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Combustione e impianto di trattamento degli effluenti – a.a.

2022/2023 Gianmarco Paponetti

1. Brevi accenni ai concetti fondamentali dell’ingegneria chimica e del processo

1.1 Proprietà generale di elementi, sostanze e composti


L’ atomo
Un’ atomo, comprende un certo numero di:
• protoni 1,602 ∙ 10!"# 𝐶
• elettroni −1,602 ∙ 10!"# 𝐶
• neutroni
ed hanno un diametro tra i 100 𝑝𝑚 e i 600 𝑝𝑚.
L’ identità chimica di un atomo è determinata dal:
• Numero atomico 𝑍 ed indica anche il numero di elettroni
dell’atomo neutro.
• Numero di massa 𝐴 = 𝑍 + 𝑁 è la somma di neutroni Z e
protoni N presenti nel nucleo.
• Il numero di neutroni determina l’isotopo.

Se il numero di elettroni non coincide con il numero di protoni avrò un eccesso di carica, si parla di ione
(catione se complessivamente positivo, anione se complessivamente negativo). Un atomo possiede massa
nel 2-3% di volume che occupa, la massa di un atomo viene quantificata in UMA (Unità di Massa Atomica)
equivalente a 1/12 della massa del 12C.

La moderna tavola periodica


In natura esistono 92 elementi, un numero tanto elevato da rendere necessario organizzarli nella tavola
periodica in base al numero atomico Z crescente e in un ordine che permette di riconoscere le proprietà dei
diversi atomi, che sono dette periodiche, perché si ripetono con regolarità a seconda della posizione
occupata

Se analizziamo, infatti, la tavola periodica, individuiamo:


• 7 file orizzontali, chiamate periodi
• 18 colonne verticali, chiamate gruppi
• 2 file separate per lantanoidi e attinoidi
Gli elementi di un gruppo presentano un comportamento chimico simile, che risulta diverso, invece, tra gli
elementi dello stesso periodo. I non metalli sono disposti in alto a destra della tavola periodica, i semimetalli
(o metalloidi) lungo la linea spezzata di colore giallo, che va dal boro al tellurio, e i metalli riempiono il resto
della tavola.

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Tutti gli elementi, fatta eccezione per i gas nobili, partecipano alla formazione di composti, ma alcuni lo
fanno solo raramente. I gruppi che rivestono un’importanza particolare sono i seguenti:
• gruppo 1 (I): dei metalli alcalini (escluso l’idrogeno H)
• gruppo 2 (II): dei metalli alcalino-terrosi
• gruppo 16 (VI): degli elementi calcogeni
• gruppo 17 (VII): degli alogeni
• gruppo 18 (VIII): dei gas rari o gas

I metalli di transizione sono posti nella parte centrale della tavola periodica:
• da Z = 21 (Sc) a Z = 30 (Zn) 1 serie
• da Z = 39 (Y) a Z = 48 (Cd) 2a serie
• da Z = 57 (La) a Z = 80 (Hg) 3a serie

Nella parte bassa della tavola osserviamo, invece, gli elementi di transizione interna
• da Z = 58 (Ce) a Z = 71 (Lu) lantanoidi
• da Z = 90 (Th) a Z = 103 (Lr) attinidi

L’importanza della tavola periodica è legata, soprattutto, alla possibilità di raggruppare i diversi elementi
chimici secondo proprietà fisiche e chimiche, che rivelano un andamento periodico.
Le proprietà fisiche sono:
• i raggi atomici e i raggi ionici
• l’energia di ionizzazione
• l’affinità elettronica
• l’elettronegatività
• il carattere metallico
• la temperatura di fusione
• la temperatura di ebollizione
• il numero di ossidazione

Le proprietà chimiche sono:


• la reattività
• la stabilità di composti
• il tipo di legame

Gli orbitali
Se osserviamo con attenzione la tavola possiamo riconoscere altri raggruppamenti, che nella tavola
periodica sono evidenziati con colori diversi, relativi a diverse serie di 2, 6, 10 e 14 elementi in cui si vanno
riempiendo, rispettivamente, gli orbitali s, p, d e f.
I blocchi s e p sono detti degli elementi tipici o rappresentativi e sono divisi in 8 gruppi.
I blocchi d e f contengono rispettivamente gli elementi di transizione e di transizione interna.

Blocco s Al blocco s (in azzurro nella tavola) appartengono gli elementi dei gruppi I e II, che presentano
gli elettroni esterni nel sottolivello s: quelli del primo gruppo hanno una configurazione elettronica esterna
𝒏𝒔𝟏 e quelli del secondo gruppo 𝒏𝒔𝟐 .

Blocco p Gli elementi del blocco p (in violetto nella tavola) appartengono ai gruppi dal III all’VIII e
presentano gli elettroni più esterni in un orbitale di tipo p.
I metalli dei gruppi 13, 14 e 15 sono elementi duttili e malleabili, ma diversi dagli elementi di transizione, a
differenza dei quali, infatti, non mostrano stati di ossidazione variabili e i loro elettroni di legame sono
presenti solo nello strato più esterno. Tutti questi elementi sono solidi, hanno una densità relativamente alta
e sono opachi.
I semimetalli sono gli elementi posizionati al limite tra i metalli e i non metalli, e presentano proprietà sia dei
metalli che dei non metalli. Alcuni semimetalli, come il silicio e il germanio, sono semiconduttori. I non metalli
sono gli elementi dei gruppi 14, 15 e 16 della tavola periodica: non sono buoni conduttori né di calore né di
elettricità e, al contrario dei metalli, sono molto fragili.

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I non metalli sono gas, come l’ossigeno o l’azoto, o solidi, come il carbonio, non hanno lucentezza metallica
e non riflettono la luce (l’unico elemento non metallico allo stato liquido è il bromo, che appartiene al gruppo
degli alogeni, VII o gruppo 17).
Il gruppo VII (17, nella nuova numerazione) è quello degli alogeni, cinque elementi non metallici:
• fluoro (F), cloro (Cl), bromo (Br), iodio (I) e astato (At)
Tutti gli alogeni hanno 7 elettroni nello strato più esterno, per cui hanno un numero di ossidazione di −1
(alcuni di essi formano composti con numero di ossidazione +1, +3, +5 o +7).
Il gruppo VIII è costituito dai gas nobili, elementi chimici che presentando l’orbitale p saturo di elettroni, si
mostrano quasi del tutto non reattivi e non partecipano, se non in casi limite, alla formazione di composti.

Blocco d (I metalli di transizione)


Il blocco d comprende le serie di dieci gruppi da 3 a 12, definiti elementi di transizione:
gli elementi appartenenti al quarto periodo hanno gli ultimi elettroni nel sottolivello 3d, quelli del quinto
periodo nel sottolivello 4d, quelli del sesto nel 5d e quelli del settimo nel 6d. I “metalli di transizione” sono 38
elementi che, come tutti i metalli, si presentano duttili, malleabili, buoni conduttori dell’elettricità e del calore. I
loro elettroni di valenza sono presenti in più di uno strato elettronico: per questo motivo presentano spesso
più stati di ossidazione.

Blocco f (Gli elementi di transizione interna: le terre rare)


Le terre rare sono gli elementi appartenenti alle serie dei lantanoidi e degli attinoidi, due serie di 14 elementi
che si dispongono nel 6° e 7° periodo, tra il 3° e il 4° gruppo della tavola periodica. Gli elementi del blocco f
sono detti comunemente elementi di transizione interna o terre rare, perché si pensava che fossero poco
diffusi in natura. Sulla tavola periodica sono solitamente disposti separatamente dagli altri elementi, per dare
maggior organicità alla tavola periodica stessa. Avremo quindi la serie dei lantanidi o lantanoidi (6° periodo)
e degli attinidi o attinoidi (7° periodo). Un elemento della serie dei lantanidi (prometio) e la maggior parte
degli elementi della serie degli attinoidi sono sintetici, vale a dire ottenuti artificialmente.

Legame chimico

Nonostante l’enorme numero di combinazioni possibili fra gli


atomi, non tutte sono realizzabili. Un composto si forma solo
se la sua energia potenziale è minore dei singoli atomi che lo
costituiscono. Soltanto se due atomi liberano energia durante
il processo di formazione del composto si forma il legame
chimico.

L’energia di legame (kJ/mol) è la quantità di energia che è


necessario fornire a una mole di sostanza per rompere il
legame fra i suoi atomi. (Tanto maggiore è l’energia di legame,
tanto più stabile è il composto, tanto più è forte il legame che si è instaurato tra gli atomi).

Legame covalente: si forma quando due atomi mettono in comune una


coppia di elettroni. Se i due atomi sono identici il legame è covalente puro.

Regola dell’ottetto: un atomo raggiunge il massimo della stabilità


acquistando, cedendo o condividendo elettroni con un altro atomo in modo da
raggiungere l’ottetto nella sua configurazione elettronica esterna, simile a
quella del gas nobile nella posizione più vicina nella tavola periodica.

Gli elettroni sono messi in compartecipazione per raggiungere l’ottetto e appartengono in contemporanea a
entrambi gli atomi che li condividono.

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La lunghezza di legame è la distanza che intercorre tra i nuclei di due atomi uniti da un legame covalente;
aumenta all’aumentare delle dimensioni atomiche e al diminuire della forza di legame.

Legame covalente polare: Atomi di natura diversa possono mettere in compartecipazione i loro
elettroni di valenza, ma esercitano sugli elettroni di legame una diversa forza attrattiva (elettronegatività̀) e si
forma così un legame covalente polare. Gli elettroni non si trovano più al centro fra i due atomi, ma sono
spostati più verso l’atomo a maggiore elettronegatività su cui si forma una parziale carica negativa (𝛿 ! ).
L’altro atomo acquisisce una parziale carica positiva (𝛿 & ). La molecola prende il nome di dipolo.

Legame metallico: Gli atomi metallici possono mettere in comune gli elettroni di valenza, che vengono
condivisi tra più nuclei. Il legame metallico è dovuto all’attrazione fra gli ioni metallici positivi e gli elettroni
mobili che li circondano. Tanto più forte è il legame metallico, tanto più sono numerosi gli elettroni mobili. La
mobilità degli elettroni più esterni conferisce le caratteristiche metalliche di lucentezza
conducibilità termica ed elettrica, malleabilità e duttilità.

