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DISPENSA

DI
FISICA

PER IL TRIENNIO DEL


LICEO
SCIENTIFICO E CLASSICO

Carla Cianfagna

1
CAPITOLO 1

LA MECCANICA: PARTE INTRODUTTIVA


La fisica è la scienza che studia le proprietà della materia e dell’energia,
senza occuparsi dei fenomeni che riguardano le trasformazioni delle
sostanze (tranne le trasformazioni nucleari e di tipo radioattivo, che invece
ne fanno parte). L’ambiente che ci circonda è costituito da molti fenomeni
fisici come il vento, la corrente, la fusione del ghiaccio. Per determinare una
legge fisica si fa ricorso al metodo sperimentale, che comprende le seguenti
fasi:

1) Osservazione del fenomeno.


2) Riproduzione del fenomeno in laboratorio in varie condizioni e in
ripetuti intervalli di tempo.
3) Verifica dei risultati.
4) Formulazione della legge.

Qualsiasi fenomeno fisico si verifica solo in determinate condizioni.

LE GRANDEZZE FISICHE FONDAMENTALI

Dicesi grandezza tutto ciò che può essere misurato, come ad esempio la
velocità, l’intervallo di tempo, il peso. Le grandezze si dicono omogenee se è
possibile confrontarle fra loro. Misurare una grandezza significa scegliere
un’altra grandezza, omogenea alla prima, e vedere quante volte essa è
contenuta nella grandezza da misurare; in sostanza la misura di una
grandezza è il rapporto tra la stessa e un campione preso come unità. La
misurazione di un segmento è diretta, mentre quella di un volume è
indiretta, poiché esso è esprimibile attraverso il prodotto di più grandezze.

I SISTEMI DI MISURA

Un sistema di misura è composto da grandezze fondamentali e grandezze


derivate. Tra i più conosciuti sistemi di misura ricordiamo:

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1) SISTEMA INTERNAZIONALE DI MISURA: esso assume come
grandezze fondamentali la lunghezza, la massa, il tempo, l’intensità di
corrente elettrica, la temperatura assoluta e l’intensità luminosa.
a) Il metro(m) è la lunghezza, alla temperatura di 0o di un regolo
di platino – iridio, conservato nel Museo Internazionale dei
Pesi e delle Misure a Sevres (Parigi).
b) Il chilogrammo–massa (Kgm) è la massa di un cilindro di
platino– iridio, conservato nel Museo Internazionale dei Pesi e
delle Misure a Sevres (Parigi).
c) Il secondo (s) è la 86400a parte del giorno solare medio.

2) SISTEMA MKS (O DEGLI INGEGNERI): contiene tutte le grandezze


citate prima, con l’aggiunta del chilogrammo–peso (kgp), che è la forza
con la quale la terra attira il Kgm alla latitudine di 45o e al livello del
mare.

Le grandezze possono essere rappresentate in diversi modi, ma solitamente


si ricorre alle funzioni, che stabiliscono la dipendenza tra una o più
grandezze. In alternativa si ricorre a diagrammi e tabelle. Le funzioni
vengono rappresentate mediante diagrammi cartesiani nel piano oppure
nello spazio.

I VETTORI

Occorre prima fare una differenza tra grandezze scalari e grandezze


vettoriali. Le prime si possono definire mediante un numero, come le
superfici, la capacità, mentre le seconde devono essere definite mediante tre
elementi:

1) Intensità
2) Direzione
3) Verso

Alcuni esempi di grandezze vettoriali sono le forze, la velocità e sono


rappresentate mediante segmenti orientati detti vettori:

P si dice punto di applicazione del vettore.


Un vettore gode delle seguenti due proprietà:

1) Può essere sempre trasportato lungo la retta di azione.

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2) Può essere sostituito da due o più vettori di somma uguale al vettore
dato.

SOMMA E DIFFERENZA DI VETTORI

Se i vettori sono collineari, cioè giacciono sulla stessa retta, la loro somma è
uguale alla somma dei singoli vettori componenti. I vettori devono avere lo
stesso punto di applicazione, stessa direzione e verso. Se i vettori hanno
verso opposto si esegue la sottrazione del più piccolo dei vettori dal più
grande.

Nel primo caso si ha


Nel secondo caso si ha

1)

2)

Se i vettori sono concorrenti, cioè le loro rette di azione si in contrano, si


esegue la regola del parallelogramma:

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Se i vettori sono ortogonali si applica il teorema di Pitagora, nel caso in cui si
abbiano più vettori, si applica la regola del poligono. Se i vettori sono
applicati in punti diversi, possiamo trasportarli lungo le loro rette d’azione e
congiungerli in un unico punto di applicazione, applicando la regola vista
sopra.
Per quanto riguarda la differenza di vettori concorrenti, vediamo il grafico:

ESERCIZI

1) Fornire la definizione di vettore, anche mediante esempio grafico.

2) Due vettori hanno la stessa direzione, lo stesso verso ed intensità


rispettivamente di 10 e 25. Supponendo che essi siano applicati in uno
stesso punto, si trovi la loro risultante ( anche graficamente). Se le
direzioni dei due vettori fossero perpendicolari, quale sarebbe la loro
risultante?

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CAPITOLO 2

MECCANICA DEI SOLIDI

IL CONCETTO DI FORZA

Una forza è una grandezza vettoriale i cui effetti dipendono dall’intensità,


verso, direzione punto di applicazione.

La forza può produrre un effetto statico (deformazione del corpo), oppure


dinamico (movimento del corpo), oppure entrambi.
Possiamo affermare che gli effetti dovuti al peso dei corpi possono essere
ottenuti anche mediante applicazione di una forza , come ad esempio una
molla. Si può quindi asserire che il peso è una forza con la quale la terra
attira i corpi alla latitudine di 45° e al livello del mare.
La forza è regolata dalla legge di Hooke, che afferma:

Le deformazioni subite da un corpo elastico, sono direttamente proporzionali


all’intensità delle forze che le provocano

d = kF

k = coefficiente di deformazione (allungamento) e 1/k = costante elastica

La definizione vista sopra vale anche nel caso degli allungamenti.

COMPOSIZIONE DI FORZE

Un corpo si dice rigido se, sottoponendolo all’azione di qualunque forza, esso


non subisce alcuna deformazione. Ciò va sotto il nome di effetto statico nullo.

Dicesi equilibrante una forza applicata nello stesso punto di una forza data
, con intensità e direzione uguali, ma con verso opposto. Nel caso in cui si
abbiano due forze, l’equilibrante è la risultante.

Le proprietà delle forze sono la stesse che abbiamo visto per i vettori:

1) Una forza può essere trasportata lungo la retta di azione, senza che se
ne alteri l’effetto.

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2) Una forza può essere sostituita da due o più forze di somma uguale alla
forza data, oppure sostituite con la loro risultante.
3) Se applichiamo ad un corpo rigido una forza con la sua risultante, non
si ha effetto.

COMPOSIZIONE DI FORZE CONCORRENTI

In questo caso vale la ben nota


regola del parallelogramma,
preventivamente trasportando le
forze, che hanno punto di
applicazione diverso, lungo le
rette d’azione.

COMPOSIZIONE DI FORZE PARALLELE CONCORDI

In questo caso l’intensità della risultante è uguale alla somma delle intensità
delle componenti, la direzione è parallela alle direzioni delle componenti, il
verso è concorde con il verso delle componenti. Il punto di applicazione
della risultante delle due forze applicate in A e B, dividono il segmento AB in
parti inversamente proporzionali alle intensità delle componenti.

A Z B

F1 : F2 = AZ : BZ

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COMPOSIZIONE DI FORZE PARALLELE DISCORDI

In questo caso l’intensità della risultante è uguale alla differenza delle


intensità delle componenti, la direzione parallela alle direzioni delle
componenti e verso concorde a quello della componente con maggiore
intensità.

A B P

F2 : F1 = AP : BP

Dicesi coppia di forze, l’insieme di due forze parallele discordi di uguale


intensità. Dicesi momento della coppia, il prodotto di una delle due forze per il
braccio della coppia, dove per braccio si intende la distanza tra le rette di
azione delle due forze.

A B

Le proprietà del momento sono:

1) Il momento è perpendicolare al piano sul quale giace la coppia di forze.


2) L’intensità è uguale all’intensità del momento della coppia.
3) Il punto di applicazione si trova in qualunque punto dello spazio.

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ESERCIZI

1) Osservando gli allungamenti provocati da determinate forze,


applicate successivamente ad una stessa molla, viene compilata la
seguente tabella:

Forze applicate (Kgp) 0,5 1,5 2,0 3,0

Allungamenti prodotti (in cm) 2 6 8 12

Rappresentare graficamente ed esprimere matematicamente la legge


che regola il fenomeno. Calcolare il coefficiente di allungamento della
molla e la sua costante di elasticità. [4 cm/Kgp]

2) Il coefficiente di allungamento di una molla di


acciaio è 0,3 cm/Kgp. Calcolare l’allungamento
provocato dalle forze rappresentate nella figura a
lato. [3,81 cm]

3) Scomporre una forza di 20 Kgp in due componenti perpendicolari,


sapendo che una di tali componenti forma un angolo di 30° con la
forza data. Risolvere il problema sia graficamente che
matematicamente. [17,32Kg p ; 10Kgp]

4) Tre forze complanari, ognuna di intensità di 20 Kgp , sono applicate


nello stesso punto. Tanto la prima forza con la seconda che la seconda
con la terza, formano angoli di 60°. Determinare graficamente e
matematicamente la risultante. [40Kgp]

5) Scomporre una forza di 36Kgp in due componenti parallele e concordi,


tali che i rispettivi punti di applicazione siano distanti 4m e 20m dal
punto di applicazione della forza data. [30Kgp ; 6Kgp]

6) Due forze parallele concordi, di intensità 60Kgp e 90Kgp , hanno le loro


rette di azione alla distanza di 2m. Trovare l’intensità della loro
risultante e le distanze dei loro punti di applicazione dal punto di
applicazione della risultante. [150Kgp ; 1,2m ; 0,8m]

7) Si sa che la risultante di due forze parallele concordi ha un’intensità di


150Kgp ed è applicata in un punto che dista 50cm e 150cm dalle rette

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d’azione delle componenti. Calcolare le intensità delle componenti.
[75 Kgp ; 25 Kgp]

8) Le estremità di un’asta lunga 1,5m poggiano sulle spalle di due


persone di uguale altezza. A 50cm da un’estremità dell’asta è attaccato
un peso di 120Kgp. Sapendo che l’asta pesa 20Kgp , calcolare la forza
agente sulle spalle di ciascuna persona. [50 Kgp ; 90 Kgp]

9) Agli estremi di un’asta rigida lunga 2,4m sono applicate due forze
parallele concordi di intensità 8Kgp e 40Kgp . Trovare a quale distanza
dal punto di applicazione della forza più grande si deve applicare
l’equilibrante. [2m]

10) Sono date due forze parallele discordi di intensità 50Kgp e 150Kgp ,
con le rette d’azione distanti 150cm. Calcolare l’intensità della
risultante e le distanze del suo punti di applicazione dai punti di
applicazione delle forze date. [100Kgp ; 75cm ; 25cm]

11) La risultante di due forze parallele discordi ha intensità di 30Kg p e il


suo punto di applicazione dista 25cm e 75cm dai punti di applicazione
delle due forze. Calcolare l’intensità delle due forze. [45 Kgp ; 15 Kgp]

12) Due forze parallele discordi hanno intensità di 10Kgp e 70Kgp. Il punto
di applicazione della loro risultante dita 20cm dalla retta di azione
della forza maggiore. Calcolare la distanza tra le rette d’azione delle
due forze date. [1,2m]

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CAPITOLO 3

GLI EQUILIBRI
Dicesi baricentro di un corpo rigido, il punto di applicazione della forza peso
agente sul corpo.

In sostanza si tratta del punto dal quale parte la risultante di tutte le piccole
forze di cui sono dotate le particelle di cui è costituito un corpo. La
determinazione del baricentro non è molto semplice soprattutto se i corpi
non hanno forma regolare. Infatti, nel caso di corpi omogenei, il baricentro
coincide con il centro geometrico, come nel caso della sfera, cubo e poliedro
regolare.
Nel caso di un corpo non omogeneo, la determinazione del baricentro
avviene sospendendo il corpo per due punti diversi, disegnando ogni volta la
verticale passante per i punti. L’intersezione di queste due verticali
rappresenta proprio il baricentro del corpo.
Un corpo è libero se può muoversi in qualunque direzione dello spazio e può
ruotare su se stesso. Un corpo si dice vincolato se può compiere solo
determinati movimenti consentiti dal vincolo stesso. Un vincolo è qualunque
causa che impedisca i movimenti di un corpo in certe particolari direzioni.

EQUILIBRIO DI UN CORPO LIBERO

I movimenti possibili per un corpo libero sono le traslazioni e le rotazioni e


diremo che un corpo libero, inizialmente fermo e soggetto all’azione di più
forze, si trova in equilibrio se la risultante delle forze applicate e il momento
risultante delle eventuali coppie sono ambedue nulle.
Devono valere contemporaneamente le due seguenti relazioni:

(risultante delle forze applicate nulla)


(momento risultante delle coppie applicate nullo)

EQUILIBRIO DI UN CORPO RIGIDO SOSPESO PER UN PUNTO FISSO

Consideriamo un corpo rigido sospeso per un punto fisso A e supponiamo


che la sola forza agente su di esso sia la forza peso, applicata nel baricentro.

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il corpo si trova allora in una condizione di equilibrio se il punto di
sospensione A sta sulla retta d’azione di tale forza.
Si possono presentare tre situazioni:

1) Il punto di sospensione A si trova posto sopra il baricentro. Se


spostiamo il corpo, esso non è più in equilibrio ma tende dopo un po’
a ritornare nella posizione iniziale. Questo tipo di equilibrio si dice
STABILE.

2) Il punto di sospensione A si trova posto sotto il baricentro. Se


spostiamo il corpo, esso non torna più nella posizione iniziale ma si
ribalta, fermandosi nella posizione di equilibrio stabile. Questa
condizione viene detta di equilibri INSTABILE.

A
G

G
A

3) Il punto di sospensione A si trova nel baricentro. il corpo comunque


spostato, si troverà sempre nella posizione di equilibrio analoga a
quella iniziale. Si parla in questo caso di equilibrio INDIFFERENTE.

G=A

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EQUILIBRIO DI UN CORPO RIGIDO APPOGGIATO

Un corpo rigido appoggiato su un punto di una superficie rigida e soggetto


alla sola forza peso, è in equilibrio se la verticale abbassata dal baricentro
passa per il punto di appoggio.
Se consideriamo un ellissoide appoggiato (ad esempio un uovo), avremo che
quello con asse maggiore disposto orizzontalmente si trova in equilibrio
stabile, perché se spostato, torna spontaneamente nella posizione iniziale e
questo perché il baricentro si trova al più basso livello consentito dal
vincolo. L’ellissoide che ha l’asse maggiore disposto verticalmente, si trova
in equilibrio instabile e il suo baricentro occupa la posizione più elevata. Se
invece abbiamo una sfera appoggiata, il baricentro si trova sempre alla
stessa altezza e quindi si ha una condizione di equilibrio indifferente.

L’EQUILIBRIO NELLE MACCHINE

Una macchina è un dispositivo che permette di far agire una forza in


direzioni diverse dalla sua retta d’azione. Con l’aiuto di una macchina, si può
equilibrare una forza che ammette risultante, alla quale si da il nome di
resistenza, mediante un’altra forza, detta forza motrice. Per definire le
caratteristiche delle macchine è utile introdurre il concetto di vantaggio, che
è il rapporto tra le intensità della resistenza e della forza motrice:

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Si possono verificare i seguenti tre casi:

1) Se R > F, allora V > 1 quindi la macchina è vantaggiosa.


2) Se R < F, allora V < 1 quindi la macchina è svantaggiosa.
3) Se R = F, allora V = 1 quindi la macchina è indifferente.

LE LEVE

Le leve sono macchine semplici costituite da sbarre rigide girevoli attorno


ad un punto fisso detto fulcro. A seconda della posizione del fulcro,
distinguiamo le leve in primo, secondo e terzo genere.

a) Leva di primo genere. Il fulcro può trovarsi in qualsiasi punto della


sbarra rigida AB, esclusi gli estremi. I tratti della sbarra AO = a e OB =
b, sono detti bracci della leva. In qualunque caso si ha che il momento
della resistenza è , mentre la reazione vincolare della
forza motrice è una coppia di momento .
Per trovare le condizioni di equilibrio, si deve verificare che
, cioè .

A O B

a b

Appare evidente che la leva di primo genere risulta vantaggiosa,


svantaggiosa o indifferente a seconda della posizione del fulcro.
Quindi se:

i. a < b allora R > F e V > 1, quindi leva vantaggiosa.


ii. a > b allora R < F e V < 1, quindi leva svantaggiosa.
iii. a = b allora R = F e V = 1, quindi leva indifferente.

Esempi di leve di primo genere sono le forbici, le pinze da meccanico, il


piede di porco.

b) Leva di secondo genere: il fulcro si trova ad una delle due estremità


della sbarra, la forza motrice si trova sull’altra estremità e la
resistenza si trova in un qualsiasi punto della sbarra, escluse le
estremità.

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a O b

La leva di secondo genere è sempre vantaggiosa perché è sempre b>a.


Esempi di leve di questo tipo sono lo schiaccianoci, la carriola dei
muratori.

a) Leva di terzo genere: il fulcro si trova ad una delle due estremità


della sbarra, la resistenza si trova sull’altra estremità e la forza
motrice si trova in un qualsiasi punto della sbarra, escluse le
estremità.

b a

La leva di terzo genere è sempre svantaggiosa poiché è sempre b<a.


Esempi di leve di terzo genere sono le molle da cucina, le pinzette.
Anche il braccio umano può essere visto come una leva di questo tipo,
dove il gomito è il fulcro, l’avambraccio è la forza motrice e il peso da
sollevare con la mano è la forza motrice.

IL PIANO INCLINATO

Il piano inclinato è una macchina semplice ed è costituito da un piano rigido


inclinato rispetto al piano terra. Sezionando il piano inclinato con un piano
verticale, otteniamo un triangolo rettangolo ABC, in cui l’ipotenusa AC si dice
lunghezza (l) del piano, CB è l’altezza (h) e AB è al base (b).

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C

O
F

F1
P F2
B’

A’

A B

Se mettiamo sul piano un corpo di peso , questo scivolerà lungo il piano, e


per mantenerlo in equilibrio occorrerà una forza che sarà determinata
scomponendo la forza peso come nella figura, mediante due forze ed ,
dove la seconda si annulla per la reazione al piano inclinato. La forza , per
equilibrare il corpo, deve essere uguale e contraria ad . I triangoli ABC e
OA’B’ sono simili, quindi i lati sono in proporzione, cioè

OB’ : OA’ = CB : AC

Quindi: : P = h : l.

Chiamando la potenza e P la resistenza diciamo che si ha una condizione


di equilibrio quando la potenza sta alla resistenza come l’altezza del piano
inclinato sta alla lunghezza. Il piano inclinato è sempre vantaggioso poiché la
resistenza è sempre più grande della potenza, dato che l > h. Si possono fare
analoghe considerazioni se componiamo la forza peso secondo una
direzione perpendicolare e una direzione parallela alla base. In questo caso
la proporzione vista prima diventa: : P = h : b.
Dal momento che h può essere uguale, maggiore o minore di b, si avrà che il
piano inclinato può essere vantaggioso, svantaggioso o indifferente.

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ESERCIZI
1) Con una leva di primo genere lunga 1m si vuole equilibrare una
resistenza di 720Kgp. sapendo che il fulcro dista 10cm dalla retta
d’azione della resistenza, calcolare la forza motrice che si deve
applicare all’altra estremità della leva. Calcolare inoltre il vantaggio di
questa macchina. [30 Kgp ; 9]

2) Calcolare il vantaggio di una leva di primo genere lunga 1,5m,


sapendo che il fulcro è posto a 10cm dall’estremità alla quale viene
applicata la resistenza. [14]

3) Si dispone di una leva di primo genere lunga 1,2m e di una forza


motrice di 70Kgp. Sapendo che il fulcro della leva dista 8cm
dall’estremità alla quale viene applicata la resistenza, calcolare
l’intensità di quest’ultima. [980 Kgp]

4) Una leva di secondo genere è lunga 1m. Sapendo che a 25cm dal fulcro
è applicata una resistenza di 50Kgp, calcolare la forza motrice
necessarie per ottenere l’equilibrio. Calcolare inoltre il vantaggio della
macchina. [12,5 Kgp ;4]

5) Una leva di secondo genere ha un vantaggio uguale a 7. Sapendo che la


resistenza è 0,749Kgp, calcolare la forza motrice necessaria per
ottenere l’equilibrio. [0,107 Kgp]

6) Per equilibrare una resistenza di 50Kgp è necessario applicare ad una


leva di secondo genere una forza motrice di 1Kgp . Sapendo che la
retta d’azione della resistenza dista 20cm dal fulcro, calcolare la
lunghezza della leva. [10m]

7) A 20cm dal fulcro di una leva di terzo genere, lunga 50cm, è applicata
una forza motrice di 1Kgp . Calcolare l’intensità della resistenza
all’equilibrio. [0,4 Kgp]

8) Un corpo del peso di 200Kgp è appoggiato su un piano inclinato lungo


6m ed alto 1,2m. Calcolare l’intensità della forza motrice, applicata
parallelamente al piano inclinato, necessaria per ottenere l’equilibrio.
Calcolare inoltre il vantaggio della macchina. [40 Kgp ; 5]

9) Il vantaggio di un piano inclinato, usato con forza motrice parallela


alla sua lunghezza, è uguale a 10. Calcolare la resistenza che può
essere equilibrata con una forza motrice di 50Kgp. [500 Kgp]

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10) Un corpo di 200Kgp è appoggiato su un piano inclinato alto 3m e
lungo 5m. Calcolare il vantaggio della macchina, sia nel caso che la
forza motrice agisca parallelamente al piano, sia nel caso che agisca
parallelamente alla base. Determinare inoltre l’intensità della forza
motrice necessaria per ottenere l’equilibrio nei suddetti casi.
[1,66 ; 1,33 ; 150 Kgp ; 120 Kgp]

11) Calcolare l’allungamento della


molla, sapendo che il suo
coefficiente di allungamento è
k = 0,4cm/ Kgp . [8cm]

13) Si sa che il raggio a dell’asse misura


5cm e quello b della ruota misura
20cm. Quale peso deve avere la
sfera S, affinché il sistema sia in
equilibrio? [250 Kgp]

14) Calcolare le intensità delle forze


F1 ed F2, sapendo che AO = 2m e
OB = 6m. [475 Kgp ; 325 Kgp]

15) Si sa che l’allungamento della molla è


2cm e che k=0,01cm/Kgp . Calcolare
l’altezza h del piano inclinato.
[0,8m]

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16) Le molle in figura hanno lo
stesso coefficiente di
allungamento k. Quale delle due
è più deformata?

17) Calcolare le lunghezze dei bracci AO ed OB. [3dm ; 5dm]

18) Il coefficiente di allungamento è per ambedue le molle k = 0,03.


Calcolare gli allungamenti delle molle. [3cm ; 1,2cm]

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CAPITOLO 4

IL MOVIMENTO
Studieremo il moto di un punto materiale, cioè di un corpo le cui dimensioni
possono essere considerate trascurabili rispetto a quelle di altre grandezze
prese in considerazione. I concetti di quiete e moto sono relativi, nel senso
che devono essere valutati in determinati sistemi di riferimento che
consideriamo fissi. Ad esempio una persona seduta in uno scompartimento
appare ferma a chi sta seduto di fronte, però appare in movimento per un
osservatore che sta a terra in stazione. Il sistema di riferimento
comunemente adottato è la Terra e con questa ipotesi diciamo che un corpo
è in quiete se la sua posizione rispetto ad un punto fisso della Terra non
cambia al passare del tempo, viceversa avremo un corpo in movimento. Se il
punto si muove su un piano, possiamo rappresentare il suo moto in ogni
istante su un sistema di assi cartesiani, anche se non possiamo stabilire che
tipo di traiettoria abbia percorso (ad esempio rettilinea oppure curvilinea).
Se il punto si muove nello spazio, avremo bisogno, invece, di un sistema di
assi tridimensionali.

CINEMATICA E DINAMICA

La cinematica è quella parte della meccanica che studia il moto dei corpi,
senza occuparsi delle cause che lo provocano o che ne modificano i caratteri.
La dinamica studia invece le relazioni tra i caratteri del moto e le cause che
lo provocano.

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Per conoscere un moto, è necessario individuarne la traiettoria, il verso, la
legge del moto.

a) Dicesi traiettoria la linea formata dall’insieme delle posizioni occupate


dal corpo in movimento. Essa può essere rettilinea e la direzione è data
da una retta, oppure curvilinea, e in questo caso la direzione del punto
materiale varia in ogni momento ed è data dalla tangente in ogni punto
alla curva che si forma.
b) Il verso del moto coincide con il verso dello spostamento del punto
materiale.
c) La legge del moto è un’espressione matematica che mette in relazione
gli spazi percorsi dal punto in movimento con i tempi impiegati a
percorrerli.
Tale legge è la seguente:

S = f(t) cioè lo spazio è in funzione del tempo.

LA VELOCITÀ

La velocità di un punto materiale in movimento è lo spazio percorso da esso


nel tempo di un secondo.

Traducendo la definizione in formula si ha:

Da cui, sostituendo i rispettivi simboli, si ha:

L’unità di misura della velocità è il metro al secondo (m/s).


Nella pratica però, accade spesso che le velocità siano misurate in chilometri
all’ora (Km/h), e quindi ricordiamo che 1Km = 1000m e 1h = 3600 s.

Quindi 1Km/h = 1/3,6m/s e 1m/s = 3,6 Km/h.

La velocità è una grandezza vettoriale, perciò se un punto materiale si


muove lungo una retta r , nel senso indicato dalla freccia in figura
sottostante, percorrendo lo spazio AB = S nel tempo t, avremo che:

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1) L’intensità v del vettore velocità è il rapporto S/t.
2) La direzione di è la retta r.
3) Il verso di va da sinistra a destra.

A B

La velocità, però, non è sempre la stessa nel tratto AB, a causa di svariate
cause esterne, come ad esempio, nel caso di un’automobile che percorre un
certo tratto di strada, possono essere le curve oppure la presenza di un
ostacolo. Per questo motivo, spesso parliamo di velocità media, mentre
parleremo di velocità istantanea se calcoliamo la velocità media in un
intervallo di tempo infinitamente piccolo (velocità vera ed effettiva in un
dato istante).

L’ACCELERAZIONE

L’accelerazione è la variazione di velocità che si verifica nel tempo di 1s.

Sostanzialmente si tratta della modifica di uno o più caratteri del vettore


velocità, e questo può avvenire con aumenti ma anche con diminuzioni di
intensità. La formula dell’accelerazione è la seguente:

Dove al numeratore troviamo la variazione complessiva di velocità.


L’unità di misura dell’accelerazione è il metro al secondo quadrato (m/s2).
Come abbiamo visto per la velocità, anche in questo caso possiamo parlare
di accelerazione media.
Esistono diversi tipi di accelerazione, di cui elenchiamo di seguito i più noti:

1) Accelerazione tangenziale: variazione di intensità della velocità che


si verifica in un secondo. Questo tipo di accelerazione si divide in:

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a) Accelerazione tangenziale positiva, se la velocità aumenta di
intensità.
b) Accelerazione tangenziale negativa o decelerazione, se la
velocità diminuisce di intensità ( ne è un esempio classico la
frenata di un automobilista che percorre un rettilineo.

2) Accelerazione centripeta: variazione di direzione della velocità nel


tempo di un secondo. Questo tipo di accelerazione si verifica nel caso in
cui un punto mobile stia percorrendo una traiettoria curvilinea. In
questo caso il vettore accelerazione è sempre orientato verso il centro di
curvatura della traiettoria.

LEGGE FONDAMENTALE DELLA DINAMICA

Le grandezze fisiche come forza e accelerazione sono legate da un rapporto


di causa – effetto. Questa relazione viene espressa dalla legge fondamentale
della dinamica, che afferma:

Applicando una forza ad un corpo libero, esso acquista un’accelerazione che


ha direzione e verso uguali a quelli della forza, e intensità direttamente
proporzionale all’intensità della forza.

Volendo esprimere tale legge mediante una formula, questa sarà:

A questa costante scalare si dà il nome di massa inerziale del corpo e la si


indica con il simbolo mi. Quindi la precedente formula diventa:

o anche F = mi a.
Se un corpo libero è soggetto alla sola forza peso , allora per la legge vista
prima, essa imprimerà una certa accelerazione detta di gravità . Avremo
quindi che la formula precedente, diventa:

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Ma cosa rappresenta fisicamente la massa inerziale di un corpo?
Essa non è altro che la resistenza che il corpo oppone alle azioni tenenti a far
variare la sua velocità. Spesso si tende a fare confusione tra massa inerziale
(detta spesso semplicemente inerzia) e il peso di un corpo, in realtà la massa
è uno scalare, mentre il peso è una forza di intensità variabile.
L’unità di misura della forza è il newton, che è la forza che, applicata a una
massa inerziale di 1Kgm, le imprime un’accelerazione di 1m/s2.

1N = 1 Kgm 1m/s2

Ricordiamo che 1 Kgp = 9,8 N.

LEGGE D’INERZIA

Un caso particolare della legge fondamentale della dinamica è la legge di


inerzia. Se ad un corpo non viene applicata alcuna forza, allora anche
l’accelerazione sarà nulla, visto che non lo può essere la massa. La legge di
inerzia può essere quindi formulata nel seguente modo:

Un corpo conserva il suo stato di quiete, oppure si mantiene in movimento con


velocità costante, se la risultante delle forze ad esso applicate è nulla; tali stati
possono essere modificati solo per l’intervento di una forza.

CLASSIFICAZIONE DEI MOVIMENTI

I movimenti di un corpo rigido possono essere solo di due tipi:

1) Traslatorio
2) Rotatorio

Un corpo rigido esteso si muove di moto traslatorio, se non si verifica mai


che un suo punto, in qualunque momento si compia l’osservazione, possegga
velocità diversa da quella di qualsiasi altro punto del corpo stesso.
Un corpo rigido esteso si muove di moto rotatorio se tutti i suoi punti
ruotano attorno ad un suo asse ideale fisso.
Un corpo rigido esteso si muove di moto rototraslatorio se è
contemporaneamente soggetto ad una rotazione e ad una traslazione.

24
I diversi tipi di movimento sono di seguito schematizzati:

Moti traslatori

Moti rotatori

MOTO RETTILINEO UNIFORME

Un moto si definisce rettilineo uniforme se si muove con velocità costante e ciò


si verifica se la risultante delle forze applicate al corpo in moto è nulla, infatti
in questo caso l’accelerazione è nulla.

La traiettoria è sempre rettilinea perché se così non fosse, l’accelerazione


centripeta non sarebbe nulla. Il verso è sempre lo stesso, poiché una
inversione provocherebbe comunque un arresto ed una successiva
ripartenza, modificando così l’accelerazione. La velocità istantanea coincide
con quella media. La rappresentazione grafica di tale moto è una retta, cioè
una funzione lineare.

25
MOTO UNIFORMEMENTE ACCELERATO

Un moto uniformemente accelerato è originato dall’azione di una forza


costante su un corpo libero inizialmente fermo, oppure dall’azione della stessa
forza nella direzione della velocità iniziale costante di un corpo già in
movimento.

Essendo la forza una grandezza vettoriale, essa può definirsi costante se


sono costanti la sua intensità, il suo verso e al sua direzione, quindi, secondo
la legge fondamentale della dinamica, il corpo a cui è applicata la forza
acquista un’accelerazione costante, secondo la seguente formula:

Per questo motivo la traiettoria non può essere curvilinea, altrimenti


cambierebbe la direzione. Dunque il moto è rettilineo e la velocità varia in
maniera uniforme. Se il corpo non è inizialmente fermo, ma possiede una
certa velocità v0 non nulla e applichiamo ad esso una forza F con direzione
uguale a quella di v0, il corpo acquista una accelerazione costante , che ha
stessa intensità , verso e direzione dell’accelerazione che la stesa forza F
imprime al corpo quando esso è inizialmente fermo. Quindi anche in questo
caso il moto del corpo risulta rettilineo e la sua velocità varia in maniera
uniforme.
Per quanto riguarda il calcolo della velocità, consideriamo un corpo con
velocità iniziale ed applichiamogli una forza costante F, che gli fa
acquistare una certa accelerazione , facendo passare la velocità da un
valore v0 ad un valore v. Se la traiettoria percorsa nell’intervallo di tempo t è
il segmento AB, avremo la seguente formula:

Dalla formula avremo che v = v0 + at. (1)

Per il calcolo dello spazio percorso, avremo che la velocità media nel tratto
AB si può calcolare facendo la media tra v0 e v, cioè :

Sostituendo a v la formula (1) avremo:

26
Siccome è anche : , allora:

MOTO PERIODICO

Un punto materiale si muove di moto periodico, se ad intervalli di tempo


costanti, passa per una stessa posizione con la stessa velocità e la stessa
accelerazione.
Ne sono esempi il moto del pendolo, oppure il movimento di una lancetta
dell’orologio. In questo tipo di moto vengono introdotti alcuni concetti
fondamentali, come:

1) Periodo: tempo impiegato dal moto del punto a riprendere gli stessi
caratteri. Il periodo si indica con T e si misura in secondi.
2) Frequenza: numero di volte in cui il moto riprende gli stessi caratteri
nel tempo di un secondo. La frequenza si indica con f e si misura in
Hertz (Hz).

