Sei sulla pagina 1di 28

1 aprile 2016

Lezione n° 8

La scorsa volta abbiamo visto la  e la , oggi cominciamo ad usarle. Quello che abbiamo visto è il
collegamento che c’è tra il mondo delle sollecitazioni (delle forze e delle tensioni), nel mondo della
statica, con il mondo delle deformazioni, e quindi della cinematica (spostamenti).
Quello che abbiamo visto a livello puntuale, a livello di volumetti elementari, oggi lo vediamo a
livello strutturale in scala molto più grande, a livello dell’intera struttura.

Se ho una colonna con una forza sopra, posso


tracciare il diagramma dello sforzo normale. Il
diagramma di N è costante ed è pari a F. Ci
aspettiamo che questa colonna si accorci per
effetto di questa forza. Ovviamente è un
accorciamento piccolo, perché noi consideriamo
solo piccoli spostamenti, e ciò fa si, anche se in
questo caso è poco evidente, che o faccio il calcolo

Figura 1 sulla struttura un istante prima di applicare il carico


o lo faccio un istante dopo, dove istante significa
non un fatto temporale, perché le variazioni sono così lente nel tempo che le derivate rispetto al
tempo, almeno nella statica, sono sempre nulle. Quindi la configurazione di prima è quella che si ha
prima che metto il carico e la configurazione di dopo è quella che si ha dopo che il carico ha avuto i
suoi effetti. Visto che lo spostamento è molto piccolo, posso fare finta che la configurazione resti la
stessa, almeno ai fini delle azioni, poi invece posso calcolare quanto si abbassa ed è ciò che
andiamo a fare, cioè si abbasserà di una certa quantità che chiamiamo .
La domanda è: siamo in grado di calcolare questo ? Abbiamo già visto come definizione che il
limite di  (che la scorsa volta ho chiamato ℓ, ma è sostanzialmente la stessa cosa) diviso il x che
tende a 0 è proprio .

8.1
𝛿
𝑙𝑖𝑚 =𝜀
∆𝑥→0 ∆𝑥

In genere, la variazione di lunghezza può essere ottenuta come integrale di questa , quindi:
8.2

𝛿 = ∫ 𝜀 𝑑𝑥
0

con ℓ che è la lunghezza di questa struttura.


La scorsa volta non abbiamo fatto il passaggio formale, ma era ovvio perché abbiamo capito che la
derivata degli spostamenti rispetto alla variabile x, che è la variabile geometrica, è sostanzialmente
la . Quindi, facendo un’integrazione otteniamo l’accorciamento finito. Ma quanto vale la ?
La  sappiamo che vale:

8.3

𝜎 𝜎(𝑥)
𝜀(𝑥) = =∫ 𝑑𝑥
𝐸 0 𝐸

con  che può essere funzione di x,  è funzione di x e, volendo, anche E è una funzione di x, ma
per noi il materiale è costante, non facciamo strutture con materiale che cambia lungo la struttura.
Tuttavia a volte, se ho fenomeni termici, potrei avere un periodo di tempo in cui il modulo elastico
cambia con la temperatura, dipendendo esso proprio dalla temperatura; a 600°C la rigidezza diventa
pressoché nulla e si ha il collasso delle strutture in acciaio, a causa di un incendio ad esempio, che
aumenta molto la temperatura.

La (x) la possiamo esprimere in questo modo:

8.4
ℓ ℓ
𝜎(𝑥) 𝑁(𝑥)
∫ 𝑑𝑥 = ∫ 𝑑𝑥
0 𝐸 0 𝐴𝐸

anche A può essere una A(x) perché anche l’area potrebbe cambiare, per cui dovrei mettere tutto in
funzione di x, ma mettiamo solo ciò che tipicamente varia con x. In questo caso specifico in cui N è
costante, tiriamo fuori dall’integrale N/EA e resta l’integrale in dx da 0 a ℓ e ottengo

8.5

𝑁(𝑥) 𝑁ℓ ℓ
∫ 𝑑𝑥 = = 𝑁
0 𝐴𝐸 𝐸𝐴 𝐸𝐴

Questa è un’equazione abbastanza tipica e mette in luce che

8.6


𝛿= 𝑁
𝐸𝐴

quindi c’è un legame stretto tra la forza che sto mettendo, che in questo caso diventa sforzo
normale, e l’accorciamento di questo elemento. Questo termine è detto cedevolezza e rappresenta
l’accorciamento che ho per una forza unitaria, quindi se N lo poniamo uguale a 1 il  è proprio
ℓ/EA.

8.7


𝑐𝑒𝑑𝑒𝑣𝑜𝑙𝑒𝑧𝑧𝑎 ≝
𝐸𝐴

Chiaramente questa struttura è tanto più cedevole quanto, a parità di forza, si accorcia. Quindi è più
cedevole se è più lunga perché, quanto più è lunga, la stessa forza la farà accorciare di più.
Proviamo a vederla in un altro modo,  è pari a  su E ma è anche uguale a N su EA, che è la stessa
cosa di  su ℓ.
Sarebbe la cosiddetta  media e sto facendo l’accorciamento di tutta la struttura rispetto alla
lunghezza di tutta la struttura, mentre la  è un concetto un po’ più puntuale, cioè di quanto si
accorcia puntualmente e sarebbe il senso di questo limite: l’accorciamento di un concio di
lunghezza via via più piccola. Essendo la N costante, la  media si confonde con la  puntuale,
d’altronde se N è costante, E è costante e A è costante, si vede che anche  è costante perché se ci
metto una funzione di x, questa è la  funzione di x.

8.8
𝜎 𝑁(𝑥)
𝜀(𝑥) = =
𝐸 𝐸𝐴
Al denominatore compare EA che è simile a quello della 8.1 a meno della ℓ. Questi sono tutti aspetti
che riguardano questo problema e che tra poco introdurremo come reciproco, ossia come rigidezza.
Cosa significa cedevolezza? È più cedevole se è più lunga, se è meno rigida, cioè fatta con un
materiale che ha un modulo elastico più basso. Se ho una stessa asta, una di gomma e una di
acciaio, sarà più cedevole quella in gomma perché ha un modulo elastico E più piccolo. È più
cedevole un’asta di grande diametro o una di piccolo diametro? Ovviamente è più cedevole quella
di piccolo diametro perché avrà un’area della sezione trasversale più piccola e quindi la quantità ℓ/
EA diventa più grande. Facciamone l’analisi dimensionale, per esempio, della cedevolezza assiale,
detta così perché riguarda lo sforzo normale, assiale.