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Legame atomico e tavola periodica: Osservando la tavola periodica si può affermare che, metalli formano tra loro
legami metallici, i non metalli formano tra loro legami covalenti puri, se gli atomi di non metallo sono uguali il legame è
covalente puro; se sono diversi il legame è covalente polare. I metalli e i non metalli formano fra loro legami ionici. Il
carattere ionico del legame cresce all’aumentare della differenza di elettronegatività fra gli atomi del composto.

Ciò che definisce la geometria di una molecola è l’angolo di legame, ovvero l’angolo formato dagli assi congiungenti i
nuclei degli atomi che si legano.

1.2 Correnti Gassose e Liquide


Per corrente materiale, nell'ambito dello studio dei fenomeni di trasporto, si intende una massa solida o fluida che
attraversa un determinato percorso (ad esempio all'interno di un’ apparecchiatura o di un impianto industriale). A
seconda dello stato di aggregazione del materiale che costituisce la corrente, si parla in particolare di:
• correnti solide
• correnti liquide
• correnti gassose

Impiego ingegneristico
A seconda della loro funzione, le correnti materiali possono essere suddivise in:
• corrente di processo: se trasportano il prodotto finito o materiali che saranno trasformarti nel prodotto finito;
• corrente di servizio: se trasportano materiali che partecipano indirettamente alla produzione del prodotto finito.
Ad esempio, in un impianto di produzione dell'ammoniaca, le correnti che trasportano i reagenti (azoto e idrogeno) e
i prodotti sono correnti di processo, mentre le correnti che trasportano fluidi impiegati per lo scambio termico (ad
esempio acqua di raffreddamento, vapore o fluidi refrigeranti) sono correnti di servizio.
Un altro esempio è dato dagli scambiatori di calore, dove si ha il contatto termico tra due correnti: una corrente
trasporta il fluido di processo e l'altra corrente trasporta il fluido di servizio.

Pompe
Le macchine idrauliche operatrici (pompe) sono dei macchinari azionati da
motrici che comunicano energia a un liquido per sollevarlo, per convogliarlo
sotto pressione a una certa distanza o per imprimergli una certa velocità. Esse
trasformano l’energia meccanica di cui dispongono in energia idraulica
potenziale di posizione, potenziale di pressione e cinetica.
Le pompe sono classificate in:
• pompe alternative: caratterizzate dal moto alternato dei loro organi mobili;
• pompe centrifughe: basate sul principio di conferire energia al liquido
sfruttando la forza centrifuga generata dall’organo mobile soggetto a un
veloce moto di rotazione;
• pompe rotative: nelle quali l’organo mobile è soggetto a moto di rotazione,
ma l’energia acquisita dal fluido non è prodotta dalla forza centrifuga.
Le caratteristiche fondamentali di una pompa riguardano la quantità di liquido
che essa è in grado di elaborare in un certo tempo e l’energia che essa può
comunicare al liquido stesso. Si definisce:
• portata di una pompa (in 𝑚! ⁄𝑠) il volume di fluido che attraversa la
macchina nell’unità di tempo;
• prevalenza di una pompa (in metri di colonna liquida) l’energia che essa può conferire all’unità di peso del liquido
elaborato.

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Il fenomeno della cavitazione

La cavitazione è un fenomeno che riguarda in generale gli impianti e le macchine idrauliche e si verifica quando la
pressione nel circuito scende fino a raggiungere la tensione di vapore del liquido.

Il fenomeno della cavitazione consiste in una rapida vaporizzazione, localizzata in una zona della corrente a bassa
pressione assoluta, seguita da una rapida ricondensazione; si manifesta con la formazione di piccole bolle di vapore, il
cui collasso istantaneo genera microgetti ad altissima pressione, che possono provocare danni anche gravi alla
tubazione o alla girante della macchina idraulica. Per una tubazione i tratti soggetti al rischio di cavitazione sono quelli in
cui la linea piezometrica scende al di sotto dell’asse della tubazione stessa, con formazione di una depressione
(𝑝 < 𝑝"#$ ) più o meno accentuata. Per una macchina idraulica (in particolare pompe centrifughe o assiali e turbine)
sono a rischio i punti esterni della girante dove maggiore è la velocità e più bassa è la pressione.

La tensione di vapore di un liquido o di una miscela liquida è la pressione parziale del vapore quando si stabilisce
l’equilibrio fra liquido e vapore.

Raggiunta tale pressione, il liquido e il vapore si dicono saturi: tante sono le molecole che passano dalla fase liquida a
quella di vapore quante sono quelle che compiono il processo inverso.

La tensione di vapore dipende dalla temperatura e cresce con essa; per esempio, per l’acqua è di 4,6 mmHg (0,61 kPa) a 0
°C e di 760 mmHg (≈ 100 kPa) a 100 °C.

Quando la tensione di vapore uguaglia la pressione atmosferica si passa dall’evaporazione all’ebollizione.

NPSH

La tendenza di una pompa alla cavitazione è espressa con la definizione del Net Positive Suction Head (NPSH), in
genere espresso in metri. Il termine NPSH, R (NPSH Required) è una caratteristica della pompa ed esprime il carico
energetico del fluido richiesto per l’attraversamento della porzione della pompa compresa tra la flangia di aspirazione e
la prima girante (perdite di carico, energia cinetica, eventuale dislivello). L’andamento del parametro NPSH, R è qui
rappresentato in figura insieme alle curve caratteristiche della pompa:

Esso viene ricavato con una procedura sperimentale, che consiste nel determinare ogni punto abbassando
progressivamente il livello nel serbatoio di aspirazione fino a individuare la situazione per cui insorgono i sintomi della
cavitazione: caduta del rendimento, rumore di cavitazione e portata irregolare. A fronte del valore di NPSH, R
richiesto dalla pompa è definito il parametro NPSH, A (Net Positive Suction Head, Available), espresso in metri, legato
all’impianto. Esso esprime il carico energetico del fluido disponibile al livello della flangia di aspirazione, decurtato della
quantità 𝑝%"# ⁄𝜌 ∙ 𝑔 chiamata altezza piezometrica.

Per assicurare il funzionamento in assenza di cavitazione deve essere rispettata la condizione:

NPSH, A > NPSH, R

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1.3 Concentrazione
Le soluzioni sono miscugli omogenei e possono essere solide, liquide o gassose. Il solvente è il componente della
soluzione che si trova in proporzione maggiore, mentre il soluto è presente in quantità minore. Per esprimere la
concentrazione di una soluzione si può usare la concentrazione percentuale:
• in massa 𝑚%&'(#& (𝑔)
% 𝑚⁄𝑚 = ∙ 100
𝑚%&'()*&+, (𝑔)

• in massa su volume 𝑚%&'(#& (𝑔)


% 𝑚⁄𝑉 = ∙ 100
𝑉%&'()*&+, (𝑚𝐿)

• in volume 𝑉%&'(#& (𝑚𝐿)


% 𝑉⁄𝑉 = ∙ 100
𝑉%&'()*&+, (𝑚𝐿)

Per esprimere la concentrazione di una soluzione si può usare la concentrazione in parti per milione (ppm), che
indica il numero di parti di soluto presenti in un milione di parti di soluzione.

• in massa 𝑚%&'(#& (𝑔)


𝑝𝑝𝑚 = ∙ 10-
𝑚%&'()*&+, (𝑔)

• in volume 𝑉%&'(#& (𝑚𝐿)


𝑝𝑝𝑚 = ∙ 10-
𝑉%&'()*&+, (𝑚𝐿)

1.4 Molarità
Per esprimere la concentrazione di una soluzione si può usare la molarità (M), che indica le moli di soluto presenti in un
litro di soluzione.

+!"#$%"($&'*)
𝑀𝑜𝑙𝑎𝑟𝑖𝑡à = 𝑀 = 0!"#$&'"()(1)

Spesso l’unità di misura 𝑚𝑜𝑙/𝐿 si indica con il simbolo M (si legge «molare»). La molarità dipende dalla temperatura.

1.5 pH
Il pH è un numero che misura il grado di acidità (o di basicità) di una soluzione. Il valore del pH dipende dalla
concentrazione di ioni 𝐻! 𝑂2 presenti nella soluzione. Maggiore è la concentrazione degli ioni 𝐻! 𝑂2 , più basso è il valore
del pH. Possiamo distinguere tre casi:
• La soluzione è neutra: il pH è uguale a 7,00;
• La soluzione è acida: il pH è minore di 7,00 (per esempio 0, 1, 2,6, 3,5);
• La soluzione è basica: il pH è maggiore di 7,00 (per esempio 7,5, 8, 10,7).

1.6 Reazioni chimiche


Una reazione (o equazione) chimica è una trasformazione di sostanze dette reagenti in altre sostanze dette prodotti.
Secondo la legge di Lavoisier (legge di conservazione della massa), durante una reazione il numero di atomi di ciascuna
specie rimane inalterato.

