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Dinamica

CRITERI DI ARROTONDAMENTO
Quando si effettuano misurazioni, in particolare modo misurazioni indirette, capita che il risultato che
otteniamo sia un numero decimale, e che abbia molte cifre dopo la virgola. Ovviamente, non possiamo
riportarle tutte quando esprimiamo il risultato, quindi dobbiamo stabilire dei criteri per arrotondare il
risultato alla cifra decimale più adatta.

Un numero decimale che contiene molte cifre dopo la virgola può essere arrotondato prendendo solo un
certo numero di cifre, in base a come richiesto (per esempio una, due o tre cifre), per eccesso o per difetto.
Generalmente, si arrotonda per difetto se la cifra che segue l’ultima che dobbiamo prendere è minore di
cinque.

Ad esempio, se dobbiamo arrotondare il numero decimale 2,5462443 alla terza cifra decimale, poiché la
quarta cifra è due, arrotondiamo per difetto, e scriviamo 2,546. Altrimenti, se la cifra successiva a quella
cui dobbiamo fermarci è maggiore o uguale a cinque si arrotonda per eccesso.Considerando il numero
dell’esempio precedente, se dobbiamo prendere il valore con due cifre decimali, poiché la terza cifra è sei,
arrotondiamo per eccesso, e scriviamo 2,55.

CIFRE SIGNIFICATIVE
Quando esprimiamo una misura con il rispettivo errore, alcune cifre di quel valore sono certe, cioè esatte,
perché non risentono dell’incertezza della misura; altre, invece, possono oscillare in un determinato
intervallo, a seconda dell’errore corrispondente. Ad esempio, se la nostra misura vale (345 ± 3) cm, la cifre
delle decine e quella delle centinaia sono certe, mentre quella delle decine è incerta, perché può variare tra
2 e 8 (il risultato, infatti, può variare tra 342 cm e 348 cm).

Possiamo definire le cifre significative come il numero minimo di cifre che ci permettono di esprimere un
risultato con la relativa precisione, ed in particolare sono le cifre certe e la prima cifra incerta.
Tutti i numeri sono cifre significative, ma dobbiamo fare attenzione quando abbiamo a che fare con gli zeri;
si seguono infatti queste regole:

• Se gli zeri sono compresi tra altri numeri, come nel caso di 32004, si considerano come cifre
significative;
• Se gli zeri si trovano all’inizio di un numero, come in 0,0032, non sono considerati cifre
significative;
• Se gli zeri si trovano alla fine di un numero, allora:

− Se è presente la virgola, come in 320,0, tutti gli seri sono cifre significative;
− Se non è presente la virgola, come in 3200, non sono considerati cifre significative.

NOTAZIONE SCIENTIFICA
La notazione scientifica permette di esprimere le misure di alcune grandezze in modo da poter essere
utilizzata più facilmente. Infatti quando abbiamo a che fare con valori particolarmente grandi (distanze tra
pianeti, numeri di particelle) o particolarmente piccoli (massa o distanze tra particelle elementari) è difficile
fare operazioni, in quanto i valori sono composti da molte cifre. Per questo, se esprimiamo i valori come
prodotto di un coefficiente compreso tra 1 e 10, ed una potenza di 10, possiamo operare con molta facilità.

Ad esempio, il diametro del Sole misura 1 400 000 000 m, e possiamo esprimere questa misura
come 1,4⋅109m.
Il diametro dell’atomo di idrogeno misura 0,000 000 0001 m, che può essere espresso come 1,0⋅1010m.
In generale, la potenza del 10 che dobbiamo moltiplicare è uguale al numero di “salti” che fa la virgola
quando ci spostiamo verso destra o verso sinistra nel numero.
ORDINE DI GRANDEZZA
L’ordine di grandezza di una misura ci permette di confrontare velocemente due grandezze, e stabilire
quale di essa sia la più grande, o la più piccola. Definiamo l’ordine di grandezza come la potenza del 10 che
si avvicina maggiormente al valore della nostra misura. Riprendendo gli esempi precedenti, sappiamo che
il diametro del sole misura 1,4⋅109m, quindi il suo ordine di grandezza è 109m. Il diametro della Terra,
invece, misura circa 1,3⋅107, quindi il suo ordine di grandezza è 107. Possiamo asserire con facilità che il
Sole ha un diametro molto più grande del nostro pianeta.

FORZE DI CONTATTO E A DISTANZA


Generalmente, il concetto di forza richiama l’idea dello sforzo muscolare; questo ci permette di sollevare
un oggetto pesante, di tendere una molla, di correre, o di trascinare un corpo. Esistono, però, molti altri
tipi di forze che provocano effetti sui corpi, e non sono legate allo sforzo muscolare, ad esempio la forza
che spinge due magneti ad attrarsi. Definiamo, innanzitutto, due tipi di forze, quelle di contatto e quelle a
distanza:

• Forze di contatto: sono forze che si applicano quando due corpi vengono, appunto, in contatto
tra loro; (ad esempio, la forza che esercitiamo per spostare un corpo, o la forza del vento che
muove una bandiera);
• Forze a distanza: sono quelle forze che, invece, agiscono su due corpi a distanza; (la forza
attrattiva tra due calamite, la forza di gravità);

Le forze possono essere applicate su oggetti in movimento, o su oggetti fermi, e quindi possono provocare
effetti differenti sui corpi.
In particolare, una forza può cambiare la velocità di un corpo.
Ad esempio, spingendo una sfera inizialmente ferma, aumenteremo la sua velocità, poiché questa
comincerà a muoversi; al contrario, se ci poniamo di fronte ad una sfera in movimento, ed esercitiamo una
forza su di essa, provocheremo i suo arresto.

LE FORZE COME VETTORI


Può capitare, però, che anche se si applicano delle forze ad un corpo, esso rimanga fermo. Ad esempio, nel
gioco del tiro alla fune, se le squadre sono ben bilanciate e ognuna di esse tira la fune con la stessa forza,
il fazzoletto centrale rimane fermo.
Questo accade perché sul corpo in questione agiscono più forze che si annullano, così che la risultante delle
forze applicate sul corpo è nulla. Possiamo spiegare questo fenomeno perché la forza può essere descritta
come vettore.
Per descrivere una forza, infatti, occorrono le seguenti informazioni:

• Direzione: la retta lungo la quale agisce la forza;


• Verso: l’orientazione, lungo la retta, verso la quale punta il vettore;
• Intensità: la misura quantitativa della forza, che può essere ottenuta mediante uno strumento
detto dinamometro. (Il dinamometro è costituito da un cilindro con una scala graduata, all’interno
del quale è posta una molla; applicando una forza all’estremità della molla, questa si
tende; misurando l’entità dell’allungamento della molla si può risalire all’intensità della forza. Forze
uguali, quindi, provocano allungamenti uguali);
• Punto di applicazione: il punto iniziale su cui viene applicata la forza.
Per spiegare, quindi, come mai un corpo può rimanere fermo nonostante vi si applichino delle forze,
ricordiamo le proprietà della somma tra vettori; se le forze agiscono lungo la stessa direzione (come nel
caso del tiro alla fune) la forza risultante è data dalla somma algebrica delle intensità delle relative forze;
il segno di queste è dato dal loro verso; forze che hanno verso opposto hanno anche intensità di segno
opposto. Tornando all’esempio del tiro alla fune, le forze applicate possono essere schematizzate come
segue:

Se il punto centrale della corda rimane fermo, le due forze hanno la stessa intensità; si ha quindi che la
forza totale (risultante) è nulla:

Nel caso in cui le forze non avessero la stessa direzione, possono essere sommate con il metodo punta-
coda, o con il metodo del parallelogramma. Nel sistema internazionale l’unità di misura della forza è
il Newton (N); esso si definisce come l’intensità della forza-peso con cui la terra attrae un corpo di massa
uguale a 102 g.
Possiamo esprimere il Newton anche con una definizione alternativa.
1 Newton corrisponde alla quantità di forza necessaria per imprimere ad un corpo di 1 kg un’accelerazione
di un metro al secondo quadrato:

LA FORZA DI ATTRITO
La forza di attrito è una forza di contatto che si oppone al movimento di un corpo; se rappresentata come
vettore, la forza di attrito ha direzione contraria a quella del movimento del corpo.
Questo tipo di forza rappresenta un fenomeno microscopico; infatti, l’attrito è dovuto al fatto che, anche
se all’apparenza due superfici sembrano perfettamente lisce, in realtà esse presentano delle irregolarità,
che incastrandosi tra loro ostacolano il movimento di una superficie sull’altra.

Distinguiamo tre tipi di forze di attrito:


• Forza di attrito radente: è la forza che si esercita tra due superfici che vengono in contatto;
questa forza, per esempio, ci permette di camminare, in quanto si esercita tra la suola delle nostre
scarpe e il terreno; ci permette quindi di spostarci in avanti.
• Forza di attrito volvente: è la forza che si esercita quando un corpo rotola su una superficie, per
esempio nel caso delle ruote di un’automobile;
• Forza di attrito viscoso: è la forza che si esercita quando un corpo si muove in un fluido, come
nel caso di un aereo che subisce l’impatto dell’aria.

La forza di attrito radente, in particolare, può essere statica, quando le irregolarità microscopiche tra due
superfici ferme ostacolano il loro movimento, o dinamica, quando invece le irregolarità oppongono
resistenza al moto di due superfici che già si muovono.

L’ATTRITO RADENTE STATICO


La forza di attrito statico può essere presente anche se nessuno dei due corpi che sono a contatto si muove.
Per esempio, se tentiamo di spostare un armadio molto pesante, esercitando una forza su di esso, questo
continuerà a rimanere fermo. Questo accade sull’armadio agisce un’alta forza, la forza peso, che lo attrae
al suolo, e la nostra forza non è sufficiente a vincerla.
Se, però, tre uomini provassero a spostare tale armadio, probabilmente questo si muoverebbe.
Aumentando la forza esercitata, quindi, possiamo vincere la forza peso dell’armadio.
Chiamiamo, quindi, forza al distacco la forza minima che occorre per mettere in moto un oggetto fermo;
tale forza è direttamente proporzionale alla forza premente (forza peso), e il suo modulo è dato dalla
formula:

Dove μs indica un numero puro, il coefficiente di attrito statico.

Notiamo che la forza di attrito statico non dipende dall’area di contatto delle superfici; essa è parallela alla
superficie di contatto e il suo verso si oppone al movimento.

L’ATTRITO RADENTE DINAMICO


L’attrito radente dinamico è responsabile del fatto che una sfera in movimento su un piano è destinata,
prima o poi, a fermarsi. Questa forza, quindi, ha verso che si oppone al verso del movimento del corpo,
direzione parallela al piano, e modulo direttamente proporzionale a quello della forza premente, e dato
dalla formula:

Dove μd indica, anche in questo caso, un numero puro, il coefficiente di attrito dinamico.
Forze agenti su un corpo in movimento
LE FORZE FONDAMENTALI
I fenomeni fisici naturali avvengono principalmente grazie a tre tipi forze fondamentali; queste sono le
forze nucleari, la forza elettromagnetica e la forza gravitazionale. Queste forze sono forze a distanza,
agiscono quindi senza che vi sia contatto tra due corpi; sono forze che non possiamo “vedere” direttamente,
ma ne sentiamo gli effetti.

LE FORZE NUCLEARI
Le forze nucleari riguardano, come dice il nome stesso, l’interno dell’atomo, e in particolare il suo nucleo.
Queste forze si dividono in due tipi, la forza nucleare forte, e la forza nucleare debole.

• Forza nucleare forte: è una forza attrattiva, ed è la forza che tiene uniti protoni e neutroni
all’interno del nucleo atomico; è una forza molto potente, che riesce a vincere le forze repulsive
protone-protone, ed è inversamente proporzionale alla distanza tra le particelle.
• Forza nucleare debole: riguarda reazioni nucleari, ed è responsabile delle reazioni di fusione
nucleare che avvengono all’interno delle stelle; in particolare, riguarda il processo di trasformazione
di un protone in un neutrone con emissione di un elettrone e un neutrino.

LA FORZA ELETTROMAGNETICA
La forza elettromagnetica è la forza che agisce tra due oggetti carichi, cioè che possiedono carica elettrica.
Questa forza si manifesta sia in eventi atmosferici, come i fulmini e i lampi, sia in fenomeni microscopici,
come i legami tra gli atomi e le molecole.
In particolare, la forza elettrica è attrattiva nel caso di cariche con segni opposti, e repulsiva nel caso di
cariche con segni uguali:

Inoltre, l’intensità della forza elettrica aumenta con l’aumentare delle cariche, e diminuisce all’aumentare
della distanza tra esse.
La forza elettrica, nel caso in cui le cariche coinvolte siano Q1 e Q2, e la distanza tra esse r, si ottiene dalla
formula:

dove k è una costante.

LA FORZA GRAVITAZIONALE
A differenza della forza elettrica, quella gravitazionale è sempre attrattiva, e riguarda tutti i corpi che hanno
massa.
La formula che permette di determinare la forza gravitazionale è molto simile a quella della forza elettrica;
anche in questo caso, infatti, la forza è direttamente proporzionale al prodotto delle masse, e inversamente
proporzionale al quadrato della loro distanza:

dove G è una costante, detta costante di gravitazione universale.

La forza gravitazionale è la più debole delle forze appena menzionate, ma i suoi effetti sono particolarmente
evidenti; nel caso di masse molto grandi, come quelle dei pianeti, tale forza, determina il moto attorno al
Sole.

La forza gravitazionale si definisce forza-peso nel caso in cui ci si riferisce all’attrazione tra il pianeta Terra
e gli oggetti che si trovano su di esso.

La forza-peso agisce lungo la verticale del luogo in cui si trova il corpo; la sua direzione, quindi, è
perpendicolare al piano in cui giace il corpo, rivolta verso il basso. Essa è ripartita su tutto il volume del
corpo, in quanto agisce su tutte le particelle che lo costituiscono; tuttavia si suppone, per semplicità, che
sia una forza puntuale, cioè applicata in un solo punto, detto baricentro.
La forza-peso è direttamente proporzionale alla massa di un corpo, e può essere ottenuta dalla seguente
formula:

dove g è una costante, e vale 9,8 N/kg; poiché il Newton può essere espresso come la forza necessaria per
imprimere ad in corpo di 1 kg un’accelerazione di un metro al secondo quadrato, possiamo affermare che
la costante g ha le dimensioni fisiche di un’accelerazione, quindi si ha g=9,8m/s2.
La costante g varia da pianeta a pianeta; questo spiega perché il peso di un corpo cambia se ci troviamo
sulla Terra o su Marte, dove g = 3,74 N/kg. Ricordiamo, però, che ciò che varia è il peso (forza-peso); la
massa, invece, indica la quantità di materia che costituisce un corpo e rimane costante.

IL CONCETTO DI EQUILIBRIO
Il concetto di equilibrio può essere facilmente compreso, in quanto si presenta in molti aspetti della vita
quotidiana. Tutti gli oggetti che ci circondano, e che sono fermi a terra (un tavolo, un mobile, un’auto
parcheggiata…) sono in equilibrio.
Possiamo definire, quindi, il concetto di equilibrio affermando che un corpo è in equilibrio quando è fermo
e continua a restare fermo.

