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Capitolo 1

Dinamica del punto


materiale

Rivolgiamo il nostro interesse alle relazioni tra il moto di un corpo e le cause


che lo determinano. Queste sono da ricercarsi nell’ambiente che circonda il
corpo, costituito da altri corpi, che, interagendo con esso, ne determinano il
movimento.
Possiamo formulare il problema da affrontare nel modo seguente:

• un corpo di proprietà fisiche note (massa, carica elettrica, momento


magnetico, etc.) si trova in una posizione iniziale specificata da cui si
muove con velocità iniziale nota;

• sono note tutte le interazioni che il corpo ha con l’ambiente, cioè con
i corpi circostanti, più o meno lontani;

• vogliamo determinare il moto del corpo, cioè la sua posizione e velocità,


negli istanti successivi e/o antecedenti a quello iniziale.

1.1 Forze e interazioni


Abbiamo detto che l’obbiettivo del nostro studio è quello di determinare le
leggi con cui si svolge il moto (leggi orarie) a partire dalle interazioni del
corpo che si muove con l’ambiente circostante. Limitiamoci a considerare
un corpo assimilabile ad un punto.
Si pongono i seguenti problemi

1. Come si rappresenta l’interazione tra un corpo e l’ambiente circostante?


Se l’ambiente è costituito da altri corpi con quale strumento con-
cettuale possiamo esprimere in modo quantitativo questa interazione?
Che caratteristiche generali deve avere la sua rappresentazione matem-
atica?

1
2 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

2. Come dipende questa interazione dalle proprietà del corpo? Quali fra
queste lo identificano ai fini del suo comportamento meccanico? Come
dipende dalle proprietà dei corpi circostanti?

3. Quale legame esiste tra le interazioni e le grandezze cinematiche at-


traverso le quali descriviamo il moto (posizione, velocità e acceler-
azione)?

Il primo problema viene affrontato nel contesto della meccanica classica


introducendo il concetto di forza . L’interazione tra l’ambiente e il corpo
puntiforme è rappresentata dalle forze su di esso esercitate dai corpi cir-
costanti.
Il concetto di forza è un concetto elementare, che fa riferimento alla nostra
esperienza quotidiana. Della forza possiamo in linea generale affermare che
ha una certa intensità, una direzione ed un verso: si tratta dunque di un
vettore. Nel seguito supponiamo di poter rappresentare l’interazione
tra un corpo e l’ambiente tramite uno o più vettori forza. Queste
forze devono vedersi come vettori applicati al corpo puntiforme (particella)
oggetto di studio. La loro somma è la forza risultante agente sulla particella.
Relativamente alla seconda questione dobbiamo appoggiarci sull’espe-
rienza che ci suggerisce le forme appropriate per legare l’intensità , la di-
rezione e il verso delle forze tra corpi a specifiche proprietà dei corpi stessi,
come la massa gravitazionale, la carica elettrica, il momento di dipolo mag-
netico, le costanti elastiche etc. Le leggi che precisano la relazione
matematica che lega il vettore forza alle proprietà dei corpi in-
teragenti sono dette leggi delle forze. Va sottolineato il fatto che si
tratta di leggi che derivano dall’esperienza: per questo la loro rappresen-
tazione richiede di regola la conoscenza di costanti che si determinano per
via sperimentale.
La terza questione è quella che va al cuore del problema: se dobbiamo
determinare dalla conoscenza delle forze la legge oraria, occorre stabilire un
legame tra forze e grandezze cinematiche. Questo legame va sotto il nome
di legge del moto.

1.2 Dinamica del corpo libero


Il primo problema da affrontare è quello relativo al moto di un corpo non
soggetto a forze cioè un corpo libero. Idealmente si può pensare che
questa situazione si realizzi se il corpo in esame è molto lontano da ogni altro
oggetto fisico, dato che si assume che l’effetto delle interazioni sia tanto più
debole quanto più lontani sono tra loro i corpi interagenti. Si tratta di una
condizione materialmente irrealizzabile. Possiamo tuttavia porci il proble-
ma in altro modo: cosa accade se le interazioni tra il corpo e l’ambiente
danno una forza risultante, somma di tutte le interazioni, nulla? Questo
1.2. DINAMICA DEL CORPO LIBERO 3

può realizzarsi se le interazioni si compensano in modo opportuno (sempre


nell’ipotesi che il corpo sia assimilabile ad un punto).
Un esempio che illustra come questo possa avvenire è quello della forza

Figura 1.1: Equilibrio della forza peso

peso. Sappiamo che un corpo, che non venga trattenuto, cade come con-
seguenza dell’interazione tra esso e la Terra, interazione rappresentata da
una forza diretta verso il basso. Se però lo stesso corpo lo appoggiamo su
un ripiano, esso resta fermo. Dobbiamo concludere che la forza esercitata
dal ripiano sul corpo equilibra quella esercitata dalla Terra: il corpo risulta
dunque soggetto ad una forza risultante nulla. In apparenza abbiamo real-
izzato la situazione di un corpo libero, non soggetto alla forza peso, senza
doverlo allontanare dalla Terra.
A prima vista sembra dall’esempio di poter concludere che un corpo non
soggetto a forze stia fermo. Tuttavia l’esperienza dimostra che non esiste
modo di distinguere sul piano sperimentale le leggi della fisica mis-
urate da un osservatore da quelle misurate da un altro osservatore
che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto al primo.
Questa affermazione, che va sotto il nome di Principio di Relatività, com-
porta che la legge del moto del corpo appoggiato sul tavolo sia la stessa per
un osservatore che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto al tavolo.
Ma per questo osservatore il corpo si muove con velocità costante uguale
ed opposta a quella con cui egli si muove rispetto al tavolo (si veda la Fig.
2). Dobbiamo pertanto concludere che un corpo non soggetto a forze
si muove di moto rettilineo uniforme, cioè con velocità costante
in modulo, direzione e verso. Il caso di un corpo fermo corrisponde a
quello di un moto con velocità nulla.
Questa legge fisica va sotto il nome di Principio di Inerzia o Primo
Principio della Dinamica.
Per meglio comprendere questa conclusione si immagini di essere su un
treno che si muove con velocità costante per esempio lungo la direzione
4 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

Figura 1.2: Corpo libero rispetto a una coppia di osservatori

orizzontale x. Un osservatore nel treno (sistema B in Fig. 2), che abbia


appoggiato un corpo sul tavolinetto del treno, vedendolo fermo concluderà
che esso non è soggetto a forze e che pertanto l’effetto della forza peso è
equilibrato dalla interazione tra il corpo ed il piano di appoggio del tavo-
linetto. L’osservatore fermo (osservatore A in figura) vede il corpo muoversi
con la stessa velocità costante del treno lungo x. Poichè il corpo non cade
di moto accelerato lungo la verticale anche A concluderà che la forza peso è
equilibrata dall’interazione tra il corpo e il piano di appoggio.

1.2.1 I sistemi di riferimento inerziali


La conclusione che abbiamo tratto non è tuttavia vera per tutti i sistemi di
riferimento. Come avremo modo di vedere, un osservatore che si muove di
moto accelerato non arriva alla stessa conclusione. Sistemi di riferimento
per i quali è valido il principio di inerzia sono detti inerziali.
Possiamo utilizzare l’esempio dell’osservatore su un treno in moto per
cogliere la differenza tra un sistema di riferimento inerziale ed uno accelerato.
Supponiamo che l’osservatore A della fig. 2 sia un sistema di riferimento
inerziale. Sappiamo che se B si muove con accelerazione identicamente nulla,
anche egli sarà un osservatore inerziale. Ma cosa accade se il treno accelera?
Se la velocità del treno aumenta, B osserva che il blocco si muove verso di lui
(supponiamo che il tavolinetto sia liscio, cosı̀ da poter trascurare l’attrito tra
il blocco e il piano di appoggio, che potrebbe trattenere il blocco). Poichè in
apparenza nessuna nuova interazione è stata introdotta, egli conclude che il
sistema di riferimento in cui opera non è inerziale, dal momento che osserva
un’accelerazione in assenza di forze. Per l’osservatore A invece la situazione è
diversa: egli osserva che il treno è stato accelerato, mentre il blocco che non
è rigidamente collegato al treno, ha continuato il proprio moto rettilineo
uniforme, perchè non è soggetto a forze, con la stessa velocità che aveva
prima dell’accelerazione del treno.
1.2. DINAMICA DEL CORPO LIBERO 5

Si pone allora il problema di identificare almeno un sistema di riferimen-


to in cui il principio di inerzia è verificato. Ogni altro osservatore in moto
rettilineo uniforme rispetto ad esso risulta, per il Principio di Relatività,
costituire un sistema di riferimento inerziale.
Se si fa questo si verifica che non esiste alcun sistema di riferimento che sia
perfettamente inerziale. Piuttosto si osserva che un sistema di riferimento
può comportarsi come inerziale se i processi meccanici che si considerano
hanno certe caratteristiche, e cessa di esserlo in altri casi.
Un buon esempio è fornito da un sistema di riferimento solidale con la Ter-
ra. Fin tanto che il nostro interesse è rivolto verso moti che avvengono su
scala spaziale piccola rispetto al raggio terrestre , il principio di inerzia è ben
verificato. Se tuttavia la nostra osservazione riguarda moti su larga scala,
come quelli delle perturbazioni atmosferiche (moto dei venti) o quelli di un
aereo o di un proiettile che si muove su grandi distanze, si constata che il
principio di inerzia non è verificato. Ciò in quanto la Terra è un sistema
di riferimento soggetto ai moti accelerati di rotazione sul proprio asse e di
rivoluzione attorno al Sole. A maggior ragione questo avviene se si cerca
di studiare il moto del Sole e dei Pianeti riferendosi ad un sistema solidale
con la Terra: il sistema di riferimento non risulta inerziale e la dinamica di
questi corpi diventa assai complicata.
Si potrebbe pensare di ovviare a questi problemi scegliendo come sistema
di riferimento quello che ha centro nel Sole e assi collegati alle stelle fisse (cioè
a stelle delle principali costellazioni). A parte gli aspetti pratici dell’utilizzo
di tale sistema, si verifica che esso si comporta per moti di larga scala spaziale
e per tempi sufficientemente lunghi, come un sistema inerziale. Questo è il
motivo per cui la dinamica dei pianeti e della Terra stessa risulta, come
sappiamo dalla rivoluzione copernicana, molto più facilmente intellegibile in
questo sistema (ove il Sole è fermo), che in un sistema terrestre.
Se tuttavia analizziamo il moto delle stelle della nostra galassia e della
galassia stessa utilizzando questo sistema di riferimento, constatiamo che
esso non è inerziale. Il Sole è infatti animato di un moto di rotazione attorno
al centro della galassia, da cui dista circa 25000 anniluce, con un periodo di
approssimativamente 225 milioni di anni. Su queste scale spazio-temporali
il principio di inerzia non è verificato. Se vogliamo un sistema inerziale per
questi moti, dobbiamo scegliere un sistema di riferimento con centro nella
galassia e assi rivolti verso altre galassie.
Tutto questo evidenzia come il concetto di sistema inerziale non sia af-
fatto scontato sul piano sperimentale. Per quello che ci riguarda tuttavia
postuleremo nel seguito che sia sempre possibile trovare per i moti
oggetto di studio un sistema inerziale.
Questo ci porta a formulare il Principio di Inerzia nella seguente forma:
esistono sistemi di riferimento detti inerziali che hanno la propri-
età che un corpo libero, cioè non soggetto a forze, si muove di
moto rettilineo uniforme.
6 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

1.3 Il secondo principio della dinamica


Nel seguito supponiamo di operare in un sistema inerziale. Segue da ciò
che in tale sistema non occorre una forza per mantenere un corpo a velocità
costante. Questo ci porta a concludere che la forza può legarsi solo a
variazioni della velocità .
In realtà la nostra esperienza quotidiana suggerisce che la forza applicata
ad un corpo possa determinare due effetti: variarne la velocità se il corpo
è libero di muoversi e/o deformare il corpo, se il corpo è vincolato. Questo
indica che la forza è suscettibile di due diverse procedure di misura. Se ne
può cioè effettuare:

• una misurazione statica, basata sulla deformazione indotta in un corpo


vincolato,

• una misurazione dinamica, vale a dire basata sui cambiamenti indotti


nel moto di un corpo.

Le due misurazioni effettuate per la stessa forza agente sullo stesso corpo
sono indipendenti. Questo può consentirci di stabilire la relazione che lega la
forza alle grandezze cinematiche, in quanto possiamo fare una misura della
forza, indipendente dalla cinematica del moto, attraverso la deformazione
da essa indotta su un corpo fermo, e misurare la variazione delle grandezze
cinematiche, quando il corpo si muove soggetto alla stessa forza.
Per capire come questo possa avvenire consideriamo il caso della forza
peso. Essa può misurarsi tramite un dinamometro, vale a dire uno stru-
mento che misura la deformazione elastica indotta su una molla da un corpo
pesante, come illustrato in Fig. 3. Il dinamometro consiste di una molla
applicata ad un supporto fisso e opportunamente tarata. Se all’estremità
della molla viene applicata una forza (il peso di un corpo), essa si deforma
rispetto alla configurazione iniziale.
La legge che lega la deformazione all’intensità della forza peso è di tipo
lineare, vale a dire l’elongazione della molla è proporzionale al pe-
so, quindi un corpo di peso doppio di un altro induce una deformazione di
lunghezza doppia. Una volta scelto un corpo di riferimento come unità di
misura, il peso P di ogni altro corpo rispetto ad esso può misurarsi deter-
minando il rapporto delle deformazioni della molla.
Sappiamo che tutti i corpi cadono nel vuoto lungo la verticale con la stessa
accelerazione. Se vogliamo misurare la relazione tra forza peso ed acceler-
azione da essa indotta, dobbiamo poter variare l’intensità della forza per
potere stabilire un collegamento tra essa e le variazioni dello stato cinemati-
co del corpo.
A questo fine occorre un dispositivo appropriato che ci consenta di modulare
l’interazione tra il corpo e la Terra, variando l’intensità della forza peso.
A prima vista questo sembra impossibile dal momento che il peso in un dato
1.3. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 7

Figura 1.3: Misura della forza peso tramite un dinamometro

luogo è una proprietà intrinseca di un corpo.


Tuttavia se costruiamo un piano inclinato con un certo angolo α rispet-
to all’orizzonte, come in Figure 4-6, possiamo variare l’effetto della forza
di interazione con la Terra e far cadere i corpi con un’accelerazione minore
rispetto alla caduta libera lungo la verticale. In effetti se tratteniamo un
corpo alla sommità del piano con un dinamometro, osserviamo che la defor-
mazione della molla corrisponde ad una forza pari a P sin α. Se α = 0 la
forza peso è completamente equilibrata dal piano orizzontale di appoggio,
se α = π/2 il corpo è sulla verticale e si misura l’intera forza peso. Se ora
il corpo viene lasciato cadere si verifica che, in assenza di significativi effet-
ti di attrito, la legge di caduta lungo il piano è ancora quella di un moto
uniformemente accelerato (Fig. 5), vale a dire le distanze percorse lungo il
piano sono proporzionali al quadrato degli intervalli di tempo, e l’acceler-
azione è data da g sin α.
Si verifica inoltre che se le pendenze di diversi piani inclinati , cioè sin α,
stanno tra loro come numeri interi , altrettanto avviene della forza misurata
dal dinamometro, come dell’accelerazione con cui i corpi cadono lungo il
piano (Fig. 6).
L’esperimento può essere effettuato con diversi corpi, differenti per volume
e densità e, in assenza di significativi effetti di attrito, porta a con-
cludere che tutti i corpi cadono lungo il piano allo stesso modo.
Questa affermazione comporta anche che la velocità con cui i corpi ar-
rivano al suolo sia la stessa e dipenda solo dall’altezza iniziale.
8 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

Figura 1.4: Caduta lungo un piano inclinato

Figura 1.5: Misura della legge oraria per caduta su un piano inclinato con

α ≈ 30 . I punti A,B,C,D,E corrispondono alla distanza percorsa per t =
0, 1, 2, 3, 4, ...s espressa in cm

Figura 1.6: Caduta su piani con diversa inclinazione


1.3. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 9

In effetti se consideriamo la distanza s percorsa lungo il piano ad un certo


istante e la velocità abbiamo
1
s = gt2 sin α v = gt sin α
2
Se h è l’altezza verticale da cui il corpo cade, il percorso sul piano è pari a
l = sinh α e pertanto il tempo di caduta lungo il piano risulta dato da
s
2h
ts = (1.1)
g sin2 α

la velocità con cui il corpo arriva al suolo è pertanto


s
2h p
v = g sin α 2 = 2hg (1.2)
g sin α

che è la velocità che raggiunge un corpo che cade dall’altezza h lungo la


verticale con velocità iniziale nulla.