Tipi di reazioni:
In una reazione di sintesi si arriva a un unico prodotto finale partendo da due o più reagenti più semplici:

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In una reazione di decomposizione un solo reagente si decompone in due o più prodotti:

Nelle reazioni di scambio semplice, un elemento libero sposta un altro elemento da un composto, liberandolo:

Nelle reazioni di doppio scambio due composti diversi si scambiano fra loro due elementi. Tali reazioni sono
caratterizzate dalla formazione di gas, solidi poco solubili e altri composti molecolari:

Energia libera di Gibbs e spontaneità di una trasformazione chimica

Non tutte le trasformazioni chimiche avvengono spontaneamente: per prevedere il grado di spontaneità di un processo
dobbiamo tener conto sia dell’entalpia H che dell’entropia S. La funzione energia libera di Gibbs, G, tiene conto di
entrambi i fattori, che compaiono nella relazione:

𝐺 = 𝐻 − 𝑇𝑆

dove T è la temperatura assoluta a cui si verifica il processo. La variazione di energia libera ΔG è rappresentata dalla
seguente equazione:

∆𝐺 = 𝐺34&5&##* − 𝐺4,"6,+#* = ∆𝐻 − 𝑇∆𝑆

J.W. Gibbs riuscì a dimostrare che una reazione è spontanea se è in grado di produrre lavoro utile. In pratica, una
reazione è consentita dal punto di vista termodinamico (ossia è spontanea) se, a temperatura e pressione costante, può
produrre lavoro utile. H. Von Helmholtz affermò inoltre che: ”il verso secondo cui si svolge una reazione e la sua intensità
sono determinati dalle variazioni non dell’energia termica totale (ossia dell’entalpia) ma solo di quella parte di energia
che può trasformarsi in lavoro o in altre forme di energia diverse dal calore”. L’energia totale di un sistema può essere
distinta in due parti:

• l’energia libera (che produce lavoro)


• l’energia vincolata (che non produce lavoro: è calore latente)

Energia totale = energia libera + energia vincolata

L’energia vincolata è data dal prodotto dell’entropia S per la temperatura assoluta T. L’energia totale è l’entalpia H. Se
G è l’energia libera, possiamo affermare che:

𝐻 = 𝐺 + 𝑇𝑆 da cui 𝐺 = 𝐻 − 𝑇𝑆

In realtà, per valutare la spontaneità di una reazione, occorre calcolare la variazione (Δ, delta) delle grandezze
coinvolte, in particolare la variazione dell’energia libera:

∆𝐺 = ∆𝐻 − 𝑇∆𝑆

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Una reazione chimica può procedere spontaneamente se l’energia libera dei prodotti è inferiore all’energia libera dei
reagenti:
𝛥𝐺 𝑟𝑒𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 𝐺34&5&##* − 𝐺4,"6,+#* < 0

A seconda del valore assunto da ΔG, si possono presentare queste tre situazioni:
• 𝜟𝑮 < 𝟎 (l’energia libera si riduce nella reazione): la reazione è spontanea (esoergonica)
• 𝜟𝑮 > 𝟎 (l’energia libera aumenta nella reazione): la reazione non è spontanea (endoergonica)
• 𝜟𝑮 = 𝟎 (l’energia libera non varia durante la reazione): la reazione è all’equilibrio

La cinetica chimica è regolata dalla velocità di reazione ed è la variazione della concentrazione dei
reagenti 𝛥[𝑅], o dei prodotti [𝛥𝑃], nell’intervallo di tempo 𝛥𝑡.

Sperimentalmente si è potuto stabilire che la velocità della maggior parte delle reazioni chimiche dipende
dalla concentrazione dei reagenti. L’equazione cinetica è una relazione matematica che lega la velocità 𝑣 di
una data reazione alla concentrazione molare dei reagenti.
Data la reazione
𝑎𝐴 + 𝑏𝐵 → 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑖

La velocità della reazione si calcola con la relazione 𝑣 = 𝑘 ∙ [𝐴]' ∙ [𝐵]( con 𝑘 costante specifica di velocità
(dipende dalla temperatura). Gli esponenti n ed m sono numeri interi, sperimentali e non corrispondono ai
coefficienti stechiometrici dei reagenti.

L’ordine della reazione è determinato dalla somma degli esponenti delle concentrazioni dei reagenti che
compaiono nell’equazione cinetica. In generale, le reazioni di ordine superiore al secondo sono rare, mentre
esistono reazioni di ordine zero in cui la velocità è indipendente dalla concentrazione del reagente e
l’equazione cinetica è:
𝑣=𝑘

Nelle reazioni di primo ordine la velocità è direttamente proporzionale alla concentrazione del reagente.
Nelle reazioni di secondo ordine la velocità è direttamente proporzionale al quadrato della concentrazione
del reagente, cosicché́ decresce nel tempo meno rapidamente:

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1.7 Bilanciamento delle reazioni


Un’equazione chimica bilanciata rispetta la legge di conservazione della massa. La stechiometria si
occupa delle relazioni quantitative tra reagenti e prodotti. I relativi calcoli sono chiamati calcoli
stechiometrici. I coefficienti stechiometrici indicano sia il numero di molecole (o formule unitarie)
coinvolte, sia il numero di moli.
La legge fondamentale della stechiometria afferma che, in qualsiasi reazione chimica bilanciata, sono
uguali tutti i rapporti fra le moli e il coefficiente di ciascuna sostanza, sia dei reagenti sia dei prodotti:

𝑥 𝐻) 𝑃𝑂* + 𝑦 𝐶𝑎(𝑂𝐻+ ) → 𝑎 𝐶𝑎) (𝑃𝑂* )+ + 𝑏 𝐻+ 𝑂

Si definisce reagente limitante quello disponibile in quantità inferiore rispetto alla quantità imposta dalla
reazione stechiometrica. Quello presente in quantità maggiore è chiamato reagente in eccesso. Il reagente
limitante determina la resa massima della reazione, cioè la quantità di prodotto che si forma:

Elemento Reagenti Prodotti Soluzione:


𝐻 3𝑥 + 2𝑦 b 𝑥 = 2, 𝑦 = 3, 𝑎 = 1, 𝑏 = 6
𝑃 𝑥 2a
𝑂 4𝑥 + 2𝑦 8a+b
𝐶𝑎 𝑦 3a

1.8 Processo ed operazioni unitarie


Lo scambiatore di calore è un’apparecchiatura che favorisce lo scambio termico tra due fluidi senza
contatto e mescolamento, attraverso pareti metalliche resistenti alle alte temperature e alla corrosione.
La soluzione in controcorrente è più conveniente perché, a parità delle temperature del fluido caldo e del
fluido freddo in entrata, la temperatura del fluido freddo in uscita risulta più elevata e la ∆𝑇 tra i due fluidi è
poco variabile lungo il percorso.

La potenza termica scambiata attraverso la superficie di area 𝑑𝐴 può essere espressa dall’equazione del
flusso termico in forma differenziale:
𝑑𝑞 = 𝑈, ∙ ∆𝑇 ∙ 𝑑𝐴

∆𝑇 = 𝑇- − 𝑇. è la differenza di temperatura locale tra il fluido caldo e il fluido freddo e 𝑈, è il coefficiente di


scambio termico che include l’incrostazione.

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Reattore chimico
Per reattore si intende il contenitore nel quale viene fatta avvenire una
reazione o una serie di reazioni chimiche.
Di norma i reattori possono essere suddivisi in due categorie: Motor Feed

1 reattori discontinui (batch o semi batch)


Cooling jacket
2 reattori continui, i quali possono a loro volta essere classificati in due
gruppi principali: reattori a perfetta miscelazione (Continous Stirred Tank
Baffle
Reactor, CSTR) e reattori con flusso a pistone (Plug Flow Reactor, PFR).
Agitator
Nella progettazione di queste apparecchiature si fa ricorso ai bilanci di
materia e di energia (quest’ultimo utilizzato prevalentemente quando il
sistema non è isotermo), nonché alle equazioni relative alla cinetica della
reazione che avviene all’interno del reattore. In questo tipo di reattore, i
reagenti in ingresso vengono perfettamente miscelati e il prodotto di
reazione viene prelevato con continuità. Si tratta di un reattore il cui Mixed product
contenuto ha la stessa composizione in ogni punto e la corrente uscente ha
la stessa composizione del fluido all’interno del reattore (condizione di
idealità).

top vapor fraction


Colonna di distillazione to condenser

reflux
La colonna di distillazione a piatti è un dispositivo utilizzato per lo

downcomer
svolgimento di trasformazioni fisiche in cui è necessario mettere in
contatto una fase liquida con una gassosa.

rectification
downcomer
trays
La distillazione frazionata è la tecnica di distillazione più largamente
sfruttata perché permette di separare i componenti in maniera Valvola di
pressoché completa. La distillazione frazionata è condotta Flash
generalmente in maniera continua in colonne a piatti.
feed tray
feed
Su ciascun piatto ha luogo un contatto tra il vapore che sale dal piatto
inferiore e il liquido presente sul piatto stesso. Il liquido percorre
trasversalmente il piatto e quindi discende superando lo stramazzo di un
troppo pieno, attraverso un condotto nel piatto inferiore.

stripping
trays

Il vapore che sale in controcorrente è fatto gorgogliare nel liquido. Il


contatto tra liquido e solido che si realizza su ciascun piatto permette lo
scambio tra i componenti più volatili che si accumulano nella fase
vapore e i meno volatili si accumulano nella fase liquida. Tale processo from reboiler
può essere esemplificato anche assumendo che su ogni piatto abbia
luogo una condensazione adiabatica del vapore che proviene dal piatto
inferiore e una parziale evaporazione del liquido in esso presente che to reboiler
proviene dal piatto superiore.
Nel processo descritto tenderanno a evaporare i componenti più volatili
e a condensare quelli meno volatili. Il gorgogliamento del vapore
attraverso lo strato di liquido presente nel piatto può aver luogo in
conseguenza di un flusso del vapore attraverso una serie di fori esistenti
sulla superficie del piatto. Ovviamente per impedire che il liquido
discenda dai fori è necessario che la velocità del vapore sia superiore a
un certo valore limite. La dispersione del vapore nel liquido di un piatto
può essere realizzata anche mediante opportuni dispositivi quali le
campanelle o le valvole il cui diaframma mobile viene sollevato dal
flusso gassoso e la sua posizione dipende dalla velocità di flusso dello
stesso vapore: a flusso nullo è completamente abbassato mentre a
flusso elevato risulta completamente alzato.
Esempio In classe
Scopo della distillazione è quello di separare da una miscela di due o più componenti tra loro in due
correnti distinte sfruttando la differenza di temperatura di ebollizione. Ad esempio:
L’ Acqua e l’ Alcool alla pressione di 1 atm hanno temperature di ebollizione rispettivamente di:
• 𝑇/12.
!0
= 100°𝐶
12.
• 𝑇45-. = 70°𝐶

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Porto la miscela di acqua e alcool ad una temperatura di 70 °C, l’alcool inizia a bollire ottenendo un fluido
aeriforme molto ricco di etanolo assicurandomi che nell’aeriforme formatosi ci sia etanolo e non metanolo
(molto velenoso). L’etanolo evapora raggiungendo la “testa” della colonna e viene raccolto (condensato),
freddato nuovamente al di sotto dei suoi 70 °C, ritorna alla fase liquida ed esce a gocce dall’alto
dell’apparecchiatura. In questo modo sparisce come vapore e rimane solo acqua che a 70 °C subisce una
parziale evaporazione, questo perché la pressione parziale è non nulla e quindi è in grado di portare parte
dell’acqua in fase vapore laddove l’atmosfera non sia satura di umidità.
Parte dell’etanolo rimane in acqua e nel fondo rimane acqua pura ma in realtà è una miscela di acqua pura
ed etanolo.