Esiste una relazione tra periodo e frequenza e in particolare affermiamo che


il periodo è l’inverso della frequenza e viceversa.

MOTO CIRCOLARE UNIFORME

Un punto materiale si muove di moto circolare uniforme se percorre una


circonferenza mantenendo costante l’intensità della velocità.

Il moto circolare uniforme si realizza applicando ad un corpo che si muove


di moto rettilineo uniforme, una forza diretta perpendicolarmente alla sua
traiettoria, agente in un tempo infinitamente piccolo. In questo modo, il
corpo devia dalla sua traiettoria, non subendo variazioni di velocità e la
forza provoca un’accelerazione centripeta, facendo descrivere al corpo una
traiettoria circolare. La velocità con la quale il corpo percorre la

27
circonferenza si dice velocità periferica, con direzione sempre tangente alla
circonferenza, verso orario e intensità costanti.
A

Fc B

La forza Fc applicata al corpo si dice forza centripeta, sempre diretta


secondo il raggio della circonferenza e diretta verso il centro.
Per il calcolo della velocità periferica, si ha che . Quando il punto
materiale compie un giro completo, lo spazio percorso sarà 2π, e il tempo
sarà T, per cui avremo:

Nel moto circolare uniforme, viene introdotta una nuova velocità, detta
velocità angolare. Essa non è altro che l’angolo al centro descritto dal raggio
nel tempo di un secondo. Infatti mentre il corpo si muove lungo l’arco AB, il
raggio OA descrive un angolo al centro α. La formula per la velocità angolare
è la seguente:

Per quanto riguarda la formula dell’accelerazione centripeta, essa è la


seguente:

Infine, dovendo calcolare l’intensità della forza centripeta, possiamo


applicare la solita legge della dinamica, ed avere quindi:

28
MOTO ARMONICO

Dicesi moto armonico il moto periodico che si ottiene proiettando il moto


circolare uniforme su diametro della circonferenza.

La traiettoria del moto è quindi un qualunque diametro della circonferenza


AL. Dalla figura sottostante si nota che, nel tempo in cui il punto materiale si
muove lungo l’arco AB, la sua proiezione percorre il segmento AB1, e così
vale per l’arco BC e la proiezione B1C1. Quando il punto oltrepassa la
posizione L e ritorna in A, la sua proiezione percorre il diametro in senso
contrario. Il moto armonico è, dunque, un moto di andata e ritorno tra le
estremità del diametro.

L
A B1

L’intensità della forza che origina il moto armonico è direttamente


proporzionale al valore dello spostamento, la direzione è costante e il verso
è sempre opposto al verso dello spostamento. La formula è la seguente:

dove x è lo spostamento del punto.

Per quanto riguarda l’accelerazione si ha che essa possiede in ogni punto


della traiettoria, intensità direttamente proporzionale all’intensità dello

29
spostamento. Il calcolo è molto semplice e riprende il concetto di forza.
Infatti si ha:

Per il calcolo del periodo ricordiamo che , quindi basta sostituire il


valore di ω nella formula dell’accelerazione del moto armonico.

La formula della velocità è la seguente:

dove v1 è la proiezione della velocità del punto materiale e x lo spostamento.


Le curve che rappresentano graficamente le velocità e le accelerazioni in un
moto armonico, sono delle sinusoidi.

MOTO ROTATORIO UNIFORME

Dicesi moto rotatorio uniforme, il moto di un corpo rigido esteso , girevole


intorno ad un suo asse fisso.

Se consideriamo una lamina e un punto P su di essa che si muove di moto


circolare uniforme e con velocità angolare , anche tutti gli altri punti si
muoveranno dello stesso moto e con la stessa velocità, poiché il corpo è
rigido e ogni punto deve mantenere la stessa posizione rispetto agli altri
punti.

30
Per quanto riguarda l’accelerazione, abbiamo che essa è centripeta ed è
direttamente proporzionale alla distanza dall’asse di rotazione.
Nel caso del moto rotatorio accelerato, la forza sarà tangenziale e di
conseguenza anche l’accelerazione .

LEGGE DI AZIONE E REAZIONE

La legge fu formulata per la prima volta da Newton e afferma:

L’azione di una forza è sempre accompagnata da una reazione di uguale


intensità, uguale direzione ma verso contrario.

ESERCIZI
1) Esprimere in m/s le seguenti velocità: 72 Km/h, 108 Km/h, 180
Km/h. [20 ; 30 ; 50]

2) Esprimere in Km/h le seguenti velocità: 22 m/s, 10 m/s, 78 m/s.


[79,2 ; 36 ; 280,8]

3) Calcolare la velocità media (in m/s ed in Km/h) di un veicolo che


percorre 30,5 Km in 20 minuti e 20 secondi. [25m/s ; 90Km/h]

4) Calcolare la velocità media (in m/s ed in Km/h) di un veicolo che


percorre 30,25 Km in 18 minuti e 20 secondi. [25m/s ; 90Km/h]

5) Un’automobile parte da una certa località e, dopo 40 minuti, sosta per


5 minuti. Poi essa riparte, e dopo altre due ore di marcia, sosta
nuovamente per 20 minuti. Infine si rimette ancora in moto e dopo 23
minuti e 20 secondi, arriva a destinazione. Sapendo che
l’automobilista ha percorso complessivamente 40Km, si calcoli la
velocità media e si calcoli inoltre quale sarebbe stata la velocità media
se l’automobile non si fosse mai fermata. [115,2Km/h ; 130,9Km/h]

6) Un ‘automobile ha viaggiato per 21 minuti e 12 secondi alla velocità


media di 72Km/h. Quale spazio ha percorso? [25,44Km]

7) Calcolare l’accelerazione tangenziale media in un certo tratto AB della


traiettoria di un corpo in movimento, sapendo che nel punto A la
velocità era 30m/s, mentre nel punto B è 50m/s, e sapendo inoltre

31
che il tempo impiegato dal corpo per andare da A a B è stato 5s.
[4m/s2]

8) Un’automobile corre su un’autostrada a 180 Km/h e improvvisamente


il guidatore, scorgendo un ostacolo, frena fino a ridurre la velocità a
20m/s nel tempo di 1,5s. Calcolare l’accelerazione tangenziale media
dell’automobile durante la frenata. [– 20m/s2 ]

9) Calcolare la forza necessaria per imprimere ad un corpo di massa


inerziale 12Kgm l’accelerazione di 8m/s2. [96N]

10) Calcolare la massa inerziale di un corpo che, soggetto all’azione di una


forza di 300N, acquista l’accelerazione di 12m/s2. [25Kgm]

11) Calcolare l’intensità della forza necessaria per imprimere ad un corpo


di massa inerziale 2Kgm un’accelerazione di 5m/s2 diretta
verticalmente verso l’alto. [29,6N]

12) Sapendo che un’automobile ha viaggiato per 5 minuti con velocità di


102Km/h, calcolare lo spazio percorso. [8,5Km]

13) Un corpo si muove di moto rettilineo uniforme alla velocità di 144


Km/h. Calcolare il tempo che esso impiega a percorrere una distanza
di 6400m. [2’ 40’’]

14) Da uno stesso punto P partono due automobili, l’una 40 minuti dopo
l’altra. Sapendo che la prima automobile viaggia alla velocità di
72Km/h e la seconda 108Km/h, calcolare dopo quanto tempo e a
quale distanza dal punto P la seconda automobile raggiunge la prima.
Si suppongano i due moti rettilinei uniformi.
[1h 20’ ; 144Km]

15) Da due punti A e B partono contemporaneamente due automobili,


muovendosi l’una incontro all’altra. Sapendo che la distanza tra i due
punti è 67,5Km e che le due automobili viaggiano a 90Km/h e
72Km/h, calcolare dopo quanto tempo e in quale punto del percorso
esse si incontrano. Si suppongano i due moti rettilinei uniformi.
[25’ ; a 37,5Km dal punto A]

16) Calcolare il tempo impiegato da un’automobile per superare un


autotreno, sapendo che quest’ultimo è lungo 20m e si muove alla
velocità di 72Km/h, mentre l’automobile è lunga 4m e si muove alla
velocità di 144Km/h. Si suppongano i due moti rettilinei uniformi.
[1,2s]

32
17) Un corpo, inizialmente fermo, raggiunge in 5s la velocità di 72Km/h.
Supponendo che l’accelerazione sia costante, calcolarne il valore.
Calcolare inoltre lo spazio percorso dal corpo nei 5s. [4m/s2 ; 50m]

18) Un corpo percorre 100m di moto uniformemente accelerato, con


accelerazione pari a 2m/s2. Calcolare il tempo impiegato, supponendo
nulla la velocità iniziale. [10s]

19) Applicando la forza di 0,2N ad un corpo di massa inerziale di 6Kgm,


esso acquista una velocità di 18m/s. calcolare il tempo necessario.
[9 min]

20) Un corpo di massa inerziale 10Kgm, inizialmente fermo, viene


sottoposto per 15s all’azione di una forza costante di 20N. Calcolare
l’accelerazione, lo spazio percorso e la velocità finale.
[2m/s2 ; 225m ; 30m/s]

21) Un’automobile viaggia alla velocità di 20m/s. Ad un certo punto


accelera, con accelerazione costante di 2m/s2. Calcolare la velocità e
lo spazio percorso dopo 10s. [40m/s ; 300m]

22) Ad un corpo di massa inerziale 1000 Kgm, che si muove di moto


rettilineo uniforme alla velocità di 20m/s, viene applicata una forza
costante di 2000N, diretta nello stesso senso del moto. Calcolare la
velocità del corpo dopo 15s e lo spazio percorso in tale tempo.
[50m/s ; 525m]

23) Ad un corpo di massa inerziale 1500 Kgm, inizialmente fermo, viene


applicata una forza costante di 300N. Per quanto tempo deve agire la
forza, affinché il corpo raggiunga la velocità di 33m/s. [2’ 45’’]

24) Un veicolo, inizialmente in moto alla velocità di 108Km/h, ad un certo


punto frena, acquistando una decelerazione di 3m/s2. Calcolare il
tempo necessario per fermarsi e lo spazio che viene percorso
dall’inizio della frenata. [10s ; 150m]

25) La velocità di un veicolo, sotto l’azione di una certa forza, passa in 10s
da 20m/s a 35m/s. Supponendo che l’accelerazione sia costante,
calcolare lo spazio percorso nei 10s. [275m]

26) Un’automobile di massa inerziale 800 Kgm viaggia alla velocità di 108
Km/h. L’automobile, sotto l’azione di una forza costante, diretta in
senso contrario a quello del moto, si ferma in 15s. Calcolare l’intensità

33
della forza e lo spazio percorso dall’istante in cui essa viene applicata
all’istante in cui l’automobile si ferma. [1600N ; 225m]

27) Un’automobile, inizialmente ferma, percorre 200m di moto


uniformemente accelerato, con accelerazione uguale a 4m/s2.
Calcolare il tempo impiegato e la velocità iniziale. [10s ; 40m/s]

28) Un veicolo, muovendosi per 20s di moto rettilineo uniforme, percorre


460m. Il veicolo accelera per 10s, con accelerazione di 0,5m/s2 , e poi
mantiene costante per altri 10s la nuova velocità. Infine il veicolo
frena, con decelerazione costante di 2m/s2, fino a fermarsi. Calcolare:
a) Per quanto tempo il veicolo resta in movimento.
b) Lo spazio percorso.
c) La velocità 2s prima della fermata. [54s ; 1191m; 4m/s]

29) Un veicolo in movimento raggiunge in 10s la velocità di 40m/s.


Sapendo che esso ha subito un’accelerazione costante di 1,5m/s2,
calcolare la sua velocità iniziale. [25m/s]

30) Una ruota di raggio 6cm compie 300 giri al minuto. Supponendo che il
moto sia circolare uniforme, calcolare: 1) il periodo; 2) la frequenza;
3) la velocità angolare; 4) l’accelerazione centripeta di un punto posto
alla periferia della ruota. [0,2s ; 5Hz ; 4rad/s ; 59,16m/s2]

31) Una ruota di raggio 10cm gira con velocità angolare costante di
50rad/s. Calcolare: 1) il periodo; 2) la frequenza; 3) l’accelerazione
centripeta di un punto posto alla periferia della ruota.
[0,125s ; 8Hz; 250 m/s2]

32) Calcolare la forza centripeta agente su un corpo di massa inerziale


2Kgm, che si muove di moto uniforme su una circonferenza di raggio
0,5m con una frequenza di 3Hz. [355,3N]

33) Le ruote di un veicolo hanno il raggio di 35cm. Calcolare la velocità del


veicolo, sapendo che le sue ruote girano con la frequenza di 15Hz.
[32,97 m/s]

34) Una ruota gira con la frequenza di 10Hz e la sua velocità periferica è
9,42m/s. Calcolare: 1) il raggio della ruota; 2) la velocità angolare ; 3)
la velocità periferica di un punto della ruota distante 5cm dal centro.
[15cm ; 62,8rad/s ; 3,14m/s]

35) Su un corpo di massa inerziale 0,1 Kgm agisce una forza centripeta
avente un’intensità costante di 100N. Sapendo che il raggio della

34
circonferenza descritta dal corpo in moto è 10cm, calcolare la velocità
angolare e il periodo. [100rad/s ; 0,0628s]

36) Calcolare l’accelerazione di un moto armonico nel punto di


spostamento +10cm, sapendo che la velocità angolare del moto
circolare uniforme che lo ha generato è di 10rad/s. Supposto poi che
lo spostamento massimo raggiunga il valore di 25cm, calcolare
l’accelerazione massima. [10m/s2 ; 25m/s2]

In un moto circolare uniforme la velocità periferica è 3,14m/s e la


frequenza è 5Hz. Calcolare la velocità e l’accelerazione massima del
moto armonico che si ottiene proiettando il moto circolare uniforme
sul diametro della circonferenza. [3,14m/s ; 98,6m/s2]

37) Ad un corpo di massa inerziale 2Kgm, che si muove di moto armonico,


risulta applicata, in un certo punto P della sua traiettoria, una forza di
1440N. Sapendo che la velocità massima è 30m/s e lo spostamento
massimo è 1m, calcolare lo spostamento di P e la velocità del punto in
tale corpo. [0,8m ; 18m/s]

Lo spostamento massimo di un corpo che si muove di moto armonico


è 20cm. Si sa che la massa inerziale del corpo è 0,1Kgm e che, nel
punto di massimo spostamento, il corpo subisce un’accelerazione di
10m/s2. Calcolare la forza che agisce sul corpo nel punto di
spostamento–7cm. [0,35N]

38) Calcolare l’accelerazione angolare di un corpo di massa 0,5Kgm, che


percorre una traiettoria circolare di raggio 0,4m, sapendo che su di
esso agisce una forza tangenziale di 5N. [25rad/s2]

39) Un passeggero cammina nel corridoio di una carrozza ferroviaria,


nello stesso senso del moto del treno. Supponendo che i due moti
siano rettilinei uniformi e che le rispettive velocità siano 2m/s e
30m/s, calcolare lo spazio percorso dal passeggero rispetto al binario,
nel tempo di 1s. [160m]

40) Una grossa nave si muove verso Sud con moto rettilineo uniforme,
alla velocità di 10m/s. Un carrello si muove sul ponte della nave,
verso Est, con velocità costante di 6m/s. Un uomo cammina sul
carrello, verso Nord, con velocità costante di 2m/s. Calcolare la
velocità dell’uomo rispetto alla terraferma. [10m/s]

35
CAPITOLO 5

LA GRAVITAZIONE
Newton scoprì che ogni corpo, oltre alla capacità di resistere alle variazioni
di velocità (inerzia), presenta anche la proprietà di attirare altri corpi ed
esserne attirato a sua volta con la stessa forza. La responsabile di tali forze
attrattive è una particolare proprietà, comune a tutta la materia e che si
chiama massa gravitazionale (mg), misurata in Kg – massa (Kgm). Newton
formulò una legge che regola la forza di attrazione, la quale afferma:

Due corpi qualunque si attraggono con una forza di intensità direttamente


proporzionale al prodotto delle loro masse gravitazionali ed inversamente
proporzionale al quadrato delle distanza dei loro baricentri. La direzione della
forza è proprio la retta passante per i baricentri.

La formula esprimente tale legge, cioè l’intensità della forza di attrazione


(forza Newtoniana) è la seguente:

dove Mg ed mg sono le masse gravitazionali dei due corpi e G viene detta


costante di gravitazione universale, ed esprime la forza che si esercita tra due
masse gravitazionali unitarie di 1Kgm poste a distanza unitaria di 1m. Il
valore di tale costante è 6,67*10–11N.

IL CAMPO GRAVITAZIONALE

Consideriamo un corpo di massa gravitazionale Mg, situato in qualunque


punto A dello spazio. Per la legge di Newton, qualunque altro corpo posto a
distanza non infinita da A, subisce ed esercita una certa azione attrattiva. In
questo modo lo spazio intorno al corpo, diventa sede di forze di natura
gravitazionale. A questa regione dello spazio si da il nome di campo
gravitazionale. Se poniamo un altro corpo di mass mg in un punto B, e d è la
distanza tra i due punti, possiamo applicare la legge di Newton vista nel
paragrafo precedente.
Il campo gravitazionale possiederà una certa intensità, che in un
determinato punto dello spazio, è la forza che agisce sulla massa

36
gravitazionale unitaria posta in tale punto. Questa intensità si indica con K, e
la formula è:

B F d F A

mg Mg

LA FORZA PESO E L’ACCELERAZIONE DI GRAVITÀ

Se consideriamo un corpo posto in un punto A della superficie terrestre,


esso è soggetto contemporaneamente all’azione di due forze:

1) La forza centrifuga dovuta alla rotazione della terra e che è


l’opposto della forza centripeta.
2) La forza Newtoniana dovuta all’attrazione gravitazionale della
terra.

L’intensità della forza centrifuga è: .


la risultante della somma vettoriale delle due forze applicate al corpo,
ottenuta con la regola del parallelogramma, viene detta forza peso o
semplicemente peso del corpo, ed è indicata con . Quindi:

(2)

È molto importante notare che il peso coincide con la forza Newtoniana solo
se esso si trova sui poli terrestri. Infatti, in questo caso, essendo nulla la
distanza del corpo dall’asse di rotazione terrestre, è evidentemente nulla
anche la forza centrifuga.

37
Per calcolare l’accelerazione di gravità, ovvero l’accelerazione che la forza
peso imprime ad un corpo libero, consideriamo sempre il corpo posto in un
punto A, però sospeso ad una certa altezza dal suolo o comunque libero di
cadere (ad esempio un corpo su un ramo di un albero). Siccome, in base alla
dinamica è anche :

Avremo che la (2) diventa:

dove:

R = distanza del punto A dal baricentro della terra


MT = massa gravitazionale della terra
mg = massa gravitazionale del corpo posto nel punto A
mi = massa inerziale del corpo posto nel punto A

Dividendo tutto per mi, la precedente formula diventa:

Il peso e l’accelerazione di gravità variano con l’altitudine, in particolare


entrambe diminuiscono all’aumentare dell’altitudine.
È utile ricordare le definizioni di massa inerziale e massa gravitazionale.

a) La massa inerziale di un corpo è la resistenza che esso oppone alle


azioni tendenti ad imprimergli un’accelerazione.
b) La massa gravitazionale di un corpo è la misura di quella proprietà,
comune a tutta la materia, per la quale il corpo esercita azioni
attrattive su altri corpi e ne è a sua volta attratto con uguale forza.

MOTO DI CADUTA LIBERA DEI GRAVI

Un corpo cade liberamente se la sola forza agente su di esso è la forza peso,


anche se a questo proposito dobbiamo precisare che in realtà, la caduta non
è proprio libera, a causa anche di una forza di senso contrario alla forza
peso, e dovuta alla resistenza all’aria. In generale un corpo di massa m posto
ad una certa altezza h dal suolo e abbandonato a se stesso, si muoverà di
moto uniformemente accelerato, che in questo caso sarà chiamato moto

38
naturalmente accelerato. Se lasciamo cadere dalla stessa altezza un
frammento di piombo e una piuma, osserveremo che essi arriveranno al
suolo in tempi diversi, cioè la piuma arriverà molto più tardi rispetto al
frammento. Ma se mettiamo i due corpi in un tubo e aspiriamo l’aria,
rovesciando nel contempo lo stesso, osserveremo che , in assenza di
resistenze, essi arriveranno al suolo con la stessa velocità.
Il concetto di peso di un corpo è molto relativo, poiché è necessario
specificare prima il sistema di riferimento rispetto al quale si intende
misurarlo. Una definizione di peso che implicitamente contiene il concetto di
sistema di riferimento è la seguente

Il peso di un corpo è una forza opposta a quella con la quale il mezzo


materiale su cui è appoggiato il corpo, reagisce sullo stesso.

a) Se il corpo si trova appoggiato alla Terra, il suo peso è una forza di


uguale intensità, uguale direzione ma verso contrario rispetto alla forza
con la quale la Terra reagisce sul corpo.
b) Se il corpo si trova dentro un aereo in volo, il suo peso è una forza
opposta a quella con la quale il pavimento dell’aereo reagisce sul corpo.
c) Se il corpo si trova sospeso, per esempio attaccato ad un filo fissato per
un’estremità ad un supporto rigido, il suo peso è la forza di tensione del
filo.

Possiamo affermare che:

a) Rispetto ad un sistema di riferimento accelerato che si muove verso il


basso secondo la verticale, con accelerazione uguale all’accelerazione di
gravità (ad esempio un ascensore), i corpi sono privi di peso.
b) Se l’accelerazione è minore dell’accelerazione di gravità (a < g), i corpi
hanno, rispetto a sistema di riferimento, un peso di intensità m(g – a),
cioè un peso inferiore a quello che avrebbero rispetto ad un sistema di
riferimento solidale con la Terra, oppure in moto rettilineo uniforme
rispetto alla Terra.
c) Se l’accelerazione del sistema ha intensità a = 2g, i corpi, rispetto ad
esso avranno un peso , cioè opposto a quello che essi hanno
rispetto ad un sistema di riferimento solidale con la Terra, oppure in
moto rettilineo uniforme rispetto alla Terra.
d) In un sistema di riferimento accelerato, che si allontana dalla Terra
lungo la verticale, con accelerazione , i corpi hanno un peso
doppio di quello che avrebbero in un sistema di riferimento terrestre.

39
MOTO DI UN CORPO LANCIATO VERSO L’ALTO

Supponiamo che un corpo venga lanciato verticalmente in alto, con velocità


iniziale v0. Se si trascura la resistenza dell’aria, la sola forza agente su di esso
è la forza peso, applicata in senso contrario a quello del moto ascensionale.
La forza peso ha un effetto frenante, poiché imprime al corpo
un’accelerazione di intensità g negativa, perché di verso contrario a quella
del moto. Il corpo, quindi si muoverà di moto uniformemente ritardato, con
velocità che diminuisce ogni secondo di 9,81 m/s. il corpo raggiunge una
certa altezza h, per poi ricadere, con (3), dove t è l’intervallo

di tempo trascorso dall’istante nel quale il corpo viene lanciato all’istante in


cui si ferma. Il valore di h può anche essere trovato senza conoscere t, infatti
essendo il moto uniformemente ritardato, il tempo di fermata si può
calcolare anche così:

Sostituendo tale valore nella (3), si ha:

di conseguenza , da cui si vede chiaramente che


la velocità con la quale il corpo giunge al suolo è la stessa con la quale esso
era stato lanciato verso l’alto.

MOTO DI UN CORPO LANCIATO OBLIQUAMENTE

Questo è il tipico moto di un proiettile sparato da un cannone, inclinato


rispetto al piano orizzontale. Lo studio di tale moto può essere facilmente
eseguito se si trascura la resistenza dell’aria. Infatti, in tali condizioni, il
moto del proiettile non è altro che la risultante di un moto rettilineo
uniforme, nella direzione del cannone, e di un moto naturalmente accelerato,
dovuto al peso del proiettile. La composizione di questi due movimenti dà
luogo ad un moto parabolico. La distanza alla quale giunge il proiettile si
dice gittata, e dal calcolo risulta che essa è massima quando il cannone è
inclinato di 45o.

40
MOTO DI UN CORPO SU UN PIANO INCLINATO

Supponiamo un piano inclinato, come quello visto a pag.15, di lunghezza l e


altezza h, e supponiamo che un corpo T sia appoggiato nella parte più alta,
trascurando l’attrito tra il piano e il corpo.
Se P è il peso del corpo, esso si moverà verso il basso, a causa di una forza F
espressa dalla seguente relazione:

dalla quale, sostituendo i valori F = ma e P = mg , si ottiene:

cioè .
Il corpo si muove di moto uniformemente accelerato e la velocità con la
quale esso arriva alla base del piano, dopo aver percorso tutto l, sarà:

Sostituendo ad a il valore trovato prima, si ha:

Questo risultato ci dice che: la velocità con la quale il corpo giunge al suolo,
dopo aver percorso l’intero piano inclinato, è la stessa che avrebbe se cadesse
liberamente al suolo dall’altezza h.

MOTO PENDOLARE

Il pendolo semplice è costituito da un punto materiale appeso ad una


estremità di un filo flessibile ed inestensibile. L’altra estremità del filo è
fissata ad un punto O detto centro di sospensione. In pratica un pendolo
semplice si realizza legando una pallina metallica all’estremità di un filo
molto sottile e flessibile.

41
Rv Rv

D F A

O1 B O1

P P F1
fig. 1 fig. 2

Il sistema si trova in equilibrio quando la pallina si trova in O1, detto centro


di oscillazione e che coincide con il baricentro della pallina ed è posto sulla
verticale abbassata dal punto O (fig.1). Se portiamo la pallina nella posizione
A (fig.2), la forza peso P si scomporrà nelle due forze F1 ed F. La forza F1
viene annullata dalla reazione vincolare Rv, per cui il suo effetto si limita alla
semplice trazione del filo, mentre la forza F produrrà un effetto dinamico,
facendo muovere la pallina verso la posizione di equilibrio stabile O 1.
Portando la pallina in A e lasciandola libera, essa si muoverà quindi verso O 1,
supera per inerzia tale punto e si porta nella posizione B opposta ad A;
quindi inverte il senso del movimento e si porta di novo in prossimità del
punto A. la pallina compie in questo modo delle oscillazioni intorno alla
posizione di equilibrio O1.
Detto x il segmento DA, si dimostra che i due triangoli AOD e APF sono
simili, per cui vale la proporzione: AF: DA = AP : AO, cioè F : x = P : l , da cui si
ricava:

(4)

42
Il moto pendolare, per piccole oscillazioni, può essere definito un moto
armonico.

Per il calcolo del periodo, definiamo oscillazione semplice del pendolo, il


moto della pallina solo da A a B (oppure da B ad A). Dicesi invece oscillazione
completa, il moto di andata e ritorno tra tali punti. Il periodo di oscillazione è
il tempo impiegato dalla pallina per compiere appunto un’oscillazione
completa.
Useremo la formula del moto armonico, applicata al moto pendolare:

La formula (4) può anche essere scritta , cioè


Sostituendo tale valore di a nella formula del periodo T e facendo opportuni
calcoli e semplificazioni, si avrà:

ESERCIZI

1) Calcolare l’intensità della forza con la quale si attraggono due corpi di


massa gravitazionale di 108 Kgm e 3*108 Kgm, sapendo che la distanza
tra i loro baricentri è di 1Km. Si assuma per la costante di gravitazione
universale il valore di 6,67*10–11. [2,001N]

2) Calcolare l’intensità del campo gravitazionale generato da un corpo di


massa gravitazionale di 6*109Kgm in un punto posto a 500m dal suo
baricentro. [1,6*10–6N/Kgm]

3) Calcolare il peso di un corpo avente la massa di 10Kgm. Calcolare


inoltre la velocità con la quale il corpo giunge al suolo, cadendo
liberamente da un’altezza di 78,4m. [98N ; 39,2m/s]

4) Un turista lascia cadere una moneta dalla sommità di una torre, ed


osserva che essa giunge al suolo dopo 3s. Quanto è alta la torre?
[44,1m]

43
5) Un ascensore parte verso l’alto con accelerazione di 4,9m/s2. Qual è il
peso, rispetto all’ascensore, di un uomo di massa 70Kgm, nel momento
in cui l’ascensore accelera? [105Kgp]

6) Dalla sommità di una torre alta 58,8m viene lanciata verso l’alto una
pallina metallica. La pallina sale, rispetto al punto in cui è stata
lanciata, fino a 19,6m. Calcolare: 1) la velocità iniziale della pallina;
2)dopo quanto tempo la pallina passa di nuovo per la posizione
iniziale e con quale velocità; 3) dopo quanto tempo la pallina giunge al
suolo e con quale velocità. [19,6m/s ; 4s ; 19,6m/s ; 39,2m/s]

7) Un corpo di massa 20Kgm viene posto in cima ad un piano inclinato


4m. lasciando libero il corpo, esso percorre tutta la lunghezza del
piano, alla fine, la sua velocità risulta uguale a 1,4m/s. calcolare
l’intensità della forza motrice che ha agito sul corpo e il tempo
impiegato a percorrere tutta la lunghezza del piano inclinato.
[4,9N ; 5,7s]

8) Calcolare la lunghezza di un pendolo semplice sapendo che il suo


periodo è 3,14s. [2,45m]

9) Calcolare il periodo di un pendolo semplice sapendo che la sua


lunghezza è 1,568m. [2,51s]

10) Una massa puntiforme di 5Kgm è appesa ad un filo inestensibile lungo


2,5m. La massa viene spostata di 10cm dalla sua posizione di
equilibrio e pio viene lasciata libera. Calcolare il periodo di
oscillazione, l’intensità massima della forza motrice, l’intensità
massima dell’accelerazione. Si assuma per l’accelerazione di gravità il
valore 10m/s2. [3,14s ; 2N ; 0,4m/s2]

11) Da un’arma da fuoco, disposta orizzontalmente a 1,8m dal suolo, esce


un proiettile alla velocità di 720m/s. Calcolare: 1) dopo quanto tempo
il proiettile giunge al suolo; 2) a quale distanza dal piede della
perpendicolare abbassata dalla bocca dell’arma il proiettile tocca
terra. Si supponga l’accelerazione di gravità uguale a 10m/s2.
[0,6s ; 432m]

12) Un’automobile percorre un rettilineo alla velocità di 108Km/h. Una


persona getta dal finestrino un oggetto, perpendicolarmente al moto
dell’auto, lanciandolo con una velocità di 22,5m/s. Calcolare in m/s e
in Km/h la velocità dell’oggetto rispetto alla strada nel momento del
lancio. [37,5m/s ; 135Km/h]

44
CAPITOLO 6

LAVORO – POTENZA – ENERGIA


Enunciamo di seguito il concetto di lavoro:

Una forza fa lavoro quando sposta il proprio punto di applicazione in una


direzione non perpendicolare alla sua retta d’azione.

Il lavoro è una grandezza scalare e per una sua corretta comprensione,


dobbiamo distinguere quattro diversi casi:

1) Forza costante che si sposta lungo la propria retta d’azione. In


questo caso il lavoro fatto dalla forza è dato dal prodotto della sua
intensità per lo spostamento del suo punto di applicazione.

L = F*S

2) Forza costante con retta d’azione non parallela alla direzione


dello spostamento. In questo caso la retta d’azione della forza forma
un certo angolo α con la direzione dello spostamento e si ha che il
lavoro fatto dalla forza è il prodotto dello spostamento per la
proiezione della forza nella direzione dello spostamento.

F2 F

P F1 Q z

La forza F2 non fa lavoro, poiché non può spostare il punto P lungo la


retta z, quindi la sola forza che compie lavoro è la F1, che è la
proiezione di F sulla retta z. Il lavoro viene quindi espresso dalla
seguente formula : L = F1S.

3) Forza non costante che si muove lungo la propria retta d’azione. In


questo caso, essendo l’intensità della forza variabile, è necessario

45
suddividere lo spostamento in intervalli molto piccoli, entro i quali la
forza possa essere considerata costante ed abbia un valore espresso
dalla media aritmetica dei valori da essa assunti agli estremi
dell’intervallo considerato. Il lavoro complessivo sarà dato dalla
somma dei lavori fatti nei singoli intervalli:

L = L1 + L2 + L3 + …..

4) Forza perpendicolare alla direzione dello spostamento. Come


abbiamo visto nel caso 2, è facile affermare che una forza con queste
caratteristiche non compie lavoro.

L’unità di misura del lavoro è il joule con J=1N* 1m.


Nel sistema pratico si parla invece di chilogrammetro, dove 1Kgm = 1Kgp*1m.
Se ricordiamo che 1Kgp = 9,8N, possiamo scrivere che 1Kgm = 9,8 *1m, e
siccome 1N*1m = 9,8 J, si avrà 1Kgm = 9,8 J.