Le considerazioni precedenti e molte altre esperienze, che qui non pos-


siamo riportare, ci portano a concludere che la relazione che lega la forza
all’accelerazione è
F~ = m~a (1.3)
ove m > 0 è una proprietà del corpo che chiamiamo massa inerziale o più
semplicemente massa. Questo è il secondo Principio della dinamica
classica e, una volta che siano specificata la forza e la massa del
corpo, rappresenta la legge del moto.
E’ importante fare alcune osservazioni sul contenuto del secondo princi-
pio. A questo fine notiamo quanto segue:
1. se ad un corpo si applicano separatamente diverse forze F~1 , F~2 ...F~i ...
misurate in precedenza, la relazione F~i = m~ai vale per ognuna di
queste;

2. se una stessa forza F~ , misurata in precedenza, viene applicata a corpi


diversi, la relazione F~ = mi~ai risulta verificata per ognuno di essi con
l’appropriata accelerazione;

3. quando su un corpo già in moto si applica una qualunque forza F~ ,


che non dipende esplicitamente dalla velocità, l’accelerazione da ques-
ta prodotta ~a = F~ /m non dipende dallo stato di moto del corpo in
quell’istante (indipendenza delle azioni simultanee);

4. se più forze agiscono contemporaneamente su un corpo, l’accelerazione


corrispondente è la stessa di quella provocata dalla forza risultante
F~ =
P ~
i Fi
10 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

Si noti che queste affermazioni valgono in quanto abbiamo supposto


il corpo puntiforme.
Discende dal secondo Principio che la forza può dimensionalmente es-
primersi nei termini della massa, della lunghezza e del tempo. Si ha infatti

[F ] = [M LT −2 ] (1.4)

Nel sistema MKS si sceglie come unità di misura della massa il kg-massa.
L’unità di misura della forza è il Newton.
Un Newton 1N corrisponde all’intensità della forza che imprime un’acceler-
azione di 1m/s2 ad un corpo di massa pari ad 1kg.
Nel sistema CGS l’unità di massa è il grammo, pari a un millesimo di un
kg. L’unità di misura della forza è la dyn (dal greco dynamis). Una dyn
imprime un’accelerazione di 1cm/s2 al corpo con massa 1g. Si ha

1 N = 1 kg × 1m/s2 = 103 g × 102 cm/s2 = 105 dyn

Discende da questo il fatto che un corpo che ha massa di 1 kg è soggetto


alla forza peso di intensità

|P~ | = mg = 9.81 N = 9.81 × 105 dyn

Come già sappiamo, una relazione vettoriale in tre dimensioni è equivalente


a tre relazioni scalari. Nei termini delle componenti dei due vettori possiamo
scrivere la seconda legge della dinamica come

Fx = max
Fy = may
Fz = maz (1.5)

1.3.1 Qualche considerazione generale


La peculiarità dei sistemi di riferimento inerziali è che tutte le forze possono
essere ricondotte a interazioni tra corpi e pertanto essere messe in relazione
con le caratteristiche e la configurazione dei sistemi fisici presenti nell’ambi-
ente circostante il corpo oggetto di studio. Nel caso del piano inclinato, ad
esempio, si trova che la forza dipende oltre che dalla inclinazione del piano
anche dalla posizione sulla sfera terrestre (l’accelerazione g varia debolmente
con l’altitudine e con la latitudine).
Come già osservato, le relazioni che consentono di esprimere le forze in
funzione delle proprietà del punto materiale e dei sistemi fisici con cui esso
interagisce sono dette leggi delle forze. Ci sono dei requisiti della forma
di queste leggi che discendono direttamente dal Principio di Inerzia.
Il primo deriva dalla considerazione che una particella isolata, cioè non
soggetta a forze, in quiete o in moto rettilineo uniforme conserva tale stato
1.3. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 11

in qualunque istante di tempo. Questa conclusione non dipende dalla scelta


dell’origine della variabile tempo: due osservatori inerziali i cui orologi segni-
no tempi diversi (traslazione temporale) arrivano alla medesima conclusione
sullo stato della particella. Non esistono istanti di tempo privilegiati: una
semplice traslazione dell’origine dei tempi non può alterare le leggi fisiche.
Questo requisito prende il nome di omogeneità temporale.
La stessa cosa avviene se consideriamo due osservatori inerziali che dif-
feriscono per la scelta dell’origine delle coordinate spaziali. Per entrambi il
corpo in quiete o in moto rettilineo uniforme mantiene tale stato, anche se la
sua posizione rispetto ai due osservatori, è differente. Ciò significa che non
esistono punti privilegiati. Questo requisito va sotto il nome di omogeneità
spaziale.
Se consideriamo ancora due osservatori inerziali che differiscono per la
diversa orientazione degli assi coordinati, abbiamo che, anche se una par-
ticella libera si muove in direzioni diverse rispetto ai due sistemi, i due
osservatori concordano sul fatto che il moto sia rettilineo uniforme. Il mo-
to ha le stesse caratteristiche qualunque sia la sua direzione: non esistono
direzioni privilegiate. Esiste completa isotropia spaziale.
Possiamo concludere che un sistema inerziale definisce un tempo
omogeneo ed uno spazio omogeneo ed isotropo.
Questi requisiti comportano tre conseguenze sulla forma delle leggi delle
forze, cioè delle interazioni tra i corpi:

1. esse non possono dipendere dalla coordinata temporale, ma solo da


intervalli di tempo;

2. esse non possono dipendere dalla posizione del corpo in esame rispet-
to all’osservatore, ma dalla posizione rispetto agli altri corpi con cui
interagisce (posizioni relative dei corpi);

3. esse non possono dipendere dalla velocità del corpo in esame ma dalle
velocità rispetto agli altri corpi (velocità relative).

Come vedremo, queste grandezze (intervalli di tempo, posizioni rel-


ative e velocità relative) nella meccanica classica non relativistica
sono indipendenti dall’osservatore.

1.3.2 La legge del moto in forma differenziale


Dato che il corpo è assimilato ad una particella, la sua legge oraria sarà
espressa dalla ~r = ~r(t), ove ~r è il vettore posizione. Poiché l’accelerazione
istantanea è la derivata seconda della funzione vettore posizione possiamo
scrivere la seconda legge nella forma

d2~r(t)
F~ = m (1.6)
dt2
12 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

In questa forma la legge evidenzia il fatto che il problema della determi-


nazione dalla forza della legge oraria è riconducibile alla soluzione di un’e-
quazione differenziale vettoriale del secondo ordine. L’equazione vettoriale
può scriversi nei termini delle componenti
d2 x(t)
Fx = m
dt2
2
d y(t)
Fy = m
dt2
2
d z(t)
Fz = m (1.7)
dt2
E’ opportuno osservare che le tre equazioni differenziali nelle incognite x(t),
y(t) e z(t) non sono in generale tra loro indipendenti, ma costituiscono un
sistema di equazioni differenziali. Abbiamo infatti detto che le forze
nella loro forma più generale dipendono dalla posizione e velocità relativa di
un corpo rispetto a quelli con cui interagisce e dal tempo. Per tenere conto
di questo scriveremo

F~ = F~ (~r, ~v , t)
= F~ (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) (1.8)

o nei termini delle componenti


d2 x(t)
Fx (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) = m
dt2
2
d y(t)
Fy (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) = m
dt2
2
d z(t)
Fz (x, y, z, ẋ, ẏ, ż, t) = m (1.9)
dt2
Riassumendo
• la determinazione delle funzioni x(t), y(t), z(t) richiede la soluzione
del sistema, perchè in generale anche la forza dipende dalle variabili
cinematiche posizione e velocità;

• questa dipendenza è precisata attraverso le leggi delle forze;

• la determinazione della legge oraria richiede di specificare le condizioni


iniziali del moto, vale dire posizione e velocità della particella all’is-
tante iniziale (complessivamente per un corpo puntiforme sei valori in
tre dimensioni).
Il secondo principio può scriversi anche nei termini della funzione vettore
velocità ~v (t). Si ha infatti
d~v (t)
F~ = m (1.10)
dt
1.4. LA FORZA COSTANTE 13

cioè come un’equazione differenziale vettoriale del primo ordine nell’incog-


nita ~v (t). Dalla conoscenza di questa funzione si risale alla legge oraria
attraverso la soluzione dell’equazione vettoriale del primo ordine

d~r(t)
~v (t) = (1.11)
dt

Ovviamente, nel caso di leggi di forze nella forma più generale, la determi-
nazione delle componenti della velocità e del vettore posizione richiede la
soluzione di un sistema di equazioni differenziali del primo ordine.
In quel che segue mostriamo come si possa affrontare e risolvere il prob-
lema dinamico partendo dalla legge del moto per forze specifiche.

1.4 La forza costante


Supponiamo che un corpo di massa m sia soggetto ad una forza costante

F~ = Fx î + Fy ĵ + Fz k̂ (1.12)

con Fx , Fy e Fz costanti. Questo è un caso particolarmente semplice perchè


le tre equazioni

Fx = max
Fy = may
Fz = maz

sono tra loro indipendenti e corrispondono a tre moti uniformemente ac-


celerati lungo i tre assi con accelerazioni

Fx
ax =
m
Fy
ay =
m
Fz
az = (1.13)
m

Se indico con t0 l’istante iniziale e con ~v (t0 ) = v0x î + v0y ĵ + v0z k̂ la velocità
a tale istante, avrò che

vx (t) = v0x + ax (t − t0 )
vy (t) = v0y + ay (t − t0 )
vz (t) = v0z + az (t − t0 ) (1.14)
14 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

e, nota la posizione iniziale ~r(t0 ) = x0 î + y0 ĵ + z0 k̂, potrò scrivere la legge


oraria come
1 Fx
x(t) = x0 + v0x (t − t0 ) + (t − t0 )2
2m
1 Fy
y(t) = y0 + v0y (t − t0 ) + (t − t0 )2
2m
1 Fz
z(t) = z0 + v0z (t − t0 ) + (t − t0 )2
2m
(1.15)

Esercizio
Un corpo di massa m = 0.4kg si muove su una retta. A partire dall’istante
t = 0, quando la velocità è v(0) = 3.6 m/s, sul corpo agisce una forza di
modulo costante |F~ | = 3.8 N , che forma un angolo costante α con la retta.
Dopo un percorso di s = 20 m il corpo ha una velocità pari a v = 14.8 m/s.
Determinare (i) il valore di α, (ii) il tempo impiegato a percorrere la distanza
di 20 m.
Soluzione
Scegliamo il punto x(0), posizione iniziale del corpo, come origine, vale a
dire x(0) = 0.
Dalle leggi del moto uniformemente accelerato
1
v = v(0) + at x − x(0) = v(0)t + at2
2
eliminando t ottengo per la distanza percorsa

v 2 − v(0)2
x − x(0) = s =
2a
da cui posso ricavare l’accelerazione

v 2 − v(0)2 (14.8)2 − (3.6)2


a= = = 5.15m/s2
2s 40
(i) Dovremo pertanto avere

Fx |F~ | cos α
a= =
m m
ovvero
ma
cos α = = 0.542 α = 57◦
|F~ |
(ii) il tempo impiegato dal corpo a percorrere i 20m è

v − v(0) 14.8 − 3.6


t= = = 2.17s
a 5.15
1.5. LA FORZA ELASTICA 15

Esercizio
Gli aerei che decollano dal ponte di una portaerei sono lanciati con una
catapulta. Per capire perchè occorra questo sistema, e non basti la forza
propulsiva del motore, consideriamo alcuni valori tipici: massa aereo 10
tonellate, pari a 104 kg, velocità minima di decollo 85 m/s, lunghezza del
ponte di volo 100 m. Durante il lancio l’aereo viene spinto sia dalla catapul-
ta sia dal proprio motore a pieno regime. (i) Quanto vale la forza propulsiva
totale necessaria per portare l’aereo alla velocità di decollo? Un tipico mo-
tore progettato per questo scopo sviluppa una spinta massima di 105 N .
(ii) Quale frazione della forza totale è fornita dal motore? (iii) Quanto deve
essere lunga la pista di decollo per decollare senza catapulta?
Soluzione
(i) se indico con t∗ il tempo necessario per raggiungere la velocità di decollo,
con v ∗ tale velocità e con a l’accelerazione supposta costante, ottengo
v∗
t∗ =
a
la distanza percorsa sarà data da

1 1 v ∗2 1 v ∗2 m
s(t∗ ) = at∗2 = =
2 2 a 2 F
Sostituendo i valori si ottiene la forza propulsiva necessaria

mv ∗2 (85)2 × 104
F = = = 3.61 × 105 N
2s(t∗ ) 200

(ii) Segue che la frazione sviluppata dal motore è

105
f= ≈ 0.28
3.61 × 105
(iii) Nel caso l’aereo dovesse decollare con la sola forza del motore avremmo

mv ∗2 (85)2 × 104
s= = = 361.25 m
2Fmot 2 × 105

1.5 La forza elastica


La situazione che abbiamo in mente è quella illustrata nella Fig.7: un corpo,
legato ad una parete fissa tramite una molla, si muove su un piano liscio,
vale a dire un piano in cui non sono presenti forze di attrito. Posto
che inizialmente il corpo sia fermo ad una certa distanza dalla parete (con-
figurazione di equilibrio), la compressione della molla comporta che sul
corpo si eserciti da parte della molla una forza tendente ad allontanarlo dal-
la parete, cioè a riportarlo nella configurazione di equilibrio, detta (forza
16 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

Figura 1.7: Forza elastica

Figura 1.8: Forza elastica di richiamo


1.5. LA FORZA ELASTICA 17

di richiamo); viceversa, la estensione della molla comporta che il corpo


si allontani dalla parete rispetto alla configurazione di equilibrio e, di con-
seguenza, che la molla eserciti su di esso una forza tendente a riportarlo in
tale configurazione (Fig. 8).
Se supponiamo che il moto avvenga lungo la direzione x e poniamo x = 0
la coordinata del corpo nella configurazione di equilibrio, avremo che x < 0
corrisponde a compressione della molla e quindi una forza di richiamo di-
retta nel verso positivo delle x, mentre la estensione corrisponde a x > 0 e
quindi una forza di richiamo diretta nel verso negativo delle x.

Analoghe considerazioni valgono per il caso bi- o tri- dimensionale, nel


quale un corpo sia legato tramite una molla ad un punto fisso.
La legge della forza è la seguente:
la forza elastica ha
(i) direzione data dalla retta passante per il punto in cui si trova
la particella ed un punto, detto centro o punto di equilibrio,
(ii) verso dalla posizione della particella verso il centro,
(iii) intensità proporzionale alla distanza tra la posizione della
particella e il centro.
Se indichiamo con O il punto di equilibrio e con P la posizione del punto
mobile soggetto alla forza, possiamo scrivere (Legge di Hooke)

F~ = −k(P − O) (1.16)

la costante k > 0 è detta costante elastica.


La costante k è una grandezza fisica con dimensioni [k] = [M T −2 ]. Essa
viene misurata in N ewton/metro ≡ N/m nel sistema MKS e dyn/centimetro =
dyn/cm nel sistema CGS.

1.5.1 Caso unidimensionale


Ci limitiamo per il momento al caso di un moto unidimensionale sull’asse x.
Prendiamo il punto di equilibrio come origine del nostro asse, cosı̀ da avere

F = −kx (1.17)

ove x dà la deformazione della molla.


Trattandosi di un moto unidimensionale possiamo eliminare il segno di
vettore. La legge del moto risulta pertanto data da

d2 x(t) k
a= =− x (1.18)
dt2 m
ovvero, posto
k
ω2 = (1.19)
m
18 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

otteniamo la
d2 x(t)
+ ω 2 x(t) = 0 (1.20)
dt2
che, come già sappiamo, è l’equazione dell’oscillatore armonico di pulsazione
ω. Sappiamo pertanto qual’è la soluzione di questa equazione una volta date
le condizioni iniziali.

