

● I muscoli che vengono immobilizzati in accorciamento sono molto più colpiti dall’atrofia.
Immobilizzando un gomito in estensione si avrà poca atrofia del bicipite mentre un’atrofia
più importante del tricipite; la posizione di immobilizzazione del muscolo dà quindi una
prima idea di dove andare a lavorare in una prima fase riabilitativa.
● L’immobilizzazione sembra portare alla riduzione del numero di sarcomeri,
aumentandone la lunghezza.
● L’immobilizzazione porta a delle modificazioni strutturali, quali una netta riduzione
dell’area di sezione della giunzione miotendinea (che diventa quindi più fragile) e una
netta riduzione del numero di vasi e della vascolarizzazione del muscolo: è presente un
minor apporto di ossigeno e di nutrienti, da cui consegue maggior sofferenza alle fibre di
tipo I (aerobiche), rispetto a quelle di tipo II (anaerobiche). Questi cambiamenti sono
tanto maggiori quanto è maggiore il tempo di immobilizzazione, ma sono ripristinabili
(più o meno completamente) con l’esercizio e l’attività fisica, insieme alla sintesi del
collagene.
● Il riposo a letto, nonostante non sia un’immobilizzazione vera e propria, determina
comunque un’atrofia consistente: si arriva a perdere fino al 2-3% di forza al giorno,
arrivando ad una diminuzione della capacità di attivazione muscolare del 10-15% circa
dopo 20 giorni;

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L’immagine a fianco rappresenta la


differenza tra un muscolo che viene
immobilizzato (o va incontro ad un ridotto
uso) in seguito ad una lesione dell’LCA,
messo a confronto con un muscolo che
svolge esercizio. Come si evince, se non
viene svolta attività si ha denervazione,
degenerazione delle cellule satellite ed
infiltrazione di materiale adiposo. Inoltre, le
fibre muscolari diventano maggiormente di
tipo anaerobico, di tipo II.

Recupero muscolare dall’immobilizzazione


Dopo un periodo di immobilizzazione, nelle fasi iniziali il rinforzo deve mirare a coinvolgere le
fibre lente, a migliorare la capillarizzazione e i processi metabolici del muscolo. Allo stesso tempo,
è utile promuovere il reclutamento muscolare, la coordinazione, il trofismo, il metabolismo e
l’estensibilità per contrastare i fenomeni di inibizione (AMI), apoptosi e diminuzione della forza
tensile delle strutture.

- Nel caso di muscoli atrofici post immobilizzazione è quindi indicato utilizzare carichi
leggeri (senza resistenza) con elevato numero di ripetizioni (30-50) per poche serie. Per
esempio, se il muscolo si affatica con 30 ripetizioni, il numero corretto da far eseguire è
di 28-29, se si affatica a 50 posso arrivare anche a 47-48 ripetizioni.

- Nel caso invece di muscoli inibiti post trauma o interventi chirurgici, dato che il trofismo
e la vascolarizzazione non sono compromessi, si può mirare al reclutamento muscolare
selettivo con contrazioni isometriche prolungate.

Gli obiettivi in fase acuta sono quindi quelli di proteggere le strutture da ulteriori traumi data la
ridotta capacità di carico, e si possono riassumere in:

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Lo spasmo muscolare

Lo spasmo è una contrazione muscolare riflessa involontaria mantenuta nel tempo dalle fibre
toniche di tipo I, allo scopo di proteggere l’articolazione da ulteriori danni. Esso è sostenuto da
una vasocostrizione simpatica che determina un’ipoperfusione locale del flusso sanguigno.
Essendo presente un minor apporto di ossigeno ed una minor capacità di eliminare i cataboliti,
si crea quindi un eccesso di radicali liberi che va a determinare un effetto tossico nei tessuti
interessati, che si traduce in dolore ed infine nella formazione dello spasmo muscolare.

È necessario quindi contrastare questo processo attraverso una vasodilatazione metabolica


indotta dagli esercizi. È utile richiedere un elevato numero di contrazioni muscolari (25-30
ripetizioni o più) a basso carico.

Lo stretching risulta invece controindicato: nel caso in cui lo spasmo muscolare sia
particolarmente importante, è stato visto come un allungamento delle fibre muscolari diminuisca
ulteriormente la loro vascolarizzazione e favorisca un aumento dell’attività EMG del muscolo.

Reclutamento muscolare

Sono presenti una serie di strategie che sfruttano uno stress meccanico elevato o uno stress
metabolico (fatica) nel reclutamento della muscolatura. I fattori che determinano un elevato
reclutamento muscolare sono:

1. Carico. Se il peso è maggiore si reclutano fibre di maggior diametro. A parità di ripetizioni


un carico più elevato determina maggior reclutamento. Il problema, nel contesto
fisioterapico, è che carichi elevati nelle prime sedute in seguito ad immobilizzazione sono
improponibili, ed è quindi importante andare a lavorare sugli altri fattori, proposti in seguito.

2. Numero di contrazioni. Le contrazioni ad esaurimento cercano di mantenere elevata la


forza anche in presenza della fatica delle fibre muscolari, reclutandone altre verso la fine
delle ripetizioni, andando a vicariare quelle in affaticamento.

3. Fatica. Una fatica moderata- intensa determina maggior reclutamento: lo stress metabolico
ha un effetto simile allo stress meccanico nel determinare ipertrofia. Quando però la fatica è
estrema il reclutamento crolla, determinato anche da fenomeni di fatica “centrale” a livello
del SNC.

4. Tipologia della contrazione. La contrazione che dà maggior reclutamento è la contrazione


isometrica. È importante mantenerla prolungata fino ad avere il tremore: il tremore è indice
di reclutamento delle fibre più grossolane di tipo II che danno un movimento meno preciso
e meno controllato. È seguita poi da quella concentrica. Infine, la contrazione eccentrica
determina il minor reclutamento a parità di carico. Essa riesce a sviluppare molta più tensione
con meno fibre, con il risultato di sopportare maggior tensione per ogni fibra e sviluppare il
fenomeno dei DOMS.

DOMS: Delayed Onset of Muscle Soreness

Traducibili con l’acronimo DOMER, ovvero dolenzia muscolare ad esordio ritardato. Non sono dati
dalla presenza di acido lattico nell’organismo, ma sono microlesioni strutturali che si verificano
in seguito ad esercizio non abituale, dovute al fenomeno di overstretching dei sarcomeri
(principalmente in seguito a contrazioni eccentriche). Determinano dolore con picco nelle 24-72

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ore successive, con riduzione di forza massima isometrica, gonfiore, accorciamento muscolare,
riduzione del ROM a riposo e deficit nei test funzionali.

In riabilitazione è un fenomeno da evitare, utilizzando carichi graduali e numero di serie


contenute.