IL PUNTO MATERIALE
Per studiare l’equilibrio dei corpi, cominciamo dal caso più semplice; consideriamo un corpo piccolissimo
rispetto all’ambiente circostante, tale da poter essere considerato come un punto. Per questo, ci riferiremo
all’oggetto parlando di punto materiale.
Ad esempio, può essere considerata punto materiale una biglia che rotola sul pavimento.

IL CORPO RIGIDO
Nel caso degli oggetti quotidiani, però, non sempre è conveniente utilizzare il concetto di punto materiale.
Si considera l’oggetto, quindi, come fosse un corpo rigido, cioè che non subisce deformazioni qualunque
siano le forze applicate su di esso.
Anche il corpo rigido è un modello, in quanto non esistono corpi completamente indeformabili; tuttavia,
molti oggetti sono indeformabili se vi si applicano forze poco intense.

LE FORZE VINCOLARI
L’equilibrio dei corpi è influenzato in maniera particolare dai vincoli, cioè da oggetti che impediscono
all’oggetto in esame di compiere determinati movimenti nello spazio. Per esempio, un quadro appeso al
muro è vincolato dal chiodo nella parete, perché senza di esso cadrebbe a terra; il treno che viaggia sui
binari è vincolato da essi, perché costretto a seguire quella traiettoria.
Questi vincoli possono esercitare delle forze sui corpi; in tal caso le forze prendono il nome di reazioni (o
forze) vincolari. Una reazione vincolare è quella che si oppone alla nostra forza peso, permettendoci di
rimanere in equilibrio e non cadere verso il basso. Il pavimento, quindi, agisce da vincolo, e la reazione
vincolare ha stessa intensità della forza peso, stessa direzione, ma verso opposto.

Le forze che si esercitano sul corpo hanno stessa intensità, stessa direzione, ma verso opposto; per le
proprietà della somma vettoriale, la risultante delle forze è nulla, e di conseguenza il corpo rimane in
equilibrio.
In generale, quindi, un punto materiale rimane in equilibrio se la risultante delle forze che agiscono su di
esso è nulla; altrimenti, se la risultante è diversa da zero, il punto non è in equilibrio.

IL PIANO INCLINATO
Un oggetto può essere in equilibrio anche se si trova su un piano inclinato; la forza peso che agisce sul
corpo si esercita sia spingendo il corpo lungo il piano, sia tenendolo premuto alla superficie.
Per questo, è conveniente scomporre la forza peso nelle sue componenti, che chiamiamo componente
parallela (F/) e componente perpendicolare (F⊥).
La forza vincolare (Fv) ha direzione perpendicolare al piano inclinato, e verso rivolto all’esterno di esso; la
componente perpendicolare, che è appunto perpendicolare al piano, ha stessa intensità della forza
vincolare, stessa direzione e verso opposto.
La componente parallela, invece, è parallela al piano, e rivolta verso il basso; per tenere in equilibrio un
punto materiale sul piano inclinato, quindi, è necessaria la presenza di una forza che annulli la componente
parallela; essa deve essere parallela al piano, e deve avere stessa intensità e verso opposto a quello della
componente parallela.
La forza prende il nome di forza equilibrante; essa è esercitata dall’esterno del sistema, ed è necessaria
per tenere in equilibrio l’oggetto; può essere, ad esempio, la forza di una persona che regge un carrello
lungo una salita.
Il modulo della forza equilibrante può essere ottenuto dalla seguente formula:

dove, Fp è la forza peso dell’oggetto, h è l’altezza del punto più alto del piano inclinato, e l è la sua
lunghezza (se il piano ha forma triangolare, l è l’ipotenusa).
Notiamo, quindi, che più è inclinato il piano, cioè maggiore è il rapporto h/l, tanto più grande deve essere
la forza da esercitare per mantenere in equilibrio il nostro oggetto.

IL MOMENTO: INTRODUZIONE
Nel caso di un corpo rigido, a differenza del punto materiale, non possiamo considerare solo i moti
traslazionali, cioè le traslazioni; si devono tenere presenti alcune proprietà dei corpi rigidi.
Infatti, essendo un corpo esteso, e non un punto, il corpo rigido può subire l’effetto di una forza in qualunque
punto della sua estensione; ciò può provocare effetti diversi.
Inoltre, i possibili moti che esso può subire sono differenti:

• Il moto di traslazione comporta uno spostamento senza che vi sia un cambiamento


dell’orientazione nello spazio dell’oggetto; quando subisce questo moto, tutti i punti del corpo rigido
si spostano percorrendo la stessa distanza su traiettoria rettilinee; (questo moto si verifica, ad
esempio, quando trasciniamo un oggetto);
• Il moto di rotazione invece fa ruotare l’oggetto senza che esso si sposti dalla posizione iniziale;
in questo caso, i punti del corpo rigido percorrono archi di circonferenze concentriche (questo moto
si verifica, ad esempio, quando svitiamo un bullone con una chiave inglese).

I due moti, poi, possono anche presentarsi insieme.

IL MOTO DI ROTAZIONE
Il moto di rotazione è quello che si ha, ad esempio, quando applichiamo una forza su di una chiave inglese
per svitare un bullone; notiamo che agendo con una chiave più lunga lo sforzo da compiere è minore,
poiché il bullone ruota più facilmente.
Ciò accade perché l’effetto della rotazione non dipende esclusivamente dalla forza che applichiamo e dalla
sua intensità; essa dipende anche dal punto di applicazione e dalla direzione della forza.
Si definisce braccio di una forza F rispetto ad un punto O la distanza tra il punto O e la retta su cui giace
F.
In particolare, se chiamiamo r il vettore posizione del punto O rispetto a F, il braccio è dato dalla
componente perpendicolare di tale vettore:
IL MOMENTO DI UNA FORZA
Il momento di una forza è un vettore che esprime l’effetto di rotazione causato dalla forza stessa. In
particolare, il vettore ha le seguenti caratteristiche:

• Modulo: è dato dal prodotto dell’intensità della forza F e il modulo del braccio: M=F∙b;
• La sua unità di misura nel Sistema Internazionale è, quindi, Newton per metro (N∙m);
• La sua direzione è perpendicolare al piano che contiene il vettore forza e il punto O;

il suo verso è dato dalla regola della mano destra: si posizione il pollice sulla congiungente il punto O e
il punto di applicazione della forza, e le altre dita nella direzione di F; il verso del momento è quello uscente
dal palmo della mano.

Poiché il momento di una forza è un vettore, le sue proprietà possono essere più semplicemente riassunte
dicendo che il momento è uguale al prodotto vettoriale del vettore posizione r e il vettore forza F:

Si spiega, quindi, come mai per svitare un bullone con una chiave inglese, e per faticare meno si seguono
alcune accortezze; si può applicare una forza molto intensa, o utilizzare uno strumento molto lungo; il
momento, infatti, è direttamente proporzionale sia alla forza che al braccio.
Se indichiamo con α l’angolo tra i vettori r ed F, possiamo esprimere il loro prodotto vettoriale nel seguente
modo:
Il momento di una forza può essere positivo, negativo o nullo in base al senso di rotazione del braccio. Se
il senso è quello orario, il momento viene considerato negativo; se il senso di rotazione è antiorario si avrà
un momento positivo.
Se, invece, non vi è rotazione, il momento è nullo.

IL MOMENTO DI PIÙ FORZE


Se applichiamo su un corpo rigido più forze contemporaneamente, il momento totale delle forze è dato
dalla somma dei singoli momenti di ciascuna forza.
Quindi, se le forze in questione sono F1,F2,…,Fn, e i rispettivi momenti M1,M2,…,Mn, il momento totale
delle forze è dato da:

LE COPPIE DI FORZE
Su di un corpo possono agire più forze contemporaneamente; quando guidiamo un’automobile e giriamo
il volante con entrambe le mani, le forze che agiscono sul volante sono due; si ha dunque una rotazione di
esso.
In particolare, nel caso di due forze che hanno la stessa intensità, possono verificarsi due fenomeni; se le
forze agiscono sulla stessa retta d’azione e hanno verso opposto, la risultante delle forze è nulla; quindi il
corpo non trasla e non ruota, ma rimane fermo. Infatti, in questo caso, le due forze producono momenti
che hanno stesso modulo, ma segno opposto; il momento totale delle forze è quindi nullo.
Altrimenti, se le due forze, che hanno la stessa intensità e verso opposto non hanno la stessa retta d’azione,
allora esse producono una rotazione sul corpo su cui agiscono, come nel caso del volante. Infatti, in questo
caso, il momento totale delle forze è diverso da zero, in quanto entrambe le forze producono un momento
dello stesso segno, e che quindi fa ruotare il corpo nello stesso verso.

COPPIA DI FORZE
Una coppia di forze consiste in due forze F1 e F2, di uguale intensità, ma opposte, applicate in due punti
diversi di un corpo rigido.
Come nel caso di una singola forza, anche per la coppia di forze il momento descrive l’entità dell’effetto che
la forza provoca sull’oggetto, in questo caso la rotazione; il momento di una coppia di forze si ottiene
sommando i momenti delle singole forze calcolate rispetto ad uno stesso punto; esso dipende, quindi, dalle
forze applicate e dalla loro distanza.
In particolare, il momento della coppia è indipendente dal particolare punto di applicazione.
Definiamo, inoltre, braccio della coppia la distanza tra le due rette d’azione delle forze; il momento della
coppia, quindi, è un vettore che ha:

• Intensità: uguale al prodotto dell’intensità di una delle forze e la lunghezza del braccio: M=F∙b;
• Direzione: perpendicolare al piano che contiene le forze;
• Verso: dato, anche in questo caso, dalla regola della mano destra, considerando, però, solo una
delle due forze, e calcolando il momento rispetto al punto di applicazione dell’altra.

SENSO DI ROTAZIONE
Anche in questo caso, l’effetto della rotazione provocato dalle due forze può avvenire in senso orario o
antiorario; ciò dipende dalla direzione in cui agiscono le forze.
Per convenzione, si considera positivo il momento che produce una rotazione antioraria; nel caso di una
rotazione in senso orario, invece, il momento sarà negativo.
Può accadere che su uno stesso corpo rigido agiscano contemporaneamente due coppie di forze; se di
queste coppie, una fa ruotare il corpo in senso orario (forze in blu), e l’altra in senso antiorario (forze in
rosso), e se i momenti delle due coppie sono uguali, il corpo rimane fermo.
Tali coppie di forze si dicono quindi equivalenti.

Infatti, poiché le forze in rosso provocano una rotazione in senso antiorario, il momento relativo a tali
coppie è positivo; mentre, il momento relativo alle forze il blu, che producono una rotazione in senso orario,
sarà negativo. Dato che i momenti delle coppie sono uguali (in valore assoluto), possiamo concludere che
la loro somma, e quindi il momento totale, è uguale a zero; di conseguenza, non vi è rotazione del corpo.
FORZE E CORPI RIGIDI
Come sappiamo, applicando più forze ad un punto materiale, possiamo facilmente determinare la risultante
di esse; otteniamo quindi la forza totale mediante la somma vettoriale delle forze.
Nel caso di un corpo rigido, però, abbiamo un’estensione molto grande del corpo rispetto alla superficie di
un solo punto; l’effetto di una o più forze applicate al corpo dipende anche dal punto di applicazione delle
stesse. Forze applicate in punti diversi, quindi, provocano effetti diversi.
Ad esempio, consideriamo una bottiglia posta orizzontalmente sul pavimento; supponiamo di applicare una
forza al centro della bottiglia: la forza provocherà uno spostamento della bottiglia lungo il piano; se, invece,
applichiamo una forza sul collo della bottiglia, provocheremo una rotazione di essa.

Effetti di una forza che agisce in punti diversi su un corpo rigido

Inoltre, notiamo che l’effetto di una forza che agisce su un corpo rigido non cambia se il suo punto di
applicazione viene spostato lungo la retta su cui giace il vettore forza, detta retta d’azione.
Se, invece, applichiamo più forze ad un corpo rigido, per calcolare la risultante dobbiamo tenere presente
i diversi punti di applicazione delle forze, e quindi agire in base alle situazioni che si presentano.
Esaminiamo diversi possibili casi che si possono verificare quando applichiamo due forze ad un corpo rigido.

FORZE COLLINEARI
Le forze collineari sono forze che agiscono sulla stessa retta d’azione su un corpo rigido. In questo caso,
possiamo calcolare la risultante delle forze in questo modo: spostiamo una delle due forze (F2) lungo la
retta d’azione fino a quando il suo punto di applicazione coincide con quello dell’altra (F1); ora, possiamo
calcolare la risultante con la somma vettoriale.

Calcolo della risultante di due forze collineari.

La risultante potrà essere spostata lungo la retta d’azione senza che il suo effetto sul corpo venga
modificato. Inoltre, tale risultante può essere nulla nel caso in cui le forze abbiamo verso opposto e stessa
intensità.

FORZE CONCORRENTI
Le forze concorrenti sono forze le cui rette d’azione si intersecano in un punto. In questo caso, quindi, per
calcolare la forza risultante dobbiamo spostare le due forze lungo la retta d’azione fin quando i loro punti
di applicazione non sono gli stessi; successivamente, si calcola la forza risultante con la regola del
parallelogramma.
Calcolo della forza risultante di due forze concorrenti.

Notiamo che, a differenza delle forze collineari, nel caso delle forze concorrenti la risultante è sempre
diversa da zero.

FORZE PARALLELE
Le forze parallele sono, come dice il nome, forze che hanno rette d’azione parallele; in particolare, le forze
parallele possono essere di due tipi:

• Si hanno forze parallele concordi quando le forze hanno lo stesso verso (nel caso, ad esempio,
di due persone che spostano un armadio spingendo nella stessa direzione);
• Si hanno forze parallele discordi quando le forze hanno verso opposto (nel caso, ad esempio, di
un terremoto, per cui la crosta terrestre scorre sui lati di una faglia);

Forza risultante nel caso di coppie di forze parallele concordi e discordi.

In generale, la forza risultante è applicata in un certo punto P, che si individua grazie alla seguente
proporzione:

dove, d1 e d2 indicano, rispettivamente, le distanze del punto P dai punti di applicazione di F1 e F2.
In particolare, se le forze sono concordi, il punto P si troverà compreso tra F1 e F2, e il modulo della forza
risultante è dato dalla somma dei moduli delle forze che agiscono:

Inoltre, la posizione del punto P dipende dall’intensità delle forze stesse; se le forze hanno uguale intensità,
il punto P sarà equidistante dalle forze, altrimenti sarà più vicino alla forza di intensità maggiore.
Se, invece, le forze sono discordi, il punto P si trova esternamente alle forze; in particolare, esso sarà
situato dalla parte della forza di intensità maggiore. Il modulo della forza risultante si ottiene con la
differenza dei moduli delle forze che agiscono.