1.5.2 Applicazioni
Nei sistemi meccanici le parti vibranti possono spesso essere simulate da
sistemi di molle con opportune costanti elastiche. Questi elementi possono
essere disposti in serie o in parallelo. Essi sono di regola sostituibili da un
singolo moto armonico con una costante elastica effettiva. Per illustrare
come questo avvenga consideriamo il caso di un sistema costituito da due
molle nelle due configurazioni.

• Disposizione in serie
Come esempio di questo caso consideriamo (fig. 9) il sistema costi-

Figura 1.9: Elementi elastici in serie

tuito da una massa m che si muove su un piano orizzontale privo di


attrito, collegata ad un supporto fisso da due molle in serie di costante
elastica k1 e k2 rispettivamente. Si assume che il moto avvenga lungo
l’asse x. Indichiamo con x1 la deformazione della prima molla, cioè
lo stiramento o la compressione rispetto alla lunghezza propria della
molla, e con x2 quello della seconda. Se x è lo spostamento della mas-
sa dalla posizione di equilibrio, quella cioè in cui non sono presenti
deformazioni delle molle, si ha

x = x1 + x2 (1.21)

Possiamo scrivere che la forza di richiamo che agisce sulla massa è data
da
F = −Kx (1.22)
1.5. LA FORZA ELASTICA 19

ove K è la costante elastica effettiva del sistema. Ora osserviamo


che, essendo ogni singola molla soggetta a tale forza, si dovrà avere
F F
x1 = − x2 = −
k1 k2
da cui
1 1
x = −F ( + )
k1 k2
ovvero
1 1 1
= + (1.23)
K k1 k2
Pertanto nella disposizione in serie l’inverso della costante elastica
effettiva è pari alla somma degli inversi delle costanti elastiche dei
singoli elementi.
• Disposizione in parallelo
Il sistema è costituito da una massa m che si muove su un piano
orizzontale privo di attrito, collegata ad un supporto fisso da due molle
in parallelo di costante elastica k1 e k2 rispettivamente. Si assume che
il moto avvenga lungo l’asse x (fig.10).
In questo caso lo spostamento x della massa corrisponde anche alla

Figura 1.10: Elementi elastici in parallelo

deformazione delle due molle, ognuna delle quali contribuisce alla forza
di richiamo che agisce sulla massa, vale a dire
F = −k1 x − k2 x = −Kx (1.24)
Pertanto la costante elastica effettiva è somma delle due costanti
K = k1 + k2 (1.25)
20 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

• Oscillazioni longitudinali tra due vincoli


Vediamo ora il caso di un corpo che scorre su un piano orizzontale
privo di attrito ed è connesso a due muri rigidi da due molle di identica
costante elastica k. Indichiamo con a0 la lunghezza propria delle due
molle e con a la lunghezza delle molle nella configurazione di equilibrio.
Questa corrisponde ad avere entrambi le molle stirate o compresse

Figura 1.11: Oscillazioni longitudinali tra due vincoli

della stessa quantità, con il corpo di massa M posizionato nel punto


intermedio tra i due muri.
In configurazione di equilibrio pertanto il corpo è soggetto a una forza
di richiamo da parte di entrambi le molle di modulo pari a

|F | = k(a − a0 ) (1.26)

Indichiamo con x la coordinata orizzontale misurata a partire dal muro


a sinistra (vedi figura 11). Se il corpo si trova nella posizione x, la molla
di sinistra è soggetta ad una forza di richiamo Fs = −k(x − a0 ). Se
x > a la forza ha verso opposto all’asse. Rispetto al muro di destra il
corpo si trova alla distanza 2a − x, pertanto sarà soggetto ad una forza
di richiamo Fd = k(2a − x − a0 ) diretta nello stesso senso dell’asse,
infatti in tale caso questa molla risulta compressa, mentre la prima è
tesa. Le due forze hanno segno opposto. La risultante sarà pertanto

F = Fs + Fd = −k(x − a0 ) + k(2a − x − a0 )
= −2k(x − a) (1.27)

Dalla seconda legge della dinamica abbiamo che l’equazione del moto
del corpo è
d2 x
M 2 = −2k(x − a) (1.28)
dt
Introducendo lo spostamento

η =x−a (1.29)
1.5. LA FORZA ELASTICA 21

possiamo scrivere l’equazione come

d2 η
M = −kη (1.30)
dt2
che è l’equazione dell’oscillatore armonico. Possiamo concludere che
il sistema oscilla in modo armonico con pulsazione ω = 2k/M , vale a
dire
η(t) = x(t) − a = A cos(ωt + α) (1.31)
L’ampiezza e lo sfasamento dipendono dalle condizioni iniziali.

• Oscillazioni trasverse tra due vincoli


La configurazione di equilibrio è come la precedente, ma il moto ha

Figura 1.12: Oscillazione trasversale tra due vincoli. In alto configurazione


di equilibrio.

luogo su un piano orizzontale Oxy , le oscillazioni essendo lungo l’asse


y anzichè lungo l’asse x delle molle. La posizione di equilibrio è la
stessa che nel caso precedente. Prendiamo tale posizione come origine
del sistema di assi.
Immaginiamo tuttavia che esista qualche vincolo che permetta solo
22 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

il moto lungo y. Nella configurazione deformata pertanto ogni molla


ha lunghezza l ed esercita, nella direzione della molla, una forza di
richiamo di modulo |F~ | = k(l − a0 ). Essa ha pertanto una componente
F sin θ lungo la direzione y e F cos θ lungo la direzione x. Pertanto in
base alla seconda legge l’equazione del moto verticale risulta data da

d2 y
M = −2k sin θ(l − a0 )
dt2
y a0
= −2k(l − a0 ) = −2ky(1 − )
l l
a0
= −2ky(1 − p ) (1.32)
a2 + y 2
L’equazione differenziale che risulta non è quella di un oscillatore ar-
monico, in quanto la forza non è una funzione lineare della defor-
mazione lungo y.
Possiamo considerare due situazioni in cui è possibile ricavarne una
soluzione approssimata.

1. I Approssimazione: l >> a0 vale a dire la deformazione porta


ad una lunghezza molto maggiore di quella propria della molla.
In tale caso al0 << 1 e l’equazione può scriversi come

d2 y
= −ω 2 y (1.33)
dt2
con r
2k
ω= (1.34)
M
Si ha pertanto un’oscillazione armonica con pulsazione pari a
quella del caso longitudinale.
2. II Approssimazione: y << a si assume che gli spostamenti
verticali siano piccoli rispetto alla lunghezza a.
In tale caso
l2 = y 2 + a2 ≈ a2
che porta a scrivere l’equazione come

d2 y 2k a0
2
= − (1 − )y (1.35)
dt M a
Si ha pertanto di nuovo un moto armonico con pulsazione
r
2k
Ω= (a − a0 ) (1.36)
Ma
Si noti come questa frequenza sia diversa da quella delle oscil-
lazioni longitudinali.
1.6. LA FORZA PESO 23

1.5.3 L’oscillatore isotropo bidimensionale


In questo caso, posto che ~r = 0 sia la posizione di equilibrio, cioè tale
posizione coincida con l’origine, la forza è data da

F~ = −k~r = −k(xî + y ĵ) (1.37)

che porta al sistema

max = −kx may = −ky (1.38)

Posto ω 2 = k/m otteniamo le due equazioni differenziali

ẍ + ω 2 x = 0 (1.39)
2
ÿ + ω y = 0 (1.40)

che sono le equazioni del moto di due oscillatori con le stessa frequenza ω.
Come già sappiamo le soluzioni possono scriversi nella forma

x = A cos (ωt + δ) y = B sin (ωt + γ) (1.41)

Le ampiezze e gli sfasamenti dei due moti si determinano dalle condizioni


iniziali.
Esempio Un corpo di massa m = 1 kg si muove nel piano Oxy sotto
l’azione di una forza elastica isotropa bidimensionale con costante elastica
k = 6 N/m. Sapendo che a t = 0 si ha x(0) = 5 m , y(0) = 1 m, ẋ(0) = 0 e
ẏ(0) = 0 , determinare la legge oraria.
Soluzione
Dalla forma generale della legge del moto possiamo scrivere

x(0) = A cos δ = 5m y(0) = B cos γ = 1m


ẋ(0) = −ωA sin δ = 0 ẏ(0) = −ωB sin γ = 0

da cui otteniamo

A = 5m δ=0 B = 1m γ=0

Segue che √ √
x(t) = 5 cos( 6t) y(t) = cos( 6t)
Il moto avviene sulla retta y = x/5.

1.6 La forza peso


E’ un caso particolarmente importante di forza costante. Ogni corpo in
prossimità della superficie terrestre è soggetto ad una forza che può scriversi
come
P~ = m~g = −mg k̂ (1.42)
24 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

ove m è la massa del corpo, g ≈ 9.81 m/s2 l’accelerazione di gravità. Si


verifica che nel vuoto tutti i corpi cadono con questa accelerazione.
Notare che si è definito il vettore accelerazione di gravità come
~g = −g k̂ (1.43)
Abbiamo visto come sia possibile misurare la forza peso tramite un di-
namometro. Possiamo, alla luce di quanto detto sulla forza elastica, deter-
minare la posizione di equilibrio di una molla sospesa verticalmente
sotto l’azione di un peso.
Indichiamo con z = 0 la posizione di equilibrio della molla in assenza di

Figura 1.13: Sistema molla-peso

peso, con mg il peso applicato e con k la costante elastica della molla.


Perchè il corpo applicato alla molla sia in equilibrio, vale a dire sia fermo,
occorre che la forza totale che agisce su di esso sia nulla, cioè che la forza
peso sia equilibrata dalla forza elastica.
F~el = −m~g (1.44)
Indicando con z0 la nuova coordinata verticale all’equilibrio,
mg
kz0 = −mg z0 = − (1.45)
k
In generale tuttavia se appendiamo un peso ad una molla, il sistema si
mette ad oscillare. Immaginiamo di trascurare gli effetti di attrito, che deter-
minano lo smorzamento delle oscillazioni. In tale ipotesi questa oscillazione
si mantiene nel tempo e il corpo non si ferma nella posizione di equilibrio.
Possiamo comprendere questo scrivendo l’equazione del moto. Il moto es-
sendo lungo la verticale, indichiamo con z la coordinata del corpo. La legge
del moto risulta data da
mz̈ = −kz − mg (1.46)
1.7. APPLICAZIONI 25

ovvero
k mg
z̈ = − (z + ) = −ω 2 (z − z0 ) (1.47)
m k
k
con ω 2 = m .
Introduciamo la variabile η = z −z0 che fornisce lo spostamento rispetto alla
posizione di equilibrio. Evidentemente η̈ = z̈, per cui l’equazione diventa

η̈ + ω 2 η = 0 (1.48)

La soluzione è quella generale dell’oscillatore armonico. Possiamo pertanto


scrivere che
η(t) = z(t) − z0 = A cos(ωt + α) (1.49)

vale a dire il moto è armonico, con periodo T = ω , e l’oscillazione ha luogo
attorno alla posizione di equilibrio.

1.7 Applicazioni
Esercizio
Un corpo di massa M = 10 kg è sospeso ad un dinamometro che, a sua
volta, è fissato al soffitto della cabina di un ascensore. Determinare:
(i) la forza Fd applicata al dinamometro quando la cabina è in quiete,
(ii) come cambia Fd nel caso in cui la cabina si muove verso l’alto e accelera
con accelerazione a = 1.30 m/s2 lungo la verticale,
(iii) il valore di Fd se la cabina è soggetta ad un’accelerazione verso il basso
pari a a = −1.30 m/s2
Soluzione
(i) Il corpo è fermo e pertanto la forza dovuta alla molla del dinamometro
diretta verso l’alto equilibra la forza peso. Pertanto

Fd = P = M g = 98N

(ii) Se la cabina dell’ascensore accelera verso l’alto, anche il corpo si muove


con uguale accelerazione. La legge della dinamica applicata al corpo richiede
che
Fd − M g = M a
ovvero
Fd = M (g + a) = (9.8 + 1.30)10 = 111N
Questo significa che il dinamometro indica un peso maggiore di quello che
segna quando l’ascensore è a riposo.
(iii) Se la cabina accelera verso il basso con accelerazione −a dobbiamo avere

Fd − M g = −M a
26 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

ovvero
Fd = M (g − a) = 10(9.8 − 1.3) = 85N
In questo caso il peso indicato è inferiore a quello a riposo.
Va osservato che discende dall’ultimo risultato che se la cabina cade (per la
rottura del cavo dell’ascensore), allora g = a e il dinamometro non registra
alcuna deformazione.

Esercizio
Un ascensore è soggetto a un’accelerazione verso l’alto a = 1.3 m/s2 . Nel-
l’istante in cui la velocità verso l’alto è pari a v0 = 2.6 m/s dal soffitto della
cabina, alta H = 2.8 m, cade un bullone allentato. Calcolare
(i) il tempo di caduta del bullone sul pavimento della cabina;
(ii) la distanza d di caduta rispetto ad un osservatore al suolo.
Soluzione
(i) Come osservato in precedenza, il bullone cade con un’accelerazione a + g.
Tale accelerazione è quella misurata dall’osservatore nella cabina. Per questo
osservatore la velocità iniziale del bullone è nulla. Indicando con t0 l’istante
iniziale il tempo di caduta è dato dalla

1
H = (a + g)(t − t0 )2
2
ovvero s r
2H 5.6
t − t0 = = = 0.71 s
a+g 11.1
(ii) Per l’osservatore esterno durante l’intervallo di tempo della caduta del
bullone la cabina ha percorso un tratto verticale pari a

1
D = v0 (t − t0 ) + a(t − t0 )2
2
con i dati del problema si ottiene D = 2.17 m. Pertanto la distanza percorsa
dal bullone risulta per tale osservatore pari a

d = H − D = 0.63 m

1.8 Il terzo Principio della dinamica


Come abbiamo detto più volte, forze che agiscono su un corpo possono
avere la loro origine negli altri corpi: in questo caso ogni singola forza è
la manifestazione della mutua interazione tra due corpi. Consideriamo un
corpo A e assumiamo che le forze che su di esso agiscono siano dovute ai
corpi presenti nell’ambiente circostante. Si consideri la forza F~AB esercitata
dal corpo B sul corpo A. Se consideriamo il corpo B esso sarà, a sua volta,
1.8. IL TERZO PRINCIPIO DELLA DINAMICA 27

soggetto ad una forza F~BA su di esso esercitata dal corpo A. Il terzo principio
stabilisce la relazione che intercorre tra queste due forze.
Esso afferma che se un corpo A esercita su un corpo B una forza
FBA , il corpo B esercita su A una forza F~AB che ha uguale direzione,
~
pari intensità e verso opposto, vale a dire

F~AB = −F~BA (1.50)

la linea di azione delle forze è la retta congiungente i due corpi. Si suole dare
alle due forze, che agiscono su corpi diversi, cioè una su A e l’altra su
B, l’appellativo di forza di azione e forza di reazione. Il Principio va anche
sotto il nome di Principio di Azione e Reazione. L’attribuzione dei due nomi
è tuttavia arbitraria. Ciascuna delle due forze può considerarsi di azione o
di reazione.
Va sottolineato ancora una volta che i due corpi sono supposti puntiformi
(non potremmo altrimenti parlare di linea di azione della forza).

1. Esempio Una donna D spinge una cassa C lungo un piano orizzontale.

Figura 1.14: Esempio 1

La donna esercita sulla cassa una forza orizzontale F~CD . Sotto l’azione
della forza la cassa si muove in tale direzione. D’altra parte la cassa
esercita sulla donna una forza F~DC = −F~CD . Pertanto la donna viene
accelerata nella stessa direzione ma con verso opposto.
Questa conclusione sembra contraddire l’esperienza: in effetti se le
cose andassero in questo modo non sarebbe agevole spostare un cassa.
Questo è tuttavia esattamente quello che accade quando si cerca di
spostare un corpo su una superficie liscia (come ad esempio una strada
ghiacciata).
Quello che accade invece di solito è che la forza di attrito tra il
pavimento e le scarpe della donna agisce in direzione opposta a quella
28 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

Figura 1.15: Esempio 1 con attrito

esercitata dalla cassa, rendendo possibile lo spostamento. La donna


punta sul pavimento esercitando un’azione cui il pavimento risponde
con una forza diretta nella direzione in cui si sposta la cassa. Il risultato
è che la donna è soggetta ad una forza, da parte del pavimento, che
la spinge nella stessa direzione di F~CD consentendo il moto di cassa e
donna nella stessa direzione.