POTENZA

La potenza è il rapporto tra il lavoro fatto e il tempo impiegato a compierlo.

La potenza, come il lavoro, è una grandezza scalare. L’unità di misura della


potenza è il watt, dove:

Diremo che una macchina ha la potenza di 1W se può fare il lavoro di 1J nel


tempo di 1s. nel sistema pratico, tuttavia, si preferisce utilizzare un’unità
diversa, che è il cavallo vapore, e si indica con le iniziali italiane Cv oppure
inglesi HP.
Una macchina ha la potenza di 1CV se può fare il lavoro di 75 Kg m nel tempo
di 1s.

1 Cv equivale a 735 W. Infatti:

46
,

,
,

ENERGIA

Un corpo possiede energia se può fare lavoro. Appare evidente che le unità di
misura dell’energia sono le stesse di quelle del lavoro. In natura esistono
molte forme di energia:

 Energia animale, che deriva in sostanza dagli alimenti ingeriti.


 Energia termica, se un corpo si trova ad una temperatura superiore
allo zero assoluto (ad esempio una macchina a vapore che compie
lavoro in virtù del calore fornito alla caldaia).
 Energia chimica, che si manifesta conseguentemente a determinate
reazioni chimiche .
 Energia elettrica, prodotta da macchine elettriche.
 Energia nucleare, che tiene unite le particelle costituenti il nucleo
dell’atomo e si libera quando avviene la separazione o disintegrazione
delle stesse.
 Energia meccanica, se il corpo che la possiede può compiere lavoro in
virtù della sua posizione (energia potenziale gravitazionale), oppure
possiede una certa velocità (energia cinetica).

ENERGIA CINETICA

Un corpo possiede energia cinetica se si trova in movimento. Tale energia è


pari al lavoro che può fare il corpo, riducendo a zero la sua velocità.

È evidente, infatti, che un corpo in movimento, fermandosi, compie un certo


lavoro. Se l’arresto è brusco, urtando ad esempio contro un ostacolo, il
lavoro fatto risulta dai danni provocati sia dal corpo sia dall’ostacolo; se
l’arresto è lento, il corpo farà lavoro per vincere le resistenze che incontra
nel tratto percorso, dopo essersi fermato.
Consideriamo un corpo di massa m che si muove di moto rettilineo uniforme
con velocità . Ad un cero punto applichiamo una forza , avente uguale
direzione ma verso contrario a quello del moto. Il corpo da quel momento in
poi si muoverà di moto uniformemente ritardato, finché ad un certo punto si

47
ferma. Se lo spazio percorso, dal momento in cui si applica la forza al
momento in cui si ferma è S, il lavoro fatto per vincere l’azione di tale forza è
L = F S.
Siccome questo lavoro è fatto a spese della velocità del corpo, esso misurerà
l’energia cinetica prima dell’intervento della forza, per cui possiamo
scrivere:

Dato che il corpo si muove di moto uniformemente ritardato, lo spazio


percorso sarà dato dalla nota formula:

Quindi

ENERGIA POTENZIALE GRAVITAZIONALE

Un corpo possiede energia potenziale gravitazionale se il lavoro che esso può


compiere è dovuto alla posizione che esso occupa.

Un corpo di peso P, sospeso ad una certa altezza h dal suolo, possiede


energia potenziale gravitazionale; infatti, cadendo a terra, esso compie
lavoro L = Ph, fatto a spese dell’energia che esso possedeva per il fatto di
trovarsi ad una certa altezza dal suolo. Vale la relazione:

PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA

In un sistema isolato, cioè un sistema che non può ricevere energia all’esterno
né può cederla, l’energia non si crea né si distrugge, ma può solo trasformarsi,
rimanendo sempre complessivamente costante.

Esistono infatti molti esempi in natura di trasformazioni di energia in altre


forme di energia spesso anche non più utilizzabili, ma che non vanno
comunque distrutte (ad esempio la trasformazione di energia cinetica prima
in elettrica e poi in termica nei bacini idrici).

48
ESERCIZI
1) Calcolare il lavoro fatto da una forza costante di 500N, sapendo che la
sua retta d’azione forma con la direzione dello spostamento un angolo
di 60° e che lo spostamento è di 50m. [12500 J]

2) Calcolare il lavoro fatto da un atleta che solleva 200Kgp all’altezza di


2,1m. [420Kgm]

3) Un corpo di massa 150Kgm, inizialmente fermo, viene spinto da una


forza costante di 300N, acquistando un’accelerazione di 1,8m/s2.
Calcolare il lavoro fatto dalle resistenze passive nei primi 10s.
[– 2700 J]

4) Un corpo, inizialmente fermo, sotto l’azione di una forza costante


acquista un’energia cinetica di 4000 J. Sapendo che la massa del corpo
è 20Kgm e che la forza ha agito su di esso per 5s, calcolare il valore
dell’accelerazione impressa al corpo e quello della forza. [4m/s2 ; 80N]

5) Un’automobile di 1000Kgm si muove alla velocità di 144Km/h.


Applicandole una forza costante, l’automobile rallenta e si ferma in
20s. Calcolare l’intensità della forza e il lavoro fatto per fermare
l’automobile. [2000N ; 8*105 J]

6) Una sfera di 2Kgm, sollevata a 10m dal suolo, viene lasciata libera.
Calcolare la sua energia cinetica nell’attimo in cui tocca terra. [196 J]

7) Per mantenere un automobile in moto rettilineo uniforme, alla


velocità di 144Km/h, è necessaria l’azione di una forza costante di
1500N. Calcolare l’energia assorbita dalle resistenze passive nel
tempo di 20s. [12*105 J]

8) Un ciclista ha una massa di 70Kgm e la sua bicicletta di 8Kgm. Quale


lavoro fa il ciclista per superare un dislivello di 500m, percorrendo
una strada di montagna lunga 6Km? [382200 J]

9) La sferetta di un pendolo semplice, nell’attimo in cui passa per il


centro di oscillazione, ha velocità di 1m/s. A quale altezza, rispetto al
piano orizzontale passante per il centro di oscillazione, giungerà la
sferetta? [5,1cm]

49
10) Un ciclista, giunto all’inizio di una salita con velocità di 36Km/h,
smette di pedalare. Calcolare l’altezza, rispetto alla pianura, alla quale
giunge il ciclista. [5,1m]

11) Un’automobile di 1200Kgm si muove, nell’istante iniziale


dell’osservazione, alla velocità di 144Km/h. Premendo al massimo
l’acceleratore, in 5s l’automobile raggiunge la velocità di 216Km/h.
Calcolare il lavoro fatto dal motore durante questo intervallo di tempo
e la potenza da esso sviluppata. [12*105 J ; 2,4*105 W]

12) Un atleta solleva 150Kgp all’altezza di 2,2m nel tempo di 3s. Calcolare
la potenza dell’atleta in W e in CV. [1078W ; 1,465CV]

50
CAPITOLO 7

PRESSIONE E GRANDEZZE SPECIFICHE


Supponiamo che una forza di intensità F agisca su un punto di una lastra
rigida di area S, perpendicolarmente alle sue facce. Se la lastra è
perfettamente rigida e poggiata su un piano A, la forza viene trasmessa al
piano ed uniformemente distribuita sulla superficie di contatto di area S, per
cui ogni unità di superficie di quest’ultima è soggetta ad una forza di
intensità p, che si ottiene dalla seguente formula:

Questa forza p viene detta pressione.

La pressione è il rapporto tra la forza agente perpendicolarmente su di una


superficie e l’area della superficie stessa.

S
F

L’unità di misura della pressione è l’atmosfera fisica:

Di solito si preferisce usare l’atmosfera tecnica, detta semplicemente


atmosfera (atm), dove:

Quando, per esempio, diciamo che una gomma di automobile è gonfiata alla
pressione di 2atm, significa che su ogni cm2 della superficie interna agisce
una forza perpendicolare alla superficie, di 2Kgp.

51
Nel sistema CGS, la pressione si misura in barie, di cui il sottomultiplo bar, è
molto utilizzato in meteorologia e 1 bar = 106 barie.
Citiamo infine il torr, che è un’altra unità di misura della pressione ed è
equivalente a 1mm di mercurio. In sostanza il torr è la pressione esercitata
da una colonnetta di mercurio alta 1mm.

GRANDEZZE SPECIFICHE

Tra le grandezze specifiche, citiamo la densità assoluta, la densità relativa, il


peso specifico assoluto e il peso specifico relativo.

La densità assoluta (δ) di una sostanza è il rapporto tra la sua massa e il suo
volume.

L’unità di misura della densità assoluta è il Kgm/m3.

La densità relativa di una sostanza è il rapporto tra la sua massa e la massa


di un volume di acqua distillata, alla temperatura di 4oC, uguale a quello
della sostanza.

dove m è la massa della sostanza ed m1 la massa dell’acqua.

Il peso specifico assoluto (γ) di una sostanza è il rapporto fra il suo peso e il
suo volume.

L’unità di misura è il N/m3, mentre nel sistema pratico è il Kgp/m3.

Il peso specifico relativo di una sostanza è il rapporto tra il suo peso e il peso
di un volume di acqua distillata, alla temperatura di 4oC, uguale a quello
della sostanza.

dove P è il peso della sostanza ed P1 il peso dell’acqua.

52
Esistono relazioni matematiche tra queste quattro grandezze, cioè:
, con g accelerazione di gravità e r.

Viene data di seguito una tabella con i valori delle quattro grandezze appena
viste, per le principali sostanze.

ESERCIZI

1) Ognuna delle scarpe calzate da un uomo di 75Kgp ha una superficie di


250cm2. Dire se il peso dell’uomo può essere sopportato da un
materiale capace di resistere ad una pressione di 0,3Kgp/cm2.
[SI]

2) Calcolare la forza premente su una superficie di 0,3m2, soggetta alla


pressione di 0,2Kgp/cm2. [5880N]

3) Un cilindro di ferro, con densità relativa = 7,8, ha una superficie di


base di 314cm2 ed un’altezza di 0,5m. Calcolare il suo peso e la sua
massa. [1200,11N ; 122,46Kgm]

53
4) Un corpo omogeneo ha un volume di 0,5m 3 e pesa 49000N. Calcolare
la sua densità relativa. [10]

5) La densità relativa del platino è uguale a 21; quanto pesa un filo di


platino di lunghezza 1m e di sezione 1mm2. [21g]

6) Il lato della base quadrata di un prisma di vetro misura 20cm.


Sapendo che il prisma pesa 529,2N e che la densità relativa del vetro è
2,7,calcolare l’altezza del prisma. [0,5m]

54
CAPITOLO 8

MECCANICA DEI FLUIDI


FLUIDI IN EQUILIBRIO

Parleremo di fluidi, indipendentemente dal fatto che si tratti di liquidi


oppure di aeriformi.
Un liquido perfetto è assolutamente incompressibile mentre un aeriforme è
perfettamente elastico, cioè in grado di esercitare reazioni tali da equilibrare
le azioni di forze agenti dall’esterno. Si può quindi affermare rigorosamente
che :

Un fluido è in equilibrio quando le forze agenti su di esso dall’esterno risultano


equilibrate dalle reazioni del fluido stesso.

Siccome i fluidi non hanno forma propria, essi si devono sempre considerare
contenuti in recipienti. Si può quindi parlare di superficie libera del liquido,
cioè di superficie di separazione ben definita tra liquido e ambiente.
La superficie libera di un liquido in equilibrio è in ogni punto perpendicolare
alla risultante delle forze esterne, agenti sul punto che si considera.

LEGGE DI PASCAL

Consideriamo un apparecchio, come quello in figura, costituito da un


recipiente metallico sferico, contenente un fluido e comunicante con dei
tubicini di vetro a forma di U, nei quali c’è del mercurio.

55
Applicando una forza F allo stantuffo in rosso, si osserva che il mercurio
viene spinto in alto sui rami esterni aperti di tutti i tubicini. Ciò significa che
il fluido, soggetto nella superficie superiore alla pressione esercitata
premendo sullo stantuffo, trasmette tale pressione a tutti i punti dello spazio
che esso occupa, e inoltre le pressioni trasmesse hanno la stessa intensità in
tutti i punti uguale a quella della pressione esercitata con lo stantuffo.
Quanto detto costituisce la legge di Pascal, così enunciata:

La pressione esercitata su una qualunque superficie di un fluido perfetto, si


trasmette con uguale intensità a tutti i punti del fluido e in tutte le direzioni.

LEGGE DI STEVIN

Consideriamo un fluido in equilibrio soggetto alla sola forza peso. Su una


qualunque superficie orizzontale, interna al fluido, grava la colonna
costituita dal fluido sovrastante, che esercita una certa pressione, detta
idrostatica se si tratta di un liquido, aerostatica se si tratta di un aeriforme.
Vediamo ora come si ricava la pressione.

C L

P h

A S B

In un recipiente C è contenuto un liquido di peso specifico assoluto γ. L è al


superficie libera del liquido in equilibrio, AB è una traccia di una superficie
di area S, interna al liquido e situata ad una profondità h. Sulla superficie
considerata, grava evidentemente una colonna liquida di base S e altezza h, il
cui peso si calcola moltiplicando il suo volume per γ.

γ γ h

La pressione agente sulla superficie è:

γ h

Quest’ultima relazione esprime la legge di Stevin, che afferma:

56
Nei liquidi perfetti, l’intensità della pressione idrostatica è, in ogni punto,
direttamente proporzionale alla profondità e al peso specifico assoluto.

Questa legge vale anche per gli aeriformi (pressione atmosferica).


La pressione idrostatica agisce in tutte le direzioni e non dipende dalla
forma del recipiente.

VASI COMUNICANTI

I vasi comunicanti mediante un condotto possono contenere liquidi uguali o


diversi. Consideriamo il caso dei liquidi uguali.

L1 L2

A B

h1 h2

p1 M p2

Osserviamo dalla figura che i liquidi nei vasi sono tutti allo stesso livello e
questo si giustifica con la legge di Stevin. Infatti consideriamo una
qualunque sezione S del condotto che mette in comunicazione i vasi A e B e
prendiamo un punto M appartenente ad S. supponiamo che il liquido
contenuto nei vasi abbia peso specifico assoluto γ. Se sul liquido agisce la
sola forza peso, si dimostra che le superfici libere L1 ed L2 sono allo stesso
livello, cioè h1 = h2. Possiamo quindi calcolare le pressioni idrostatiche p1 e
p2 in questo modo:

Affinché una particella posta nel punto M sia in equilibrio, le pressioni p 1 e


p2 devono essere uguali, quindi , cioè h1 = h2.
Questa uguaglianza esprime la legge dei vasi comunicanti, che può essere
così enunciata:

In vasi comunicanti contenenti uno stesso liquido, le superfici libere si trovano


tutte allo stesso livello.

57
Consideriamo ora il caso di liquidi diversi e non mescolabili, come ad
esempio acqua e mercurio e sia γ1 il peso specifico assoluto dell’acqua e γ2
peso specifico assoluto del mercurio.

h1 L h2

Il liquido che sta sotto il livello L e che è solo mercurio, non ci interessa
perché rientra nel caso precedente. La colonna d’acqua di altezza h 1 fa
equilibrio alla colonna h2 di mercurio, di conseguenza avremo p1 = p2.
Applicando la legge di Stevin, avremo:

In sostanza avremo che :

Le altezze delle colonne liquide sono inversamente proporzionali ai rispettivi


pesi specifici assoluti.

LA LEGGE DI ARCHIMEDE

Se immergiamo un corpo in un fluido, si osserva che il suo peso diminuisce


in misura pari al peso di un volume di liquido uguale al volume del corpo.
Siccome la forza peso è diretta verticalmente verso il basso, è logico pensare
che su un corpo immerso agisca una forza di senso contrario al suo peso, di
uguale direzione e di intensità pari a quella del liquido spostato. Quanto
appena affermato costituisce la legge di Archimede, che può essere
rigorosamente enunciata in questo modo:

Un corpo immerso in un fluido è soggetto ad una forza diretta verticalmente


verso l’alto, con intensità uguale al peso del volume di fluido spostato dal
corpo.

58
Forniamo di seguito la dimostrazione di tale legge.

F1 h1
h2

h S

F2

Un prisma solido di area di base S e altezza h, viene immerso in un liquido di


peso specifico assoluto γ. Le pressioni idrostatiche agenti sulla superficie
laterale si fanno equilibrio, mentre ciò non accade per le pressioni agenti
sulle due basi. Infatti la base superiore è soggetta ad una pressione p 1
orientata verso il basso, che per la legge di Stevin è data da .
Sulla base inferiore agisce una pressione p2 orientata verso l’alto, che per la
stessa legge è data da .
Le forze agenti sulle due basi sono date da:

Dato che F1 ed F2 hanno verso contrario (forze discordi) ed F 2 > F1, la loro
risultante sarà data dalla loro differenza, e sarà orientata verso l’alto:

( )

Essendo il prodotto di γ e V il peso del liquido spostato, avremo che:

F=P

Le conseguenze della legge di Archimede sono tre:

a) Se il peso specifico del corpo è maggiore di quello del fluido, si avrà F < P
e la risultante sarà diretta verso il basso. In questo il caso il corpo va a
fondo.
b) Se il corpo e il liquido hanno lo stesso peso specifico, F = P e quindi la
risultante sarà nulla. In questo caso il corpo resta sospeso in qualunque
posizione lo si collochi nel liquido (caso dei sottomarini).
c) Se peso specifico del corpo è minore di quello del fluido, si avrà F > P e il
corpo galleggia.

59
LA PRESSIONE ATMOSFERICA

L’atmosfera terrestre è un involucro aeriforme che circonda il nostro


pianeta ed è costituita dal 75,5% di azoto, 23,2% di ossigeno e 1,3% di
anidride carbonica e gas nobili. La superficie terrestre può quindi essere
paragonata al fondo di un oceano di aria. L’atmosfera diviene sempre più
rarefatta all’aumentare dell’altitudine, finché non è più rilevabile la presenza
di particelle degli aeriformi che la costituiscono. Essa inoltre esercita una
certa pressione aerostatica sulla superficie terrestre. Infatti, se consideriamo
una certa colonna d’aria A, avente per base una data area S della superficie
terrestre e P è il peso di tale colonna, avremo:

TERRA

Il valore della pressione atmosferica dipende da vari fattori quali: altitudine,


temperatura, umidità, latitudine, quindi per poterla misurare, occorre
specificare le condizioni nelle quali si eseguono le misurazioni e che si
definiscono condizioni normali, cioè:

1) Livello del mare.


2) Temperatura di 0oC.
3) Aria priva di vapor d’acqua.
4) Latitudine di 45°.

ESERCIZI

1) Sapendo che la densità relativa dell’acqua marina è 1,03, calcolare la


pressione idrostatica alla profondità di 98m. [10,094 atm]

2) Calcolare la pressione idrostatica alla base di una colonna di mercurio


alta 2,5m, sapendo che la densità relativa del mercurio è 13,6.
[3,4 atm]

60
3) Un cilindro contenente 27,2 Kgp di mercurio e 50 Kgp di acqua
distillata, ha il raggio di base di 5cm. Calcolare: 1) l’altezza della
colonna di mercurio; 2) l’altezza della colonna d’acqua; 3) la pressione
idrostatica agente sul fondo del recipiente. [25,5cm ; 6,369m; 0,98atm]

4) La diga di un bacino idroelettrico è alta 27m. Calcolare la pressione


idrostatica agente alla base della diga. [2,7 atm]

5) Due vasi, comunicanti mediante condotto orizzontale, contengono


rispettivamente acqua (densità relativa = 1) e mercurio (densità
relativa = 13,6). Sapendo che la superficie libera del mercurio è 5cm
più elevata di quella a contatto con l’acqua, trovare la differenza di
livello tra i due liquidi. [63cm]

6) Calcolare l’altezza di una colonna di mercurio che fa equilibrio ad una


colonna di acqua alta 18m. [1,323m]

7) Per equilibrare una colonna di mercurio alta 50cm, è necessaria una


colonna di un altro liquido, posto in un vaso comunicante con quello
che contiene il mercurio, alta 4,45m. Calcolare la densità assoluta del
liquido. [1528Kgm/m3]

8) Un’assicella di legno galleggia sull’acqua; sapendo che il suo spessore


è 1cm e che la densità relativa del legno è 0,6, calcolare lo spessore
che emerge dall’acqua. Si consideri la densità relativa dell’acqua = 1.
[4mm]

9) Un prisma di sughero ha base quadrata di lato 1m e altezza di 30cm.


Sapendo che la densità relativa del sughero è 0,24, dire quale peso
occorre mettere sopra alla base superiore del prisma, affinché esso,
posto nell’acqua, abbia tale base complanare con la superficie libera
dell’acqua. [228Kgp]

10) Un cilindro di piombo, avente superficie di base uguale a 314cm2 e


altezza 0,5m, viene immerso nell’acqua. Sapendo che la densità
relativa del piombo è 11,3 e quella dell’acqua 1, calcolare il peso
apparente del cilindro. [161,71Kgp]

11) Un aerostato pesa 200Kgp. Quale deve essere il suo volume, affinché,
in condizioni atmosferiche normali, esso possa sollevarsi da terra?
[almeno 154,68 atm]

61
12) Calcolare il peso dell’aria contenuta in una sfera di raggio 1,2m. Si
supponga che l’aria sia secca (densità assoluta = 1,293Kgm/m 3)
[9,354Kgp]

13) A quanti N/cm2 equivalgono 25 torr? [0,333 N/cm2]

14) Un recipiente contiene 20dm3 di aeriforme, alla pressione di 5atm. Se,


mantenendo costante la temperatura, portiamo la pressione a
12,5atm, a quanto si riduce il volume? [8dm3]

15) Un aeriforme perfetto occupa il volume di 5m3 ed ha una pressione


interna di 6atm. Quale pressione si deve esercitare per ridurre il
volume dell’aeriforme a 0,8m3? [37,5atm]

16) Se dall’atmosfera terrestre togliessimo tutti gli aeriformi che la


costituiscono, ad eccezione dell’ossigeno (che è presente in peso nella
misura del 23%), quale risulterebbe il valore della pressione,
misurata in condizioni normali? [179,8 mm di mercurio]

62
CAPITOLO 9

LA TERMOLOGIA
Forniamo uno schema esemplificativo degli argomenti che saranno trattati
nei prossimi capitoli. La termologia tratta i seguenti argomenti:

1) Termometria
2) Calorimetria
3) Termodinamica

La termometria si divide a sua volta in:

1) Scale termometriche
2) Dilatazione termica
3) Trasformazione degli aeriformi

La calorimetria si divide in:

1) Propagazione del calore


2) Cambiamenti di stato fisico

Infine la termodinamica si occupa dei principi e delle trasformazioni degli


aeriformi.

PARTE INTRODUTTIVA

Dobbiamo necessariamente operare una distinzione tra il concetto di calore


e il concetto di temperatura. Molto spesso si sente dire che un corpo ha
molto calore per indicare che la temperatura dello stesso è molto elevata,
commettendo però un grave errore. Infatti, a titolo di esempio, se si versa un
cucchiaino di acqua bollente su un cubetto di ghiaccio, si osserva che solo
una piccola parte di esso si scioglie, mentre se lo stesso cubetto viene
immerso in un bicchiere di acqua a temperatura ambiente, esso si scioglierà
dopo un po’ di tempo. L’acqua bollente nel cucchiaino ha temperatura più
elevata di quella del bicchiere, eppure essa possiede meno calore. Cerchiamo
di dare una definizione rigorosa di calore e temperatura.
In un corpo, le particelle sono animate da un continuo movimento. Se il
corpo è solido, esse vibrano intorno a ben definite posizioni, mentre se il
corpo è fluido, esse si muovono in maniera disordinata. Ogni particella

63
possiede una certa energia cinetica , dove m è al massa delle
particelle e v e la loro velocità.

Il calore di un corpo è l’energia cinetica complessivamente posseduta da tutte


le particelle che lo costituiscono e può essere quindi considerato una forma di
energia termica.

Nel caso della temperatura dobbiamo considerare l’energia cinetica media di


ogni singola particella, dato che ognuna può possederla diversa dalle altra
particelle. Diremo quindi che:

La temperatura di un corpo è l’energia cinetica media posseduta dalle


particelle che lo costituiscono.

In conclusione, possiamo affermare che:

1) Un corpo possiede molto calore se l’energia cinetica complessiva


posseduta da tutte le particelle è molto grande.
2) Un corpo possiede un’elevata temperatura se l’energia cinetica media di
ogni particella è molto elevata.

64
CAPITOLO 10

LA TERMOMETRIA

SCALE TERMOMETRICHE
Per misurare le temperature ci si basa sugli effetti che le loro variazioni
producono sui corpi che le subiscono, come ad esempio la sensazione di
caldo o freddo. Per misurare le temperature esistono vari strumenti, come i
termometri a mercurio, adatti per temperature molto elevate, termometri ad
alcool, usati per temperature decisamente più basse, termometri a gas
oppure a resistenza elettrica.
Le scale termometriche sono alla base del funzionamento dei termometri e
sono state create in base a delle convenzioni.
Per costruire una scala termometrica, si usa un sistema vetro – mercurio e lo
si immerge in un contenitore di ghiaccio. Se il primo sistema è più caldo del
secondo, il livello del mercurio si abbassa per scambio di calore e lo scambio
termina quando i due sistemi raggiungono la stessa temperatura. Si
trasferisce poi lo stesso sistema sui vapori dell’acqua bollente e a questo
punto il livello del mercurio si rialza. In corrispondenza del livello minimo A
e del livello massimo B raggiunti, verranno segnate due tacche che
rappresenteranno i limiti di una scala termometrica. Le scale termometriche
più conosciute sono:

Scala Celsius: è la scala più usata, detta anche centigrada ed indicata con C.
In questo caso A = 0 e B = 100, cioè ci sono 100 tacche di 1°C ciascuna.

Scala Reaumur: indicata con R. In questo caso A = 0 e B = 80, cioè ci sono 80


tacche di 1°R ciascuna.

Scala Fahreneit: indicata con F. In questo caso A = 32 e B = 212, cioè ci sono


180 tacche di 1°F ciascuna.

Scala Kelvin: indicata con K. In questo caso A = 273 e B = 373, cioè ci sono
100 tacche di 1°K ciascuna.

Riassumendo le relazioni tra valori minimi e massimi nelle varie scale,


abbiamo:

65
0oC = 0oR = 32°F = 273°K 100°C = 80°R = 212°F = 373°K

Le relazioni tra le scale termometriche appena viste, sono le seguenti:

C : 100 = R : 80
C : 100 = (F – 32) : 180
R : 80 = (F – 32) : 180
K = C + 273
C = K – 273

ESERCIZI

1) Esprimere la temperatura di 20°C in gradi Reaumur, Fahrenheit e


Kelvin. [16°R ; 68°F ; 293°K]

2) Esprimere la temperatura di 12°R in gradi centigradi, Fahrenheit e


Kelvin. [15°C ; 59°F ; 288°K]

3) Esprimere lo zero assoluto in gradi Reaumur e Fahrenheit.


[– 218,4°R ; –459,49°F]

4) Il ferro fonde alla temperatura di 1250°C. Possiamo fondere tale


metallo, portando la sua temperatura a 1100°R e a 2000°F?
[si, no]

5) Il mercurio fonde a – 39°C e bolle a 357°C. Di quanti gradi Fahrenheit


si deve innalzare la temperatura del mercurio, per portarlo dal punto
di fusione al punto di ebollizione? E di quanti gradi Kelvin?
[712,8°F, 396°K]

66
CAPITOLO 11

LA DILATAZIONE TERMICA
Aumentando (o diminuendo) la temperatura di un corpo, esso aumenta (o
diminuisce) di volume, come si può evincere da un esperimento molto
semplice, che consiste nel far passare, prima a temperatura ambiente, una
sferetta metallica dentro un anello e successivamente ripetere l’esperienza,
dopo aver riscaldato la sferetta, che a questo punto non passa più all’interno
dell’anello. Il fenomeno si spiega perché aumentando la temperatura di un
corpo, aumenta l’energia di moto delle particelle che lo compongono e di
conseguenza aumenta anche lo spazio tra di esse. Un’eccezione è costituita
dall’acqua.
L’influenza della temperatura sulle grandezze, porta alla conseguenza che la
densità, all’aumento del volume, diminuisce secondo la formula:

DILATAZIONE LINEARE

Se i corpi sono di forma allungata, la dilatazione è di tipo lineare. L’entità di


tale dilatazione dipende dalla natura della sostanza che costituisce l’asta, e
gli allungamenti sono direttamente proporzionali alla lunghezza iniziale (l1)
e agli aumenti di temperatura. La formula è la seguente:

( )

dove l2 è la temperatura finale, t1 e t2 sono rispettivamente le temperature


iniziale e finale e λ è il coefficiente di dilatazione lineare che esprime
l’allungamento di un asta di m, quando la temperatura aumenta di °C.
Se la temperatura iniziale della asta è 0oC e la si riscalda fino ad una certa
temperatura toC, si preferisce usare la seguente formula più compatta:

( )

dove lt è la lunghezza finale ed l0 quella iniziale.


DILATAZIONE CUBICA O VOLUMICA

Se un corpo è isotropo, cioè con proprietà uguali i tutte le direzioni, abbiamo


una dilatazione cubica, la cui formula è analoga a quella della dilatazione
lineare:

( )

Se il volume iniziale, alla temperatura di 0 oC, è uguale a V0, il volume Vt alla


temperatura t è dato dalla relazione seguente:

( )

K è il coefficiente di dilatazione cubica ed esprime l’aumento di volume che


subisce un corpo di 1m3 quando la temperatura aumenta di 1°C.
La tabella sottostante riporta i valori dei coefficienti di dilatazione lineare di
alcune sostanze abbastanza comuni.
DILATAZIONE TERMICA DEI LIQUIDI

La dilatazione termica di un liquido richiede una maggiore attenzione poiché


se si vuole riscaldare il liquido, si deve riscaldare anche il recipiente che lo
contiene, che a sua volta subisce una certa dilatazione.
Supponiamo che a temperatura ambiente, il liquido contenuto nel vaso S si
trovi al livello A. Se si riscalda il vaso si osserva che inizialmente la superficie
del liquido scende nel cannello fino al livello B. Tale fenomeno si spiega
perché il vaso che è a contatto diretto con la fonte di calore F, si riscalda
prima del liquido, subendo una certa dilatazione e offrendo così una
maggiore capacità, per cui il livello del liquido si abbassa. Continuando a
fornire calore, dopo un certo periodo di tempo anche il liquido si riscalda,
raggiungendo nuovamente il livello A e superandolo, portandosi in C.

A A

B
B

S S S

Si avrà che la dilatazione tra A e C è una dilatazione apparente del liquido,


mentre la dilatazione lineare sarà:

dilatazione reale = dilatazione apparente + dilatazione cubica del recipiente.

Abbiamo accennato all’inizio del capitolo che l’acqua costituisce


un’eccezione per quanto riguarda la dilatazione. Consideriamo un certo
volume V0 di acqua, alla temperatura di 0oC. Se si aumenta la temperatura, si
osserva che il volume, anziché aumentare, diminuisce progressivamente,
fino a raggiungere il valore minimo quando la temperatura è di 4°C. A questo
punto, innalzando ulteriormente la temperatura, il volume comincia a
crescere, portando l’acqua a comportarsi come la maggior parte delle
sostanze. A circa 8°C, il volume torna ad essere uguale al valore iniziale V0.
Per quanto riguarda la densità dell’acqua, avremo che essa sarà massima a
4°C, ad 8°C avrà lo stesso valore che aveva a 0oC, mentre oltre gli 8°C
diminuisce.
Il comportamento dell’acqua ha in natura un’importanza enorme e decisiva
ai fini dell’esistenza degli animali acquatici. Si pensi infatti se i ghiacci marini
avessero una densità maggiore dell’acqua e quindi affondassero!

ESERCIZI

1) Un filo di alluminio alla temperatura di 0oC è lungo 2m. Calcolare la


sua lunghezza alla temperatura di 50°C, sapendo che il suo
coefficiente di dilatazione è 23*10–6 .
[2,0023m]

2) Una sbarra di ferro, alla temperatura di 0oR è lunga 1m. Calcolare la


sua lunghezza alla temperatura di 80°R, sapendo che il suo
coefficiente di dilatazione lineare è 12*10–6.
[1,0012m]

3) Un filo di rame, alla temperatura di 273oK è lungo 1m. Calcolare la sua


lunghezza alla temperatura di – 50°C, sapendo che il suo coefficiente
di dilatazione lineare è 17*10–6. [0,99915m]

4) Un filo di argento, alla temperatura di 50oC è lungo 3m. Calcolare la


sua lunghezza alla temperatura di 250°C, sapendo che il suo
coefficiente di dilatazione lineare è 19*10–6.
[3,0114m]

5) La temperatura di 1dm3 di petrolio viene portata da 0oC a 30°C.


Calcolare l’aumento di volume, sapendo che il coefficiente di
dilatazione cubica del petrolio è 0,0009.
[27cm3]

6) Un cubo di rame, alla temperatura di 80°R, ha lo spigolo di 2dm.


