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Dispensa 06 - Dinamica del punto materiale

I. I PRINCIPI DELLA DINAMICA

Nella cinematica nulla si è detto sulla causa delle variazioni del moto, né sulla natura del mobile. Nella dinamica,
invece, dovremo considerare il moto dei corpi e le cause modificatrici del moto che sono le forze.
L’esperienza mostra che per spostare un corpo qualunque proviamo una sensazione di sforzo. Se lo spostamento non
si verifica, vuol dire che il movimento è impedito da un ostacolo o dall’attrito: e in questo caso il nostro sforzo genera
una deformazione del corpo e/o dell’ostacolo.
Possiamo dire che un corpo inizialmente fermo rispetto ad un dato S.R. è soggetto ad una forza quando esso comincia
a muoversi relativamente al S.R. oppure, quando pur rimanendo fermo, esso subisce una deformazione. Possiamo
associare una sensazione passiva di forza causata quando, per es., la nostra mano è tirata o spinta da quella di un’altra
persona, la quale certamente risente una sensazione attiva di forza.

Pertanto possiamo distinguere


• Effetti statici: possono indurre deformazioni in materiali elastici o anelastici (per es. allungamento di una
molla, deformazione in un blocco di argilla), se il corpo su cui vengono applicate è a riposo;
• Effetti dinamici: possono indurre variazioni nello stato di moto di corpi che sono liberi di muoversi (per es.
su una superficie).
Come paradigma di forza facciamo riferimento al peso di un corpo. Un corpo lasciato libero tende a cadere lungo
la verticale, seguendo una legge oraria che in prima approssimazione coincide con quella di un moto rettilineo uni-
formemente accelerato. Se si impedisce questa caduta con un supporto qualunque questo tende a deformarsi. Si dice
forza peso, o semplicemente peso di un corpo la forza che determina questa deformazione. Ad essa si attribuisce un
carattere vettoriale con direzione e verso dati dalla verticale diretta verso il basso.

1. Definizione operativa statica delle forze

Se la forza è un ente oggettivo allora deve essere misurabile, ovvero si deve poter definire una serie di operazioni
che ci permette di fare confronti (misure) con una grandezza assunta quale unità di forza.
Come strumento rudimentale di confronto prendiamo una molla fissa ad un estremo. L’esperienza mostra che se
appendiamo un corpo massivo ad una molla, questa tende ad allungarsi. L’allungamento dipenderà dal peso del corpo
e dalle proprietà elastiche della molla. Diremo che due forze sono uguali quando producono, nelle stesse condizioni,
le stesse deformazioni in una molla.

FIG. 1.
2

Scegliamo un corpo come campione e assumiamo il suo peso come forza campione. Sempre l’esperienza ci mostra
che attaccando alla molla un corpo costituito dall’unione di due, tre, ecc. corpi campione, questo produrrà una
deformazione della molla doppia, tripla ecc. rispetto a quella prodotta dal campione. La molla si potrà cosı̀ tarare e
costituirà uno strumento per la misura statica delle forze, detto dinamometro.
È naturale attribuire alle forze un carattere vettoriale.

FIG. 2.

Vedremo meglio nel seguito che si può attribuire ad una forza la stessa direzione della accelerazione iniziale che essa
imprime al corpo. Le forze quindi saranno rappresentate con vettori e il più delle volte si tratterà di vettori applicati.
L’esempio più classico della composizione dei vettori è l’esperimento del parallelogramma delle forze, che può essere
realizzato con la macchina di Varignon.

FIG. 3.
3

2. Forze a contatto e forze a distanza

La maggior parte delle forze con cui si ha a che fare nella meccanica classica, si manifestano in apparenza col contatto
tra due corpi (un martello che colpisce un chiodo, una fune che tira un blocco). Tuttavia, man mano che procederemo
nello studio della fisica si amplieranno le cause fisiche che riconosceremo essere generatrici di forze (gravità, elettricità,
magnetismo, ecc.) le quali manifestano un’azione a distanza che non presuppone quindi il contatto tra i corpi. In
ogni caso, ci troveremo di fronte al fatto che c’è una interazione tra due (o più) corpi.
Questa distinzione fra interazioni a contatto e a distanza, è solo apparente poiché tutte le forze in natura son dovute
ad interazioni che avvengono a distanza. Infatti, il concetto di azione a contatto che ci perviene da osservazioni
macroscopiche va vista con cautela. Tutti i corpi sono, infatti, costituiti da atomi e molecole che si trovano a certe
distanze ben apprezzabili in scala microscopica, cosı̀ come pianeti e Sole si trovano a certe distanze apprezzabili in
descrizioni macroscopiche: le azioni che si esercitano tra questi enti (atomi o pianeti) sono però sempre azioni a
distanza. Un martello non è mai a contatto con il chiodo, sebbene le sue molecole vengano portate molto vicine a
quelle del chiodo.

A. I° principio della dinamica. Riferimenti inerziali

Il primo principio della dinamica si enuncia dicendo che:

ogni corpo persevera naturalmente nel suo stato di moto rettilineo ed uniforme o di quiete finché non interviene una
forza a mutare questo stato di moto o di quiete

ed è la parafrasi di un celebre enunciato di Newton. A tutto rigore però esso è corretto solo per un corpo puntiforme.

Questo enunciato può anche mettersi sotto la seguente forma:

in un corpo puntiforme il vettore velocità rimane costante se non interviene una forza o anche se non interviene una
forza il suo moto è rettilineo uniforme.

In formule
F⃗ = 0 ⇒ ⃗a = 0 ⇒ ⃗v = costante . (1)
Pertanto se su un punto materiale non agisce alcuna forza tale punto si deve muovere di moto rettilineo uniforme. Se
osserviamo una variazione di ⃗v , ossia una accelerazione, allora deve esistere una forza agente sul punto stesso.
Tuttavia questo non è sempre vero. Infatti, il moto apparente di un corpo dipende anche dal S.R. scelto per descrivere
il moto stesso. Se un corpo, ad es., è in quiete e ne riferiamo il movimento al S.R. Terra, non è più in quiete e
nemmeno in moto rettilineo uniforme (cioè con v = cost.), se lo riferiamo al S.R. Sole. Vale a dire l’accelerazione
osservata non è una qualità intrinseca del moto, ma risente del carattere convenzionale del S.R. dell’osservatore.
Quale è il S.R. giusto? L’accelerazione può nascere o sparire dipendentemente dal S.R. Tuttavia, la forza no! La
forza ha un carattere obiettivo. Nello studio del moto di un corpo adopereremo dapprima un S.R. naturale, per
es. la Terra considerata come in quiete. Se questo moto presenta una accelerazione cercheremo la causa in una
forza. Cercheremo di individuarla con ogni mezzo noto. Se non troveremo tale forza, invece di rinunciare al principio
d’inerzia, penseremo che quella accelerazione è dovuta al S.R. scelto.

1. Sistemi inerziali

Alla luce di queste considerazioni, definiremo sistemi di riferimento inerziali (S.R.I.) quei sistemi (infiniti!) per cui
vale il principio di inerzia.
Per quanto detto a proposito dei moti relativi, se noi riferiamo il moto a un altro S.R. in moto traslatorio, rettilineo,
uniforme rispetto al primo allora, se il movimento ci appare come movimento d’inerzia per il primo, ci apparirà come
d’inerzia anche per il secondo S.R., questo non è più vero se, invece, il moto è rotatorio o rettilineo non uniforme.
Pertanto sono S.R.I. tutti quei sistemi che sono soltanto in traslazione uniforme tra loro. Per tutti gli altri S.R. il
principio d’inerzia non vale. Tali sistemi sono detti non inerziali. In essi il primo principio non vale.

Esempio: Sia P una valigia a riposo sulla banchina di una stazione. Definiamo due S.R.: O, solidale con la banchina
e O′ solidale con un treno in transito.
4

1. se il treno viaggia ad una velocità costante, O′ vedrà la valigia muoversi a sinistra ad una velocità costante. Egli
concorda con O che la risultante delle forze agenti sulla valigia deve essere nulla.
In questo caso O′ è un S.R.I..

2. se il treno sta accelerando verso destra, O′ vede la valigia accelerare a sinistra; secondo il principio di inerzia,
O′ deve concludere che una forza risultante sta agendo sulla valigia ma questo non è vero.
In questo caso O′ non è un S.R.I..

Pertanto possiamo riparafrasare il I° principio della dinamica nel seguente modo:

Esistono infiniti sistemi di riferimento detti inerziali in cui se la risultante delle forze agenti su un corpo
è nulla allora questo permane nel suo stato di moto (di quiete o rettilineo uniforme).

B. II° principio della dinamica

1. Caduta libera dei gravi

Dal I° principio della dinamica segue che, se in un S.R.I. si osserva una variazione dello stato di moto di un corpo,
⃗a ̸= 0, allora sul corpo deve agire una forza F⃗ ̸= 0. Dobbiamo cercare la relazione che lega la causa F⃗ con l’effetto ⃗a.
Per far ciò facciamo uso del fatto che tutti i corpi sono gravi (Galileo). La legge della caduta libera dei gravi, è identica
per tutti i corpi e basterà studiarla per un solo corpo, indifferentemente. Per comodità, prenderemo un corpo che sia
poco disturbato dall’aria. La difficoltà maggiore in questo studio sperimentale, data la grande rapidità della caduta,
è nella misura dei tempi. Si può aggirare la difficoltà, sperimentando, invece che sulla caduta, sullo scorrimento lungo
il piano inclinato (Galileo).

FIG. 4.

Che lo studio della caduta si possa riportare al moto sul piano inclinato è accertato da una esperienza preliminare
che mostra come la velocità acquistata da un grave dipenda soltanto dall’altezza da cui esso cade e non dal percorso.
Si prende un pendolo P e lo si abbandona da una certa altezza, in L. Esso risale allora, dalla parte opposta, alla
stessa altezza, in L’, anche se sul tragitto del filo si pongono dei pioli A, A’, a diverse altezze sulla verticale. Se il
piolo è cosı̀ basso (ad es. in A”) che il pendolo non possa risalire all’altezza da cui è sceso, il filo vi si attorciglia
intorno, quasi a dimostrare l’attitudine che avrebbe il pendolo di risalire all’altezza primitiva. Ne deduciamo allora
che la velocità e la differenza di altezza devono essere fra loro legate da una relazione costante, indipendentemente
dalla forma della traiettoria. Quindi le velocità acquistate per eguale differenza di altezza, sopra piani diversamente
inclinati, sono eguali fra loro ed eguali a quella corrispondente alla caduta verticale.

Supponiamo una grossa sfera che rotola su due regoli di vetro, paralleli, inclinati, sui quali sono posti dei contrassegni
alle distanze: 1, 4, 9, 16, ... cm. Si osserva allora che la sfera percorre tali spazi in intervalli di tempo uguali. Ciò
5

indica che il moto del grave (la sfera) si muove di moto uniformemente accelerato; in formule
s = α t2 , (2)
dove α è una costante da determinare sperimentalmente legata all’accelerazione di gravità g.
Dunque l’effetto che produce su di un corpo libero quella forza che chiamiamo peso consiste nella accelerazione di
gravità. Il fatto che questa accelerazione risulta costante nel tempo, mentre col tempo varia la velocità, indica che
l’effetto della forza peso è indipendente dalla velocità. Questa proposizione è vera per la maggior parte delle forze
meccaniche ed esprime un contenuto del secondo principio della dinamica.