Ad oggi, nessun trattamento risulta efficace (massaggio, calore, ghiaccio, FANS, stretching,
immobilizzazione, contrazioni, terapie fisiche). Si ha un recupero spontaneo in 4-15 giorni.

DOMANDE:

Q: per il miglior reclutamento muscolare bisogna arrivare al tremore con la contrazione


isometrica?

A: è importante valutare la condizione funzionale del paziente. Se il paziente è in un buono stato


clinico, può essere utile aumentare il carico e raggiungere il tremore e la sensazione di fatica
(che anche il paziente stesso può riferire), al fine di ottimizzare il reclutamento muscolare.

Q: i nuovi orientamenti scientifici sembrano attribuire i DOMS maggiormente ad una componente


nervosa più che muscolare, è stato confermato?

A: in letteratura è presente uno studio che diceva che i DOMS erano legati allo schiacciamento
delle fibre nervose da parte di quelle muscolari che provoca dolore nel tempo. A quello studio
non se ne sono seguiti altri e non ci sono ulteriori conferme.

Q: Come fare per prevenire i DOMS negli atleti?

A: Allenare in maniera graduale i soggetti è l’unico mezzo. Ci sono alcune evidenze sull’uso della
crioterapia per ridurre i DOMS ma si è visto che, d’altro canto, essa va a ridurre lo sviluppo di
forza muscolare, con riduzione nel lungo periodo degli adattamenti legati all’ipertrofia. La
crioterapia può avere senso se non si vogliono sviluppare adattamenti ma solamente evitare di
sviluppare i DOMS.

Q: c’è una correlazione tra i tempi di recupero e i DOMS? Per prevenire i DOMS bisogna tenere
in considerazione il carico o i tempi di recupero tra serie e/o ripetizioni?

A: fondamentale introdurre i carichi in maniera graduale per aumentare gli stress poco alla volta.
I tempi di recupero sono maggiormente legati alla fatica accumulata sessione dopo sessione,
maggiormente legati alla quantità di carico di tipo eccentrico rispetto alle capacità del soggetto.

Q: Quali sono gli indizi che a livello clinico fanno capire la presenza di spasmo muscolare?

A: Con spasmo, per esempio, degli ischiocrurali si può avere una limitazione dell’estensione. Se
lo spasmo è elevato si possono percepire anche manualmente. Se lo spasmo è molto piccolo è
difficile da rilevare clinicamente.

Q: Può avere senso lavorare sulla muscolatura antagonista per diminuire lo spasmo? Per
esempio, per uno spasmo degli ischiocrurali può essere utile lavorare sulla mm antagonista
quindi il quadricipite?
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A: è più facile andare a lavorare in maniera più efficace e diretta attraverso l’aumento della
vascolarizzazione attraverso contrazione a basso carico ed elevate ripetizioni, piuttosto che in
maniera indiretta sull’antagonista.

Q: alla base del DOMS c’è un danno tissutale che poi rigenera degli adattamenti futuri. Perché
quindi bisogna evitarlo e non è qualcosa di positivo?

A: non è detto che con i DOMS si sviluppino adattamenti muscolari, non sembrano necessari per
avere aumento della forza. È da evitare in riabilitazione la creazione di DOMS elevati perché
danno riduzione di forza nei giorni a seguire, con aumento del dolore e coinvolgimento di diversi
fattori psicologici che lo portano a scoraggiarsi e lavorare meno.

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IL RECUPERO DELLA MUSCOLATURA


È importante capire l’obiettivo e di conseguenza scegliere le strategie più adeguate in base al
paziente.

Come si può vedere nel grafico, se l’obiettivo è guadagnare forza bisogna utilizzare carichi
elevati, superiori al 90% della ripetizione massimale (RM) del soggetto. Se voglio lavorare
sull’endurance è importante avere tante ripetizioni con carichi bassi (6% RM).

Per incrementare la forza e la massa muscolare (ipertrofia) vengono usati carichi del 75/85%
di 1 RM (ripetizione massimale). Carichi molto elevati in soggetti anziani o nei soggetti in fase
riabilitativa non possono però essere utilizzati.

Ipertrofia e stress

Uno stress meccanico è uno stimolo per aumento dell’ipertrofia e della forza. Si è visto infatti
che un esercizio ad esaurimento anche con bassi carichi induce ipertrofia ed incrementi di forza.
Il maggiore stress metabolico può compensare il ridotto stress meccanico e l’allenamento in
restrizione di perfusione sanguigna (BFR) induce maggior adattamento ipertrofico a parità di
stress meccanico (carico). Sembra però che la sola tensione meccanica non sia sufficiente per
sviluppare ipertrofia: nello specifico, si è visto come 3 serie x 12 rep con 70% di 1RM siano più
efficaci di 7 serie x 1-3 rep con 90/100% di 1 RM. Sotto il 30% di 1RM e sopra il 90% di 1 RM è
difficile sviluppare ipertrofia.

Vi deve essere quindi un compromesso ideale tra tensione (stress meccanico) e stress
metabolico. Bisogna gestire le due tipologie di allenamento in base al paziente ed allo sport
praticato (sport di endurance VS sport di forza).

Carico e fatica

Un carico eccessivo in muscoli atrofici può determinare danno muscolare con lesioni del
citoscheletro, distruzione del sarcolemma e alterazioni delle miofibrille. Ciò si traduce
nell’importanza di avere estrema gradualità nell’esposizione al carico con pazienti allettati.

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Con lo sviluppo di fatica, l’EMG aumenta la frequenza di scarica ed il reclutamento, diminuisce


invece la soglia di reclutamento per mantenere lo stesso livello di forza. Attenzione quindi ad
impostare il trattamento in maniera corretta gestendo le risorse del paziente, variando i gruppi
muscolari per favorire il recupero.

Pause tra ripetizioni

In letteratura, sono raccomandati 2-3 minuti tra serie in esercizi ad intensità medio-alta, dove
si ha maggior recupero nel primo minuto. Con un recupero completo (2-3’) si sviluppa maggiore
forza, mentre con recupero ridotto (30’’) si sviluppa maggiore ipertrofia. Il recupero attivo è più
efficiente del riposo assoluto, inoltre, il riposo tra sessioni consigliato è di 48 ore in fase
intermedia di trattamento.

Restrizione della perfusione sanguigna (BFR)

Nell’esperimento riportato sono presenti due gruppi, il primo (N group) rappresenta il gruppo di
rinforzo normale, mentre il secondo (R group) presenta un rinforzo con restrizione della
perfusione sanguigna (BFR). Si vede come dopo la chirurgia chi eseguiva l’allenamento con BFR
ottiene un maggior guadagno di forza, come se si andasse a produrre uno stress metabolico
riducendo al minimo la pausa tra le ripetizioni. Si conferma quindi l’utilità del BFR a parità di
carichi nella produzione di ipertrofia e forza. Da review del 2015 viene confermato come il BFR,
associato ad esercizi a basso carico (Low Load, LL) vada a determinare incrementi di forza ed
ipertrofia muscolare maggiori rispetto all’allenamento con gli stessi carichi ma senza BFR.
Tuttavia, entrambe le metodiche comparate risultano meno efficaci degli esercizi a carico elevato
(High Load, HL).