CORPO RIGIDO IN EQUILIBRIO


Come sappiamo, se si applicano delle forze su un corpo rigido, esso può spostarsi nello spazio (cioè può
traslare), oppure, a differenza di un punto materiale, può anche ruotare nello spazio. Diremo, quindi, che
un corpo rigido è in equilibrio se non si sposta e non ruota, cioè se rimane fermo.
Poiché sono proprio le forze a causare i moti dei corpi rigidi, un corpo rigido fermo rimane in equilibrio se:

• La somma vettoriale delle forze applicate su di esso è nulla;


• La somma vettoriale dei momenti delle forze applicate su di esso è nulla.

CORPI REGOLARI, IRREGOLARI, OMOGENEI, NON OMOGENEI


I corpi rigido possono presentarsi sotto molte forme diverse; alcuni vengono definiti regolari, come una
palla (forma sferica) o un dado (forma cubica), poiché hanno forme regolari. Queste tipologie di corpi
possiedono un centro di simmetria, cioè un punto all’interno di essi attorno al quale è distribuita la massa
del corpo.
A differenza dei corpi omogenei, quelli non omogenei non presentano un centro di simmetria.
Inoltre, i corpi rigidi possono distinguersi anche in omogenei e non omogenei; i corpi omogenei sono quelli
che presentano la stessa densità in ogni loro punto, come ad esempio un bicchiere di vetro; quelli non
omogenei, invece, hanno densità non costante, e sono quei corpi che sono formati da materiali diversi;
questo è il caso di un coltello, che ha la lama in metallo e il manico di legno. I corpi irregolari non presentano
un centro di simmetria.

IL BARICENTRO
Generalmente, il peso di un corpo rigido è dato dalla somma dei pesi di tutte le particelle che lo
compongono. A differenza di un punto materiale, per cui la forza peso è applicata solo in un punto, nel caso
di un corpo rigido la forza peso è distribuita su tutto il volume del corpo.
Per chiarire questo concetto, possiamo immaginare un corpo rigido suddividendolo nell’insieme di tanti
piccoli volumetti; la forza peso-totale del corpo, quindi, è data dalla somma vettoriale di tutte le forze-peso
che si esercitano sui singoli volumetti:

Distribuzione della forza peso su tutto il volume di un corpo rigido.

Il vettore che rappresenta la forza peso totale esercitata sul corpo rigido ha stesso verso dei vettori delle
forze-peso dei singoli volumetti; la sua intensità è data dalla somma delle loro intensità. Questo vettore è
applicato in un punto particolare del corpo; esso prende il nome di baricentro, o centro di gravità del corpo.
Quando consideriamo un corpo rigido, quindi, possiamo trattarlo come se tutto i suo peso fosse concentrato
in un singolo punto, il baricentro.
Nel caso dei corpi omogenei e di forma regolare, il baricentro coincide con il centro di simmetria; se, invece,
il corpo è irregolare o non omogeneo, l’individuazione del baricentro è più complessa. Nella maggior parte
dei casi, il baricentro si trova nella parte più pesante del corpo, dove cioè la massa è più
concentrata. Considerando un coltello, ad esempio, il baricentro si trova nel suo mezzo; in questo caso,
però, è spostato dalla parte del manico, che è più pesante della lama.
In alcuni casi, poi, il baricentro si può trovare alche all’esterno del corpo stesso; ciò accade quando una
persona si flette in avanti, o nel caso di una ciambella, il cui baricentro si trova nel mezzo.
BARICENTRO ED EQUILIBRIO
Il baricentro di un corpo rigido influenza il suo equilibrio. Nel caso di un corpo appeso al muro, infatti,
l’equilibrio dipende dalla posizione del baricentro rispetto al punto in cui tale corpo è appeso alla parete.
Distinguiamo, quindi, tre tipi diversi di equilibri:
Equilibrio stabile: si ha quando il corpo è appeso dall’alto; in questo caso, spostando di poco il corpo, esso
ritorna nella posizione di partenza;
Equilibrio instabile: si ha quando il corpo è appeso dal basso; spostandolo di poco, esso si allontana dalla
posizione di equilibrio, e non ci torna;
Equilibrio indifferente: si ha quando il corpo è appeso dal baricentro; spostandolo leggermente, esso si
viene a trovare in una nuova posizione di equilibrio;

Possiamo concludere, quindi, che la condizione necessaria affinché un corpo rigido appeso al muro sia in
equilibrio è che il punto per il quale è appeso (punto di sospensione) sia sulla verticale che passa per il
baricentro.

LE MACCHINE SEMPLICI
Molto spesso capita che la sola forza che esercitiamo su un corpo particolarmente grande o pesante rispetto
a noi non sia sufficiente a far spostare, o a sollevare il corpo.
Per questo, si utilizzano dei macchinari appositi, detti macchine semplici; queste permettono di agire su un
corpo applicando una forza al nostro posto, una forza molto più potente della nostra. Queste macchine
sono, ad esempio, le leve o le carrucole.
Il loro funzionamento si basa sul fatto che la forza che viene applicata sul corpo (detta forza motrice) riesce
ad equilibrare, e a vincere, un’altra forza di intensità o direzione diversa (detta forza resistente).
Infatti, nel caso della carrucola, la forza che si esercita sulla corda della stessa, che viene tirata verso il
basso, permette di vincere la forza-peso dell’oggetto appeso al gancio, che quindi viene sollevato verso
l’alto.

IL GUADAGNO DELLA MACCHINA


Il rapporto tra la forza resistente e la forza motrice viene definito guadagno della macchina:
Si può notare, quindi, che se il guadagno della macchina è un valore elevato la macchina risulterà molto
vantaggiosa; infatti la forza da applicare è molto più piccola rispetto alla forza resistente.
In particolare, una macchina viene definita vantaggiosa se il guadagno è maggiore di 1; altrimenti, se il
guadagno è minore di 1, la macchina viene definita svantaggiosa.

LE LEVE
Le leve sono un particolare tipo di macchine semplici, presenti frequentemente nella vita quotidiana; esse
permettono di aumentare o ridurre le forze.
Le leve sono formate da un corpo rigido, spesso un’asta, che può ruotare attorno ad un punto fisso, detto
fulcro.
Chiamiamo la forza resistente e la forza motrice rispettivamente Fr e Fm; le loro istanze dal fulcro si
indicano con br e bm (definiti bracci resistente e motore rispetto al fulcro).

Forza resistente e forza motrice in una leva di primo genere.

Nel caso in cui i momento delle forze che agiscono hanno stesso modulo, ma versi opposti, la leva è in
equilibrio; quindi, in particolare, la somma dei momenti della forza resistente e di quella motrice è uguale
a zero:

Possiamo anche affermare che una leva è in equilibrio se vale la seguente proporzione:

Molto spesso, non è necessario applicare una forza motrice molto grande, o comunque maggiore di quella
resistente, per utilizzare la leva; infatti, l’esito dell’operazione dipende molto anche dalle lunghezze dei
bracci delle forze in gioco.
Infatti, nel caso in cui la forza motrice è minore di quella resistente, sarà sufficiente utilizzare un braccio
motore che sia maggiore di quello resistente.

CLASSIFICAZIONE DELLE LEVE


La posizione del fulcro rispetto alle due forze, quindi, è molto importante; esso, infatti, influenza le
lunghezze reciproche dei due bracci; in base a tale posizione, quindi, vengono classificate le leve:

• Se il fulcro di trova tra le due forze si hanno leve di primo genere, come sono ad esempio le
forbici; se la forza motrice è minore di quella resistente, questo tipo di leva risulta vantaggiosa se
il braccio motore è maggiore di quello resistente; sono svantaggiose altrimenti;
• se la forza resistente si trova tra il fulcro e la forza motrice, si hanno leve di secondo genere;
queste leve, come lo schiaccianoci, risultano sempre vantaggiose, qualunque siano le forze
applicate, e qualunque sia la lunghezza die rispettivi bracci;
• se la forza motrice si trova tra il fulcro e la forza resistente, si hanno leve di terzo genere; in
questo caso, invece, le leve risultano sempre svantaggiose, quindi riducono le forze che vengono
applicate su di esse;
Esempio:
Consideriamo una leva di terzo genere, in equilibrio sotto l’azione di una forza resistente di 5,7 N; sapendo
che il braccio resistente misura 80 mm, e quello motore 55 mm, calcoliamo la forza motrice che equilibra
la leva.

Forze agenti su una leva di terzo genere.

Sapendo che una leva (di qualsiasi tipo) è in equilibrio quando il momento della forza motrice è uguale a
quello della forza resistente, possiamo applicare tale relazione per calcolare la forza resistente necessaria:

ricordiamoci di esprimere le grandezze nella giusta unità di misura:

Sostituendo troviamo quindi:

INTRODUZIONE
Come sappiamo, quando si parla del moto di un corpo, questo moto non si può considerare “universale”;
infatti, esso non è lo stesso per ogni osservatore.
Ad esempio, ipotizziamo di trovarci sul bordo di una strada e di osservare un’automobile spostarsi. Dal
nostro punti di vista le persone all’interno dell’auto si muovono; dal punto di vista del guidatore, se stesso
e i suoi passeggeri sono fermi, ed è la strada a spostarsi verso di loro.
Questo accade perché il moto dell’auto è stato osservato da due sistemi di riferimento diversi.
Possiamo affermare, quindi, che il moto di un corpo dipende dal sistema di riferimento dal quale lo si
osserva.
In particolare, alcune leggi non sono valide in tutti i sistemi di riferimento, ma solo in alcuni.

I SISTEMI DI RIFERIMENTO INERZIALI


I sistemi di riferimento in cui è valido il primo principio della dinamica prendono il nome di sistemi di
riferimento inerziali.
I sistemi di riferimento inerziali sono quelli che, rispetto al riferimento che ha per origine il Sole, sono fermi
o si muovono a velocità costante. Ad esempio, la Terra può essere considerata un sistema di riferimento
inerziale; così come un’automobile che si muove a velocità costante. Mentre un’autobus in frenata non è
un sistema di riferimento inerziale, in quanto subisce una decelerazione.
Notiamo che, sebbene la Terra compie un moto rotazionale attorno a se stessa, e intorno al Sole; la sua
velocità angolare risulta molto piccola, e quindi la sua accelerazione (di circa 0,03 m/s^2), è praticamente
trascurabile.
Cerchiamo di comprendere come mai il principio di inerzia non sia valido nei sistemi di riferimento che
hanno un’accelerazione.

CONFRONTO CON SISTEMI DI RIFERIMENTO NON INERZIALI


Consideriamo una pallina che si trova su un nastro trasportatore, che si muove a velocità costante v. Se
osserviamo la pallina dal sistema di riferimento del nastro (S’) vedremo la pallina ferma; se, invece,
osserviamo la pallina dal sistema di riferimento della Terra (S), vedremo la pallina muoversi, come il nastro,
di velocità v.
In ogni caso, quindi, viene rispettato il primo principio della dinamica; infatti entrambi i sistemi di
riferimento sono inerziali, e le forze alle quali è sottoposta la pallina (forza-peso rivolta verso il basso, e
spinta del nastro verso l’alto) fanno si che la forza risultante sia nulla.

La pallina si muove a velocità v nel sistema S’, mentre è ferma in S; il primo principio della dinamica è
rispettato in entrambi i casi.

Ora, supponiamo che il nastro subisca una decelerazione, diminuendo la sua velocità fino a fermarsi.
In questo caso, quando il nastro è fermo, se osserviamo la pallina dal sistema S, della Terra, la pallina
continuerà a muoversi di velocità v, in accordo con il principio di inerzia.
Ma, se osserviamo la pallina dal sistema S’, quello del nastro, la forza totale che agisce sulla pallina è zero;
infatti la sua forza-peso è bilanciata dalla spinta del terreno, e nessuna forza la spinge in avanti; tuttavia,
la pallina si muove a velocità v costante, e non rimane ferma come invece avrebbe voluto il primo principio.

La pallina si muove di velocità v in S e in S’; in primo principio non viene più rispettato.

Possiamo concludere che il principio di inerzia non vale in tutti sistemi di riferimento che sono accelerati
rispetto ad un sistema di riferimento inerziale.
IL PRINCIPIO DI RELATIVITÀ GALILEIANA
I sistemi di riferimento inerziali hanno un’importante proprietà; questa può essere dedotta osservando, per
esempio, il moto dell’acqua che viene versata in un bicchiere all’interno di un aereo.
Fin quando l’aereo sarà fermo all’aeroporto, riusciremo tranquillamente a versare l’acqua nel bicchiere; ciò
accade anche quando l’aereo, dopo il decollo si muove a velocità costante. Il getto d’acqua, quindi, non
rimane indietro, ma si muove insieme all’aereo.
Nella fase di decollo, invece, non siamo in un sistema di riferimento inerziale, e l’accelerazione dell’aereo
ci farà versare l’acqua dal bicchiere.
Questo fatto è riassunto nel Principio di relatività galileiana, che afferma che le leggi della meccanica sono
le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali, indipendentemente dalla velocità (che deve, ovviamente,
essere costante) con cui essi si muovono.

DINAMICA
Quando un corpo si muove, su di esso agiscono delle forze che possono influenzarne il moto. La dinamica
è la parte della fisica che studia il modo in cui si muovono i corpi per effetto di tali forze che agiscono su di
essi.

L’INTUIZIONE DI GALILEO
Già nel XVII secolo, Galileo Galilei aveva intuito che il moto di un corpo è influenzato da forze esterne che
agiscono su di esso. Egli ipotizzò, infatti, che una pallina lanciata su un piano orizzontale con una certa
velocità rallenta, fino a fermarsi; ciò è dovuto alla presenza di vincoli esterni, come la forza di attrito. Se
non fosse ostacolata, la pallina continuerebbe a muoversi con velocità costante lungo il piano.
Tra gli esperimenti effettuati, descriviamo il moto di una pallina che viene lasciata rotolare su un piano
particolare:

Esperimento della pallina lasciata rotolare su un piano costituito da tra tratti distinti: discesa, tratto
orizzontale, salita.

Nel primo tratto, il discesa, la pallina accelera, scendendo lungo i piano inclinato; percorre il tratto
orizzontale, e successivamente comincia a risalire il tratto successivo; questo, in salita, ha un’inclinazione
uguale a quello in discesa. Durante questo tratto, la sua accelerazione diminuisce sempre più, finché la
pallina non si ferma e comincia a discendere; (ciò accade esattamente quando raggiunge la stessa altezza
con dalla quale è partita).
Galilei notò che, anche variando l’inclinazione del secondo piano, la pallina raggiungeva sempre l’altezza
da cui era stata fatta partire; quando l’angolo di inclinazione è più piccolo di quello del primo piano, la
pallina percorre un tratto maggiore sul secondo prima di fermarsi. La decelerazione, quindi, è tanto più
lenta quanto minore è l’inclinazione del piano.
Da esperimenti come questi, Galilei arrivò a delle conclusioni. In assenza di attriti, se non vi fosse un
secondo piano inclinato, la pallina continuerebbe a percorrere il piano orizzontale con velocità costante,
pari a quella con cui raggiunge la base del primo piano inclinato.