Velocità del vapore


La velocità del vapore in una colonna di distillazione a piatti viene mitigata dalla valvola di flash (valvola
manuale a posizione fissa che vaporizza parte dell’alimentazione liquida e trasforma rapidamente la fase in
fase vapore), costituisce un fattore di notevole importanza per caratterizzare il funzionamento della colonna
stessa. Valori elevati di tale velocità, infatti, contribuiscono ad agevolare i processi di trasporto di materia
che hanno luogo sui piatti. D’altra parte, valori elevati di velocità di vapore comportano un trascinamento da
parte dello stesso di goccioline di liquido.

Pertanto, la velocità che si deve attribuire ai vapori deve essere la più elevata possibile compatibilmente
con un modesto trascinamento del liquido da un piatto a quello ad esso superiore. Tale velocità può essere
valutata da una relazione del tipo seguente:
𝐾! $𝜌" − 𝜌!
𝑢=
𝜌!

Essendo 𝜌5 e 𝜌6 le densità del liquido e del vapore e 𝐾6 una costante dipendente dall'altezza del liquido sul
piatto e dalla distanza tra i piatti. Dal valore di 𝑢 si può calcolare la sezione della colonna, e quindi il suo
diametro, dal rapporto tra la portata volumetrica del vapore e la sua velocità lineare. Il vapore, che esce
dalla sommità della colonna, è condensato attraverso uno scambiatore di calore percorso internamente da
acqua. Parte del liquido condensato costituisce il prodotto di testa e una parte, detta riflusso, è rinviata
nella colonna. Il riflusso garantisce la discesa di un flusso di liquido in controcorrente al vapore che sale
lungo la colonna. Così è così garantito lo scambio di materia. Il liquido che scende dalla base della
colonna viene parzialmente vaporizzato in una caldaia percorsa da un fluido ad alta temperatura mentre
una parte viene prelevata quale prodotto di coda.

L'alimentazione è effettuata su un opportuno piatto; la parte di colonna al di sopra del piatto di


alimentazione è chiamata sezione di rettifica mentre quella al di sotto, sezione di esaurimento.

Colonna di assorbimento
L’operazione di Assorbimento (in colonne a riempimento)
consiste nel trasferimento di uno o più componenti da una
fase gassosa ad una fase liquida.
Il liquido utilizzato viene detto liquido assorbente.
L'operazione di trasferimento da un liquido ad un gas prende
il nome di strippaggio. Tali operazioni, anche se
preferenzialmente ci riferiamo a quella di assorbimento,
possono avere le seguenti finalità:

• Recupero di componenti più o meno pregiati ad esempio,


recupero di vapori di benzina presenti in una corrente di
azoto mediante l'utilizzo di un olio quale liquido
assorbente

• Purificazione da componenti indesiderati o che non


possono essere espulsi nell’atmosfera, ad esempio
abbattimento di acido solforico presente nelle correnti
gassose da inviare al camino in centrali termoelettriche

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Colonna di Adsorbimento

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2. Sorgenti inquinanti gassosi e loro effetti

1. Sorgenti

Sistemi di conversione dell’energia di prevalente interesse per le problematiche di impatto ambientale:

• Impianti di generazione elettrica, alimentati da combustibili fossili o da fonti energetiche rinnovabili


• Motori alternativi a combustione interna per autotrazione
• Impianti termici civili e industriali

La principale causa dell’impatto ambientale dei sistemi energetici deriva essenzialmente dall’utilizzo di
combustibili fossili in processi di combustione, pur di differente tecnologia. Anche gli impianti di
conversione dell’energia che utilizzano fonti energetiche rinnovabili (impianti idroelettrici, eolici, a biomassa,
solari, ecc.) determinano un impatto ambientale, talora tutt’altro che trascurabile, pur caratterizzato da
implicazioni ed effetti diversi. Di seguito viene riportata la mappa:

Emissioni solide

Emissioni di
Emissioni liquide
materia
INTERAZIONE FRA I SISTEMI DI CONVERSIONE

Emissioni gassose
DELL'ENERGIA E L'AMBIENTE

Calore Altro

Emissioni di
Radiazioni
energia

Rumore

Occupazione suolo

Altre interazioni Impa9o visivo

Altro

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1. Emissioni Gassose

Le emissioni gassose rappresentano la principale fonte di interazione ambientale prodotta dai sistemi di
conversione dell’energia basati sull’impiego dei processi di combustione:

• Ossidi di Zolfo SO7


• Ossidi di Azoto NO7
• Monossido di Carbonio CO
• Particolato
• Composti Organici Volatili (𝑉𝑂𝐶)
• Anidride Carbonica CO+
• Altri (HCl, HF, NH) , Hg, Cr)

Di seguito vengono riportate delle tabelle che riepilogano le emissioni su territorio nazionale:

Emissioni nazionali di ossidi di azoto Emissioni nazionali di ossidi di zolfo


per se0ore dal 1990 al 2016 per se0ore dal 1990 al 2016

Emissioni nazionali di CO per se0ore Emissioni nazionali di PM10 per


di provenienza se0ore di provenienza

Gli inquinanti gassosi prodotti dagli impianti di produzione dell’energia e dagli impianti di
combustione, in genere derivano:
• In parte dalla composizione chimica del combustibile utilizzato (tenore di zolfo, cloro, fluoro, ecc.)
• In parte dalla modalità di svolgimento del processo di combustione (eccesso d’aria, temperatura di
fiamma, ecc.)
Questo impatto può essere mitigato con :
• Utilizzo di combustibili puliti
• Pretrattamento del combustibile
• Riduzione della produzione di inquinante durante la combustione
• Post-trattamento dei prodotti della combustione
• Diluizione degli impianti di scarico

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Concentrazione di inquinante
Le concentrazioni di inquinante (gassoso, liquido o solido) in un mezzo fluido (gassoso o liquido) possono
essere espresse con riferimento alla massa o al volume dell’inquinante e del mezzo inquinato:

abccb deff' hijkhibile


𝑐= [𝑔⁄𝑚) , 𝑚𝑔⁄𝑚) , 𝜇𝑔⁄𝑚) , 𝑚𝑔⁄𝑙 , 𝜇𝑔⁄𝑙 ]
mnfoae def aeppn

Nel caso di inquinamento di specie gassose in un mezzo pure esso gassoso, la concentrazione di
inquinante può essere espressa:

• come rapporto tra la massa dell’inquinante e la massa del mezzo


𝑚9 𝑚9 𝐶
𝐶8 = = =
𝑚( 𝜌( 𝑉( 𝜌(
Se la concentrazione C è espressa in mg⁄m) e la densità in kg⁄m) la concentrazione sarà espressa
"
in [ppm: ] = ; [mg⁄m) ]
"
se la concentrazione C è espressa in µg⁄m) e la densità in kg⁄m) , la concentrazione sarà espressa
"
in [𝑝𝑝𝑏( ] = < [𝜇𝑔⁄𝑚) ]
#

• come rapporto tra il volume di inquinante e quello del mezzo inquinato

𝑉9 𝑚9 𝑅9 𝑇 ℜ𝑇
𝐶= = = = 𝐶
𝑉( 𝑉( 𝑝 𝑀9 𝑝

se la concentrazione C è espressa in mg⁄m) e la densità in kg⁄m) , la concentrazione sarà espressa in


[𝑝𝑝𝑚6 ]
se la concentrazione C è espressa in µg⁄m) e la densità in kg⁄m) , la concentrazione sarà espressa in
[𝑝𝑝𝑏6 ]

È utile osservare che la concentrazione espressa in ppm> o in ppm: è indipendente da pressione e


temperatura. Viceversa, la concentrazione espressa per esempio in mg⁄m) dipende da P e T.
Il confronto fra i valori della concentrazione degli inquinanti in atmosfera con i corrispondenti valori limite
previsti dalla normativa italiana vigente viene effettuato considerando opportuni valori delle concentrazioni
mediati su prefissati intervalli temporali (1 ora, 1 giorno) e con riferimento ad un prefissato periodo di
osservazione (1 mese, 1 anno). Il numero di misure da effettuare deve essere scelto in maniera tale che la
campagna di misure sia significativa, anche mediante una opportuna distribuzione delle misure all’interno del
periodo di osservazione.

Classificazione
Le fonti dell’inquinamento atmosferico possono essere classificate in base

1. Al tipo di attività che può essere di origine:


• naturale (ad esempio fenomeni di origine vulcanica, fenomeni di combustione spontanea, trasporto
operato dal vento di sabbia, pollini, e prodotti di erosione)
• antropica (ad esempio attività industriali e civili)

2. Al tipo di processo emissioni derivanti da:


• Attività industriali e civili
• Emissioni derivanti: dalla combustione di fonti energetiche per la produzione di energia elettrica o
termica (riscaldamento), da rilasci di specifiche lavorazioni industriali, dal traffico veicolare.
• Attività rurali: L’inquinamento derivante dall’attività rurale è in particolare riconducibile all’emissione
di prodotti chimici, pesticidi scarsamente biodegradabili, che possono inquinare zone estremamente
lontane dal luogo di utilizzazione (ex: particolarmente noto il caso del DDT che per l’ampia
utilizzazione, nel passato recente, è ormai considerato un composto ubiquitario)
3. Attività domestiche ci si può riferire come esempio ai clorofluorocarburi utilizzati come propellente nelle
bombolette spray (che ha conseguenze sia all’interno che all’esterno delle abitazioni). Inoltre, è stato
accertato che la concentrazione di NO+ in prossimità delle cucine a gas può raggiungere picchi superiori
a 1000 µg⁄m) (valore limite orario per la protezione della salute umana previsto dagli standard di qualità
dell’aria è pari a 200 µg⁄m) )

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4. Processi se si considerano i processi, quelli di gran lunga più importanti sono quelli di combustione.
Rilevanti sono anche quelli presenti nelle raffinerie, con emissioni di idrocarburi nonché quelli
caratteristici di attività minerarie, con emissioni di particolato solido.