Calcolare l’aumento di volume alla temperatura di 5°F, sapendo che il
coefficiente di dilatazione lineare del rame è 17*10–6 .
[7,953dm3]
CAPITOLO 12

TRASFORMAZIONI DEGLI AERIFORMI


Le grandezze che definiscono lo stato fisico di un aeriforme sono tre:

1) Temperatura
2) Pressione
3) Volume

Si dice che un aeriforme subisce una trasformazione, se cambia il valore di


almeno due di tali grandezze. Le varie trasformazioni sono:

1) Trasformazione isoterma: la temperatura si mantiene costante,


mentre variano pressione e volume.
2) Trasformazione isobara: la pressione si mantiene costante, mentre
variano temperatura e volume.
3) Trasformazione isocora: il volume si mantiene costante, mentre
variano pressione e temperatura.
4) Trasformazione adiabatica: in questo caso variano tutte e tre le
grandezze e la trasformazione avviene senza scambi di calore.

TRASFORMAZIONE ISOTERMA – LEGGE DI BOYLE MARIOTTE

La legge che esprime tale trasformazione è la seguente:

Se consideriamo un aeriforme alla temperatura t0, pressione p0 e volume V0,


e mantenendo costante la temperatura, avremo che:

TRASFORMAZIONE ISOBARA – 1° LEGGE DI VOLTA–GAY LUSSAC

Variando la temperatura si ha una variazione di volume, quindi la legge che


regola tale trasformazione segue quella della dilatazione termica. Per gli
aeriformi considerati perfetti, il coefficiente di dilatazione termica α non
dipende dalla loro natura ma è sempre uguale a 1/273. La relazione che
esprime la legge è la seguente:

( )

TRASFORMAZIONE ISOCORA – 2° LEGGE DI VOLTA - GAY LUSSAC

L’espressione matematica di questa legge, analoga alla prima è la seguente:

( )

EQUAZIONE DEGLI AERIFORMI PERFETTI

Consideriamo una grammo–molecola di un aeriforme perfetto e


sottoponendolo a opportune trasformazioni, possiamo fare in modo che il
suo nuovo stato fisico sia definito da valori t, p, V, partendo dai valori iniziali
t0, p0, V0. Tale nuovo stato fisico si ottiene sottoponendo prima l’aeriforme
ad una trasformazione isobara, portando la temperatura a t e calcolando il
volume con la 1° legge di Volta ( ) , e poi ad una
trasformazione isoterma, con l’applicazione della legge di Boyle, p p 0V1.
Sostituendo a V1 la 1° legge, si ha:

( )

Sapendo che 273 + t = T, e (1) ed è costante, avremo:

Questa è l’equazione dei gas perfetti nel caso in cui la massa dell’aeriforme
sia pari ad una grammo–molecola a 0oC e pressione di 1atm, mentre se si
considera un numero generico n di grammo–molecole, la precedente
formula sarà : PV = nRT.
Il valore di R è circa 0,0821. Ciò deriva dal fatto che una qualunque grammo
– molecola di aeriforme perfetto è 22,4 dm3, quindi sostituendo tale valore
in V0 nella relazione (1), si otterrà proprio quel valore di R. Se consideriamo il
valore di R nel sistema internazionale, avremo che R = 8,315 J/oK.
Negli aeriformi reali dobbiamo considerare sia il volume proprio delle
particelle, sia le forze agenti tra esse, che sono di tipo attrattivo e si fanno
equilibrio per simmetria se sono lontane dalle pareti del recipiente, mentre
se sono vicine sono soggette ad una forza risultante orientata verso
l’interno. La pressione interna totale dell’aeriforme è dunque data dalla
somma p + p1, dove p è la pressione esercitata dall’esterno e p1 è la
pressione addizionale. Si dimostra che p1 è inversamente proporzionale al
quadrato del volume del gas, cioè , dove a è una costante che
dipende dalla natura del gas.
Avremo quindi che la pressione totale sarà:

Nel caso del volume, che si considera nullo nei gas perfetti, ma non può
essere trascurato in quelli reali, prendiamo due molecole di raggio r che si
muovono astretto contatto tra loro, occupando una sfera di raggio 2r.

A B
r
r

Il volume della sfera sarà : ( ) , mentre il volume delle


due molecole sarà . Lo spazio entro il quale le particelle possono
muoversi è dato da V – b , dove b è detto covolume.
In conclusione, l’equazione degli aeriformi reali è:

( )

ESERCIZI

1) Un’aeriforme perfetto, alla temperatura di 0oC, occupa un volume di


1dm3 ed esercita sulle pareti del recipiente una pressione di 5atm.
Quanto diventa il volume dell’aeriforme, se esso viene riscaldato, a
pressione costante, fino alla temperatura di 100°C?
[1,3663dm ]
3

2) Un’aeriforme perfetto, alla temperatura di 50oC e alla pressione di


2atm, occupa un volume di 3dm3. Se, mantenendo costante la
temperatura, si porta la pressione a 12atm, quanto diventa il volume
dell’aeriforme? [0,5dm3]

3) Un’aeriforme perfetto, alla temperatura di 27oC e alla pressione di


2atm, occupa un volume di 2dm3. Calcolare l’aumento di pressione
che si ottiene riscaldando l’aeriforme, a volume costante, fino alla
temperatura di 273°C. [1,64atm]

4) Un’aeriforme perfetto, alla temperatura di 37oC e alla pressione di


1atm, occupa un volume di 3,1dm3. Qual’ è il volume dell’aeriforme,
dopo che esso è stato riscaldato, a pressione costante, fino alla
temperatura di 120°C? [3,93dm3]

5) Due grammo–molecole di aeriforme perfetto, alla temperatura di


24°C, occupano un volume di 3dm3. Calcolare la pressione interna
dell’aeriforme. [16,25 atm fisiche]

6) Quattro grammo–molecole di aeriforme perfetto, alla pressione di 2


atmosfere fisiche, occupano un volume di 41dm3. Calcolare la
temperatura. [–23,3°C]

7) Una grammo–molecola di aeriforme perfetto, alla temperatura di


10°C, occupano un volume di 2,83dm3. Calcolare il volume
dell’aeriforme dopo che è stato riscaldato, a pressione costante, fino a
100°C. E se successivamente, a volume costante, si porta la
temperatura a 473°C, quale valore assume la pressione?
[3,73dm3 ; 16,4 atm fisiche]

8) Dieci grammo–molecole di aeriforme perfetto, si trovano alla


temperatura di 50°C e alla pressione di 2 atmosfere fisiche. Calcolare
la pressione, a volume costante, alla temperatura di 211,5°C.
[3atm]
CAPITOLO 13

LA CALORIMETRIA
Le quantità di calore fornite (o sottratte) ad un corpo per elevarne la
temperatura sono direttamente proporzionali alle variazioni di temperatura,
alla massa del corpo e dipendono dalla natura del corpo. La legge che
esprime quanto appena detto è la seguente:

( )

dove :
Q = quantità di calore
m = massa del corpo
t1 = temperatura iniziale
t2 = temperatura finale

La costante c è detta calore specifico della sostanza, che ad una data


temperatura, è la quantità di calore che si deve fornire ad 1Kgm di tale
sostanza, per elevarne la temperatura di 1°C.
L’unità di misura del calore è la chilocaloria ed è la quantità di calore fornita
ad 1Kgm di acqua distillata, per elevarne la temperatura da 14,5°C a 15,5°C.
Ovviamente il valore di c si ricava molto semplicemente dalla formula
inversa della legge vista prima:

( )

Di seguito riportiamo la tabella recante i valori del calore specifico di alcune


tra le più importanti sostanze.
LA CAPACITÀ TERMICA

In generale, per elevare la temperatura di un corpo di massa m, è necessario


fornirgli una quantità di calore pari al prodotto della sua massa per il suo
calore specifico. Tale calore prende il nome di capacità termica del corpo e si
indica con Ct. La relazione è la seguente:

La capacità termica di un corpo è la quantità di calore necessaria per elevare


la temperatura di 1°C.

Possiamo scrivere anche:

Nel caso degli aeriformi, dobbiamo parlare più che di sostanza, di grammo –
molecola di gas, ed è necessario fare una distinzione tra calore specifico a
volume costante (cv) e a pressione costante (cp), dove cp > cv (2). La
disuguaglianza deriva dal fatto che nel riscaldamento a pressione costante, a
differenza di quello a volume costante, la quantità di calore Q fornita deve
essere maggiorata di un’ulteriore quantità q, giustificando così la (2), che può
anche essere scritta come cp – cv = q e cp/cv > 1.

Gli strumenti adatti a misurare le quantità di calore sono: il calorimetro ad


acqua e il calorimetro a ghiaccio, che però è meno usato.

SORGENTI DI CALORE

Qualsiasi corpo capace di fornire energia termica costituisce una sorgente di


calore. La principale fonte di calore è il Sole e dicesi costante solare la
quantità di calore che giunge dal sole ogni minuto e su ogni cm2 di superficie
perpendicolare ai raggi. Dicesi, invece, calore terrestre, il calore proprio
della terra.
Infine, si dice combustibile, una sostanza che, combinandosi con l’ossigeno
sviluppa energia termica. Un combustibile può essere solido come la legna o
il carbone, liquido, come il petrolio e l’alcool, aeriforme, come il metano o
l’acetilene.
Dicesi potere calorifico di un combustibile la quantità di calore, espressa in
Kcal, prodotta da 1 Kgm di combustibile che brucia integralmente.
ESERCIZI
1) Calcolare la quantità di calore necessaria per elevare di 20°C la
temperatura di 10Kgm di acqua distillata. [200Kcal]

2) Calcolare la quantità di calore necessaria per elevare da 10°C a 100°C


la temperatura di una sbarra di ferro di 50Kgm. [513Kcal]

3) Fornendo 4,72Kcal a 2Kgm di una sostanza, si aumenta la sua


temperatura di 20°C. Calcolare il calore specifico della sostanza.
[0,118Kcal/KgmoK]

4) La capacità termica di un corpo è uguale a 200. Calcolare la massa del


corpo, sapendo che, per elevare di 10°C la temperatura di 5Kgm di
esso, è necessario fornire 100 Kcal. [100Kgm]

5) Una certa quantità di combustibile, bruciando integralmente e


trasmettendo tutto il calore emesso ad un corpo di 10Kgm, ne aumenta
la temperatura di 50°C. Sapendo che il potere calorifico del
combustibile è 5000Kcal/Kgm e che il calore specifico del corpo è
0,5Kcal/KgmoK, calcolare la massa del combustibile.
[0,05Kgm]
CAPITOLO 14

LA PROPAGAZIONE DEL CALORE


Il calore può propagarsi nello stesso corpo oppure può trasmettersi da un
corpo all’altro; in ogni caso il calore si propaga dalle zone a temperatura più
alta a quelle a temperatura più bassa

PROPAGAZIONE DEL CALORE NEI SOLIDI

Se avviciniamo ad una sorgente di calore, ad esempio una fiamma,


l’estremità di una sbarretta metallica e teniamo con una mano l’altra
estremità B, dopo poco tempo siamo costretti ad abbandonare la sbarra per
non ustionarci. Questa semplice esperienza ci dimostra che il calore della
fiamma viene trasmesso da A, e attraverso la sbarra si propaga a tutte le
parti.

A B

Il meccanismo di propagazione del calore nei solidi si chiama conduzione e si


spiega come una trasmissione di energia cinetica per indebolimento dei
legami tra le particelle. La conduzione avviene senza trasporto di materia.
La quantità di calore che passa attraverso una parete, dipende dall’area della
parete, dalla differenza tra interno ed esterno, dallo spessore della parete e
dal tempo.
Per comprendere meglio il concetto esposto sopra, consideriamo una parete
di un’abitazione esposta ai raggi solari. Maggiore è l’area della superficie
della parete e maggiore sarà la quantità di calore assorbita e trasmessa
all’interno, e tale quantità di calore è tanto più grande quanto più il sole è
cocente, cioè quanto più grande è la differenza di temperatura tra esterno e
interno. Si nota infatti che di solito, nel tardo pomeriggio, gli ambienti interni
sono molto caldi e soprattutto nelle vecchie abitazioni, si ha che gli ambienti
sono molto più freschi, poiché le pareti hanno maggiore spessore.
Se consideriamo una lastra solida di area S e spessore d, supponiamo che
una delle due facce sia costantemente a temperatura t2 e l’altra a
temperatura t1, con t2 > t1.

S
t1
t2

La quantità di calore Q che passa in un certo tempo t attraverso la lastra, è


regolata dalla seguente relazione, che viene chiamata Legge di Fourier:

( )

k è una costante di proporzionalità, detta coefficiente di conducibilità termica


ed è la quantità di calore che passa in 1 sec da una faccia all’altra di una
parete spessa 1m, per ogni m2 di superficie e con differenza di temperatura
di 1°C.

( )

Di seguito riportiamo la tabella recante i coefficienti di conducibilità termica


delle sostanza più note:
PROPAGAZIONE DEL CALORE NEI FLUIDI

I fluidi hanno coefficienti di conducibilità termica molto bassi e il calore si


propaga facilmente in essi solo dal basso verso l’alto. Infatti se prendiamo
una provetta con all’interno dell’acqua e vi immergiamo un
pezzetto di ghiaccio tenuto bloccato al fondo da una sferetta di ferro,
osserviamo che mettendo una fonte di calore nella parte superiore, l’acqua
bolle ma il ghiaccio non si scioglie, a differenza di quanto accade se la fonte
di calore viene
posizionata sul fondo ,
consentendo così
all’acqua di bollire e al
ghiaccio di sciogliersi.
In sostanza se
riscaldiamo un liquido
mediante una sorgente
termica, riceve calore solo la parte a diretto contatto con la sorgente, ma lo
stesso calore non riesce a propagarsi agli strati sovrastanti. Tuttavia lo
strato inferiore aumenta di volume e diminuisce di densità, non trovandosi
più nella condizione di equilibrio, e tende a salire determinando delle
correnti ascensionali calde. Contemporaneamente, gli strati sovrastanti
tendono a scendere, a causa della maggiore densità, determinando correnti
discensionali fredde, ma arrivando al fondo risalgono, mediante lo stesso
meccanismo visto all’inizio. Il fenomeno descritto si chiama convezione,
mediante il quale il calore si propaga nel fluido grazie ai movimenti delle sue
parti, detti correnti convettive ascendenti o discendenti. Gli aeriformi sono
regolati dallo stesso meccanismo.

PROPAGAZIONE DEL CALORE NEI VUOTO

Per quanto riguarda la propagazione del calore nel vuoto, non possiamo
parlare né di conduzione né di convezione. Infatti se stiamo vicini al fuoco
del caminetto e avvertiamo una sensazione di caldo, non si può pensare che
il calore si propaghi per conduzione, dato che la conducibilità termica
dell’aria è praticamente nulla, né si può parlare di convezione perché siamo
di fronte al fuoco e non sopra di esso. Il fenomeno si spiega per il fatto che
ogni corpo, a temperatura superiore a 0oC, emette energia elettromagnetica
o raggiante, in una misura che dipende dalla temperatura. Si parla quindi di
propagazione del calore per irraggiamento. In pratica la sorgente termica
perde calore ed emette energia che si propaga nel vuoto e viene assorbita da
un altro corpo sotto forma di energia termica.
CONDUZIONE ESTERNA

Dicesi conduzione esterna il fenomeno della trasmissione del calore da un


corpo ad un altro e che quasi sempre coinvolge tutti e tre i tipi di
propagazione visti prima. Il caso più semplice di tale trasmissione è
costituito da un solido immerso in un fluido. Se S è l’area della superficie del
solido, t2 la sua temperatura e t1 la temperatura del fluido, trasmessa dal
solido al fluido nel tempo t, con t2 > t1, si può calcolare la seguente formula di
Newton:

( )

γ viene detto coefficiente di conducibilità termica esterna, ed è la quantità di


calore ceduta nell’unità di tempo da un solido di superficie 1m 2 ad un fluido
di temperatura inferiore 1°C.

ESERCIZI

1) Calcolare la quantità di calore che si propaga nel tempo di 1min


attraverso una lastra di ferro di spessore 20cm e di superficie 1m 2,
sapendo che il coefficiente di conducibilità termica del ferro è 50 e che
tra le due facce della lastra c’è una differenza di temperatura di 180°C.
[750Kcal]

2) In uno stesso intervallo di tempo, si propaga più calore attraverso una


parete di cemento di 10cm, oppure attraverso una parete di ferro, di
uguale superficie, ma di spessore 2m? [la stessa quantità]

3) Calcolare la quantità di calore che si disperde all’esterno di una


capanna di legno in 12 ore, sapendo che la superficie complessiva
delle pareti e del tetto è 100m2, che le pareti e il tetto hanno uno
spessore di 30cm, che la differenza di temperatura tra esterno e
interno è 20°C, che il coefficiente di conducibilità termica del legno è
0,15. Si supponga che il pavimento della capanna sia perfettamente
isolante. [12*103Kcal]

4) Calcolare la quantità di calore che si disperde in un’ora attraverso i


vetri di una finestra, sapendo che la superficie dei vetri è 2m 2, che il
loro spessore è 0,4cm, che la differenza di temperatura tra interno ed
esterno è 30°C e che il coefficiente di conducibilità termica del vetro è
0,8. [12*103Kcal]
CAPITOLO 15

CAMBIAMENTI DI STATO FISICO


I corpi si trovano di solito allo stato:

1) Solido
2) Liquido
3) Aeriforme

I fattori che determinano il passaggio da uno stato all’altro sono due:

1) Temperatura
2) Pressione

In sostanza si deve sempre fornire o sottrarre energia termica. Nel primo


caso viene fornita energia cinetica alle particelle, che si separano
provocando una diminuzione della densità, mentre nel secondo caso avviene
esattamente il contrario.
Quando si ha una somministrazione di calore, avvengono i seguenti
passaggi:

SOLIDO SOLIDO + LIQUIDO LIQUIDO LIQUIDO + VAPORE


VAPORE

FUSIONE

La fusione è il passaggio dallo stato solido a quello liquido. La quantità di


calore necessaria per fondere 1 Kgm di sostanza, portata al punto di fusione ,
è detta calore di fusione con unità di misura il kcal/Kgm. Una volta che il
corpo è arrivato al suo punto di fusione deve essere necessariamente
soggetto ad un ulteriore somministrazione di calore, la quale non provoca
aumenti di temperatura. Le sostanze che hanno un elevato punto di fusione
si dicono refrattarie, come ad esempio le argille. In base a quanto affermato
prima, possiamo enunciare le leggi della fusione:

1) Ogni sostanza solida fonde ad una certa temperatura detta punto di


fusione.
2) La temperatura si mantiene costante per tutto il processo di fusione.
3) Ogni sostanza ha un suo calore di fusione.
La pressione influenza i passaggi di stato e un suo aumento determina un
aumento del punto di fusione, ad eccezione dell’acqua. Esistono poi dei
corpi, detti amorfi o vetrosi che non fondono ma passano lentamente allo
stato liquido, diventando prima molli e passando poi ad uno stato liquido
vero e proprio. Tale fenomeno viene detto fusione pastosa.

VAPORIZZAZIONE

La vaporizzazione è il passaggio dallo stato solido allo stato aeriforme. Con il


termine vaporizzazione, in realtà, si intendono due fenomeni fisici ben
distinti:

1) Evaporazione: lento passaggio dallo stato liquido allo stato aeriforme


a qualsiasi temperatura.
2) Ebollizione: rapido e tumultuoso passaggio tra i due stati a
temperatura ben definita per ogni sostanza.

Il passaggio da liquido ad aeriforme potrebbe essere ostacolato sia dalle


forze interne di coesione, che non consentono alle particelle di stare troppo
lontane come richiederebbe la condizione aeriforme, sia dalla pressione. Se
però si fornisce calore al liquido, l’energia cinetica delle particelle aumenta,
aiutando loro a vincere tali forze.

EVAPORAZIONE: in questo caso, la lentezza nel raggiungere lo stato fisico


dipende dal fatto che non tutte le molecole posseggono la stessa energia.
Distinguiamo così i liquidi in volatili, che evaporano facilmente, come etere,
alcool e benzina, e i liquidi fissi, che evaporano lentamente, come gli oli
grassi e l’acido solforico.
Nella meccanica dei fluidi abbiamo detto che gli aeriformi esercitano una
certa pressione sulle pareti dei recipienti che le contengono. Tale pressione
interna è detta anche tensione è dovuta agli urti delle molecole contro le
pareti del recipiente. Possiamo perciò affermare rigorosamente che:
La tensione di vapore è la forza espansiva che esso esercita su ogni cm2 di
superficie della parete del recipiente.
Un vapore si dice saturo se è in presenza del proprio liquido e se i due stati
sono in equilibrio. La tensione dipende dalla natura del vapore, dalla
temperatura ma non dal volume. Dicesi calore di vaporizzazione di un
liquido ad una certa temperatura e pressione, la quantità di calore
necessaria per provocare la vaporizzazione di 1 Kgm di sostanza. Un vapore
che non è saturo si dice surriscaldato.

EBOLLIZIONE: in questo caso possiamo dire che tutti i liquidi posseggono


aria sotto forma di bollicine e quindi, fornendo calore, la tensione di vapore
delle stesse aumenta assieme alla loro temperatura, facendole aumentare di
volume. Grazie alla spinta di Archimede, le bollicine salgono verso l’alto e
scoppiano. Se il liquido non dovesse contenere bolle d’aria, non bollirebbe
ma si surriscalderebbe. Durante l’ebollizione la temperatura non sale e ciò si
spiega per il fatto che il calore somministrato viene speso come calore di
vaporizzazione, al fine di vincere le forze di coesione delle molecole. Il punto
di ebollizione di una sostanza dipende dalla pressione esterna (si veda il
meccanismo del funzionamento della pentola a pressione).
Riassumendo il tutto, possiamo così enunciare le leggi dell’ebollizione:

1) Un liquido entra in ebollizione quando la tensione del suo vapore saturo


supera di poco la pressione esterna.
2) Un liquido bolle ad una certa temperatura, detta punto di ebollizione, il
cui valore dipende dalla natura del liquido e dalla pressione esterna.
3) Durante l’ebollizione la temperatura si mantiene costante.

LIQUEFAZIONE

La liquefazione è il passaggio dallo stato aeriforme a quello liquido. In


questo caso si osserva una evidente sottrazione di calore con diminuzione
dell’energia cinetica delle molecole, che si avvicinano aggregandosi allo stato
liquido. Bisogna precisare che la liquefazione di un aeriforme avviene solo se
la temperatura è inferiore ad un certo valore, detto temperatura critica, al di
sopra della quale la liquefazione non avviene, qualunque sia la pressione
agente sull’aeriforme. Per il fenomeno della liquefazione è necessario
distinguere tra gas e vapori. Nel primo caso, l’aeriforme si trova ad una
temperatura maggiore della temperatura critica e non può essere liquefatto
per compressione. Nel secondo caso, il vapore si trova ad un temperatura
minore di quella critica e la liquefazione per compressione è possibile, grazie
ad un compressore capace di comprimere l’aria fino a 200 atm.

SOLIDIFICAZIONE

La solidificazione è il passaggio dallo stato liquido a quello solido. Questo


fenomeno avviene sottraendo calore ad una sostanza, fino ad arrivare al
punto di solidificazione. Dicesi calore di solidificazione, la quantità di calore
che si deve sottrarre ad 1 Kgm di sostanza, preventivamente portata al
punto di solidificazione, per completare il passaggio allo stato solido.
Se la temperatura viene abbassata ad un valore inferiore al punto di
solidificazione, avviene il fenomeno della soprafusione, che è una condizione
di equilibrio instabile di liquidi puri e perfettamente inquiete.
SUBLIMAZIONE

La sublimazione è il passaggio di una sostanza solida direttamente allo stato


aeriforme e che consiste nella vaporizzazione di sostanze solide come la
naftalina e il ghiaccio secco, che non è altro che anidride carbonica alla
temperatura di – 78°C.

BRINAMENTO

Il brinamento è il passaggio di un aeriforme direttamente allo stato solido.


Questo fenomeno si osserva ad esempio nello zolfo e nella naftalina, oppure
nell’acqua, che ad una temperatura minore di 0oC, passa direttamente allo
stato di brina.

CENNI DI IGROMETRIA

L’aria della nostra atmosfera non è completamente secca, ma contiene


quantità di vapore d’acqua che determinano la cosiddetta umidità.
L’igrometria si occupa proprio della misurazione della quantità di vapor
d’acqua presente nell’atmosfera.
Definiamo umidità assoluta la quantità di vapore presente in 1m3 di aria.
Definiamo umidità relativa il rapporto tra la quantità di vapore presente in
un certo volume d’aria ad una data temperatura, e la quantità che vi sarebbe
se il vapore fosse saturo. Il valore di questo tipo di umidità è influenzato
dalla temperatura. Per misurare l’umidità relativa si utilizza uno strumento
detto igrometro, che può essere a condensazione oppure chimico.
CAPITOLO 16

LA TERMODINAMICA
La termodinamica studia i fenomeni fisici nei quali si verificano
trasformazioni di energia meccanica in calore o trasformazioni inverse.
Consideriamo un gas contenuto in un recipiente con pistone. Se la
temperatura del gas è costante ed uniforme, si dice che esso è in equilibrio
termico e se il pistone è libero e il suo peso è equilibrato dalla pressione
interna del gas, si può aggiungere che il sistema è in equilibrio meccanico. Il
sistema che si trova nelle suddette condizione si dice in equilibrio
termodinamico. Se però si varia una delle tre grandezze (t, p, V), l’equilibri
termodinamico si rompe e il gas subisce una trasformazione termodinamica,
al termine della quale di raggiunge una nuova forma di equilibrio.

Una trasformazione si dice irreversibile se il sistema non può essere riportato


allo stato iniziale mediante un processo inverso a quello che ha provocato la
trasformazione, senza che avvenga alcuna modificazione nell’ambiente
esterno.

Ad esempio se un’automobile frena arrestandosi, si verifica un


riscaldamento dei freni, delle gomme e della strada, a spese dell’energia
cinetica posseduta dall’automobile quando era in movimento. Non si può
pensare però che l’auto si rimetta in movimento utilizzando lo stesso calore.
Tutti i fenomeni che in natura avvengono spontaneamente sono da
considerarsi irreversibili.

Una trasformazione si dice ciclica se gli stati iniziale e finale del sistema che la
subisce, sono uguali.

LAVORO IN UNA TRASFORMAZIONE TERMODINAMICA

Essenzialmente in una trasformazione vi sono sempre espansioni e


compressioni che determinano lavoro. L’espansione può essere isobara.
Infatti consideriamo un gas contenuto in un recipiente munito di pistone a
tenuta scorrevole e supponiamo che la pressione p esercitata sul gas si
uguale alla tensione del gas, e che la temperatura sia costante. Se forniamo
calore al gas, innalzando la sua temperatura da T1 a T2, l’energia cinetica
media delle particelle aumenta, aumentando anche l’intensità degli urti
contro le pareti del recipiente e del pistone che così si solleva. La pressione
del gas, tuttavia, non aumenta, perché aumentando il volume, le molecole
hanno maggiore spazio per muoversi.

S h

Se S è l’area della superficie ad h il tratto stabilente il sollevamento del


pistone, avremo la seguente relazione:

dove ΔV rappresenta la variazione di volume Sh.


Questa formula esprime il lavoro fatto da un gas durante un’espansione
isobara.
Se l’espansione non è isobara, basta suddividere l’espansione complessiva in
tante piccolissime frazioni nelle quali essa può considerarsi isobara,
calcolando poi la loro somma.
Nel caso della compressione, supponiamo di spingere il pistone verso il
basso. A questo punto il volume del gas diminuisce, aumentando la
pressione interna del gas e la temperatura. Si può concludere che, in questo
caso, il lavoro compiuto per spingere in basso il pistone si è trasformato in
calore.
Nel caso di un’espansione seguita da una compressione, è sufficiente
calcolare il lavoro nelle due trasformazioni mediante una somma algebrica
tra i due lavori compiuti.

PRINCIPIO DI EQUIVALENZA DI MAYER

Questo principio afferma che:


Il rapporto tra la quantità di energia meccanica usata (lavoro) e la quantità di
calore prodotto, è costante.
Si tratta in sostanza di una trasformazione ciclica.
J è una costante (da non confondersi con l’unità di misura del lavoro) che
prende il nome di equivalente meccanico della caloria, e il suo valore è di
4186 joule/Kcal.
Ovviamente:

, /

PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Le particelle che costituiscono il corpo sono in continuo movimento e


posseggono energia cinetica. Inoltre esse sono legate da forze di coesione e
ciascuna particella possiede anche una certa energia potenziale. L’insieme di
energia cinetica e potenziale prende il nome di energia interna e viene
indicata con U. Se riprendiamo in considerazione il sistema gas – pistone
precedente, osserviamo che la trasformazione vista nelle pagg.67/68 non è
ciclica, quindi il principio di equivalenza di Mayer non risulta verificato. Ciò
significa che:

e in particolare , cioè e infine .

In conclusione il primo principio della termodinamica afferma che:

La quantità di calore assorbita da un sistema è equivalente alla quantità di


energia meccanica ceduta, più la variazione di energia interna.

Possiamo applicare tale principio a tutte le trasformazioni termodinamiche


viste finora.

CASO TRASFORMAZIONE ISOTERMA

Se abbiamo un gas che subisce un’espansione o una compressione con


temperatura che si mantiene costante durante la trasformazione, la sua
equazione sarà la stessa dei gas perfetti, cioè: pV = nRT.
Essendo R, n e T costanti, al formula precedente diventa: pV = K, che non è
altro che la legge di Boyle. In sostanza, se il gas si espande, la pressione
diminuisce, mentre se il gas si contrae, la pressione aumenta.
Casi espansione e compressione isoterma: se la temperatura si mantiene
costante, l’energia cinetica delle particelle è nulla, cioè è nulla la quantità
, quindi il principio della termodinamica avrà la seguente forma: JQ = L.

CASO TRASFORMAZIONE ISOBARA

In questo caso la pressione è costante, quindi essendo n,R e T costanti, la


variazione della temperatura determina variazione di volume. Un tale tipo di
trasformazione si realizza quindi fornendo o sottraendo calore al gas.

Caso espansione isobara: la formula è la stessa del primo principio e


rimanendo la pressione costante, fornendo calore al gas, lo stesso si espande
sollevando il pistone. Una parte del calore fornito incrementa l’energia
cinetica delle particelle mentre la restante parte si trasforma in lavoro e
provocando l’aumento dell’energia potenziale del pistone.

Caso compressione isobara: se si sottrae calore al gas e la pressione rimane


costante, esso diminuisce di volume e il pistone si abbassa, con la perdita di
energia cinetica da parte delle molecole del gas e di energia meccanica
causante l’abbassamento del pistone. Le quantità ΔU ed L sono entrambi
diversi da zero.

Caso trasformazione isocora

Questa trasformazione, durante la quale il volume si mantiene costante, si


realizza bloccando il pistone del recipiente e fornendo o sottraendo calore.
Dato che non c’è variazione di volume, il lavoro è nullo. Infatti se ricordiamo
che L = pΔV, è evidente che se ΔV = 0, allora anche L = 0.

Casi espansione e compressione isocora: per le affermazioni fatte sopra, il


primo principio della termodinamica si trasformerà in JQ = ΔU.
Si possono trarre, quindi, le seguenti conclusioni:

1) Se si fornisce calore al gas, esso va tutto ad incrementare l’energia


interna.
2) Se si sottrae calore al gas, si ha una proporzionale diminuzione della
sua energia interna.

Caso trasformazione adiabatica: dato che, come abbiamo visto nei


capitoli precedenti, una trasformazione adiabatica avviene senza scambi di
calore con l’esterno, dovrà essere necessariamente JQ = 0, quindi L + ΔU = 0,
e –L = ΔU.
IL CICLO DI CARNOT

Se consideriamo un gas contenuto in un recipiente munito di pistone ed


entrambi costituiti da materiale isolante. Sia il fondo del recipiente costituito
da materiale con ottima conducibilità e siano S1 ed S2 fonti di calore. Se
mettiamo il recipiente sulla fonte S1 per poco tempo, al quantità di calore Q1
ceduta ad S1 si trasforma in lavoro L1 per il primo principio della
termodinamica; in seguito mettiamo il recipiente sulla fonte S 2,
comprimendo il gas. In questa fase il gas fornisce ad S2 una quantità di calore
Q2 a spese di L3 fornito all’esterno, mentre L2 si costituiva mettendo nella
prima fase il recipiente su un materiale isolante M. Se nella quarta fase
mettiamo di nuovo il recipiente sull’isolante M, verrà speso il lavoro L4, con
conseguente aumento dell’energia cinetica del gas. Dopo quattro fasi, il gas
torna sempre nella condizione iniziale ed ha compiuto un ciclo detto di
Carnot.
Il lavoro totale sarà L = L1 + L2 + L3 + L4 e viene fatto a spese della quantità di
calore Q = Q1 – Q2 che il gas assorbe dall’esterno. Applicando il primo
principio della termodinamica, si ha che : L = J(Q1 – Q2).
Infatti la quantità ΔU è nulla poiché la trasformazione è evidentemente
ciclica.
Il seguente rapporto:

viene detto rendimento termico del ciclo di Carnot.

SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Questo principio è costituito da due sottoenunciati:

1) Enunciato di Kelvin: È impossibile realizzare una trasformazione


termodinamica che abbia come unico risultato l’integrale
trasformazione in lavoro del calore prelevato da una sorgente
termica.
2) Enunciato di Clausius: È impossibile realizzare una trasformazione
termodinamica che abbia come unico risultato il passaggio di calore
da un corpo più freddo ad uno più caldo.

In realtà i due enunciati si equivalgono, rappresentando uno il


completamento dell’altro. A titolo di esempio consideriamo il comune
frigorifero. Esso è una macchina che sfrutta il primo principio della
termodinamica ed è capace di trasferire il calore da un corpo più freddo ad
uno più caldo, vale a dire l’esterno. Il funzionamento di questa macchina,
però, implica sempre un consumo di energia, la quale viene fornita
dall’ambiente esterno; accade quindi che il trasferimento di calore da un
corpo più freddo ad uno più caldo non è il solo risultato della
trasformazione.

L’ENTROPIA

L’entropia indica il grado di disordine dell’energia.

Nelle trasformazioni spontanee di energia, si ha sempre un aumento della


stessa. Infatti se consideriamo due recipienti A e B comunicanti tra loro
mediante un condotto chiuso da una saracinesca P, e il gas si trova solo nel
recipiente A, succede che, aprendo la saracinesca, il gas stesso passerà anche
nel recipiente B, aumentando il suo volume e consentendo alle molecole del
gas, che già in partenza si muovevano disordinatamente, di aumentare il loro
stato di disordine.

Avremo quindi che, se S1 ed S2 sono le entropie allo stato iniziale del sistema,
si può scrivere: S2 – S1 > 0.
Quanto affermato giustifica il fatto che la natura tende a convertire l’energia
in forme sempre più disordinate e più difficilmente utilizzabili.

TERZO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Il terzo principio afferma che:

È impossibile raffreddare un corpo fino allo zero assoluto e questo perché a


questa temperatura l’entropia è nulla.
LE MACCHINE TERMICHE

Una macchina termica è un dispositivo capace di trasformare energia


termica in energia meccanica e viceversa. Le due macchine termiche più
note sono:

1) Macchina a vapore o a combustione esterna.


2) Motore a scoppio o a combustione interna.
Nel caso della macchina a vapore, possiamo dire che essa è costituita da una
sorgente termica che provoca un’ebollizione dell’acqua contenuta nella
caldaia. Il rendimento di questa macchina è molto basso e ciò significa che
solo una piccola parte del calore speso viene trasformata in lavoro, mentre
la parte restante viene dissipata all’esterno.

Nel caso del motore a scoppio si ha una combustione di una miscela d’aria e
idrocarburi all’interno di un cilindro. Il funzionamento di tale macchina
termica prevede quattro fasi:

1) Aspirazione: il pistone P, in seguito ad


una azione esterna (motorino di
avviamento), si sposta verso il basso.
Mentre la valvola V1 rimane chiusa, la
valvola di aspirazione V si apre, ed
attraverso di essa viene aspirata una
miscela d’aria e piccole gocce di
benzina, che si era formata nel
carburatore.
2) Compressione: il pistone, per azione del
motorino di avviamento, viene spinto
verso l’alto; la valvola V si chiude e la
miscela aria – benzina viene compressa
nella parte alta del cilindro.

3) Scoppio: nell’istante in cui il pistone si


trova nella posizione più alta possibile,
cioè quando la miscela è compressa al
massimo, la candela C produce una
scintilla che provoca lo scoppio della
miscela, sviluppando gas a pressione
molto elevata che si espande
rapidamente spingendo il pistone verso
il basso.

4) Scarico: il pistone, grazie all’inerzia del


volano R, risale in alto e
contemporaneamente si apre la valvola V1
attraverso la quale si scaricano all’esterno i
gas sviluppati dalla combustione della
miscela.

Macchina a vapore
Motore a scoppio 4 tempi
ESERCIZI

1) Quanto calore si ottiene da 12558 joule di energia meccanica?


[3Kcal]

2) Calcolare la quantità di energia meccanica che deve essere


integralmente trasformata in calore per ottenere 24Kcal.
[105J]

3) Un veicolo di massa 1000Kgm viaggia alla velocità di 30m/s su una


strada orizzontale. Calcolare la quantità di calore che si sviluppa per
attrito quando il veicolo frena fino a fermarsi, ammettendo che tutta
l’energia cinetica, inizialmente posseduta dal veicolo, si trasformi in
calore. [108Kcal]

4) Una macchina termica, per trasformare integralmente in lavoro


30Kcal, deve assorbire 200Kcal dalla sorgente termica a temperatura
più elevata. Calcolare il rendimento di tale macchina.
[15%]

5) Calcolare il rendimento termico di una macchina, nella quale la


sorgente a temperatura più elevata si trova a 170°C e l’altra a 18°C.
[34,31%]

6) Il rendimento di una macchina termica è pari al 40%. Sapendo che il


calore prelevato dalla sorgente a temperatura più elevata è 10Kcal,
calcolare la quantità di calore che si è effettivamente trasformata in
lavoro. [4Kcal]

7) Calcolare l’energia meccanica fornita da un gas che ha subito una


trasformazione ciclica, sapendo che il rendimento del ciclo è 0,15 e
che il gas ha assorbito 5kcal. [3139,5J]
CAPITOLO 17

L’ELETTRICITÀ

AZIONI TRA CARICHE ELETTRICHE


Un corpo che si trova nelle condizioni di attirare le sostanze viene detto
elettrizzato. L’esperimento consiste nel prendere una bacchetta di ebanite e
strofinarla con un panno di lana. Se, a questo punto, viene avvicinata una
seconda bacchetta di ebanite, quest’ultima si allontana dalla prima, mentre
se ripetiamo l’esperimento, avvicinando una bacchetta di vetro
preventivamente strofinata, si osserva che essa si avvicina a quella di
ebanite. Questa esperienza ci dimostra non solo che le cariche elettriche
possedute da ebanite e vetro sono diverse, ma anche che, in natura esistono
solo due tipi di cariche elettriche:

1) Cariche elettriche negative, possedute dall’ebanite.


2) Cariche elettriche positive, possedute dal vetro.

Riassumendo il tutto possiamo affermare che:

1) Un corpo strofinato si elettrizza con segno che dipende dalla natura


della sostanza.
2) Corpi elettrizzati dello stesso segno si respingono, mentre di segno
opposto si attraggono.
3) Se due corpi sono elettrizzati mediante strofinamento, le cariche
hanno la stessa intensità ma segno opposto.

Tutto quello che abbiamo esposto finora, fa parte della teoria elettronica
del’elettricità e i fenomeni si spiegano mediante la costituzione dell’atomo.
L’atomo è formato da un nucleo centrale intorno al quale ruotano corpuscoli
molto piccoli, detti elettroni, che posseggono carica elettrica negativa. Nel
nucleo troviamo i protoni, dotati di carica elettrica positiva e i neutroni,
elettricamente neutri. Gli elettroni si dispongono attorno al nucleo secondo
orbite, e ognuno di essi possiede una certa energia di posizione. La prima
orbita o strato può contenere al massimo due elettroni e quando si verifica
questa condizione, lo strato si dice completo (tranne che per l’idrogeno che
possiede un solo elettrone). L’ultimo strato può contenere al massimo otto
elettroni, e in tali condizioni, l’atomo si dice stabile.
In base alla struttura atomica appena vista, possiamo distinguere gli
elementi in due categorie:

1) Elementi metallici o conduttori, che sono sostanze nelle quali esistono


elettroni liberi, dotati di grande mobilità. Tra questi ricordiamo i
metalli e le leghe.
2) Elementi non metallici o isolanti, che sono sostanze nelle quali non ci
sono elettroni liberi, come ad esempio i non metalli.

In sostanza, l’elettrizzazione non fa altro che provocare la rottura


dell’equilibrio tra il numero di elettroni e quello dei protoni. Se si
sottraggono elettroni, aumenta la carica positiva, viceversa aumenta la
carica negativa.

ELETTRIZZAZIONE DEI CONDUTTORI PER INDUZIONE

Consideriamo un conduttore di alluminio AB, sostenuto da un supporto S di


materiale isolante, e avviciniamogli una bacchetta di ebanite E,
preventivamente strofinata con un panno di lana. Osserviamo che gli
elettroni periferici degli atomi del conduttore, respinti dalle cariche
elettriche dell’ebanite, si spostano verso B. Nella parte A rimangono così
atomi con qualche elettrone in meno, quindi tale parte si elettrizza
positivamente, mentre la parte B si elettrizza negativamente. Questo
fenomeno si chiama elettrizzazione per induzione o influenza. Se si allontana
la bacchetta di ebanite, il conduttore torna ad essere neutro.

B A --
- - ++ --
--
-
E

Se ripetiamo l’esperimento, avvicinando però al conduttore un bacchetta di


vetro elettrizzata, gli elettroni periferici del conduttore vengono richiamati
nella zona A dalle cariche positive del vetro, per cui la zona B si carica
positivamente. Da quanto detto, deriva un’importante affermazione:
L’elettrizzazione dei conduttori è sempre dovuta a spostamento di elettroni e
mai di cariche positive.

Se ora colleghiamo a terra la zona B, mediante un filo metallico F, succede


che gli elettroni vengono richiamati al suolo (che è un buon conduttore)
attraverso il filo. Le cariche in eccesso nella zona B vengono neutralizzate e
nel suolo compaiono cariche positive indotte. Infatti il conduttore assieme al
filo formano un unico conduttore, per cui l’elettrizzazione di segno uguale
all’induttore (di vetro), si manifesta nella parte più lontana, cioè nella terra.

++ - -
vetro --
-
A B

+++

Se la bacchetta di vetro viene allontanata e si taglia il filo, le cariche negative


nella parte A si allontanano tra di loro, a causa della loro reciproca
repulsione, disponendosi così su tutta la superficie del conduttore AB. In
conclusione, possiamo affermare in questo caso che:

Se si avvicina un corpo elettrizzato ad un conduttore collegato a terra, esso si


elettrizza sempre con segno opposto a quello della carica posseduta
dall’induttore.

ELETTRIZZAZIONE DEI CONDUTTORI PER CONTATTO

Consideriamo il solito conduttore AB e avviciniamogli un corpo C


elettrizzato positivamente, fino a toccarlo. Nella fase di avvicinamento, il
conduttore si elettrizza per induzione, seguendo le stesse modalità descritte
nel precedente paragrafo. Quando avviene il contatto, possono verificarsi
due casi:

1) Se C è un isolante, cioè - - ++
con elettroni poco mobili, --
vengono neutralizzate -

solo le cariche positive


dei suoi atomi più vicini
alla zona A, con alcuni elettroni che comunque fuoriescono dal
conduttore. Se il corpo C viene allontanato, gli elettroni in A migrano
verso B, ma non sono sufficienti per neutralizzare le cariche positive
di quest’ultima zona. In sostanza il conduttore rimane caricato, anche
se in scarsa misura, con segno uguale a C, cioè positivo.

2) Se il corpo C è un
conduttore elettrizzato ad ++ - - ++
+ --
esempio positivamente, al -
+
contatto con AB si ha la
neutralizzazione completa
delle cariche negative
indotte in A, poiché gli
elettroni liberi possono
agevolmente muoversi
verso C. nei due conduttori a contatto rimangono solo cariche positive
in eccesso e il conduttore ha segno uguale a C, in misura molto
elevata.

LA LEGGE DI COULOMB

Il fisico francese Coulomb, alla fine dell’800, fece molti esperimenti sulle
forze di attrazione e
repulsione che si
esercita tra cariche
elettriche, avvalendosi
di uno strumento detto
bilancia di torsione.
Utilizzando cariche
elettriche dotate di
una certa intensità e
variando la distanza
tra di esse, riuscì a determinare la relazione tra l’intensità e la forza di
attrazione o repulsione. L’espressione matematica di tali esperimenti è la
seguente, seguita dall’enunciato della legge di Coulomb:

Due cariche elettriche puntiformi Q1 e Q2, si attraggono o si respingono con


una forza diretta secondo la loro congiungente. L’intensità di tale forza è
direttamente proporzionale al prodotto delle intensità delle due cariche ed
inversamente proporzionali al quadrato della loro distanza d.

L’unità di misura della carica elettrica è il coulomb, mentre quella della


corrente elettrica è l’ampere.
La costante k che compare nella formula è uguale al valore della forza che si
esercita tra due cariche elettriche puntiformi di 1 coulomb, poste ad 1m di
distanza l’una dall’altra. Il suo valore nel vuoto, trovato sperimentalmente, è
uguale a , anche se si è convenuto di esprimere al valore di tale
costante nella forma seguente:

dove ϵ è la costante dielettrica assoluta della sostanza nelle quale sono


immerse le cariche elettriche e indica la maggiore o minore polarizzazione
di una determinata sostanza.
Sostituendo nelle legge di Coulomb, abbiamo:

quindi ,

Il rapporto viene detto costante dielettrica relativa, dove ϵ0 è il


valore della costante dielettrica nel vuoto.

Il valore delle costante dielettrica relativa di una sostanza è dato dal rapporto
tra l’intensità della forza con la quale due cariche, poste nel vuoto ad una
certa distanza l’una dall’altra, si attraggono o respingono, e intensità della
forza con la quale le stesse cariche , alla stessa distanza, si attraggono o
respingono quando sono immerse nella sostanza considerata.
ESERCIZI

1) Due cariche elettriche puntiformi, Q1 = +5*10–5C e Q2 = +3*10–6C , sono


poste nel vuoto a 0,5m l’una dall’altra. Calcolare l’intensità della forza
con la quale si respingono. [5,4N]

2) Sapendo che la costante dielettrica relativa dell’acqua distillata è 81 e


che quella dell’olio minerale è 2,5, calcolare l’intensità delle forze con
le quali le cariche del precedente esercizio si respingono se vengono
immerse in queste due sostanze. [6,83*10–2N ; 2,16N]

3) Calcolare il valore della costante k della legge di Coulomb, quando tra


due cariche elettriche viene messa della carta. [4,5*109Nm2/C2]

4) Due cariche elettriche positive puntiformi di intensità +5*10 –5C e


4,5*10–4C, sono poste nel vuoto, agli estremi di un segmento lungo
4m. Trovare in quale punto del segmento si deve mettere la carica
positiva di intensità 10–6C, affinché essa venga respinta con uguale
forza da ciascuna delle due cariche precedenti. [a 3m dalla prima
carica]

5) Tre cariche elettriche positive e puntiformi sono poste sui vertici di


un triangolo equilatero di lato 1m. Sapendo che le tre cariche sono
tutte uguali a 10–4C, calcolare l’intensità della forza con la quale due
di esse respingono la terza nel vuoto. [155,88N]
CAPITOLO 18

CAMPO ELETTRICO E POTENZIALE


Uno spazio infinitamente esteso ed assolutamente vuoto è privo di proprietà
fisiche. Infatti se vi introduciamo un qualunque punto di massa m1, esso non
è soggetto ad alcuna forza. Con le premesse fatte nel precedente capitolo,
però, la considerazione appena fatta non ha più validità. Infatti, se
introduciamo nello spazio una qualunque carica elettrica, esso acquista
un’altra proprietà fisica e l’introduzione di un’altra carica porta ad azioni di
natura elettrostatica. In sostanza una massa o una carica elettrica, poste
nello spazio, provocano delle perturbazioni e tale regione di spazio si chiama
campo elettrico. Diamo una definizione rigorosa di quanto affermato:

Un campo elettrico è una regione dello spazio nella quale si manifestano


azioni di natura elettrostatica, dovute ad una o più cariche elettriche.

Consideriamo una carica Q posta nel punto A, e poniamo a distanza d da essa


un’altra carica q1 molto piccola.

Q d P

Possiamo facilmente applicare la legge di Coulomb per calcolare l’intensità


della forza che Q esercita su q1:

Se mettiamo nel punto P un’altra carica q2, l’intensità della forza sarà:

Le due relazioni appena viste possono essere scritte anche nella seguente
forma:
e

Si vede chiaramente che , quindi:

Tale costante si indica con E e prende il nome di intensità del campo


elettrico, generato dalla carica Q nel punto P a distanza d. Avremo quindi, in
conclusione:

L’unità di misura del campo elettrico è il newton/coulomb. Il verso del campo


elettrico dipende dalla positività o negatività della carica Q.
Se il campo elettrico è generato da più cariche Q1, Q2, Q3 e così via, la sua
intensità sarà la somma vettoriale delle intensità dei campi generati dalle
singole cariche:

Tutti i campi di forze possono essere rappresentati mediante linee orientate


dette linee di forza, che non sono altro che le traiettorie seguite dalle
perturbazioni fisiche che si propagano nello spazio.

Le linee di forza godono delle seguenti proprietà:

1) Esse in ogni punto sono tangenti al vettore rappresentante l’intensità


del campo in quel punto.
2) Per un qualunque punto del campo passa una sola linea di forza.
3) Nel caso del campo elettrico, le linee di forza sono sempre orientate
verso le cariche negative, oppure, in assenza di queste, verso l’infinito.

Le rappresentazioni grafiche dei campi elettrici mediante linee di forza, sono


dette spettri elettrici.

a) Se il campo è generato da una carica


positiva, le linee di forza partono da essa e
terminano all’infinito

b) Se il campo è generato da una carica


negativa, le linee di forza convergono tutte
verso la carica che ha generato il campo, e si
può immaginare che provengano da
distanza infinita.

c) Se il campo è generato da
due cariche di segno
opposto, le linee di forza
partono dalla carica
positiva e terminano a
quella negativa.

d) Se il campo è generato da due


cariche positive, le linee di forza
partono da entrambe le cariche e
terminano all’infinito, mentre se il
campo è generato da due cariche
negative, il loro andamento è
identico, ma di verso contrario.
Un campo elettrico si dice uniforme se il vettore E si mantiene costante in ogni
punto del campo.

In questo caso le linee di forza sono delle rette


parallele ed equidistanti. Un campo elettrico
uniforme si ha tra due superfici A e B metalliche e
uguali, disposte parallelamente ed elettrizzate con
cariche di uguale intensità ma verso contrario.

ENERGIA POTENZIALE DI UNA CARICA IN UN CAMPO


ELETTRICO

Una carica elettrica, posta in un punto di un campo elettrico, possiede una


certa energia di posizione, detta energia potenziale elettrostatica. Il
significato di tale affermazione dipende dal fatto che una carica q, sotto
l’azione del campo generato da un’altra carica Q, si muove e viene respinta
fino ai limiti del campo se si suppone che Q sia positiva. È evidente che, in
questa situazione, le forze del campo elettrico compiono lavoro e il campo
stesso fornisce una certa energia. L’espressione matematica dell’energia
potenziale è la seguente:

ed esprime il lavoro necessario per portare la carica q da un punto fino ai


limiti del campo.

POTENZIALE IN UN PUNTO DI UN CAMPO ELETTRICO

Se una carica q, posta in un punto un campo elettrico generato da una carica


Q, possiede energia potenziale elettrostatica L, avremo che:
sarà l’energia di posizione posseduta dalla carica positiva unitaria posta nel
punto, e tale valore V si chiama potenziale del campo elettrico in un punto. Il
potenziale è una grandezza scalare.
Per il calcolo, sostituiamo ad L il valore trovato nel paragrafo precedente ed
avremo quindi:

DIFFERENZA DI POTENZIALE TRA DUE PUNTI

Se in un campo elettrico generato da una carica Q consideriamo due punti A


e B, distanti rispettivamente d1 e d2 dal baricentro delle carica stessa,
avremo che il lavoro necessario per portare una seconda carica q dal punto
A al punto B, sarà dato dalla seguente relazione:

( )

Se q = 1C, avremo semplicemente ( ).

L’ultima relazione esprime la differenza di potenziale (d.d.p.), che ha come


unità di misura il volt. Possiamo anche assegnare un’unità di misura del
campo elettrico, molto più pratica del N/C e che è il V/m.

Una superficie si dice equipotenziale se tutti i suoi punti si trovano allo stesso
potenziale.

In questo caso le forze del campo elettrico non fanno lavoro per spostare
una carica tra due punti di una stessa superficie equipotenziale ed essa è in
ogni punto perpendicolare alla linea di forza del campo elettrico passante
per il punto considerato.

FLUSSO DEL VETTORE . TEOREMA DI GAUSS

Sia S una superficie piana, immersa in un campo elettrico uniforme di


intensità , generato dalle cariche +Q
e –Q.

Dicesi flusso del vettore , attraverso la


superficie S, il prodotto del vettore per
la proiezione della superficie su un piano perpendicolare alle linee di forza del
campo elettrico, cioè:

Abbiamo che 1 unità di flusso di = 1V *1m.


Se S è parallela alle linee di forza del campo, il flusso è nullo, poiché non
esiste la proiezione.
Se S non è piana, la si può dividere in tante piccole parti in modo tale che
esse possano risultare piane e il flusso totale è uguale alla somma dei singoli
flussi.

TEOREMA DI GAUSS

Consideriamo una superficie sferica di raggio r, posta nel vuoto e con al


centro una carica Q. Il flusso del vettore è uniforme attraverso tutta la
superficie sferica ed ha area 4πr2. Possiamo quindi scrivere:

r r
r ϵ

La relazione appena vista esprime il teorema di


Gauss, di seguito enunciato:
r
Se un campo elettrico è originato da una carica
puntiforme interna ad una superficie chiusa posta Q
nel vuoto, il flusso del vettore attraverso tale
superficie è dato dal rapporto tra la carica e la
costante dielettrica nel vuoto.

DENSITÀ ELETTRICA

Se una carica elettrica Q è distribuita su una superficie di area S, la relazione:


esprime la densità elettrica superficiale. Nel caso in cui le cariche siano
distribuite in un certo volume, si parlerà di densità elettrica volumica:

ESERCIZI

1) Calcolare l’intensità del campo elettrico generato dalla carica di 8*10 –


3C in due punti posti nel vuoto a distanze, rispettivamente di 1m e

0,8m dalla carica. [7,2*107 N/C ; 11,25*107 N/C]

2) Tre cariche elettriche tutte di 2*10–3C, due positive e una negativa,


sono poste nel vuoto su tre vertici di un quadrato di lato 3m. Sapendo
che la carica negativa è posta sul vertice opposto a quello libero,
calcolare l’intensità del campo elettrico su quest’ultimo.
[1,83*10–6 N/C ]

3) Su ogni vertice di un quadrato immerso nel vuoto è posta una carica


positiva di 1C. Calcolare l’intensità del campo elettrico nel centro del
quadrato. [0]

4) Sapendo che l’intensità del campo elettrico in un punto è uguale a


20N/C, calcolare la forza con la quale viene respinta una carica
positiva di 2*10–6 C posta in tale punto. [4*10–5 N]

5) Calcolare il potenziale in un punto situato ad 1m da una carica


elettrica di – 2,5*10–4 C, sapendo che tra la carica e il punto c’è il
vuoto, e successivamente ci sia l’acqua. [22,5*105 V ; 2,78*104 V ]

6) Un campo elettrico è generato da una carica di – 2,5*10–4 C posta in un


punto A. Calcolare il lavoro necessario per portare la carica di +3*10 –8
C da un punto B fino ai limiti del campo, sapendo che AB = 1m.
[6,75*10–2 J]

7) Calcolare la d.d.p. tra due punti in un campo elettrico generato nel


vuoto da una carica di 10–5 C, sapendo che i punti distano dalla carica,
rispettivamente, 0,5m e 1m. [9*104 V]

8) Calcolare il lavoro necessario per spostare la carica di – 10–8 C tra due


punti del campo elettrico dell’esercizio precedente. [–9*10–4 J]
CAPITOLO 19

CAPACITÀ ELETTRICA E
CONDENSATORI
Se ad un conduttore neutro ed isolato da terra diamo una carica Q, esso
assume un certo potenziale V. L’esperienza ci dice che se diamo allo stesso
conduttore una carica doppia, esso assume potenziale doppio e così via.
Esiste quindi una relazione di proporzionalità diretta tra la carica e il
potenziale, secondo la seguente formula:

Questa costante prende il nome di capacità elettrica del conduttore e si


indica con C. La precedente formula diventa quindi:

Per quanto riguarda il significato fisico della capacità, possiamo dire che
essa esprime l’attitudine di un conduttore a contenere cariche elettriche.
L’unità di misura della capacità elettrica è il farad, dove:

Un conduttore ha una capacità di 1 farad se, comunicandogli la carica di un


coulomb, esso assume potenziale di 1 volt.

Dato che il farad è un’unità molto grande, spesso si preferiscono usare i suoi
sottomultipli, che sono il millifarad, il microfarad, il picofarad.

LEGGI DELLA CAPACITÀ

1) La capacità di un conduttore isolato dipende dall’area della sua


superficie, infatti più è grande la superficie e minore è la densità.
2) La capacità di un conduttore, a parità di superficie, dipende dalla sua
forma. Infatti, se consideriamo due conduttori di uguale superficie ma
uno di forma sferica e l’altro cubica, la capacità del primo è maggiore di
quella del secondo, poiché sugli spigoli del cubo c’è maggior accumulo
di cariche elettriche, con forte aumento della densità.
3) La capacità di un conduttore aumenta se vicino ad esso vengono posti
altri conduttori non elettrizzati. Infatti se facciamo l’esperimento si
osserva che la vicinanza di un conduttore neutro ad uno elettrizzato
diminuisce il potenziale di quest’ultimo e di conseguenza ne aumenta la
capacità. L’effetto è tanto più grande quanto più i conduttori sono
vicini.
4) La capacità di un conduttore varia al variare della natura del
dielettrico nel quale è immerso.

CAPACITÀ DI UN CONDUTTORE SFERICO

Consideriamo un conduttore sferico di raggio r e supponiamo che abbia


potenziale V, dopo avergli fornito una carica Q. Ricordiamo che:

sostituendo si ha:

ENERGIA DI UN CONDUTTORE ELETTRIZZATO

Se colleghiamo a terra un conduttore elettrizzato, mediante filo metallico, il


conduttore si scarica e il filo si riscalda, cioè si manifesta energia termica
proveniente dallo stesso conduttore. Per calcolare tale energia, diciamo che
durante la scarica il potenziale del conduttore passa da un valore V a zero,
per cui si può calcolare la media aritmetica dei due valori:

Il lavoro, durante il processo di scarica è dato da:


E siccome Q = CV, si ha in conclusione:

I CONDENSATORI

Un condensatore è un dispositivo dotato di elevata capacità elettrica ed è


costituito da due conduttori detti armature, separati da un dielettrico. Una
delle armature viene elettrizzata per contatto, mentre l’altra per induzione.
La capacità di un condensatore è data dal rapporto tra la carica posseduta da
una delle due armature e la d.d.p. tra le armature stesse.

A B
+ -
+ -
+ -
+ d -
+ -

Se d è la distanza tra i due conduttori, ϵ la costante dielettrica ed S la


superficie di ciascuna armatura, la capacità è data dalla seguente formula:

La capacità di un condensatore è in accordo con tutte le leggi della capacità


viste nei paragrafi precedenti e anche per quanto riguarda l’energia, vale la
legge vista a pag.107.

COLLEGAMENTO DI CONDENSATORI

Molto spesso è più vantaggioso usare più condensatori collegati tra loro,
anziché uno solo. Vediamo i due collegamenti più utilizzati.
Collegamento in parallelo
A1 B1
C1

A2 B2
P C2

A3 C3 B3

Se mettiamo una carica Q nel punto P, essa si distribuisce sulla armatura A 1,


A2, A3, in misura direttamente proporzionale alle capacità dei singoli
condensatori, cioè su A1 va Q1, su A2, va Q2, su A3 va Q3. Dalla nota relazione:

Abbiamo che, trattandosi di un condensatore unico, la capacità sarà:

La capacità di più condensatori collegati in parallelo è uguale alla somma


delle capacità dei singoli condensatori.

Collegamento in serie

V1 V2 V3

A1 B1 A2 B2 A3 B3

Se all’armatura A1 diamo una carica positiva Q, il primo conduttore si


elettrizza per induzione, trasmettendo l’elettrizzazione a tutte le armature
(B1 avrà carica – Q e A2 avrà carica +Q e così via). Le d.d.p. V1, V2, V3, sono i
lavori necessari per portare le cariche tra le varie armature. La d.d.p. totale
sarà quindi V = V1 +V2 + V3 e dividendo tutti i membri per Q, si avrà:
Siccome , si avrà:

L’inverso della capacità di un sistema di condensatori collegati in serie è


uguale alla somma degli inversi delle capacità dei singoli conduttori.

ESERCIZI

1) Dando una carica di 2*10–5 C ad un conduttore isolato, esso assume un


potenziale di 10 V. Calcolare la capacità del conduttore. [2*10–6 F]

2) Calcolare il valore della carica elettrica che si deve dare ad un


conduttore di capacità 2*10–6 F, affinché esso acquisti il potenziale di
100 V. [2*10–4 C]

3) Calcolare la capacità di una sfera conduttrice di raggio 1Km immersa


nel vuoto. [0,111μF]

4) A due conduttori isolati vengono date due cariche elettriche positive,


rispettivamente uguali a 2*10–4 C e 10–3 C. Il primo conduttore
acquista il potenziale di 10 V e l’altro di 100 V. Se si pongono i due
conduttori a contatto tra loro, quale valore assume il loro potenziale?
E quale carica possiede ciascuno di essi? [40 V ; 8*10–4 C ; 4*10–4 C]

5) Calcolare l’energia elettrostatica di un conduttore di capacità 2*10 –8


F, elettrizzato con una carica di 10–4 C. [0,25 J]

6) Calcolare la costante dielettrica assoluta di una sostanza che,


introdotta tra le armature di un condensatore, permette di triplicare
la loro distanza, senza alterare la capacità che il condensatore
possiede quando tra le sue armature c’è il vuoto.
[26,55*10–12C2/Nm2]
7) Calcolare la capacità di un condensatore piano, sapendo che la
superficie di ciascuna armatura è di 20cm2, che la loro distanza è
2mm, che tra esse c’è un dielettrico di costante uguale a 7.
[62,013*10–12 F]

8) Calcolare la capacità di un condensatore sferico di raggio 1m, sapendo


che tra le due armature c’è uno strato di paraffina dello spessore di
1mm. [58,36mμF]

9) Tre condensatori hanno capacità uguali a 2*10–3 F, 10–2 F , 2,25*10–5


F. Essi vengono collegati prima in serie e poi in parallelo. Calcolare la
capacità del sistema in entrambi i casi. [2,22*10–5 F ; 12,0225*10–3 F]

10) Quattro condensatori uguali sono collegati in serie. Calcolare la d.d.p.


tra le armature di ogni condensatore, sapendo che la capacità del
sistema è 10–5 F e che sulle armature c’è una carica di 6*10 –3 C.
[150 V]

11) Ad un condensatore piano, di capacità 2*10–6 F, viene data una carica


di 2*10–5 C. Calcolare l’energia elettrostatica del condensatore.
[10–4 J]

12) In un condensatore piano di capacità C, le armature sono separate dal


vuoto e la loro distanza è d. Fornendo al condensatore una carica
elettrica Q, esso acquista un’energia elettrostatica E, e tra le sue
armature si stabilisce una d.d.p. uguale a V. Se si mette tra le armature
un dielettrico di costante relativa uguale a 3, quale valore assumono la
capacità, la d.d.p., l’energia elettrostatica? [3C ; V/3 ; E/3]

13) Se nel condensatore dell’esercizio precedente si raddoppia la distanza


tra le armature, lasciandole però sempre separate dal vuoto, quali
valori assumono la capacità, la d.d.p., l’energia elettrostatica?
[C/2 ; 2V; 2E]
CAPITOLO 20

CORRENTE ELETTRICA – LA PILA


Consideriamo un condensatore carico ad armature
piane e parallele, tra le quali ci sia il vuoto.
Colleghiamo le armature con un filo metallico,
inserendo una lampadina elettrica, come illustrato
nella figura. Appena stabilito il contatto, la
lampadina si accende per qualche istante per poi
spegnersi e alla fine dell’esperimento il
condensatore è scarico. Nell’intervallo di tempo in
cui la lampadina è rimasta accesa, il filo e il
filamento interno della lampadina sono percorsi da corrente elettrica, e ciò è
dovuto al fatto che le cariche negative della seconda armatura, muovendosi
attraverso il filo, vanno a neutralizzare le cariche negative della prima
armatura determinando l’accensione della lampadina.
Questo movimento di cariche viene detto corrente elettrica, e dura finché tra
le due armature esiste una certa d.d.p.
Il verso positivo della corrente elettrica è contrario a quello del moto delle
cariche negative e quindi la corrente percorre un conduttore dai punti a
potenziale maggiore verso quelli a potenziale minore.

In generale, se attraverso una qualunque sezione di un conduttore passa


una certa carica Q nel tempo t si definisce intensità di corrente elettrica il
rapporto tra la carica Q e l’intervallo di tempo t:

L’intensità di corrente elettrica in un conduttore è la quantità di carica che


attraversa una qualunque sezione del conduttore nel tempo di un secondo.

L’unità di misura della corrente elettrica è l’ampere.