IL PRIMO PRINCIPIO DELLA DINAMICA


Le osservazioni di Galilei furono, poi, riprese da Isaac Newton, che enunciò i tre principi della dinamica, su
cui si basa la meccanica classica; questi principi permettono anche di descrivere molti tipi di moti, fra cui
quelli dei pianeti. Il primo principio della dinamica, detto anche principio di inerzia, esplicita proprio le
intuizioni di Galileo Galilei. Possiamo distinguere due parti del principio, che riguardano, rispettivamente, i
corpi in quiete:

• Se la forza totale applicata ad un punto materiale che si trova in uno stato di quiete è zero, allora
esso continuerà a rimanere fermo;
• Se un punto materiale si trova in quiete, allora la forza totale che esso subisce è uguale a zero;

e i corpi in movimento:

• Se la forza totale applicata ad un punto materiale che si muove di moto rettilineo uniforme è
zero, allora esso continuerà a muoversi a velocità costante;
• Se un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme, allora la forza totale che esso
subisce è uguale a zero;

In particolare, la tendenza che un corpo ha a rimanere nel suo stato di moto viene definita inerzia; l’inerzia
è una proprietà intrinseca di tutti i corpi, ed è direttamente proporzionale alla loro massa.
Il primo principio della dinamica trova applicazione pratica in un esperimento di laboratorio, per cui si
utilizza un disco a ghiaccio secco; questo permette di mostrare il moto di un oggetto nel caso in cui gli
attriti sono ridotti al minimo.
Infatti, il disco è formato da una base circolare che libera biossido di carbonio allo stato solido, ed è poggiato
su una superficie liscia. La CO2 lentamente si trasforma in vapore creando un sottile strato che separa il
disco dalla base; in questo modo, il disco è soggetto solamente alla sua forza-peso e alla spinta del vapore,
che si annullano
Il disco può continuare all’infinito a muoversi a velocità costante sulla superficie piana; infatti, su di
esso non agiscono forze esterne.

Esperimento del disco a ghiaccio secco.

LE FORZE E L’ACCELERAZIONE
Come già sappiamo, per il primo principio della dinamica, se un corpo è fermo o si muove a velocità
costante, la risultante delle forze che agiscono su di esso è nulla, e il corpo tende a mantenere il suo stato
di moto.
Se però, in un sistema di riferimento inerziale, viene applicata una forza ad un corpo, tale forza può
modificare il suo stato, provocando in esso un’accelerazione. In particolare, se applichiamo ad un corpo
una forza costante, l’accelerazione cui è sottoposto il corpo è anch’essa costante. Il moto del corpo sarà,
quindi, un moto uniformemente accelerato.
Questo fatto è stato osservato sperimentalmente utilizzando un disco a ghiaccio secco trainato da un filo.

Esperimento del disco a ghiaccio secco trainato da un filo.

Supponiamo che il disco venga trainato applicando una forza costante, cioè mantenendo sempre uguale
l’allungamento dell’elastico; notiamo che in tempi uguali il disco percorre spazi diversi (sempre maggiori
mano a mano che procede in avanti); di conseguenza, esso si muove con una velocità variabile, e subisce
dunque un’accelerazione. Si può vedere che la distanza percorsa dal disco è direttamente proporzionale al
quadrato del tempo impiegato.
Si nota, anche sperimentalmente, che applicando una forza maggiore ad un corpo si ottiene
un’accelerazione maggiore; ciò significa che l’accelerazione di un corpo è direttamente proporzionale alla
forza che agisce su di esso.
Anche la massa di un corpo influisce sull’accelerazione che il corpo può subire. In particolare, a parità di
forza applicata, il corpo più leggero subirà un’accelerazione maggiore del corpo più pesante.

IL SECONDO PRINCIPIO DELLA DINAMICA


Le considerazioni fatte precedentemente sono riassunte nel secondo principio della dinamica.
La risultante delle forze applicate ad un corpo è uguale al prodotto della massa (inerziale) del corpo per la
sua accelerazione.

Le forze sono vettori, per questo si può parlare di forza risultante; come sempre, essa è data dalla somma
vettoriale delle forze che agiscono sul corpo.
La m che compare nella formula viene definita “massa inerziale”, ed è una quantità caratteristica di ogni
corpo; essa, quindi, è indipendente dalla sua forma, ma data dalla quantità di materia che costituisce il
corpo stesso.
L’aggettivo “inerziale” riprende il concetto per cui, a parità di forza applicata a corpi di massa diversi, quello
di massa maggiore subisce un’accelerazione minore. Possiamo, quindi, dire che questa grandezza esprime
come il corpo tenda a conservare la propria velocità, e quindi di come abbia inerzia.
Proprio per questo, la massa viene anche definita come la misura della resistenza che un corpo esercita al
tentativo di accelerarlo.
Il secondo principio della dinamica permette anche di dare una definizione alternativa all’unità di misura
della forza, il Newton.
Possiamo, infatti, definite 1 N come il valore della forza che si applica ad una massa di 1kg per imprimerle
un’accelerazione di 1m/s2.

LA CADUTA LIBERA
Nel caso in cui un oggetto venga lanciato da una certa altezza h, esso tenderà a cadere a terra, in quanto
sulla Terra è presente un’accelerazione di gravità (g=9,8ms2) che attrae tutti i corpi che si trovano su di
essa.

Forza di gravità che agisce su un corpo di massa m.

In questo caso, la forza che si ottiene viene definita forza-peso del corpo, o anche peso del corpo.

Esempio:
Consideriamo una massa m1 di 60 kg, e una massa m2 di 75 kg. Si vogliono appendere le due masse ad
una fune, collegata ad una carrucola, per trasportarle fino al terzo piano di un edificio. Sapendo che la fune
può sostenere, senza rompersi, una forza massima di 1500 N, riuscirà a reggere le due masse?
Per rispondere al quesito dobbiamo calcolare quale forza eserciteranno sulla fune le due masse, appese
insieme.
Possiamo, quindi, considerare la massa totale che viene appesa alla fune, data dalla somma delle due:

Calcoliamo, ora, con il secondo principio, la forza che tale massa esercita sulla fune, considerando come
accelerazione quella di gravità:

La forza risultante è minore di quella sopportata dalla fune, che quindi potrà reggere il carico.

INTERAZIONI TRA CORPI A CONTATTO E CORPI A DISTANZA


Consideriamo due magneti posti su due carrelli differenti, e orientati in modo da rivolgere, l’uno verso
l’altro, il polo con la stessa carica. I magneti, quindi, tendono a respingersi, e il cavo che unisce i due carrelli
è teso.

I carrelli si respingono, perché i magneti sono orientati con i poli dello stesso segno vicini.

I magneti si muovono in verso opposto, e quindi su di essi agiscono delle forze. Ogni magnete esercita
sull’altro una forza F, e le due forze sono uguali in modulo, ma hanno versi opposti.
Possiamo, quindi, dire che la forza che agisce su un magnete è uguale e opposta alla forza che esso esercita
sull’altro.
Anche nel caso di forze a contatto si ha una situazione analoga.
Consideriamo, ad esempio, un corpo fermo, situato sul pavimento. Su di esso agiscono due forze: una è la
forza peso, dovuta all’accelerazione di gravità, e rivolta verso il basso; l’altra è la reazione vincolare
esercitata dal pavimento, e rivolta verso l’alto.

La forza peso e la reazione del suolo sono uguali e contrarie, quindi si bilanciano: il corpo è in equilibrio.

Le due forze, anche in questo caso, sono uguali e contrarie, e la risultante di esse che agisce sul corpo è
nulla; per questo, il corpo è fermo e continua a rimanere fermo.
IL TERZO PRINCIPIO DELLA DINAMICA
Il terzo principio della dinamica, definito anche principio di azione e reazione, afferma che quando un corpo
A esercita una forza su un corpo B, anche il corpo B esercita una forza su A, e le due forze sono uguali in
modulo, hanno stessa direzione, ma verso opposto.

Questo principio è valido ogni volta che due corpi interagiscono tra loro; ciò vale sia se essi sono in contatto,
sia se essi sono a distanza, in movimento o fermi.
Notiamo che le forze di azione e reazione, cioè le forze che i corpi esercitano l’uno sull’altro, pur essendo
uguali e opposte non si annullano a vicenda, in quanto sono applicate su oggetti diversi.
Molto spesso, specialmente quando gli oggetti in questione hanno masse o grandezze molto differenti,
riusciamo a percepire solo una delle forze che agiscono; l’altra è talmente piccola che può essere
considerata trascurabile.
Ciò avviene, ad esempio, nel caso in cui abbiamo un oggetto in caduta libera, che viene attratto dalla Terra
a causa della forza di attrazione gravitazionale. Anche il corpo esercita una forza attrattiva nei confronti
della Terra, che è uguale e contraria di quella che a Terra esercita su di esso.

La Terra e il corpo esercitano l’uno sull’altra una forza attrattiva.

Tuttavia, mentre i corpo viene accelerato verso la Terra, quest’ultima, che ha una massa enorme rispetto
al corpo, offre una grandissima resistenza ad essere accelerata.

AUTOTRAZIONE E LOCOMOZIONE
Il terzo principio della dinamica trova applicazione in tutti quei sistemi che riguardano l’autotrazione e la
locomozione.
Esaminiamo, ad esempio, i fattori che permettono ad una bicicletta di spostarsi.
Quando la bicicletta si muove, la sua ruota esercita sull’asfalto una certa forza Fr−a, il cui verso è quello
opposto allo spostamento della bicicletta. Per il principio di azione e reazione, l’asfalto esercita una
forza Fa−r uguale e contraria alla precedente, e rivolta quindi nel verso dello spostamento della bici. E’
proprio tale forza che permette alla bicicletta di spostarsi e avanzare.
Le forze uguali e contrarie che agiscono nel punto di contatto ruota-asfalto permettono il movimento della
bicicletta.

Una situazione analoga riguarda il caso della locomozione. Quando camminiamo, infatti, esercitiamo una
forza sul terreno, spingendolo indietro. Allo stesso modo, il terreno esercita una forza sul nostro piede,
uguale e contraria alla nostra spinta. Il suolo, quindi, ci spinge in avanti, e ci permette così di camminare.

LA FORZA ELASTICA
Le molle sono strumenti di grande utilizzo, anche nella vita quotidiana, e ci permettono di svolgere
numerose azioni. In fisica, per esempio, abbiamo visto l’utilizzo di una molla nel caso del dinamometro,
che consente di determinare la forza-peso di un oggetto.
Una delle caratteristiche delle molle è il fatto che ogni volta che esse vengono deformate, cioè vengono
compresse o allungate, e si altera così il loro stato di riposo, esse tendono a tornare nella posizione di
equilibrio. Questo accade perché sulla molla agisce una forza propria di questo strumento, e perciò detta
forza elastica.
Consideriamo una molla parallela al piano orizzontale, e fissata al muro; supponiamo di tirare la molla
verso destra, allungandola rispetto alla posizione di riposo di una lunghezza Δx. La forza che stiamo
imprimendo alla molla è, quindi, rivolta nella stessa direzione dello spostamento, verso destra. La forza
elastica ha stessa direzione della nostra forza, ma verso opposto; infatti, la molla, cercando di tornare nella
posizione di riposo, tenderà a spostarsi verso sinistra; la forza elastica, quindi, ha sempre verso opposto
allo spostamento.

Allungamento della molla di una quantità ∆x rispetto alla posizione di riposo.

Consideriamo, ora, il caso in cui la molla venga compressa; la forza che stiamo applicando è ora rivolta
verso verso sinistra, nella stesso verso dello spostamento Δx. La molla cercherà di tornare nella sua
posizione di riposo, e quindi cercherà di allungarsi. La forza elastica agirà, quindi, verso destra, nella
direzione opposta allo spostamento.

Compressione della molla di una quantità ∆x rispetto alla posizione di riposo.

LA FORZA ELASTICA
Si può notare che il valore della forza elastica è direttamente proporzionale allo spostamento della molla
rispetto alla posizione iniziale.
Infatti, la forza elastica può essere espressa mediante la legge di Hooke, per cui si ha:
dove Δx rappresenta lo spostamento della molla, e k è una costante, detta costante elastica della molla. Il
segno meno che compare nell’espressione sottolinea proprio il fatto che il vettore forza elastica ha verso
opposto del vettore spostamento.
Questa legge vale solo nel caso di molle ideali e per deformazioni piccole; infatti, applicando forze
particolarmente elevate la molla potrebbe reagire imprevedibilmente, o addirittura deformarsi essa stessa.

IL MOTO ARMONICO DELLA MOLLA


Quando attacchiamo all’estremità di una molla (parallela al pavimento) una massa, ad esempio una pallina,
e deformiamo la molla rispetto alla posizione di riposo, trascurando gli attriti presenti tra il pavimento e la
massa, notiamo che la pallina comincerà a muoversi avanti e indietro, e subirà un’accelerazione da parte
della molla.
In particolare, la forza cui è soggetta la pallina è uguale alla forza elastica della molla:

Dove con s indichiamo lo spostamento della molla dalla posizione di riposo.


Notiamo che questa equazione è molto simile all’equazione che descrive il moto armonico, che ricordiamo
essere:

In effetti, la molla, oscillando avanti e indietro sotto l’azione della forza elastica, descrive proprio un moto
armonico; l’equazione può anche essere scritta come segue:

Da questa scrittura, possiamo facilmente dedurre che la pulsazione è data da:

Poiché il periodo dell’oscillazione è dato dal rapporto tra 2π e la pulsazione, otteniamo:

Esercizio
Consideriamo una molla posta a terra, e ancorata al terreno su un estremo. All’altro estremo della molla è
attaccata una sfera, che viene fatta ruotare sul piano orizzontale. La sfera descrive, così, un moto circolare
uniforme. Sapendo che la massa della sfera è di 0.21 kg, che la costante elastica della molla misura 289
N/m, che il raggio della circonferenza che percorre la sfera è di 0,381 m e che essa si muove con velocità
angolare pari a 3,21 rad/s, determiniamo la lunghezza della molla a riposo.
La sfera che si muove di moto circolare uniforme è sottoposta alla forza centripeta dovuta a tale moto;
questa forza è uguale alla forza elastica della molla. Da questa uguaglianza possiamo facilmente ricavare
l’entità dell’allungamento della molla:

Di conseguenza, la lunghezza della molla a riposo è data dalla differenza tra il raggio della circonferenza e
l’entità dell’allungamento:
Sostituendo i valori numerici abbiamo:

ESEMPIO DELLA BIGLIA


Consideriamo una biglia appoggiata su di un quaderno. Se il quaderno si trova su una superficie piana, ad
esempio su un tavolo, la biglia rimane ferma; per il primo principio della dinamica, infatti, le forze che
agiscono su di essa si bilanciano (forza-peso e reazione vincolare del tavolo), quindi la biglia tende a
mantenere il suo stato di moto.
Se, però, solleviamo leggermente il quaderno, noteremo che la biglia comincerà a muoversi; in particolare,
questa scenderà lungo il piano, nel verso dell’inclinazione.

Se il piano viene alzato, la biglia (prima in equilibrio) comincerà a muoversi.