Classificazione dell’inquinamento atmosferico

Inquinamento su scala
globale

Inquinamento su scala locale


Inquinamento
atmosferico
Sostanze contaminan3
Inquinan3 primari
Sostanze inquinan3
Inquinan3
secondari

Sostanze contaminanti
Sostanze che, introdotte nell’ambiente da fonti naturali o antropiche, ne determinano una variazione della
composizione media (si noti che una deviazione della composizione naturale non presenta necessariamente
effetti negativi).

Sostanze inquinanti
Sostanze che, introdotte nell’ambiente da fonti naturali o antropiche, determinano un’influenza negativa
sull’uomo, sulla fauna, sulla flora e sui materiali.
Questi ultimi, si classificano in:

inquinanti primari
provengono direttamente dalle sorgenti che li producono:
• Biossido di zolfo e triossido di zolfo (𝑆𝑂? ): dalla combustione del carbone e dei derivati del petrolio,
dagli impianti di riscaldamento e dal traffico veicolare
• Monossido di carbonio (CO): dalla combustione incompleta dei prodotti contenenti carbonio (es.
carburanti, benzine, carbone, legna)
• Ossidi di azoto (N𝑂? ): da impianti di riscaldamento e motori dei veicoli, ma anche per ossidazione
dell’azoto atmosferico.
• Particolato atmosferico primario: particelle microscopiche aerodisperse, liquide o solide, disperse in
atmosfera
• Metalli pesanti: presenti in atmosfera sotto forma di particolato aerotrasportato nella frazione PM10
• COV: composti organici ad alta volatilità, cioè che evaporano con facilità
• Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)
• Policlorobifenili (PCB)
• Policlorodibenzo-p-diossine (PCDD o diossine) e policlorodibenzofurani (PCDF o furani)

Inquinanti secondari
Gli inquinanti secondari si formano per trasformazione chimico-fisica di alcuni inquinanti primari.

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Effetti
Gli inquinanti immessi nell’atmosfera possono esplicare i loro effetti su diverse scale spaziali e temporali, in
funzione delle loro caratteristiche fisico-chimiche e delle condizioni atmosferiche:

Scala locale o urbana • Riguardante i


fenomeni che hanno
Microscala un’azione limitata a
•Qualità dell’aria (CO, NOx, SOx, VOC, PM10 poche decine di metri
(abitazioni, uffici, ecc.)
= big five)
•Smog riducente (“Londra”): Formazione di • che interessa aree
aerosol a causa della nebbia Scala locale o metropolitane e/o industriali
urbana con un raggio di 10-50 km
•Smog fotochimico (“Los Angeles”):
Formazione di ozono • caraCerisDca di
fenomeni che
Mesoscala e scala sino/ca Mesoscala o
interessano aree da
alcune decine ad
scala regionale alcune cenDnaia di
•Acidificazione (NOx, SOx) km

•utrofizzazione (NOx, NH3) • che descrive le


dinamiche
•ComposQ tossici volaQli e persistenQ Scala sino0ca
caraCerisDche di scale
che vanno dalle
(Metalli, DDT, PCB, diossine) cenDnaia alle migliaia
di km
Scala globale:
•CambiamenQ climaQci (CO2, CH4, N2O) Scala globale
• comprendente scale
oltre i 5000 km
•Ozono stratosferico (CFC, Halon)

Particolato solido
Le polveri totali sospese (PTS) contengono
particelle di varie dimensioni, che vengono
campionate con filtri di determinate
dimensioni, misurate quantitativamente e
identificate in base al loro massimo diametro
aerodinamico equivalente (𝒅𝒂𝒆 ):

"G
𝐾D 𝜌C + "G
+
𝑑B1 = 𝑑C × } ~ = 𝑑C × •𝜌C €
𝐾D$%&' 𝜌B1EF

Poiché le particelle hanno densità e forma


molto variabili, questo parametro permette di
ricondurle a particelle sferiche di densità
unitaria (1 𝑔⁄𝑐𝑚) ) e identico
comportamento aerodinamico a parità di
condizioni atmosferiche. In questo modo le
particelle sono classificate con la sigla PM
(acronimo di Particulate Matter) seguita dal
loro diametro aerodinamico massimo.

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Classificazione del particolato grossolano:


Le particelle hanno dimensioni superiori ai
10 µ𝑚 e non sono in grado di superare la
laringe e penetrare nel tratto respiratorio, se
non in minima parte.

• 𝑷𝑴𝟏𝟎 - è caratterizzato da particelle di


diametro inferiore a 10 µ𝑚, generate
mediante processi meccanici da particelle
più grandi; è una polvere inalabile, ovvero
in grado di penetrare nel tratto respiratorio
superiore (naso e laringe); le particelle fra 5
e 2,5 µ𝑚 si depositano prima di giungere ai
bronchioli.
• 𝑷𝑴𝟐,𝟓 - è il cosiddetto particolato fine, con
diametro inferiore a 2,5 µ𝑚 formato
dall’aggregazione di particelle più piccole; è
una polvere toracica, cioè in grado di
penetrare profondamente nei polmoni,
soprattutto respirando con la bocca.
• 𝑷𝑴𝟏 - particolato con diametro inferiore a
1 µ𝑚.
• 𝑷𝑴𝟎,𝟏 - con diametro inferiore a 0,1 µ𝑚, è
detto particolato ultrafine (UFP o UP); è
una polvere respirabile, cioè in grado di
penetrare profondamente nei polmoni fino agli alveoli, formata principalmente da residui della
combustione.
• Nanopolveri - particolato con diametro dell’ordine di grandezza dei nanometri (le particelle inferiori a un
nanometro sarebbero 𝑃𝑀K,KK" ).

Particelle ancora più piccole non sono rilevabili con tecniche gravimetriche (basate sul peso delle polveri),
ma servono altri apparecchi più sofisticati che sfruttano per esempio la luce laser.

Per la loro capacità di penetrazione, il particolato fine e quello ultrafine (dal 𝑃𝑀+,L in giù) sono
considerati maggiormente responsabili di varie patologie acute e croniche dell’apparato
respiratorio tra cui asma, bronchiti, enfisema, allergie e tumori. Non è del tutto chiaro il meccanismo
d’azione del particolato, anche se è noto che quello ultrafine può penetrare negli alveoli e rilasciare le
sostanze tossiche che trasporta (idrocarburi policiclici aromatici e ossidi di zolfo e azoto). L’interazione
biologica e i rischi aumentano ulteriormente nel caso delle nano polveri, che riescono a penetrare e a
rilasciare i loro inquinanti perfino nelle cellule, anche se gli studi epidemiologici sono ancora agli inizi.

Idrocarburi Policiclici Aromatici


Negli ambienti chiusi il fumo di sigaretta e la combustione
del legno e del carbone sono le cause principali delle
elevate concentrazioni di IPA.

I gas e il particolato emessi dagli scarichi degli


autoveicoli a motore diesel contengono oltre agli IPA
alcuni composti da essi derivati, che presentano anche il
gruppo nitro - 𝑁𝑂+ come sostituente.
Si tratta di composti ancora più tossici e cancerogeni degli
IPA corrispondenti. Questi composti si formano nei motori
a seguito della reazione degli IPA con i radicali - 𝑁𝑂+ e
𝑁+ 𝑂* . È stato dimostrato che gli IPA si possono combinare
anche con l’acido nitrico 𝐻𝑁𝑂) dello smog fotochimico. Il
meccanismo di precipitazione al suolo delle particelle
dipende dalle loro dimensioni: possono cadere per semplice gravitazione o trascinate dalle precipitazioni
atmosferiche. Gli IPA sono immessi nell’ambiente anche a seguito delle fuoruscite di petrolio dalle

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petroliere, dalle raffinerie e dai punti di trivellazione in mare aperto. Anche alcuni cibi possono essere
fonte di IPA. Si formano IPA, per esempio, durante la cottura a temperature molto elevate di cibi grigliati o
affumicati. Il fumo di sigaretta, infine, è una fonte importante di IPA

Monossido di Carbonio
È gassoso a temperature maggiori di −192 °𝐶 e rappresenta una scarsa reattività con le altre sostanze
costituenti l’atmosfera. Si può formare a causa di ossidazione incompleta del carbonio nei processi di
combustione dovuto ad aria in quantità inferiore a quella stechiometrica. La fonte primaria di emissione è
data dagli scarichi dei veicoli a benzina, ad eruzione dei vulcani ed altre emissioni naturali dei gas.

Il monossido di carbonio (CO) è un gas pericolosissimo, perché si lega alla molecola di emoglobina
sostituendosi all’ossigeno. Una volta che la molecola di CO si aggancia all’atomo di ferro del gruppo «eme»
non è più in grado di separarsi dalla molecola di emoglobina.

Ossidi di Azoto
Tra gli ossidi di azoto quelli che destano maggiore preoccupazione per quanto riguarda l’inquinamento
atmosferico sono costituiti dal monossido 𝑁𝑂 e dal biossido 𝑁𝑂+ .

L’ 𝑁𝑂 è un composto inodore e incolore, mentre l’𝑁𝑂+ è circa quattro volte più tossico del monossido, ha un
colore bruno-rossastro ed un odore soffocante e pungente.

Gli ossidi di azoto si originano per reazione dell’azoto con l’ossigeno:


• combustione di combustibili contenenti composti azotati (𝑁𝑂? da conversione)
• reazione tra l’azoto e l’ossigeno contenuti nell’aria nel corso di combustioni che si svolgono a
temperature superiori ai 1100 °C (𝑁𝑂? termici)

Sono dannosi per la salute perché oltre ad essere irritanti polmonari sono facilmente assorbiti dal sangue
provocando una sensazione di soffocamento che può raggiungere le soglie di pericolo

Gli ossidi di azoto, oltre a essere tossici e a provocare disturbi all’apparato respiratorio formano:

Smog fotochimico
originato da un’anomala produzione di ozono negli strati bassi della troposfera:

𝑁𝑂+ + ℎ𝑣 → 𝑁𝑂 + 𝑂

Relazione di Planck-Einstein 𝐸 = ℎ 𝑣 energia di un fotone di luce


ℎ = 6,63 10!)* 𝐽 ∙ 𝑠 Costante di Plank
𝜈 frequenza della radiazione elettromagnetica

5M-1 OF5BE1
𝐶𝑂𝑉 + 𝑁𝑂 + 𝑂+ ‹⎯⎯⎯⎯⎯⎯• 𝑚𝑖𝑠𝑐𝑒𝑙𝑎 𝑑𝑖 𝑂) , 𝐻𝑁𝑂) 𝑒 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑜𝑠𝑡𝑖 𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐𝑖

Gli ossidi di azoto assorbono radiazioni UV dello spettro solare in quantità significativa, questa reazione
origina e sostiene la complessa catena di reazioni dello smog fotochimico producendo ossigeno atomico
altamente reattivo.