2. Dipendenza della accelerazione dalla forza

Per determinare come la forza determini l’accelerazione utilizziamo ancora il piano inclinato. Se il peso del corpo
che cade è p, con un dinamometro si può controllare che in ogni punto del piano per una data inclinazione α la forza
effettiva F agente sul corpo è sempre la stessa e cioè F = p sin α.
Dando varie inclinazioni α1 , α2 , α3 , . . . la forza agente sarà rispettivamente F1 = p sin α1 , F2 = p sin α2 , F3 =
p sin α3 , . . . si può quindi variare a piacere l’intensità della forza applicata. Lasciando ora il corpo libero di scendere,
si misurano per le varie forze applicate Fi (ossia per le varie inclinazioni αi ) le corrispondenti accelerazioni ai e si
trova sperimentalmente una relazione di proporzionalità tra forza applicata ed accelerazione

FIG. 5.

F1 F2 F3
= = =k , (3)
a1 a2 a3
dove k è il coefficiente costante di proporzionalità. Per cui
F = ka . (4)
L’esperienza, quindi, mostra che la velocità cresce nel tempo con legge lineare: ciò significa che il moto ha una
accelerazione costante.
Se si ripete l’esperimento raddoppiando, triplicando ecc. la forza, raddoppiando, triplicando ecc. il peso del corpo, si
vede che l’accelerazione a diventa doppia, tripla ecc.
Negli esperimenti finora descritti si è sempre impiegato lo stesso corpo, cambiando solamente la forza applicata.
Possiamo aspettarci che, mutando qualche condizione non cambiata precedentemente, il valore di k varii. Infatti,
ripetendo l’esperimento con altri corpi più o meno grandi, di sostanze differenti si trova che la (4) mantiene sempre
la sua validità, soltanto che la costante di proporzionalità k cambia dipendendo dal corpo al quale noi applichiamo
la forza costante. Quindi la costante k è un attributo fisico caratteristico del corpo di cui osserviamo il movimento.
Esso viene chiamato massa del corpo, indicato con m, per cui
F = ma . (5)
6

La massa del corpo rappresenta la più o meno grande facilità che ha il corpo stesso ad essere posto in movimento:
se m aumenta per avere la stessa accelerazione occorre applicare una forza maggiore. Perciò la massa m viene detta
massa inerziale.
a) Possiamo dare una definizione operativa di massa:

• Metodo di misurazione: applichiamo una forza su un dato oggetto e misuriamo la sua accelerazione. La massa
è quindi

|F⃗ |
m= . (6)
|⃗a|

• Criterio di confronto. Due oggetti hanno uguale massa se la stessa forza applicata su ognuno di essi dà la stessa
accelerazione.

b) Le masse sono additive. Cioè dati due corpi, di massa m1 e m2 , rispettivamente, determinabili per mezzo della
(6) (applicando una forza e misurando l’accelerazione corrispondente), l’esperienza mostra che la massa inerziale del
sistema costituito dai due corpi è la somma delle due masse m = m1 + m2 .

c) La massa di un corpo non dipende dallo stato di aggregazione del corpo. Ad es., usando come corpo un recipiente
pieno d’acqua, si trova che la massa rimane la stessa anche quando l’acqua diventa ghiaccio.

d) L’unità di misura è il chilogrammo (kg)

3. II° legge di Newton

Nei casi più realistici, la forza non è costante ma è in generale una funzione F⃗ (⃗x, ⃗v , t) del punto, della velocità
e del tempo e quindi varia durante il movimento. La verifica sperimentale della validità della (5) è tutt’altro che
immediata, anche perché in molti casi le forze non possono essere misurate staticamente con dinamometri.
Pertanto, dovremo estendere la validità della (5) solo come ipotesi. Se questa estensione è arbitraria ed ingiustificata,
le conseguenze risulteranno in disaccordo con le esperienze. Ma ciò non si è mai verificato nella fisica classica.
L’esperienza mostra che la (5) ha un carattere vettoriale. Quando si applica una forza su un corpo, questo acquista
un’accelerazione con modulo dato dalla (5) mentre direzione e verso coincidono con quelli della forza. Inoltre questa
relazione rimane valida anche se con F⃗ si intende la risultante vettoriale di più forze.
A questo punto la (5) che finora era una legge empirica, viene trasformata in un principio di carattere generale,
detto secondo principio della dinamica:

F⃗tot = m ⃗a , (7)

dove la massa m è una costante di proporzionalità caratteristica del corpo, che non dipende dal suo stato di moto e
X
F⃗tot = F⃗i (8)
i

è la risultante di tutte le forze agenti sul corpo.


La (7), ci dice che rispetto ad un sistema di riferimento inerziale la forza (o la risultante di più forze) è in ogni punto
ed in ogni istante proporzionale all’accelerazione del corpo in quel punto, inoltre forza (risultante) e accelerazione
hanno la stessa linea d’azione e lo stesso verso.

1) La (7) è una relazione vettoriale. Essa è equivalente ad un sistema di 3 equazioni scalari per le tre componenti
cartesiane di F⃗ e ⃗a
d2 x(t) d2 y(t) d2 z(t)
Fx = m ax = m , Fy = m ay = m , Fz = m az = m , (9)
dt2 dt2 dt2
dove x(t), y(t), z(t) sono le equazioni parametriche del moto.
2) La forza è una grandezza derivata. Essa viene misurata attraverso il prodotto di una massa per un’accelerazione.
Cioè, se si assume come fondamentale la grandezza massa, allora la (7) fornisce una definizione di forza derivata dalle
definizioni di accelerazione e di massa già note. Otteniamo cosı̀ una definizione dinamica della forza da sostituirsi a
7

quella statica, eseguita col dinamometro.


3) Nel S.I. l’unità di misura della forza è il Newton (N ). Un Newton è la forza necessaria per imprimere ad un corpo
della massa di un Kg un’accelerazione di un m/s2 .
4) Nel sistema c.g.s. l’unità di misura della forza è la dina. Una dina è la forza necessaria per imprimere ad un corpo
della massa di un grammo un’accelerazione di un cm/s2 .
5) L’equazione dimensionale per la forza sarà F = [M ] [L] [T ]−2 .

4. Altro attributo della massa, sua relazione col peso

- Mentre il 1° principio mostra che ogni corpo è dotato d’inerzia, ovvero, in assenza di forze mantiene il suo stato
di moto, il secondo dà modo di apprezzare quantitativamente questa inerzia. Questo ci ha portato a definire la massa
inerziale di un corpo come una quantità che misura la tendenza che un corpo ha a mantenere il suo stato di moto (o
equivalentemente la difficoltà a far cambiare lo stato di moto del corpo).

- Esiste una seconda interpretazione per la massa. Con Galileo, tutti i corpi sono gravi e cadono con accelerazione
di gravità ⃗g . Se applichiamo la (7) alla caduta di un grave, dovremo ammettere che su un corpo agisce una forza che
chiameremo peso P⃗ tale che

P⃗ = m ⃗g . (10)

Spesso i concetti di massa e di peso si sono, in passato, confusi tra loro. Ormai è ben noto che ⃗g varia da luogo a
luogo sicché la (10) ci mostra che mentre la massa resta costante, essendo una grandezza intrinseca di ciascun corpo,
il peso varia da luogo a luogo.
Chiariremo in seguito come la costante m, che compare nella (10), ha un significato differente da quello della (7).
Infatti, nella (10) m è piuttosto legato al concetto di sorgente di campo gravitazionale da cui la forza peso trae origine.
Per questo essa viene chiamata massa gravitazionale.

- Infine, un terzo modo di presentarsi della massa è sotto l’aspetto di quantità di materia.

Nella fisica classica i tre attributi della massa (inerziale, gravitazionale e quantità di materia) sono ritenuti nu-
mericamente equivalenti. Tale equivalenza viene rotta nell’ambito della teoria della relatività ristretta pur restando
equivalente la massa inerziale con quella gravitazionale (sperimentalmente (Eötwos, Dicke) si trova che esse sono
numericamente uguali fino alla decima cifra decimale)

5. Invarianza rispetto alle trasformate di Galileo

Si è visto in cinematica come l’accelerazione sia invariante rispetto alle trasformate di Galileo. Poiché anche la
massa certamente non dipende da esse, e cosı̀ la forza possiamo dedurre che la 2a legge F⃗ = m ⃗a è invariante rispetto
alle trasformate di Galileo. Essendo valida per un S.R.I., essa sarà valida per tutti gli infiniti S.R. in moto rettilineo
uniforme rispetto a questo S.R.I.

C. III° principio della dinamica. Sistemi isolati

1. Il principio di azione e reazione

L’enunciato più comune del 3° principio è il seguente: Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria,
ma tale enunciato ha un senso vago ed è necessario spiegarne il significato, procedendo induttivamente e per via di
esempi. Distinguiamo due casi.

a) Caso di equilibrio. Quando con la mano sosteniamo un corpo avvertiamo una duplice sensazione: attiva, che
ha per oggetto la forza che noi esercitiamo sul corpo pesante, e passiva, che ha per oggetto la forza che il corpo
esercita sulla nostra mano. Togliendo improvvisamente la mano vediamo che il peso del corpo lo fa cadere; togliendo
improvvisamente il corpo, vediamo che la forza risiedente nella mano lo fa salire.
8

Considerando separatamente corpo e mano, possiamo distinguere per ciascun oggetto l’insieme di due forze (F⃗l , F⃗2 )
e (F⃗1′ , F⃗2′ ) che si fanno equilibrio.

FIG. 6.

Le due relazioni

F⃗1 = −F⃗2 , F⃗1′ = −F2′ , (11)

non esprimono alcun principio nuovo ma solo che si è nel caso di equilibrio. Invece il 3° principio è espresso dalla

F⃗1′ = −F⃗2 , ⇒ F⃗1 = −F2′ . (12)

Queste relazioni non esprimono una condizione di equilibrio, ma ci dicono che la pressione della mano sul corpo e
quella del corpo sulla mano sono uguali e contrarie. Cioè azione e reazione hanno lo stesso modulo, agiscono sulla
stessa retta di azione ma con verso opposto e soprattutto agiscono su 2 corpi diversi: è questo il 3° principio!

b) Caso di non equilibrio. Non essendoci più equilibrio, ora sarà F⃗1 diversa da −F⃗2 , e cosı̀ pure F⃗1′ diversa da −F⃗2′ ;
ma si avrà ancora F⃗1′ uguale a −F⃗2 :

F⃗1 ̸= −F⃗2 , F⃗1′ ̸= −F2′ , ma F⃗1′ = −F⃗2 , (13)

dove l’ultima uguaglianza continua ad esprimere il 3° principio.

a) Dal 3° principio segue che è più corretto parlare di interazione tra 2 corpi, piuttosto che di forza applicata da
un corpo ad un altro. L’interazione deve essere reciproca ed inoltre ha risultante nulla: cioè le forze agenti sull’uno e
sull’altro corpo hanno la stessa retta d’azione ed essendo in modulo uguale ed in verso opposto ne segue che F⃗tot = 0.
b) Se è possibile un’azione reciproca fra n = 2 corpi dobbiamo ammettere la possibilità di una interazione fra n > 2
corpi: possiamo avere, per esempio, un sistema di n = 3 corpi, A,B,C in cui A agisce sia su B che su C, B agisce su
A e C, e C su A e B. In tal caso, le sei interazioni che otteniamo debbono dare, estendendo la validità della (13), una
risultante nulla: F⃗tot = 0.
c) Quindi una formulazione più generale del 3° principio di azione e reazione è la seguente: dato un sistema di corpi
interagenti fra di loro, e solo fra di loro, la somma vettoriale di tutte le forze fra i corpi è nulla.
9

Esempio:
Si consideri un uomo che spinge una cassa di massa m1 che è a contatto con una seconda cassa di massa m2 .