2. Esempio Un uomo U tira orizzontalmente una corda C fissata ad

Figura 1.16: Esempio 2

un blocco B sopra un piano orizzontale liscio. L’uomo tira la corda


con una forza orizzontale F~CU . Questa forza agisce sulla corda C.
La corda, a sua volta, esercita sull’uomo un forza F~U C = −F~CU . La
corda esercita sul blocco una forza F~BC , mentre il blocco esercita sulla
corda una forza F~CB = −F~BC . Pertanto la corda è soggetta alla forza
risultante F~C = F~CB + F~CU . Si noti che l’uomo non esercita alcuna
forza direttamente sulla cassa. Supponiamo che la corda abbia una
massa mC . Perchè la corda e il corpo si mettano in moto occorre, in
1.9. METODO PER LA SOLUZIONE DI PROBLEMI 29

base al secondo principio, che

F~C = mc~a

ove ~a è l’accelerazione. Questa può anche scriversi, tenendo conto che


siamo in una dimensione e che le due forze hanno segno opposto come

FCU − FCB = mc a

Si noti come la forza che l’uomo esercita sulla corda non si trasmette in-
tegralmente al blocco, a meno che la massa della corda non sia trascur-
abile.

3. Esempio Con riferimento al sistema peso-molla di Fig. 13, che costi-


tuisce il principio del dinamometro possiamo fare il bilancio delle forze
cui è soggetto ogni componente del sistema in condizioni di equilibrio,
cioè quando il corpo è fermo. I componenti sono tre: il peso, la mol-
la e il sostegno cui la molla è fissata. Se consideriamo il peso, come
abbiamo già visto, esso è soggetto alla forza elastica F~el dovuta alla
molla, che è diretta verso l’alto e alla forza peso P~ diretta in verso
opposto. L’equilibrio comporta che F~el + P~ = 0. Se consideriamo la
molla osserviamo che essa è soggetta a due forze, quella esercitata su
di essa dal peso, diretta verso il basso, e quella dovuta al sostegno cui
la molla è agganciata (vincolo), che chiamiamo reazione vincolare
e indichiamo con Φ ~ diretta verso l’alto. Perchè la molla sia in equilib-
~ + P~ + p~ = 0, ove ho indicato con p~ il peso della
rio è necessario che Φ
molla, vale a dire la forza di reazione deve equilibrare sia il peso del
blocco sia quello della molla. Se infine consideriamo il sostegno cui la
molla è agganciata, esso è soggetto alla forza da parte della molla pari
~ Esso non si muove perchè la sua massa è molto elevata ed è a sua
a Φ.
volta vincolato.

1.9 Metodo per la soluzione di problemi


Gli esercizi precedenti illustrano come si procede nella soluzione dei problemi
meccanici.

1. Scegliere un opportuno sistema di riferimento inerziale, stabilire l’ori-


entamento e il verso degli assi coordinati.

2. Per ogni corpo presente nel sistema disegnare il diagramma delle


forze, che illustra tutte le forze agenti sul corpo (trattato come un
punto materiale)

3. Per ogni corpo effettuare la somma delle forze agenti su di esso


30 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

4. Scrivere l’equazione del moto proiettandola sugli assi coordinati

5. Integrare il sistema di equazioni differenziali cosı̀ ottenuto.

1.10 Esercizi
1. Un corpo di massa m = 1kg cade verso la Terra con accelerazione ~g
come conseguenza della forza esercitata dalla Terra su di esso. Deter-
minare:
(i) la forza esercitata dal corpo sulla Terra,
(ii)l’accelerazione della Terra dovuta a tale forza,
(iii) lo spostamento che la Terra subisce nel tempo di caduta del
corpo se questo cade da un’altezza h = 10 m. (Massa della Terra
M ≈ 6 × 1024 kg)
Soluzione

• (i) la forza peso del corpo è P~ = m~g , la forza che il corpo esercita
sulla Terra è −P~ ed è diretta lungo la verticale dalla Terra al
corpo.
• (ii) l’accelerazione della Terra è
m 9.8
aT = g = 10−24 × = 1.6 × 10−24 m/s2
M 6
• (iii) il tempo di arrivo al suolo è
s
2h
t= = 1.43 s
g

in tale tempo la Terra percorre la distanza


1
s = aT t2 ≈ 10−24 m
2
2. Un blocco di massa M1 = 12, 5 kg viene tirato su un piano privo di
attrito da due dinamometri identici. Il dinamometro D1 indica una
forza pari a 20.7 N , quello D2 una forza di 21.1 N . Determinare (i)
l’accelerazione del blocco, (ii) la massa dei dinamometri, (iii) l’intensità
della forza applicata.
Soluzione
(i) Al corpo M1 è applicata la forza indicata dal dinamometro D1 .
Pertanto l’accelerazione del blocco risulta pari a

a = 20.7/M1 = 20.7/12.5 = 1.66 m/s2

(ii) Consideriamo il dinamometro D1 . Esso è soggetto alla forza diretta


nel verso di F e pari a 21.1N e alla forza diretta in verso opposto,
1.10. ESERCIZI 31

Figura 1.17: Esercizio 2

dovuta al blocco, di 20.7N . Dovendo la sua accelerazione essere pari


a quella del blocco, avremo che la massa m di D1 sarà data dalla
21.1 − 20.7
m= = 0.24 kg
1.66
(iii) Al primo dinamometro è applicata la forza F e una forza pari
a 21.1N , dovuta al secondo dinametro, con verso opposto. Avremo
pertanto che

F − 21.1 = ma F = 21.1 + 0.24 × 1.66 = 21.5 N

Figura 1.18: Esercizio 3

3. Un treno giocattolo consiste di tre vagoni agganciati che possono muover-


si su un piano senza attrito. Le masse dei vagoni sono m1 = 3.1 kg,
m2 = 2.4 kg e m3 = 1.2 kg. Il treno è soggetto ad una forza orizzontale
di intensità F = 6.5 N .
Determinare: (i) l’accelerazione del treno, (ii) la forza f32 esercitata
dal secondo vagone sul terzo, (iii) la forza f21 esercitata dal primo
vagone sul secondo.
Soluzione
(i) La forza applicata determina l’accelerazione dell’intero treno. Per-
tanto
F
a= = 0.97 m/s2
m1 + m2 + m3
(ii) Al terzo vagone è applicata la sola forza dovuta al secondo vagone.
Di conseguenza
f32 = m3 a = 1.16 N
32 CAPITOLO 1. DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE

(iii) Il secondo vagone è soggetto alla forza m2 a, che è somma di quella


esercitata su di esso dal terzo vagone e di quella esercitata dal primo,
vale a dire
m2 a = f23 + f21 = −f32 + f31
Segue che
f31 = m2 a + f32 = (m2 + m3 )a = 3.5 N

Figura 1.19: Esercizio 4

4. Un carrello di massa mC = 360 kg si muove su un piano liscio. Sopra


ad esso è posato un blocco di massa mB = 150 kg. Il blocco può
muoversi sul piano del carrello, ma è soggetto ad attrito. Un uomo
tira il blocco tramite una fune con una forza FBU orizzontale. Sia il
blocco sia il carrello avanzano nella direzione della forza, ma il blocco
può scorrere più velocemente del carrello, perchè la forza di attrito
non è sufficiente ad evitare che esso scorra sul pianale del carrello. Un
osservatore esterno misura l’accelerazione del blocco aB = 1 m/s2 e
quella del carrello aC = 0.167 m/s2 . Determinare (i)la forza di attrito
tra baule e carrello, (ii) la forza FBU .
Soluzione
(i) Il blocco è soggetto alla forza FBU e alla forza di attrito. Questa è
dovuta alla interazione tra blocco e carrello fBC ed ha segno opposto
alla forza applicata. Pertanto si ha
mB aB = FBU + fBC
(ii) D’altra parte il carrello è soggetto alla sola forza fCB = −fBC , che
è data da
fCB = mC aC = 60.1 N
segue che fBC = −60.1 N .
(iii) Dalla prima equazione si ottiene
FCU = mB aB − fBC = 210 N
Capitolo 2

Integrazione dell’equazione
del moto

Abbiamo già osservato che possiamo scrivere il secondo principio come un’e-
quazione differenziale vettoriale del primo ordine nell’incognita ~v (t), ovvero
tre equazioni scalari, vale a dire

dvx (t)
Fx = m
dt
dvy (t)
Fy = m
dt
dvz (t)
Fz = m (2.1)
dt
Il problema della dinamica consiste nel risalire dalla conoscenza
delle forze alla velocità e alla legge oraria.
In questo capitolo ci proponiamo di affrontare questo problema per moti
semplici. A questo fine introduciamo gli strumenti matematici appropriati,
vale a dire i concetti di integrale indefinito e definito, applicandoli a specifici
problemi meccanici.

2.1 Soluzione di equazioni differenziali


Per poter proseguire cerchiamo di vedere come si affronta in generale la
soluzione di equazioni differenziali del primo ordine. La più semplice equazione
di questo tipo, relativa ad una funzione scalare, ha la forma

dy(x)
= f (x) (2.2)
dx
ove y(x) è l’incognita, x è la variabile indipendente e f (x) è una funzione
nota della x definita in un certo intervallo di valori. Il problema è deter-
minare le funzioni y(x) che godono della proprietà che la loro derivata prima

33
34 CAPITOLO 2. INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO

in tale intervallo sia uguale a f (x). Questo è un problema di calcolo integrale.

Esempio: Considero l’equazione


dy(x)
= x2
dx
x3
Osservo che se prendo la funzione y0 (x) = 3 , essa soddisfa l’equazione
differenziale dal momento che
d x3 1
= 3x2 = x2
dx 3 3
Si vede immediatamente che questa soluzione non è unica. Infatti se con-
sidero la funzione
x3
yC (x) = +C
3
con C costante, verifico che anche essa è soluzione dell’equazione. Diremo
che la soluzione generale dell’equazione ha questa forma. La costante C
dovrà essere determinata dalla conoscenza del valore assunto dalla y(x) in
qualche punto.

Esempio Più in generale noto che se ho una funzione


A n+1
g(x) = x
n+1
con n 6= −1 e A costante, la sua derivata prima risulta data da
dg(x)
= Axn
dx
Pertanto se ho un’equazione differenziale del primo ordine del tipo
dy(x)
= Axn
dx
è possibile scrivere la soluzione generale nella forma

y(x) = g(x) + C

con C costante da determinare attraverso la conoscenza della funzione incog-


nita in un punto.
Esempio Considero il caso dell’equazione
dy(x)
= Aeαx
dx
con A e α costanti. Anche in questo caso l’equazione ha una soluzione
facilmente derivabile. Se infatti considero la funzione F (x) = A
αe
αx ho che
2.2. QUALCHE SEMPLICE APPLICAZIONE ALLA DINAMICA 35

essa soddisfa l’equazione. Segue da ciò che la soluzione generale può scriversi
come
A
y(x) = F (x) + C = eαx + C
α

Tornando all’equazione (2.2) di partenza notiamo che se esiste una fun-


zione F (x) tale che
dF (x)
= f (x) (2.3)
dx
allora le soluzioni dell’equazione differenziale hanno la forma

y(x) = F (x) + C (2.4)

ove la determinazione della costante C richiede la conoscenza del valore as-


sunto dalla funzione in un certo punto. La funzione F (x) è detta la
primitiva della f (x).

La funzione primitiva di una data funzione f (x) viene indicata come


integrale indefinito di tale funzione e si scrive
Z
f (x)dx = F (x) (2.5)

Considero ora l’equazione

dy(x)
= f1 (x) ± f2 (x) (2.6)
dx
posto di conoscere le due funzioni primitive
Z
F1 (x) = f1 (x)dx
Z
F2 (x) = f2 (x)dx (2.7)

posso scrivere la soluzione generale dell’equazione come

y(x) = F1 (x) ± F2 (x) + C (2.8)

2.2 Qualche semplice applicazione alla dinamica


Vediamo di appplicare queste nozioni a concreti problemi meccanici. Ci
limitiamo a considerare moti unidimensionali ovvero moti che possano essere
rappresentati da una legge oraria scalare.
36 CAPITOLO 2. INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO

1. Esempio
Moto unidimensionale con accelerazione costante
In questo caso abbiamo
dv(t) F
= =a (2.9)
dt m
La primitiva della costante a è evidentemente at. Possiamo pertanto
scrivere che
v(t) = at + C
Per determinare la costante supponiamo di conoscere il valore della
velocità all’istante t0 , cioè v0 = v(t0 ). Segue da ciò che
v0 = at0 + C
C = v0 − at0
da cui ottengo
v(t) = a(t − t0 ) + v0
che è l’espressione per la velocità precedentemente derivata per un mo-
to unidimensionale uniformemente vario.
Se ora, conoscendo la velocità vogliamo risalire alla legge oraria dob-
biamo risolvere l’equazione differenziale del primo ordine
dx(t)
= a(t − t0 ) + v0
dt
Osserviamo che
Z
a 2
atdt = t
2
Z
(v0 − at0 )dt = (v0 − at0 )t

da cui otteniamo
1
x(t) = at2 + (v0 − at0 )t + C
2
la costante C può determinarsi dalla conoscenza della posizione all’is-
tante t0 . Si ha infatti
1
x(t0 ) = x0 = at20 + (v0 − at0 )t0 + C
2
1 2
C = x0 − at0 − (v0 − at0 )t0
2
da cui deriviamo la legge oraria nella forma già nota
1
x(t) = x0 + v0 (t − t0 ) + a(t − t0 )2
2
Questo esempio illustra due concetti
2.2. QUALCHE SEMPLICE APPLICAZIONE ALLA DINAMICA 37

• l’equazione differenziale del secondo ordine che lega accelerazione


alla forza può risolversi in due fasi
(a) determinando la soluzione dell’equazione differenziale del pri-
mo ordine per la velocità,
(b) risolvendo successivamente quella del primo ordine per la
legge oraria, in cui la funzione velocità è il termine noto
• le determinazione delle soluzioni richiede in una dimensione la
conoscenza di due condizioni relative a velocità e posizione della
particella in un certo istante t0 (condizioni iniziali)

2. Esempio
Legge oraria di un moto unidimensionale
Come secondo esempio consideriamo il caso di un moto unidimension-
ale la cui velocità sia espressa dalla funzione

v(t) = v0 (1 − e−βt )

con β > 0 e t ≥ 0. Si vuole determinare la legge oraria.