Ciò accade perché le forze che agiscono sulla biglia sono state modificate, e l’equilibrio è stato alterato.
Inoltre, sono entrate in gioco anche altre forze, come la forza di attrito data dal contatto della biglia con la
superficie del quaderno.
Ipotizziamo che la superficie della sfera e quella del quaderno siano talmente tanto lisce che l’attrito
presente possa essere trascurato; esaminiamo le forze che si generano.

IL PIANO INCLINATO
Come nel caso della biglia che si trova in piano, anche sul piano inclinato essa è sottoposta alla forza-peso;
questa forza è rivolta verso il basso, ma per analizzare la situazione è conveniente scomporre il vettore
forza-peso nelle sue componenti, quella parallela al piano (F/), e quella ortogonale al piano (F⊥).
La componente parallela ha, come suggerisce il nome stesso, direzione parallela alla superficie del piano,
e verso diretto lungo la discesa; tale forza è responsabile del movimento della pallina lungo il piano.
La componente ortogonale, invece, ha direzione perpendicolare al piano, e verso diretto all’interno della
superficie. Tale forza è equilibrata dalla forza vincolare della superficie, che invece è rivolta verso l’esterno.
Scomposizione della forza-peso in componente parallela e componente perpendicolare rispetto la
superficie del piano inclinato.

In particolare, se indichiamo con h l’altezza del piano inclinato, con l la sua lunghezza (cioè l’ipotenusa) e
con α l’angolo che il piano forza con il suolo, la il modulo della componente parallela è dato dal prodotto
del modulo della forza-peso per il seno dell’angolo α:

Possiamo, poi, esprimere il seno dell’angolo come rapporto dell’altezza del piano (cateto) per la sua
lunghezza (ipotenusa); quindi abbiamo:

Notiamo che, poiché la forza-peso di un corpo è data dal prodotto della sua massa per la sua accelerazione,
la componente parallela della forza è direttamente proporzionale alla massa del corpo.

Dato che la massa dell’oggetto che si trova sul piano inclinato è sempre la stessa, la forza che agirà sul
corpo sarà una forza costante; ciò significa che tale forza produrrà un’accelerazione costante sul corpo, che
si muoverà quindi di moto uniformemente accelerato. I vettori forza e accelerazione, poi, hanno la stessa
direzione, diretta lungo il piano inclinato.
Dal secondo principio della dinamica (F=m⋅a) possiamo determinare il valore dell’accelerazione su un piano
inclinato:

Dato che l’accelerazione del corpo dipende dal rapporto h/l, possiamo notare che se tale rapporto è
prossimo a 1; cioè se l’inclinazione del piano è molto elevata, l’accelerazione del corpo è circa quella di
gravità, quindi il suo moto può essere considerato come il moto in caduta libera.
LA PRESENZA DELL’ATTRITO
Nel caso in cui il piano inclinato è costituito da una superficie ruvida, dobbiamo considerare la presenza
dell’attrito che si genera tra il corpo e la superficie.
Finché il corpo rimane fermo, in equilibrio sul piano, su di esso agisce, oltre la forza peso con le sue
componenti, e la reazione vincolare, anche la forza di attrito statico (Fs). Tale forza ha direzione parallela
al piano, e verso opposto a quello della componente parallela della forza-peso; inoltre, tale forza non è
costante, ma varia in base al valore della forza peso che sta bilanciando.
La forza di attrito statico può bilanciare la forza-peso fino ad un certo punto, raggiungendo il suo valore
massimo in modulo; successivamente l’equilibrio verrà perso, e il corpo comincerà a muoversi.
Quando il corpo è in movimento, continuerà ad agire su di esso una forza di attrito, detta forza di attrito
dinamico (Fd). Tale forza, diretta parallelamente al piano, e opposta alla componente parallela, ostacolerà
la discesa del corpo, rallentando la sua caduta.

La forza di attrito contrasta la componente parallela della forza-peso, influendo sullo stato di equilibrio del
corpo.

IL PENDOLO SEMPLICE: EQUILIBRIO E MOTO ARMONICO


Il pendolo è uno strumento costituito da una sferetta di massa m attaccata ad una superficie orizzontale
rigida per mezzo di un filo, o un’asta, inestensibile e di massa trascurabile.
Quando la massa si trova lungo la verticale rispetto al piano, il pendolo è in una posizione di equilibrio.
Infatti, le forze che agiscono sulla sfera sono solamente la forza peso relativa alla sua massa, e la tensione
della fune; queste sono uguali in modulo, e hanno verso opposto, quindi si bilanciano; per questo, la sfera
è ferma in una posizione di equilibrio.

Il pendolo è in equilibrio quando la tensione della fune e la forza peso sono uguali e contrarie, cioè
quando si bilanciano.
Se, però, prendiamo la sfera e la spostiamo dalla posizione iniziale di equilibrio, e la lasciamo andare,
questa comincerà ad oscillare; nel caso in cui gli attriti che si generano, dovuti all’aria e allo sfregamento
nel punto in cui è attaccato il filo, siano trascurabili, la sfera continuerebbe ad oscillare con un’oscillazione
praticamente costante.

Il pendolo oscilla in modo costante: la forza che influenza l’oscillazione è la componente parallela della
forza-peso.

Inoltre, possiamo notare che anche il pendolo descrive un moto armonico, dovuto alla massa della pallina
e alla sua forza-peso.
Scomponiamo la forza-peso della pallina nelle sue componenti: F/ che ha direzione tangente alla traiettoria
descritta dalla pallina, e F⊥ che, invece, da direzione perpendicolare ad essa; notiamo che la tensione della
fune è bilanciata dalla componente perpendicolare della forza-peso. Il moto della pallina, quindi, dipende
da F/, che, anche in questo caso, come per la forza elastica, ha verso contrario a quello dello spostamento.
Infatti, tale forza agisce contro il moto della pallina, e tende a riportarla nella posizione di equilibrio.
Questa caratteristica della forza che agisce sulla pallina nel caso del pendolo, è in accordo con il fatto che
anche per il pendolo si può parlare di moto armonico.
Possiamo, infatti, mostrare che anche in questo caso si può determinare un’equazione del moto che
rispecchia quella del moto armonico.
Indichiamo con $\alpha$ l’angolo che si forma tra la fune e la verticale; la componente della forza-peso
tangente alla traiettoria si ottiene in questo modo:

Possiamo approssimare con d la lunghezza dell’arco di traiettoria corrispondente nel caso in cui le
oscillazioni siano piccole.
Indichiamo con s il vettore spostamento, e sapendo che la forza tangente ha direzione opposta a tale
vettore, possiamo scrivere:

Poiché tale forza imprime un’accelerazione alla pallina, abbiamo la relazione F=m⋅a, dal secondo principio
della dinamica. Uguagliando le due espressioni, otteniamo l’equazione cercata:
IL PERIODO DI OSCILLAZIONE
Una caratteristica molto importante del pendolo, che ha permesso ai fisici di costruire orologi basati sulla
sua oscillazione, riguarda la durata delle oscillazioni, e quindi il periodo.
Il periodo del pendolo può essere calcolato mediante la seguente formula:

dove con l si indica la lunghezza del filo, e con g l’accelerazione di gravità.


Come possiamo notare, il periodo di oscillazione del pendolo non dipende in alcun modo dall’angolo di
oscillazione, cioè dall’ampiezza dell’oscillazione, o dalla distanza (d) dalla posizione di riposo.
Questo significa che, quando con il passare del tempo, a causa degli attriti con l’aria, le oscillazioni
diventano sempre più piccole, passando da un angolo iniziale γ a un angolo successivo γ’, il tempo impiegato
dalla pallina per spaziare il secondo angolo sarà esattamente uguale a quello impiegato per spaziare il
primo.

Il tempo impiegato per spaziare il primo angolo è uguale al tempo impiegato per spaziare il secondo

Questa particolare proprietà è detta isocronia; grazie ad essa è possibile sfruttare il meccanismo del pendolo
per costruire gli orologi.

Esempio:

Calcoliamo il periodo di oscillazione di un pendolo, sapendo che la lunghezza del filo è di 51 cm, e che alla
sua estremità è attizzata una massa di 43 g (ci troviamo sulla Terra).
Per determinare il periodo di oscillazione del pendolo utilizziamo la formula vista precedentemente;
ricordiamo che le grandezze devono essere espresse nelle giuste unità di misura:

Notiamo che il problema ci ha fornito un dato superfluo: il periodo di oscillazione, infatti, è indipendente
dalla massa appesa al filo.
IL CONCETTO DI LAVORO
Il concetto di lavoro è strettamente collegato a quello di forza e di spostamento. Quando, infatti, solleviamo
una cassa e la trasportiamo per un certo tratto, abbiamo compiuto un lavoro.
Inoltre, questa nuova grandezza è strettamente collegata con il concetto di energia. Tutte le volte, infatti,
che abbiamo compiuto un lavoro su un corpo, questo corpo ha acquisito a sua volta la capacità di compiere
un lavoro.
Ad esempio, se compiamo un lavoro mettendo in moto un carrello, esso potrà urtare un oggetto fermo
mettendolo in moto a sua volta. Si dice, quindi, che il carrello ha acquisito energia. L’energia, poi, può
essere di tipo diverso, a seconda del corpo che stiamo considerando; nel caso del carrello, si parla di energia
di movimento. Se consideriamo una cassa che viene sollevata, essa possederà un’energia di posizione;
facendola cadere, infatti, la forza-peso compie un lavoro positivo.

DEFINIZIONE DI LAVORO
Diamo una definizione di lavoro di una forza F come il prodotto scalare della forza per lo spostamento
rispetto al punto di applicazione:

dove con θ si indica l’angolo compreso tra i vettori forza e spostamento


Il lavoro di una forza, quindi, dipende dall’angolo compreso tra il vettore forza e il vettore spostamento; di
conseguenza, in base alla posizione di essi, potremmo avere un lavoro positivo, negativo o nullo.
Consideriamo il caso in cui il vettore forza e il vettore spostamento siano paralleli; ciò accade, ad esempio,
quando spingiamo in avanti un carrello:

Nello spostamento di un oggetto, il vettore forza e il vettore spostamento sono paralleli.

In questo caso, l’angolo compreso tra tali vettori è 0; possiamo calcolare il lavoro compiuto semplicemente
come prodotto del modulo della forza per l’entità dello spostamento, essendo il coseno di 0 uguale a 1:

LAVORO MOTORE E LAVORO RESISTENTE


Il lavoro che si compie sotto le ipotesi precedenti serve, quindi, per compiere determinate azioni; ad
esempio per mettere in moto un corpo fermo, o mantenere in movimento un corpo che si sta già muovendo;
per questo prende il nome di lavoro motore.
In particolare, si può definire l’unità di misura del lavoro, cioè il Joule (J), come il lavoro compiuto da una
forza di 1N quando questa provoca lo spostamento di un metro dal punto di applicazione: 1 J = 1 N ⋅1 m.
Consideriamo, ora, il caso in cui il vettore forza e il vettore spostamento siano opposti; ciò accade, ad
esempio, quando cerchiamo di rallentare, o di fermare, un oggetto in movimento:

Durante l’arresto di un oggetto in moto, la forza esterna che agisce sull’oggetto ha verso opposto del
vettore spostamento dell’oggetto.
In questo caso l’angolo compreso tra i due vettori è di 180°; poiché il coseno di tale angolo è -1, il valore
del lavoro sarà negativo, e dato da:

La forza applicata al corpo, quindi, si oppone al suo spostamento; il lavoro che ne deriva viene detto lavoro
resistente. Nel caso, invece, in cui il vettore forza e il vettore spostamento siano perpendicolari, per esempio
nel caso della forza-peso che agisce su una valigetta che stiamo trasportando, l’angolo compreso tra i
vettori è di 90°.

Su un oggetto appeso ad una carrucola in movimento agisce una forza peso il cui vettore è
perpendicolare al vettore spostamento.

Poiché il coseno di 90° è zero, il lavoro risulterà nullo.

In questo caso, quindi, la forza peso non influenza in alcun modo lo spostamento del corpo, e non compie
lavoro.

IL LAVORO COMPIUTO DA PIÙ FORZE


Se vi sono due o più forza che agiscono contemporaneamente su un corpo che si sposta, può capitare che
solo alcune di esse compiano lavoro.
In particolare, possiamo calcolare il lavoro totale generato dalle forze sul corpo in due modi.

• Calcolando il lavoro eseguito da ogni singola forza sul corpo, e poi sommare algebricamente i
lavori ottenuti;
• Calcolando la risultante delle forze che agiscono, e successivamente il lavoro che compie la
risultante.

LA POTENZA E IL LAVORO
In generale, è possibile compiere uno stesso lavoro in modi differenti, e accade che alcuni di essi possono
rivelarsi più vantaggiosi di altri.
Ad esempio, se dobbiamo raggiungere il quinto piano di un palazzo possiamo scegliere se salire le scale a
piedi, o prendere l’ascensore. In entrambi i casi viene compiuto un lavoro; nel primo caso sono i nostri
muscoli che ci permettono di salire, nel secondo è il motore dell’ascensore che compie il lavoro. In entrambi
i casi il lavoro compiuto è uguale a quello che compie la forza peso cambiato di segno, perché la forza che
ci permette di salire è rivolta verso l’alto.
Ciò che differenzia le due tipologie di lavoro, però, è la durata dell’operazione; scegliendo di salire le scale
impiegheremo un tempo maggiore di quello ottenuto prendendo l’ascensore.
La potenza è proprio la misura che tiene conto del tempo che una forza impiega a compiere un lavoro.
La potenza (P) si definisce come il rapporto tra il lavoro compiuto da un sistema e l’intervallo di tempo
necessario a compierlo:

Riferendoci all’esempio precedente, diremo che l’ascensore è più potente di un uomo che sale le scale, in
quanto è in grado di compiere la stessa operazione in un tempo notevolmente minore.
L’unità di misura della potenza è il watt, definito come la potenza di un sistema che compie il lavoro di un
joule in un secondo: 1 W = 1 J / 1 s.

LA POTENZA E LA VELOCITÀ
Consideriamo, ora, il caso in cui una forza F agisca su un corpo producendo un certo spostamento s in un
intervallo di tempo ∆t. Supponiamo, inoltre, che il vettore forza sia parallelo al vettore spostamento. Come
sappiamo, il lavoro prodotto dalla forza è dato dal prodotto della forza per lo spostamento: L = Fs.
Possiamo, quindi, esprimere la potenza prodotta nel seguente modo:

Se la forza applicata al corpo fa si che esso si muova a velocità costante, il rapporto s/∆t rappresenta
proprio la velocità del corpo; possiamo esprimere, quindi, la potenza come prodotto della forza per la
velocità:

IL CONCETTO DI MACCHINA
Con il concetto di macchina si esprime un qualsiasi dispositivo che sia capace di compiere un lavoro. Una
macchina, quindi, può essere un ascensore, un’automobile, una pompa, e, come abbiamo visto prima,
anche un essere umano.
Come tale, ogni macchina possiede una determinata potenza, cioè una quantità di lavoro massimo che può
compiere in un determinato intervallo di tempo.
Molti degli elettrodomestici che abbiamo in casa, ad esempio, sono macchine, e la loro potenza è espressa
in kW (kilowatt); 1 kW corrisponde a 1000 W.