FIG. 7.

Se entrambe le casse sono in movimento verso sinistra con un’accelerazione ⃗a, nel caso ideale in cui l’attrito tra le
casse e il suolo sia trascurabile, potremo scrivere, per la terza legge

F⃗m1 = −F⃗1m , F⃗12 = −F⃗21 . (14)

Poiché entrambe le masse stanno accelerando con la stessa accelerazione, le forze che agiscono su ognuna non può
essere zero. Per il secondo principio

F⃗m1 + F⃗21 = m1 ⃗a F⃗12 = m2 ⃗a . (15)

Se sommiamo vettorialmente queste due relazioni, tenuto conto delle (14), troveremo

F⃗m1 = (m1 + m1 ) ⃗a , (16)

che ci permette di determinare la forza F⃗m1 esercitata dall’uomo nota l’accelerazione ⃗a o viceversa l’accelerazione nota
la forza F⃗m1 ,

2. Sistemi isolati. Forze interne e forze esterne

Sono isolati quei sistemi non soggetti a forze che provengono dal di fuori del sistema considerato: tutte le forze
agenti su ciascuno dei corpi del sistema sono dovute ad interazioni fra i corpi facenti parte del sistema considerato,
sono cioè forze interne al sistema.
Il 3° principio della dinamica può equivalentemente essere enunciato come: in un sistema isolato, cioè non soggetto a
forze esterne, la risultante delle forze interne, esercitantisi fra i corpi che lo costituiscono, è nulla.

FIG. 8.
10

L’unico vero sistema rigorosamente isolato dovrebbe comprendere tutto l’universo: ogni altro sistema sarà sempre, a
tutto rigore, un sistema non isolato.
Esso, tuttavia, potrà essere considerato come isolato con buona approssimazione, se le forze a cui è soggetto il sistema
sono in massima parte forze interne e in piccolissima parte forze esterne esercitate dai corpi non appartenenti al
sistema.

3. Forza d’inerzia

Se un operatore applica ad un corpo di massa m la forza F⃗ , abbiamo visto che m subisce una accelerazione ⃗a tale
che F⃗ = m ⃗a. Per il 3° principio, il corpo reagisce sull’operatore con una forza −F⃗ = −m ⃗a. Questa forza di reazione è
una conseguenza della accelerazione subita dal corpo, cioè della sua variazione dallo stato di moto rettilineo uniforme:
essa viene chiamata forza di inerzia
F⃗inerzia = −m ⃗a . (17)

II. LE FORZE IN NATURA

Tutte le forze della natura sono riconducibili alle quattro interazioni fondamentali le cui principali caratteristiche
sono riportate in tabella

Interazione fenomeni intensità relativa raggio d’azione sorgenti

gravitazionale moti celesti 10−39 infinito le masse

nucleare debole radioattività 10−13 − 10−10 < 10−17 m Bosoni W ± , Z

elettromagnetica luce 10−2 infinito cariche elettriche

nucleare forte nuclei atomici 1 10−15 m adroni

Le forze che agiscono tra i sistemi complessi (e macroscopici) sono dovute all’effetto risultante delle forze fondamen-
tali agenti sui costituenti elementari della materia (principalmente quelli di origine elettromagnetica). Ad esempio, le
forze agenti tra le molecole sono dovute alle complesse interazioni di tutti gli elettroni e nucleoni di una molecola con
quelli di un’altra molecola. L’effetto risultante di queste interazioni può essere, in taluni casi, descritto con semplici
espressioni analitiche.
Le stesse forze di attrito o la tensione sprigionata in una fune hanno origine tra le interazione intermolecolari (tra
molecole della stessa specie) o intramolecolari (tra mole di specie diversa) e quindi, in ultima analisi, sono imputabili
all’interazione elettromagnetica.
Nel caso di molecole non polari, dove il baricentro delle cariche positive coincide con quello delle cariche negative (es:
O2 , H2 , CH4 ), la forza tra le molecole può essere ben descritta dall’equazione di Wan der Waals.
 a 13  7
b
F (x) = 12 −6 , (18)
x x
con a e b parametri tipici della struttura molecolare.

Passeremo ora in rassegna le principali forze di interesse nello studio della meccanica.

A. Forza gravitazionale (o Legge di Newton)

Due corpi puntiformi di massa m1 e m2 posti ad una distanza r, si esercitano una forza di modulo
m1 m2
Fg = γ con γ = 6.673 · 10−11 N m2 /kg 2 , (19)
r2
11

di tipo attrattivo e diretta lungo la congiungente i due corpi.

FIG. 9.

Il vettore F⃗ ha l’espressione
m1 m2
F⃗g = −γ ûr , (20)
r2
dove il segno meno dà appunto la direzione (attrattiva) della forza e ûr è il versore diretto lungo la congiungente i
due corpi.
La (20) resta valida anche per oggetti macroscopici omogenei di forma sferica. In tal caso r indica la distanza dei
centri dei due corpi.

1. Forza peso

La forza peso P⃗ altro non è che la forza di gravità percepita da un corpo di massa m prossimo alla superficie della
terra. Dalla (20), possiamo scrivere
MT m
P⃗ = −γ k̂ ≡ ⃗g m , (21)
RT2
dove MT è la massa della terra, RT il suo raggio e k̂ il versore perpendicolare alla superficie della terra (nel punto
considerato), diretta verso l’alto.
Tenuto conto dei valori numerici delle costanti che compaiono in (21) si ottiene il valore di ⃗g
MT
⃗g = −γ k̂ = −9.81k̂ m/s2 , (22)
RT2
che risulta quindi approssimativamente costante, diretta lungo la verticale nel punto considerato e orientata verso il
basso.

In conclusione la forza peso è la grandezza che si misura con una bilancia.

Si tenga presente comunque che se cambia l’accelerazione di gravità cambia la forza peso a parità di massa m. Per
esempio:
• Un uomo di m = 80 Kg pesa sulla Terra P = m g = 80 Kg · 9.8 m s−2 = 784 N.

• Sulla Luna, con gL = 1.6 m s−2 , il peso è P = m gL = 80 Kg · 1.6 m s−2 = 128 N. Se rapportato al peso sulla
Terra, una bilancia sulla Luna darà un peso pari a circa 13 Kg.

• Su Giove, con gG = 26 m s−2 , il peso è P = m gG = 80 Kg · 26 m s−2 = 2080 N che rapportato al peso sulla Terra
vale circa 212 Kg.

Sotto l’azione della forza peso, la dinamica del corpo è descritta dalla seconda legge di Newton
P⃗ = m ⃗a ⇒ m ⃗g = m ⃗a . (23)
Pertanto, essendo ⃗a = ⃗g = −9.8 k̂ il moto sarà rettilineo uniformemente accelerato e diretto l’ungo la verticale verso
il basso.
12

FIG. 10.

B. Forza elettrostatica (o legge di Coulomb)

Due corpi puntiformi carichi, con carica elettrica q1 e q2 posti ad una distanza r, si esercitano una forza di modulo
q1 q2
Fe = k con k = 8.99 · 109 N m2 /C 2 , (24)
r2
attrattiva (se le cariche hanno segno opposto) o repulsiva (se le cariche hanno segno uguale) e diretta lungo la
congiungente i due corpi.

FIG. 11.

Il vettore F⃗e ha l’espressione


q1 q2
F⃗e = k 2 ûr , (25)
r
dove ûr è il versore diretto lungo la congiungente i due corpi.
Si noti che se il prodotto q1 q2 > 0 il vettore F⃗e è concorde con ûr e quindi la forza sarà repulsiva mentre se il prodotto
q1 q2 < 0 il vettore F⃗e è discorde con ûr e quindi la forza sarà attrattiva. La (25) resta valida anche per oggetti
macroscopici omogenei di forma sferica. In tal caso r indica la distanza dei centri dei due corpi.

C. Forza elastica (o legge di Hooke)

Tutti i corpi reali, se sottoposti a sforzi, si deformano. L’elasticità è la proprietà di un corpo di assumere la sua
forma originaria quando la forza è stata rimossa.

Diremo che:
13

• Un corpo è perfettamente elastico se riprende la forma originale una volta cessata la forza.

• Un corpo è perfettamente plastico se mantiene la deformazione una volta cessata la forza.

I corpi solidi, nella grande maggioranza, si comportano come perfettamente elastici per valori limite della forza
applicata, (limite di elasticità), per diventare plastici superato questo limite, fino alla rottura per valori della forza
superiori al carico di rottura del corpo.
Una certa categoria di corpi (le molle, gli elastici) gode della proprietà che, per valori della forza contenuti, l’entità
della deformazione è proporzionale alla forza applicata

F⃗ = −k (⃗l − ⃗l0 ) = −k ∆⃗l , (26)

nota col nome di legge di Hooke. Il segno meno è originato dal fatto che la direzione della deformazione è sempre
opposta alla direzione della forza. La costante k prende il nome di costante elastica. E’ specifica per ogni materiale
e nel SI la sua unità di misura è [k] = N m−1 .

FIG. 12.

Sperimentalmente si osserva che per allungare una molla di una quantità ∆x è necessario applicare una forza
F⃗applicata = k ∆x î cioè, appunto, proporzionale all’allungamento.
Per la terza legge di Newton, la molla eserciterà una forza (forza di richiamo) uguale e contraria ovvero F⃗elastica =
−k ∆x î ed essendo tale forza diretta nella stessa direzione della deformazione della molla ne segue il carattere vetto-
riale della (26).
Si noti che:

• se ∆x > 0 la molla è estesa; la forza di richiamo tende a comprimerla;

• se ∆x < 0 la molla è compressa; la forza di richiamo tende ad estenderla

Diremo che una molla è ideale se ha massa nulla. Se la molla è priva di massa (o se è in equilibrio), allora esercita
la stessa forza (in modulo) in qualsiasi direzione (per esempio la stessa forza di richiamo sulle dita viene esercitata
anche sul muro). Cosı̀ per comprimere di ∆x una molla con entrambe le estremità libere si deve applicare ad ogni
estremità una forza di modulo k ∆x !!!