Questo è un esempio di variazione esponenziale della velocità. All’is-
tante t = 0 la velocità è nulla, mentre per t → ∞ essa tende al valore
finito v0 .
L’equazione differenziale del primo ordine per la legge oraria è pertanto

dx(t)
= v0 − v0 e−βt
dt

Tenendo conto che


Z
v0 dt = v0 t
Z
v0 −βt
v0 e−βt = − e
β

otteniamo
v0 −βt
x(t) = v0 t + e +C
β
Se imponiamo la condizione iniziale x(0) = 0, otteniamo C = − vβ0 e
l’espressione della legge oraria risulta
v0 −βt
x(t) = v0 t + (e − 1)
β

Si noti che per t → ∞ il moto diventa uniforme e la particella si


allontana indefinitamente dall’origine.
38 CAPITOLO 2. INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO

3. Esempio
Moto unidimensionale con accelerazione periodica
Consideriamo il caso di un moto che soddisfa la seguente legge

F (t)
a(t) = = −B cos (ωt + γ)
m
con B > 0. A prima vista sembra possibile concludere che si tratti di
un moto armonico. In effetti se poniamo A = ωB2 otteniamo la stessa
espressione dell’accelerazione di un moto armonico di ampiezza A.
Tuttavia le cose non stanno esattamente cosı̀, come emerge dall’inte-
grazione della legge della dinamica per questo caso.
Consideriamo dapprima l’equazione del primo ordine per la velocità

dv(t)
= −B cos (ωt + γ)
dt
Ora si verifica facilmente che
Z
1
cos (ωt + γ)dt = sin (ωt + γ)
ω
Pertanto si ha
B
v(t) = − sin (ωt + γ) + C1
ω
con C1 costante da determinare dalla condizione iniziale sulla velocità.
L’equazione per la legge oraria è

dx(t) B
= − sin (ωt + γ) + C1
dt ω
Poichè
Z
1
sin (ωt + γ)dt = − cos (ωt + γ)
ω
Z
C1 dt = C1 t

possiamo scrivere in forma generale la legge oraria come

B
x(t) = cos (ωt + γ) + C1 t + C2
ω2
Come si vede occorrono due condizioni per determinare le due costanti.
Nell’ipotesi che C1 = 0, la legge oraria risulta essere quella di un moto
armonico con punto di equilibrio a x = C2 e di ampiezza A = ωB2 .
Infatti in tale caso la legge oraria ha la forma

x(t) − C2 = A cos (ωt + γ)


2.2. QUALCHE SEMPLICE APPLICAZIONE ALLA DINAMICA 39

Per contro, se poniamo C1 6= 0 il moto risulta la sovrapposizione di


un moto armonico e di un moto rettilineo uniforme con velocità C1 .
Possiamo anche dire che si tratta di un moto armonico il cui centro,
cioè il punto di equilibrio, si sposta linearmente con il tempo dal valore
C2 a t = 0 s al valore C2 + C1 t negli istanti successivi.
Dal punto di vista fisico questo corrisponde alla situazione di un osser-
vatore che si muove con velocità uniforme rispetto al sistema di riferi-
mento fisso e di un oscillatore solidale con tale osservatore. Nell’ipotesi
ad esempio che l’osservatore in moto sia su un treno, un oscillatore sol-
idale con il treno, si muoverà di un puro moto armonico. Viceversa
per un osservatore fermo, esterno al treno, l’oscillatore si sposta con il
treno e quindi il suo punto di equilibrio cambia con il tempo. Tuttavia
entrambi gli osservatori misurano la stessa legge del moto. Questo è
un esempio del Principio di Relatività sopra menzionato.

2.2.1 Esercizi
1. Esercizio
La velocità del moto piano di una particella varia nel tempo secondo
le
ẋ(t) = 4t3 + 4t ẏ(t) = 4t m/s
Sapendo che, al tempo t = 0s la particella si trova in P0 ≡ (1, 2) m,
determinare:
(i) la legge oraria;
(ii) la traiettoria della particella.
Soluzione
(i) la legge oraria relativa alla coordinata x risulta da
Z Z
t3 dt + tdt = t4 + 2t2 + C1

x(t) = 4

La costante di integrazione C1 si ricava dalla condizione iniziale

x(0 s) = 1 m C1 = 1 m

Allo stesso modo abbiamo


Z
y(t) = 4 tdt = 2t2 + C2

La costante di integrazione risulta data da

y(0 s) = 2 m C2 = 2 m

Abbiamo quindi la legge oraria della forma

x(t) = t4 + 2t2 + 1 y(t) = 2(t2 + 1) m


40 CAPITOLO 2. INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO

(ii) Per derivare la traiettoria notiamo che, essendo


y−2
t2 =
2
si ha
(y − 2)2 y−2
x= +2 +1
4 2
ovvero
y 2 = 4x

2. Esercizio
Una particella parte dall’origine a t = 0 con velocità v0 = −2 m/s
nella direzione delle x negative. Essa è sottoposta ad un’accelerazione
a = kt con k = 0.1 m/s2 . Determinare (i) l’istante t1 e la posizione
x(t1 ) in cui la velocità della particella si annulla e il moto si inverte;
(ii) l’istante t2 in cui ripassa per l’origine, (iii) la velocità v(t2 ).
Soluzione
Per derivare la velocità e la legge oraria occorre integrare l’equazione
del moto. Osserviamo che
t2
Z Z
v(t) = a(t)dt + C1 = ktdt + C1 = k + C1
2
Date le condizioni iniziali del problema, la costante C1 è evidentemente
uguale a v0 .
Possiamo derivare la legge oraria dalla
t2
Z Z Z
xt) = v(t)dt + C2 = k + v0 dt + C2
2
t3
= k + v 0 t + C2
6
Dato che all’istante iniziale la particella si trova nell’origine dobbiamo
avere C2 = 0. Siamo ora in grado di rispondere alle domande del
problema.
(i) La condizione v(t1 ) = 0 comporta che

2v0 √
r
t21
v0 + k = 0 t1 = − = 40 = 6.32 s
2 k
La posizione a tale istante sarà
t31 0.1
x(t1 ) = k + v0 t1 = (6.3)3 − 12.65 = −8.43 m
6 6
(ii) La particella ripassa per l’origine quando x(t2 ) = 0, vale a dire

t32
v0 t 2 + k =0
6
2.2. QUALCHE SEMPLICE APPLICAZIONE ALLA DINAMICA 41

La soluzione diversa da zero è


r
−6v0
t2 = = 10.95 s
k
(iii) La velocità a tale istante essendo data da

t22
v(t2 ) = v0 + k
2
otteniamo v = 3.99 m/s.

3. Esercizio
La velocità di un moto unidimensionale è espressa dalla

v(t) = A[ωt cos(ωt) + sin(ωt)]

Determinare la legge oraria sapendo che x(0) = 0.


Soluzione
Si ha
Z
x(t) = v(t)dt
Z Z
= Aω t cos(ωt)dt + A sin(ωt)dt

Ora osserviamo che


d
t cos(ωt) = [sin(ωt)]

pertanto
Z Z
d
t cos(ωt)dt = sin(ωt)dt

d 1 1 t
= − [ cos(ωt)] = 2 cos(ωt) + sin(ωt)
dω ω ω ω
ove abbiamo usato la
Z
1
sin(ωt)dt = − cos(ωt)
ω
Pertanto abbiamo
1 1
x(t) = A[ cos(ωt) + t sin ωt − cos(ωt)] + C
ω ω
= At sin(ωt) + C

La condizione iniziale richiede che C=0.


Si tratta di un moto oscillatorio la cui ampiezza cresce linearmente
con il tempo.
42 CAPITOLO 2. INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO

4. Esercizio
L’accelerazione di un moto unidimensionale è data in m/s2 da

a(t) = −ω 2 A cos(ωt)

sapendo che v(0) = 4 m/s e x(0) = −2 m, determinare la legge oraria


del moto.
Soluzione
La velocità è data da
Z Z
v(t) = a(t)dt + C = ω 2 A cos(ωt)dt + C

= −ωA sin(ωt) + C

dato il valore della velocità iniziale, si deve avere C = 4 m/s, per cui

v(t) = −ωA sin(ωt) + 4 m/s

L’espressione della legge oraria si ottiene come segue


Z
x(t) = v(t)dt + C1
Z Z
= −ωA sin(ωt)dt + 4 dt + C1
1
= −ωA[− cos(ωt)] + 4t + C1
ω
= A cos(ωt) + 4t + C1

La condizione relativa alla posizione iniziale richiede che C1 = −(2+A)


da cui si ricava la

x(t) = A cos(ωt) − (2 + A) + 4t

5. Esercizio
Una particella si muove lungo l’asse x con accelerazione a = −2x.
Trovare la relazione tra velocità e posizione supponendo che per x = 0
la velocità sia v0 = 4 m/s.
Soluzione
Osserviamo che essendo
dv dx
a= v=
dt dt
si ha
dv
av = v
dt
ovvero
avdt = vdv adx = vdv
2.3. INTEGRALE DEFINITO 43

sostituendo l’espressione di a fornita dal problema si ottiene

−2xdx = vdv

ovvero integrando Z Z
−2 xdx = vdv

ovvero
1 2
v = −x2 + C
2
la costante di integrazione si determina dalla condizione iniziale

1
C = v02 = 8 m/s
2
da cui si ottiene p
v= 16 − 2x2 m/s

2.3 Integrale definito


In generale nella soluzione dei problemi dinamici siamo interessati a deter-
minare, nota l’accelerazione in un certo intervallo di tempo, come varia la
velocità in tale intervallo ( e successivamente dalla conoscenza della velocità
come varia la posizione della particella). Per affrontare questo problema
occorre introdurre la nozione di integrale definito.
Consideriamo una funzione F (x) definita nell’intervallo [a, b]. Per definizione
il cambiamento netto della funzione nell’intervallo è dato dalla differenza fra
i valori che questa assume agli estremi, cioè F (b) − F (a). Vogliamo ot-
tenere questa quantità partendo dalla conoscenza della funzione derivata
f (x) = dFdx(x) .
A questo fine immaginiamo di dividere l’intervallo [a, b] in intervalli infinites-
imi dx. Sappiamo che la variazione della funzione F (x) su ogni intervallo
infinitesimo è data dal differenziale
dF (x)
dF (x) = dx = f (x)dx (2.10)
dx
tale variazione può risultare sia positiva che negativa, a seconda del segno
della derivata. Se sommiamo algebricamente tutte queste variazioni otteni-
amo il cambiamento netto della funzione primitiva F (x).
Non si tratta tuttavia di una somma ordinaria, dato che gli intervalli sono
infinitesimi, per questo indichiamo tale somma con la notazione
Z b
f (x)dx = F (b) − F (a) (2.11)
a
44 CAPITOLO 2. INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO

che rappresenta l’integrale definito della funzione f (x) tra i due estremi a
(estremo inferiore) e b (estremo superiore).
Per comodità spesso si usa la notazione

F (b) − F (a) = [F (x)]ba (2.12)

Evidentemente si avrà anche che


Z b
dF = F (b) − F (a) (2.13)
a

Torniamo alla nostra equazione differenziale del primo ordine

dy(x)
= f (x) (2.14)
dx
possiamo scriverla anche nella forma che lega il differenziale della funzione
a quello della variabile indipendente, vale a dire

dy(x) = f (x)dx (2.15)

ovvero
dF (x)
dy(x) = dx (2.16)
dx
con F (x) funzione primitiva della f (x).
Notiamo che, poichè y(x) = F (x) + C, la differenza tra il valore della
funzione y2 = y(x2 ) in un punto x2 e y1 = y(x1 ) in un punto x1 sarà data
da
y2 − y1 = F (x2 ) − F (x1 ) (2.17)

Dal momento che la variazione della y(x) tra x1 e x2 è somma delle variazioni
infinitesime dy scriveremo
Z
y2 − y1 = dy (2.18)

ovvero, per quanto detto sopra


Z x2
y2 − y1 = f (x)dx (2.19)
x1
= F (x2 ) − F (x1 ) (2.20)

Questo ci consente di esprimere la variazione che subisce la funzione incog-


nita y(x) nell’intervallo [x1 , x2 ] nei termini del cambiamento della funzione
primitiva di f (x) in tale intervallo.
2.4. ESEMPI 45

Elenchiamo alcune proprietà utili al fine del calcolo degli integrali defini-
ti. La dimostrazione può ottenersi dalla definizione sopra data, ed è argo-
mento dei corsi di analisi.
Z b Z a
f (x)dx = − f (x)dx
Z aa b

f (x)dx = 0
a
Z b Z b
Cdx = C dx = C(b − a)
a a
Z b Z b Z b
(f (x) ± g(x))dx = f (x)dx ± g(x)dx
a a a
Z b Z b
Cf (x)dx = C f (x)dx
a a
Z b Z c Z b
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx (2.21)
a a c

ove C è una costante.

2.4 Esempi
Esercizio
Una particella si muove lungo una retta con una velocità data dalla funzione

v(t) = t2 − t − 6m/s

trovare (i) lo spostamento della particella nell’intervallo 1 ≤ t ≤ 4s; (ii) la


distanza percorsa dalla particella in tale intervallo di tempo.
Soluzione
(i) lo spostamento è dato da x(4) − x(1). Dato che x(t) è soluzione dell’e-
quazione differenziale dx(t)
dt = v(t) dovremo avere, per quanto detto sopra
che,
Z 4 Z 4 Z 4 Z 4
2
x(4) − x(1) = v(t)dt = t dt − tdt − 6dt
1 1 1 1
i tre integrali valgono
Z 4
1
t2 dt = (43 − 13 ) = 21
1 3
Z 4
1 15
tdt = (42 − 12 ) =
1 2 2
Z 4
6dt = 6(4 − 1) = 18
1
46 CAPITOLO 2. INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO

Pertanto otteniamo
15
x(4) − x(1) = 21 − − 18
2
9
= − = −4.5 m
2
Il fatto che lo spostamento sia negativo significa che nell’intervallo consid-
erato la particella si è spostata di 4.5 m verso sinistra.
(ii) Osserviamo che
t2 − t − 6 = (t − 3)(t + 2)
cioè la velocità si annulla a t = 3s. Inoltre v(t) < 0 nell’intervallo 1 ≤ t < 3s
e v(t) > 0 per 3 < t ≤ 4s. Per calcolare la distanza l percorsa occorre
integrare il valore assoluto della velocità (velocità scalare). Avremo pertanto
Z 4 Z 3 Z 4
l= |v(t)|dt = − v(t)dt + v(t)dt
1 1 3
Poichè
Z 3
1 1 2 22
v(t)dt = (33 − 13 ) − (3 − 12 ) − 6(3 − 1) = −
1 3 2 3
Z 4
1 1 2 17
v(t)dt = (43 − 33 ) − (4 − 32 ) − 6(4 − 3) =
3 3 2 6
otteniamo
61
l= = 10.17 m
6

2.5 Ancora sull’integrale indefinito


L’integrale definito, essendo rappresentato dalla differenza dei valori assunti
da una funzione agli estremi dell’intervallo di integrazione, è un numero,
a differenza dell’integrale indefinito che è una funzione. Possiamo tuttavia
adottare la stessa notazione dell’integrale definito per derivare l’espressione
della soluzione dell’equazione differenziale in un istante generico.
Consideriamo la nostra equazione
y(t)
= f (t) (2.22)
dt
Sappiamo che la soluzione generale può scriversi come
y(t) = F (t) + C (2.23)
ove F (t) la primitiva di f (t) e la costante C si determina dalla conoscenza
del valore y(t0 ) = y0 della soluzione in corrispondenza di un certo valore t0
della variabile indipendente. Si ha infatti
C = y0 − F (t0 )
2.5. ANCORA SULL’INTEGRALE INDEFINITO 47

da cui si ottiene
y(t) = F (t) − F (t0 ) + y0
ovvero
y(t) − y0 = F (t) − F (t0 ) (2.24)
Questa può evidentemente scriversi nella forma
Z y Z F (t) Z t
dy = dF = f (t)dt (2.25)
y0 F (t0 ) t0

L’integrale cosı̀ definito ha come estremo superiore un generico istante t e


l’integrazione consente di ricavare l’espressione della y(t) con le appropriate
condizioni iniziali.

2.5.1 Applicazioni
Esercizio
Ad una particella di massa m = 1 kg, inizialmente in quiete nell’origine,
viene applicata la forza espressa in N

F~ = 2î + 24xĵ

ove x è la ascissa della particella. Trovare la legge oraria e la traiettoria


della particella.
Soluzione
(i) Possiamo scrivere l’equazione del moto come
Fx Fy
ax = =2 ay = = 24x
m m
Integrando la prima abbiamo per la componente della velocità lungo l’asse
x Z t Z t
vx = ax dt + v0x = 2dt = 2t m/s
0 0
Di conseguenza la legge oraria relativa alla coordinata x risulta
Z t Z t
x(t) = vx (t)dt + x(0) = 2tdt = t2 m
0 0

Possiamo inserire questa espressione nell’integrazione relativa al moto lungo


l’asse delle ordinate. Otteniamo
Z t Z t
vy (t) = ay (t) + vy (0) = 24t2 dt = 8t3 m/s
0 0

Per cui la legge oraria lungo l’asse y risulta


Z t Z t
y(t) = vy (t)dt + y(0) = 8t3 = 2t4 m
0 0
48 CAPITOLO 2. INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO

(ii) Mettendo assieme i risultati precedenti abbiamo

x(t) = t2 y(t) = 2t4

Questa è la rappresentazione parametrica della parabola y = 2x2 , che è la


traiettoria del moto.