Progressione nella riabilitazione muscolare

E’ fondamentale adattare la fase al quadro clinico del paziente.

Nelle prime fasi è utile l’esercizio lento per permettere maggior coordinazione, sicurezza, ed una
miglior possibilità di correzione dell’esecuzione da parte del terapista. Se la velocità è bassa, si
può sottoporre la muscolatura ad una maggiore tensione più a lungo, permettendo nel lungo
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periodo un maggior guadagno a livello di ipertrofia e di forza. La velocità costituisce di per sé un


carico. L’esercizio veloce necessita di un ottimo controllo motorio ed è essenziale che venga fatto
in fasi avanzate di riabilitazione, vicino al ritorno allo sport.

Il numero di serie costituisce la quantità di lavoro e deve rispecchiare la capacità di carico del
paziente e della struttura su cui lavoriamo. L’eccesso può infatti determinare effetti negativi nei
giorni successivi, infortuni e fatica. In linea generale, è meglio iniziare con 2-3 serie per esercizio
e una tipologia di esercizio per ogni singolo gruppo muscolare.

Adattamenti fisiologici agli esercizi contro resistenza

Esistono sostanzialmente due tipologie di adattamenti fisiologici indotti dall’esercizio fisico contro
resistenza:

1. Adattamenti neurali: sono riscontrabili a livello di EMG dalla 4 all’8 settimana, senza
evidenze di ipertrofia. Gli adattamenti neurali vengono associati al motori learning e
all’aumento della coordinazione ed includono aumento nel reclutamento del numero di
unità motorie e nel ritmo di sincronizzazione del PdA.

2. Adattamenti muscolari: l’ipertrofia è un aumento della grandezza delle fibre dovuta da


un aumento di volume delle miofibrille tra 4-10 settimane da un programma di esercizi
moderati; le fibre maggiormente coinvolte sono quelle di tipo IIB.

DOMANDE

Q: qual è la differenza tra esercizio lento e veloce? Con esercizio veloce si ha un aumento di
carico e con quello lento c’è un aumento del reclutamento?

A: si, l’esercizio veloce è più stressante anche da un punto di vista di timing muscolare e di
coordinazione. Nelle fasi avanzate quindi un buon allenamento della potenza deve avvenire con
a monte una buona forza muscolare ed ipertrofia. No andare a dare movimenti veloci ad un
paziente che è stato molto allettato.

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Q: da cosa è meglio partire quindi? meglio dare priorità allo sviluppo di forza e reclutamento e
successivamente ipertrofia e potenza?

A: importante capire le necessità del paziente, da dove parte e dove vuole arrivare (attività
sportiva e ADL). Può essere utile iniziare a dare stress meccanici inizialmente con alte ripetizioni
in modo da generare maggiore resistenza ed ipertrofia, sfruttando uno stress metabolico e
creando una capacitò di carico di base che permette poi di aumentare lo stress meccanico. Se
invece il paziente si allena da solo in maniera importante bisogna tarare il trattamento a seconda
del quadro clinico, in generale è sempre meglio allenare la forza, poi la potenza, e in un secondo
momento ritornare sulla forza in modo ciclico.

Q: essendo il tempo della riabilitazione limitato, è opportuno mischiare un allenamento


endurance, forza e potenza? Si può fare un esempio concreto con lesione di LCA?

A: nelle prime settimane nella riabilitazione post LCA si lavora sull’impairment cercando di
reclutare il quadricipite, successivamente si lavora sugli aspetti di endurance che permettono di
lavorare sul recupero della forza e sullo stress metabolico, essendo la capacità di carico bassa.
Da qui si potranno poi proporre esercizi mirati al recupero della potenza, maggiormente sport
specifici. È quindi inutili, se non dannoso, in fase riabilitativa allenare tanto e tutto insieme. per
indurre maggiori adattamenti bisogna inoltre focalizzarsi su un aspetto primario alla volta.

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LE LESIONI MUSCOLARI

Epidemiologia

Sono un infortunio molto frequente in ambito sportivo. I muscoli più colpiti da lesione muscolare
sono gli hamstring, nello specifico il bicipite femorale. A seconda dello sport praticato, la
muscolatura più colpita può cambiare notevolmente. Questi traumatismi sono frequenti in sport
con corsa veloce, salti, cambi di direzione e calci.

Nel calcio rappresentano il 30% di tutti gli infortuni, causano 1/4 del tempo totale di assenza
per infortunio. In un club di élite in ambito calcistico ci si aspetta dalle 11 alle 15 lesioni
stagionali. Nei calciatori, le lesioni muscolari principalmente colpiscono 4 gruppi: hamstring (in
questa percentuale: 84% BF, 11% SM, 5% ST), quadricipite, polpaccio e adduttori. Il 70% delle
lesioni muscolari ischiocrurali nel calcio non mostra alterazioni strutturali alla RMN, sono quindi
lesioni identificate con funzionali e non strutturali (assenza di segni macroscopici di danno).

Fattori di rischio

I fattori di rischio sono suddivisibili in due macrocategorie:

● Intrinseci: fattori personali individuali, possono essere a loro volta divisi in:

o Modificabili: livello di fitness generale, forza, fatica, flessibilità...

o NON-Modificabili: lesioni/infortuni precedenti, età, genere ed etnia.

● Estrinseci: esterni all’individuo, per esempio: tipologia di sport, esposizione allo sport,
allenamento, ambiente di gioco...

Andiamo ora a ripercorrere velocemente l’evoluzione dei modelli di studio dei Fattori di Rischio,
al fine di comprenderne le criticità e le motivazioni per le quali, attualmente, sta cambiando il
nostro approccio nella loro gestione. Infatti, da un modello semplicistico, in cui le parti non
interagiscono tra loro ma la loro somma determina l’outcome, gli studi attuali stanno muovendo
verso la comprensione dei fattori di rischio come un modello complesso.

Un primo modello della valutazione dei fattori di rischio di infortunio muscolare è stato proposto
da Van Mechelen nel 1992, e proponeva 4 fasi principali, riassunte nello schema seguente.

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Essendo questo modello troppo semplicistico e basato in buona sostanza sulle sole variabili di
incidenza e severità dell’infortunio, già ne 1994 Meeuwisse et al sviluppò l’interpretazione
dell’injury risk basandosi sull’interazione di fattori di rischio multipli, intrinseci ed estrinseci.

Successivamente, nel 2005, Bahr e Krosshaug ampliano le caratteristiche del meccanismo


lesionale inserendo la variabile “INCITING EVENT”, ovvero l’evento che lo provoca. Inoltre,
approfondiscono i molteplici fattori interni ed esterni, già proposti nei modelli precedenti.