8.9

ℓ 𝐿 𝐿
[ = ]
𝐸𝐴 𝐹 𝐿2 𝐹
𝐿2

dove il modulo E ha la stesse dimensioni di una , quindi è una forza su una lunghezza al quadrato.
Semplificando ottengo una lunghezza su una forza e ho lo spostamento o accorciamento per una
forza unitaria.
Proviamo ad invertire e a chiederci cosa accade se accorcio un’asta di , che forza nasce e come
essa reagisce.

8.10
𝐸𝐴
𝑁= 𝛿

Ho solamente preso il reciproco del valore di prima che noi useremo di più, ma questo valore è più
usato e si chiama rigidezza. Essa rappresenta la forza che serve o che nasce per avere uno
spostamento unitario, ad esempio, la forza che serve per accorciare di 1 una struttura o un’asta è la
rigidezza. La struttura è tanto più rigida quanto è più corta, quanto più il modulo elastico del
materiale è alto (acciaio contro gomma) e quanto più ha una sezione trasversale grande.
Dimensionalmente abbiamo:

8.11
𝐸𝐴 𝐹 𝐿2 𝐹
[ = ]
ℓ 𝐿2 𝐿 𝐿

dunque la rigidezza è una forza necessaria per avere uno spostamento unitario. Con la cedevolezza
sono uno il reciproco dell’altro. Se voglio calcolare di quanto si accorcia questa trave, posso usare
questo sistema. Vi ho scritto anche questa perché potrebbe essere più comoda. Fate attenzione alla
seguente espressione di 

8.12
𝑁
𝜀𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 =
𝐸𝐴

abbiamo comunque una EA che è anch’essa una rigidezza ed è una rigidezza assiale, ci manca la ℓ
perché sostanzialmente serve a calcolare la  che è puntuale, mentre senza la ℓ ho l’accorciamento
di un elemento di una lunghezza finita. Dunque se voglio un  devo aggiungere la ℓ, se voglio una 
per fare una valutazione puntuale non la metto. Comunque la  che vi ho scritto è la  elastica,
legata alla componente elastica della deformazione, ma vi è anche una componente non elastica
che, ad esempio, è quella dovuta in particolare alle distorsioni termiche. Se voglio scrivere una 
totale, mi devo ricordare che sarà la somma di una  elastica e di una  anelastica che si scrive come
 , dove  è la variazione di temperatura e  è il coefficiente di espansione termica, di
dilatazione termica lineare.

8.12

𝜀 = 𝜀𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 + 𝜀𝑎𝑛𝑎𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 = 𝜀𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 + 𝛼 Δ𝑇

La  che unità di misura ha? È un accorciamento su una lunghezza, quindi è adimensionale e si può
esprimere nei seguenti modi

8.13
𝑚𝑚 𝜇𝑚
𝜀=[ ]=[ ]
𝑚𝑚 𝑚
Quest’ultima unità di misura prende il nome di microstrain. Sostanzialmente equivale a mettere il
coefficiente numerico 10-6. Ad esempio,  per l’acciaio e per il calcestruzzo vale 10x10-6 °C-1,
significa che per ogni grado di differenza di temperatura che do nasce una  di 10x10-6 e la chiamo
10 microstrain per grado, ovvero di 10 m per ogni metro, o ancora di 10-6 millimetri per ogni
millimetro di struttura. 10-6 sarebbe 10 m per metro, se do un grado ad una barra di acciaio lunga 1
metro, essa si allunga o si accorcia di 10 m. Acciaio e calcestruzzo hanno lo stesso coefficiente di
dilatazione termica  e questo è uno dei motivi per cui il connubio acciaio-calcestruzzo funziona
bene, infatti, se ci fossero delle dilatazioni termiche, i materiali si espanderebbero o contrarrebbero
allo stesso modo. A differenza dei materiali classici, i compositi, che oggi si usano come armatura,
hanno delle dilatazioni termiche completamente diverse l’uno dall’altro, per cui se do una
variazione termica può succedere che o la barra all’interno si espande molto di più del calcestruzzo
e quindi spinge fuori (stile corrosione che aumenta il volume e determina fessurazione) oppure
accade che si contrae di più del calcestruzzo e quindi la barra dentro comincia a ballare e si stacca,
dando problemi di aderenza.

Vi lancio un’applicazione che per ora è abbastanza fuori portata e vedremo meglio più in là, però la
facciamo giusto per capire. Se ho una trave appoggiata-appoggiata, come la passerella di un ponte,
si irradia, quindi c’è un calore che determina una variazione di temperatura e questa trave si
allunga.

Figura 3.a Figura 2.b

Di quanto si allunga la trave? Quanto vale il ?


8.14
𝛿=𝜀ℓ

Essendo l’azione costante dovrei scrivere l’integrale

8.15

𝛿 = ∫ 𝜀 𝑑𝑥
0

questo è l’allungamento di questa trave, sottoposta ad un certo  perché ci batte il sole e quindi c’è
un aumento di temperatura. L’acciaio ha una elevata conducibilità quindi la temperatura che attinge
è subito uniforme in tutta la struttura, quindi non consideriamo il transitorio. Se avevo legno o
calcestruzzo questo discorso già poteva cambiare.
Se mi chiedo quanto vale N, voi mi sapete rispondere? Ovunque faccio un taglio, mi guardo intorno
e vedo che l’unica reazione possibile sarebbe del vincolo della cerniera, perché il carrello non da
reazione orizzontale, quindi essendoci solo lei è pari a zero. Quini N è zero ed è nulla solo la
componente elastica.

8.16

𝑁 = 0 ⟹ 𝜀𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 = 0

Però esiste   che è costante.

8.17

𝜀𝑎𝑛𝑎𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 ≠ 0

Quindi ho

8.18

𝛿 = ∫ 𝜀 𝑑𝑥 = 𝛼 𝛥𝑇 ℓ
0

Esso è l’allungamento,   è costante e lo porto fuori dall’integrale e resta l’integrale di dx che è


ℓ.
Dunque alla domanda “di quanto si allunga questa trave” sappiamo dare anche una risposta di
questa quantità. Essa si è allungata a sforzo normale nullo, quindi il fatto che un oggetto si allunga o
si accorcia non deve immediatamente far pensare ad uno sforzo normale che sta agendo, perché in
realtà sono due effetti diversi. Adesso mettiamoli insieme, d’altronde, come sapete, sui binari si
fanno degli intagli ogni tanto per compensare questi effetti. Se volete sapere quanto devono essere
questi intagli basta sapere quando è lunga la tratta di binario, ad esempio 100 metri, vi fate il
calcolo per 100 metri, la variazione termica sarà di circa 80 gradi (quella che il codice dei trasporti
ferroviari potrebbe prevedere), e infine, moltiplicando per il coefficiente di dilatazione , si ottiene
il valore dell’allungamento.