Si definisce generatore di corrente elettrica (G) un qualunque dispositivo
capace di mantenere tra due punti una certa d.d.p.

LE ESPERIENZE DI VOLTA

I conduttori si dividono in due tipi.

1) Conduttori di prima classe: sono i conduttori metallici nei quali la


corrente elettrica è dovuta al movimento degli elettroni liberi.
2) Conduttori di seconda classe: sono costituiti da soluzioni acquose di
acidi e sali e vengono anche chiamati soluzioni elettrolitiche.

PRIMA ESPERIENZA DI VOLTA

Se si mettono in contatto due metalli diversi, elettricamente neutri e alla


stessa temperatura, tra i loro estremi si stabilisce una certa d.d.p., il cui
valore dipende dalla natura dei metalli.

SECONDA ESPERIENZA DI VOLTA

Se si mettono in contatto più conduttori diversi alla stessa temperatura, tra


gli estremi della catena si stabilisce una d.d.p. uguale a quella che si avrebbe
se mettessimo a contatto direttamente il primo conduttore con l’ultimo.
Una catena di conduttori si dice aperta se i suoi estremi sono metalli diversi,
invece si dice chiusa se gli estremi sono metalli uguali.
TERZA ESPERIENZA DI VOLTA

Se in una catena chiusa di conduttori di prima classe si introduce un


conduttore di seconda classe, si osserva che la d.d.p. tra gli estremi non è più
nulla.

LA PILA DI VOLTA

La pila è un dispositivo capace di trasformare


l’energia chimica in energia elettrica.

I funzionamento della pila dipende dal contatto


diretto tra rame e zinco, anche se ad oggi tale
contatto non è indispensabile, poiché si è
dimostrato che anche a circuito aperto, cioè senza
fili di collegamento, esiste sempre una d.d.p. tra
gli elettrodi della pila.

Dicesi forza elettromotrice della pila o f.e.m., la d.d.p. tra i due poli circuito
aperto, cioè quando la pila non eroga corrente elettrica.

La f.e.m. si indica con E e la sua unità di


misura è la stessa del potenziale.

COLLEGAMENTI DI PILE

Come abbiamo visto per i condensatori, è di solito opportuno collegare più


pile, per contrastare la bassa f.e.m. di una singola pila, detta anche elemento.

Collegamento in serie

Questo tipo di
collegamento si realizza
unendo il polo positivo di
un elemento con il polo
successivo di quello
negativo e viene anche detto batteria di pile.
Supponiamo che la f.e.m. di ciascuna delle tre pile A, B, C sia uguale ad E. A
circuito aperto, possiamo scrivere:

Siccome, dalla figura, vediamo che il polo b 1 è collegato con c e il polo a1 con
b, si ha:

Quindi le uguaglianze della pagina precedente possono essere scritte così:

Sommando membro a membro si ha:

Collegamento in parallelo

Questo collegamento si realizza unendo


tra loro tutti i poli positivi e tutti quelli
negativi dei diversi elementi. Dalla figura
appare chiaro che se ogni elemento ha
f.e.m. uguale ad E, anche la f.e.m. ai capi A
e B è uguale ad E. il collegamento in
parallelo non porta quindi alcun
vantaggio per quanto riguarda la f.e.m.

ESERCIZI

1) Calcolare l’intensità di corrente in un conduttore, sapendo che


attraverso una sua sezione passa la carica di 10–2 C nel tempo di 0,02s.
[0,5 A]
2) Trovare il valore della carica elettrica che passa in un decimo di
secondo attraverso la sezione di un conduttore, sapendo che esso è
percorso da corrente elettrica di 2A.
[0,2 C]

3) Un conduttore è percorso da corrente elettrica di 2A. Quanto tempo


impiega la carica di 1C per passare attraverso una sua sezione?
[0,5s]

4) Se si collegano in serie 20 pile, ciascuna di f.e.m. uguale a 1,5 V, quale


d.d.p. si ottiene tra gli estremi della serie? [30 V]

5) Se le pile del precedente esercizio vengono collegate in parallelo, qual


è la f.e.m. tra gli estremi del sistema? [1,5V]
CAPITOLO 21

CIRCUITI ELETTRICI A CORRENTE


CONTINUA
I circuiti elettrici a corrente continua, sono percorsi da corrente di senso
costante, perciò i generatori dovranno avere sempre un polo costantemente
positivo e l’altro costantemente negativo, come ad esempio una batteria di
pile:

LA PRIMA LEGGE DI OHM

Consideriamo un tratto di conduttore metallico AB, con Va il potenziale in A


e Vb il potenziale in B. Se Va >Vb, esiste una certa d.d.p. non nulla V = Va – Vb.
Gli elettroni si muovono dai punti a potenziale minore verso quelli a
potenziale maggiore, cioè da B verso A, e il moto è contrario al verso
convenzionale della corrente elettrica, che invece si muoverà da A verso B.
Supponiamo che V sia dovuta ad un generatore di corrente continua G, come
in figura:

A B

Va Vb
V

G A

Nel circuito è inserito in parallelo un voltmetro V per misurare la d.d.p. e in


serie un amperometro A per misurare l’intensità di corrente. Si osserva,
mediante esperimento, che se aumenta a d.d.p., anche l’intensità i aumenta,
in maniera direttamente proporzionale. Avremo cioè che:
cioè:

Tale rapporto R si chiama resistenza elettrica.


La formula inversa di quella appena vista è: V = iR, ed esprime la prima legge
di Ohm, che di seguito enunciamo:

L’intensità della corrente elettrica che attraversa un conduttore di prima


classe è direttamente proporzionale alla d.d.p. tra gli estremi del conduttore.

L’unità di misura della resistenza elettrica è l’ohm e si indica con Ω, dove:

L’inverso della resistenza si chiama conduttanza e si indica con c:

L’unità di misura della conduttanza è il siemens.

LA SECONDA LEGGE DI OHM

La seconda legge di Ohm afferma quanto segue:

La resistenza elettrica di un conduttore è direttamente proporzionale alla sua


lunghezza, inversamente proporzionale alla sua sezione e dipende dalla sua
natura chimica.

Se R è la resistenza di un conduttore di sezione costante, l è la sua lunghezza


ed S è l’area della sua sezione, possiamo scrivere la seguente relazione:

ρ è una costante di proporzionalità detta resistenza specifica o resistività e il


suo valore dipende dalla natura del conduttore.
L’unità di misura della resistività è il Ωm.
L’inverso della resistività si chiama conduttività ed è indicata con λ, dove:
L’unità di misura della conduttività è il siemens/m.

Esiste una relazione tra la resistività e la temperatura, infatti la prima varia


al variare della seconda in base ai tipi di conduttori, perciò dobbiamo fare
delle distinzioni tra essi. I conduttori possono essere suddivisi in:

1) Metalli puri: essi sono regolati dalla seguente legge, che è molto simile
a quella della dilatazione termica:

( )

dove ρt è la resistività alla temperatura t, ρ0 è la resistività a 0oC e α è


il coefficiente di temperatura, che esprime la variazione della
resistività provocata da una variazione di temperatura di 1°C, e che
per i metalli puri equivale a circa 1/273. Da quanto affermato deriva
che anche la resistenza elettrica aumenta all’aumentare della
temperatura ed ha la seguente forma:

( )

2) Leghe metalliche: anche in questo caso un aumento di temperatura


provoca un aumento della resistenza elettrica, ma in misura inferiore
a quello che si verifica nei metalli puri.
3) Semiconduttori elettronici: tra questi conduttori ricordiamo il silicio e
il carbone e sono sostanze in cui ci sono elettroni liberi. A causa di ciò,
all’aumentare della temperatura, aumenta anche il numero di questi
elettroni liberi, per cui la conducibilità si manifesta soltanto ad una
determinata temperatura variabile da sostanza a sostanza.
4) Conduttori elettrolitici: a questa categoria appartengono tutte le
soluzioni elettrolitiche e in questo caso la resistenza diminuisce
all’aumentare della temperatura.

PRIMO PRINCIPIO DI KIRCHHOFF

Prima di enunciare la legge, definiamo ramo un qualsiasi tratto di


conduttore dotato di resistenza elettrica, nodo il punto di incontro di più
rami e maglia un poligono avente per lati i rami e per vertici i nodi.
ramo nodo maglia

Il primo principio di Kirchhoff afferma che:

La somma delle intensità delle correnti che entrano in un nodo è uguale alla
somma delle intensità delle correnti che ne escono.

i1

i3

i2 i4

Nel caso della figura di sopra, possiamo scrivere: i1 + i2 = i3 + i4 .

COLLEGAMENTO DI CONDUTTORI IN SERIE

Consideriamo il circuito elettrico della figura, nel quale sono stati inseriti tre
conduttori uno di seguito all’altro, cioè in serie. Siano R1, R2, R3 le rispettive
resistenze ed R la resistenza totale del conduttore e le d.d.p. tra gli estremi
siano V1, V2, V3.

A B C D

R1 R2 R3

V1 V2 V1

V
A
Avremo innanzitutto che: V = V1 + V2 + V3 (*), e applicando la prima legge di
Ohm, possiamo scrivere le seguenti relazioni:

Sostituendo tali valori nella (*), si avrà:

cioè:

La resistenza di due o più conduttori in serie è uguale alla somma delle


resistenza dei singoli conduttori.

COLLEGAMENTO DI CONDUTTORI IN PARALLELO

La figura sottostante mostra tre conduttori in parallelo, cioè uno di fianco


all’altro e con gli estremi in comune. Sappiamo che, per la seconda legge di
Ohm, la resistenza diminuisce all’aumentare della sezione del conduttore, e
se indichiamo con R1, R2, R3 le rispettive resistenze ed R la resistenza totale
del conduttore, avremo che vale il primo principio di Kirchhoff. Infatti la
corrente di intensità i, giunta nel nodo A, si divide nei tre rami e si avrà
quindi:

i = i1 + i2 + i3. (**)

A B B

G
Indicando con V la d.d.p. tra gli estremi di ciascuna resistenza, si avranno le
seguenti relazioni:

Sostituendo nella (**), si avrà:

Ricordando che l’inverso della resistenza è la conduttanza, possiamo


affermare che:

La conduttanza di più conduttori collegati in parallelo è uguale alla somma


delle conduttanze di ciascun conduttore.

LEGGE DI OHM PER IL CIRCUITO COMPLETO

Prima di enunciare la legge, dobbiamo fare una differenza tra circuito


esterno e interno. Il circuito interno non è altro che quello formato dal
generatore G, mentre il circuito esterno è formato dal tratto rimanente, vale
a dire tutti i fili di collegamento del conduttore AB. La resistenza
complessiva del circuito esterno viene detta resistenza interna e si indica
con Re. Gli elettroni di conduzione, spinti dal generatore G percorrono il
circuito esterno in senso antiorario. Il compito del generatore è in sostanza
quello di pompare elettroni attraverso il circuito interno, in modo da
consentirne il loro flusso verso il circuito esterno.
Alcuni esperimenti eseguiti, hanno dimostrato che se le resistenze interna
ed esterna di un circuito chiuso rimangono costanti, l’intensità di corrente i è
direttamente proporzionale alla f.e.m. del generatore, cioè:

Questa formula esprime la legge di Ohm per il circuito completo, e siccome:


cioè:

avremo che, siccome iRe è la d.d.p. V tra gli estremi della resistenza Re, si
avrà:

Appare chiaro che V < E, quindi la d.d.p. in un circuito aperto diminuisce se si


chiude lo stesso con un conduttore dotato di resistenza elettrica.

SECONDO PRINCIPIO DI KIRCHHOFF

se abbiamo una maglia di conduttori e ad ogni


ramo applichiamo la legge di Ohm, si avrà:

Questa espressione esprime


matematicamente il secondo principio di
Kirchhoff, che viene di seguito enunciato:

In una maglia, la somma algebrica delle f.e.m. è uguale alla somma algebrica
dei prodotti delle intensità di corrente per le rispettive resistenze dei singoli
rami.

ENERGIA DELLA CORRENTE ELETTRICA

Se tra due punti A e B di un conduttore esiste una d.d.p. uguale a V, le forze


del campo elettrico compiono il lavoro L = qV per portare la carica q da A a
B. Supponiamo che il conduttore sia metallico con resistenza R e percorso da
corrente elettrica di intensità i. Se q è la carica complessiva degli elettroni
che si spostano nel tempo t da B ad A, il lavoro sarà:

( )

A questo lavoro viene dato il nome di energia della corrente elettrica.


Dato che q = it e V = iR , abbiamo:
POTENZA DELLA CORRENTE ELETTRICA

Ricordando che P = L/t e sostituendo al posto di L il valore trovato nel


precedente paragrafo, si ha:

Questa è la potenza della corrente elettrica.

EFFETTO TERMICO DELLA CORRENTE

In un conduttore metallico percorso da corrente elettrica si ha una


trasformazione di energia elettrica in energia termica. Tale fenomeno è
conosciuto come effetto termico della corrente o effetto Joule.
Ricordando il principio di equivalenza di Mayer L/Q = J e sostituendo al
posto di L il valore di , avremo:

ESERCIZI

1) Tra gli estremi di un conduttore vi è la d.d.p. di 20 V ed un


amperometro segnala una corrente di intensità 0,5A, Calcolare la
resistenza elettrica del conduttore.
[40 Ω]

2) Un conduttore ha una resistenza elettrica di 100Ω. Calcolare


l’intensità della corrente che lo attraversa, sapendo che ai suoi capi è
applicata una d.d.p. di 30 V.
[0,3 A]

3) Calcolare la resistenza elettrica di un filo di rame lungo 10m, alla


temperatura di 0oC, sapendo che la sua sezione è 4mm2 e la sua
resistività è 0,0156 Ωmm2/m. [0,039 Ω]
4) La resistenza specifica dell’argento, a 0oC, è 0,0149 Ωmm2/m. Sapendo
che un filo di argento di 5mm2 di sezione ha una resistenza di 0,298 Ω,
calcolare la sua lunghezza. [100m]

5) Tre resistenze, di 10Ω, 50Ω, 200Ω, sono collegate in serie. Calcolare la


resistenza complessiva del sistema. [260Ω]

6) Agli estremi delle serie di resistenze del precedente esercizio si


applica una d.d.p. di 130 V. Calcolare le d.d.p. che si stabiliscono tra gli
estremi di ciascuna resistenza. [5Ω ; 25Ω ; 100Ω]

7) Calcolare la resistenza complessiva di un sistema di 5 resistenze,


ciascuna di 20Ω, collegate in parallelo.
[4Ω]

8) La resistenza complessiva di 10 resistenze uguali, collegate in


parallelo, è 30Ω. Calcolare il valore di ciascuna resistenza.
[300Ω]

9) Tre resistenze uguali a 40Ω, 200Ω, 400Ω, vengono collegate in


parallelo. Calcolare l’intensità della corrente che attraversa ciascuna
di esse quando ai capi del collegamento si inserisce una d.d.p. di 200
V. [5A ;1A ; 0,5A ]

10) Quattro resistenze vengono collegate in parallelo. La prima misura


10Ω, mentre le altre misurano, rispettivamente, il doppio, il triplo e il
quadruplo della prima. Sapendo che la terza resistenza è attraversata
da una corrente di intensità 1A, calcolare le intensità delle correnti
che circolano nelle altre tre resistenze. [3A ; 1,5A ; 0,75A]

11) I poli di un generatore di f.e.m. uguale a 50 V sono collegati ai capi di


un circuito. La corrente che attraversa il circuito è 0,5A e la resistenza
esterna è 99Ω. Calcolare la resistenza elettrica del generatore.

12) La resistenza esterna di un circuito è 80Ω e quella interna 1Ω.


Calcolare la f.e.m. del generatore, sapendo che nel circuito passa una
corrente di intensità 0,5A. [40,5V]

13) Calcolare la potenza di un tratto di circuito di resistenza elettrica 50Ω,


percorso dalla corrente di 1,5A. [112,5W]
14) La potenza della corrente in un tratto di circuito è 200W. Sapendo che
la d.d.p. tra gli estremi del tratto considerato è 100W, calcolare la
resistenza elettrica. [50Ω]

15) Ai capi di due resistenze collegate in parallelo viene applicata una


d.d.p. di 220V. Si sa che sulla prima resistenza la corrente ha la
potenza di 44W e sulla seconda di 110W. Calcolare il valore delle due
resistenze e l’energia da esse assorbita complessivamente in due ore.
[1110Ω ; 440Ω ; 308Wh]

16) Calcolare la potenza di un ferro da stiro di resistenza 120Ω e quella di


una stufa elettrica di resistenza 100Ω, entrambi alimentati da una
tensione di 240V. se il ferro da stiro e la stufa elettrica si tengono in
funzione tutti i giorni per due ore, quanta energia elettrica si consuma
in un mese? [480W ; 576W ; 63,36KWh]

17) Un conduttore è percorso da una corrente di intensità 0,5A. Sapendo


che la d.d.p. tra i suoi estremi è 60V, calcolare la quantità di calore
sviluppata nel tempo di 3 ore. [77,76Kcal]

18) Calcolare la resistenza elettrica di un conduttore che in mezz’ora


sviluppa 162Kcal, sapendo che esso è percorso da corrente elettrica di
intensità 3A. [41,66Ω]

19) Due resistenze elettriche di 20Ω e 30Ω, sono collegate in parallelo.


Calcolare la d.d.p. che si deve applicare tra gli estremi del
collegamento, se si vuole che nel tempo di 15 minuti le due resistenze
sviluppino complessivamente 10,368Kcal. [24V]

20) Calcolare quanto tempo impiega una resistenza di 100Ω, percorsa da


corrente di intensità 2A, per sviluppare 960Kcal. [2h 46m 40s]
CAPITOLO 22

IL MAGNETISMO

AZIONI TRA MASSE MAGNETICHE

In natura esiste un minerale, detto magnetite, che ha la proprietà, detta


magnetismo, di attirare il ferro. I corpi che posseggono tale proprietà sono
chiamati magneti o calamite. Se si esegue l’esperimento di gettare un po’ di
limatura di ferro, si osserva che essa rimane attaccata in ciuffetti solo alle
estremità del magnete, mentre nelle altre zone è praticamente assente. Ciò
significa che esistono sempre magneti con due poli magnetici le esperienze
condotte portano anche ad affermare che tra i poli magnetici si esercitano
azioni attrattive o repulsive e il magnetismo localizzato in un polo ha
proprietà opposte a quelle del magnetismo localizzato sull’altro polo. In
particolare, poli di segno opposto si attraggono, mentre poli di segno uguale
si respingono, e le quantità di magnetismo contenute sui due poli di un
magnete sono uguali in valore assoluto. I poli di un magnete vengono distinti
in polo nord o positivo (disegnato in nero e indicato con N) e polo sud o
negativo (disegnato in bianco e indicato con S).

ESPERIENZA DELLA CALAMITA SPEZZATA

Avviciniamo ad un magnete AE un ago


magnetico, come in figura a. Siccome i poli
di uguale nome si respingono, mentre
quelli di nome contrario si attraggono,
l’ago ruota intorno al suo asse O sotto
l’azione delle due forze F1 ed F2,
disponendosi dopo una serie do
oscillazioni, nella posizione di equilibrio illustrato in figura b. Se dividiamo il
magnete nelle due parti AC e CE e mettiamo
due aghi magnetici vicini a ciascuna delle
quattro estremità, si osserva dall’
orientamento degli aghi, l’esistenza di poli N
sulla destra e di poli S sulla sinistra.
Continuando a dividere i magneti, fino a
ridurli in frammenti piccolissimi, si osserva
sempre che ogni frammento presenta sempre un polo N e un polo S, e ciò ci
porta ad affermare che non è possibile separare tra di loro due tipi di
magnetismo. Possiamo, quindi affermare che ogni magnete è costituito da un
insieme di magneti bipolari detti magnetoni, che, se suddivisi, non vedono
alterata la proprietà, e in conclusione diciamo che:

Magnetizzare un corpo significa orientare i suoi magneti elementari.

METODI DI MAGNETIZZAZIONE

Le comuni calamite come quelle a ferro di cavallo sono magneti artificiali,


cioè corpi nei quali le proprietà magnetiche sono state introdotte
artificialmente, mediante vari metodi che di seguito elenchiamo:

1) Magnetizzazione per influenza: questo metodo presenta molte


analogie con l’elettrizzazione per influenza e si ottiene avvicinando un
magnete ad una sbarra di ferro o di acciaio.
2) Magnetizzazione mediante corrente elettrica: questo metodo si ottiene
avvolgendo più volte un filo conduttore rivestito di materiale isolante
attorno ad una sbarra di ferro o acciaio.
3) Magnetizzazione per strofinio: se si strofina una sbarra di acciaio con
un magnete sempre nello stesso senso, la sbarra si magnetizza.

Si osserva che i magneti di ferro si magnetizzano molto più rapidamente di


quelli di acciaio, ma altrettanto rapidamente tornano alla loro natura
originaria, prendendo così il nome di magneti temporanei, mentre i magneti
di acciaio sono detti permanenti.
Il processo inverso della magnetizzazione è la smagnetizzazione, che
avviene portando il magnete ad un’alta temperatura in modo tale che
l’agitazione delle particelle non consenta ai magnetoni di mantenere un
orientamento

CONCETTO DI MASSA MAGNETICA

Se consideriamo due magneti che vengono avvicinati, si parla di forza con la


quale si attraggono o si respingono le quantità di magnetismo localizzate nei
poli considerati. Tali quantità di magnetismo vengono dette masse
magnetiche e si dividono in masse magnetiche nord o positive e masse
magnetiche sud o negative.
Per quanto riguarda le masse magnetiche, vale la legge di Coulomb vista nei
capitoli precedenti, con la sostituzione delle cariche con le masse:
L’intensità delle forza con la quale due masse magnetiche puntiformi si
attraggono o si respingono è direttamente proporzionale al loro prodotto e
inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza d.

La costante k è espressa dalla seguente relazione:

con μ0 costante di permeabilità magnetica del vuoto e il cui valore è 4π10–7 ,


per cui:

L’unità di misura della massa magnetica è il weber (Wb).

DENSITÀ MAGNETICA SUPERFICIALE

La densità magnetica superficiale è il rapporto tra la massa magnetica e


l’area della superficie polare sulla quale essa è distribuita, cioè:

Se la massa magnetica non è uniformemente distribuita, la densità sarà


considerata media.

ESERCIZI

1) Una massa magnetica di intensità 10–2Wb è soggetta ad una forza


repulsiva di 316,63N. Sapendo che tale forza è dovuta ad una massa
magnetica posta a 2m dalla prima, calcolare l’intensità di questa
seconda massa magnetica. [2Wb]
2) Calcolare la distanza tra due masse magnetiche di 2Wb e 3Wb,
sapendo che esse si respingono con la forza di 1000N.
[19,49m]
CAPITOLO 23

CAMPO MAGNETICO E INDUZIONE


MAGNETICA
Un campo magnetico è una regione dello spazio nella quale sono sensibili le
azioni di una o più masse magnetiche.

Consideriamo un magnete molto lungo e supponiamo che sul suo polo N sia
localizzata una massa magnetica +M. Mettiamo in una posizione P vicina al
polo N una massa magnetica +m molto piccola, e sia d la distanza tra i due
poli su cui sono localizzate le masse magnetiche.

Vale la legge di Coulomb:

Dividendo la forza per m si ottiene il valore che esprime l’intensità del


campo magnetico generato dalla massa +M nel punto P. Tale intensità è un
vettore e si indica con , ed è espressa dalla seguente relazione:

L’unità di misura dell’intensità è il newton/weber.


Se si vuole calcolare l’intensità della forza agente su una massa magnetica m
posta in un punto del campo generato dalla massa M, si può applicare la
relazione di sopra e si ha quindi:
Tale forza si chiama forza magnetica.

Per determinare direzione e verso della forza , basta porre nel punto P un
ago magnetico ed attendere che esso si disponga nella posizione di
equilibrio.
La direzione del campo magnetico nel punto considerato è data dalla retta
passante per i poli dell’ago, mentre il verso è quello indicato dal polo N
dell’ago.

Anche per il campo magnetico, come per quello elettrico, troviamo le linee di
forza, che ha proprietà analoghe a quelle già viste per il campo elettrico:

1) Per ogni punto del campo magnetico passa una sola linea di forza.
2) La direzione del campo magnetico è in ogni punto tangente alla linea di
forza magnetica passante per lo stesso.
3) Le linee di forza magnetiche partono dalle masse magnetiche Nord e
terminano alle masse magnetiche Sud.

Le linee di forza di un campo magnetico si rappresentano mediante spettri


magnetici.

Spettro del campo magnetico generato da un polo Spettro del campo magnetico generato da un
dipolo

Un campo magnetico si dice uniforme se l’intensità è la stessa in ogni suo


punto.

IL POTENZIALE MAGNETICO

Il concetto risulta del tutto analogo a quello del potenziale elettrico. Infatti:
Il potenziale magnetico in un punto P esprime il lavoro fatto dalle forze del
campo magnetico quando la massa magnetica di 1 weber si sposta dal punto P
fino ai limiti del campo.

L’espressione matematica del potenziale magnetico è la seguente:

INDUZIONE MAGNETICA E PERMEABILITÀ MAGNETICA

La presenza di un campo magnetico intorno ai magneti e la constatazione


che, alterando la disposizione degli stessi, si verifica una variazione non
istantanea dell’intensità del campo, ci induce a pensare che il magnetismo si
propaga con velocità non infinita. Questa propagazione del magnetismo
viene detta spostamento magnetico o induzione magnetica e viene espressa
dal vettore .
Se consideriamo l’induzione magnetica nel vuoto , avremo la seguente
relazione:

La stessa relazione può essere scritta nel seguente modo:

dove , essendo μr la permeabilità magnetica relativa di una


sostanza.

FLUSSO DI INDUZIONE MAGNETICA

Per il flusso del vettore valgono le stesse considerazioni fatte per il vettore
, quindi se S è l’area della superficie attraverso la quale si misura il flusso
ed S1 è la sua proiezione su un piano perpendicolare alla direzione delle
linee di induzione magnetica, vale la seguente relazione:

L’unità di misura dell’induzione magnetica è il telsa (W/m2), mentre l’unità


di misura del flusso di induzione 1Wb.
ESERCIZI

1) Le masse magnetiche localizzate sui poli di un ago magnetico lungo


10cm sono di 2*10–2Wb e – 2*10–2Wb. Se si mette l’ago in un campo
magnetico di intensità di 200N/Wb, in modo che sia perpendicolare
alle linee di forza del campo, esso è soggetto all’azione di una coppia
di forze. Calcolare il momento di tale coppia.
[0,4Nm]

2) Calcolare l’intensità del campo magnetico generato da un polo di 10 –


2Wb (che si suppone isolato ed immerso nel vuoto) in un punto posto

a 6m di distanza da esso. [1,76N/Wb]

3) Il campo generato da una certa regione del vuoto da una massa


magnetica è di 100N/Wb. Se in tale regione si mette una sostanza di
permeabilità magnetica relativa uguale a 100, quale valore assume
l’induzione magnetica? [12,56*103 Wb/m2]

4) Calcolare il flusso di induzione attraverso una superficie piana e


rettangolare, sapendo che la sua area misura 0,8m2, che è immersa in
un campo magnetico di induzione uguale a 4*10–2Wb/m2 e che forma
con le linee di induzione un angolo di 60°. [2,77*10–2Wb]
CAPITOLO 24

L’ELETTROMAGNETISMO
CAMPI MAGNETICI GENERATI DA
CORRENTE
Il fisico danese Oersted scoprì che, se si fa
passare corrente elettrica in un conduttore C
parallelo alla direzione di un ago,
quest’ultimo devia dalla posizione di
equilibrio, disponendosi quasi
perpendicolarmente al conduttore, come
viene mostrato in figura. Invertendo il senso
della corrente, si inverte anche la deviazione
dell’ago, cioè i suoi poli risultano invertiti
rispetto alla precedente figura e ciò viene
mostrato nella seconda immagine. In
sostanza accade che:

Una corrente elettrica genera nello spazio


circostante un campo magnetico, il cui senso
dipende dal senso della corrente.

CAMPO MAGNETICO GENERATO DA CORRENTE RETTILINEA


INDEFINITA

Consideriamo un filo conduttore F


molto lungo e percorso da corrente
elettrica che attraversa un piano di
cartone C. Se mettiamo sul cartone
della limatura di ferro, osserviamo che
essa si dispone in tante circonferenze
con centro in O, che è il punto di
intersezione tra il filo e il cartone.
Posizionando un ago magnetico nel
punto P, si osserva che:
La direzione del campo magnetico è in ogni punto perpendicolare al piano sul
quale giacciono il filo conduttore e il punto considerato.
Il verso di rotazione è uguale a quello delle linee di forza del campo magnetico
generato dalla corrente.

Per quanto riguarda l’intensità, avremo che essa è inversamente


proporzionale alla distanza dal filo conduttore e direttamente proporzionale
all’intensità i della corrente che percorre il filo.
Possiamo quindi scrivere:

Sintetizzando le due formule, avremo:

Siccome k = 1/2π , avremo che :

Quest’ultima relazione esprime la legge di Biot – Savart.

FORMULA ELEMENTARE DI LAPLACE

Se un circuito percorso da corrente ha


forma qualsiasi, possiamo suddividerlo
in tanti piccolissimi tratti di lunghezza Δl
e calcolare l’intensità del campo
magnetico generato dalla corrente in un
punto, semplicemente sommando
vettorialmente le intensità relative
ad ogni tratto Δl. Quanto detto, origina la
formula elementare di Laplace, che ha la
seguente forma:

l senα
CAMPO MAGNETICO GENERATO DA UNA SPIRA CIRCOLARE

Consideriamo una spira circolare di raggio r, percorsa da corrente elettrica


di intensità i. l’intensità del campo magnetico si calcola con la formula di
Laplace, però è necessario distinguere due casi:

1) Campo magnetico nel centro della spira:


In questo caso qualsiasi elemento Δl è
sempre perpendicolare al raggio della spira.
Si ha quindi che α = 90° e che senα = 1. La
relazione del paragrafo precedente diventa
quindi:

Ma l’insieme di tutti i Δl costituiscono la circonferenza 2π, quindi la


formula diventa:

2) Campo magnetico sull’asse della spira:


L’intensità del campo magnetico in
qualunque punto P posto sull’asse, a
distanza d dal centro O, è data dalla
seguente relazione:

( )

CAMPO MAGNETICO GENERATO DA UNA LAMINA MAGNETICA

Dicesi lamina magnetica un magnete molto sottile,


avente sulle due superfici masse magnetiche di
uguale intensità e di segno contrario. Il prodotto
della densità di magnetismo per lo spessore della
lamina, prende il nome di potenza della lamina e
viene espressa in questo modo: P = δS.
L’intensità del campo magnetico generato da una
lamina circolare di raggio r, in un punto del suo
asse posto a distanza d dal centro O, è data da:

( )

Confrontando la relazione appena scritta con quella relativa all’intensità


sull’asse della spira della pagina precedente, si notano forti analogie.
Se poi si verifica che :

avremo il principio di equivalenza di Ampere, che afferma:

Una spira circolare percorsa da corrente elettrica di intensità i è equivalente


ad una lamina magnetica circolare di raggio uguale a quello della spira, di
potenza uguale a μ0i, con il polo Nord orientato nello stesso senso del polo
Sud del campo magnetico generato dalla spira.

CAMPO MAGNETICO GENERATO DA UN SOLENOIDE

Dicesi solenoide un filo avvolto ad elica, di


lunghezza equivalente alla distanza AB = l tra il
primo giro e l’ultimo. Possiamo considerare ogni
giro del filo, con buona approssimazione, come
una spira circolare. In sostanza un solenoide è un
sistema si spire uguali e coassiali. Se si collegano
le estremità C e D del filo con i poli di un
generatore di corrente elettrica, avremo che ogni
spira equivale ad una lamina magnetica e il solenoide può essere assimilato
a un magnete cilindrico.
Se il solenoide è abbastanza lungo, si dimostra che l’intensità del campo
magnetico in un punto interno allo stesso solenoide, si può calcolare con la
seguente formula:

con N = numero delle spire, L la lunghezza del solenoide e i l’intensità di


corrente. L’espressione N/L rappresenta il numero delle spire per unità di
lunghezza.
L’unità di misura dell’intensità del campo magnetico è l’ampere –
spira/metro (Asp/m).
INDUZIONE MAGNETICA NELL’INTERNO DI UN OLENOIDE

Se introduciamo all’interno della spira un


cilindro di ferro, detto nucleo, questo si
magnetizza se il solenoide è percorso da
corrente elettrica. L’intensità del vettore ,
cioè la massa magnetica che si affaccia
sull’unità di superficie di una sezione retta
del nucleo do ferro, è data dalla seguente
relazione:

CIRCUITI MAGNETICI E LEGGE DI HOPKINSON

Un circuito magnetico è costituito dal fascio di linee di


induzione che va da una massa magnetica positiva alla
corrispondente massa magnetica negativa.
Un esempio di circuito magnetico è lo spazio interno
di un solenoide piegato ad anello, come in figura.
Il flusso di induzione magnetica attraverso l’anello è:

Sostituendo ad B il valore trovato nel paragrafo precedente, avremo:

La relazione appena vista esprime la legge di Hopkinson. La quantità Ni si


chiama forza magnetomotrice (f.m.m.), mentre il termine L/μ si dice
riluttanza magnetica (Rl).
ESERCIZI

1) Un filo rettilineo posto nel vuoto è percorso dalla corrente elettrica di


, A. Calcolare l’intensità del campo magnetico generato dal filo in
un punto posto a 50cm da esso. [0,5 Asp/m]

2) Calcolare l’intensità del campo magnetico generato da una corrente


rettilinea indefinita di intensità 6,28A in un punto situato a 2cm dal
filo conduttore. [50 Asp/m]

3) Calcolare l’intensità del campo magnetico nel centro di una spira


circolare di raggio 8cm, immersa nel vuoto, nella quale circola una
corrente di intensità 5A. [31,25 Asp/m]

4) Una spira circolare di raggio 5cm è percorsa dalla corrente di 2A.