Motori a scoppio
Nei motori a scoppio la combustione ideale di un carburante dovrebbe produrre 𝐶𝑂+ , 𝐻+ 𝑂 ed energia
termica. In realtà, la combustione è incompleta per cui nei gas di scarico si trovano anche monossido di
carbonio 𝐶𝑂 e idrocarburi combusti parzialmente. L’alta temperatura e pressione nei cilindri provocano
anche la combustione dell’azoto dell’aria 𝑁+ formando ossido di azoto 𝑁𝑂.

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Per ridurre il più possibile la quantità di queste


sostanze presenti nei gas di scarico viene
utilizzata la marmitta catalitica, un piccolo
reattore chimico incorporato nel sistema di
scarico delle automobili a benzina.
Quest’ultima, detta «a tre vie» perché in grado
di agire su tutti e tre i tipi di inquinanti
sopraelencati.

I gas di scarico entrano in una prima sezione


della marmitta (detta camera riducente), in cui
agisce da catalizzatore l’elemento metallico
rodio (𝑹𝒉):
PQ
2𝑁𝑂 ‹• 𝑁+ + 𝑂+ (risultato complessivo)

Nella seconda sezione (detta camera ossidante) la presenza di altri catalizzatori metallici (platino e palladio)
rende più veloce la reazione di ossidazione dell’ossido di carbonio e degli idrocarburi incombusti; le reazioni
possono essere rappresentate dalle equazioni:

RS 1 Convertitore a tre vie


𝑖𝑑𝑟𝑜𝑐𝑎𝑟𝑏𝑢𝑟𝑖 𝑖𝑛𝑐𝑜𝑚𝑏𝑢𝑠𝑡𝑖 + 𝐶𝑂 + 𝑂+ ‹• 𝐶𝑂+
+ 𝐻+ 𝑂 + 𝐸𝑛𝑒𝑟𝑔𝑖𝑎(𝑐𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒)

L’equazione generale di combustione se si utilizzano gli idrocarburi come combustibili è:

𝑚 𝑚
𝐶' 𝐻( + ’𝑛 + “ 𝑂 (𝑔) ⟶ 𝑛𝐶𝑂+ (𝑔) + 𝐻+ 𝑂(𝑔)
4 + 2

Una sonda (chiamata sonda lambda), posta all’entrata della marmitta catalitica, analizza continuamente i
gas prodotti dalla combustione per misurare la concentrazione dell’ossigeno e un elaboratore elettronico
manda un segnale al dispositivo che regola il rapporto aria/combustibile in modo da garantire le migliori
condizioni di combustione con il giusto apporto di ossigeno.

Emissioni delle centrali termoelettriche


• combustione per fasi successive (prima alta temperatura e bassa concentrazione di ossigeno, poi più
ossigeno ma temperatura inferiore) per produrre meno 𝑁𝑂
• sistemi catalitici a riduzione selettiva (SCR), che convertono gli 𝑁𝑂? in 𝑁+ prima di essere rilasciati in
atmosfera grazie all’impiego di ammoniaca:

4 𝑁𝐻) + 4 𝑁𝑂 + 𝑂+ ⟶ 4 𝑁+ + 6 𝐻+ 𝑂

Ossidi di Zolfo
Sono dannosi per la salute perché irritano l’apparato respiratorio, con conseguente restringimento delle vie
respiratorie, spasmi bronchiali ed in casi estremi bronchiti croniche ed enfisema. L’ 𝑆𝑂+ viene emessa in
atmosfera dalle centrali elettriche che utilizzano come combustibile il carbone. Le strategie che vengono
messe in atto sono la ripulitura precombustione, postcombustione o durante la combustione.

Un problema legato all’emissione di 𝑆𝑂? di origine antropica sono le piogge acide, che contengono acido
solforico 𝐻+ 𝑆𝑂* e acido nitrico 𝐻𝑁𝑂) .
Un altro problema è la dispersione nell’aria di ossidi di zolfo che provengono dalla combustione di
combustibili fossili che insieme formano lo smog di zolfo.

Composti Organici Volatili (VOC)


Sono inquinanti allo stato gassoso e indicano l’insieme di composti che hanno una tensione di vapore
almeno pari a 0.01 𝑘𝑃𝑎 a 20 °𝐶. I VOC hanno origine da combustioni incomplete, difetti di tenuta dei
serbatoi di stoccaggio durante i rifornimenti di carburante degli autoveicoli.

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Effetti su scala globale


L’immissione in atmosfera di crescenti quantitativi di ossidi di zolfo e di azoto di origine antropica, in aggiunta
alle emissioni naturali, ha determinato l’acidificazione delle precipitazioni atmosferiche (acidi solforico e
nitrico).

Piogge acide (𝑝𝐻 3 − 4)


possono ricadere anche a migliaia di chilometri di distanza dal luogo di immissione degli inquinanti, in
relazione all’andamento prevalente delle correnti d’aria. Conseguenze sono danni alle foreste,
solubilizzazione dell’alluminio, asportazione di calcio, acidificazione delle acque interne.

Diminuzione dello strato di ozono stratosferico


Negli strati alti dell’atmosfera (stratosfera 30–40 km)
si riscontra una concentrazione di ozono pari a circa
7–8 ppm (al suolo 50 ppb).
La stratosfera è raggiunta dai raggi ultravioletti (UV)
che interagiscono con l’ossigeno gassoso a formare
ozono:
T=
3𝑂+ ‹• 2 𝑂)

La presenza di questo strato di ozono stratosferico è benefica per la vita sulla terra in quanto è in grado di
assorbire i pericolosi raggi ultravioletti. La reazione produce calore, perciò l’aria si scalda provocando
l’inversione termica tipica di questo strato. A sua volta l’ozono, in presenza di raggi UV, reagisce
trasformandosi in ossigeno biatomico:
T=
2 𝑂) ‹• 3 𝑂+

A partire dalla fine degli anni ’70 sono state riscontrate notevoli diminuzioni della concentrazione di ozono
stratosferico (anche del 40–50%). Causa di questo fenomeno è l’immissione in atmosfera di sostanze a base
di cloro, fluoro e bromo (ex: CloroFluoroCarburi)

Aumento dell’effetto serra


L’effetto serra permette di mantenere a livello della superficie terrestre una temperatura media prossima ai
15 °C, si stima che in assenza dell’effetto serra essa sarebbe di circa -20°C.
È di per sé un fenomeno naturale e positivo solo quando in atmosfera aumenta la concentrazione dei gas-
serra (in particolare 𝐶𝑂+ e 𝐶𝐻* e 𝐻+ 𝑂) si ha un aumento della temperatura media della superficie terrestre.

Le impurezze dell’aria (naturali o antropiche) vengono trasportate dai venti. La presenza di queste
sostanze inquinanti determina un assorbimento nell’atmosfera della radiazione emessa dalla terra, con
un corrispondente aumento della temperatura.

Una delle più preoccupanti forme di


inquinamento atmosferico che interessa
la Terra è l’aumento della percentuale di
anidride carbonica (in formula 𝐶𝑂+ )
contenuta nell’aria. Questa è il principale
gas serra di origine antropica e risulta
responsabile di oltre la metà dell’aumento
dell’effetto serra sulla terra. La quantità
annua di 𝐶𝑂+ attualmente introdotta in
atmosfera è stimata pari a circa 6 - 8
miliardi di tonnellate di carbonio
equivalenti e deriva per circa il 60 - 70%
dai processi di combustione.
La concentrazione atmosferica della 𝐶𝑂+
è passata da circa 280 𝑝𝑝𝑚 dell’era
preindustriale a circa 370 𝑝𝑝𝑚 attuali.

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Per confrontare diversi gas, è stato messo a punto un indice chiamato Global Warming Potential (GWP).
Ponendo uguale a 1 il GWP di 𝐶𝑂+ , si ottengono i valori relativi agli altri gas. Moltiplicando le quantità di ogni
gas serra per il corrispondente GWP, si ottiene una misura in 𝐶𝑂+ 𝑒 (ovvero 𝐶𝑂+ equivalente), che indica la
quantità di 𝐶𝑂+ che avrebbe lo stesso effetto riscaldante del gas preso in esame.