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Lo stesso Meeuwisse, nel 2007, sviluppa un modello dinamico e ciclico dove l’evento che può
scaturire l’infortunio diviene, o meno, la base dell’adattamento conseguente e costituisce il
nuovo punto di partenza, modificando in maniera ricorrente la suscettibilità agli infortuni
dell’atleta. L’autore riconosce quindi la non-linearità degli sport injury e tenta di considerare
l’interazione fra i vari fattori di rischio ed un evento scatenante nella modifica del rischio
intrinseco di un atleta di infortunarsi.

Finch (2006) e O’Brien (2018), attraverso i loro studi cercano modo di implementare e
integrare nella pratica le misure di prevenzione per valutare poi la loro efficacia.
Sostanzialmente, vanno ad aggiungere due step prima di ripetere il punto 1 dello schema
proposto inizialmente da Van Mechelen nel 1992:

- Determinare le condizioni ideali per mettere in atto le misure preventive.

- Valutare l’efficacia del programma di prevenzione in un contesto di applicazione.

Le criticità residue parlando dei fattori di rischio delle lesioni muscolari rimangono, tuttavia, ad
oggi ancora molto dibattute.

1. Il rischio di un atleta di sostenere un infortunio fluttua nel tempo di pari passo alle
variazioni dei fattori individuali intrinseci ed estrinseci. Alcuni parametri, come Strenght
e Power, possono variare anche da giorno a giorno. Nella maggior parte degli studi, il
profilo di rischio degli atleti è ottenuto con misurazioni prese in un singolo momento,
spesso preseason. Questo tradizionale approccio può fallire nell’identificare importanti
fattori di rischio per una hamstring injury.

2. Il profilo di rischio individuale può variare anche a seconda dell’interdipendenza tra uno
o più fattori. Atleti in sport differenti, possono presentare gli stessi fattori e avere
risultati diversi. Per cui, con atleti di sport diversi è bene considerare:

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- richieste dello sport (es: running durante match)

- training history (esposizione ad high intensity sprinting.

- pratiche di management generale (rinforzo eccentrico)

3. La presenza o l’assenza di un fattore di rischio non predice con alcuna certezza che
l’atleta sosterrà un infortunio. Inoltre, negli studi con ampie coorti ciò che si ricerca è
una differenza significativa tra soggetti “injured” e “non-injured”, ma è possibile trovare
un overlap tra i singoli individui dei gruppi. ➔ Un atleta può essere considerato a rischio
sulla base di uno o più fattori ma non sosterrà mai una lesione e, viceversa, chi avrà un
basso profilo di rischio può andare incontro a un infortunio.

Pertanto, si è reso necessario un nuovo modello in cui è considerata la complessità delle lesioni
muscolari, che incorpori come questi fattori mediano, moderano e interagiscono l’un con l’altro.
La letteratura attuale non considera questi aspetti e gli studi attuali hanno forti limitazioni. È
importante, quindi, eseguire una batteria di test, raccogliere informazioni sulla storia degli
infortuni dell’atleta, ed eseguire interventi personalizzati basati su deficit e limitazioni delle
attività dell’atleta. Inoltre, è bene monitorare sempre durante la stagione, e non solo in
preseason, i parametri più importanti per sorvegliare al meglio tutti i fattori di rischio. Sulla
base di questo, al fine di effettuare una prevenzione efficace è bene mettere in atto, oltre
strategie utilizzate per tutta la squadra (per esempio, warm up e rinforzo eccentrico), un
intervento mirato per gli atleti considerati a maggior rischio sulla base dei dati ottenuti durante
il continuo monitoraggio.

Classificazione e prognosi

Per classificazione di un infortunio muscolare si intende il processo di descrizione o


categorizzazione di una lesione, ovvero localizzazione, meccanismo o patologia sottostante. Il
“grading”, invece, fornisce un’indicazione della severità della lesione.

Fino agli inizi degli anni 2000, nessuna proposta di classificazione e di grading era stata validata.
Inoltre, nessuno studio analizzava la storia naturale della lesione determinata clinicamente o
radiologicamente. Nei primi anni 2000, la classificazione di Peetrons è stata una delle più
utilizzate negli studi nei quali veniva utilizzato l’imaging.

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Essendo comunque ancora fortemente riduttiva per inquadrare un fenomeno così complesso,
come ampiamente discusso in precedenza, nel 2012 Chen propone una nuova classificazione
basata sulla Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), perché la classificazione tradizionale non
tiene conto della posizione della lesione.

Questa classificazione indica la sede macroscopica lesionale (1,2,3), la porzione muscolare in


caso 2, e la struttura intramuscolare coinvolta (a,b,c,d,e).

È una classificazione apprezzata per la sua semplicità e precisione, ma studi recenti hanno
dimostrato che lesioni simili alla RMN, nella stessa zona anatomica, ma causate da differenti
meccanismi di azione (corsa ad alta velocità o eccessiva tensione), hanno tempi di guarigione
completamente differenti (Askling, 2012 & 2013).

La classificazione più importante è quella del consenso di Monaco (2012), visibile in figura,
dove viene inserita la lesione funzionale. Questa risulta essere la prima classificazione sottoposta
a validazione. Si può osservare come, in media, le lesioni funzionali (negative alle bioimmagini)
recuperavano prima rispetto a quelle strutturali, anche se non c’è una certezza assoluta. In realtà
sono presenti delle eccezioni, perciò il valore prognostico va ridimensionato.

La grossa novità è nella terminologia utilizzata: vengono aboliti termini ambigui quali STRAIN,
PULLED-MUSCLE, HARDENING e HYPERTONUS. È consigliato l’uso del termine TEAR per indicare
una lesione muscolare. Vengono inseriti i functional muscle disorders, definiti come “Acute
muscle disorder ‘without macroscopic’ evidence (in MRI or ultrasound) of muscular tear”. Sono
disordini multifattoriali, distinti in overexertional o neuromuscular. La differenziazione dei
functional disorders non aggiunge valore prognostico e non è clinicamente rilevante.

Le critiche principali al Munich Consensus sono due, proposte in seguito. Tol (2013), afferma che
mancano parametri importanti quali il meccanismo lesionale, in allungamento in contrazione
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(sprinting vs stretching type, secondo Askling), così come la lunghezza della lesione. Pollock
(2014) sottolinea come il consenso dimentichi di includere elementi prognostici nella
classificazione, come il sito di lesione, lunghezza di lesione, coinvolgimento del tendine, e la
cross sectional area della lesione.I n termini di applicabilità pratica, in contesto non
professionistico fare MRI dopo ogni lesione è inverosimile. Dunque, non possiamo avere la
certezza di fare diagnosi di lesione funzionale. La valutazione clinica rimane lo strumento più
efficiente.