Calcolare l’intensità del campo magnetico nel centro della spira e in
un punto del suo asse posto a 10cm dal centro. Si supponga la spira
immersa nel vuoto. [20 Asp/m ; 1,79 Asp/m]

5) Un solenoide di 300 spire e lungo 50cm, è percorso da corrente di


, A. apendo che nel suo interno c’è il vuoto, calcolare l’intensità del
campo magnetico in tale zona. [300 Asp/m]

6) Introducendo all’interno del solenoide del precedente esercizio una


sostanza ferromagnetica, si ha un’induzione magnetica di , Wb/m2.
Calcolare la permeabilità magnetica relativa della sostanza.
[2388,5]

7) Un nucleo di ferro dolce viene introdotto nell’interno di un solenoide.


Quando il campo magnetico in tale zona assume il valore di 500
Asp/m, l’induzione magnetica nel nucleo di ferro diventa uguale a
1,256Wb/m2, mentre se il campo magnetico assume il valore di 25000
Asp/m, l’induzione diventa uguale a Wb/m2. Calcolare il valore della
permeabilità magnetica relativa del nucleo di ferro nei due campi
suddetti. [2000 ; 63,7]
CAPITOLO 25

AZIONI TRA CAMPI MAGNETICI E


CORRENTI
Siccome ogni determinato circuito elettrico equivale ad una determinata
lamina magnetica, è chiaro che quando esso è percorso da corrente elettrica
e si trova in un campo magnetico, risulta soggetto a forze di natura
magnetica, analogamente a ciò che si verifica tra due magneti.
Generalizzando e riassumendo possiamo fare la seguente affermazione:

Un conduttore percorso da corrente elettrica ed immerso in un campo


magnetico, è soggetto all’azione di una forza.

L’intensità di tale forza, calcolata da Laplace, è la seguente:

dove μ è la permeabilità magnetica del mezzo nel quale si trova immerso il


conduttore, H è l’intensità del campo magnetico che agisce sul conduttore, L
è la lunghezza del conduttore, α è l’angolo che la direzione del vettore
forma con la direzione della corrente che percorre il conduttore.
Il verso della forza si può determinare mediante la regola della mano
sinistra, cioè esso è dato dal pollice della mano sinistra, disposta in modo che
la corrente entri dal polso ed esca dalle dita e che le linee di forza del campo
magnetico entrino dal palmo ed escano dal dorso della mano.

AZIONI TRA DUE CORRENTI RETTILINEE PARALLELE

Supponiamo che due fili rettilinei siano paralleli e


che le loro correnti i1 ed i2 siano concordi. Indicate
con e le intensità dei campi magnetici
generati dalle due correnti, si può calcolare
l’intensità della forza agente sul filo B (che poi è
uguale a quella su A):
L’intensità del campo magnetico entro il quale si trova immerso il filo B,
si calcola con la legge di Biot Savart :

Ricordando che d è la distanza tra i due fili, e sostituendo il valore di H 1 nella


formula della pagina precedente si ha:

FORZA DI LORENTZ

L’esperienza ci dice che quando gli elettroni in movimento entrano in un


campo magnetico, la loro traiettoria viene deviata. Lorentz ha dimostrato
che l’intensità della forza che fa deviare un elettrone, si calcola mediante la
seguente formula:

dove μ è la permeabilità magnetica del mezzo nel quale si muovono gli


elettroni, H è l’intensità del campo magnetico, e è la carica dell’elettrone, v è
la velocità dell’elettrone, α è l’angolo che la direzione del moto degli
elettroni forma con la direzione del vettore .
La direzione della forza di Lorentz è perpendicolare al piano sul quale
giacciono i vettori H e v e il verso della forza è rivolto dalla parte
dell’osservatore che vede ruotare v in senso antiorario.

ESERCIZI

1) Calcolare l’intensità della forza alla quale sono soggetti due fili
rettilinei paralleli lunghi entrambi 1,5m, sapendo che sono immersi
nel vuoto, che distano tra loro 30cm, che sono percorsi da correnti
elettriche di intensità 1° e 3A. [3*10–6N]

2) Due fili rettilinei paralleli lunghi 4m, posti nel vuoto a distanza di 2m,
si respingono con la forza di 3,6*10–2 N. Calcolare l’intensità delle
correnti elettriche che percorrono i fili, sapendo che una è 9 volte
maggiore dell’altra. [10–2A ; 9*10–2A]
CAPITOLO 26

INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
ESPERIENZE FONDAMENTALI

PRIMA ESPERIENZA

Consideriamo un circuito chiuso privo di


generatore e avviciniamo rapidamente un magnete,
viene segnalata una corrente elettrica che perdura
finché dura il movimento del magnete. Se il
magnete viene allontanato, si segnala ancora una
certa intensità di corrente che, però risulta di senso
contrario alla precedente e che poi cessa al cessare
del movimento del magnete. Il fenomeno si verifica
sia per il polo nord che per quello sud.
In sostanza si osserva che la corrente è tanto più intensa quanto più
rapidamente si muove il magnete oppure il circuito.

SECONDA ESPERIENZA

Consideriamo un circuito A con generatore e


un circuito B privo di generatore e con
inserito un galvanometro. Appena il circuito
A viene chiuso, il galvanometro segnala in B
una corrente di brevissima durata. Aprendo il
circuito A viene segnalata ancora corrente in
B, anche essa di breve durata e di senso
contrario al precedente.

TERZA ESPERIENZA

Consideriamo un circuito magnetico ABCD privo di generatore. Se il circuito


è completamente immerso nel campo magnetico, non viene segnalata alcuna
corrente, ma se esso si muove parallelamente a se stesso, in modo da farlo
uscire dal campo magnetico, viene segnalata corrente, tanto più intensa
quanto più veloce è il movimento. Facendo tornare il circuito nella posizione
originaria, si segnala una corrente di senso contrario alla precedente.
Le correnti che si originano nelle tre
esperienze descritte prendono il
nome di correnti indotte e il
fenomeno viene detto induzione
elettromagnetica.

LEGGE DI NEUMANN

Analizzando le tre esperienze sull’induzione elettromagnetica, abbiamo


concluso che la corrente indotta in un circuito è dovuta alla variazione del
flusso di induzione magnetica attraverso di esso, e che tale corrente è tanto
più intensa quanto più rapida è tale variazione. Se due circuiti vengono
sottoposti nello stesso intervallo di tempo t2 – t1 alla stessa variazione del
flusso di induzione Φ1 – Φ2, l’intensità delle corrente indotta è maggiore nel
circuito che ha minore resistenza elettrica. Le affermazioni fatte, portano
alla seguente relazione matematica:

ovvero :

Per la legge di Ohm, il primo membro esprime la f.e.m E, quindi avremo:

Questa relazione esprime la legge di Neumann:

La forza elettromotrice indotta è direttamente proporzionale alla variazione


del flusso di induzione magnetica che si verifica nell’unità di tempo.
LEGGE DI LENZ

La legge di Lenz viene enunciata di seguito:

Il senso della corrente indotta è sempre tale da generare un campo


magnetico che si oppone alla causa che origina la corrente.

Questa legge è una conseguenza del principio di conservazione dell’energia,


il quale esclude che l’energia dissipata da un circuito possa essere stata
originata dal nulla, per cui si deve pensare che , durante il tempo in cui la
corrente percorre il circuito, ci deve essere dell’energia che si trasforma
prima in energia elettrica e poi in termica. Poiché la corrente indotta dura
finché nel circuito varia il flusso di induzione, è chiaro che l’energia iniziale
deve essere ricercata proprio in questa variazione di flusso. Per quanto
riguarda l’espressione matematica della legge di Lenz, bisogna
preventivamente adottare alcune convenzioni, e cioè:

1) La f.e.m. indotta si considera positiva se il flusso induttore e quello


indotto sono concordi, dove per flusso indotto si intende il flusso del
campo magnetico generato dalla corrente indotta, mentre per flusso
induttore si intende quello le cui variazioni generano la corrente
indotta.
2) Per variazione del flusso di induzione magnetica si intende la
differenza tra flusso finale e flusso iniziale.

Riprendendo in considerazione la prima esperienza vista a pag.128, il flusso


indotto e quello induttore hanno verso contrario, quindi, riprendendo la
legge di Neumann, otterremo la legge di Lenz, cambiando il segno del
secondo membro della formula, cioè:

AUTOINDUZIONE ELETTROMAGNETICA

In questo caso, si suppone che non sia presente in un circuito alcuna


sostanza ferromagnetica, per cui il flusso di induzione attraverso la
superficie dello stesso dipende solo dall’intensità della corrente e dalla
forma del circuito. Si può scrivere perciò:
dove L è una costante di proporzionalità che dipende dalla forma del circuito
e che viene detta induttanza o coefficiente di autoinduzione.
Nei fenomeni di autoinduzione, la legge di Neumann Lenz assume la
seguente forma:

Possiamo quindi affermare che ogni volta che in un circuito varia l’intensità
della corrente, in esso si manifesta una f.e.m. autoindotta.

L’unità di misura dell’induttanza è l’henry (H), che è il weber/ampere.

INDUTTANZA DI UN SOLENOIDE

L’induzione magnetica nell’interno di un solenoide si può calcolare con la


seguente formula, nella quale l è la lunghezza del solenoide:

Siccome nel solenoide le linee di induzione sono perpendicolari ai piani delle


singole spire, indicando con l’area delle superficie di una spira, il flusso con
essa concatenato è dato da:

Per calcolare il flusso totale , concatenato con tutte le N spire del


solenoide, basta moltiplicare il flusso Φ per N, quindi:

in cui ammettiamo che la quantità è costante e uguale ad L ed è detta


induttanza del solenoide.
ESERCIZI

1) Calcolare il valore della f.e.m. indotta in una spira, sapendo che nel
tempo di 0,5s, il flusso di induzione magnetica attraverso di essa varia
di 10 Wb. [20V]

2) Una maglia quadrata ha il lato di 0,5m e si trova immersa in un campo


magnetico uniforme di induzione 4Wb/m2. Sapendo che il piano della
maglia forma un angolo di 30° con la direzione delle linee di
induzione, calcolare il valore medio della f.e.m indotta nella maglia, se
essa si dispone perpendicolarmente alle linee di induzione nel tempo
di 0,2s. [2,5 V]

3) Calcolare la carica elettrica che passa attraverso la sezione di un


conduttore che costituisce la maglia dell’esercizio precedente,
sapendo che la sua resistenza elettrica è 100Ω.
[5*10–3 C]

4) Avvicinando un polo di un magnete alla superficie di una spira, si


provoca una variazione del flusso di induzione di 2Wb. Sapendo che
tale variazione si verifica nel tempo di 0,25s e che la resistenza
elettrica della spira è 8Ω, calcolare l’intensità media della corrente
indotta. [1A]

5) Calcolare l’induttanza di un solenoide di 300 spire, sapendo che è


immerso nel vuoto, che è lungo 1m, che la superficie di ogni spira è
500cm2. [56,52H]

6) Supponiamo che il solenoide dell’esercizio precedente sia percorso, in


un certo istante, dalla corrente di 1A e, dopo 0,1s, dalla corrente di 3A.
Calcolare il valore medio della f.e.m. autoindotta ai capi del solenoide.
[11,304*10–2 V]

7) Calcolare il valore medio della f.e.m. autoindotta ai capi di un circuito


di induttanza 10H, sapendo che, nel tempo di 0,8s, l’intensità della
corrente passa da 1,5A a 2,5A. [12,5 V]
CAPITOLO 27

STRUMENTI DI MISURA
Dicesi elettrocalamita un dispositivo che si comporta come un magnete, con
intensità di magnetizzazione che varia al variare
dell’intensità della corrente elettrica. Le
elettrocalamite più note sono il telegrafo e il
campanello elettrico.
Per quanto riguarda il campanello, abbiamo che il
dispositivo è illustrato in figura. Chiudendo il
circuito mediante l’interruttore T, la corrente
elettrica eccita l’elettrocalamita E, che attira
l’ancora di ferro A, facendo urtare il martelletto M
contro la parete del campanello C, che a questo
punto produce un suono. Finché si tiene premuto
il tasto T, il campanello suona perché il rapido magnetizzarsi e
smagnetizzarsi delle elettrocalamita, provoca frequenti urti del martelletto
M contro il campanello stesso.

Gli strumenti di misura delle grandezze elettriche, basano il loro


funzionamento sull’effetto magnetico prodotto dalla corrente elettrica. Tra
gli strumenti di misura più conosciuti, troviamo:

1) La bussola.
2) Il galvanometro, visto in precedenza, che è una strumento adatto a
misurare l’intensità di correnti molto piccole.
3) Gli amperometri, che sono strumenti adatti a misurare intensità di
corrente molto elevate.
4) I voltmetri, che sono strumenti capaci di misurare la differenze di
potenziale tra due punti di un circuito elettrico.

IL TELEFONO

il telefono fu realizzato da Antonio


Meucci ed è un’importante applicazione
dell’induzione elettromagnetica. Esso è
costituito da due bobine avvolte da due
magneti uguali, davanti ai quali vengono
messe due lamine di ferro che si
magnetizzano. Quando si parla davanti ad una delle due lamine, questa
vibra, originando correnti indotte, che arrivano alla seconda lamina,
consentendo anche a quest’ultima di vibrare e di diventare così una sorgente
sonora, in grado di riprodurre fedelmente i suoni emessi da colui che parla
davanti alla prima membrana. Inizialmente la trasmissione sonora avveniva
a brevi distanze, ma in seguito e
attraverso studi più approfonditi,
sono stati realizzati telefoni
capaci di trasmettere voci da un
continente all’altro.
CAPITOLO 28

CORRENTI ALTERNATE E CIRCUITI


Se un circuito è alimentato da pile o da accumulatori, abbiamo visto che la
corrente circola sempre nello stesso senso e si chiama perciò corrente
continua, anche se la sua intensità varia nel tempo. Si parla invece di
corrente alternata quando il flusso elettronico si inverte periodicamente.
Succede che, nel primo semiperiodo il flusso cresce da zero fino ad un valore
massimo positivo e successivamente decresce fino a tornare a zero. Nel
secondo semiperiodo si ripete la stessa successione dei valori, ma con segno
opposto.
Il caso più semplice di corrente alternata è quella sinusoidale, detta così
perché il diagramma della funzione rappresentante l’intensità di corrente ha
l’andamento di una sinusoide.
Consideriamo una spira rettangolare e la poniamo in un campo magnetico
uniforme facendola ruotare attorno
a un asse r perpendicolare alla
direzione del campo. Alle estremità
della spira mettiamo due anelli A e B
con due spazzole S1 ed S2 appoggiate
e collegate con un circuito esterno.
Al ruotare della spira, il flusso di
induzione varia continuamente e
diventerà massimo quando il piano
della spira sarà perpendicolare al
campo, mentre diventerà nullo
quando il piano è parallelo al campo.
Quando la spira compie un giro
completo, il flusso di induzione passerà da Φm a – Φn. Si originerà quindi una
f.e.m. indotta. Gli effetti della corrente alternata sono di tipo termico, chimico
o magnetico.
Si dimostra che a partire dall’istante iniziale t = 0, la f.e.m. che si ha agli
estremi della spira, dopo un intervallo di tempo t, è data dalla seguente
formula:

dove Em è il valore massimo della f.e.m.


INTENSITÀ DELLA CORRENTE ALTERNATA

Poiché nella corrente alternata varia periodicamente la f.e.m., è evidente che


varia anche l’intensità della corrente, che può essere espressa mediante la
seguente formula:

dove im è il valore massimo che assume l’intensità di corrente, ω è la velocità


angolare della spira (detta anche pulsazione), t è l’istante in cui la corrente
assume l’intensità i.

VALORI EFFICACI

L’esperienza dimostra che, facendo attraversare un conduttore metallico da


una corrente alternata, esso si riscalda. Per calcolare la quantità di calore
generata da una corrente alternata si introduce una particolare grandezza ,
detta intensità efficace della corrente alternata (ieff), che esprime l’intensità
della corrente continua circolante in un circuito a corrente alternata e che
produce lo stesso effetto termico dell’intensità di corrente alternata
circolante nello stesso circuito. Si dimostra che la formula esprimente
l’intensità efficace è la seguente:

Analogamente, si può calcolare la cosiddetta tensione che alimenta una


corrente continua di intensità uguale all’intensità efficace di una corrente
alternata e che prende il nome di f.e.m. efficace (Eeff):

CIRCUITI A CORRENTE ALTERNATA

Tra i circuiti a corrente alternata più noti, troviamo il:

1) Circuito puramente Ohmico: esso è un circuito nel quale l’unico


ostacolo al passaggio della corrente è la resistenza Ohmica del
circuito. Per questo tipo di circuito vale la legge di Ohm:
2) Circuito puramente induttivo: esso è un circuito nel quale non
possiamo trascurare l’induttanza, poiché la corrente ha un’intensità
continuamente variabile. In questo circuito insorge una forza
elettromotrice indotta, detta forza controelettromotrice che si oppone
al passaggio della corrente. Questa opposizione si chiama reattanza
induttiva (ωL), dove ω è la pulsazione della corrente ed L è
l’induttanza. L’opposizione esercitata dalla d.d.p. al passaggio della
corrente, si chiama reattanza capacitiva (Re), che ha la seguente
formula:

Dove C è la capacità del conduttore, considerata costante.


L’unità di misura della reattanza è l’Ohm (Ω).

POTENZA DI UNA CORRENTE ALTERNATA

La potenza istantanea di una corrente alternata può essere calcolata


eseguendo il prodotto dei valori assunti dalla tensione e dall’intensità di
corrente nell’istante considerato. Nella pratica, però, è preferibile calcolare il
cosiddetto valore efficace della potenza (Peff), che viene espresso dalla
seguente formula:

eα , la potenza efficace è massima poiché cos , mentre se α °


la potenza efficace è nulla, poiché cos 90° = 0.

LA DINAMO

La dinamo è un generatore di f.e.m.


realizzato mediante due lamine
metalliche, dette spazzole, striscianti
su due anelli, detti collettori o
commutatori. La dinamo è anche
detta macchina elettrica reversibile,
perché l’energia meccanica che si
spende viene restituita sotto forma
di energia elettrica.
IL TRASFORMATORE

Il trasformatore è un dispositivo
in grado di trasformare una
corrente alternata in un’altra
anche essa alternata, con diversa
tensione e intensità efficace, ma
con potenze efficaci uguali. Il
trasformatore è costituito da varie
spire separate da materiale
isolante, e solitamente sono
formati da due circuiti, uno primario e una secondario. Per i trasformatori
vale la seguente relazione:

dove Vp ed Vs sono le tensioni efficaci agli estremi dei circuiti primario e


secondario, ed Np e Ns sono i numeri di spire nei due circuiti.
Vale anche la seguente relazione riguardante le intensità efficaci:

ESERCIZI

1) Una f.e.m. alternata ha un valore efficace di 240V e una frequenza di


50Hz. Calcolare la pulsazione e il valore massimo di tale f.e.m.
[314s–1 ; 339,46V ]

2) Calcolare la quantità di calore dissipata da una corrente alternata di


intensità massima 2A, nel tempo di 30 mi, in un conduttore di
resistenza Ω. [129,6 Kcal]

3) Calcolare l’intensità di una corrente alternata di valore massimo 5A,


nell’istante in cui il vettore forma un angolo di 30° con il diametro
orizzontale della circonferenza. [2,5A]
CAPITOLO 29

CENNI SU ONDE
ELETTROMAGNETICHE
In natura esiste sempre una propagazione del campo elettrico e di quello
magnetico, poiché la distribuzione delle cariche può subire modifiche e le
azioni che esse esercitano possono cambiare in direzione e verso. La
modifica di un campo elettrico non è istantanea e la velocità di propagazione
della perturbazione è molto elevata (circa 300000 Km/s). Anche la
variazione del campo elettrico è sempre accompagnata da una variazione
del campo magnetico. La suddetta perturbazione si chiama onda
elettromagnetica ed è regolata dalla seguente relazione:

dove c è la velocità è la velocità di propagazione del campo magnetico.


Un’onda elettromagnetica è costituita da due contemporanee vibrazioni
periodiche dei campi elettrico e magnetico ed ha le seguenti proprietà:

1) Il campo elettrico vibra su un piano perpendicolare a quello sul quale


vibra il campo elettrico.
2) Le frequenze di vibrazione dei due campi sono uguali.
3) La retta intersezione dei due piani di vibrazione rappresenta la
direzione di propagazione dell’onda.

Le onde elettromagnetiche portano con loro energia che viene ceduta


quando esse investono un corpo. Vale la definizione seguente:

ogni punto di una superficie d’onda viene considerato come una sorgente
luminosa che emette radiazioni elettromagnetiche in tutte le direzioni e con
le stesse caratteristiche delle radiazioni emesse dalla sorgente.
CAPITOLO 30

CENNI SU CORRENTE NEGLI


AERIFORMI
Normalmente i gas sono isolanti e con conducibilità termica pressoché nulla,
però si osserva comunque una minima conducibilità a causa degli ioni
presenti nell’aria, che si muovono grazie all’agitazione termica. Gli ioni
gassosi sono molecole che hanno perso o acquistato elettroni divenendo così
ioni positivi o negativi. Dicesi agente ionizzante un fattore capace di fornire
ad uno o più elettroni di una molecola gassosa una quantità di energia pari o
superiore all’energia di ionizzazione.
I principali agenti ionizzanti sono:

1) Riscaldamento, cioè fuoriuscita di elettroni dovuta ad agitazione


termica.
2) Radiazioni elettromagnetiche, cioè irradiazioni del gas con raggi
ultravioletti, raggi X o raggi γ.
3) Raggi α, β e cosmici, cioè sciami di particelle cariche elettricamente e
con potere ionizzante molto elevato.
4) Urti di ioni, dovuti alla loro attrazione o repulsione.

ARCO VOLTAICO

L’arco voltaico è un dispositivo


costituito da due carboni cilindrici
collegati con i poli di un generatore
di f.e.m. non elevata (non più di
40/50 volt). Mettendo a contatto i
due carboni nel circuito, si osserva
che passa corrente e le estremità a
contatto diventano incandescenti.
Allontanando i due carboni la
corrente continua a passare e tra le due estremità si osserva un bagliore
luminosissimo, dovuto alla forte ionizzazione nell’aria e dal flusso di
elettroni. L’arco voltaico è un’ottima sorgente luminosa, usato o fino al 1920
per consentire l’illuminazione pubblica.
RAGGI CATODICI

I raggi catodici non sono altro che elettroni emessi dal catodo in un tubo, in
seguito agli urti degli ioni positivi contro di esso. Questi raggi si propagano
in linea retta producendo effetti meccanici e calore, e vengono deviati dai
campi elettrico e magnetico.

RAGGI X

I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche molto penetranti, dovute al fatto


che gli elettroni emessi, a causa dell’elevata d.d.p. applicata agli elettrodi del
tubo, vengono sollecitati da una forte spinta, urtando violentemente contro
le pareti, con energia che si trasforma in calore. Le proprietà dei raggi X
sono:

1) Essi impressionano le lastre fotografiche.


2) Essi attraversano i corpi opachi alla luce.
3) Essi hanno un alto potere ionizzante.
4) Essi sono debolmente calorifici.

CENNI SULLA RADIOATTIVITÀ

Il nucleo atomico è formato da due tipi di particelle:

1) Protoni, uguali tra loro dotati di carica


positiva indivisibile.
2) Neutroni, con massa superiore a quella
dei protoni ma privi di carica, cioè
neutri.

Protoni e neutroni sono detti nucleoni e il


numero dei protoni si dice numero atomico. I
nucleoni di uno stesso nucleo sono legati tra
loro da forze dette nucleari.
Dicesi difetto di massa, la differenza tra la
massa che un nucleo dovrebbe avere in teoria e quella che realmente
possiede. Ad una perdita di massa corrisponde sempre uno sviluppo di
energia, con:
dove c è la velocità di propagazione della luce nel vuoto.
In natura esistono elementi che emettono spontaneamente radiazioni
penetranti e questa loro proprietà viene detta radioattività, risiedente nel
nucleo dell’atomo e dipendente solo dalla struttura. Le radiazioni sono di tre
tipi:

1) Raggi α, che sono particelle cariche positivamente e con carica doppia


di quella del protone. Questi raggi hanno velocità molto elevata ma
sono poco penetranti.
2) Raggi β, che sono elettroni espulsi dal nucleo dell’atomo con velocità
pari a quella della luce. Questi raggi sono molto più penetranti di
quelli α.
3) Raggi γ, che non sono costituiti da particelle materiali ma da
radiazioni elettromagnetiche di piccola lunghezza d’onda e molto
penetranti.
CAPITOLO 30

L’ACUSTICA
Consideriamo una verga di acciaio piuttosto sottile,
fissata ad una estremità ad un supporto rigido M;
applicando una forza F all’estremità libera, flettiamo
la verga fino a portarla nella posizione tratteggiata
Q. Se la verga viene lasciata libera, essa comincia a
vibrare, emettendo nel contempo un suono. Il moto
vibratorio è causato dalle reazioni elastiche che, al
cessare dell’azione della forza F, riportano la verga
nella posizione di equilibrio V. Se non esistessero le
resistenze passive dell’aria e gli attriti vari, la verga
continuerebbe a vibrare indefinitamente, però in
pratica l’energia spesa per fletterla viene in parte
spesa proprio per vincere tali resistenze, e in questo modo l’energia stessa
diminuisce progressivamente finché il moto vibratorio cessa. Un tale tipo di
moto si dice oscillatorio smorzato e il tempo impiegato dalla verga per
compiere un’oscillazione completa, detto periodo (T), è lo stesso per tutte le
oscillazioni. Vediamo ora quale è l’origine dei suoni. Battendo sulla
membrana di un tamburo, esso emette un suono, mentre se si sfiora la
superficie, si avverte una vibrazione che diventa sempre più debole man
mano che il suono si affievolisce. Da questa esperienza e da altre analoghe,
possiamo trarre la seguente conclusione:

I suoni sono originati da fenomeni vibratori e le vibrazioni di una certa


sorgente danno origine ad un suono solo se hanno una frequenza compresa
entro ben determinati valori.

Per un orecchio normale, le vibrazioni sono percepibili solo se la sorgente


vibra con una frequenza compresa tra 16 Hz e 20000 Hz.
Se la frequenza delle vibrazioni è inferiore a 16 Hz, si hanno gli infrasuoni
che non sono percepibili dall’orecchio.
Se la frequenza delle vibrazioni è superiore a 20000 Hz, si hanno gli
ultrasuoni che non sono percepibili dall’orecchio umano se non con l’ausilio
di strumenti appositi, ma possono essere percepiti da alcuni animali come i
cani o i pipistrelli.
PROPAGAZIONE DEL SUONO

Affinché un suono possa giungere al nostro orecchio, è necessario che tra lo


stesso e la sorgente sonora sia interposto un mezzo materiale elastico. È
molto importante sottolineare che il suono si propaga finché c’è la presenza
di aria. Ciò ci induce ad affermare che il suono non si propaga nel vuoto, ma
può propagarsi negli aeriformi, nei liquidi e nei solidi. Analizziamo tutte e
tre le situazioni.

Propagazione del suono nell’aria: in questo caso le vibrazioni di una


sorgente provocano nell’aeriforme circostante una serie di compressioni e
rarefazioni , le quali si propagano con una frequenza uguale a quella con la
quale vibra la sorgente. A causa, però, della non perfetta mobilità delle
particelle d’aria, l’intensità di queste compressione e rarefazioni diminuisce
man mano che ci si allontana dalla sorgente tanto da diventare trascurabile.
I suoni emessi da una sorgente sono percepibili proprio a causa del
propagarsi di tale perturbazione. La percezione di un suono avviene sempre
con un certo ritardo rispetto all’istante in cui la sorgente comincia a vibrare,
e questo dipende dalla non perfetta elasticità dell’aria.
In conclusione, possiamo dire che il meccanismo di propagazione del suono
nell’aria è assimilabile ad un propagarsi di onde sferiche di compressione e
rarefazione.

Propagazione del suono nei liquidi: la propagazione del suono nei liquidi
avviene con lo stesso meccanismo visto per l’aria, solo che in questo caso le
compressioni e rarefazioni interessano strati di liquido. Una
rappresentazione visiva del fenomeno si può avere gettando un sasso
nell’acqua e osservando i cerchi concentrici che man mano si allargano,
generando onde trasversali, mentre le onde sonore sono longitudinali.

Propagazione del suono nei solidi: quando il suono si propaga nei solidi,
non si può parlare di compressioni e rarefazioni, dato che l’elevato valore
delle forze di coesione impedisce alle particelle di scorrere le une sulle altre.
Una vibrazione, in sostanza, interessa all’inizio solo una determinata zona
del solido, e si trasmette grazie alle forze elastiche di coesione, di particella
in particella fino ad interessare tutta la massa solida. Naturalmente occorre
un po’ di tempo per trasmettere le vibrazioni iniziali anche alle particelle più
lontane.
VELOCITÀ DI PROPAGAZIONE DEL SUONO

La propagazione del suono non è istantanea, ma occorre un certo tempo


affinché esso giunga dalla sorgente al punto di ascolto. Ricordiamo infatti
che il rumore di un tuono viene percepito dopo un certo tempo dalla visione
del lampo, e ciò è dovuto al fatto che la velocità di propagazione della luce
(circa 300000 Km/s) è molto più grande della velocità di propagazione del
suono (circa 340 m/s). Conoscendo la distanza d dalla sorgente e il tempo t
impiegato dal suono per propagarsi dalla sorgente all’osservatore, si può
calcolare la velocità del suono con la seguente formula:

La velocità di propagazione del suono nell’aria aumenta con l’aumentare


della temperatura, varia con la composizione dell’aria ed è influenzata dalla
presenza dei venti.

Il valore della velocità di propagazione del suono negli altri aeriformi


possono essere calcolati mediante la formula di Laplace:

dove cp calore specifico dell’aeriforme a pressione costante


cv calore specifico dell’aeriforme a volume costante
p = pressione dell’aeriforme
δ densità assoluta dell’aeriforme

La velocità di propagazione del suono nei liquidi è di circa 1436 m/s, mentre
nei solidi è di circa 5000 m/s.

CARATTERI DELLE ONDE ACUSTICHE

Dicesi frequenza il numero delle compressioni o delle rarefazioni che una


particella del mezzo di propagazione subisce nel tempo di 1s.

Dicesi periodo il tempo necessario per passare da una compressione o da


una rarefazione alla successiva.
Consideriamo la sorgente sonora in figura, immersa in un mezzo materiale
elastico M e appena essa comincia a vibrare, comincia a propagarsi nel
mezzo una perturbazione, che si verifica in tutte le direzioni dello spazio.

Dicesi lunghezza dell’onda di propagazione la distanza λ dalla sorgente, alla


quale giunge la perturbazione in un intervallo di tempo uguale al periodo di
vibrazione delle particelle della sorgente.

Indicando con v la velocità di propagazione del suono nel mezzo, avremo la


seguente relazione:

e ricordando che T = 1/f, si avrà:

da cui si ottiene facilmente v λf.

Dicesi superficie d’onda il luogo geometrico dello spazio che in uno stesso
istante si trovano nella fase di moto vibratorio.

CARATTERI DISTINTIVI DEI SUONI

I caratteri che distinguono un suono sono tre: intensità, altezza, timbro (o


matallo).

INTENSITÀ DEL SUONO

Supponiamo di colpire con un oggetto metallico una campana, e dopo un


certo periodo di tempo ripetiamo l’esperimento dando questa volta un colpo
più forte. Nel secondo caso percepiamo un suono più forte e si dice che il
secondo suono ha intensità maggiore del primo. Diamo la seguente
definizione di intensità di un suono:

L’intensità I di un suono è la quantità di energia, emessa nell’unità di tempo,


attraverso una superficie unitaria perpendicolare alla direzione di
propagazione del suono.

Il suo valore viene calcolato mediante la seguente formula:


dove δ = densità assoluta del mezzo di propagazione
v = velocità di propagazione del suono
T = periodo di oscillazione delle particelle del mezzo interessate dalla
perturbazione acustica
x = ampiezza massima di oscillazione delle particelle dello strato sul
quale si vuole calcolare l’intensità.