Questa è una struttura isostatica (figura 2.a) che ha un numero di vincoli strettamente sufficienti e si
allunga di una certa quantità per effetto della distorsione termica, a sollecitazione nulla.

Proviamo a renderla iperstatica, (figura 3) immaginando di aver


Figura 3 dimenticato di fare l’intaglio, avendo un binario continuo da Napoli a
Milano che succede? Qui si potrebbe fare una battuta che vi faccio
per far accendere una lampadina. Visto che il tratto è infinitamente lungo, qualunque punto lo posso
immaginare di simmetria per la tratta quindi, o mi metto a un kilometro o a 100 kilometri,
sull’intera lunghezza è tutto simmetrico. Per il concetto dell’altra volta si ha che siamo in plane
strain, cioè la  è nulla, ed è nulla perché, qualunque  ci dovesse stare, per simmetria si allunga da
una parte e dall’altra, quindi si avrebbero le compenetrazioni o le aperture. In termini più complicati
possiamo dire che, sapendo che il  è zero, perché è il vincolo che mi impone =0, se ci metto solo
la distorsione termica mi accorgo che non è più zero, perché viene  ℓ , come fa a diventare
zero? Avrò la seguente relazione

8.19
𝛿 = 0 = (𝛼 Δ𝑇 + 𝜀𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 )ℓ = 0

mi accorgo che nasce una  elastica

8.20
𝜀𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 = −𝛼 Δ𝑇

Volendolo vedere con un sistema che io userò spesso e che


tecnicamente si chiama principio di sovrapposizione degli
effetti, o con il metodo delle forze.

Figura 4
Svincolo il vincolo, abbatto di grado il vincolo e lo
sostituisco con la reazione vincolare che chiamo H che è questa spinta orizzontale, (figura 4) che è
l’unica incognita iperstatica. Se scrivessi le equazioni cardinali della statica ottenendo quattro
incognite e tre equazioni, ne ho una in più che potrebbe essere proprio la H che ho messo là, la
reazione orizzontale del vincolo iperstatico che è di troppo. Quanto vale H? Se applico
l’allungamento mi accorgo che la trave si allunga di  ℓ , il vincolo deve essere in grado di
esercitare una forza che ripristina la compatibilità cinematica, ciò significa che se quel punto non si
doveva spostare ed ora si è spostato, la forza deve farla tornare indietro. Ovviamente è un film che
non esiste perché quello non si è mai spostato, diciamo che virtualmente si è allungato e
virtualmente questa forza lo ha rimesso indietro. Devo beccare una forza H che tra gli infiniti valori
che può assumere, assumerà proprio il valore per cui questo punto non si sposta, quindi il  è zero.
Perciò dire che  è uguale a zero significa dire che

8.21
Nℓ
δ = 0 = α ℓ ΔT + =0
EA

dove N è uguale a H, da cui ricavo

8.22
α ℓ ΔΤ
H=− EA = − α ΔΤ EA

Se scrivevo le equazioni cardinali della statica non ero in grado di calcolarla, ma sono stato in grado
di farlo perché ho inserito una condizione sullo spostamento. Ho calcolato la H che genera N e
quindi ho calcolato l’unico valore di H tale che, se la trave si allunga, o meglio, se quel punto
vincolato si sposta di  ℓ , la forza lo fa tornare indietro. Di quanto? Se fosse più grande di
questa H tornerebbe più indietro e la trave si accorcerebbe, se fosse più piccolo di quella H, la trave
non tornerebbe indietro abbastanza e resterebbe un po’ più lunga. Riepilogando, ho trovato l’unico
H tale che quel punto vincolato per la distorsione termica si è allungato e grazie alla reazione
vincolare è tornato indietro.

La forza che nasce, quindi lo sforzo normale che nasce, è negativo, cioè è di compressione; se la
trave si allunga nasce una forza che la fa comprimere, se la trave si fosse accorciata, perché il 
era negativo, la trave diventava tesa. Più il materiale ha una  grande (più tende ad espandersi) e
più la forza che nasce è grande. Se metto una barra di acciaio o metto un materiale che si espande
meno, la forza che nasce è diversa, più grande è il  e più le reazioni diventano grandi. La cosa
che ci deve stupire è che entra in gioco EA, mentre ℓ non conta proprio, o l’asta è lunga un
millimetro o cento metri, la spinta che nasce è uguale. Questa è una cosa antipatica perché poi
parleremo del carico di punta per cui, se ho un oggetto che tendo a comprimersi ed è molto snello,
esso si instabilizza. Se avessi un ponte molto lungo, soggetto ad una distorsione termica, tenderà ad
essere via via più snello e rischio che la distorsione termica fa sorgere una crisi, perché la
compressione che nasce lo fa instabilizzare. Se il ponte fosse corto, questa eventuale forza sarebbe
uguale, ma diventando più tozzo e meno snello, non riuscirà a farlo instabilizzare. Queste sono cose
che vedremo molto meglio dopo.
La distorsione termica diventa una forza tanto più grande, quanto più è rigida la struttura su cui
agisce. Se io temo che una struttura possa avere forti escursioni termiche, la devo fare meno rigida
possibile, perché più è rigida e più farà nascere forze grandi. Ovviamente è un discorso che dopo un
po’ fa acqua, perché se la faccio troppo poco rigida e va in compressione, rischio che diventa snella
e si instabilizza, quindi a un certo punto mi devo fermare, però solo se la distorsione manda in
compressione gli elementi, se li manda in trazione, essa è sempre stabile e non ho problemi. La  è
nulla, quindi si ritorna al concetto di prima della simmetria, se è costante ed è mediamente nulla
allora è costantemente nulla (dal teorema della media). Da un punto di vista assiale si può ragionare
in questo modo. Se lo sforzo normale non fosse stato costante, perché qui potrei metterci il peso
proprio (figura 4) e quindi man mano che mi sposto, per gravità, lo sforzo normale cresce, perché
c’è il peso della struttura che grava, qui dovevo fare il calcolo che ovviamente non è più costante
ma era l’integrale di una funzione lineare. In linea di massima ci sono delle eccezioni, per noi le
strutture generalmente sono portanti, ossia i carichi che portano tendono a essere molto più grandi
dei pesi propri, cioè se faccio un ponte mi aspetto che sia più grande il carico che porta che non il
suo peso, perché non costruisco un ponte per portare a se stesso e se ci passa una macchina crolla
tutto, quindi deve poter portare tanti carichi esterni e il suo peso deve essere trascurabile. Ciò non è
sempre vero, ci sono anche strutture ornamentali, come l’Arco di Trionfo che porta se stesso, le
coperture tendenzialmente sono strutture autoportanti, nel senso che il grosso del peso è il peso
proprio più i sovraccarichi dovuti a neve, vento e quant’altro, però in quel caso può accadere che i
pesi propri sono parenti delle azioni. Nelle strutture ordinarie ci si aspetta che il peso proprio sia
trascurabile o abbastanza più piccolo delle azioni e quindi queste variazioni sono tali che, se la forza
è piccolissima, questa pendenza la vedo, se la forza è enorme questa pendenza diventa trascurabile.
Se mi chiedo quanto vale N, ci potrei metto la forza esterna più il peso proprio, come se pesassi
uniformemente ovunque, spalmando il peso.