Normativa
Limiti a tutela della qualità dell’aria
I primi provvedimenti di definizione dei limiti di qualità dell’aria (air quality standards) e di regolamentazione
delle emissioni inquinanti in atmosfera (emission standards) si ebbero negli Stati Uniti a partire dai primi
anni ’60.
Le norme sulla qualità dell’aria vengono stabilite in relazione al livello di pericolosità dello specifico
inquinante nei confronti della salute umana.
La pericolosità per l’organismo umano delle diverse sostanze inquinanti presenti in atmosfera è correlata alla
relativa esposizione, definita come sommatoria dei prodotti delle concentrazioni di inquinante per i rispettivi
tempi di permanenza negli ambienti contaminati
Il livello di esposizione origina un determinato assorbimento di inquinante da parte dell’organismo, detto
dose interna. Una volta assorbito, l’inquinante si distribuisce tra i diversi tessuti dove, superata la dose
bersaglio, iniziano a verificarsi le prime alterazioni biologiche.
Gli studi volti ad individuare le correlazioni tra la concentrazione in atmosfera degli inquinanti e l’entità degli
effetti prodotti sull’organismo umano consentono di determinare le concentrazioni di inquinanti non
pericolose per l’uomo, e quindi di stabilire i limiti di qualità dell’aria
Per le sostanze individuate come non cancerogene, la correlazione tra esposizione e danno sulla salute
evidenzia la presenza di una soglia minima di tossicità, al di sotto della quale non si hanno effetti osservabili
I limiti della qualità dell’aria vengono stabiliti dividendo il valore di soglia per un opportuno coefficiente di
sicurezza, tanto maggiore quanto maggiore è l’incertezza attribuita alla correlazione
Le sostanze cancerogene non evidenziano un valore di soglia minima
I limiti della qualità dell’aria vengono stabiliti assumendo un fattore di rischio accettabile per la popolazione
(tipicamente dell’ordine di 1/100.000 o 1/1.000.000, peraltro inferiore all’attuale rischio di morte per incidente
stradale)

Fattore di emissione
Il fattore di emissione F rappresenta la quantità di inquinante mediamente emessa da una specifica
attività produttiva, con riferimento all’unità di materia prima lavorata o all’unità di prodotto ottenuto. I fattori
di emissione sono valutati a partire da un elevato numero di misure effettuate su campioni rappresentativi
della tipologia produttiva di interesse.
La valutazione della quantità di sostanza inquinante E emessa in un prefissato periodo di tempo e data dalla

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𝐸 = 𝑃𝐹𝐶

• F specifico fattore di emissione


• P quantità̀ di prodotto o materia prima utilizzata
• C fattore di correzione per tener conto della presenza di eventuali sistemi di rimozione degli inquinanti

L’utilizzo dei fattori di emissione consente di effettuare anche una valutazione delle emissioni inquinanti
relative ad un intero settore produttivo, ad una regione e ad un’intera nazione.

Il confronto fra i valori della concentrazione degli inquinanti in atmosfera con i corrispondenti valori
limite previsti dalla normativa italiana vigente viene effettuato considerando opportuni valori delle
concentrazioni mediati su prefissati intervalli temporali (1 ora, 1 giorno) e con riferimento ad un prefissato
periodo di osservazione (1 mese, 1 anno). Il numero di misure da effettuare deve essere scelto in maniera
tale che la campagna di misure sia significativa, anche mediante una opportuna distribuzione delle misure
all’interno del periodo di osservazione.

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All’interno di ciascun intervallo temporale stabilito dalla normativa, la concentrazione di inquinante si


ritiene costante e può essere calcolata:

1. Come media aritmetica delle singole misure 𝐶? se il tempo di campionamento 𝑡? è uguale per tutte le
misure:
𝐶" +. . . +𝐶'
𝐶(,9 =
𝑛

2. Come media pesata se i tempi di campionamento sono diversi:

𝐶" 𝑡" +. . . +𝐶' 𝑡'


𝐶(,9 =
𝑡" +. . . +𝑡'

Le misure eseguite consentono di ottenere un insieme di N valori di concentrazione 𝐶(,9 . Per ciascun valore
si può calcolare la relativa frequenza di osservazione, rappresentata dal numero di misure che hanno
evidenziato lo stesso valore di concentrazione rispetto al totale delle misure. All’interno del periodo di
osservazione, il confronto con i limiti normativi deve essere effettuato con riferimento a parametri medi che,
possono essere rappresentati dalla media, dalla mediana e dal valore del k-esimo percentile dell’insieme
degli N valori di concentrazione.

Il valore medio 𝐶8 è semplicemente rappresentato dalla media aritmetica degli N valori di concentrazione
rilevati:
∑% $ 𝐶",$
𝐶! =
𝑁
La mediana delle concentrazioni rilevate è il valore centrale della successione ordinata in modo crescente
delle N concentrazioni 𝐶(,9 .
Il k-esimo percentile è il valore della concentrazione del termine che occupa il k(N/100) posto nella
sequenza ordinata delle N concentrazioni

Le specie chimiche inquinanti presenti nei prodotti di combustione, o anche già riversate nell’ambiente,
possono subire ulteriori trasformazioni chimico-fisiche. Si può quindi determinare una variazione della
massa di inquinante (reazione con altre specie chimiche) o una variazione della sua concentrazione
(diluizione con altre sostanze).

La legge di conservazione della materia per specie inquinanti che attraversano un prefissato volume di
controllo si esprime mediante l’equazione di bilancio di materia.
Condizioni stazionarie con inquinante conservativo:

𝑚̇#$%&'$%# = 𝑚̇()*#$%#

Indicando con Q la portata volumetrica di mezzo inquinato e con C la concentrazione di inquinante


(espresso in termini di massa inquinante/volume del mezzo), QC rappresenta la portata massica di
inquinante che attraversa il volume di controllo:

˜ 𝑄𝐶1'UEB'U1 = ˜ 𝑄𝐶MO-1'U1

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Condizioni stazionarie con inquinante non conservativo (1)


𝑚̇#$%&'$%# = 𝑚̇()*#$%# + 𝑚̇+#*'+,-#$%.

Il decadimento delle specie chimiche inquinanti è di norma rappresentato mediante una reazione del 1°
ordine
𝑑𝐶
𝑟=− = 𝐾𝐶
𝑑𝑡

Integrando l’equazione cinetica a partire dall’istante iniziale cui compete la concentrazione 𝐶K si ottiene:

D U
𝑑𝐶 𝐶
š = −𝐾 š 𝑑𝑡 → 𝑙𝑛 › œ = −𝐾𝑡 → 𝐶 = 𝐶K 𝑒 !VU
D( 𝐶 K 𝐶K

Condizioni stazionarie con inquinante non conservativo (2)


Se l’inquinante si considera uniformemente distribuito all’interno del volume di controllo V, la massa di
inquinante ivi presente sarà pari al prodotto CV. Il flusso di inquinante soggetto a decadimento è:

𝑑𝑚 𝑑(𝐶𝑉) 𝑑𝐶
= =𝑉 = −𝐾𝐶𝑉
𝑑𝑡 𝑑𝑡 𝑑𝑡

˜ 𝑄𝐶1'UEB'U1 = ˜ 𝑄𝐶MO-1'U1 + 𝐾𝐶𝑉

DPR 203/88
Costituisce inquinamento atmosferico ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria
atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità e caratteristiche tali da:
• alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria
• costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo
• compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente
• alterare le risorse biologiche, gli ecosistemi ed i beni pubblici e privati

Metodi di misura e controllo


Analizzatore CO
Norma tecnica di riferimento: UNI EN 14626 “Metodo normalizzato per la misurazione della concentrazione
di monossido di carbonio mediante spettroscopia a raggi infrarossi non dispersiva”.

Principio di misura: Assorbimento I.R.

Modalità di funzionamento: Gli analizzatori di 𝐶𝑂 operano secondo il principio dell’assorbimento Infra Rosso
in accordo alla legge di Lambert-Beer. Quando un fascio di luce (monocromatica) di
intensità 𝐼! attraversa uno strato di spessore 𝐿 di un mezzo, una parte di esso viene assorbita dal
mezzo stesso e una parte ne viene trasmessa con intensità residua 𝐼" . Il rapporto tra le intensità della
luce trasmessa e incidente sul mezzo attraversato è espresso dalla seguente relazione:

𝐼"
𝑇= = 𝑒 !V)∙5
𝐼K

Dove 𝐾X è il coefficiente di attenuazione (che è una costante tipica del mezzo attraversato e dipende
dalla lunghezza d'onda 𝜆 incidente) e 𝑙 è lo spessore di soluzione attraversata. 𝑇 è la trasmittanza
sfruttando un massimo di assorbimento del 𝐶𝑂 a 4,67 𝜇𝑚.

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Alla medesima lunghezza d’onda assorbono anche composti assai comuni come l’acqua e l’anidride
carbonica. Per eliminare tali interferenze, viene impiegato un dispositivo chiamato “Ruota di correlazione”,
costituito da una ruota divisa in due mezzelune:
• una contiene azoto
• l’altra una miscela di CO in azoto a concentrazione nota.

Nella camera di misura, facendo girare tale ruota con una certa frequenza, i raggi IR passano in maniera
alternata nelle due mezze lune arrivando poi al detector. Dalla differenza dei segnali e la successiva
elaborazione si ottiene quindi la sola misura del CO, eliminando le interferenze e consentendo inoltre una
elevata sensibilità.

Analizzatore di 𝑺𝑶𝟐
Norma tecnica di riferimento: UNI EN 14212 “Metodo normalizzato per la misurazione della concentrazione
di diossido di zolfo mediante fluorescenza ultravioletta”.

Principio di misura: fluorescenza


La fluorescenza è la proprietà di alcune sostanze di riemettere (nella maggior parte dei casi a lunghezza
d'onda maggiore e quindi a energia minore) le radiazioni elettromagnetiche ricevute, in particolare di
assorbire radiazioni nell'ultravioletto ed emetterla nel visibile. Le proprietà fluorescenti di un oggetto spesso
diventano evidenti con l'utilizzo di una lampada di Wood (lampada UV o “nera”).

Modalità di funzionamento: Nella camera di misura, attraversata dal flusso di aria campione, una lampada
UV emette, con una certa frequenza, una radiazione alla lunghezza d’onda di 214 𝑛𝑚. Le molecole di 𝑆𝑂+
assorbono energia, a questa lunghezza d’onda, passando ad uno stato eccitato e permanendo in tale stato
per delle frazioni di secondo. Successivamente, parte di queste molecole eccitate ritorna allo stato
fondamentale con emissione di radiazione alla lunghezza d’onda di circa 330 𝑛𝑚 (fluorescenza):

2Y 3014 $-
𝑆𝑂0 + ℎ𝑣1 0⎯⎯⎯⎯⎯⎯2 𝑆𝑂0∗ 𝑆𝑂0∗ → 𝑆𝑂0 + ℎ𝑣0 (𝜆0 = 330 𝑛𝑚)

La radiazione emessa viene misurata da un detector ed elaborata insieme al segnale registrato in assenza
di radiazione eccitante. Si ha così la misura della concentrazione di SO+ .