L’intensità di un suono si misura di solito in micro watt al centimetro


quadrato (μW/cm2).
e il suono si propaga attraverso l’aria, si possono fare le seguenti
osservazioni:

a) L’energia sonora viene trasmessa dalla sorgente per mezzo di onde


sferiche, il raggio delle quali cresce al crescere della distanza da una
sorgente.
b) Per il principio di conservazione dell’energia, l’energia emessa dalle
varie superfici d’onda nell’unità di tempo, cioè la potenza, deve essere
costante.
c) L’intensità di un suono è inversamente proporzionale al quadrato
della distanza d dalla sorgente.

MEGAFONO, CORNETTO ACUSTICO, STETOSCOPIO

Per ridurre l’effetto dovuto alla diminuzione dell’intensità del suono con la
distanza, è possibile restringere lo spazio entro il quale viene irradiata
l’energia sonora dalla corrente. uanto appena
detto, si realizza, ad esempio, mediante il
megafono, che riesce ad incanalare l’energia
sonora emessa dalla sorgente S, in uno spazio a
più stretto di quello in cui si distribuirebbe
l’energia in sua assenza. Per questo motivo il
megafono viene usato per far giungere la voce
anche a grandi distanze.
Sullo stesso principio del megafono, si basano altri due strumenti acustici: il
cornetto acustico e lo stetoscopio.
Il cornetto acustico era molto usato in passato per
alleviare i disagi derivanti dalla sordità. Lo
stetoscopio viene utilizzato dai medici per ascoltare i
battiti cardiaci. In questi due strumenti, le onde
sonore vengono raccolte dalla base B e incanalate
nello stretto tubicino T, arrivando rinforzate all’orecchio posto in E. La
spiegazione del funzionamento è la seguente: supponiamo che dalla base B,
di area SB, entri una potenza complessiva W. L’intensità del suono ha i
seguenti valori:

che è l’intensità del suono alla base B e:

che è l’intensità del suono al foro di ascolto E, con area E. Evidentemente si


ha che I1 I, perché l’area E è minore dell’area B.

ALTEZZA DEL SUONO

Dicesi altezza di un suono la frequenza di vibrazione della sorgente che lo


emette.
Così se si dice che il suono emesso dalla corda di un violino è più alto o più
acuto del suono emesso dalla corda di un contrabbasso, significa che la
corda di violino vibra con frequenza maggiore di quella della corda di
contrabbasso.

Se si suppone che i tre diagrammi della figura, rappresentino le vibrazioni di


tre sorgenti sonore A, B, C, che emettono rispettivamente i suoni a, b, c, si
può affermare che:

1) I suoni a e b hanno la stessa intensità (x 1 = x2), ma il suono b ha


altezza doppia di quella del suono a.
2) Il suono c è più intenso dei suoni a e b, ma la sua altezza è doppia di
quella del suono b e quadrupla di quella del suono a.
VIBRAZIONI IN FASE E SFASATE

Consideriamo due punti P e Q, entrambi animati da moto vibratorio di


frequenza f. Possiamo distinguere i seguenti quattro casi:

1) I due punti passano nello stesso


istante per le rispettive posizioni di
quiete, e siccome hanno la stessa
frequenza, raggiungono nello stesso
istante il massimo spostamento
positivo, e nello stesso istante, il
massimo spostamento negativo. Si
dice in questo caso che i due punti
vibrano in concordanza di fase o semplicemente in fase.

2) I due punti passano nello stesso


istante per le rispettive posizioni di
quiete, ma quando uno di essi
raggiunge il massimo spostamento
positivo, l’altro raggiunge il massimo
spostamento negativo, e viceversa.
in questo caso si dice che i due punti
vibrano in opposizione di fase.

3) Quando uno dei due punti, ad


esempio P, raggiunge il massimo
spostamento positivo o negativo,
l’altro punto raggiunge la sua
posizione di quiete, e quando P passa
per la posizione di quiete, Q
raggiunge il massimo spostamento
positivo o negativo. In questo caso si
dice che i due punti vibrano in
quadratura di fase.

4) Uno dei due punti, ad esempio P, raggiunge il massimo spostamento


positivo con un certo anticipo t rispetto a Q, e Q stesso passa dalla
posizione di quiete con un ritardo t rispetto a P. Quindi si dice che P
vibra rispetto a Q in anticipo di fase di t secondi.

Per quanto riguarda la composizione di vibrazioni, essa si può rappresentare


prima disegnando le vibrazioni distinte e poi componendo i loro diagrammi.
La vibrazione risultante, è ottenuta sommando gli spostamenti, relativi ad
ogni istante, delle vibrazioni, e unendo i vari punti così ottenuti.
Per quanto riguarda, invece, la composizione delle onde acustiche,
consideriamo, per semplicità, due onde generate da due sorgenti periodiche
uguali, che avvengono e si propagano nella stessa direzione e lungo una
stessa retta. Si possono verificare vari casi:

1) Le onde si propagano nello stesso senso, e in questo caso, l’onda


risultante ha stessa direzione e verso delle onde componenti
2) Le onde si propagano in sensi opposti e avviene che, nello spazio tra le
due sorgenti, la risultante è periodica e non si propaga verso nessuna
delle due sorgenti. Quando si verifica una situazione del genere, si
dice che lo spazio tra le due sorgenti è sede di onde stazionarie, nel
senso che tali onde rimangono ferme, e la loro ampiezza di
oscillazione è funzione solo del tempo.

TIMBRO O METALLO

Una sorgente sonora che vibra,


raramente emette un solo tipo di
vibrazioni, cioè un suono puro
(diapason). In questo caso, si ha un
insieme di vibrazioni più intense,
dette vibrazioni fondamentali, e
altri tipi di vibrazioni di minore
intensità, dette armoniche
secondarie. Quando una sorgente
emette contemporaneamente vibrazioni fondamentali e secondarie, il suono
percepito è evidentemente dovuto alla risultante di tutte queste vibrazioni,
ed è disegnato in figura in neretto.
Possiamo facilmente evincere che due suoni, emessi da due diverse sorgenti,
pur avendo stesse intensità e altezza, non è detto che siano uguali, anzi,
molto spesso, differiscono per la forma delle vibrazioni, come mostrano le
due figure sottostanti.

Il timbro o metallo è quel carattere, per mezzo del quale è possibile


distinguere tra loro due suoni che differiscono solo per la forma delle
vibrazioni che li originano.
L’INTERFERENZA

Consideriamo due sorgenti sonore S ed S1 che emettono suoni aventi la


stessa intensità, frequenza e timbro. Se una retta r è situata a grande
distanza dalle due sorgenti, le vibrazioni che giungono in punti differenti di
essa possono essere considerate provenienti da una stessa direzione, e
quindi facilmente componibili.

Considerando alcuni punti sulla retta r, possiamo fare alcune osservazioni:

1) Ogni punto di r, tale che le sue distanze dalle due sorgenti differiscano
di un numero dispari di mezze lunghezze d’onda, è un punto di
interferenza negativa, nel quale non viene percepito alcun suono.
2) Ogni punto di r, tale che le sue distanze dalle due sorgenti differiscano
di un numero intero di lunghezze d’onda, è un punto di interferenza
positiva, nel quale il suono risulta rinforzato.
3) In tutti gli altri punti della retta, i suoni hanno intensità più o meno
grande, a seconda della distanza dai punti di interferenza positiva e
negativa.

LA RISONANZA

Consideriamo due diapason C e C1, che, se


sottoposti a sollecitazioni, emettono
vibrazioni della stessa frequenza. Se
facciamo vibrare solo il diapason C,
l’esperienza dimostra che , dopo poco
tempo comincia a vibrare anche C1, pur
non essendo stato direttamente
sollecitato. A questo fenomeno si dà il
nome di risonanza, e in particolare è proprio C1 che vibra per risonanza.
Il fenomeno si spiega perché il mezzo di propagazione trasmette impulsi
vibratori dal corpo C al corpo C1. In sostanza C1 riceve il primo impulso che
causa l’allontanamento delle particelle del corpo dalla loro posizione di
equilibrio. Esse poi ripercorrono la traiettoria in senso inverso,
oltrepassando per inerzia la posizione di equilibrio, ed allontanandosene in
senso opposto al precedente. Ad un certo punto le reazioni elastiche
provocano una nuova inversione del moto, e le particelle, ripassando
nuovamente per la posizione di equilibrio, ricevono il secondo impulso, che
si somma con la quantità di moto che le stesse posseggono ancora per
inerzia, provocando così un’oscillazione di ampiezza maggiore della
precedente. L’ampiezza delle vibrazioni aumenta progressivamente finché le
stesse raggiungono un’intensità udibile. e i due corpi non fossero identici, il
fenomeno della risonanza non avrebbe luogo.

RIPRODUZIONE DEI SUONI

I suoni possono essere riprodotti mediante


dispositivi che basano il loro funzionamento
sulla reversibilità del fenomeno sonoro. Ciò è
stato realizzato per la prima volta da Edison
mediante il suo famoso fonografo.
Questo strumento è costituito da una
membrana elastica M, unita mediante un
sistema di leve L ad una puntina P molto dura
appoggiata su un disco d ruotante con velocità
angolare costante. Mettendo una sorgente
sonora davanti ad M, ad esempio una persona che parla o conta, la
membrana comincia a vibrare, trasmettendo le sue vibrazioni alla puntina, la
quale incide sul disco un solco ondulato. La profondità del solco varia a
seconda dell’intensità della vibrazione. e si obbliga la puntina a
ripercorrere il solco precedentemente inciso, il sistema di leve conferisce
alla membrana le stesse vibrazioni che le erano state conferite dalla
sorgente sonora.

ESERCIZI

1) Un osservatore durante un temporale, vede un lampo e, dopo 10s,


sente il rumore del tuono. A quale distanza si trova il lampo? Si
consideri la velocità di propagazione del suono di 340m/s.
[3400m]

2) La superficie libera dell’acqua di un pozzo si trova a 20m sotto il


livello del suolo. Se si lascia cadere un sasso nel pozzo, dopo quanto
tempo si sente il rumore dovuto all’impatto del sasso con l’acqua? Si
consideri l’accelerazione di gravità di 10m/s2 e vel. suono 340m/s.
[2,059s]

3) Da una sorgente sonora, immersa nell’acqua, viene emesso un segnale


acustico. Se la velocità di propagazione del suono è di 1500m/s, dopo
quanto tempo tale segnale giunge ad un ricevitore immerso nell’acqua
e situato a 900m dalla sorgente? [0,6s]

4) Viene sparato un colpo di fucile in una certa direzione r. Un


osservatore si trova a 68m dal fucile e a 10m dalla retta r. Il proiettile
viaggia alla velocità di 800m/s, con moto rettilineo uniforme, mentre
il suono si propaga alla velocità di 340m/s. Qual è la distanza tra
l’osservatore e il proiettile, nell’istante in cui egli sente il colpo di
fucile? [93,27m]

5) Due cacciatori, distanti tra loro 50m, sparano nello stesso istante. Un
osservatore si trova a 80m dal primo cacciatore e a 130m dal secondo.
Calcolare l’intervallo di tempo che trascorre tra la percezione dei due
spari da parte dell’osservatore. Si supponga la velocità del suono di
340m/s. [0,147s]

6) Calcolare la lunghezza d’onda nell’aria e nell’acqua di un suono


emesso da una sorgente che vibra con la frequenza di 104 Hz. Si
supponga la velocità del suono nei due mezzi di 340m/s e di
1500m/s. [3,4cm ; 15cm]

7) Calcolare la velocità di propagazione del suono, sapendo che la sua


lunghezza d’onda è di 10cm e la sua frequenza è di 15*103 Hz.
[1500m/s]

8) Una sorgente sonora, che vibra con la frequenza di 6000Hz, si muove


verso un osservatore con una velocità costante di 40m/s. Quale
frequenza percepisce l’osservatore? Si consideri la velocità del suono
di 340m/s. Se l’osservatore si muove verso la sorgente sonora con
velocità costante di 40m/s, quale frequenza percepisce?
[688Hz, 6705,88Hz]

9) Sapendo che la potenza emessa da una sorgente sonora è 2W,


calcolare l’intensità del suono a 100m da essa. [159*10–7 W/m2]
CAPITOLO 31

L’OTTICA
LE SORGENTI DI LUCE

Parleremo innanzitutto di sorgenti di luce, che sono quei corpi che emettono
radiazioni capaci di eccitare il nervo ottico del nostro occhio.
Bisogna distinguere sorgenti vere e proprie da corpi che, invece non
emettono luce propria ma la riflettono semplicemente, come ad esempio le
pareti di una stanza, la luna e pianeti in genere. Ogni corpo è capace di
emettere luce se viene portato ad una temperatura sufficientemente elevata
(dai 600 gradi in su).
Esistono corpi che si lasciano attraversare dalla luce e che si chiamano
trasparenti, come ad esempio il vetro, altri che non vengono attraversati,
come i corpi opachi, ed altri che assumono un comportamento intermedio,
detti traslucidi, come carta o stoffa.

LA PROPAGAZIONE DELLA LUCE

La luce, a differenza del suono, si propaga


anche nel vuoto e in linea retta. Dicesi raggio
luminoso un sottilissimo fascio di luce,
rappresentato mediante una retta che indica
la direzione in cui si propaga la luce emessa
da una sorgente. In sostanza una sorgente
luminosa e molto piccola può essere vista
come un centro da cui partono infiniti raggi
luminosi rettilinei, come viene mostrato in
figura. A riprova della propagazione rettilinea
della luce, possiamo considerare l’ombra che un corpo opaco illuminato
forma dietro di sé.
La zona di spazio dietro l’oggetto viene detta cono d’ombra, e ciò accade se
la sorgente è puntiforme, mentre se la stessa non dovesse esserlo, abbiamo
anche una zona di penombra, come si vede in figura.

Un altro semplice fenomeno dovuto alla propagazione rettilinea della luce, si


osserva con la camera oscura, che non è altro che una scatola chiusa in ogni
lato e avente un forellino su una delle facce.

i può osservare, in questo caso che l’immagine dell’oggetto luminoso viene


proiettata sulla faccia opposta, risultando capovolta.

LA VELOCITÀ DELLA LUCE

I tentativi di misurare la velocità della luce sono stati diversi, ma


sicuramente il valore più attendibile si attesta a circa 313000 Km/s che è un
valore molto vicino alla realtà. Nell’aria, che è un mezzo trasparente, la
velocità della luce è di poco inferiore al valore visto, mentre in altri mezzi
trasparenti solidi, come acqua e vetro, la velocità diviene sensibilmente
inferiore.
L’esperienza ci dimostra che un corpo illuminato si riscalda e da ciò
possiamo dedurre che la luce porta con se energia, che in parte viene
assorbita dal corpo illuminato. Quanto detto ci porterebbe a misurare
l’intensità luminosa in watt, ma in molti problemi pratici, ciò che ci interessa
è la sensazione che il nostro occhio prova quando viene colpito dalla luce.
Per questo motivo l’unità di misura dell’intensità della luce viene
considerato la candela, che è pari ad 1/60 della radiazione emessa da 1cm2
di superficie totalmente assorbente portata alla temperatura di fusione del
platino.
Il confronto tra le intensità di due sorgenti viene fatta mediante strumenti
detti fotometri, e con il loro utilizzo si può determinare la cosiddetta legge
delle distanze:

Le intensità luminose di due sorgenti che provocano una uguale


illuminazione su uno schermo, sono proporzionali ai quadrati delle
rispettive distanze dallo schermo:

LA NATURA DELLA LUCE

Esistono in natura fenomeni che sembrano farci intendere che la luce è


formata da corpuscoli, ma in altre situazioni osserviamo che la stessa si
comporta come un onda. Intorno a questo problema si è svolta una lunga
controversia che è certamente una delle più interessanti che sin siano
verificate nella storia della scienza. Dal 1600 in poi cominciò a consolidarsi
l’idea, già preannunciata da Leonardo Da inci, che luce può essere spiegata
attraverso la teoria ondulatoria. L’ottica che si serve solo di leggi puramente
geometriche si dice Ottica Geometrica, mentre l’ottica che utilizza la teoria
appena vista, si chiama Ottica Fisica.

LA RIFLESSIONE

Consideriamo un raggio di luce che


colpisce una superficie riflettente, come
ad esempio uno specchio. Il raggio
incidente, dopo aver colpito la superficie
speculare, che supporremo
perfettamente liscia, rimbalza indietro,
diventando raggio riflesso. Sulla figura
indichiamo con n la retta perpendicolare
(o normale) al piano nel punto in cui il raggio incidente incontra la
superficie.
Possiamo enunciare le leggi della riflessione:

1° legge: il raggio incidente, il raggio riflesso e la retta normale alla superficie


giacciono tutte sullo stesso piano.
2° legge: l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione.

RIFLESSIONE SU UNO SPECCHIO PIANO

Consideriamo una sorgente di luce puntiforme posta vicino ad una


superficie speculare piana, e consideriamo due qualunque raggi di luce che
partono da essa. Questi raggi, in base alle leggi già enunciate nel precedente
paragrafo, diventano raggi riflessi. e poniamo l’occhio ad una certa distanza
dalla superficie, esso in maniera automatica, a causa della sua caratteristica,
tende a cercare il punto di incontro di questi
raggi, ricostruendo l’immagine dietro lo
specchio, la quale è un’immagine virtuale,
poiché i raggi raccolti dall’occhio non passano
effettivamente in ’, punto nel quale passano
solo i prolungamenti di tali raggi, che vanno a
finire dietro lo specchio. L’immagine risulta
simmetrica a ’ rispetto allo specchio. Bisogna
fare una doverosa distinzione tra immagine
virtuale e immagine reale. Infatti, in base a quanto detto, possiamo dire che
l’immagine virtuale è costituita solo dai prolungamenti dei raggi, mentre
quella reale è costituita dai raggi veri e propri.

SPECCHI SFERICI CONCAVI

Gli specchi sferici, sono specchi curvi che


hanno la proprietà di produrre immagini
non deformate degli oggetti, e tali specchi
possono essere concavi o convessi.
Considerando il primo caso, mandiamo
una serie di raggi paralleli contro uno
specchio, applicando loro le ben note
leggi della riflessione. Si osserva che i
raggi riflessi si concentrano tutti in un
punto particolare detto fuoco (F), il quale si trova sull’asse, all’incirca nel
punto di mezzo tra il centro C e il vertice V dello specchio.
ediamo ora come si costruisce l’immagine di un oggetto mediante uno
specchio concavo, e distinguiamo tre casi:

1) L’oggetto si trova oltre il centro dello specchio: l’immagine risulta


rimpicciolita, tra il fuoco e il centro, capovolta e reale, poiché è
formata da raggi convergenti.
2) L’oggetto si trova tra fuoco e centro: l’immagine risulta ingrandita,
capovolta, oltre il centro e reale.

3) L’oggetto si trova tra fuoco e specchio: l’immagine si forma dietro lo


specchio, ingrandita, dritta e virtuale.

SPECCHI SFERICI CONVESSI

Per uno specchio convesso, i raggi riflessi sono sempre divergenti, dando
luogo ad immagini virtuali. Anche il fuoco è virtuale e si trova dietro lo
specchio. L’immagine risulta dietro lo specchio, diritta, rimpicciolita e posta
tra fuoco e specchio.

INVERTIBILITÀ DEL CAMMINO OTTICO. I PUNTI CONIUGATI

Consideriamo una sorgente puntiforme S e un suo raggio luminoso che vada


contro uno specchio sferico concavo, e dove a è il raggio incidente e a’ il
raggio riflesso.

Se ora poniamo la sorgente S su un punto di a’,


il raggio riflesso coinciderà con a. l’esempio si
comprende meglio se consideriamo diversi
raggi uscenti da S. Questi, dopo essere stati
riflessi vanno a formare in A’ l’immagine di S.
Se ora in A’ poniamo la sorgente, la sua nuova
immagine va a formarsi nel punto A. questo è il principio dell’invertibilità
della propagazione delle radiazioni ottiche ed è una diretta conseguenza
della propagazione rettilinea di tali radiazioni. I punti A ed A’ si chiamano
punti coniugati e per essi, i raggi che escono da uno convergono nell’altro.
Se rifacciamo il disegno, mettendo in evidenza le distanze p e p’, avremo che
tra esse e la distanza focale f sussiste la seguente relazione:

tale formula, detta dei punti coniugati,


permette di sapere a che distanza dal
vertice dello specchio si forma
l’immagine, conoscendo quella
dell’oggetto e la distanza focale.

LA RIFRAZIONE

La rifrazione è un fenomeno che si verifica quando un raggio di luce che


viaggia in mezzi trasparenti, passa da un mezzo all’altro, come ad esempio
dall’aria all’acqua. Una parte del raggio viene riflesso, seguendo le leggi della
riflessione, e una parte entra nell’acqua formando un raggio detto rifratto e
ottenendo con la normale un angolo di incidenza i e un angolo di riflessione
r.

L’esperienza dimostra che se il raggio luminoso passa da un mezzo meno


denso ad uno più denso, l’angolo di rifrazione risulta minore di quello di
incidenza, cioè r > i, mentre se accade il contrario, avremo r > i.
Anche la rifrazione, come la riflessione, è regolata da due leggi:
1° legge: il raggio incidente, il raggio rifratto e la retta normale alla superficie
di separazione dei due mezzi giacciono sullo stesso piano.

2°legge: il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza e il seno dell’angolo di


rifrazione è una costante che dipende dai due mezzi. Tale rapporto n, si dice
indice di rifrazione relativo dei due mezzi:

Se uno dei due mezzi è rappresentato dal vuoto, e da esso proviene il raggio
incidente, allora il valore di n rappresenta l’indice di rifrazione assoluto del
mezzo. Nel caso in cui, invece, i raggi entrino nell’aria provenendo dal vuoto,
essi non subiscono alcuna deviazione e perciò i = r e il valore di n è 1.
La differenza di ampiezza negli angoli dipende dal fatto che la luce cambia
velocità quando cambia il mezzo di propagazione.
Il massimo della velocità si ha nel vuoto e nei gas, mentre nell’acqua, nel
vetro o diamante essa risulta inferiore. A titolo di esempio, se consideriamo
il vetro, che ha indice di rifrazione n = 1,5, la velocità della luce nel vetro
sarà:

/
/
,

RIFLESSIONE TOTALE

Consideriamo una sorgente


puntiforme nell’acqua e varie raggi
che dalla stessa escano nell’aria.
Questi vengono rifratti fino a che
l’angolo di incidenza ha un valore tale
che il raggio rifratto risulta parallelo
alla superficie dell’acqua. Tale angolo
si chiama angolo limite, e se l’angolo di incidenza è maggiore di esso, la
rifrazione non si verifica più, ma solo la riflessione.
Questo fenomeno si chiama riflessione totale. Occorre sottolineare che, se il
raggio incidente è perpendicolare alla superficie di separazione dei due
mezzi, non si ha rifrazione e il raggio stesso prosegue senza cambiare
direzione.
RIFRAZIONE DI UN PRISMA

Mandiamo un raggio di luce


monocromatica ad incidere una faccia di
un prisma di vetro a sezione triangolare.
Come si vede dalla figura, questo raggio
subisce due rifrazioni, e la direzione del
raggio di uscita forma con quello di entrata
un certo angolo detto angolo di deviazione,
la quale avviene sempre verso la base del
prisma. Questo fatto sarà utili per spiegare
il comportamento delle lenti sferiche.

LENTI SFERICHE

Le lenti sferiche sono corpi rifrangenti limitati da superfici sferiche, ed


hanno la proprietà di produrre, senza sensibili deformazioni, immagini
ingrandite o rimpicciolite di oggetti esterni. Le due superfici sferiche
possono anche avere raggio diverso, in valore e in segno, anzi una delle due
superfici può avere raggio infinito, divenendo così un piano. Le lenti sono
essenzialmente di due tipi:

1) Lenti convergenti: esse fanno convergere in un unico punto un fascio


di raggi paralleli che le colpisce ed esse sono più spesse al centro
rispetto al bordo.
2) Lenti divergenti: esse fanno divergere un fascio di raggi paralleli e
sono più sottili al centro.
Si chiama asse di una lente, la retta che passa per i centri delle superfici
sferiche. Un raggio di luce che colpisce la superficie di una lente, subisce due
volte la rifrazione e la deviazione avviene sempre verso la parte più spessa
della lente. Vediamo la costruzione di immagini di oggetti posti ad una certa
distanza da una lente convergente.
L’oggetto luminoso è rappresentato da una freccia e la costruzione delle
immagini viene fatta mediante due raggi che partono dalla sommità della
freccia, e sono uno parallelo all’asse ottico e l’altro passante per il centro
della lente. Anche per le lenti distinguiamo due casi tipici:

1) L’oggetto si trova ad
una distanza
maggiore della
doppia distanza
focale. L’immagine è
reale, oltre la lente tra
il fuoco e il centro,
capovolta e
rimpicciolita.

2) La sorgente è posta tra


il fuoco e il centro.
L’immagine è reale, oltre
il centro, capovolta e
ingrandita.

3) La sorgente è posta tra


lente e fuoco.
L’immagine è virtuale, quindi visibile dall’occhio, diritta, ingrandita, e
si forma oltre il centro della lente dalla stessa parte dell’oggetto.

Per la costruzione dell’immagine con lenti convergenti, ci riferiamo solo alle


lenti biconcave, precisando che i risultati mantengono la loro validità anche
per gli altri tipi di lenti divergenti. Qualunque sia la posizione della sorgente,
l’immagine è sempre virtuale, essendo localizzata dove si incontrano a
prolungamenti dei raggi rifratti, diritta, rimpicciolita e si trova dalla stessa
parte dell’oggetto.

Come per gli specchi sferici, anche per le lenti vale la legge dei punti
coniugati, già vista in precedenza, con l’unica differenza che per un dato
valore p positivo, si ha p’ positivo se l’immagine si forma dall’altra parte
della lente, mentre p è negativo se l’immagine si forma dalla stessa parte
della sorgente.
Per le lenti divergenti la distanza focale è sempre negativa.
Per gli specchi sferici e per le lenti, esiste una formula generale che permette
di calcolare l’ingrandimento G, cioè il rapporto tra le dimensioni
dell’immagine e dell’oggetto:

ESERCIZI

1) Due specchi piani formano un angolo diedro di 40°. Se si pone davanti


ad essi un oggetto, quante immagini si osservano?
[8]

2) Sapendo che due specchi ad angolo danno 5 immagini di un oggetto,


calcolare l’ampiezza dell’angolo. [60°]

3) Uno specchio sferico concavo ha una distanza focale di 40cm. Se sul


suo asse ottico principale, a distanza di 2m dal vertice, si pone un
oggetto, a quale distanza dallo specchio e dal suo centro di curvatura
si forma l’immagine? [0,5m ; 0,3m]

4) Ponendo un oggetto sull’asse ottico principale di uno specchio sferico


concavo, a distanza di 1m dal vertice, risulta che l’ingrandimento
lineare dell’immagine è uguale ad 1. Calcolare la distanza focale dello
specchio e la distanza dell’immagine dall’oggetto.
[0,5m ; 1m]

5) Uno specchio sferico concavo ha una distanza focale di 40cm. Sapendo


che l’immagine di un oggetto, posto sull’asse ottico principale, si
forma a 50cm dal vertice, calcolare la distanza dell’oggetto dal vertice
ed il valore dell’ingrandimento lineare. [2m ; 0,25]

6) Di un oggetto, posto sull’asse ottico principale di uno specchio sferico


concavo, a distanza di 30cm dal vertice, si osserva un’immagine il cui
ingrandimento lineare è 1,5. Calcolare la distanza focale dello
specchio e la distanza dell’immagine dal vertice dello specchio.
[0,18m ; 0,45m]
CAPITOLO 32

L’OCCHIO E GLI STRUMENTI OTTICI


L’occhio è l’organo che consente la ricezione luminosa ed è capace di
trasformare le onde luminose in impulsi i quali, trasmessi dai nervi al
cervello, vengono da questi ultimi elaborati, consentendoci di vedere le
immagini.

L’occhio è circondato da una membrana opaca bianca molto resistente, detta


sclera, la quale nella parte anteriore diviene trasparente, prendendo così il
nome di cornea. Un’altra membrana detta coroide, riveste internamente la
sclera fino ai margini della cornea, impedendo alle radiazioni ottiche di
penetrare all’interno del bulbo oculare. Nella parte anteriore, la coroide
termina con il corpo ciliare e con l’iride, che presenta al centro un’apertura
circolare, chiamata pupilla, il cui diametro varia in funzione dell’intensità
della luce esterna. Tra la cornea e l’iride si trova uno spazio riempito di
liquido, chiamato umor acqueo, mentre dietro l’iride si trova il cristallino,
avente forma di lente biconvessa. L’interno del bulbo oculare è pieno di una
sostanza gelatinosa molto trasparente detta umor vitreo. La membrana che
riveste la parte interna del bulbo, detta retina, è quella su cui si formano le
immagini e ad essa fanno capo le espansioni del nervo ottico, dette coni e
bastoncelli, dove i secondi sono cellule sensibili all’intensità delle radiazioni,
mentre i primi sono cellule sensibili ai colori. Entrambe le cellule citate,
convertono gli impulsi luminosi in impulsi nervosi che vengono trasmessi al
cervello tramite il nervo ottico. Infine troviamo la fovea, che rappresenta la
zona della visione distinta.
L’occhio umano si comporta come una lente convergente, la cui distanza
focale è di circa 17 mm e cade sulla retina, dove si formano le immagini degli
oggetti esterni.

Poiché la distanza degli oggetti non è costante, è evidente che la messa a


fuoco delle immagini richiede un accomodamento da parte dell’occhio, e la
distanza che richiede un accomodamento meno faticoso è di 25 cm. Le
immagini che si formano sulla retina risultano reali, capovolte e
rimpicciolite. La messa a fuoco è regolata dal cristallino, capace di gonfiarsi e
sgonfiarsi sotto lo stimolo esterno. Con l’avanzare dell’età il cristallino tende
ad indurirsi e perde elasticità, non riuscendo più a mettere a fuoco oggetti
vicini, causando la presbiopia. Tale difetto si corregge con un’opportuna
lente convergente menisco concava.

La mancanza di messa a fuoco può dipendere anche da malformazioni


dell’occhio, causando spesso la visione di immagini sfocate. Tale difetto si
chiama miopia, che causa una cattiva osservazione di oggetti lontani e una
buona immagine di oggetti vicini. La miopia si corregge con un’ opportuna
legge divergente capace di riportare il fuoco sulla retina.

Altro difetto abbastanza diffuso è l’astigmatismo, dovuto al fatto che la


cornea presenta diversi raggi di curvatura e le immagini risultano molto
confuse. Tale problema si corregge con l’utilizzo di lenti a forma cilindrica.

IL PROIETTORE DI DIAPOSITIVE

Una lampada ad alta intensità luminosa si trova sul fuoco di una prima lente
C, dopo la quale viene posta la diapositiva, seguita da un’altra lente O, avente
distanza focale più lunga di C e che provvede a fornire sullo schermo S
un’immagine reale , capovolta e ingrandita:
Naturalmente la diapositiva capovolta deve trovarsi ad una distanza da O
compresa tra quella focale e la doppia distanza focale.

I MICROSCOPI SEMPLICE E COMPOSTO

Il microscopio semplice è costituito da un’unica lente convergente e


corrisponde al terzo caso trattato a pag.148 sulle leggi convergenti.

Il microscopio composto è, invece, costituito da due lenti convergenti


sistemate come in figura:

La lente L1 genera l’immagine A’ – B’, ma i raggi chela formano vengono poi


rifratti dalla lente L2 fino a raggiungere l’occhio, il quale segue i
prolungamenti di tali raggi fino ad osservare l’immagine A’’ – B’’
notevolmente ingrandita rispetto all’oggetto A – B.

IL CANNOCCHIALE

Anche il cannocchiale è composto da due sistemi convergenti di lenti detti


oculare (Oc) e obbiettivo (Ob). L’immagine dell’obbiettivo si forma tra
l’oculare e il suo fuoco e così si ottiene un’immagine finale
virtuale, capovolta e
ingrandita rispetto all’oggetto:

OTTICA FISICA E NATURA ONDULATORIA DELLA LUCE

Le onde luminose a differenza di quelle acustiche, non sono di natura


elastica e quindi non necessitano di un mezzo materiale per propagarsi.
Nello studio della rifrazione abbiamo sempre considerato la luce
monocromatica, cioè di un solo colore; infatti solo in questo caso, nel
secondo mezzo trasparente si propaga un solo raggio rifratto. Se però noi
inviassimo un raggio di luce bianca, otterremmo diversi piccoli fasci rifratti
di luce di diverso colore. Questo fenomeno della dispersione del colore fu
studiato da Newton e una delle esperienze fatte consiste nel inviare un
fascio di luce bianca sulla faccia di un prisma di vetro; a questo punto, su uno
schermo posto dietro il prisma si possono osservare zone di vario colore
formanti una striscia luminosa, detta spettro.

La frequenza, il periodo e la lunghezza d’onda delle onde luminose si


definiscono in modo analogo a quanto fatto per le onde elastiche. La
frequenza f è il numero delle vibrazioni al secondo dell’onda
elettromagnetica, ed essa è l’inverso del periodo, cioè del tempo impiegato a
compiere una vibrazione completa. La lunghezza d’onda è la distanza
percorsa dall’onda in un determinato periodo.

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