Questo è tutto quello che succede assialmente, cioè collego la


caratteristica della sollecitazione sforzo normale con gli accorciamenti,
quindi con gli spostamenti assiali, N è assiale e anche gli spostamenti

sono assiali. Poi esistono (ve lo faccio vedere subito perché non lo
Figura 5
trattiamo) gli spostamenti per taglio (figura 5) in cui ho una N e la
struttura si accorcia, volendo spancia pure un po’ (effetto Poisson, che
qui non ha effetto perché si accorcia a prescindere da quello che
succede trasversalmente; tra un po’ parleremo delle piastre e degli
effetti di confinamento per cui l’effetto Poisson incide). Disegniamo
l’asse dell’elemento che resta retto e le sezioni continuano ad essere
ortogonali all’asse, ovvero l’angolo in
figura 6 continua ad essere diverso da
Figura 6
90°, sia prima che dopo che si è
inflesso. Esistono delle sollecitazioni di taglio, prendiamo il taglio
positivo, esse generano delle azioni di questo tipo (vedi figura 6.b),
degli spostamenti che non sono più accorciamenti ma sono degli
spostamenti trasversali. Quando questi spostamenti trasversali che

Figura 6.b
chiamo w, avendo chiamato con u gli spostamenti lungo x (la nomenclatura è facoltativa), nascono
per effetto di un taglio e non li calcoliamo, essi dipendono sostanzialmente da G. L’unica
caratteristica che hanno è che si perde la planarità delle sezioni, ciò significa che se faccio un
sezionamento prima di applicare il carico di taglio, mi accorgo che rispetto all’asse la sezione non è
rimasta ortogonale, ma ruota. Immaginatelo come un pacchetto di carte in cui, applicando una N,
ottengo una specie di fisarmonica, se applico un taglio è come se facessi scorrere una carta rispetto
all’altra, per cui l’asse non è più normale alla faccia. Questa variazione di angolo in realtà si può
calcolare e, in genere, è piccola ed è critica solo per gli elementi molto corti e tozzi. Se la struttura è
tozza questi spostamenti sono grandi rispetto agli spostamenti flessionali. Avete mai visto nei centri
commerciali quelle piccole mensole che sporgono e che sono come dei dadi o piccoli trapezi?
Quelle sono mensole tozze e se devo fare un calcolo di quando si sposta quella trave, è praticamente
tutto dato dal taglio. Se prendo una trave lunga e la carico, lo spostamento indotto dal taglio è di un
ordine di grandezza più piccolo rispetto a quello dovuto alla flessione. Per vari motivi questo tipo di
deformabilità non la tratteremo, sapendo che nella maggior parte dei casi, a meno che non si hanno
strutture particolarmente tozze, è trascurabile. Chi progetta strutture spesso lo trascura, se si usa un
software si può anche considerare ma non influisce.

Parliamo ora della deformazione flessionale. Se applico delle coppie,


cosa mi aspetto che fa la struttura? Mi aspetto che si infletta, quindi la
faccia di sinistra ruota rispetto alla faccia di destra, questa rotazione la
posso chiamare . Immaginiamo il solito pacchetto di spaghetti che
infletto e gli spaghetti di sotto si allungano e quelli di sopra si accorciano,
Figura 7 ci sarà una quota che non si accorcia e non si allunga che si chiamerà
asse neutro, cioè un asse che non ha né un allungamento né un
accorciamento. La teoria, questa è l’ipotesi di Bernoulli anche detta conservazione delle sezioni
piane, prevede che le facce, prima che si inflette e dopo che si inflette restano ortogonali all’asse
della trave. L’effetto del taglio mi fa ruotare la faccia rispetto all’asse e l’effetto della flessione mi
fa ruotare la faccia mantenendola ortogonale all’asse. Qua lo vediamo come rotazione di quantità
diverse tra loro, qui lo vediamo in maniera più utile perché vediamo di quanto ruotano le due facce
e sono gli stessi angoli (figura 6). Ciò che ci interessa adesso è il limite, dove x è la lunghezza di
questo oggetto.

8.23
Δ𝜑
lim = −𝒳
Δx→0 Δ𝑥

Questa è una cosa che avete già visto se avete fatto la cinematica, ed è la cosiddetta curvatura, o
meglio il reciproco del raggio del cerchio osculatore, che sarebbe il cerchio tangente in quel punto,
si fa sulle traiettorie (in cinematica) ma in questo caso abbiamo linee elastiche.
Il limite vale -, non pensate al segno negativo che vedremo dopo, perché è una convenzione.  è la
curvatura di cui abbiamo già parlato, sarebbe l’inverso del raggio di curvatura. Volendo
banalizzare,  rappresenta quanto ruotano due facce quando ho un concio lungo x, esse ruotano
perché ho delle fibre che si accorciano (sopra) e si allungano (sotto). Non mi
dite che si curvano, perché a livello infinitesimo non me ne accorgo proprio.
Sostanzialmente quanto si accorcia sopra, meno quanto si allunga giù, divido
per l’altezza e ottengo di quanto ruota. Se faccio il limite, avendo che una fibra
lunga x si allunga, ottengo una . Se lo spaghetto ha una lunghezza che tende

Figura 8 a zero, il limite è la , a livello dello spaghetto intero ho un  ℓ, sull’asse neutro


ho  nulla. La curvatura rappresenta di quanto ruota la singola fettina, sarebbe la
pendenza del diagramma delle . Esiste un  perché ci sono delle fibre che hanno un  ℓ e fibre
che ne hanno degli altri, se i  ℓ fossero costanti non ruoterebbe. Ricapitolando, ho una rotazione
 perché varia l’allungamento e l’accorciamento di alcune fibre, la variazione di allungamento, la
variazione dei  ℓ, genera il . Se faccio il limite per x che tende a zero, quindi rimpicciolendo
l’oggetto, gli allungamenti sono diventati  e la variazione di allungamento è diventata la  che
sarebbe la pendenza, ossia la variazione della .