Esercizio
La velocità di una particella in moto lungo l’asse x varia nel tempo con la
legge v = V e−αt con V e α costanti. All’istante t = 0 la posizione è x(0) = 0.
Inoltre è noto che (i) a t = 1 s, x(1) = 5 m e per t >> α1 s, x(t) = 20 m.
Determinare (i) la legge oraria, (ii) i valori di V e α.
Soluzione
(i) Dalla
Z t
x(t) − x(t0 ) = v(t)dt
t0

otteniamo la legge oraria nella forma


Z t
1
x(t) = V e−αt dt = − (V e−αt − 1)
0 α

(ii) Possiamo esplicitare le due condizioni

1
(1 − eα ) = 5 m
x(1) =
α
1
x(∞) = V = 20 m
α
Dalla seconda ho V = 20α, che sostituita nella prima porta a

3
20e−α = 15 α = − ln( ) = 0.288 s−1
4

da cui si ricava V = 5.76 m/s

Esercizio
Un corpo si muove su una circonferenza di raggio R = 1.3 m con un’accel-
erazione angolare
α(t) = 120t2 − 48t + 16 rad/s2

La sua posizione all’istante t = 0 s è data da φ(0) = 0 e la sua velocità iniziale


è nulla. Determinare all’istante t = 1 s (i) la velocità angolare, (ii) l’angolo
di cui è ruotato, (iii) le componenti normale e tangenziale dell’accelerazione.
Soluzione
(i) La velocità angolare ω(t) è legata all’accelerazione dalla α(t) = dω(t) dt .
2.5. ANCORA SULL’INTEGRALE INDEFINITO 49

Possiamo pertanto scrivere


Z t
ω(t) − ω(0) = α(t)dt
0
Z t
= (120t2 − 48t + 16)dt
0
= 40t3 − 24t2 + 16t rad/s

Poichè ω(0) = 0 rad/s , per t = 1 s si ottiene ω(1) = 32rad/s.


(ii) Allo stesso modo per l’angolo percorso , essendo ω(t) = dφ(t)
dt , si ha che
Z t
φ(t) − φ(0) = ω(t)dt
0
Z t
= (40t3 − 24t2 + 16t)dt
0
= 10t4 − 8t3 + 8t2 rad

da cui segue φ(1) = 10 rad.


(iii) L’accelerazione tangenziale è at (t) = α(t)R. Nel caso in esame abbiamo
che α(1) = 88 rad/s2 e pertanto at (1) = 114.4 m/s2 . Per quella centripeta
ho
v(1)2
ac (1) =
R
= ω(1)2 R = 1331.2 m/s2
50 CAPITOLO 2. INTEGRAZIONE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO
Capitolo 3

Impulso e quantità di moto

Consideriamo una particella in un sistema inerziale soggetta ad una forza F~


per un intervallo di tempo t. Definiamo impulso impartito dalla forza alla
particella l’integrale
Z t
~ =
I(t) F~ (t)dt (3.1)
0

ove si è supposto che la forza possa dipendere esplicitamente dal tempo.


Dimensionalmente si ha

[I] = [M LT −2 T ] = [M LT −1 ]

vale a dire l’impulso ha le dimensioni di una velocità per una massa.

3.1 Forze impulsive


Il concetto di impulso è utile quando si ha a che fare con forze intense che
agiscono su tempi brevi, come nelle collisioni tra due particelle, nella percus-
sione di un chiodo con un martello, etc. Queste forze sono dette impulsive.
La loro caratteristica fondamentale è che, a differenza di quelle viste fino a
ora, manifestano una dipendenza esplicita dal tempo.

Per comprendere come una forza impulsiva modifichi lo stato di moto di


una particella, scriviamo l’impulso impartito in un tempo infinitesimo come

~ = F~ (t)dt = m d~v dt
dI(t) (3.2)
dt
ove si è utilizzato il secondo principio. Osserviamo ora che md~v = d(m~v ).
Pertanto, introducendo la grandezza quantità di moto (o momento lineare)
della particella al tempo t
p~(t) = m~v (t) (3.3)

51
52 CAPITOLO 3. IMPULSO E QUANTITÀ DI MOTO

si può scrivere

~ = d~
dI(t) p(t)
Z p
~ =
I(t) d~
p(t)
0
= p~(t) − p~(0) (3.4)

vale a dire, l’impulso impartito dalla forza alla particella provoca


una variazione della sua quantità di moto.

Esempi

Figura 3.1: Come piantare chiodi

1. La Figura illustra quello che accade quando si vuole piantare un chio-


do su un asse. Il martello esercita una forza impulsiva, trasferendo al
sistema chiodo-asse la sua quantità di moto (dopo la collisione con il
chiodo infatti il martello è fermo). Nel caso M1 della figura l’asse è
vincolato, perchè non si può muovere in direzione verticale per la pre-
senza del tavolo T. Pertanto l’intera quantità di moto viene trasferita
al chiodo C1 , che penetra nell’asse. Nel caso M2 l’impulso del martello
viene trasferito al chiodo e all’asse, che può muoversi in direzione ver-
ticale. Come risultato il chiodo C2 penetra poco o non penetra affatto
nell’asse.

Figura 3.2: Collisione contro una parete

2. Una particella di massa m urta una parete con velocità V ~ normale


ad essa. Dopo la collisione essa si allontana dalla parete con velocità
3.1. FORZE IMPULSIVE 53

~ 0 = −V
V ~ opposta a quella incidente. La variazione della quantità di
moto è pertanto
mV~ 0 − mV~ = −2mV ~ = I~

Se si assume che l’urto abbia una durata pari a ∆t si può calcolare


la forza media agente sulla particella per la durata della collisione,
tramite la
F~ ∆t = I~
ovvero
2m ~
F~ = − V
∆t
Questo esempio richiede alcuni commenti:

• La forza determinata è una forza media, ottenuta calcolando l’im-


pulso come se fosse originato da una forza costante che agisce
nell’intervallo di tempo ∆t. E’ evidente che qualunque forza tale
che Z ∆t
F~ (t)dt = −2mV
~
0
determinerebbe lo stesso impulso. La collisione non consente una
determinazione precisa della dipendenza temporale della forza.
• In ogni caso la determinazione della forza media non è possibile
senza la conoscenza del tempo di collisione, vale a dire dell’in-
tervallo temporale in cui l’interazione tra particella e parete è
significativa.
• F~ rappresenta la forza esercitata dalla parete sulla particella:
questo è il motivo per cui essa è diretta nella direzione della ve-
locità finale. La forza che la particella esercita sulla parete è −F~
ed è diretta verso l’interno della parete cioè nella direzione della
velocità iniziale. Ovviamente la parete è vincolata e non si mette
in moto sotto l’azione di tale forza.
• L’esempio mostra come si origina la pressione che agisce sulle
pareti di un recipiente contenente un gas. Le molecole del gas
collidono contro la parete è cosı̀ facendo esercitano su di essa una
forza. La pressione è la forza esercitata sull’unità di superficie
della parete.

3. Consideriamo il caso di due corpi che si muovono nella stessa direzione


e verso opposto, avvicinandosi l’uno all’altro su una superficie orizzon-
tale liscia. Essi si urtano e si allontanano dopo la collisione. Indichiamo
con v1 e v2 le velocità iniziali, cioè prima della collisione, dei due corpi
e con v10 e v20 quelle dopo la collisione (essendo la collisione unidimen-
sionale non adottiamo la notazione vettoriale).
Dato che il piano è orizzontale e senza attrito le uniche forze in gioco
54 CAPITOLO 3. IMPULSO E QUANTITÀ DI MOTO

Figura 3.3: Collisione tra due corpi

sono quelle dovute alle reciproche interazioni tra i due corpi, vale a
dire F12 forza che il corpo 2 esercita sul corpo 1, e F21 forza che il
corpo 1 esercita sul corpo 2. Per il terzo principo esse sono uguali
ed opposte. Se i corpi sono neutri, ci aspettiamo che le forze siano
nulle prima che essi vengano a contatto, siano piccole al momento del
contatto e crescano bruscamente fino ad un massimo, per annullarsi
infine quando i due corpi si allontanano di nuovo.
In un qualsiasi istante in cui i due corpi sono a contatto avremo
dv1 dv2
F12 = m1 F21 = m2
dt dt
Indicando con t0 l’istante in cui i due corpi si toccano e t0 quello in cui
i due corpi si separano, si ottiene
Z t0 Z v0
1
F12 (t)dt = m1 dv1
t0 v1
Z t0 Z v20
F21 (t)dt = m2 dv2
t0 v2

ovvero
Z t0
m1 v10 − m1 v1 = F12 (t)dt
t0
Z t0
m2 v20 − m2 v2 = F21 (t)dt
t0
3.1. FORZE IMPULSIVE 55

cioè la variazione della quantità di moto di ognuno dei due


corpi è uguale all’impulso della forza dovuta all’altro nell’in-
tervallo di tempo in cui ha luogo la collisione (tempo di col-
lisione).
Poichè le due forze sono uguali in modulo e opposte in verso, anche
la variazioni della quantità di moto delle due particelle hanno pari in-
tensità e segno opposto. Ne consegue che, se si definisce la quantità di
moto totale
P = m1 v1 + m2 v2 (3.5)

essa rimane inalterata dopo la collisione, vale a dire

P 0 = m1 v10 + m2 v20 = P (3.6)

Si vedrà in seguito che questo risultato è del tutto generale, vale a


dire, in presenza di sole forze di interazione tra le parti-
celle, la quantità di moto totale si conserva. Tale principio
di conservazione è una diretta conseguenza del terzo principio della
dinamica.

4. Esercizio
Una palla da golf ha una massa di m = 5g. Se la velocità che es-
sa acquista quando colpita da un giocatore con la mazza è pari a
v = 67.5m/s, quanto vale l’impulso del colpo? Posto che il tempo di
collisione sia pari a ∆t = 0.0005s Qual’è il valore della forza media
esercitata sulla palla?
Soluzione
Dato che la palla è inizialmente ferma abbiamo

I = mv = 0.005 × 67.5 = 0.338 N s

La forza media è data da

I
F = = 676 N
∆t

5. Esercizio
Un ciclomotore con massa pari a 110 kg parte da fermo e raggiunge
una velocità costante in 20 s. Durante la fase di accelerazione la forza
esercitata sul ciclomotore è data da f = 100 − 0.25t2 N con t espresso
in secondi. Determinare la velocità finale v del ciclomotore.
Soluzione
56 CAPITOLO 3. IMPULSO E QUANTITÀ DI MOTO

L’impulso è dato da
Z 20
I= (100 − 0.25t2 )
0
203
= 100 × 20 − 0.25
3
2
= 2000 × = 1333 N s
3
Poichè la velocità iniziale è nulla l’impulso è uguale alla quantità di
moto finale. Pertanto
I 1333
v= = = 12.1 m/s = 43.6 km/h
m 110

3.2 Generalizzazione del secondo principio


L’introduzione della quantità di moto consente di scrivere il secondo princi-
pio della dinamica nella forma

d~
p
F~ = (3.7)
dt
A prima vista questo appare come un passaggio inutile dal momento che,
essendo la massa di una particella costante, si ha che

d~
p = dm~v = md~v

e si riottiene la legge della dinamica come l’abbiamo formulata nel secondo


principio.
Tuttavia la legge della dinamica scritta in questa forma consente di descri-
vere anche sistemi la cui massa varia nel corso del moto. Appartengono
a questa categoria tutti i sistemi alimentati da carburante, in quanto il
consumo del carburante comporta una diminuzione della massa, quelli con
propulsione a reazione, come gli aerei a reazione, i missili, etc.
In questi casi
d~
p = ~v dm + md~v (3.8)
vale a dire, la variazione della quantità di moto può essere dovuta ad una
variazione della massa oltre che ad una variazione della velocità.
Inoltre, come si vedrà in seguito, questa forma del secondo principio è quel-
la che rimane appropriata quando si descrivono moti relativistici, cioè con
velocità confrontabili con quella della luce.
Capitolo 4

Forze di attrito nei fluidi

4.1 Premessa
Consideriamo in questo capitolo la forza associata alla resistenza che un
fluido fermo (aria, acqua, olio, etc.) oppone ad un corpo mobile puntiforme.
Il problema è complesso. Ci limitiamo a considerare i casi in cui la forza
può essere espressa da una legge del tipo
F~ = −f (v)v̂ (4.1)
ove si è indicato con v = |~v | il modulo della velocità istantanea. Per
velocità non troppo elevate la funzione f (v) ha la forma
f (v) = bv + cv 2 = fvis + fidr (4.2)
con b > 0 e c > 0. Il segno negativo nell’espressione della forza F~ indica che
essa ha verso opposto a quello della velocità. La forza si compone di due
termini con le seguenti caratteristiche:
• fvis è detta forza di attrito viscoso ed è lineare nel modulo della
velocità. Il coefficiente b dipende dalla viscosità del fluido e dalle
dimensioni del corpo. Dimensionalmente [b] = [M T −1 ]. Per un corpo
sferico b = βD ove D è il diametro e β = 3πη, dove η è la viscosità
del mezzo. La viscosità è una proprietà fondamentale di un fluido e
indica come strati diversi di fluido possono scorrere gli uni sugli altri.
Il suo valore dipende dalla pressione e dalla temperatura del fluido.
Dimensionalmente si ha
[η] = [M L−1 T −1 ]
Nel sistema MKS dovrebbe misurarsi in kg/ms, ma in pratica si usa
il poise (1poise = 10−1 kg/ms). L’aria a pressione atmosferica e tem-
peratura di 20◦ C ha viscosità η = 1.71 × 10−4 poise. Per un corpo
sferico che si muove in aria avremo dunque
β = 1.61 × 10−3 poise = 1.61 × 10−4 kg/ms

57
58 CAPITOLO 4. FORZE DI ATTRITO NEI FLUIDI

• fidr è detta forza di attrito idraulico ed è quadratica nel modulo


della velocità. Il coefficiente ha le dimensioni [c] = [M L−1 ]. Per un
π
corpo sferico si verifica che c = γD2 ove γ = 16 ρ e ρ è la densità del flu-
ido. Nel caso dell’aria in condizioni standard ρ ≈ 1.23 kg/m3 e quindi
γ ≈ 0.24 kg/m3 . In questo caso la proprietà del fluido importante è
la densità (che può variare con pressione e temperatura).
L’analisi può evidentemente essere facilitata se uno dei due termini prevale
rispetto all’altro.
Illustriamo il peso relativo dei due termini con qualche esempio.
1. Una pallina con D = 7 cm si muove in aria con la velocità v = 5 m/s.
In questo caso
fidr γ
= Dv
fvis β
0.24
= Dv
1.61 × 10−4
= Dv1.49 × 103
che applicata al nostro caso porta a
fidr
= 5 × 7 × 10−2 × 1.49 × 103 ≈ 521
fvis
in questo caso prevale nettamente l’attrito idraulico.
2. Una goccia d’acqua in aria con D = 1 mm e v = 0.6 m/s. In questo
caso
fidr
= Dv1.49 × 103 ≈ 0.9
fvis
i due termini sono confrontabili.
3. Una goccia d’olio con D = 1.5 micron = 1.5 × 10−6 m e velocità
v = 5 × 10−5 m/s. In questo caso
fidr
= Dv1.49 × 103 ≈ 7.2 × 10−8
fvis
prevale l’attrito viscoso. Queste ultime sono le condizioni del celebre
esperimento di Millikan per la misura della carica dell’elettrone.

4.2 Moti unidimensionali in presenza di forze di


attrito
Avendo esplicitato la legge della forza possiamo scrivere la legge del moto
in una dimensione quando siano presenti solo forze di questo tipo come
dv(t)
m = −f (v) (4.3)
dt
4.2. MOTI UNIDIMENSIONALI IN PRESENZA DI FORZE DI ATTRITO59

Possiamo risolvere questo tipo di equazioni differenziali del primo ordine con
il metodo di separazione delle variabili .
Notiamo che l’equazione può scriversi anche come
m
dt = − dv = g(v)dv (4.4)
f (v)

con g(v) = − fm(v) . Per quanto abbiamo detto relativamente all’integrazione


di questo tipo di equazioni, questa espressione comporta che
Z t Z v
dt = g(v)dv (4.5)
t0 v0

ove v0 = v(t0 ) e v = v(t). Pertanto effettuando l’integrazione otteniamo

t − t0 = G(v) − G(v0 ) (4.6)

ove G(v) è la funzione primitiva di g(v). Questa equazione esprime t in


funzione di v. Invertendo possiamo ottenere v in funzione del tempo.
Questo metodo di soluzione si basa sulla possibilità di separare le due vari-
abili, cioè mettere a primo membro ciò che dipende da t e a secondo membro
ciò che dipende da v.