Esempio
Per mantenere in movimento un’automobile e permetterle di viaggiare a velocità costante, il suo motore
deve fornire una forza di 4000 N per vincere gli attriti con l’aria. La potenza totale che viene erogata dal
motore dell’auto è di 80 kW. Sapendo che una potenza di 15 kW viene dissipata a causa degli attriti interni
del motore, a quale velocità si muove l’automobile? Qual è, inoltre, il lavoro compiuto dal motore
dell’automobile se essa percorre un tratto di strada di 1,5 km?

Dai dati del problema, sappiamo che il motore eroga una potenza di 80 kW, ma 15 kW vengono dissipati;
di conseguenza, la potenza netta che viene impiegata è di:

P=(80−15)kW=65kW

Trasformiamo la potenza nella giusta unità di misura, ricordando che 1 kW corrisponde a 1000 W:

P=65kW=65000W

La forza che impiega il motore è di 4000 N; sapendo che la potenza può essere espressa come prodotto
della forza per la velocità (nel caso di velocità costante), possiamo ricavare il valore della velocità:

P=f⋅v → v=P/F
Sostituiamo i valori numerici:

v=P/F=65000W/4000N=16,25m/s

Per determinare il lavoro compiuto, abbiamo bisogno di conoscere l’intervallo di tempo in cui l’auto è
rimasta in movimento.
Sappiamo che essa ha percorso 1,5 km, cioè 1500 m; conoscendo la sua velocità, possiamo calcolare il
tempo impiegato:

t=s/v=1500m/16,25ms=92,31s

Dato che la potenza è espressa come rapporto del lavoro sull’unità di tempo, ricaviamo il lavoro effettuato:

P=L/t → L=P⋅t

Sostituiamo i valori numerici:

L=P⋅t=65000W⋅92,31s=6000150J=6,0⋅106J

DEFINIZIONE DI ENERGIA CINETICA


Come sappiamo, un qualsiasi oggetto che è in movimento è capace di compiere un lavoro.
Ad esempio, un carrello che si muove può colpire un oggetto fermo e metterlo in movimento a sua volta;
oppure può urtare una molla e comprimerla. Proprio per questo, l’oggetto in questione possiede energia;
in particolare, poiché questa energia dipende proprio dal fatto che l’oggetto si sta muovendo, essa prende
il nome di energia cinetica.
L’energia cinetica di un corpo di massa m (indicata con k), che si muove con velocità v è definita come il
semiprodotto della massa del corpo per la sua velocità al quadrato:

Anche l’energia cinetica, come il lavoro, si esprime nel Sistema Internazionale in Joule.
Il concetto di energia, quindi, è strettamente collegato a quello di lavoro. Infatti, l’energia cinetica può
anche essere espressa come:

• Il lavoro che una forza deve compiere per mettere in moto un oggetto di massa m, inizialmente
fermo, e portarlo alla velocità v;
• Il lavoro che un oggetto di massa m, che si muove a velocità v, deve compiere per essere fermato
(in questo caso il lavoro è negativo).

L’EFFETTO DI UNA FORZA SULL’ENERGIA


CINETICA
Ipotizziamo che un corpo in movimento sia
soggetto ad una forza esterna; in base alla
posizione del vettore forza rispetto al corpo, tale
forza influisce diversamente sull’energia cinetica di
esso. Consideriamo 3 casi.

• Il vettore forza è parallelo al vettore


velocità: in questo caso la forza che agisce
può favorire o ostacolare il moto del corpo;
infatti, se il vettore velocità e il vettore
forza hanno stessa direzione e stesso verso
(come nel caso di un oggetto in caduta
libera), l’effetto della forza aumenta
l’energia cinetica del corpo; altrimenti, se i
due vettori hanno stessa direzione ma
verso opposto (come nel caso di un oggetto che viene lanciato verso l’alto), la forza diminuisce
l’energia cinetica del corpo.

• Il vettore forza è perpendicolare al vettore velocità: in questo caso, la forza che agisce non
modifica in alcun modo l’energia cinetica del corpo. Un esempio è quello del moto circolare
uniforme, per il quale si ha una velocità costante in modulo (ma che cambia continuamente
direzione e verso), il cui vettore ha direzione tangente alla curva descritta dal corpo. La forza
responsabile del moto è la forza centripeta, diretta verso il centro della circonferenza, e quindi
perpendicolare al vettore velocità. Tale forza, quindi, modifica direzione e verso del vettore velocità,
ma non il suo modulo, che resta costante; per questo, l’energia cinetica non cambia.

Forza e velocità nel caso di un moto circolare uniforme.

• Il vettore forza e il vettore velocità formano un angolo α:il questo caso, forza e velocità non
sono né paralleli né perpendicolari, ma vi è un angolo tra essi. Per comprendere gli effetti della
forza sull’energia cinetica, scomponiamo il vettore forza nelle sue componenti; abbiamo F\,
parallelo alla velocità, che modifica l’energia cinetica ma non la direzione del moto; e F⊥,
perpendicolare al vettore velocità, che invece modifica la direzione della velocità ma non il suo
modulo, e quindi non influenza l’energia cinetica.

Scomposizione del vettore forza nelle componenti parallela e perpendicolare rispetto al piano.

IL TEOREMA DELL’ENERGIA CINETICA


Quando viene applicata una forza ad un oggetto in movimento, cambia la sua energia cinetica.
Il teorema dell’energia cinetica è riassunto dalla seguente formula:

Il cambiamento di energia cinetica che subisce l’oggetto in movimento è uguale al lavoro compiuto dalla
forza sull’oggetto.
Nel caso in cui la velocità finale è nulla ci si riconduce al caso in cui un corpo in movimento viene fermato;
di conseguenza, il lavoro compiuto (che è negativo) è uguale all’energia cinetica iniziale.
Analogamente, se la velocità iniziale è nulla, si ha il caso di un corpo che viene messo in
movimento; l’energia cinetica finale sarà uguale al lavoro che si deve compiere (in questo caso si ha un
lavoro positivo) per portare il corpo alla velocità finale.

FORZE CONSERVATIVE E DISSIPATIVE


Le forze possono essere suddivise in due categorie, quelle conservative e quelle dissipative.
Le prime, sono forze per le quali il lavoro compiuto dipende solo dalla posizione iniziale e da quella finale,
e non dal particolare tragitto che viene effettuato durante lo spostamento.
Se una forza non è conservativa, allora essa si dice dissipativa.

Esempio di forza conservativa


La forza-peso è un esempio di forza conservativa.
Cerchiamo di capire questo concetto esaminando il valore del lavoro che compie la forza peso durante la
discesa di una biglia in due diverse circostanze: nel primo caso lungo un piano inclinato, e nel secondo
lungo una scalinata.
Consideriamo un piano inclinato di altezza h e di lunghezza l, e una biglia che si trova in cima ad esso.

Forza peso che agisce su una biglia in discesa su un piano inclinato.

Sappiamo che il valore della forza peso (componete parallela) che agisce sulla biglia è dato da:

Il lavoro che compie la forza peso, quindi, è dato dal prodotto della forza per lo spostamento, quindi vale:

Ora consideriamo una scala di quattro gradini, ciascuno di altezza rispettivamente h1, h2, h3, h4.
Discesa di una biglia da una scala composta da gradini.

Quando la biglia scende lungo la scala, la forza peso compie lavoro solo nei tratti verticali; in ciascun tratto
il lavoro è dato dal prodotto della forza peso per lo spostamento, e il lavoro totale è dato dalla somma dei
singoli lavori:

Mettendo in evidenza Fp, ci riconduciamo alla formula precedente:

Concludiamo che il lavoro compiuto dalla forza peso nei due esempi precedenti è esattamente lo stesso.

Esempio di forza dissipativa


Un esempio di forza dissipativa è la forza di attrito radente.
Mentre, infatti, nel caso delle forze conservative il lavoro svolto può essere recuperato (per questo il termine
“conservative”), per le forze dissipative il lavoro svolto per vincere una determinata forza non può essere
più recuperato.
Consideriamo, ad esempio, una scatola che viene fatta salire su di un piano inclinato in presenza di attrito.
Per permettere alla scatola di salire è necessario applicare ad essa una forza maggiore della componente
parallela della forza peso, così da vincere anche la forza di attrito.
Il lavoro è quindi maggiore di Fp⋅h, dove h è la lunghezza del piano.
Se la scatola, che si trova in cima al piano, ricadesse giù lungo di esso, la forza peso compierebbe un lavoro
pari esattamente a FP⋅h .
Di conseguenza, il lavoro fatto inizialmente non è più recuperabile.
Si dice che, quando la scatola si trova in cima al piano, essa possiede un’energia potenziale, proprio perché
ritornando alla posizione iniziale la forza peso può compiere una lavoro.

L’ENERGIA POTENZIALE
Il concetto di energia potenziale può esser applicato a tutte le forze conservative.
Si definisce la variazione di energia potenziale ΔU=(UB–UA) come l’opposto del lavoro che viene fatto dalla
forza F durante il tragitto dalla posizione A alla posizione B.

In particolare, il valore dell’energia potenziale in un particolare punto dipende dalla scelta del livello zero
dell’energia potenziale.
Quindi, una volta scelta una condizione R tale che UR=0, si definisce energia potenziale in un punto A
proprio il lavoro che la forza F compie nel passaggio da A alla situazione di riferimento:
Il concetto di energia potenziale può essere applicato solo al caso di forze conservative; infatti, se avessimo
una forza dissipativa, non potremmo parlare di una grandezza pari al lavoro svolto dalla forza F nel
passaggio da un punto ad un altro.
Il lavoro, infatti, dipende proprio dal percorso effettuato, e non solamente dal punto iniziale e quello finale.
Di conseguenza, tale grandezza sarebbe differente ogni volta che si sceglie un percorso diverso, e non
avrebbe senso dare una definizione generale.

L’ENERGIA POTENZIALE GRAVITAZIONALE


Quando un corpo si trova ad una certa altezza, come per esempio una scatola sopra ad un tavolo o a una
mensola, esso possiede un’energia. Infatti, quando l’oggetto viene lasciato cadere, esso acquista velocità,
e quindi possiede energia cinetica, dovuta all’azione della forza di gravità, che compie un lavoro su di esso.
Questa energia si può osservare solo quando il corpo viene messo in movimento, per questo prende il nome
di energia potenziale gravitazionale.
Se lasciamo cadere una scatola posta su un tavolo, e una scatola, di uguali dimensioni, posta su una
mensola (ad altezza maggiore), notiamo che la scatola posta sulla mensola impiegherà più tempo a cadere,
acquistando anche una velocità, e quindi un’energia cinetica, maggiore. Nel primo caso, infatti, la forza
peso compie un lavoro maggiore rispetto al secondo caso per far cadere la scatola. Per questo, essa
possederà un’energia potenziale gravitazionale maggiore della scatola posta sul tavolo.
Si definisce l’energia potenziale gravitazionale (U) di un oggetto di massa m posto ad altezza h rispetto al
livello zero del sistema di riferimento, il prodotto dell’altezza per la massa per l’accelerazione di gravità:

L’energia potenziale gravitazionale di un corpo posto ad altezza h corrisponde al lavoro fatto dalla forza
peso durante la caduta del corpo fino al livello zero di energia potenziale.

Notiamo che il livello zero del sistema di riferimento è arbitrario, quindi può essere scelto a piacere; l’energia
potenziale dell’oggetto dipenderà da tale scelta.
Si può definire l’energia potenziale gravitazionale anche come il lavoro compiuto dalla forza-peso quando
il corpo si sposta dalla posizione iniziale (altezza h) a quella di riferimento (livello zero).

ESEMPIO:
Uno scalatore che pesa 750 N porta in spalle l’attrezzatura necessaria e raggiunge l’altezza di 3 m sul livello
del mare. Sapendo che il lavoro compiuto dallo scalatore durante la salita è di 2400 J, calcolare la massa
dell’attrezzatura.
Dalla definizione di energia potenziale gravitazionale, sappiamo che essa è uguale al lavoro che compie la
forza-peso quando il corpo si sposta dalla posizione iniziale a quella di riferimento. Di conseguenza, dai dati
forniti dal problema, possiamo affermare che lo scalatore che si trova all’altezza di 3 m sul livello del mare
possiede un’energia potenziale gravitazionale di 2400 J.
Dalla formula dell’energia potenziale gravitazionale sappiamo che U=M⋅g⋅h , dove h = 3 m, g è
l’accelerazione di gravità, e M indica la massa complessiva del corpo, quindi la massa dello scalatore più
quella dell’attrezzatura.
Dal peso dello scalatore, di 750 N, possiamo ricavare il valore della sua massa, infatti si ha:

Sostituendo i valori numerici abbiamo:

Possiamo ricavare la massa dell’attrezzatura da quella dell’energia potenziale gravitazionale:

Il valore della massa dell’attrezzatura è quindi:

L’ENERGIA POTENZIALE ELASTICA


Come sappiamo, quando una molla viene deformata, quindi viene compressa, o allungata, la forza elastica
agisce in verso opposto a quello dello spostamento; la forza, quindi, agisce in modo da far tornare la molla
alla posizione di riposo. Di conseguenza, la molla deformata può compiere un lavoro quando viene lasciata
andare.
Per questo si dice che essa possiede un’energia potenziale, detta appunto energia potenziale elastica.
In questo caso, il livello zero dell’energia potenziale si ha nella posizione di riposo della molla.
Anche in questo caso possiamo dare una definizione dell’energia potenziale strettamente collegata con il
lavoro; infatti, possiamo definire l’energia potenziale elastica come il lavoro che compie la forza elastica
quando la molla deformata viene riportata nella sua posizione di riposo.
Notiamo che, in questo caso, il valore dell’energia potenziale elastica sarà sempre positivo; i vettori forza
e spostamento, infatti, hanno sempre lo stesso verso, quindi il lavoro compiuto è positivo.
L’energia potenziale elastica può essere calcolata mediante la seguente formula:

dove k indica la costante elastica della molla, e s lo spostamento della molla, quando viene deformata,
rispetto alla posizione di riposo.

L’ ENERGIA MECCANICA
L’energia cinetica e l’energia potenziale sono due grandezze strettamente collegate, tanto che l’una può
“trasformarsi” nell’altra in determinate condizioni.
Ad esempio, consideriamo un oggetto posto ad una certa altezza h rispetto il livello zero dell’energia
potenziale. L’oggetto, inizialmente fermo, possiede solo energia potenziale, dovuta all’altezza cui si trova
e alla sua massa. Quando, però, l’oggetto viene fatto cadere, man mano che esso scende la sua altezza
rispetto al livello zero diminuisce, e quindi diminuisce anche la sua energia potenziale. Ma, nel frattempo,
l’oggetto acquista velocità, dovuta all’azione della forza-peso; di conseguenza, l’oggetto possederà
un’energia cinetica sempre maggiore. In prossimità del livello zero, l’energia potenziale sarà praticamente
nulla, mentre sarà massima l’energia cinetica.