Esiste una seconda classificazione stilata da Pollock, la British Athletics Muscle Injury
Classification (BAMIC), che andava a indagare il IMT (porzione del tendine sulla quale si
inseriscono le fibre muscolari). Secondo un primo studio impostato su questa classificazione
alternativa, un coinvolgimento di questa porzione può determinare tempi di recupero fino ad 84
giorni e delle recidive fino al 63%. Per vedere però la presenza di queste lesioni c’è necessità di
una RM.

Secondo un ulteriore studio proposto dal gruppo di ASPETAR, si è visto come il RTP (return to
play) in seguito ad un IMT era in media di 27 gg. Valutando poi una lesione completa dell’area
trasversa del tendine, rispetto ad una lesione che coinvolgeva solo il ventre muscolare, si ha una
differenza statisticamente significativa di 9 giorni, ma anche in questo studio c’era un overlap di
dati e poca certezza, con valore prognostico basso.

Un terzo studio indagava pazienti con IMT che presentavano in media un RTP dopo 31 giorni: il
56% tornava allo sport con segni di lesione parziale o completa alla RM, ma nessuno presentava
segni di recidiva dopo il primo anno di follow up. Questo può far ipotizzare che non sembra
necessaria una completa guarigione dell’IMT per ritornare allo sport, e inoltre pone un dubbio
sull’effettiva utilità dell’MRI sia per decidere il RTP che a scopo prognostico.

Analizzando un ulteriore studio che prende in considerazione circa 5000 lesioni muscolari di
calciatori professionisti, strutturali e funzionali in rapporto di 4:1. Le lesioni funzionali recuperano
per il 50% (tra il 25 e il 75esimo percentile) tra i 3-7 giorni. Per quanto riguarda le lesioni
strutturali, il 50% recupera tra i 7-22 giorni.

Riassumendo: molti modelli sono stati proposti nel corso della storia ma solamente con il
consenso di Monaco gli autori cominciano a testarne la validità. L’utilizzo di classificazioni con
grading basato su MRI può essere utilizzato solamente in contesto di ricerca e in ambito sportivo
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LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE - Curotti 20-02-2022

professionistico, non nella pratica clinica. Inoltre, una lesione minore all’MRI sembra essere
correlata con un recupero più breve. Lesioni dell’IMT non determinano necessariamente un
recupero più lungo ed è ancora da chiarire se sono associate ad un “early reinjury”, anche perché
una guarigione completa dell’IMT alla MRI non sembra essere necessaria per un RTP sicuro.
Perciò anamnesi e valutazione clinica sono gli strumenti fondamentali per i professionisti sanitari.

DOMANDE

Q: Come si distinguono le lesioni funzionali da quelle strutturali a livello clinico?

A: Non si possono distinguere, si può solo ricercare la presenza di lesione. A livello ecografico si
può vedere edema, ma essendo un esame molto operatore dipendente sono difficili da
diagnosticare.

Q: caso clinico di un atleta post lesione IMT, che presenta un piccolo dolore in alcune attività
(alzarsi dalla sedia) ma che è già ritornato allo sport eseguendo stacchi ed allenamenti senza
problemi. All’ecografia era presente edema. in questo caso è corretto che lui sia ritornato allo
sport?

A: se il dolore è assente durante ogni tipo di gesto atletico e durante l’esame clinico è corretto.
È importante che non ci siano dolori a livello clinico e funzionale e sportivo.

Q: esiste una relazione tra attività fisica giovanile e predisposizione ad infortuni muscolari? In
età giovanile fare più sport diversi è protettivo?

A: Dare carichi diversi ed in maniera diversa al corpo in maniera graduale, è protettivo ed utile
a livello di sviluppo di forza e riduzione degli infortuni.

Valutazione di una lesione muscolare

Nella valutazione di una lesione muscolare sono 3 i cardini da tenere in considerazione:

• ANAMNESI

• PRESENTAZIONE CLINICA

• TEST di ROM e forza muscolare

ANAMNESI

Una buona anamnesi si traduce in una raccolta di informazioni di vario genere su sport, livello,
ruolo, periodo della stagione, prossimità di gare o altri obiettivi del paziente.

Le successive domande poste dall’esaminatore devono andare ad indagare:

WHAT/WHERE/WHEN: Fitta/sensazione di strappo in un punto preciso? Popping sound? Ha


proseguito la gara? È stato costretto allo stop? Quanti giorni sono passati?

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MECCANISMO LESIONALE: Trauma diretto vs indiretto, High-speed running vs Stretching type.

Indagare attentamente il momento in cui è avvenuto l’infortunio è fondamentale. Se disponibili,


può essere utile rivedere le immagini. Tendenzialmente, le lesioni stretching type richiedono
tempi più lunghi per riprendere l’attività rispetto alle high-speed. Anche la presentazione clinica
iniziale differisce: le high-speed sembrano essere più severe rispetto alle stretching type. Inoltre,
le stretching type sembrano interessare maggiormente il tendine prossimale o la giunzione
miotendinea, mentre le high-speed sembrano colpire per lo più le fibre del muscolo. In genere,
i pazienti usano le dita per indicare la zona in prossimità dell’inserzione in caso di stretching
type, mentre per le high speed viene usata la mano per indicare una zona più distale e laterale.
Spesso vi è sempre una combinazione dei due meccanismi, con uno dei due più prevalente. In
base al meccanismo, potrei scegliere esercizi che vadano nella direzione del movimento che ha
provocato la lesione. (Esempio pratico: una ballerina che si lesiona durante una spaccata è
preferibile che venga esposta gradualmente ad esercizi in cui gli hamstring vengono posti
maggiormente in allungamento.

TRATTAMENTI EFFETTUATI DOPO L’ESORDIO ACUTO: – Come è stato trattato appena dopo
l’infortunio? Per quanti giorni ha avuto dolore a camminare o nelle ADL? Eseguita riabilitazione
precoce? Inizia la riabilitazione in ritardo?

Bisogna capire se sono state messe in atto fin da subito le procedure più utili ed efficaci al fine
di ottimizzare la guarigione e il recupero. Anche se la letteratura ha fallito nell’evidenziare una
chiara prognosi, rilevare l’evoluzione dell’infortunio può fornire una stima della gravità della
situazione. Nelle prime ore è importante eseguire il protocollo POLICE per mettere l’arto in
protezione e prevenire un maggior sanguinamento. Secondo alcuni studi, maggiore è il tempo
impiegato a camminare senza dolore, maggiore è il tempo di recupero. Tuttavia, le evidenze
sono limitate e contrastanti. Secondo Whiteley et al, il dolore nelle ADL tende a regredire dopo
1/3 della durata del trattamento per cui è un indicatore poco utile, soprattutto in fase avanzata.
Attenzione agli effetti negativi dell’immobilizzazione. Infatti, sembra che un inizio ritardato della
riabilitazione ha tempi di recupero maggiori probabilmente a causa degli effetti negativi
dell’immobilizzazione. È importante iniziare fin dai primi giorni ad eseguire le cure e gli esercizi
necessari al fine di favorire la guarigione.