Prima di procedere ad applicazioni specifiche, notiamo che, nel caso


di moti unidimensionali e forze dipendenti dalla velocità, è possibile ri-
cavare l’andamento della velocità anche in funzione della posizione.
Osserviamo infatti che
dv dv dx
a= =
dt dx dt
dv
=v
dx
f (v)
= (4.7)
m
L’ultima relazione rappresenta un’equazione differenziale nella funzione incog-
nita v = v(x), che può essere integrata per separazione di variabili. Si ha
infatti
dv 1
v = dx (4.8)
f (v) m
Z v
v 1
dv = (x − x0 ) (4.9)
v0 f (v) m

ove v0 e x0 sono rispettivamente la velocità e la posizione iniziale della


particella oggetto di studio.
Sostituendo l’appropriata espressione per f (v) e integrando si ottiene la
funzione v = v(x).
60 CAPITOLO 4. FORZE DI ATTRITO NEI FLUIDI

4.3 Moto in presenza di attrito lineare


Il problema che vogliamo affrontare è quello di un corpo con velocità iniziale
v0 > 0 che si muove in un fluido soggetto alla sola forza di attrito viscoso.
Vogliamo determinare il modo in cui tale forza riduce la velocità del corpo.
La seconda legge della dinamica applicata a questo caso è
fvisc (v) b
a= =− v (4.10)
m m
che porta all’equazione differenziale
dv b
=− v (4.11)
dt m
Procedendo come sopra indicato otteniamo
Z v Z t
dv
= −k dt (4.12)
v0 v t0

ove k = b/m, t0 è l’istante iniziale e v0 = v(t0 ) la velocità iniziale.


L’integrazione porta a
v
ln = −k(t − t0 )
v0
v(t) = v0 e−k(t−t0 ) (4.13)
Poniamo per semplicità t0 = 0 in modo da scrivere
v(t) = v0 e−kt = v0 e−t/τ (4.14)
La velocità decade esponenzialmente dal valore iniziale (Fig. 1). Per t → ∞
essa tende a zero. τ = 1/k è il tempo caratteristico dell’esponenziale ed è
detto tempo di rilassamento.
Possiamo derivare la legge oraria integrando l’espressione della velocità.

Figura 4.1: Andamento della velocità del moto in un fluido viscoso. t0 = 0

Poniamo per semplicità t0 = 0, avremo


Z t Z t
x(t) − x(0) = v(t)dt = v0 e−kt dt
0 0
v0
= (1 − e−kt ) (4.15)
k
= v0 τ (1 − e−t/τ ) (4.16)
4.4. MOTO CON ATTRITO VISCOSO E FORZA COSTANTE 61

Questo risultato mostra come, al diminuire della velocità, la posizione della

Figura 4.2: Legge oraria per il moto in un fluido viscoso con x(0) = 0

particella tenda asintoticamente al valore

x∞ = x(0) + v0 τ (4.17)

Il percorso della particella è pertanto finito.

Possiamo infine calcolare la velocità in funzione della posizione v = v(x).


Dalla teoria precedente abbiamo
Z v
v 1
dv = (x − x(0))
f
v0 visc m
1 v
Z
1
− dv = (x − x(0))
b v0 m
v(x) = v0 − k(x − x0 ) (4.18)

la velocità decresce linearmente con la distanza.


Un moto di questo tipo è ad esempio quello di un carrello che si muove su un
vincolo liscio, cioè privo di attrito radente, soggetto alla sola forza di attrito
con il fluido in cui si muove.

4.4 Moto con attrito viscoso e forza costante


L’esempio precedente è un’illustrazione di come l’attrito viscoso rallenti la
corsa di un corpo, non soggetto ad altre forze, fino a fermarlo. Più interes-
sante è il caso in cui il corpo si muova sotto l’azione di una forza che tende
ad accelerarlo e dell’attrito. Ci limitiamo a considerare in caso in cui la
forza sia costante. Questa è la situazione che si crea, ad esempio, quando
un corpo cade in un fluido (aria, olio, etc.). La forza peso è costante ed
accelera il corpo, ma al crescere della velocità la forza di attrito diviene
sempre più intensa. Il corpo viene accelerato fintanto che non si raggiunge
una situazione nella quale la forza peso viene equilibrata da quella di attrito.
A questo punto la risultante delle forze agenti sul corpo è nulla ed esso cade
con moto uniforme.
62 CAPITOLO 4. FORZE DI ATTRITO NEI FLUIDI

Figura 4.3: Velocità in un fluido viscoso e in presenza di una forza costante

Per verificare questo risultato scriviamo l’equazione del moto per un corpo
di massa m soggetto ad una forza costante F > 0 e alla forza di attrito
viscoso (sempre supponendo un moto rettilineo)

mẍ = F − bv (4.19)

o, nei termini della funzione velocità v(t) istantanea


dv
m = F − bv (4.20)
dt
Procedendo alla separazione di variabili, otteniamo
dv 1
= dt (4.21)
F − bv m
L’equazione risulta separabile perchè la forza non dipende dal tempo. Segue
Z v
dv 1
= (t − t0 ) (4.22)
v0 F − bv m

con v0 = v(t0 ).
Si verifica facilmente che se b = 0, cioè in assenza di attrito, si ottiene che la
velocità cresce linearmente con il tempo, come in un moto uniformemente
accelerato. Se b 6= 0 avremo
F − bv
ln | | = −k(t − t0 ) (4.23)
F − bv0
ove si è usata la relazione
Z
1 1
= ln(Ax + B)
Ax + B A
e k = b/m. Poniamo che v0 = 0, cioè il corpo sia inizialmente fermo. La
velocità comincia a crescere sotto l’azione della forza costante. Se bv < F
l’espressione della velocità è data da
F
v(t) = [1 − e−k(t−t0 ) ] (4.24)
b
4.4. MOTO CON ATTRITO VISCOSO E FORZA COSTANTE 63

Si vede come la velocità cresce in ragione della forza F dal valore zero ad
un valore limite per t → ∞, pari a vL = Fb . Questo è il valore della velocità
per il quale la forza di attrito viscoso è di intensità pari a quella della forza
costante. Per v = vL l’accelerazione è nulla e quindi il corpo si muove di
moto rettilineo uniforme. Possiamo scrivere l’equazione precedente anche
come
v(t) = vL (1 − e−k(t−t0 ) ) (4.25)
Se v0 6= 0 e F > bv0 , avremo che la velocità potrà crescere da v0 fino al
valore vL . L’espressione della velocità in questo caso risulta data da
F F
v(t) = + (v0 − )e−k(t−t0 ) (4.26)
b b
Se consideriamo il caso della forza peso F = P = −mg (il segno meno
viene dal fatto che la forza è diretta nel verso negativo della verticale), la
velocità limite è vL = − mg
b .
Pertanto un corpo che cade nell’aria in presenza di attrito viscoso non pre-
senta il comportamento previsto dalla legge di Galileo: per tempi di caduta
sufficientemente lunghi, il moto diventa rettilineo uniforme.
Possiamo derivare la legge oraria. Posto per semplicità t0 = 0 abbiamo
(con τ = 1/k))
Z t
x(t) = x(0) + v(t)dt
0
F t −t/τ
Z
F
= x(0) + t − e dt
b b 0
F F
= x(0) + t + τ (e−t/τ − 1)
b b
= x(0) + vL t − vL τ (1 − e−t/τ ) (4.27)

Si noti come per t → ∞ l’equazione si riduca a

x(t) = x(0) + vL (t − τ )

che è la equazione di un moto uniforme.

4.4.1 Esercizi
1) Esercizio
Le gocce di pioggia hanno un raggio dell’ordine di R = 1.5 mm e densità
pari a ρ = 1 gr/cm3 . Posto che cadano da un’altezza h = 5000 m, che è
l’altezza tipica delle nubi dette altostrati, dovrebbero arrivare al suolo con
una velocità
p p
v = 2gh = 2 × 5 × 103 × 9.8 = 313 m/s = 1118 km/h
64 CAPITOLO 4. FORZE DI ATTRITO NEI FLUIDI

Un proiettile a queste velocità per quanto piccolo sarebbe letale. Per fortuna
le gocce cadono a velocità molto minore a causa della forza di attrito, che per
piccoli corpi possiamo assumere proporzionale alla velocità. Tipicamente la
velocità al suolo è pari a 7 m/s. Calcolare il valore di b.
Soluzione
La velocità limite per un corpo di massa m che cade in un fluido è
mg
vL =
b
da cui ho
mg
b=
vL
Nel caso in esame abbiamo
4π 3 4π
m= R ρ= (1.5)3 × 10−9 × 103 = 14.1 × 10−6 kg
3 3
da cui si ottiene
14.1 × 10−6 × 9.8
b= = 1.97 × 10−5 kg/s
7
2) Esercizio
Lungo una guida circolare liscia di raggio R si muove una particella di massa
m. Il mezzo circostante esercita sulla particella una forza viscosa F~ = −b~v
con b > 0. Posto che la velocità iniziale della particella valga in modulo
b
v0 = m 6πR, determinare (i) la legge oraria, (ii) il numero di giri compiuti
prima di arrestarsi, (iii) il tempo impiegato a percorrere il primo giro.
Soluzione
(i) L’accelerazione tangenziale della particella è
b
~at = − ~v
m
in quanto la forza di attrito ha la direzione della velocità che, come sappiamo
è diretta lungo la tangente. L’accelerazione normale è data da

v2
an =
R
Come in ogni moto circolare, la legge oraria è data dalla funzione φ(t), che
esprime come varia l’angolo tra il vettore posizione e l’asse delle ascisse in
funzione del tempo. Ora osserviamo che

~v = Rφ̇τ̂ at = Rφ̈

Possiamo pertanto scrivere l’equazione del moto per la componente tangen-


ziale come
mφ̈ = −bφ̇
4.4. MOTO CON ATTRITO VISCOSO E FORZA COSTANTE 65

ovvero,
dφ̇
= −bφ̇
dt
Separando le variabili
dφ̇ b
= − dt
φ̇ m
che, integrata con istante iniziale t = 0 e valore iniziale φ̇(0), porta a
b
ln φ̇(t) − ln φ̇(0) = − t
m
da cui si ottiene
bt
φ̇(t) = φ̇(0)e− m
ovvero, utizzando la φ̇(0) = v0 /R,
6πb − bt
φ̇(t) = e m
m
Come si vede la velocità angolare decade in modo esponenziale.
Possiamo integrare questa funzione per ottenere la legge oraria

6πb t − b t
Z
φ(t) − φ(0) = e m
m 0
6πb m − bt
= (− )(e m − 1)
m b
bt
= 6π(1 − e− m )

(ii) Il punto si arresta quando φ̇ = 0, cioè a t → ∞. Il numero di giri


effettuato dalla particella risulta
φ(∞) − φ(0)
=3

(iii) Per determinare il tempo impiegato a compiere il primo giro basta porre

φ(t) − φ(0) = 2π

che porta a
m 3
t= ln
b 2
3) Esercizio
Un corpo di massa m è lanciato verticalmente verso l’alto con velocità iniziale
v0 in un mezzo con attrito viscoso. Si ricavi (i) l’espressione della velocità
in funzione del tempo e la legge oraria, (ii) l’altezza massima cui arriva il
corpo.
Soluzione
66 CAPITOLO 4. FORZE DI ATTRITO NEI FLUIDI

(i) Indichiamo con z la coordinata verticale con asse rivolto verso l’alto.
L’equazione per la velocità è

dv
= −g − kv
dt
con k = b/m. Abbiamo pertanto, separando le variabili e prendendo l’istante
iniziale come origine dei tempi,
Z v Z t
1
dv = − dt
v0 g + kv 0

che porta a

ln(g + kv) − ln(g + kv0 ) = −kt g + kv = (g + kv0 )e−kt

Indicando con vL = g/k la velocità limite per caduta di un corpo nel fluido,
potremo scrivere la velocità come

v = −vL + (vL + v0 )e−kt

Nel limite t → ∞ la velocità è diretta verso il basso e tende al valore limite.


Possiamo integrare questa espressione per ottenere la legge oraria. Dalla

dz
= −vL + (vL + v0 )e−kt
dt
otteniamo
Z z Z t Z t Z t
dz = v(t)dt = − vL dt + (vL + v0 )e−kt dt
0 0 0 0
z(t) − z(0) = −vL t + (vL + v0 )(1 − e−kt )

ove z(0) = 0.
(ii)Per determinare l’altezza massima, calcoliamo l’istante t∗ a cui la velocità
si annulla. Avremo

v(t∗ ) = 0 vL = (vL + v0 )e−kt

da cui si ottiene
vL + v0
ln( ) = kt∗
vL
1 v0
t∗ = ln(1 + )
k vL
v0
= τ ln(1 + )
vL
4.4. MOTO CON ATTRITO VISCOSO E FORZA COSTANTE 67

L’altezza massima raggiunta viene data da


v0 ∗
zmax = −vL τ ln(1 + ) + (vL + v0 )τ (1 − e−kt )
vL
v0 v0
= −vL τ ln(1 + ) + (vL + v0 )τ
vL vL + v0
v0
= [v0 − vL ln(1 + )]τ
vL
4)Esercizio
Una particella di massa m = 1 kg si muove su una retta sotto l’azione di

una forza f = −β v con β = 2 N m−1/2 s1/2 .
A t = 0 s essa si trova nell’origine con velocità v(0) = v0 = 4 m/s. Deter-
minare:
(i) la dipendenza della velocità dal tempo;
(ii) la legge oraria;
(iii) la distanza che la particella percorre prima di fermarsi.
Soluzione
(i) L’equazione del moto
dv
m = −βv 1/2
dt
può scriversi separando le variabili come
dv β
√ = − dt
v m
ovvero
v
β t
Z Z
dv
√ =− dt
v0 v m 0
√ √ β
v = v0 − t
2m
Sostituendo i valori del problema otteniamo

v(t) = (2 − t)2 m/s

(ii) La legge oraria viene data da


Z t
x(t) = v(t)dt
0
Z t
t3
= (4 + t2 − 4t)dt = 4t + − 2t2 m
0 3
(iii) Il punto si ferma all’istante t∗ per cui v(t∗ ) = 0.
Questo avviene a t∗ = 2 s. Sostituendo questo valore nella legge oraria si ha
8
x(t∗ ) = = 2.67 m
3
68 CAPITOLO 4. FORZE DI ATTRITO NEI FLUIDI

4.5 Moto in presenza di attrito idraulico


In questo caso la seconda legge della dinamica porta all’equazione

dv
m = −cv 2 (4.28)
dt
che si integra secondo la
Z v
dv c
= − (t − t0 ) (4.29)
v0 v2 m
ovvero
1 1 c
− = (t − t0 ) (4.30)
v v0 m
o in forma esplicita
v0
v= v0 c (4.31)
1+ m (t − t0 )
Introducendo il tempo caratteristico dell’attrito idraulico
m
τ= (4.32)
v0 c

possiamo scrivere la velocità nella forma


v0
v(t) = (4.33)
1 + t−t
τ
0

Si noti che per t − t0 = τ la velocità v = v0 /2, cioè è ridotta a metà


di quella iniziale. Va notato come questo tempo caratteristico sia diverso
da quello presente nell’attrito lineare, in quanto dipende esplicitamente
dalla velocità iniziale, anzichè solo dalle proprietà del mezzo.
Posto per semplicità t0 = 0 possiamo ricavare la legge oraria
Z t
x(t) = x(0) + v(t)dt
0
t
= x(0) + v0 τ ln (1 + ) (4.34)
τ
Si noti come

• la velocità tende a zero per t → ∞, ma decade molto più lentamente


che nel caso dell’attrito viscoso. Per t >> τ si ha vL = v0tτ , cioè essa
decade come l’inverso del tempo, anzichè esponenzialmente;

• l’andamento della x in funzione del tempo non mostra alcun valore


limite: al contrario x → ∞ quando t → ∞.
4.6. MOTO DI PROIETTILI IN PRESENZA DI ATTRITO 69

La ragione della marcata differenza di comportamento nei due casi si può


intuire facilmente. Al calare della velocità l’attrito idraulico diventa molto
piccolo, tanto da non essere in grado di fermare il corpo su una distanza fini-
ta. Questo fatto, lontano dalla nostra esperienza, indica che non è realistico
supporre che la forza di attrito del fluido possa essere quadratica per ogni
valore della velocità: nella realtà alle basse velocità la forza viscosa finisce
per prevalere e il corpo si ferma dopo una certa distanza.