Se un corpo è attaccato ad una molla (fissata ad una estremità) e deformata di una quantità ∆x l’equazione della
dinamica per questo corpo è

d2 x
F⃗e = m ⃗a ⇒ −k ∆x = m (27)
dt2
14

posto ξ = ∆x = x − x0 e notando che d2 x/dt2 = d2 ξ/dt2 l’equazione dinamica diventa


r
d2 ξ 2 k
+ω ξ =0 con ω= . (28)
dt2 m
Sappiamo che la soluzione generale di questa equazione differenziale del secondo ordine a coefficienti costanti è data
da

ξ = A cos(ω t + φ0 ) ⇒ x(t) = x0 + A cos(ω t + φ0 ) , (29)

con A e φ0 costanti di integrazione da determinarsi in base alle condizioni iniziali.

III. VINCOLI E FORZE VINCOLARI

Un vincolo è una condizione al contorno che limita il moto di un corpo. L’azione dei vincoli si esplica attraverso un
insieme di forze, dette reazioni vincolari, che agiscono sui punti del sistema unitamente alle forze effettive limitandone
il moto.

Un sistema meccanico vincolato è descritto da un sistema di equazioni del tipo

F⃗ + R⃗ = m ⃗a , (30)
f (x, y, z; t) = 0 . (31)

La reazione vincolare, R, ⃗ sono spesso incognite del problema e devono essere determinate unitamente alle altre
grandezze dinamiche in gioco. La funzione f (x, y, z; t) definisce una condizione geometrica rappresentata da una
curva o una superficie al quale il sistema deve sottostare.
I vincoli si classificato in:
1. Vincoli olonomi: detti anche bilaterali. Sono descritti da una relazione di uguaglianza f (x, y, z; t) = 0 che
definisce una curva o una superficie nello spazio sulla quale è vincolato il moto del sistema. Es. un treno
vincolato a muoversi sui binari o una nave vincolata a restare sulla superficie dell’oceano.
2. Vincoli anolonomi: detti anche unilaterali. Sono descritti da una relazione di disuguaglianza piuttosto che
una uguaglianza f (x, y, z; t) > 0 (o f (x, y, z; t) < 0) che definisce una regione all’interno (o all’esterno) della
quale è vincolato il moto del sistema. Es. le molecole di un gas contenute in un recipiente, il moto di un
sottomarino.
3. Vincoli scleronomi: o fissi. Sono vincoli che non dipendono dal tempo descritti da una funzione f (x, y, z) = 0
(se olonomo), f (x, y, z) > 0 o f (x, y, z) < 0(se anolonomo). Es. un piano inclinato fisso.
4. Vincoli reonomi: o mobili. Sono vincoli che variano nel tempo. Es. un piano inclinato posto su un carrello in
moto o le molecole d’aria contenute in un palloncino che si gonfia.
⃗ è sempre perpendicolare al vincolo.
5. Vincoli lisci: in tal caso la reazione vincolare R

6. Vincoli scabri: quando la reazione vincolare R ⃗ ha oltre alla componente normale ha anche una componente
parallela al vincolo stesso. Spesso questo tipo di vincolo è legata alla presenza di attrito.

A. Forza normale

La forza normale è una componente della forza che una superficie esercita su un oggetto con cui è a contatto cioè,
la componente che è perpendicolare (=normale) alla superficie.

Infatti, ricordiamo la prima legge di Newton nella forma ”Un corpo puntiforme a riposo tende a rimanere in quello
stato a meno che ad esso non venga applicata una forza (risultante) esterna”. Ma se il corpo è a riposo appoggiato
su un piano, sappiamo che c’è almeno una forza che agisce su di esso (la gravità o forza peso) quindi, ci deve essere
un’altra forza tale ché la risultante (= la somma vettoriale di tutte le forze che agiscono sul corpo) sia nulla. Questa
15

FIG. 13.

forza, esercitata dal vincolo (tavolo) sul corpo non è da confondere con la reazione alla forza peso dettata dalla terza
legge della dinamica. Infatti entrambe le forze (peso e normale ) sono applicate allo stesso corpo, mentre, come si è
detto, azione e reazione sono forze applicate a corpi differenti in interazione l’uno con l’altro.

In generale, per un corpo in equilibrio il modulo della forza normale dipende dalle altre forze che agiscono sul corpo:

FIG. 14.

• a)
P⃗ ⃗ = −W
⃗ ⃗| = mg
F =0 ⇒ N ⇒ |N

• b)
P⃗ ⃗ = −W
⃗ − F⃗ ⃗| = mg + F
F =0 ⇒ N ⇒ |N

• b)
P⃗ ⃗ = −W
⃗ + F⃗ ⃗| = mg − F
F =0 ⇒ N ⇒ |N

Se la forza normale è zero, il corpo non è a contatto con la superficie!

1. Il piano inclinato

Consideriamo un blocco posto su di un piano inclinato con un angolo θ.

La forza peso è scomposta nelle due componenti ortogonale P1 e parallela P2 al piano inclinato

P1 = m g cos(θ) P2 = m g sin(θ)
16

FIG. 15.

Essendo il piano inclinato rigido la reazione vincolare R = P1 è uguale e contraria alla componente ortogonale mentre
la componente parallela P2 , unica forza risultante, sarà responsabile della caduta del corpo lungo il piano inclinato.
L’accelerazione sperimentata dal corpo è data da

P2
a= = g sin(θ) , (32)
m
e il moto sarà rettilineo uniformemente accelerato. Se il corpo parte da fermo, con velocità v0 = 0, la legge oraria per
lo spazio percorso è

1
s= g sin(θ) t2 . (33)
2

B. Tensione

Funi e aste sono strumenti utilizzati per trasmettere una forza a distanza. Si possono considerare come vincoli
per il moto di un corpo. Chiameremo tensione la forza che si trasmette attraverso il vincolo ovvero la forza che ogni
parte della fune (asta) applica sulla parte immediatamente adiacente ad essa. Osserviamo che:

1. la fune applica una forza solo se è completamente allungata (in tensione), l’asta è sempre in tensione

2. la tensione è parallela alla fune o all’asta

3. la fune può solo tirare e non spingere (vincolo unilaterale), l’asta invece lavora sia in tensione che in compressione
(vincolo bilaterale)

Funi e aste ideali sono prive di massa e inestensibili cosicché trasmettono semplicemente la tensione immutata da
un’estremità all’altra. In queste condizioni ideali la tensione è costante lungo l’intero vincolo, da un’estremità all’altra.
Consideriamo separatamente i due casi

• Fune a riposo in un sistema di riferimento inerziale.

FIG. 16.
17

FIG. 17.

Siano F⃗A e F⃗B le forze applicate agli estremi della fune. La condizione di equilibrio impone che F⃗A + F⃗B = 0
ovvero F⃗A = −F⃗B .
Se adesso analizziamo ciò che accade in una sezione qualunque della fune possiamo scrivere

Per cui |T⃗ | =costante e coincide con il valore della forza applicata agli estremi della fune

FIG. 18.

• Fune in accelerazione in un sistema di riferimento inerziale.


Per la seconda legge della dinamica

F⃗A + F⃗B = m ⃗a = 0 (34)

perché se la fune è ideale la sua massa è nulla!


Analizzando ciò che accade in una sezione qualunque della fune la situazione non cambia poiché

T⃗ (x + dx) + T⃗ (x) = dm ⃗a = 0 (35)

e quindi anche se in accelerazione la tensione si propaga lungo la fune (asta) mantenendosi costante in modulo.
Esempio 1.
Immaginiamo di doverci pesare su una bilancia posta all’interno di un montacarichi. La sensazione di ”peso” che
percepiamo e che misuriamo sulla bilancia è dovuta alla forza normale che il terreno applica sui nostril piedi e non al
peso reale.

Quando il montacarichi è a riposo il nostro peso è bilanciato dalla normale esercitata dalla bilancia P⃗ + N
⃗ = 0. Il
⃗ ⃗
modulo di N coincide quindi con quello del nostro peso |P | = m g ed è quanto leggiamo (in genere diviso per il valore
g) direttamente sulla bilancia.
Se invece il montacarichi sale con una accelerazione ⃗a allora per la seconda legge della dinamica

P⃗ + N
⃗ = m ⃗a (36)

che proiettata lungo l’asse verticale ci fornisce la relazione

−P + N = m a ⇒ N = m (g + a) (37)

cosicché la sensazione di peso (e la misura letta sulla bilancia) sono maggiori.


Contrariamente, se il montacarichi scende con una accelerazione ⃗a si avrà

−P + N = −m a ⇒ N = m (g − a) (38)

e la sensazione di peso diminuisce tanto più quanto maggiore sarà l’accelerazione. Al limite, se ”cadiamo” con la
stessa accelerazione di gravità (per esempio se la fune sis pezza), la sensazione di peso svanisce.
18

FIG. 19.

Un’analisi simile la possiamo svolgere nei riguardi della tensione che regge il montacarichi. All’equilibrio (mon-
tacarichi fermo o in moto a velocità costante) il peso totale di tutto il sistema (il nostro, più quello della bilan-
cia e del montacarichi stesso) saranno bilanciati dalla tensione sulla fune P⃗tot + T⃗ = 0 per cui T = Mtot g dove
Mtot = m + mbilancia + mmontacarichi .
Se il montacarichi sale con una accelerazione ⃗a allora scriveremo

P⃗tot + T⃗ = Mtot ⃗a ⇒ T = Mtot (g + a) , (39)

cosicché la tensione sulla fune aumenta. Se il montacarichi viene fatto accelerare troppo la tensione può superare il
carico di rottura del materiale con cui è fatta la fune, spezzandosi.
Diversamente, se il montacarichi scende con una accelerazione ⃗a si avrà

−Ptot + T = −Mtot a ⇒ T = Mtot (g − a) (40)

e la tensione diminuisce. Se il montacarichi è in caduta libera (con la stessa accelerazione di gravità) la sensazione
sulla fune svanisce.

1. Carrucole

Le carrucole sono vincoli che permettono di modificare la direzione della tensione

FIG. 20.
19

Una carrucola ideale avrà massa nulla. In questo caso W ⃗ = 0. Diversamente, le carrucole reali avranno una massa
m quindi un peso W ⃗ = m ⃗g . In ogni caso, se la carrucola è in quiete, la forza sviluppata sui cardini sarà uguale ed
opposta alla risultante delle forze applicate sulla carrucola stessa.
Se la carrucola è ideale, la tensione della fune a valle e a monte di questa sarà sempre la stessa. In questo caso potremo
scrivere ancora T⃗1 + T⃗2 = 0.
Diversamente, se la carrucola è massiva allora T⃗1 + T⃗2 ̸= 0, un fatto che diventerà chiaro solo quando studieremo la
dinamica del corpo rigido.

C. Forze di attrito

Quando il vincolo non è liscio questo genera sul corpo oltre alla componente perpendicolare alla superficie che
abbiamo già identificato con la forza normale anche una componente parallela alla superficie detta forza di attrito.
Più in generale, possiamo definire la forza di attrito quella forza che si crea tra le superfici di contatto di due corpi
che tendono ad avere un moto relativo l’uno rispetto all’altro e che ne impedisce o ne limita il movimento.

Distinguiamo:
1. attrito radente
(a) attrito statico
(b) attrito al distacco
(c) attrito dinamico
2. attrito volvente
3. attrito viscoso
4. attrito interno
Mentre l’attrito volvente, un forza che si sviluppa nel punto di contatto di un oggetto che rotola su una superficie,
ha origine dalla deformabilità dei corpi e non sarà quindi argomento di studio in questo corso, l’attrito interno nasce
tra le parti di un fluido viscoso e sarà caratterizzato più avanti nel capito sulla fluidodinamica.