ANAMNESI REMOTA: – È la prima volta? È una recidiva? Soffre spesso di questi infortuni?

È fondamentale sapere se l’atleta ha già avuto in passato altri episodi simili, soprattutto recenti.
Aver avuto una lesione muscolare in precedenza costituisce un fattore di rischio molto importante
per una nuova lesione, soprattutto nei primi mesi. Inoltre, va considerato che la riabilitazione di
una recidiva sembra avere un RTS più lungo. Nello studio epidemiologico di Ekstrand del 2019,
si ha che le recidive funzionali recuperano in media un tempo di circa il 55% in più rispetto al
primo episodio mentre le strutturali circa il 20% in più.

PRESENTAZIONE CLINICA

La presentazione clinica pùò essere molto varia ed è riassunta schematicamente in questa


tabella.

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ISPEZIONE: Valutazione masse muscolari rispetto al controlaterale.

EMATOMA: può comparire anche giorni dopo. Se presente un vasto ematoma su tutta la coscia,
la situazione necessita di maggiore attenzione.

PALPAZIONE: posso riscontrare un deficit di tensionamento attivo tendine prossimale, uno punto
di maggior dolore (NRPS) e la lunghezza del dolore alla palpazione. La misura “length of pain to
palpate”, espressa come percentuale del massimo valore iniziale, sembra essere un buon
indicatore della progressione della riabilitazione. Gli autori riportano che da circa un 80%
approssimativo, il valore scende fino a 0% alla fine della riabilitazione.

TEST CLINICI

Se il paziente riferisce un dolore improvviso nella regione posteriore di coscia mentre fa sport,
l’effettuazione dei test clinici resistiti o di tensionamento aiutano ad intercettare quei casi in cui
MRI è negativa, fornisce informazioni su severità/gravità della lesione, ma non strettamente in
termini prognostici, utili per impostare il trattamento in modo tempestivo. Se questi test vengono
ripetuti durante il periodo di riabilitazione, possono fornire indicazioni su come sta procedendo il
recupero. La normalizzazione di tali test costituisce una base importante nel decidere il RTS.

Per indagare la flessibilità della muscolatura sono necessari test di estensibilità, peculiari per
ogni distretto lesionato. I test di forza sono fondamentali per avere dati oggettivi e paragonare
il lato lesionato al controlaterale. Diventano fondamentali per gestire progressione della
riabilitazione e il RTS. La maggior parte degli studi valuta la forza isometrica ed eccentrica in
vari gradi di allungamento.

Clinica vs bioimmagini: secondo uno studio del 2019 è presente una probabilità pre-test di avere
una lesione positiva all’MRI del 78% con una buona anamnesi, che in seguito all’esecuzione di
un test si modifica. In caso di un test positivo, la probabilità di aver identificato la lesione si alza
all’80-84%, mentre se il test è negativo varia dal 59-73%. Ciò significa che la probabilità è buona
ma non è sufficiente per fare diagnosi di lesione muscolare strutturale. Quindi anche se test
negativi non si può escludere la presenza di lesione identificabile all’MRI. Al contrario, l’esame
clinico rilevava la presenza di lesioni funzionale nei casi in cui non era visibile all’MRI.
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Diagnosi differenziale

La prima parte della diagnosi differenziale in caso di lesioni muscolari degli hamstrings va ad
escludere problematiche della colonna, dell’articolazione sacro iliaca e dell’anca.

Successivamente, è utile andare ad indagare una possibile lesione combinata degli adduttori
(osservata in tennisti e ballerini). E’ necessario distinguere da un’avulsione del tendine
prossimale parziale o totale, le caratteristiche cliniche sono visibile nell’immagine. In questo
caso bisogna fare referral al chirurgo ortopedico, che valuta come gestire il percorso
terapeutico.

• Se c’è una di queste condizioni: avulsione completa, individuo attivo, coinvolgimento > o
uguale 2 tendini, retrazione > 2 cm, fallimento del trattamento conservativo, è
maggiormente indicata la CHIRURGIA.

• Se ci sono queste condizioni: avulsione parziale, individuo sedentario, coinvolgimento <


o uguale 2 tendini, comorbidità, possibile mancata aderenza post-chirurgica, è più
indicato il TRATTAMENTO CONSERVATIVO.

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LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE - Curotti 20-02-2022

Un altro capitolo fondamentale della diagnosi differenziale deve escludere la presenza di una
tendinopatia prossimale degli hamstring. La tabella posta successivamente definisce molto bene
gli aspetti differenti fra le presentazioni cliniche principali delle due patologie.

Take Home Message

▪ È importante riconoscere una lesione totale del tendine prossimale degli hamstring o una
sua avulsione
▪ Non siamo in grado di prognosticare con precisione il RTS
▪ Molti articoli studiano atleti professionisti e, tra questi, va considerato il livello praticato
(Champions League vs Campionato australiano) è anche importante considerare un
contesto professionistico vs non-professionistico.
▪ MRI + vs MRI -: è importante distinguere le lesioni strutturali da quelle funzionali.
▪ Le lesioni agli hamstring sono le più studiate. È quindi importante saper adattare il
ragionamento in base al gruppo muscolare coinvolto.

Patobiologia

Il muscolo una volta lesionato si rigenera


grazie alle cellule satelliti che proliferano in
seguito alla lesione. Secondo studi effettuati su
topi, in seguito all’infiltrazione macrofagica
queste cellule si attivano, proliferano e si
differenziano in miotubi creando nuove fibre
muscolari. Le fibre convergono verso la neo
cicatrice che contraendosi avvicina le estremità

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dei due lati dando la fusione dei due lembi. Rimane comunque un piccolo esito cicatriziale.

È importante nelle lesioni muscolari il processo fisiologico di riparazione muscolare. Esso è un


equilibrio di riparazione e rimodellamento. Si ha da una parte la rigenerazione delle fibre
muscolari parallelamente alla formazione di tessuto connettivale cicatriziale, grazie alla risposta
fibroblastica.

• Nei primi giorni: dove è presente ematoma si ha la presenza di fibrina e fibronectina con
formazione di tessuto di granulazione. Si forma una prima impalcatura ed ancoraggio per
i fibroblasti con formazione di iniziale forza per sostenere le forze contrattili.

• Dal 3° giorno: neo-angiogenesi dei capillari che garantisce un corretto apporto di ossigeno
necessario per la maturazione dei miotubi e per il metabolismo aerobico delle nuove fibre.

• Al 5° giorno: formazione di collagene di tipo III e I ed altre proteine che conferiscono


proprietà elastiche ed ulteriore forza e resistenza.

• Al 10° giorno: il tessuto cicatriziale non è più il punto debole.