Analizzatore di 𝑵𝑶𝒙
Norma tecnica di riferimento: UNI EN 14211 “Metodo normalizzato per la misurazione della concentrazione
di diossido di azoto e monossido di azoto mediante chemiluminescenza

Principio di misura: chemiluminescenza

Modalità di funzionamento: in questo analizzatore si sfrutta la reazione di chemiluminescenza tra l’𝑁𝑂 e


l’ozono:
(1) 𝑂8 + 𝑁𝑂 → 𝑁𝑂0∗ + 𝑂0 (2) 𝑁𝑂0∗ → 𝑁𝑂0 + ℎ𝑣(𝜆 = 700 𝑛𝑚)

Nella camera di misura entrano contemporaneamente l’aria ambiente ed un flusso di ozono generato a parte
dall’analizzatore. Ozono e monossido di azoto reagiscono istantaneamente per produrre 𝑁𝑂0∗ eccitato (1),
che successivamente torna nel suo stato fondamentale (2) emettendo una radiazione elettromagnetica nella
regione dell’UV (chemiluminescenza). La chemiluminescenza è l'emissione di radiazione
elettromagnetica (in particolare nel visibile e nel vicino infrarosso) che può accompagnare una reazione
chimica. Considerando una reazione tra i reagenti A e B a dare il prodotto P:

𝐴 + 𝐵 → 𝑃∗ → 𝑃 + ℎ𝜈

La radiazione emessa per chemiluminescenza è correlata con la concentrazione di 𝑁𝑂 e viene quindi


registrata da un detector. Per poter misurare anche 𝑁𝑂+ , l’aria campione, prima di giungere in camera di
misura, viene alternativamente fatta passare attraverso un convertitore catalitico in grado di ridurre l’ 𝑁𝑂+
presente in 𝑁𝑂. In questo modo si ottiene in camera di misura la concentrazione totale degli ossidi di azoto,
𝑁𝑂? . Dalla differenza tra gli ossidi totali e il solo NO si ottiene infine la misura di 𝑁𝑂+ .

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Analizzatore di 𝑶𝟑
Norma tecnica di riferimento: UNI EN 14625 “Metodo normalizzato per la misurazione della concentrazione
di ozono mediante fotometria ultravioletta”.

Principio di misura: assorbimento UV

Modalità di funzionamento: l’analizzatore di ozono sfrutta l’assorbimento di questo gas nell’UV a 𝜆 = 254 𝑛𝑚
e poi ne calcola la concentrazione mediante la legge di Lambert-Beer.

Nella camera di misura entra in modo alternato aria ambiente tal quale ed aria ambiente preventivamente
passata attraverso un filtro selettivo per l’ozono. Una lampada UV, in grado di emettere alla lunghezza
d’onda appropriata, fa sì che parte della radiazione venga assorbita dalle molecole di ozono, causando una
diminuzione di intensità che viene registrata da un detector. Dall’alternanza delle misure con e senza ozono,
lo strumento ne determina la concentrazione in aria ambiente.

Misure di 𝑷𝑴𝟏𝟎
Norma tecnica di riferimento: UNI EN 12341 “Metodo normalizzato per la misurazione della concentrazione
di ozono mediante fotometria ultravioletta”.

Principio di misura: gravimetria, assorbimento radiazione 𝛽

Modalità di funzionamento: il metodo di riferimento per la determinazione del materiale particolato 𝑃𝑀"K si
basa sulla raccolta della “ frazione 𝑃𝑀"K ” su apposito filtro e successiva determinazione della sua massa per
via gravimetrica, in laboratorio, dopo che è avvenuto il condizionamento del filtro in condizioni controllate di
temperatura (20° 𝐶 ± 1) e di umidità (50 ± 5%). Oltre al metodo di riferimento, ci sono i metodi equivalenti
per la misura del 𝑃𝑀"K (ad esempio strumentazione automatica che sfrutta il principio dell’assorbimento della
radiazione 𝛽 da parte della polvere campionata). La determinazione del particolato fine in atmosfera (𝑃𝑀"K )
viene eseguito mediante diversi tipi di strumenti.

Campionatori di 𝑃𝑀"K : Questi strumenti sono costituiti da una pompa che aspira l’aria ambiente attraverso
una testa di prelievo, la cui geometria è stata normata a livello internazionale ed è in grado di selezionare le
polveri con diametro aerodinamico inferiore ai 10 𝜇𝑚 con una efficienza del 50%. La componente del
particolato selezionata dalla testa viene quindi fatta passare attraverso una membrana filtrante di opportuna
porosità e costituita da diversi materiali (quarzo, fibra di vetro, teflon, esteri di cellulosa, ecc.)
dipendentemente dal tipo di analisi richiesta sul filtro. La membrana viene poi pesata in laboratorio e per
differenza con la tara (filtro bianco) si ha la massa del particolato. Il campionatore contiene anche un
contatore volumetrico in grado di registrare il volume di aria aspirata, corretto in modo continuo mediante
vari sensori di temperatura e pressione interni ed esterni, per ricondurlo alle condizioni ambientali. Dalla
conoscenza quindi del volume di aria campionata e della massa del particolato si calcola la concentrazione
di 𝑃𝑀"K in 𝜇𝑔/𝑚) .

Analizzatori di 𝑃𝑀"K
Questi strumenti, analogamente ai campionatori, registrano un volume di aria passato attraverso una
membrana filtrante. Sono però anche in grado di determinare la massa del particolato, sfruttando il principio
dell’attenuazione dei raggi beta emessi da una piccola sorgente radioattiva. Questi analizzatori possono
avere un sistema di campionamento basato su filtri singoli (come i campionatori) oppure avere un nastro che
scorre ad intervalli di tempo selezionabili e regolari, sui cui “tratti” viene depositato il particolato. Unendo i
dati di volume e quelli di massa, tali strumenti forniscono direttamente il valore di concentrazione di 𝑃𝑀"K .

Misure di 𝑷𝑴𝟐.𝟓
Norma tecnica di riferimento: Il metodo di riferimento per il campionamento e la misurazione è descritto nella
norma UNI EN 14907:2005 “Qualità dell’aria ambiente. Metodo normalizzato di misurazione gravimetrico per
la determinazione della frazione massima 𝑃𝑀+.L del particolato in sospensione”.

Principio di misura: gravimetria, assorbimento radiazione 𝛽.

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Modalità di funzionamento: il metodo di riferimento per la determinazione del materiale particolato 𝑃𝑀+.L si
basa sulla raccolta della “ frazione 𝑃𝑀+.L ” su apposito filtro e successiva determinazione della sua massa per
via gravimetrica, in laboratorio, dopo che è avvenuto il condizionamento del filtro in condizioni controllate di
temperatura (20° 𝐶 ± 1) e di umidità (50 ± 5%). Oltre al metodo di riferimento, ci sono i metodi equivalenti
per la misura del 𝑃𝑀+.L (ad esempio strumentazione automatica che sfrutta il principio dell’assorbimento
della radiazione 𝛽 da parte della polvere campionata). La determinazione del particolato fine in atmosfera
(𝑃𝑀+.L ) viene eseguito mediante diversi tipi di strumenti: campionatori gravimetrici o analizzatori automatici.

Misure di Benzene
Norma tecnica di riferimento: UNI EN 14662, parti 1, 2 e 3, “Qualità dell’aria ambiente. Metodo normalizzato
per la misurazione della concentrazione di benzene”.
Principio di misura: gascromatografia
Modalità di funzionamento: il monitoraggio del benzene (𝐶[ 𝐻[ ) viene realizzato mediante strumentazione
automatica (analizzatore BTEX) che effettua il campionamento dell’aria ambiente con frequenza oraria e
successiva analisi gascromatografica o mediante campionamento dell’aria su fiale di carbone per un periodo
di 24 h, successivo desorbimento del campione raccolto mediante desorbimento chimico o termico e infine
analisi gascromatografica da realizzarsi in laboratorio.

La gascromatografia, nota anche come GC, è una tecnica cromatografica impiegata a scopo analitico. Si
tratta di una tecnica di chimica analitica piuttosto diffusa, che si basa sulla ripartizione dei componenti di una
miscela da analizzare tra una fase stazionaria e una fase mobile gassosa, in funzione della diversa affinità di
ogni sostanza della miscela con le fasi. Strumentalmente, nella forma più elementare, è basata su un piccolo
forno accuratamente termostatabile, in cui viene alloggiata la colonna cromatografica.
Essa è sommariamente formata da un avvolgimento costituito da un sottile tubo capillare in vetro, lungo
alcuni metri, sulle cui pareti interne è stato deposto un sottile strato della fase fissa (una sostanza
sufficientemente stabile per cui la miscela da analizzare mostri un certo grado di affinità). Il campione viene
introdotto con un flusso di gas inerte (𝐻𝑒, 𝐻+ , 𝑁+ ) ad una sua estremità, (dell' iniettore), e dopo un certo
tempo i componenti separati fuoriescono col flusso di gas dall'estremità opposta (del sensore), ove è posto
un opportuno rivelatore in grado di segnalarli.

Misure di Metalli
Norma tecnica di riferimento: Il metodo di riferimento per la misurazione è descritto nella norma UNI EN
14902:2005 “Qualità dell’aria ambiente. Metodo normalizzato per la misurazione di 𝑃𝑏, 𝐶𝑑, 𝐴𝑠 e 𝑁𝑖 nella
frazione 𝑃𝑀"K del particolato in sospensione”.

Principio di misura: si applicano i metodi previsti dal Rapporto Istisan 06/38 dell'Istituto Superiore di Sanità.

Modalità di funzionamento: i metalli (Arsenico, Cadmio, Nichel) sono determinati sul campione di 𝑃𝑀"K , dopo
l’avvenuta pesata del particolato, per trattamento chimico e determinazione analitica (spettrometria di
assorbimento atomico o ICP ottico)

Per il controllo dei processi con dei feedback


sono utili tutte le tecniche che dispongono di strumentazione che lavorano in situ ed in tempo reale, con
misure ottenibili in (al massimo) una decina di secondi:

𝐶𝑂, 𝑂+ , 𝑂) , 𝑁𝑂, 𝑁𝑂+ , 𝑁𝑂?

In altri casi, dove è richiesta un’analisi di laboratorio, è possibile utilizzare sistemi di controllo dei processi
inferenziali, di tipo avanzato, che utilizzano delle variabili secondarie per la stima della variabile misurata,
stima che viene confrontata periodicamente dai risultati delle analisi di laboratorio durante l’esercizio. 𝑃𝑀"K ,
𝑃𝑀+.L , Benzene e Metalli.

Misura di 𝑶𝟐

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