Ci occupiamo quindi delle altre forme di attrito elencate

1. Attrito radente

Tra due corpi in contatto nasce una forza di superficie dovuta alla loro rugosità e può essere attribuita a forze di
natura molecolare che si instaurano tra i costituenti delle due superfici

FIG. 21.

Il modulo di questa forza di attrito non dipende, in prima approssimazione, dall’area di contatto delle superfici poiché
il contatto effettivo si verifica solo in una frazione molto piccola rispetto all’apparente area di contatto, mentre si
osserva sperimentalmente dalla componente normale alla superficie di contatto.
20

- Attrito statico

Parleremo di attrito statico quando non vi è moto relativo tra i due corpi.
L’attrito statico non può essere determinato a priori. Se ad un copro appoggiato su una superficie scabra (come in
figura) si applica una forza F⃗ e, a causa dell’attrito statico che si genera tra corpo e piano, questo non si muove, per
il secondo principio deduciamo che la risultante delle forze agenti sul corpo deve essere nulla. Ovvero

F⃗ + f⃗s = 0 . (41)

Se la forza applicata F⃗ aumenta e il corpo rimane in quiete allora anche la forza di attrito sarà aumentata in ungual
misura in modo da mantenere la risultante delle forze agenti sul corpo nulla.
Superato un certo valore limite il blocco inizierà a muoversi. Tale valore limite, che dipende dalla natura chimico-fisica
dei materiali che costituiscono i due corpi (in questo esempio blocco e piano), prende il nome di attrito al distacco.
Sperimentalmente si ottiene la relazione

⃗| ,
fsmax = µs |N (42)

dove 0 < µs < 1 è una grandezza adimensionale detta coefficiente di attrito statico.

- Attrito dinamico

Parleremo di attrito dinamico quando vi è moto relativo tra i due corpi. Tale forza, in generale si oppone al moto
tra i due corpi cercando di ridurlo. Il moto di un corpo su una superficie reale è sempre accelerato (cioè la velocità
diminuisce) a causa dell’attrito dinamico. La sua intensità è proporzionale alla forza normale esercitata dalla superficie
sull’oggetto secondo la relazione

⃗| ,
fk = µk |N (43)

dove 0 < µk < µs < 1 è una grandezza adimensionale che prende il nome di coefficiente di attrito dinamico o
cinetico il cui valore è sempre minore di quello statico.

FIG. 22.

Pertanto, la forza di attrito tra due corpi cresce proporzionalmente alle forze esterne applicate al corpo nel tentativo
di mantenerlo fermo fintanto che, raggiunto il valore di attrito al distacco, il corpo inizia a muoversi passando da un
regime statico a quello dinamico con repentina riduzione della forza di attrito dovuto al fatto che µk è sempre minore
di µs a parita di corpi.
21

FIG. 23.

Attenzione che NON sempre la forza di attrito si oppone al moto. In alcuni casi essa è causa del moto. Si pensi, per
esempio, ad una cassa caricata su un camion. Quando il camion accelera è la forza di attrito statico tra i due corpi
che trascina la cassa lungo il moto. Senza attrito la cassa scivolerebbe via rispetto al camion. E’ ciò che accade se il
camion accelera troppo bruscamente!

FIG. 24.

Esempio 2.
Come esempio notevole, consideriamo un blocco puntiforme di massa m appoggiato su un piano inclinato scabro, con
coefficienti di attrito statico µs e dinamico µk , che forma un angolo θ con l’orizzontale.
L’analisi delle forze dà:
P∥ = m g sin(θ) (44)
P⊥ = m g cos(θ) ≡ N (45)
Pertanto la forza di attrito al distacco vale
fsmax = µs N = µs m g cos(θ) . (46)
Se questa forza è in modulo maggiore di P∥ il corpo resta fermo. In questo caso, la forza di attrito statico sarà
fs = P∥ = m g sin(θ) . (47)
Diversamente se il modulo di fsmax è minore di P∥ allora il corpo scivolerà verso il basso. La forza di attrito è di tipo
dinamico
fk = µk m g cos(θ) , (48)
e l’equazione dinamica che descrive il moto del corpo sarà
 
P ∥ − fk = m a ⇒ m g sin(θ) − µk m g cos(θ) = m a ⇒ a = g sin(θ) − µk cos(θ) . (49)
22

Il valore limite di θ oltre il quale il blocco non può restare in equilibrio è dato dalla condizione

P∥ − fsmax = 0 ⇒ m g sin(θ) − µs m g cos(θ) = 0 ⇒ tan(θ) = µs . (50)

Tale valore prende il nome di angolo limite.


Da quanto detto in precedenza, essendo 0 < µk < µs < 1 sembrerebbe allora che nessun corpo potrà mai stare in
equilibrio su un piani inclinati con inclinazione superiore a 45°.
Tuttavia, l’esperienza ci dice che questo non è rigorosamente vero. In realtà, la teoria che stiamo studiando si applica
al caso limite di corpi puntiformi su superfici secche. Nella realtà: i corpi non sono puntiformi, sono deformabili, la
presenza di collanti o gel tra le superfici può fare aumentare i valori dei coefficienti di attrito oltre il valore dell’unità.

2. Attrito viscoso

Quando un corpo è in moto in un fluido (acqua, olio) il fluido esercita una forza di attrito detto attrito viscoso.
A differenza dell’attrito radente, l’attrito viscoso dipende dalla velocità del corpo nonchè dalla forma del corpo. Se il
corpo si muove lentamente nel mezzo, si può assumere che l’attrito viscoso sia dato dalla relazione

f⃗v = −c η ⃗v , (51)

dove c è un coefficiente numerico detto fattore di forma che dipende appunto dalla forma dell’oggetto che si muove
nel mezzo. η è il coefficiente di attrito viscoso o semplicemente viscosità del mezzo e sarà caratterizzato nel capitolo
sui fluidi. In fine, il segno meno nella (51) tiene conto del fatto che la forza f⃗v è opposta al vettore velocità ⃗v (forza
frenante).
Questo è il primo esempio di una forza che dipende dalla velocità. Il moto risultante non può essere uniformemente
accelerato!
Nel caso di un oggetto sferico il fattore di forma è dato da c = 6 π r cosicché la (51) diventa

f⃗v = −6 π η r ⃗v , (52)

e prende il nome di legge di Stokes.

Esempio 3.
Supponiamo di avere un piccolo corpo in un tubo orizzontale riempito di liquido, e che l’attrito con le pareti sia
trascurabile (ma l’attrito viscoso no). Sia v0 la velocità iniziale del corpo. Per effetto della forza viscosa questo
rallenterà e si fermerà dopo aver percorso un certo spazio. L’analisi delle forze ci dà:
dv −c η dv
f⃗v = m ⃗a ⇒ −c η v = m ⇒ dt = (53)
dt m v
La soluzione di questo problema è
 cη 
v(t) = v0 exp − t , (54)
m
che rappresenta un moto esponenzialmente smorzato. Si noti che l’accelerazione non è costante ma decresce in modo
esponenziale secondo la legge
cη cη  cη 
a(t) = − v(t) ≡ − v0 exp − t . (55)
m m m
Integrando ancora la (54) possiamo ottenere la legge oraria
 cη  m v0   c η 
dx(t) = v0 exp − t dt ⇒ x(t) = 1 − exp − t . (56)
m cη m
Teoricamente il corpo si ferma dopo un tempo infinito! sebbene, dal punto di vista pratico si può considerare il moto
esaurito dopo un tempo sufficientemente grande da rendere il valore di v(t) impercettibile.
Lo spazio percorso prima dell’arresto completo si ottiene dalla (56) nel limite t → ∞ e vale xmax = m v0 /c η.
23

Esempio 4.
Supponiamo ora di avere un corpo di massa m lasciato cadere (v0 = 0) in un mezzo viscoso sotto l’azione della sua
forza peso. Inizialmente, la velocità del corpo è nulla e di conseguenza sarà nulla la forza viscosa. Tuttavia, man mano
che il corpo accelera per effetto del suo stesso peso la forza di attrito viscoso aumenta e di conseguenza l’accelerazione
diminuirà. Si giungerà ad una situazione di equilibrio in cui P⃗ + f⃗v = 0 momento in cui il corpo si muoverà di moto
rettilineo uniforme essendo la risultante delle forze agenti sul corpo nulla. Quindi la velocità del corpo raggiunge un
valore limite oltre il quale non potrà più crescere.

FIG. 25.

m ⃗g + f⃗v = m ⃗a (57)

che proiettata lungo la componente z dà

dv
mg − cηv = m (58)
dt
La soluzione è data da
mg   c η 
v(t) = 1 − exp − t (59)
cη m

da cui la velocità limite per t → ∞ è vlim = mg/c η.

D. Forza centripeta

Quando un oggetto si muove su una traiettoria circolare, anche se a velocità costante, significa che una forza diretta
come la normale alla tangente nel punto considerato agisce sul corpo obbligandolo a cambiare direzione. Ricordando
l’espressione dell’accelerazione in coordinate intrinseche, per la seconda legge della dinamica avremo
2
v
F⃗c = m ⃗aN ⇒ F⃗c = m n̂ . (60)
R
La forza centripeta si identifica con le cause che generano la deviazione del moto del corpo. Essa può quindi essere:
la componente normale di una guida circolare, una forza di attrito (ruote su asfalto), una forza di tensione (corpo
collegato ad una fune e fatto roteare), la forza di gravità (moto dei pianeti attorno al sole), la forza elettrostatica
(moto degli elettroni attorno al nucleo), ecc.
24

FIG. 26.

IV. ALCUNI ESEMPI NOTEVOLI

A. Corpuscolo in rotazione verticale

Consideriamo una particella materiale di massa m attaccata ad una fune di lunghezza L e messa in rotazione su
un piano verticale. Consideriamo separatamente le 4 posizioni indicate in figura.

FIG. 27.

In 1 il corpuscolo ruota con velocità v1 diretta tangenzialmente alla traiettoria (non indicata). Essendo in rotazione,
sul corpuscolo deve agire una forza centripeta esercitata dalla fune ed identificata nella tensione di questa. Quindi
possiamo scrivere
2
v
T⃗1 = m 1 n̂ . (61)
L
In 2, sia v2 la velocità del corpuscolo (sempre diretta lungo la tangente alla traiettoria nel punto considerato). La
forza centripeta responsabile della rotazione del corpuscolo ora vale
2 2
v v
T⃗2 + P⃗2 = m 2 n̂ ⇒ T⃗2 = m 2 n̂ − P⃗2 (62)
L L
25

Nota che in coordinate intrinseche P⃗2 = m g n̂. Quindi in modulo

v22
T2 = m − mg . (63)
L
In 3 la situazione e simile, ma ribaltata, rispetto a 1
2
v
T⃗3 = m 3 n̂ . (64)
L
In fine, in 4 la forza centripeta varrà
2
v
T⃗4 + P⃗4 = m 4 n̂ , (65)
L
ed essendo ora P⃗4 = −m g n̂ sarà

v42
T4 = m + mg . (66)
L
Si noti che in 2, se la velocità v2 non è troppo grande la (63) potrebbe dare un valore di T2 negativo...è un non
senso! La tensione non può mai essere negativa (in modulo!)
√ pertanto ciò significa semplicemente che se la velocità
della particella non è sufficientemente elevata (v2 ≥ g L) questa non può raggiungere la sommità della traiettoria
iniziando quindi a ”cadere” prima di giungere nel punto 2. Questo perché una fune deve sempre restare in tensione
per poter esercitare il vincolo.
Diversamente, se al posto della fune avessimo un asta rigida allora la situazione sarebbe differente poiché, in questo
caso, il vincolo può anche opporsi alle compressioni. In questo caso il corpuscolo potrebbe raggiungere la posizione 2
al limite con velocità nulla v2 = 0. In tale circostanza, la tensione esercitata dall’asta sarà

T⃗2 + P⃗2 = 0 ⇒ T⃗ = −m g n̂ , (67)

quindi diretta verso l’alto (ma in modulo positiva!!!).