8.24
𝜀
𝜒=
𝑥

Che unità di misura ha questa quantità? Non è un numero puro, perché la  è un numero puro,
essendo una lunghezza su una lunghezza, diviso una x che è una lunghezza.

8.25
1
𝒳[ ]
𝐿
Se prima ho scritto la seguente espressione

8.26
𝑁
𝜀=
𝐸𝐴

adesso riesco a scrivere qualcosa che colleghi  ed M? N lo vorremo come  che è l’accorciamento
infinitesimo, ma qui mi aspetto di collegare M con un  infinitesimo che ho chiamato curvatura.
Esiste un sistema per collegarli e lo vedremo più in là, oggi prendetevelo come risultato, ed è:

8.27
𝑀
𝒳=
𝐸𝐼

E è sempre il modulo di Young del materiale, I è il momento d’inerzia della sezione trasversale.
Che ha la seguente unità di misura

8.28
𝐼 = [𝐿4 ]

Abbiamo trovato il link tra il mondo della cinematica (curvatura) e il mondo della statica (momento
flettente). Ora facciamo un riepilogo per trovare un risultato utile.

8.29

𝑇 ′ = −𝑞

𝑀′ = 𝑇

𝑀′′ = 𝑇 ′ = −𝑞
queste relazioni riguardano tutte il mondo della statica. Ora dobbiamo ottenere qualcosa di simile
per il mondo della cinematica. Le entità non saranno più carico, momento e taglio, ma curvatura,
abbassamento e .
Considero una trave la quale, prima che ci metto un
carico, ha la configurazione rettilinea, dopo che ci ho

Figura 9 messo un carico si sposterà assumendo, ad esempio, la


configurazione in figura 9. La funzione abbassamento
la chiamerò w(x) e la prendo positiva verso il basso, parte da un valore zero e raggiunge un valore
massimo. Posso individuare anche una funzione  che rappresenta la rotazione della struttura e che
per piccoli spostamenti la posso confondere con la tangente. Posso scrivere che:

8.30
𝜑 = 𝑤′

𝜑 ′ = −𝒳

𝑤 ′′ = 𝜑′ = −𝒳

Mi accorgo che  varia punto per punto e perciò ho una curvatura, se


invece fosse costante avrei una curvatura nulla. Se piazzo un cerchio
tangente in quel punto, il raggio di quel cerchio è il raggio di curvatura e
Figura 10 la curvatura è il reciproco di quel raggio. (figura 10)
Nella seconda delle relazioni 8.30 ho un segno negativo il cui motivo lo
spieghiamo dopo. La funzione abbassamento è positiva verso il basso,  è di quanto ruota e lo
posso confondere con la tangente, sono i piccoli spostamenti. 
è positiva perché la w cresce, nel nostro caso passa da zero (perché
la struttura è orizzontale) (figura 10) a un valore positivo, la sua
derivata diminuisce perché passa da una quantità positiva a zero.
Quando scrivo ’, nel caso che vi ho mostrato, esso sarà negativo
per cui, se non mettessi il segno negativo, mi uscirebbe una
curvatura
Figura 11 negativa e potrebbe anche esserlo, ma non è comodo perché questa
curvatura negativa è quella del caso in figura. In questo caso la curvatura
sarebbe negativa, ma il momento l’ho preso positivo, perciò starei dicendo che una trave soggetta a
un momento positivo ha una curvatura negativa, perciò preferisco prendere la curvatura come
positiva. Dunque, la curvatura che genera una flessione di questo tipo, per me, è una curvatura
positiva, essendo collegata a un momento positivo, e quindi devo mettere un segno meno. Infatti la
derivata delle  è negativa, però vorrei dire che generi una curvatura positiva e quindi qua ci vuole
il meno. Ecco spiegato il motivo per cui mettiamo quel meno.

Formalmente c’è un parallelismo:

8.30
𝜑 = 𝑤′

𝜑 ′ = −𝒳

𝑤 ′′ = 𝜑′ = −𝒳

Questo discorso lo potevate anche fare al corso di Fisica Matematica, oggi lo abbiamo ripreso e
abbiamo visto che il mondo della cinematica, cioè degli spostamenti, seguono queste logiche.
L’altra volta abbiamo visto il mondo della statica, cioè delle sollecitazioni, che seguono queste altre
logiche (8.29). Ci si accorge che i due mondi si toccano, perché in un caso arriviamo ad una
curvatura e nell’altro ad una M. Dato che esiste un collegamento tra M e , oggi dobbiamo fare
questa fusione, cioè unire queste due cose e ottenere la cosiddetta equazione differenziale della
linea elastica che ha una derivata quarta.

8.31

𝑀′′ = (𝜒 𝐸 𝐼)′′ = (−𝑤 ′′ 𝐸 𝐼)′′

essendo 𝑤 ′′ = −𝒳
ma ho che 𝑀′′ = −𝑞
Se come spesso accade EI è costante, cioè prendo una trave che è fatta dello stesso materiale e ha
una inerzia costante, quindi una trave rettangolare, circolare, con una sezione costante, posso tirare
fuori EI, non essendo funzione di x e quindi ottengo

8.32
𝐸 𝐼𝑤 𝐼𝑉 = 𝑞

Questa equazione è la sintesi che mi serviva perché sto collegando il carico con gli abbassamenti
della struttura. Ovviamente questa è la sola componente flessionale, perché potevo fare lo stesso
giochino pure per quell’assiale, non l’ho fatto perché alla fine non lo useremo, però sarebbe

8.33
𝑁
𝜀= = 𝑢′
𝐸𝐴

dove ho scritto  come 𝑢′, quindi ho ancora

8.34
𝑢′ 𝐸𝐴 = N

che è, sostanzialmente la stessa cosa, ma ho un ordine di derivata più basso, ma l’equazione della
linea elastica assiale è molto più semplice.
Da oggi dobbiamo fare i conti anche con questa equazione differenziale (8.32) che avrà quattro
condizioni al contorno. L’integrale è 𝑤, ossia l’abbassamento della nostra struttura. Se avessi una
trave con il carico qualsiasi, quali potrebbero essere le condizioni al contorno?
Ovviamente le condizioni al contorno chi sono? Sono su w, su 𝑤′ (quindi sulle ), sono su 𝑤′′
(quindi sugli 𝑀) ed infine sono su 𝑤′′′ (cioè sui tagli).
La 𝑤 che funzione è? Se ragioniamo sulla omogenea associata, che significa porre il carico 𝑞 pari a
zero,