Non si sa ancora con certezza se con il tempo il tessuto cicatriziale scompare o rimane ancora
presente. Importante quindi la riabilitazione già in fase precoce per evitare la produzione
eccessiva di tessuto cicatriziale ed evitare la fibrosi del tessuto causata dall’immobilizzazione. Si
possono ottimizzare i processi di guarigione: la neo-angiogenesi che avviene dal 3° giorno può
essere promossa con l’utilizzo della cyclette se il paziente è in assenza di dolore. Con passare
dei giorni si può introdurre esercizio eccentrico per ottimizzare la guarigione.

Trattamento

Nella fase acuta è utile applicare il protocollo POLICE o PEACE & LOVE: nello specifico è
fondamentale applicare un carico ottimale. C’è assenza di studi che indagano l’efficacia della
crioterapia post lesione. I FANS non hanno effetti sulla guarigione e rigenerazione del tessuto
muscolare. Si è visto essere utile un programma di esercizio eccentrico abbinato ad un piano di
running drills progressivo per ridurre il tempo al RTS. Cosa fare e quando?

• 24-72h: riposo. evitare attività provocative e stretching.

• 2-3° giorno: attivazione reclutamento del muscolo colpito attraverso contrazioni


isometriche. Importante partire da posizioni meno provocative, in accorciamento
muscolare, per poi effettuare contrazioni in allungamento. Importante effettuare anche
un rinforzo dei gruppi muscolari non coinvolti.

• 3° giorno: inizia a promuoversi una neoangiogenesi. È utile proporre attività aerobica per
ottimizzare il processo ed incrementare il condizionamento fisico. Si può proporre la
cyclette e cammino o corsa leggera. Nella corsa nelle prime fasi si può consigliare di
mantenere una lunghezza del passo ridotta per evitare eccessivo allungamento muscolare
ma aumentare la cadenza.

• Dal 3° giorno: esercizi per aumentare l’estensibilità muscolare (proposti da Askling, che
sono riportati di seguito), ed appena possibile proposti esercizi eccentrici preferibilmente
senza dolore. Iniziare da una posizione bipodalica con basso carico ed alte ripetizioni,
successivamente passare alla stazione monopodalica con alti carichi e basse ripetizioni.
Infine, introdurre esercizi di tipo sport specifico.
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LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE - Curotti 20-02-2022

Il lavoro in campo deve quindi procedere in parallelo con il programma riabilitativo. Se lo sport
prevede la corsa è fondamentale svolgere esercizi di high speed running e scatti prima del RTP,
ed aumentare il tempo, le distanze e l’intensità della corsa a seconda dello sport e del ruolo. Il
periodo di riabilitazione è per l’atleta l’occasione migliore di lavorare su eventuali fattori di rischio
e per il mantenimento o miglioramento delle capacità dei distretti non coinvolti.

Protocollo degli esercizi di Askling

1. The extender: flessione di anca a 90° in cui il paziente tenendo la coscia con le mani
estende attivamente il ginocchio fino alla sensazione di dolore. Obiettivo è recuperare e
mantenere la flessibilità degli hamstrings. Posizione di partenza: supino; anca flessa a
90°; ginocchio flesso. Stabilizzare la coscia con le mani. Esecuzione: estendere
lentamente il ginocchio, fermandosi prima dell’insorgenza del dolore. Progressione:
aumentare il ROM, la velocità. Posologia: 3x12, 2 volte al giorno.

2. The diver: esercizio in carico monopodalico creando una flessione di tronco e generando
carico in un muscolo che si allunga. L’obiettivo è il controllo della stabilità del tronco e
della pelvi e rinforzo muscolare. Posizione di partenza: monopodalica sulla gamba affetta,
con ginocchio flesso a 10°/20°. Ginocchio controlaterale flesso a 90°. Mani unite.
Esecuzione: si richiede un tuffo simulato (flessione di anca dell’arto in appoggio e
allungamento in avanti delle braccia), portando l’anca controlaterale in massima
estensione e mantenendo il ginocchio a 90°. Fermarsi prima dell’insorgenza di dolore.
Progressione: aumentare ROM e velocità. Posologia: 3x6, a giorni alterni (es: lun-merc-
ven).

3. The glider: allungamento maggiore dell’arto inferiore che ricorda il gesto della corsa.
L’obiettivo è il rinforzo muscolare. Posizione di partenza: stazione eretta; gamba affetta
avanti con ginocchio flesso a 10°/20°. Arto superiore controlaterale ancorato ad un
supporto. Esecuzione: far scivolare all’indietro la gamba sana, mantenendo il peso del
corpo sul tallone della gamba anteriore (senza provocare dolore). Tornare in posizione
iniziale usando entrambe le braccia. Progressione: aumentare la distanza di scivolamento
e la velocità. Posologia: 3 X 6, ogni terzo giorno (es: lun-gio-dom).

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LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE - Curotti 20-02-2022

Return to sport

Ad oggi, non esistono test specifici per il RTS ma è utile combinare criteri clinici, funzionali e
psicologici, mentre la MRI non è utile. A livello clinico bisogna avere assenza di dolore e deficit
minimi di forza e ROM, simmetria nel salto e Askling H-test (vedi successivamente). A livello
funzionale si possono andare ad analizzare le variabili della corsa e vedere come risponde ai
carichi. Infine, fondamentale che il paziente non abbia apprensione durante i test e gli
allenamenti.

Askling H Test: l'atleta è sdraiato supino con la gamba controlaterale e la parte superiore del
corpo fissata con una cintura. Una ginocchiera assicura la completa estensione del ginocchio
testato (0°). Nessun esercizio di riscaldamento. Test di flessibilità passiva in cui il clinico solleva
lentamente la gamba da testare verso la massima flessione dell'anca. Allungamento deciso, ma
tollerabile, degli hamstring. Il test di flessibilità attiva consiste in 1 prova pratica (sforzo
submassimale) e 3 prove consecutive: l'atleta esegue un sollevamento della gamba dritta il più
velocemente possibile fino al punto più alto senza correre alcun rischio. All'atleta viene chiesto
di valutare l'esperienza di insicurezza e dolore su una scala VAS da 0 a 100. Se riferisce dolore
e/o insicurezza, la riabilitazione viene prolungata.

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LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE - Curotti 20-02-2022

DOMANDE

Q: l’ematoma che si può formare a distanza di giorni in seguito alla lesione totale, dove si trova?

A: si può trovare a distanza, spesso più in basso. Con lesione del polpaccio si può trovare edema
anche fino alla caviglia

Q: per quale motivo l’ematoma si può formare subito o a distanza di giorni?

A: Magari il sanguinamento è prolungato e l’ematoma si crea nel tempo. Dipende anche in quali
fibre ed in quali fasci avviene.

Q: quando si può iniziare con gli esercizi aerobici?