B. Pendolo semplice

Un pendolo semplice consiste di una fune ideale di lunghezza L, inestensibile e di massa trascurabile, attaccata ad
un estremo ad un perno privo di attrito, e attaccata ad una particella di massa m nell’estremo opposto. Il sistema
è messo in oscillazione su un piano verticale spostando il corpuscolo rispetto alla posizione di equilibrio (posizione
verticale) di un angolo θ0 e quindi lasciato libero di oscillare con velocità iniziale v0 = 0.

FIG. 28.
26

Scomponiamo le forze agenti sul corpuscolo, quando questo è in una posizione generica (con angolo θ misurato lungo
la verticale), usando versori intrinseci

T⃗ = T ûN , m ⃗g = −m g sin(θ) ûT − m g cos(θ) ûN . (68)

Applicando la seconda legge

−m g sin(θ) = m aT T − m g cos(θ) = m aN (69)

Posto ω 2 = g/L, e ricordando che aT = L α = L d2 θ/dt2 , possiamo riscrivere la prima in

d2 θ d2 θ
+ ω 2 sin(θ) = 0 ⇒ + ω2 θ = 0 , (70)
dt2 dt2
dove si è fatta l’assunzione di piccole oscillazioni θ ≪ 0 ⇒ sin(θ) ≈ θ.
Soluzione di questa equazione sappiamo essere

θ(t) = A sin(ω t + φ) , (71)

con A e φ costanti di integrazione da fissare sulla base delle condizioni iniziali.


Ricordando la relazione s = L θ per lo spazio percorso, possiamo anche scrivere la soluzione in

s(t) = A L sin(ω t + φ) . (72)

La legge oraria per la velocità e l’accelerazione si ottengono derivando ripetutamente s(t) nel tempo

v(t) = A L ω cos(ω t + φ) , a(t) = −A L ω 2 sin(ω t + φ) . (73)

Possiamo ora fissare le costanti d’integrazione ricordando che all’istante iniziale t = 0 deve essere θ(0) = θ0 e v(0) = 0
per cui A = θ0 e φ = 0. Diverse condizioni iniziali porteranno a differenti valori per le costanti di integrazione.
Il periodo di oscillazione è dato da
r
2π g
T = = 2π , (74)
ω L
e non dipende dalle condizioni iniziali nè dalla massa del corpuscolo, una proprietà noto col termine di isosincro-
nismo valida solo nel limite delle piccole oscillazioni.

In fine, la seconda delle (68) ci permette di ricavare la tensione in funzione della velocità istantanea

v2
T = m g cos(θ) − m , (75)
L
che risulta massima lungo la verticale (θ = 0).

C. Pendolo conico

Un pendolo conico è costituito da un piccolo oggetto di massa m sospeso da una fune ideale di lunghezza L, ruotante
con una velocità costante v su una circonferenza orizzontale di raggio r.

In coordinate cilindriche, con ûr e ûθ nel piano del moto e k̂ nella direzione perpendicolare al piano si avrà
mg
−m g + T cos(φ) = 0 ⇒ T = , (76)
cos(φ)
v2 v2
−T sin(φ) = −m ⇒ g tan(φ) = = ω 2 r = ω 2 L sin(φ) . (77)
r r
Quindi l’angolo φ dipende dalla velocità angolare secondo la relazione
g
cos(φ) = . (78)
ω2 L
27

FIG. 29.

V. DINAMICA IN SISTEMI DI RIFERIMENTO NON INERZIALI

Sappiamo dal primo principio della dinamica che esistono sistemi di riferimento in cui se la risultante delle forze è
nulla un corpo materiale permane nel suo stato di moto o di quiete. Tali sistemi sono stati battezzati Sistemi di Rifer-
imento Inerziali. Tali sistemi di riferimento sono tutti quelli (infiniti!!) in quiete o in moto rettilineo uniforme rispetto
al sistema di riferimento delle stelle fisse che, con abuso di linguaggio, definiamo essere un sistema di riferimento
assoluto (immobile!).
Diversamente, tutti i sistemi di riferimento in moto accelerato rispetto ai SRI sono definiti Sistemi di Riferimento
NON Inerziali. In questi SR sono presenti anche accelerazioni spurie dovute allo stato di moto dell’osservatore e non
causate da reali forze oggettive.
L’accelerazione ⃗a′ osservata in un SRNI è legata all’accelerazione ⃗a di un SRI dalla relazione

⃗a = ⃗a′ + ⃗atrascinamento + ⃗aCoriolis + ⃗acentripeta . (79)

Sappiamo che in SRI vale la seconda legge della dinamica

F⃗ = m ⃗a , (80)

per cui in un SRNI questa si deve modificare in

F⃗ = m ⃗a′ + m ⃗atrasc + m ⃗aCor + m ⃗acent . (81)

Possiamo riscrivere questa equazione in

F⃗ − m ⃗atrasc − m ⃗aCor − m ⃗acent = m ⃗a′ . (82)

Introduciamo le forze inerziali o apparenti le quantità cosı̀ definite:

F⃗trasc = −m ⃗atrasc ,
F⃗Cor = −m ⃗aCor , (83)
F⃗cent = −m ⃗acent .

Queste forze non sono forze reali ma piuttosto forze fittizie che nascono dallo stato di moto del SR a cui facciamo
riferimento. Non obbediscono alla terza legge della dinamica. Non si può mai trovare qual è il corpo che le esercita e
quindi non è possibile trovare la reazione.
Queste forze apparenti sono nulle se e solo se ⃗atrasc = ω
⃗ = 0 ma in tal caso il SR che stiamo considerando si muoverà
di moto rettilineo uniforme ed è quindi un SRI!

Equivalentemente, possiamo dire che se su un corpo puntiforme la risultante delle forza che agisce su di esso è nulla
e sia O un osservatore in un sistema di riferimento inerziale allora in accordo con la prima leggi della dinamica, P è
a riposo o è in moto con velocità costante rispetto a O, cosicché ⃗a = 0.
Ora, se O′ è in un moto uniforme rispetto a O, allora sappiamo che ⃗a′ = 0. Cioè l’osservatore O′ dirà, in accordo con
O, che per lui la prima legge della dinamica è vera. Quindi, anche O′ è un sistema di riferimento inerziale.
Tutti i sistemi di riferimento in moto uniforme lineare rispetto a un sistema di riferimento inerziale sono anch’essi
28

inerziali. Ne segue l’importante principio di relatività Galileiana:

Per tutti questi sistemi in moto rettilineo uniforme rispetto ad un SRI, la seconda legge di Newton è vera ed è scritta
esattamente nello stesso modo, con le stesse forze e la stessa accelerazione. E’ quindi impossibile dire quali di questi
sistemi di riferimento siano in moto e quali a riposo. Il concetto di moto assoluto deve quindi essere abbandonato
poiché non ”testabile” dal punto di vista sperimentale.

Diversamente, nei SRNI la seconda legge della dinamica va modificata nella forma (82) dove, accanto alle forze
reali F⃗ = i F⃗i dobbiamo aggiungere anche le forze apparenti le quali, come già detto, non hanno una origine fisica,
P
ma nascono unicamente dallo stato di moto (accelerato) di O′ .

Si noti che le due formulazioni (82) o (81) sono del tutto equivalenti: In un SRNI possiamo descrivere la dinamica
di un corpo o includendo tra le forze agenti su di esso anche quelle fittizie per cui

⃗ = m ⃗a′ ,
R (84)

dove R⃗ = F⃗ + F⃗app è la risultante di tutte le forze agenti sul corpo (reali e apparenti) o aggiungendo all’accelerazione
osservata ⃗a′ le accelerazioni spurie causate dallo stati di moto di O′

F⃗ = m A
⃗, (85)

⃗ = ⃗a′ + ⃗aapp .
dove A

VI. IMPULSO E QUANTITÀ DI MOTO

L’azione di una forza dipende essenzialmente da due fattori lo spostamento del punto di applicazione e la durata
della sua applicazione.
Un corpo A muovendosi su un piano privo di attrito raggiunge un secondo corpo B e lo urta. Nella figura vengono
mostrate alcune delle situazioni possibili.

FIG. 30.

Durante la collisione A esercita su B una forza F⃗AB (t) e a sua volta B esercita su A una forza F⃗BA (t): per il 3o
principio della dinamica ad ogni istante sarà:

F⃗AB (t) = −F⃗BA (t) . (86)

Queste forze che si esercitano durante l’urto possono essere spesso molto superiori a quelle (ad es. il peso) che si
esercitano continuamente su A e B.
È facile intuire che queste forze non sono costanti. Prima del contatto sono nulle, saranno piccole nel primo istante (t1 )
del contatto, poi raggiungono un massimo e infine di nuovo si annullano quando (t2 ) i corpi si separano. L’effetto di
queste forze è di impartire a ciascun corpo una accelerazione rapidamente variabile. Per il secondo principio, F⃗ = m ⃗a,
in ogni istante della collisione noi abbiamo

d⃗vA d⃗vB
F⃗AB (t) = mA F⃗BA (t) = mB , (87)
dt dt
29

ossia

F⃗AB (t) dt = mA d⃗vA F⃗BA (t) dt = mB d⃗vB . (88)

Queste relazioni devono valere per tutti gli intervalli infinitesimi di tempo compresi tra gli istanti di contatto t1 e di
separazione t2 . Quindi integrando avremo
Zt2 Zv2 Zt2 Zv2
F⃗AB (t) dt = mA d⃗vA F⃗BA (t) dt = mB d⃗vB , (89)
t1 v1 t1 v1

e poiché mA e mB sono costanti:


Zt2 Zt2
F⃗AB (t) dt = mA ⃗vA2 − mA ⃗vA1 F⃗BA (t) dt = mB ⃗vB2 − mA ⃗vB1 (90)
t1 t1

A. Impulso

Da queste importanti relazioni ricaviamo due conseguenze notevoli. Per giungere alla prima, si definisce impulso
elementare dJ⃗ di una forza nel tempo dt la grandezza vettoriale

dJ⃗ = F⃗ (t) dt (91)

e si definisce impulso di una forza (variabile) nel tempo da t1 a t2 la grandezza vettoriale

Zt2
J⃗ = F⃗AB (t) dt (92)
t1

L’unità di misura nel S.I. dell’impulso è il N · s e le sue dimensioni sono [J] = [L] [M ] [T ]−1 .
L’impulso elementare della forza F⃗AB nell’intervallo dt è rappresentato dall’area del rettangolo tratteggiata in figura e
l’impulso totale durante l’intera collisione sarà rappresentato dall’area totale racchiusa tra la curva e l’asse dei tempi.