8.35
𝐸𝐼𝑤 𝐼𝑉 = 0
Se non ci fossero carici, ma solo forze e coppie, l’integrale della omogenea associata è un
polinomio cubico, quindi la funzione abbassamento è un polinomio cubico

8.36

𝑤(𝑥) = 𝐴𝑥 3 + 𝐵𝑥 2 + 𝐶𝑥 + 𝐷

La funzione w è la deformata, cioè la configurazione deformata che la


struttura assume sotto un certo carico e che in gergo prende il nome di
linea elastica, quindi se io vi dico facciamo la linea elastica della
Figura 12
struttura significa calcoliamo la funzione w. Qui volendola fare ad
occhio è una cosa del genere (vedi figura 13). Che funzione è? È una cubica. Se invece avessi il
carico, dovrei aggiungere a questo integrale l’integrale particolare che sarebbe:

Figura 13

8.37
𝑞𝑥 4
𝑤
̅=
24𝐸𝐼

Perché le funzioni w sono una soluzione? Perché, se ne faccio la derivata quattro volte, mi viene
zero (o q), quindi soddisfa l’equazione. Se voglio aggiungerci l’integrale particolare, devo farne la
derivata quattro volte e ottenere 𝑞 (equazione 8.32). Questo è anche un modo per controllare se
l’integrale è giusto. Se ho anche il carico la funzione abbassamento, quindi la linea elastica, è un
polinomio di quarto grado, quindi questa curva che vi ho disegnato e che può sembrare una
parabola, in realtà non è una parabola (figura 14), e si può calcolare con le condizioni al contorno e
lo facciamo tra un attimo. Prima vorrei riprendere lo schema

𝑇 ′ = −𝑞 𝜑 ′ = −𝜒

𝑀′ = 𝑇 𝑤′ = 𝜑

𝑀′′ = 𝑇 ′ = −𝑞 𝑤 ′′ = 𝜑 ′ = −𝜒

Vi voglio dire una cosa che è sugli appunti, ma che non fa parte del corso anche se è molto utile.
C’è un parallelismo formale, abbastanza stretto, infatti come potete vedere nello schema sembrano
le stesse cose, questi sono noti in Italia come Corollari di Mohr, dal nome di colui che ha avuto
questa intuizione. Se so calcolare, a partire da un carico, il taglio e il momento flettente, perché con
un po’ di pratica diventa un gioco, se voglio calcolare di quanto ruota o quanto si abbassa una
struttura dovrei fare altre operazioni. Una possibile sarebbe quella di scrivere le condizioni al
contorno, facendo attenzione che nella figura 13 ne sono solo quattro, mentre nella figura 14 ne
sono otto, perché c’è un punto di discontinuità nella struttura in corrispondenza della forza, quindi
le devo scrivere per entrambi i tratti. Per calcolare l’abbassamento di questa trave devo scrivere otto
condizioni al contorno che costituiscono un sistema di otto equazioni in otto incognite,
trasformando una trave banale in un calcolo laborioso e allora nasce quest’altro metodo.
Sostanzialmente non esiste solo questa strada, questa la chiamiamo integrazione diretta della linea
elastica, cioè mi scrivo il polinomio della linea elastica e mi calcolo le costanti A, B, C e D per ogni
tratto. Se ho una struttura fatta da cinquanta tratti ho duecento condizioni al contorno e diventa una
operazione catastrofica. Già l’altra volta sono partito dal carico, ne ho fatto l’integrale ottenendo la
funzione taglio, ho fatto l’integrale del taglio e ho ottenuto il momento, questo è un metodo, oppure
ho usato l’approccio fisico (Cosa mi dà taglio? Cosa mi dà momento?) che costituisce un altro
metodo. Anche in questo caso vi sto dando più metodi.
Il procedimento com’è?
Dal carico integro ed ottengo il taglio, dal taglio integro e ottengo il momento flettente. Oggi ho
scoperto che se voglio calcolare la , devo integrare le curvature, ma le curvature sono proprio
M/EI, quindi dopo aver moltiplicato la M per 1/EI posso integrare e ottenere le , integrando
ancora ottengo gli abbassamenti w.

Quella che vi ho mostrato ora è un’altra strada, detta strada delle quattro integrazioni, che è
quella che spesso userete voi. È evidente che ogni volta che faccio un integrale ci butto dentro una
condizione al contorno. Si può operare anche al contrario, se io conoscessi la funzione
abbassamento di una trave, facendo delle derivate posso ottenere il carico che ci sta sopra. Oggi che
ci sono dei laser scanner che vi fanno profili precisissimi degli spostamenti delle strutture, potrei
partire da w per arrivare a conoscere il carico che agisce sulla trave, ma fino a qualche tempo fa non
potevo conoscere w e le uniche misure che potevo fare erano quelle con il metro che erano
suscettibili di errori di misura, perché gli abbassamenti sono di millimetri.

Tralasciando le prime due integrazioni che abbiamo già visto le scorse volte, immaginiamo di
conoscere già M, divido M per EI, faccio l’integrale e ottengo le , con una condizione al contorno,
faccio ancora l’integrale e ottengo 𝑤. Quindi le quattro integrazioni potrebbero diventare due per un
motivo pratico, perché per ricavare M dal carico lo faccio in maniera fisica, senza bisogno
dell’integrale, ma con un ragionamento fisico. Le altre due integrazioni successive le devo fare
necessariamente, ma la furbata del corollario di Mohr nasce proprio qua. Se si immagina una
struttura che ha come carico la curvatura, lo chiameremo carico fittizio 𝑞 ∗ perché è una cosa
inventata, il taglio fittizio diventa la , quindi se si immagina di avere un taglio fittizio, che è la 
vera, si sa passare dal taglio ad M e si ottiene un momento fittizio che è proprio 𝑤.

8.38
𝑤 = 𝑀∗

Quando si fanno le ultime due integrazioni, con uno


scambio di quantità fittizie, è come se stessi facendo le
prime due integrazioni, solo che il carico diventa M/
EI, il taglio diventa  e il momento diventa 𝑤.