A: è bene avere cura del dolore nella fase infiammatoria del sintomo, nei primi 2-3 giorni. Quindi
se la lesione è grave magari meglio rimandare e poi proseguire dopo qualche giorno.

Q: nel momento in cui si hanno test funzionali e psicologici negativi ma rimane dolore a livello
palpatorio come ci si comporta?

A: è meglio ritardare perché dolore alla palpazione è un indice che non è risolto il problema è c’è
rischio alto di re infortunio.

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TRATTAMENTO DEI TESSUTI MOLLI

Valutazione dei trigger point

Il trattamento dei tessuti molli viene inteso come il trattamento dei trigger point (TrPs) e dei
tessuti non traumatizzati dell’arto inferiore. Per quanto riguarda l’identificazione dei trigger point
a livello diagnostico, ci sono informazione disparate in letteratura con evidenze disomogenee in
base ai distretti esaminati. In generale sappiamo che sono presenti dei criteri per l’esame
palpatorio nell’arto inferiore: diversi clinici esperti hanno valutato se i criteri riportati in tabella
potevano essere considerati essenziali o positivi per la conferma in diagnosi del trigger point.
Quelli essenziali, che devono aver ricevuto almeno il 70% del consenso da clinici esperti, sono:

▪ Identificazione di una taut band, o bandelletta rigida


▪ Presenza di uno spot ipersensibile alla palpazione
▪ Presenza di dolore riferito

L’affidabilità della palpazione presenta pochi studi a riguardo. Per il medio gluteo c’è il jump
sign, ovvero il paziente che “salta” in seguito al dolore provocato dalla palpazione (k=0,71) e la
dolorabilità localizzata (k=0,58). Entrami i segni non erano però stati ritenuti essenziali dai
clinici.

Per quanto riguarda l’affidabilità inter-operatore nell’individuazione dei TrPs, sembra esserci
un’affidabilità migliore negli esaminatori con tanta esperienza (10 anni di trattamento dei TrPs e
circa 30 anni di esperienza clinica nel
settore muscoloscheletrico), anche
se l’affidabilità generica presenta un
valore k=0,45 quindi poco affidabile
nella capacità di riprodurre i test
diagnostici.

Nell’arto inferiore i TrPs sono


prevalenti in soggetti con PFP
(dolore femoro-rotuleo) , a livello di
medio gluteo e quadrato dei lombi,
mentre in un secondo studio si
sottolinea come siano presenti anche
a livello del quadricipite (come si
vede nella figura a lato, dove sono stati presentati anche i criteri diagnostici per la localizzazione
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LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE - Curotti 20-02-2022

del TrP. Si vede come in questo studio un criterio è la “local twich response” è una piccola
localizzazione nel muscolo di fascicolaizoni visibili).

Sono stati inoltre effettuati nuovi studi nel 2021 ma non sono stati ancora analizzati dai docenti
e quindi non sono stati inseriti nella lezione.

Trattamento dei trigger point

il trattamento di queste condizioni può essere manuale con tecniche di compressione


ischemica e tecniche di release miofasciale.

▪ Ci sono delle evidenze per quanto riguarda l’utilizzo di compressione ischemica in pazienti
con PFP nel trattamento dei TrPs del medio gluteo rispetto all’utilizzo di tecniche sham,
con miglioramento della forza in abduzione. Si sottolinea anche un’efficacia maggiore
della compressione ischemica rispetto alle manipolazioni lombari nel trattamento del
vasto mediale nell’aumento della funzione e riduzione del dolore.
▪ In pazienti con PFP il release miofasciale associato a stretching non sembra essere
migliore del semplice esercizio nel diminuire il dolore ed aumentare la funzione a livello
die muscoli retto femorale e TFL.

Gli studi considerati sono però poco affidabili in quanto presentano criteri di inclusione aspecifici
con alta eterogeneità, con diversa localizzazione dei TrPs, diversi trattamenti di controllo e
diverse misure di outcome, ma sono gli unici dati presenti in letteratura sull’argomento fino a
questo momento.

Di seguito sono riportate le tecniche di compressione utilizzate negli studi appena citati.

Un alto modo per trattare i TrPs è l’instrumental-assisted soft tissue mobilization


(IASTM): è un’ipotesi di trattamento che si basa su rompere le aderenze fibrotiche,
normalizzare i tessuti, aumentare il flusso sanguigno ed aumentare la migrazione di fibroblasti
verso la lesione. Non ci sono evidenze a riguardo. La letteratura conta pochi studi, effettuati con

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LA FISIOPATOLOGIA MUSCOLARE - Curotti 20-02-2022

metodologia di scarsa qualità ed eterogeneità nei gruppi di intervento. Il maggior numero di


studi è concentrato maggiormente sul quadrante superiore.

Sono stati raggruppati alcuni studi differenti, in cui si è visto che la IASTM andava a modificare
alcuni outcome quale ROM, dolore, forza e lunghezza. A livello dell’arto inferiore è presente un
solo studio che coinvolge il tendine patellare e non è riportato alcun miglioramento significativo
al termine di questo trattamento. Si è visto anche che alcuni studi riportano un miglioramento
nella riduzione della sensibilità dei TrPs a livello del rachide alto e basso, e che il trattamento va
a migliorare il ROM in soggetti in assenza di sintomi. Infine, si vede come questa tecnica migliora
il ROM in atleti sani.

Concludendo, l’efficacia della IASTM non è significativa, e non ci sono differenze tra gruppo di
intervento e controllo ma solo differenze significative tra pre e post trattamento in generale.

Un ulteriore approfondimento delle tecniche di trattamento dei Trigger Points è il Dry Needling.
Questa metodica, associata a stretching passivo delle strutture muscolari e all’esercizio
terapeutico, ha evidenze (di bassa validità metodologica!!) nella riduzione del dolore nel
miglioramento della funzionalità rispetto ai singoli interventi proposti singolarmente e a tecniche
sham.

Take home messages (con una bassa qualità delle evidenze)

▪ i TrPs sono presenti in pazienti con PFP


▪ La Compressione Ischemica sembra essere efficace nel ridurre il dolore e migliorare la
funzione in pazienti con PFP.
▪ L’utilizzo della IASTM sembra essere efficace nel migliorare l’estensibilità dei muscoli
trattati in individui senza sintomi.
▪ La IASTM non sembra essere efficace nel ridurre il dolore prodotto da disturbi
muscoloscheletrici agli Arti Inferiori

DOMANDE:

Q: qual è la fisiopatologia del trigger point e come si sviluppa precisamente?

A: si faranno lezioni più specifici quando si tratteranno gli altri distretti. Ci sono ancora dei pareri
contrastanti, è un’entità più clinica che scientifica con dolore irradiato anche a distanza. Anche il
trattamento è empirico per ora senza sostegno della letteratura. Alcuni studi italiani interessanti
correlano la correlazione del TrP ad una disfunzione della placca neuromotoria visibile all’EMG.

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