FIG. 31.

B. Quantità di moto

Si definisce quantità di moto p⃗ di un punto materiale di massa m la grandezza vettoriale

p⃗ = m ⃗v (93)
30

Le sue dimensioni sono [p] = [M ] [L] [T ]−1 e l’unità di misura nel S.I. è il kg m/s. Questa grandezza è molto impor-
tante perché unisce i due parametri che caratterizzano lo stato dinamico di un mobile: e cioè la sua massa e la sua
velocità.

C. Teorema dell’impulso

Le relazioni (90) si possono quindi scrivere sia per il corpo A che per il corpo B nella forma detta teorema
dell’impulso
J⃗ = p⃗2 − p⃗1 = ∆⃗
p, (94)

p = p⃗2 − p⃗1 della quantità di moto di un corpo soggetto all’azione della forza F⃗ nell’intervallo
che dice: la variazione ∆⃗
di tempo da t1 a t2 è uguale all’impulso J⃗ corrispondente (qualunque sia la legge F⃗ (t) con la quale la forza varia nel
tempo).

1. Il teorema dell’impulso rappresenta la forma integrale della seconda legge della dinamica.
2. Vettorialmente è da osservare che ad ogni istante la quantità di moto ha la direzione della velocità, l’impulso
elementare quella della forza.

3. Essendo la (94) una relazione vettoriale essa può essere decomposta nelle tre relazioni scalari corrispondenti alle
tre componenti vettoriali
Jx = ∆px , Jy = ∆py , Jz = ∆pz . (95)

4. Considerare l’impulso è utile in tutti quei casi (analoghi a quello considerato) in cui la forza agisce per una
durata di tempo breve e con una grande intensità (per es. un colpo di martello, una esplosione, ecc.). In questi
casi la forza varia rapidamente nel breve tempo in cui agisce ed è difficile conoscere il suo andamento nel tempo.
Ma il suo effetto non dipende dal modo in cui varia, bensı̀ solo dall’impulso. Questo si può scrivere anche come
J⃗ = F⃗m (t2 − t1 ) (96)

FIG. 32.

ove con F⃗m si indica il valore medio di F⃗ nel tempo dato.


Le forze di questo tipo (forze impulsive o istantanee o percussioni) sono tali che il corpo al quale sono applicate
si sposta cosı̀ poco, durante l’azione della forza, che lo spostamento stesso può essere trascurato; si ha cioè
una brusca variazione di velocità del corpo senza variazione istantanea di posizione (questo sarebbe vero in
modo rigoroso solo se la forza fosse infinitamente grande e l’intervallo di tempo infinitamente piccolo in maniera
tale che l’impulso fosse finito). In questo senso si dice che dal punto di vista dinamico l’effetto della forza è
completamente determinato dal suo impulso.
31

5. Avendo introdotto la quantità di moto p⃗ = m ⃗v possiamo scrivere il 2o principio della dinamica nella forma
d⃗
p
F⃗ = . (97)
dt

Anzi è da notare che Newton ha introdotto la 2a legge proprio in questo modo, che è più generale della F⃗ = m ⃗a.
Infatti, per avere quest’ultima forma si deve supporre m = cost.
d(m ⃗v ) d⃗v
F⃗ = se la massa e′ costante F⃗ = m ≡ m ⃗a . (98)
dt dt

Tuttavia la (97) ha una validità più generale poiché tiene conto anche di quei casi in cui la massa varia nel tempo (ex.
un missile che brucia grandi quantità di combustibile al secondo).

D. Conservazione della quantità di moto nei sistemi isolati

1. Come si è detto i due corpi A e B non hanno alcuna interazione con il resto dell’Universo, cioè formano per
definizione un sistema isolato e in ogni istante t ci saranno solo le due forze F⃗A (t) = −F⃗B (t).
Quindi, qualunque siano t1 e t2 si ha anche:

J⃗AB = −J⃗BA (99)

ovvero

p⃗A2 − p⃗A1 = −(⃗


pB2 − p⃗B1 ) ⇒ p⃗A1 + p⃗B1 = p⃗A2 + p⃗B2 (100)

Se definiamo ora come quantità di moto totale P⃗ del sistema isolato la somma vettoriale delle quantità di moto dei
corpi che lo costituiscono

P⃗ = p⃗A + p⃗B (101)

si può scrivere

P⃗1 = P⃗2 = costante (102)

ossia: la quantità di moto totale del sistema isolato rimane inalterata durante la collisione studiata e più in generale
durante il moto dei corpi del sistema.
Naturalmente l’affermazione è estendibile ad un sistema isolato costituito da più di due corpi e si dirà: la quantità di
moto totale P⃗ di un sistema isolato è un vettore costante nel tempo, ossia è una grandezza che si conserva.
È questo l’importante teorema della conservazione della quantità di moto per i sistemi isolati.

2. Se la forza che agisce su un corpo massivo è nulla, nullo sarà anche l’impulso. Di conseguenza

I⃗ = 0 = ∆⃗
p ⇒ p⃗ = cost. (103)

ovvero, se la risultante delle forze agenti su un corpuscolo è nulla allora il suo impulso si conserva. Ciò significa che
il mobile si muoverà di moto rettilineo uniforme. Pertanto, il teorema dell’impulso contiene come caso limite anche il
primo principio della dinamica.
3. Gli esempi fisici della conservazione della quantità di moto sono numerosi, nella misura in cui possiamo consid-
erare isolato il sistema.

a) Nell’espulsione di un proiettile da una canna da fuoco si ha rinculo di questa per compensare la quantità di moto
acquistata nella direzione opposta dalla pallottola.

b) In modo analogo quando un nucleo subisce una disintegrazione radioattiva β emettendo un elettrone si dovrebbe
avere rinculo del nucleo: il fatto che gli esperimenti sui nuclei β-attivi mostrassero una non perfetta uguaglianza tra
p⃗nucl e −⃗
pelettr ha portato a suggerire (assieme ad altri argomenti) l’esistenza di una seconda particella, il neutrino,
emessa nella disintegrazione, in modo che p⃗neutrino sommata alla p⃗elettrone desse come risultato proprio −⃗
pnucl .
32

c) Quando un proiettile si disintegra in volo la P⃗ totale dei frammenti subito dopo l’esplosione deve essere uguale
alla P⃗ = m ⃗v del proiettile all’istante prima della disintegrazione.

d) Come ulteriore esempio, consideriamo il seguente esperimento. Due carrelli m1 e m2 possono scorrere senza
attrito su un piano orizzontale ben levigato e sono collegati con un filo in modo da mantenere in compressione una
molla posta fra di essi.

FIG. 33.

La reazione vincolare del piano annulla le forze peso dei corpi, cioè le forze esterne hanno risultante nulla, per cui il
sistema può considerarsi isolato; perciò deve conservare la sua quantità di moto totale P⃗ .
Se i due corpi sono inizialmente fermi, è P⃗ = 0. Tagliamo ora il filo; la molla eserciterà la propria forza di reazione
elastica: la massa m1 acquisterà velocità ⃗v1 in un senso e la m2 una velocità ⃗v2 nel senso opposto. Ma P⃗ = m ⃗v1 +m ⃗v2
del sistema deve restare sempre nulla, poiché inizialmente era nulla, per cui sarà:

m1 ⃗v1 = −m2 ⃗v2 (104)

(il segno meno significa che le velocità ⃗v1 e ⃗v2 hanno verso opposto).
Si vede cosı̀ che il rapporto delle due velocità è uguale al rapporto inverso delle rispettive masse cioè il carrello di
massa minore acquisterà una velocità maggiore dell’altro carrello.
⃗ , si scriverà
Se il sistema, anzichè essere inizialmente (prima della rottura del filo) in quiete, possiede una velocità V

P⃗ = (m1 + m2 ) V
⃗ = cost (105)

e nello stato finale (dopo la rottura del filo)


m1 ⃗v1 + m2 ⃗v2 = (m1 + m2 ) V (106)

quindi

⃗ + m 2 (V
⃗v1 = V ⃗ − ⃗v2 ) (107)
m1

VII. MOMENTO DI UNA FORZA E MOMENTO ANGOLARE (O DELLA QUANTITÀ DI MOTO)

A. Momento di una forza

Finora, i vettori introdotti non hanno punto di applicazione ma soltanto direzione, modulo e verso (vettori liberi).
Tuttavia in alcuni casi è importante specificare, oltre al vettore ⃗v , un punto P in cui intendiamo sia posta la sua
origine (vettori applicati) e sarà denotato dalla coppia (⃗v , P ).
Per esempio, se volessimo aprire una porta è più facile farlo applicando una forza alla maniglia piuttosto che spingerla
vicino ai cardini. L’esperienza ci insegna che anche la direzione con cui spingiamo la porta gioca un ruolo: facciamo
meno fatica se spingiamo la porta perpendicolarmente piuttosto che di sghembo!
33

FIG. 34.

Ricordiamo che dato un vettore ⃗v (applicato in un punto P ) rispetto ad un polo Ω, il suo momento è definito dal
prodotto vettoriale
⃗ Ω = ⃗r ∧ ⃗v ,
M (108)

che è da considerarsi un vettore libero (sebbene si assume convenzionalmente applicato al polo Ω), perpendicolare al
piano contenente i vettori ⃗r e ⃗v e modulo

MΩ = |⃗r ∧ ⃗v | = r v sin(θ) . (109)

Il modulo di questo vettore può essere visto nelle due forme equivalenti

MΩ = v (r sin(θ)) ≡ v ℓ , o MΩ = r (v sin(θ)) ≡ r v⊥ , (110)

FIG. 35.

cioè o come prodotto del modulo di ⃗v per il braccio ℓ = r sin(θ) cioè la distanza minima tra la retta d’azione di ⃗v e il
polo Ω oppure, come prodotto del modulo di ⃗r per la componente trasversa del vettore ⃗v .

Il momento di un vettore è nullo se


1. il vettore ⃗v è nullo
2. la retta d’azione di ⃗v passa per il polo (per cui il braccio ℓ è nullo)
3. i vettori ⃗v ed ⃗r sono paralleli (per cui θ = 0)
Più in generale, il momento di un vettore dipenderà dalla scelta del polo. Se si cambia polo da Ω a Ω′ il momento
cambia in
⃗ Ω = ⃗r ∧ ⃗v = (⃗rΩ + ⃗r′ ) ∧ ⃗v = ⃗rΩ ∧ ⃗v + M
M ⃗ Ω′ . (111)

Se il vettore ⃗v si identifica con la forza F⃗ agente su un punto allora il suo momento rispetto a un polo Ω si chiama
semplicemente momento della forza.
In genere il polo non sempre coincide con l’origine del sistema di riferimento per cui
⃗ Ω = ⃗r′ ∧ F⃗ .
M (112)
34

FIG. 36.

FIG. 37.