Figura 14 Consideriamo l’esempio in cui ho una trave con la

Figura 15
forza F (figura 14), ho due tratti quindi il calcolo sarebbe complicato, il diagramma del momento
sarebbe quello in figura 16, se faccio M/EI posso prendere la struttura fittizia, caricata in questo
modo e chiedermi quanto ruota quella vera? M/EI è il mio carico fittizio 𝑞 ∗ , ci metto l’asterisco per
farlo capire. In questo mondo fittizio, la rotazione reale è proprio uguale al taglio fittizio. Se mi
chiedo di quanto si inflette, quindi il 𝑤 reale, nel mondo fittizio sarebbe il momento fittizio. Alla
domanda di quanto ruota nel punto in figura, la risposta è il taglio in quel punto che è la reazione
vincolare che è proprio 𝑞ℓ/2, ossia l’area di quel triangolo campito. Se so calcolare l’area di questo
triangolo so di quanto ruota, e viene:

𝑞∗ ℓ 𝑀 ℓ
=
2 2 𝐸𝐼 4

Se a casa vi rifate quello che adesso vi spiego con il metodo classico, otterrete lo stesso numero
dopo una lunga serie di passaggi, mentre ora lo abbiamo ricavato subito. Se non facciamo questo
parallelismo, e in questo corso non lo facciamo perché vi ho presentato questo metodo solo per
cultura personale, ma non ve lo chiederò all’esame, e se vi chiedo quanto vale la funzione
abbassamento, voi o mi fate l’integrale, o meglio, vi calcolate le condizioni al contorno, oppure fate
i quattro integrali, dove spesso i primi due non li fate perché siete in grado di partire già dalla
funzione M.

Adesso proviamo a fare un primo calcolo.

8.39
𝑀 = 𝜒 𝐸 𝐼 = −𝐸𝐼 𝑤 ′′
𝑇 = 𝑀′ = −𝐸 𝐼 𝑤 ′′′

Queste 8.39 sono delle relazioni utili, perché se scrivo w(x) e mi chiedo quanto vale il taglio, basta
fare la derivata terza di w e ottengo il taglio.  sarà:

8.40
𝜑 = 𝑤′
mentre, se 𝑞 è costante, w sarà:

8.41
𝑞𝑥 4
𝑤 = 𝐴𝑥 3 + 2𝐵𝑥 2 + 𝐶𝑥 + 𝐷 +
24 𝐸𝐼

La funzione  sarà:

8.42
𝑞𝑥 3
𝜑 = 𝑤 ′ = 3𝐴𝑥 2 + 2𝐵𝑥 + 𝐶 + 6 𝐸 𝐼

Il momento è la derivata della  per -EI:

8.43

′′
𝑞 𝑥2
𝑀 = −𝐸𝐼 𝑤 = −𝐸𝐼 (6 𝐴 𝑥 + 2𝐵 + )
2𝐸𝐼

infine il taglio sarà:

8.44
𝑇 = 𝑀′ = −𝐸 𝐼 𝑤 ′′′ = −6 𝐴 𝐸 𝐼 − 𝑞𝑥

infatti se il carico è nullo, il taglio viene costante, il momento è parabolico se ho il carico ed è


lineare se non ce l’ho, e così via. Ovviamente ho T ′ = −q.

Adesso proviamo ad applicare una coppia 𝓂 (figura 17)


e vi chiedo di quanto ruota l’appoggio in A e di quando
ruota quello in B, praticamente vi sto chiedendo le

Figura 16 cedevolezze di questa trave, cioè di quanto ruota per


effetto di una coppia; potremo anche calcolare di quanto
si alza o abbassa.
Se la cedevolezza assiale era abbastanza ovvia ed era ℓ/𝐸𝐴, non è altrettanto unica e ovvia la
cedevolezza flessionale, ce ne sono più di una e ora vi faccio vedere come si calcolano.

Immaginiamo di avere la trave nella figura precedente, con una certa 𝓂, lunga ℓ. Come primo
tentativo partiamo direttamente con l’integrale della linea elastica, quindi scriviamo le quattro
condizioni al contorno con il primo metodo, usando:

8.45
𝐸 𝐼 𝑤 𝐼𝑉 = 𝑞 = 0

𝑞 sarà nullo, perché manca il carico. Abbiamo bisogno delle costanti A, B, C e D. Le quattro
condizioni al contorno sono le cose note di questa trave. Di essa sappiamo che in 0 l’abbassamento
è nullo, così come in ℓ, possiamo dire qualcosa sulle ? Ruotano ma non sappiamo di quanto.
Possiamo dire qualcosa sul momento M? M in zero vale proprio la coppia 𝓂 che vi ho applicato
sopra, in realtà sarebbe – 𝓂, ma non vi focalizzate sui segni perché quello che ci interessa della
cedevolezza è il suo valore in modulo, poi il segno è abbastanza ovvio, ma la cedevolezza è quanto
ruota (in modulo) per effetto di una coppia unitaria, il verso in cui ruota è una cosa che posso dire
dopo. Invece in ℓ il momento M vale 0, perché ho un appoggio ma senza coppie sopra. Quindi ho
trovato quattro equazioni in quattro incognite:

8.46
a. 𝑤(0) = 0

b. 𝑤(ℓ) = 0

c. 𝑀(0) = −𝓂

d. 𝑀(ℓ) = 0

𝑞 è nullo, quindi dalla 8.46.a. ho banalmente che 𝐷 = 0.


𝓂
Dalla 8.46.c ricavo −6 𝐴 𝐸 𝐼 ⋅ 0 − 2 𝐵 𝐸 𝐼 = −𝓂  2𝐵𝐸𝐼 =𝓂  𝐵 = 2𝐸𝐼

2𝓂𝐸𝐼 𝓂
Dalla 8.46.d ricavo la A  −6 𝐴 𝐸 𝐼 ℓ − =0  𝐴 = −6𝐸𝐼ℓ
2𝐸𝐼

𝐴ℓ3 𝐵ℓ2 𝓂
Dalla 8.46.b ho 𝐴 ℓ3 + 𝐵ℓ2 + 𝐶ℓ = 0  𝐶=− − = 6 𝐸 𝐼 ℓ2 −
ℓ ℓ
𝓂 𝓂
ℓ2 = − 3 𝐸 𝐼 ℓ2
2𝐸𝐼

Quindi la funzione 𝑤 è:

8.47
𝓂 𝓂 2 𝓂ℓ
𝑤=− 𝑥3 + 𝑥 − 𝑥
6𝐸𝐼ℓ 2𝐸𝐼 3𝐸𝐼

Se voglio la  in zero e la  in ℓ sono:

8.48
𝓂 𝓂 𝓂ℓ
𝜑=− 𝑥2 + 𝑥−
2𝐸𝐼ℓ 𝐸𝐼 3𝐸𝐼
𝓂
𝜑(0) = 𝐶 = − ℓ
3𝐸𝐼
𝓂
𝜑(ℓ) = 𝐶 = 3 𝐴 ℓ2 + 2 𝐵 ℓ + 𝐶 = + ℓ
6𝐸𝐼

Quindi abbiamo individuato due cedevolezze, alla


domanda di quanto ruota il primo e il secondo
estremo se applico una coppia unitaria, ho:
Figura 17

8.49

𝜑𝐴= = 3 𝐸 𝐼 in modulo

𝜑𝐵= = 6 𝐸 𝐼 in modulo

Se invece di mettere una coppia unitaria, metto una coppia 𝓂, devo moltiplicare 𝓂 per questa
cedevolezza. Quindi questa (8.49) è la cedevolezza flessionale, quanto ruota per effetto di una
coppia unitaria.