L’energia potenziale si trasforma in energia cinetica durante la caduta del corpo, cosicché la sua energia
totale rimane costante

Durante la caduta del corpo, quindi, su ha una diminuzione costante dell’energia potenziale, e un aumento
costante dell’energia cinetica, e i due fenomeni avvengono contemporaneamente, come se le energie si
trasformassero l’una nell’altra.
In particolare, se non sono presenti attriti nel sistema, possiamo affermare che la somma dell’energia
cinetica e dell’energia potenziale (che prende il nome di energia meccanica) rimane sempre uguale;
l’energia meccanica, cioè, si conserva.

La conservazione dell’energia meccanica, però, avviene solo in determinate condizioni: il sistema fisico che
si sta considerando deve essere isolato, cioè non vi devono essere delle forze esterne che agiscono su di
esso; inoltre, tutte le forze che agiscono in tale sistema devono essere conservative.

Esempio
Consideriamo un oggetto di massa 8 kg appeso ad un’altezza h = 10 m rispetto al suolo. Se il filo viene
tagliato, l’oggetto comincia a cadere sotto l’azione della forza di gravità, e in assenza di forze esterne.
Quanto vale la velocità del corpo quando si trova a 4,0 m dal suolo? A quale altezza si trova quando la sua
velocità è di 6,0 m/s?
Quando il corpo si trova nella posizione iniziale, esso è fermo, perché appeso al filo. Quindi, l’energia
meccanica del corpo è data unicamente dal valore della sua energia potenziale, in quanto l’energia cinetica
è nulla:

Sostituendo i valori numerici abbiamo:

Quando il corpo si trova a 4 m dal suolo, esso possiede dia energia potenziale che energia cinetica; poiché
l’energia meccanica si conserva, la somma di tali energie sarà proprio uguale ad essa.

Da questa formula possiamo ricavare il valore della velocità:

Sostituiamo i valori numerici:

Per rispondere al secondo quesito, ricaviamo dalla formula precedente il valore dell’altezza:

Sostituendo i valori numerici si ottiene:

L’ENERGIA TOTALE
Molto spesso le situazioni reali sono assai diverse da quelle ideali, e quasi sempre accade che l’energia
meccanica di un sistema non si conservi.
Nell’esempio precedente abbiamo visto che quando l’oggetto in caduta si trova in prossimità del livello zero
di energia potenziale, quest’ultima è praticamente nulla, mentre l’energia cinetica è massima. Ma cosa
accade nel preciso momento in cui l’oggetto raggiunge il suolo, cioè il livello zero?
In questo caso, l’energia potenziale è nulla, ma lo è anche l’energia cinetica, perché l’oggetto cadendo a
terra si ferma.
Ciò accade anche, ad esempio, nel caso di un’automobile in frenata: l’energia cinetica che possiede
l’automobile viene persa durante la frenata, fino ad esaurirsi completamente quando l’auto è ferma.
Sembra, quindi, apparentemente, che vi sia una perdita di energia.
Consideriamo il caso di oggetti che si muovono con elevata velocità, come ad esempio un proiettile, o
un’automobile.
Se riuscissimo a bloccare con le dita un proiettile sparato, ci accorgeremo che esso è caldo; allo stesso
modo, quando un’automobile in corsa frena, i dischi dei freni si riscaldano a causa dell’attrito.
Notiamo, quindi, che l’energia che precedentemente sembrava essere sprecata, si è in realtà trasformata
in energia interna dei corpi, che viene percepita sotto forma di calore, cioè come aumento della temperature
dei corpi stessi.
L’energia interna dei corpi non fa parte dell’energia meccanica; tuttavia, se consideriamo tutte le forme di
energia che possono coinvolgere un determinato sistema (ad esempio, l’energia meccanica, interna,
elettrica, ecc….), possiamo affermare che in tale sistema (che deve essere isolato) l’energia totale si
conserva.

GLI EFFETTI DEI CORPI IN MOVIMENTO


Come sappiamo, gli oggetti in movimento sono in grado di produrre degli effetti (compiendo un lavoro) su
altri oggetti, che magari sono fermi.
Consideriamo due sfere in movimento, che urtano contro una superficie.
A parità di velocità, se le sfere hanno massa diversa (m e M), quella di esse con massa maggiore (M) urterà
la superficie con una forza maggiore; lo stesso accade se le due sfere hanno massa uguale, ma si muovono
con velocità diverse (v e V); la sfera che si muove a velocità maggiore (V) colpirà la superficie con una
forza maggiore.
Cosa accade, però, se le sfere hanno sia massa che velocità diverse?
Può accadere che, se la sfera con massa minore (m) si muove molto velocemente, con velocità V, e quella
con massa maggiore (M) si muove più lentamente, con velocità v, colpendo la superficie producano lo
stesso effetto. Può accadere, cioè, che esse urtino la superficie con la stessa forza.

LA QUANTITÀ DI MOTO
Gli effetti prodotti da un corpo in movimento, quindi, dipendono sia dalla velocità con cui esso si sta
muovendo, sia dalla sua massa.
Per questo è utile introdurre una nuova grandezza, definita quantità di moto, espressa come il prodotto
della massa del corpo per la sua velocità:

La quantità di moto è un vettore che ha la stessa direzione e lo stesso verso del vettore velocità; il suo
modulo è direttamente proporzionale sia alla velocità del corpo che alla sua massa.

LEGGE DI CONSERVAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MOTO


In un sistema dove non agiscono forze esterne, la quantità di moto totale del sistema si conserva.
Questa legge vale se si considera la quantità di moto presente all’interno del sistema generale, non la
quantità di moto di un singolo elemento. Infatti, può accadere che in due istanti diversi un determinato
oggetto abbia quantità di moto differenti, in quanto, ad esempio, esso può subire una variazione di velocità.
Consideriamo, per esempio, due carrelli della stessa massa collegati con una fune, sopra ai quali sono poste
due calamite orientate in modo da avere i poli dello stesso segno vicini. I carrelli tendono, quindi, a
respingersi, e per questo la fune è in tensione.
Poiché i carrelli sono fermi, la loro quantità di moto iniziale è nulla; anche la quantità di moto dell’intero
sistema (cioè dei due carrelli considerati insieme) è, quindi, nulla.

La quantità di moto dei carrelli è nulla, poiché essi sono fermi; è nulla anche la quantità di moto totale del
sistema.
Se, però, la fune che unisce i carrelli viene tagliata, essi, respingendosi, tenderanno a muoversi in direzioni
opposte, acquistando, quindi, velocità. La quantità di moto è un vettore che ha la stessa direzione e lo
stesso verso del vettore velocità; di conseguenza, poiché i carrelli si muovono in versi opposti, tali saranno
anche i vettori quantità di moto; i vettori velocità dei carrelli, infatti, hanno stessa direzione e verso
opposto.

La quantità di moto dei carrelli è diversa da zero, poiché essi si stanno muovendo; la quantità di moto
totale del sistema, invece, è nulla, perchè i carrelli si muovono in versi opposti.

Notiamo, quindi, che la quantità di moto dei singoli carrelli è variata nelle due situazioni; la quantità di
moto dell’intero sistema, invece, è rimasta uguale. I vettori quantità di moto, infatti, hanno stesso modulo,
stessa direzione ma verso opposto, e quindi si annullano.

Esercizio
Consideriamo due automobili che si muovono in direzioni tra loro perpendicolari; sapendo che la massa
delle automobili è di 1500 kg, e che esse si muovono alla velocità di 120 km/h, calcoliamo:

• Il valore della quantità di moto di ciascuna di esse;


• Il valore della quantità di moto totale delle due auto.

Per calcolare il modulo della quantità di moto di ciascuna auto, possiamo semplicemente applicare la
definizione di quantità di moto; calcoliamo, quindi, il prodotto della massa per la velocità.
Ricordiamoci, però, di esprimere de grandezze nelle giuste unità di misura:

La quantità di moto delle auto è quindi:

Per calcolare la quantità di moto totale del sistema dobbiamo effettuare la somma vettoriale dei vettori
quantità di moto delle singole auto.
Calcolo del vettore quantità di moto totale mediante somma vettoriale.

Il modulo del vettore quantità di moto totale è uguale al valore dell’ipotenusa del triangolo.

Poiché i vettori sono tra loro perpendicolari, la quantità di moto totale è data da:

L’IMPULSO DI UNA FORZA


Consideriamo una forza F che agisce su un corpo di massa m, provocando in esso un’accelerazione costante
a.
Conoscendo il significato e la definizione della quantità di moto, possiamo scrivere il secondo principio della
dinamica ( F=m⋅a ) in una nuova formulazione.
Scriviamo l’accelerazione come rapporto della variazione della velocità sulla variazione del tempo, e
sostituiamo tale rapporto nella formula precedente:

Moltiplichiamo ora entrambi i membri per la variazione di tempo ∆t:

Dalla precedente formula emerge una nuova grandezza, che prende il nome di impulso di una forza;
l’impulso è dato dal prodotto della forza F per l’intervallo di tempo in cui essa agisce:
Da questa uguaglianza possiamo notare che la variazione di velocità di un oggetto di massa m non dipende
solamente dalla forza che gli viene applicata, ma anche dalla durata di tale operazione.
Di conseguenza, se, per esempio, volessimo fermare un corpo in movimento, potremmo farlo in due modi
diversi: applicando una forza elevata per un periodo di tempo breve, oppure una forza di intensità minore
per un tempo maggiore.

IL TEOREMA DELL’IMPULSO
Supponiamo che sotto l’azione della forza F il corpo passi dalla velocità v1 alla velocità v2; la variazione di
velocità che esso subisce è data da Δv=v2–v1. Sostituiamo tale espressione nell’uguaglianza precedente:

L’uguaglianza che abbiamo ricavato prende il nome di teorema dell’impulso; esso afferma, quindi, che
l’impulso di una forza applicata ad un corpo di massa m per un certo intervallo di tempo ∆t è uguale alla
variazione della quantità di moto del corpo nello stesso intervallo di tempo.
Il teorema dell’impulso è particolarmente importante, e trova applicazione in molte situazioni e fenomeni
naturali, come esplosioni, implosioni, che sono difficili da studiare. Infatti, spesso è molto difficile, se non
impossibile, determinare con precisione le forze che agiscono, in quanto esse si applicano per tempi
particolarmente brevi.

L’IMPULSO DI FORZE VARIABILI


Il teorema dell’impulso può essere applicato se conosciamo il valore esatto di F, cioè se tale valore si
mantiene costante nell’intervallo di tempo; se, invece, abbiamo a che fare con forze che possono variare
in tale intervallo, si deve procedere diversamente.
In questo caso, infatti, potremmo suddividere l’intervallo ∆t in tanti piccoli sotto-intervalli, tali che in
ciascuno di essi la forza si mantenga costante. L’impulso della forza F sarà dato, quindi, dalla somma degli
impulsi delle forze in tutti gli intervalli.
Se conosciamo l’espressione della forza in funzione del tempo, possiamo rappresentare l’andamento della
forza in un grafico tempo-forza; in questo caso, potremmo calcolare facilmente il modulo dell’impulso, dato
dall’area racchiusa tra il grafico della forza e l’asse t in un determinato intervallo di tempo (si calcola, cioè,
l’integrale della forza in funzione del tempo, in un determinato intervallo).

Il grafico tempo-forza rappresenta l’andamento di una forza variabile.

Esempio
Un’automobile di massa 800 kg si muove su un tratto di strada
rettilineo; le forze che agiscono su di essa, acceleranti, o frenanti,
dovute all’attrito, agiscono in funzione del tempo secondo
l’andamento a lato:

Calcolare quanto vale l’impulso totale della forza applicata


all’automobile, e la variazione complessiva di velocità che essa
subisce.
In questo caso abbiamo a che fare con una forza variabile nel
tempo, di cui conosciamo l’andamento. Come possiamo vedere dal
grafico, però, la forza si mantiene costante nei singoli tratti;
possiamo, quindi, calcolare l’impulso totale della forza
determinando l’impulso delle varie forze nei singoli tratti, e poi
facendone la somma.
Nel primo tratto, si ha una forza F di 800 N per un intervallo di
tempo di 5 s; l’impulso della forza è quindi:

I1=F1⋅Δt1=800N⋅(5−0)s=4000N⋅s
Nel secondo tratto la forza è negativa, e vale -1200N; essa viene applicata per due secondi; si ha quindi:

I2=F2⋅Δt2=−1200N⋅(7−5)s=−2400N⋅s

Applicando lo stesso ragionamento, otteniamo gli impulsi del terzo e del quarto tratto del percorso:

I3=F3⋅Δt3=200N⋅(13−7)s=1200N⋅s
I4=F4⋅Δt4=400N⋅(16−13)s=1200N⋅s

Calcoliamo l’impulso totale della forza sommando gli impulsi dei singoli tratti:

ITot= I1+ I2+ I3+ I4=(4000–2400+1200+1200)N⋅s=4000N⋅s

Per il teorema dell’impulso, l’impulso di una forza che agisce su un oggetto di massa m è uguale alla
quantità di moto del corpo stesso; in questo caso, conoscendo il valore dell’impulso totale della forza, e
conoscendo la massa dell’automobile, possiamo ricavare il valore della variazione di velocità:

I⃗ =F⃗ ⋅Δt=m⋅Δv⃗ → Δv⃗ =I⃗/m

Sostituendo i valori numerici otteniamo:

Δv⃗ =I⃗ Tot/m=4000N⋅s/800kg=5m/s

GLI URTI SU UNA RETTA


Consideriamo due sfere che si muovono in linea retta, nella stessa direzione, ma in versi opposti, cioè
avvicinandosi l’una verso l’altra.
Il moto delle palline, nella situazione reale, è influenzato da molti fattori, e forze esterne, come la forza di
attrito radente con la superficie, la forza di attrito viscoso con l’aria, ecc…
Quando, però, le palline si scontrano, la forza risultante dall’urto è talmente grande che, anche se avviene
in un lasso di tempo notevolmente piccolo, è tale da rendere trascurabili tutte le altre forze.
Di conseguenza, le forze di interazione tra le palline, cioè le forze interne al sistema pallina-pallina, rendono
trascurabili quelle esterne.
Possiamo, quindi, affermare che quando vi è un urto tra due oggetti, essi si comportano come se fossero
un sistema fisico isolato, e di conseguenza, la loro quantità di moto totale si conserva.
Se, inizialmente, le palline di masse m1 e m2 si muovono a velocità v1 e v2, e dopo l’urto le loro velocità
risultano V1 e V2, la conservazione della quantità di moto è data da:

GLI URTI ELASTICI


Nel caso degli urti elastici, oltre alla conservazione della quantità di moto si ha anche la conservazione
dell’energia cinetica totale dei corpi che interagiscono.
Questi urti avvengono, solitamente, quando un oggetto in movimento ne colpisce un’altro che è fermo,
mettendolo così in moto. Il primo oggetto, dopo l’urto, si ferma.

In
alcuni urti elastici, un corpo in movimento urta un secondo corpo inizialmente fermo, mettendolo in moto;
il primo corpo si ferma in seguito all’urto.