Si noti che:

⃗ Ω′ = M
1. Come già detto, il momento della forza dipende dalla scelta del polo: M ⃗ Ω + ⃗rΩ ∧ F⃗

2. Se diverse forze sono applicate nello stesso punto P il momento totale è uguale al momento della risultante:
P ⃗
MΩ = i ⃗r′ ∧ F⃗i = ⃗r′ ∧ i F⃗i
P P

⃗ ] = [M ] [L]2 [T ]−2 mentre l’unità di misura nel SI è newton per metro (N ·m)
3. Le dimensioni del momento sono [M

B. Momento (polare) della quantità di moto

Dato un mobile di massa m e velocità ⃗v si definisce momento della quantità di moto (o momento angolare) rispetto
ad un polo Ω la grandezza

⃗ Ω = ⃗r′ (t) ∧ p⃗(t) = ⃗r′ (t) ∧ m ⃗v (t)


L (113)

dove ⃗r′ è il raggio vettore del mobile staccato dal polo Ω mentre p⃗ = m ⃗v è la quantità di moto riferita sempre
all’origine O! Questo momento della quantità di moto è perciò un vettore perpendicolare al piano determinato da ⃗r′
⃗ = [M ] [L]2 [T [−1 e l’unità di misura nel SI è il kg m2 /s.
e ⃗v . L’equazione dimensionale è [L]

FIG. 38.
35

In componenti cartesiane, ricordando che

î ĵ k̂
⃗r ∧ p⃗ = x y z (114)
px py pz
si ha
Lx = y pz − z py Ly = z px − x pz Lz = x py − y px (115)

Durante il moto di un mobile il vettore L ⃗ varia in generale di modulo e direzione. In particolare:


a) se il moto è piano varia solo di modulo, ma non di direzione, restando sempre perpendicolare al piano;
⃗ sarà parallelo a ω
b) se il moto è circolare si avrà v = ω r e inoltre il vettore L ⃗ per cui
⃗ = m ⃗r ∧ ⃗v = m r2 ω
L ⃗ (116)
⃗ = cost.
c) se il moto oltre a essere circolare è anche uniforme sarà L
d) se il moto è piano ma non circolare, cioè genericamente curvilineo, e il poloΩ coincide con l’origine del sistema di
riferimento polare, scomponiamo ⃗v in componenti polari secondo ⃗r e θ, cioè ⃗v = ⃗vr + ⃗vθ . Si avrà
⃗ = m ⃗r ∧ ⃗v = m ⃗r ∧ (⃗vr + ⃗vθ ) = m ⃗r ∧ ⃗vθ
L (117)
essendo nullo m ⃗r ∧ ⃗vr per il parallelismo dei due vettori. In modulo, ricordando che vθ = r dθ/dt, ed essendo vθ
normale a r si ha:

L = m r vθ = m r 2 = m r2 ω (118)
dt
⃗ esiste (cioè non è nullo) tutte le volte che
che è uguale alla (116) salvo che ora r è variabile. Risulta cosı̀ chiaro che L
un punto materiale possiede velocità angolare rispetto al polo Ω scelto per calcolarlo. Ciò spiega perché esso viene
anche chiamato momento angolare o momento di rotazione.
In generale il polo Ω può essere in movimento e quindi non coincidere ad ogni istante con l’origine del SR. Poiché
il momento angolare dipende dalla scelta del polo, quando il polo cambia, anche il momento angolare cambia:

FIG. 39.

⃗ Ω = ⃗r′ ∧ p⃗ = (⃗r” + Ω Ω′ ) ∧ p⃗ = ⃗r” ∧ p⃗ + Ω Ω′ ∧ p⃗


L (119)
ovvero
⃗Ω = L
L ⃗ ′Ω + Ω Ω′ ∧ p⃗ . (120)

C. Teorema del momento angolare

⃗ Ω si ha
Se deriviamo rispetto al tempo L
⃗Ω
dL d⃗r′ d⃗
p
= ∧ p⃗ + ⃗r′ ∧ (121)
dt dt dt
36

Ricordando che
d⃗r′ d
= (⃗r − ⃗rΩ ) = ⃗v , (122)
dt dt
se il polo è fisso (⃗vΩ = 0) e poiché p⃗ = m ⃗v è parallelo a ⃗v si ha:
d⃗r′
∧ p⃗ = ⃗v ∧ p⃗ = m ⃗v ∧ ⃗v = 0 . (123)
dt
Per il 20 principio F⃗ = d⃗
p/dt e la (121) diventa
⃗Ω
dL d⃗
p
= ⃗r′ ∧ = ⃗r′ ∧ F⃗ . (124)
dt dt
Se con M ⃗ Ω indichiamo il momento (polare) della forza F⃗ rispetto allo stesso polo Ω (da notare che il polo deve essere
lo stesso per L⃗ Ω e per M
⃗ Ω !), e cioè

⃗ Ω = ⃗r′ ∧ F⃗ ,
M (125)
la precedente formula diventa

⃗ Ω = dLΩ ,
M (126)
dt
importante relazione detta teorema del momento della quantità di moto. Essa è una nuova espressione del 2° principio
della dinamica particolarmente adatta per lo studio dei moti rotatori.
Questo teorema ci dice che la derivata temporale del momento della quantità di moto di un mobile è uguale al momento
della forza applicata, ove i momenti siano calcolati rispetto allo stesso polo fisso.
Può accadere che il polo Ω non sia fisso: allora la (122) si trasforma cosı̀

FIG. 40.

d⃗r′ d
= (⃗r − ⃗rΩ ) = ⃗v − ⃗vΩ , (127)
dt dt
come si vede dalla figura e la (126) diventa
⃗Ω
dL d⃗
p
= (⃗v − ⃗vΩ ) ∧ p⃗ + ⃗r′ ∧ (128)
dt dt
ovvero
⃗Ω
dL
= −⃗vΩ ∧ p⃗ + ⃗r′ ∧ F⃗ . (129)
dt
dove abbiamo tenuto conto che ⃗v ∧ p⃗ = ⃗v ∧ m ⃗v = 0. Per cui

⃗ Ω = dLΩ + ⃗vΩ ∧ p⃗
M (130)
dt
che è la generalizzazione per il caso del polo mobile.
37

FIG. 41.

Osserviamo:

a) Nel moto circolare uniforme si è visto che L ⃗ = cost. Quindi dL/dt


⃗ = 0 e quindi anche M ⃗ = 0 il che significa
che la forza è diretta lungo il raggio. Tutto questo è ragionevole anche alla luce della abituale espressione F⃗ = m ⃗a,
perché se la forza è diretta in senso radiale evidentemente non può produrre delle accelerazioni tangenziali (un caso
pratico di ciò è realizzato dalla forza centripeta).
b) Se invece il momento M ⃗ della forza non è nullo, vuol dire che esiste una componente della forza tangente alla
traiettoria, che provoca una accelerazione ⃗at per cui il punto acquista una velocità ⃗v crescente: ciò naturalmente
comporta che deve cambiare, nel tempo, anche il momento angolare L. ⃗

D. Teorema dell’impulso angolare

In completa analogia con la definizione di impulso definiamo l’impulso angolare di una forza (variabile) nel tempo
da t1 a t2 la grandezza vettoriale

Zt2
J⃗Ωang = ⃗ Ω (t) dt .
M (131)
t1

Le sue dimensioni dell’impulso angolare sono [L]2 [M ] [T ]−1 e l’unità di misura nel S.I. è il N m s.
E’ facile verificare, usando il teorema del momento angolare che

J⃗Ωang = ∆L
⃗Ω (132)

Se la forza è applicata per un tempo molto breve (cosicché ⃗r′ non cambia significativamente durante la sua azione)
possiamo anche scrivere

Zt2 Zt2
J⃗Ωang = ⃗r ∧ F⃗ (t) dt ≈ ⃗r′ ∧

F⃗ (t) dt = ⃗r′ ∧ J⃗ (133)
t1 t1

cioè l’impulso angolare approssimativamente uguale al momento dell’impulso.

E. Conservazione del momento angolare

Come nel caso dell’impulso, anche per l’impulso angolare, se la risultante dei momenti delle forze agenti su un
corpuscolo è nullo allora sarà nullo anche l’impulso angolare, per cui

J⃗Ωang = 0 = ∆LΩ ⇒ ⃗ Ω = cost.


L (134)
38

F. Forze centrali

Il teorema M ⃗ = dL/dt
⃗ ⃗ = 0.
offre un caso particolare, che interessa molto discutere, e precisamente il caso in cui M
⃗ ⃗ ⃗ ⃗
In questo caso L = cost. cioè L si conserva. Ora il momento della forza applicata M = ⃗r ∧ F può essere nullo in due
casi (oltre che in quello ⃗r = 0) di interesse fisico.

Caso 1: M⃗ = 0 se F⃗ = 0. Allora il punto mobile è libero e si muove per il principio di inerzia di moto rettilineo ed
⃗ = cost..
uniforme, cioè il p⃗ = m ⃗v = cost. ed anche L

Caso 2: M ⃗ = 0 se F⃗ ∥ ⃗r, cioè se F⃗ è parallelo ad ⃗r, cioè se la direzione di F⃗ passa per un punto fisso che scegliamo
come polo Ω. Una forza diretta sempre verso un punto fisso è detta forza centrale. Quindi dal nostro teorema si ha
che quando la forza è centrale il momento della quantità di moto rispetto al centro (polo) della forza è una costante
del moto, e viceversa.
Questa affermazione è molto importante perché in fisica si ha a che fare con casi molto importanti di forze centrali:
ad es., il moto dei pianeti attorno al Sole ed il moto degli elettroni atomici attorno al nucleo (nell’approssimazione
semiclassica) sono con buona approssimazione dovuti a forze centrali (gravitazionali nel primo caso ed elettromag-
netiche nel secondo). Si ha subito una proprietà importante: Il moto dovuto ad una forza centrale è sempre piano.
⃗ = cost. come vettore, la sua direzione deve essere fissa nello spazio e cioè ⃗r e ⃗v giacciono sempre
Infatti, essendo L
nello stesso piano.
Un altro aspetto importante delle forze centrali è che conservano la velocità areolare. Infatti, il modulo del momento
angolare si può scrivere
LΩ = |⃗r′ ∧ m ⃗v | = m r′ vt , (135)
che sarà costante se la forza è centrale. vt è la componente trasversa della velocità, cioè la componente perpendicolare
a ⃗r′ . Essa può essere scritta come

vt = r ′ . (136)
dt
per cui

LΩ = m r′2 = cost. (137)
dt

FIG. 42.

Ora, nell’intervallo di tempo infinitesimo dt il vettore che collega il polo Ω e il punto P spazza un’area (in grigio) data
da:
1 1 dA 1 dθ LΩ
dA = |⃗r′ ∧ d⃗r′ | = r′ (r′ dθ) ⇒ = r′2 ≡ (138)
2 2 dt 2 dt 2m
che è quindi costante!

Nel caso di un pianeta che si muove su un’orbita ellittica intorno al Sole, questa affermazione è conosciuta come la
Seconda legge di Keplero ma vale anche in un modello classico di atomo in cui l’elettrone ruota attorno al nucleo per
effetto della forza di Coulomb che è ancora una forza centrale.

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