Esiste un’altra strada, quella delle quattro integrazioni, se poi vi


fate il corollario di Mohr vi accorgete che ci mettete un attimo, ma

Figura 18 il corollario per questi casi banali è rapido e per casi più complicati
bisogna ragionarci meglio, perciò bisogna avere un po’ più di
dimestichezza. Quindi dobbiamo fare le quattro integrazioni. Se vi disegno questa trave (figura 19)
e ci metto questa coppia, mi sapete dire quanto vale la funzione momento senza fare l’integrale? Il
carico è nullo quindi il carico sarà lineare, in A vale 𝓂 in B vale zero, quindi è abbastanza evidente
che la funzione momento è questa in figura 20.

Figura 19

8.50
𝓂 ℓ+𝑥
𝑀(𝑥) = −𝓂 + 𝑥 = −𝓂 ( )
ℓ ℓ

dove la pendenza è il taglio che equivale alle due reazioni


verticali; se ho una coppia 𝓂 che sollecita globalmente la mia
struttura in senso antiorario, le reazioni devono generare una

Figura 20
coppia in senso orario per l’equilibrio, le due forze hanno una distanza ℓ e valgono 𝓂/ℓ e viene la
stessa cosa comunque mettiamo la coppia (esercizio che vi ho fatto fare tempo fa). Qualcuno si
aiuta anche con un disegnino del genere (figura 21), in cui si ha una coppia globale in senso
antiorario e il taglio deve generare due coppie pari a 𝓂/ℓ. Quindi due forze che a distanza
ℓ generano 𝓂 valgono 𝓂/ℓ. La funzione vale −𝓂 in zero e poi se ne scende con la pendenza di
𝓂/ℓ.

Se non vi veniva subito il modo in cui scriverla, potevate scrivere che è uguale a

8.51
𝑀(𝑥) = 𝑎𝑥 + 𝑏

e considerare che

𝑀(0) = −𝓂  𝑏 = −𝓂
𝑏
𝑀(ℓ) = 𝑎 ℓ + 𝑏  𝑎 = −ℓ

Oppure possiamo fare così:

8.52
𝑇 = ∫ −𝑞 𝑑𝑥 = 𝐶1 perché 𝑞 = 0

Quanto vale la costante 𝐶1 , come al solito ci calcoliamo le reazioni vincolari e scopriamo che è pari
a 𝓂/ℓ, oppure facciamo finta di niente e andiamo avanti portandoci la 𝐶1 e calcoliamo M.

8.53
𝓂
𝑀 = ∫ 𝑇 𝑑𝑥 = 𝐶1 𝑥 + 𝐶2 (= 𝑥 + 𝐶2 )

con le condizioni al contorno diciamo che


𝑀(0) = −𝓂 e quindi
𝐶2 = −𝓂
𝓂
𝐶1 = poiché 𝑀(ℓ) = 0

Ora devo dividere per EI e fare il passaggio successivo

8.54
𝑀 𝓂 𝑚𝑥 𝑚𝑥 2
𝜑 = ∫ − 𝑑𝑥 = ∫ ( 𝓂 − 𝑥) 𝑑𝑥 = − + 𝐶3
𝐸𝐼 ℓ 𝐸𝐼 2ℓ 𝐸𝐼

𝐶3 non lo calcoliamo e passiamo a 𝑤:

8.55
𝑚𝑥 2 𝑚𝑥 3
𝑤 = ∫ 𝜑 𝑑𝑥 = − 6ℓ 𝐸𝐼 + 𝐶3 𝑥 + 𝐶4
2 𝐸𝐼

e ricavo 𝐶3 e 𝐶4 :

𝑤(0) = 0  𝐶4 = 0

𝑚ℓ 3𝑚ℓ 𝑚ℓ
𝑤(ℓ) = 0  𝐶3 = 6 𝐸𝐼 − = − 3 𝐸𝐼
6 𝐸𝐼

Abbiamo ottenuto le stesse cose facendo le quattro


integrazioni e abbiamo calcolato queste cedevolezze
che vorrei vi restino a memoria perché ci serviranno.
Fissata una coppia, più è lunga la trave e più ruota,
Figura 21 più è fatta con un materiale rigido e meno ruota, più
è fatta con un materiale che ha una sezione grande e
meno ruota. La cedevolezza è questa qua (diviso 3 e
diviso 6) perché è evidente che se ruoto, se applico la
coppia in A, ruota di più in A ed esattamente la metà
in B. Se avessi voluto calcolare l’abbassamento

Figura 62 massimo, la funzione ce l’ho, vedo dove ha un


massimo, cioè dove la derivata si annulla, e calcolo la
𝑤 che non sarà ℓ/2. Se questo è M (figura 22) e usassi il corollario di Mohr (ripeto che ve lo dico
solo per farvelo apprezzare ma non è un argomento d’esame), sostanzialmente quanto valeva la 𝜑?
Valeva il taglio fittizio in quel punto. Dove sta la risultante? Sta ad 1/3 da sinistra e infatti viene che
il taglio è doppio rispetto a sinistra, come la 𝜑. Come numero quanto vale? Sarebbe 1/3 e 2/3
𝑚 ℓ
dell’area di questo triangolo, perché questa risultante è 𝑅 = , applicata a ℓ/3 e 2ℓ/3 . Quanto
𝐸𝐼 2

vale 𝑅(𝐴), che sarebbe 𝜑(𝐴)?

𝑚ℓ 2 ℓ
𝑅(𝐴) = 𝜑(𝐴) =
2𝐸𝐼 3 ℓ

𝑚ℓ 1 ℓ
𝑅(𝐵) = 𝜑(𝐵) =
2𝐸𝐼 3 ℓ

ottenendo subito la soluzione.

Potrebbero piacerti anche