In questo caso, quindi, abbiamo due equazioni che descrivono il moto dei corpi, una riguardane la
conservazione dell’energia cinetica, l’altra quella della quantità di moto:
Questo sistema ci permette, conoscendo le masse dei corpi e le loro velocità iniziali, di ricavare le loro
velocità finali.

GLI URTI ANELASTICI


Gli urti anelastici avvengono tra due corpi, di cui uno è in movimento e l’altro è fermo. A differenza degli
urti elastici, però, dopo lo scontro il primo oggetto non si ferma, ma continua il suo moto insieme al secondo.

Negli urti anelastici, il primo corpo in movimento urta un secondo corpo inizialmente fermo; dopo l’urto
entrambi i corpi si muovono insieme.

In questo caso, la velocità finale dei corpi dopo l’urto dipende esclusivamente dalla conservazione della
quantità di moto dei corpi stessi.
Infatti, dato che dopo l’urto i due oggetti si muoveranno insieme, la loro velocità finale sarà uguale, quindi
non avremmo bisogno di altre equazioni per determinarla, oltre a quella della conservazione della quantità
di moto:

GLI URTI OBLIQUI


Nel caso di urti che non avvengono tra due oggetti che si muovono in linea retta è molto più difficile studiare
il loro moto in seguito all’urto; esso infatti è influenzato da diversi fattori, tra cui la forma degli oggetti, le
loro dimensioni, ecc..
Il caso più semplice è quello in cui gli oggetti in questione sono due biglie di massa uguale; una di esse è
in moto, mentre l’altra è ferma; la biglia in movimento urta la seconda in modo elastico.
Si può dimostrare che, in questo caso, dopo l’urto le due biglie si muoveranno con velocità perpendicolari
tra loro.

Negli urti obliqui, un corpo in movimento ne urta un secondo inizialmente fermo; in seguito all’urto, i due
corpi si muoveranno entrambi, e le loro velocità saranno perpendicolari
Esercizio
Due biglie identiche si trovano su un piano orizzontale. La prima biglia, in movimento, colpisce
elasticamente la seconda biglia, che è inizialmente ferma. In seguito all’urto, le due biglie si muovono alle
velocità, rispettivamente, di 2,5 m/s e 4,2 m/s.
Determinare il valore della velocità della biglia in movimento prima dell’urto.
Dai dati che fornisce il problema, conosciamo il valore delle velocità finali delle biglie in seguito all’urto.
L’urto in questione è un urto elastico; sappiamo quindi che in esso si conserva sia la quantità di moto del
sistema, sia l’energia cinetica complessiva. Possiamo, quindi, impostare un sistema del tipo:

Sappiamo che le biglie sono identiche, quindi in particolare hanno anche la stessa massa; possiamo, quindi,
semplificare le masse e otteniamo:

Sappiamo, inoltre, che la seconda biglia è inizialmente ferma, quindi che la sua velocità è nulla: v2 = 0:

Notiamo che la prima equazione del sistema è un’equazione vettoriale; essa ci dice che la velocità iniziale
della prima biglia è data dalla somma vettoriale dei vettori velocità finale delle biglie dopo l’urto.
Poiché tali vettori velocità formano un angolo di 90° dopo l’urto, l’espressione del modulo di v1 è data
proprio dalla seconda equazione:

IL CENTRO DI MASSA
Consideriamo un sistema di punti materiali; possiamo definire un punto geometrico particolare, che prende
il nome di centro di massa. Il centro di massa ha proprietà differenti in base al sistema in cui si trova.
Consideriamo il caso generale, in cui abbiamo n punti di masse m1,m2,…,mn, che in un riferimento stabilito
si trovano nelle posizioni di coordinate x1,x2,…,xn.
Ipotizziamo che le particelle si muovano in un piano; per determinare la loro posizione è necessario
conoscere l’ascissa e l’ordinata dei punti che, nel piano, le rappresentano.
L’ascissa xcm del punto che rappresenta il centro di massa è data dalla seguente formula:

Similmente, l’ordinata di tale punto può essere ottenuta nel seguente modo:
Se il punto materiale non si muove semplicemente in un piano, ma si muove in uno spazio tridimensionale,
occorre introdurre anche una terza coordinata z; tale coordinata, riferita al punto materiale in questione,
si ottiene con una formula analoga alle precedenti:

Esempio
Consideriamo il caso semplice in cui si hanno due particelle che si muovono lungo una retta; per
determinare la posizione del centro di massa ci occorre conoscere soltanto la sua ascissa.
Applicando la formula precedente al caso di due soli punti, troviamo che tale ascissa è data da:

E, in particolare, se le due particelle avessero la stessa massa, l’ascissa del punto materiale si otterrebbe
come ascissa di un punto medio tra tali punti:

Quindi, se le due particelle hanno la stessa massa, il centro di massa è equidistante da entrambi, cioè si
trova nel punto medio del segmento che li congiunge.
Altrimenti, se i punti hanno masse diverse, il centro di massa risulta più vicino alla particella di massa
maggiore.

MOTO DESCRITTO DAL CENTRO DI MASSA


Il concetto di centro di massa ci permette di analizzare il moto di alcuni oggetti e di alcuni corpi che
altrimenti sarebbe molto complesso da studiare. Infatti, anche se l’oggetto in questione si sta muovendo
apparentemente in maniera casuale, è possibile che il suo centro di massa stia compiendo, in realtà, un
moto uniforme.
Può essere dimostrato, infatti, che nel caso di un sistema fisico isolato, nel quale vale la conservazione
della quantità di moto, il centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme.
Ciò accede, ad esempio, nel caso in cui si spinge un corpo rigido, come una sbarretta di metallo, lungo una
superficie piana: la sbarretta compie due moti, uno di traslazione, e l’altro di rotazione, ma il suo centro di
massa si muove di moto rettilineo uniforme.
Esaminiamo, ora, il caso in cui il sistema fisico non sia isolato: in questo caso, non vale la conservazione
della quantità di moto. Il moto del centro di massa dipende sia dalla risultante delle forze esterne che
agiscono sul corpo, sia dalla massa totale del corpo stesso. Infatti, incentro di massa si muoverà proprio
come un punto materiale che possiede tutta la massa del corpo, e su cui agisce una forza pari alla risultante
delle forze che agiscono sull’oggetto stesso.
Questo tipo di moto può essere descritto, ad esempio, dal centro di massa di un tuffatore che si lancia da
un trampolino: in questo caso, il centro di massa descrive un moto parabolico.
Il centro di massa di corpi rigidi descrive sempre un moto uniforme; in questo caso, il centro di massa del
tuffatore descrive un moto parabolico.

Il caso dei sistemi fisici non isolati trova riscontro anche nel teorema dell’impulso; in questo caso, però,
questo viene applicato ad un corpo esteso, invece che ad un solo punto materiale.
Quando abbiamo a che fare con un sistema di punti che interagiscono tra loro, dobbiamo tener presente
che su di essi agiscono sia forze esterne che forze interne al sistema, dovute appunto alle interazioni tre i
punti. Tuttavia, per il principio di azione e reazione, le forze interne al sistema sono opposte a due a due,
e la loro risultante è quindi nulla. Il moto dei punti, dunque, dipende solo dalle forze esterne; possiamo
quindi utilizzare la seguente formula per la quantità di moto:

MOMENTO ANGOLARE
Il momento angolare è una grandezza fisica vettoriale che serve per descrivere il moto di rotazione di un
corpo attorno ad un centro fisso O.
Grazie al momento angolare, ad esempio, è possibile spiegare come mai i satelliti che ruotano attorno alla
Terra possono continuare a compiere il loro moto senza rallentare mai; o perché una ruota che viene fatta
girare tende a ruotare all’infinito, in assenza di attriti esterni.
Consideriamo una particella di massa m che si muove con moto rotazionale attorno ad un punto fisso O. Il
momento angolare di tale corpo viene descritto come il prodotto vettoriale tra il vettore posizione del corpo
r (cioè il vettore che unisce il punto O con il punto P in cui si trova il corpo in un determinato istante) e la
quantità di moto p del corpo stesso:

Ricordiamo che il momento angolare, essendo dato dal prodotto vettoriale di due vettori, gode di alcune
proprietà:

• È un vettore che ha direzione perpendicolare al piano su cui giacciono i vettori posizione e


quantità di moto;
• Ha verso dato dalla regola della mano destra: si pone il pollice lungo la direzione di r, e le altre
dita lungo la direzione di p; il verso del vettore momento angolare è quello uscente dal palmo della
mano;
• Il suo modulo può essere ottenuto come prodotto dei moduli dei vettori posizione e quantità di
moto moltiplicati per i seno dell’angolo tra essi compreso:

L=r⋅p⋅sinθ

Nel caso in cui abbiamo a che fare con un sistema fisico, dobbiamo considerare il momento angolare di
tutti i corpi che costituiscono tale sistema; possiamo farlo sommando vettorialmente i momenti angolari
rispetto allo stesso punto O dei singoli corpi che costituiscono il sistema.

LA CONSERVAZIONE DEL MOMENTO ANGOLARE


In alcuni casi il momento angolare di un sistema di corpi si conserva nel tempo; affinché ciò avvenga, è
necessario che il momento torcente totale delle forze esterne che agiscono sul corpo sia nullo.
Ricordiamo che il momento torcente di una forza, o semplicemente momento di una forza, è definito come
il prodotto vettoriale tra il vettore posizione del corpo e la forza F che agisce su di esso. Il suo modulo,
inoltre, è dato dal prodotto della forza per il braccio.
Nel caso di un satellite che orbita attorno alla Terra, la forza che lo tiene in movimento è centripeta; essa,
quindi, è diretta verso il centro della circonferenza. Poiché il braccio di una forza è definito come il vettore
componente del vettore posizione r, perpendicolare alla forza stessa, in questo caso in braccio rispetto al
centro di rotazione risulta nullo. Di conseguenza, è nullo anche il suo momento torcente.
Possiamo esprimere la variazione del momento angolare di un sistema su cui agisce un momento torcente
M per un intervallo di tempo ∆t come il prodotto del momento per la variazione di tempo:
Esercizio
Consideriamo una giostra composta da un braccio lungo 3,0 m, che ruota attorno ad un centro O. Alle
estremità della giostra vi sono due bambini, che pesano rispettivamente 30 kg e 45 kg. La giostra ruota ad
una velocità di 2,5 m/s; calcolare l’intensità del momento angolare del sistema rispetto al centro di
rotazione O.

Dalle formule viste precedentemente, sappiamo la definizione di momento angolare; essendo un prodotto
vettoriale del vettore posizione e del vettore quantità di moto, il suo modulo è dato da:

r rappresenta il vettore posizione dei due corpi; il suo modulo in questo caso vale 1,5 m, poiché i seggiolini
sono equidistanti dal centro.
Calcoliamo la quantità di moto di ciascun bambino; sappiamo che la quantità di moto si calcola come
prodotto della massa per la velocità, quindi abbiamo:

Il vettore quantità di moto ha stessa direzione e stesso verso del vettore velocità; quindi, in questo caso,
l’angolo compreso tra il vettore posizione e il vettore velocità è di 90°; il suo seno vale dunque 1.
Possiamo ora calcolare l’intensità del momento angolare del sistema:

MOMENTO ANGOLARE DI UN CORPO RIGIDO


Il concetto di momento di inerzia ci permette di esprimere il modulo del momento angolare con una
formulazione alternativa.
Consideriamo un corpo rigido costituito da moltissime particelle, che indichiamo come n masse puntiformi.
Il corpo rigido ruota attorno ad un centro fisso O; chiamiamo con r1, r2, …, rn le distanze da tale centro di
rotazione delle varie masse puntiformi.
Consideriamo il caso in cui il corpo rigido ruoti su un piano; i vettori dei momenti angolari hanno tutti la
stessa direzione, perpendicolare al piano, e lo stesso verso, uscente dal piano.
Per calcolare il momento angolare totale, quindi, basterà semplicemente sommare i moduli dei singoli
momenti angolari; questo, infatti, si ottiene come somma vettoriale dei singoli momenti.
Possiamo esprimere il modulo del momento angolare come il prodotto vettoriale del vettore posizione e del
vettore quantità di moto; in questo caso, l’angolo tra essi è di 90°:

Esprimiamo, poi, la quantità di moto come prodotto della massa per la velocità di rotazione:

E’ possibile esprimere la velocità di un corpo in rotazione come il prodotto del raggio per la velocità
angolare:

IL MOMENTO DI INERZIA
Possiamo quindi esprimere il momento angolare di un corpo rigido come il prodotto della velocità angolare
con cui sta ruotando per la somma dei prodotti delle masse dei singoli punti materiali per il quadrato della
loro distanza dal centro di rotazione. Questa nuova quantità, che troviamo tra parentesi, prende il nome di
momento di inerzia:

Possiamo calcolare il momento di inerzia anche per un corpo solido; poiché esso è costituito da un’insieme
praticamente infinito di punti materiali, per calcolare il momento d’inerzia si fa tendere n all’infinito.
Questa nuova definizione ci permette di analizzare e spiegare alcune situazioni che si possono presentare
anche nella vita di tutti i giorni. Consideriamo, per esempio, una pattinatrice che ruota su se stessa,
compiendo diversi giri al minuto.
La prima volta la pattinatrice ruota con le braccia aperte, la seconda con le braccia piegate sul petto. Si
può notare che nel primo caso, la pattinatrice ruota con una velocità minore rispetto a quando porta le
braccia al petto.
Questo fatto può essere spiegato perché, se consideriamo trascurabili gli attriti esterni, il momento angolare
Iω si conserva; infatti, il momento torcente totale delle forze esterne che agiscono sul corpo è nullo.
Supponiamo che nel primo caso la pattinatrice abbia momento angolare L = Iω. Nel secondo caso I
diminuisce, perché diminuiscono le distanze dei punti del corpo dall’asse di rotazione; di conseguenza, si
ha un aumento di ω, in quanto il modulo di L deve rimanere invariato; quindi la ragazza nel secondo caso
si muove con una velocità angolare maggiore.

ENERGIA CINETICA E ACCELERAZIONE ANGOLARE


Anche un corpo che ruota attorno ad un asse fissato possiede una determinata energia cinetica; questa
può essere espressa per mezzo del momento d’inerzia. Infatti, indipendentemente dal numero di punti che
costituiscono il corpo stesso, la sua energia cinetica è data dalla metà del prodotto del momento d’inerzia
per il quadrato della velocità angolare:

Inoltre, dalla definizione di variazione del momento angolare (come prodotto del momento torcente di una
forza per l’intervallo di tempo in cui essa agisce) e dalla definizione del momento angolare come prodotto
del momento d’inerzia per la variazione di velocità angolare, possiamo ricavare la seguente scrittura:
Nella formula precedente appare il rapporto tra una velocità e un intervallo di tempo; sappiamo che tale
grandezza esprime la rapidità con cui varia la velocità in questione nell’intervallo di tempo, come nel caso
di un moto piano. Questo rapporto prende il nome di accelerazione angolare:

La formula che abbiamo ricavato in precedenza, M=I⋅α , può essere paragonata alla formula F=m⋅a che
descrive la forza che agisce su un corpo, provocandone un’accelerazione, nel caso di un moto di traslazione.

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