4.6 Moto di proiettili in presenza di attrito


Abbiamo studiato il moto di un proiettile in presenza della sola forza peso.
In realtà se il moto avviene nell’aria o in qualche altro fluido, l’effetto del-
l’attrito altera sensibilmente la traiettoria del corpo.
Supponiamo inizialmente che entrambi le forze di attrito siano presenti.
Scriveremo

F~visc = −b~v
F~idr = −c|~v |2 v̂
= c|~v |~v (4.35)

L’equazione vettoriale del moto è

d~v (t)
m = m~g − b~v − c|~v |~v (4.36)
dt

Trattandosi di un moto piano l’equazione vettoriale corrisponde ad un sis-


tema di due equazioni scalari. Se assumiamo che il moto abbia luogo nel
piano Oxz otteniamo

dvx (t) p
m = −bvx − c vx2 + vz2 vx
dt
dvz (t) p
m = −mg − bvz − c vx2 + vz2 vz (4.37)
dt

Come si vede abbiamo un vero e proprio sistema di due equazioni differen-


ziali, in cui ogni equazione dipende dalle due incognite vx (t) e vz (t). Il sis-
tema risulta non risolubile in forma analitica. La difficoltà nasce dal termine
di attrito idraulico, che coinvolge le due componenti.

4.6.1 Proiettile con attrito lineare


Se ci limitiamo al caso dell’attrito viscoso, possiamo risolvere il sistema
utilizzando le conoscenze acquisite con lo studio dei moti unidimensionali.
70 CAPITOLO 4. FORZE DI ATTRITO NEI FLUIDI

In questo caso esso si riduce a


dvx (t)
m = −bvx
dt
dvz (t)
m = −mg − bvz (4.38)
dt
e le due equazioni possono risolversi separatamente. La prima rappresenta
un semplice moto lungo x con la forza viscosa che riduce la velocità. La
seconda è l’equazione di un corpo che cade in un fluido viscoso.
Posto t0 = 0 e x(0) = 0 abbiamo lungo x le soluzioni

vx (t) = v0x e−t/τ


x(t) = v0x τ (1 − e−t/τ ) (4.39)

con τ = m/b.
Per quello che riguarda il moto lungo z occorre tenere conto del fatto che
che la velocità iniziale v0z > 0 è diretta verso l’alto. Pertanto, sfruttando i
risultati del moto in un fluido in presenza di una forza costante, otteniamo
mg mg − b t
vz + = (v0z + )e m (4.40)
b b
mg
Posto vL = b si ha
b
vz = −vL + (v0z + vL )e− m t (4.41)

Nell’ipotesi che z(0) = 0, vale a dire il proiettile parta dal suolo, possiamo
integrare l’ultima espressione per ottenere la legge oraria
Z t
z(t) = vz (t)dt
0
Z t Z t
b
= −vL dt + (v0z + vL ) e− m t dt
0 0
m b
= −vL t + (v0z + vL ) (1 − e− m t ) (4.42)
b
m
Riassumendo e posto b = τ la legge oraria del moto risulta essere
t
x(t) = v0x τ (1 − e− τ )
t
z(t) = (v0z + vL )τ (1 − e− τ ) − vL t (4.43)

Possiamo ricavare l’equazione della traiettoria. Dalla prima equazione ho


x − v0x τ t
= −e− τ
v0x τ
ovvero
v0x τ − x
t = −τ ln( )
v0x τ
4.6. MOTO DI PROIETTILI IN PRESENZA DI ATTRITO 71

sostituendo nella seconda equazione ottengo


t
z = (v0z + vL )τ − (v0z + vL )τ e− τ − vL t
x − v0x τ v0x τ − x
= (v0z + vL )τ + (v0z + vL )τ + vL τ ln( )
v0x τ v0x τ
v0z + vL x
= x + vL τ ln(1 − ) (4.44)
v0x v0x
Questa è l’equazione della traiettoria. Non si tratta di una curva semplice.
Anche se si vuole procedere al calcolo esatto della gittata occorre utilizzare
metodi numerici. In ogni caso la gittata risulta sensibilmente ridotta rispetto
al valore in assenza di attrito.
72 CAPITOLO 4. FORZE DI ATTRITO NEI FLUIDI
Capitolo 5

Reazioni vincolari

5.1 Vincoli
Con il termine vincolo si indica qualunque dispositivo dovuto a corpi
che pone dei limiti alle posizioni e/o alle velocità delle particelle.
Un sistema meccanico soggetto a vincoli è detto vincolato.
Un vincolo non dipendente dal tempo è detto fisso o scleronomo, altrimenti
è un vincolo mobile o reonomo.
A titolo di esempio si consideri il caso di un punto vincolato a muoversi su
una circonferenza di raggio R con centro nell’origine. Come sappiamo la
legge oraria è data da

x(t) = R cos φ(t) y(t) = R sin φ(t)

Supponiamo che il centro sia mobile, per esempio si muova di moto rettilineo
uniforma con velocità VC lungo l’asse x. In tale caso la legge oraria è

x(t) = R cos φ(t) + VC t y = R sin φ(t)

Si noti che, mentre nel vincolo fisso la dipendenza temporale delle coordinate
è attraverso l’angolo φ, il vincolo mobile porta ad una dipendenza diretta
dal tempo.
In generale i vincoli mobili portano a dipendenze esplicite dal tempo delle
leggi orarie del moto.
I vincoli nella loro rappresentazione matematica si traducono in equazioni o
disequazioni che devono essere soddisfatte dai parametri che rappresentano
lo stato di moto della particella.
Per esempio, in una rappresentazione cartesiana del moto in tre dimensioni,
i vincoli che limitano le posizioni possibili di una particella a una curva o ad
una superficie, sono espressi da condizioni del tipo

f1 (x, y, z) = 0 f2 (x, y, z) = 0

73
74 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

nel caso di una curva o semplicemente

f (x, y, z) = 0

nel caso di una superficie. In questi casi il vincolo è detto olonomo e bi-
laterale.

Esempi

1. Le coordinate di un punto vincolato a muoversi sulla superficie di una


sfera di raggio R con centro nell’origine devono soddisfare la

x2 + y 2 + z 2 = R 2

2. Se il punto si muove su una retta le coordinate delle sue posizioni


devono soddisfare le equazioni di una retta, vale a dire

x − x0 y − y0 x − x0 z − z0
= =
lx ly lx lz

ove lx , ly , lz sono i coseni direttori della retta e il punto di coordinate


x0 , y0 , z0 è un generico punto della retta.

Se la condizione vincolare è espressa da una disuguaglianza del tipo


f (x, y, z) > 0 ovvero f (x, y, z) < 0, il vincolo è detto unilaterale.

Esempi

1. Se il punto è vincolato a muoversi all’interno di una sfera di raggio R


con centro nell’origine, avremo la condizione

x2 + y 2 + z 2 < R 2

2. Un vincolo espresso dalla condizione z < 0 limita il moto al semispazio


inferiore.

Vincoli che pongono limitazioni alle velocità che una particella mobile
può avere sono espressi da condizioni del tipo

f (x, y, z, ẋ, ẏ, ż) = 0

e sono detti anolonomi.


5.2. EQUILIBRIO E REAZIONI VINCOLARI 75

5.2 Equilibrio e reazioni vincolari


Dato un sistema di forze F1 , F2 , ..., Fn agenti su una particella, si dice che
la particella è in equilibrio quando la forza totale, vale a dire la
forza risultante della somma delle forze applicate, è nulla
X
F~ = F~i = 0 (5.1)
i

L’equilibrio è statico se il corpo ha velocità nulla. Se la velocità è diversa da


zero il corpo si muove con velocità costante, cioè di moto rettilineo uniforme,
essendo per il secondo principio nulla anche l’accelerazione.
Dato un sistema di forze applicate ad un punto con forza risultante
F~ 6= 0, si ottiene equilibrio del punto applicando ad esso una forza Φ, ~ che
~
sia in ogni istante uguale ed opposta ad F , cioè

~ = −F~
Φ (5.2)

In altri termini , se un corpo, che sappiamo essere soggetto all’azione di una


forza, rimane fermo, dobbiamo concludere che l’azione della forza provoca
una reazione nell’ambiente circostante, la quale si esprime tramite una forza
agente sul corpo, di pari intensità e direzione, ma verso opposto alla forza
stessa: tale forza è detta (Reazione Vincolare).
Un buon esempio è un corpo appoggiato su un piano orizzontale. Esso è
soggetto alla forza peso, perpendicolare al piano, e pertanto ci aspettiamo
che prema sulla superficie del piano, creandovi delle deformazioni. Ciò dà
origine a forze elastiche di richiamo, che producono una reazione vincolare
uguale e contraria Φ ~ = −P~ .
Nei problemi meccanici, le reazioni vincolari sono spesso incognite, in in-
tensità e in verso (in genere è nota la direzione). Come dimostra l’esempio
precedente, il modo per valutarle è attraverso la loro capacità di opporsi a
forza note. Non è possibile determinarle a priori: occorre determinarle caso
per caso dall’esame delle condizioni fisiche in cui si opera.
Il postulato che sancisce la natura delle forze vincolari è il seguente:
Una particella comunque vincolata può essere resa libera sop-
primendo i vincoli e sostituendo ad essi opportune forze, dette
reazioni vincolari . L’azione del vincolo può essere rappresentata da una
singola reazione o da un sistema di più reazioni.
E’ importante osservare che un vincolo può essere liscio o scabro .
Un vincolo liscio è di regola rappresentato da una singola reazione
vincolare avente la direzione di uno spostamento totalmente proibito
e verso opposto. Più semplicemente un vincolo è liscio quando esercita
una reazione vincolare normale al vincolo stesso.

Esempi
76 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

1. Corpo appoggiato ad un piano liscio. In questo caso lo sposta-


mento totalmente proibito è quello in direzione normale al piano e
diretto verso il basso. La reazione vincolare può scriversi come
~ = Φn̂
Φ (5.3)

con Φ ≥ 0 e n̂ versore normale alla superficie nel verso in cui può


avvenire lo spostamento, cioè verso l’alto.

2. Corpo vincolato a muoversi sul piano. In questo caso tutti gli


spostamenti ortogonali al piano sono proibiti, La reazione vincolare ha
la stessa forma che nel caso precedente, senza vincoli sul segno di Φ.

3. Corpo vincolato a muoversi su una curva liscia. In questo ca-


so, indicando con n̂ il versore normale e con b̂ il versore della binormale
abbiamo in ogni punto della curva
~ = Φn n̂ + Φb b̂
Φ (5.4)

Come risulta chiaro dagli esempi, se ci limitiamo a considerare solo


vincoli lisci, possiamo dire che, pur rimanendo in generale l’intensità del-
la reazione vincolare incognita (la sua conoscenza è possibile risolvendo il
problema), ne conosciamo
• la direzione se vi sono solo due spostamenti totalmente proibiti uno
opposto all’altro;

• la direzione e il verso se vi è un unico spostamento proibito

5.2.1 Il piano inclinato


Si consideri un piano inclinato liscio con angolo di inclinazione α ha reazione
vincolare diretta lungo la normale.
La forza peso di un corpo appoggiato al piano P~ = m~g è diretta lungo

Figura 5.1: Diagramma delle forze su un piano inclinato

la verticale. Essa si può scrivere come somma del vettore proiezione lungo
la direzione normale al piano n̂ e di quello lungo la direzione tangenziale al
piano. Il primo ha modulo pari a mg cos α ed è diretto lungo la normale
al piano e in verso opposto, il secondo ha modulo mg sin α ed è diretto nel
5.3. EQUILIBRIO DI UN PUNTO MATERIALE VINCOLATO 77

verso discendente del piano.


~ è diretta lungo la normale e in verso opposto allo
La reazione vincolare Φ
spostamento totalmente proibito, e pertanto va ad equilibrare la componente
normale della forza peso. Si ha pertanto che

~ = mg cos α n̂
Φ (5.5)

L’altra componente della forza peso non è equilibrata da alcuna forza vin-
colare in assenza di forze di attrito: per questo motivo il corpo cade lungo
il piano con accelerazione g sin α.
In presenza di attrito può accadere che il corpo rimanga fermo: esiste cioè
una reazione vincolare tangenziale che si oppone alla componente lungo il
piano della forza peso fino ad equilibrarla (vedi in seguito).

5.3 Equilibrio di un punto materiale vincolato


Nel seguito supponiamo di avere a che fare con forze che non dipendono
esplicitamente dal tempo. Sappiamo che le forze possono dipendere dalla
posizione della particella rispetto agli altri corpi e dalla sua velocità rispetto
agli altri corpi.
Nello studio delle posizioni di equilibrio siamo interessati a determinare per
quale posizione una particella soggetta a forze rimane ferma. Non siamo
interessati alla dipendenza dalla velocità delle forze perchè l’equilibrio pre-
suppone che la velocità sia nulla. La posizione di equilibrio dipende tuttavia
in modo cruciale da come la forza varia in funzione delle coordinate del pun-
to.
La condizione di equilibrio per un punto materiale (particella) è espressa
dalla
F~ (P0 ) + Φ(P
~ 0) = 0 (5.6)

vale a dire nel punto P0 di equilibrio la somma delle forze attive


F~ (P0 ) è uguale e opposta alla somma delle reazioni Φ(P ~ 0 ) vincolari
nella stessa posizione.
Per un punto non soggetto a vincoli, la condizione di equlibrio è sem-
plicemente F~ (P0 ) = 0 ovvero nei termini delle componenti cartesiane del
vettore

Fx (x0 , y0 , z0 ) = 0
Fy (x0 , y0 , z0 ) = 0
Fz (x0 , y0 , z0 ) = 0 (5.7)

Vediamo cosa accade nel caso siano presenti dei vincoli.


78 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

• Punto vincolato a stare su un piano liscio. Se indico il piano


come Oxy e pertanto l’asse z è la normale, le condizioni sono

Fx (x0 , y0 , z0 ) = 0
Fy (x0 , y0 , z0 ) = 0
Fz (x0 , y0 , z0 ) + Φ = 0 (5.8)

Notare che le prime due equazioni forniscono le coordinate (x0 , y0 ) del


punto di equilibrio, mentre la terza fornisce il valore della reazione
vincolare. Questa può essere determinata una volta individuato il
punto di equilibrio.

• Punto appoggiato su un piano liscio. Il sistema è lo stesso che


nel caso precedente, con la condizione che Φ ≥ 0. Questo comporta
che, tra i punti le cui coordinate soddisfano le prime due equazioni,
solo quelli per i quali Fz (x0 , y0 ) < 0 sono posizioni di equilibrio.

• Punto vincolato a muoversi lungo una curva liscia. In questo


caso si fa riferimento ai versori della terna intrinseca della curva,
anzichè ad assi cartesiani ortogonali. Indicando con s0 l’ascissa curvi-
linea corrispondente ad un punto di equilibrio, le equazioni che devono
essere soddisfatte diventano

Ft (s0 ) = 0
Fn (s0 ) + Φn (s0 ) = 0
Fb (s0 ) + Φb (s0 ) = 0 (5.9)

ove
Ft = F~ · τ̂ è la componente tangenziale della forza risultante,
Fn = F~ · n̂ è la componente lungo la normale
Fb = F~ · b̂ è la componente lungo la binormale.
La prima equazione fornisce i valori della ascissa curvilinea per i quali
si ha equilibrio, la seconda e la terza equazione consentono la deter-
minazione delle reazioni vincolari.

5.3.1 Esercizio
Determinare le posizioni di equilibrio e la corrispondente reazione vincolare
per una particella di massa m, vincolata a muoversi su una semicirconferenza
priva di attrito di raggio R posta nel piano verticale, in presenza della forza
peso e sotto l’azione di due forze elastiche con centro nei punti A e B con
costante elastica rispettivamente data da kA e kB .
Soluzione
Immaginiamo che il moto si svolga nel piano Oxy, ove l’origine è il centro
della semicirconferenza. Le coordinate del punto P ove si trova la particella
5.3. EQUILIBRIO DI UN PUNTO MATERIALE VINCOLATO 79

Figura 5.2: Equilibrio di un punto vincolato su una semicirconferenza

possono esprimersi tramite l’angolo α che il vettore posizione P − O forma


con l’asse orizzontale, vale a dire
x = R cos α y = −R sin α
La forza elastica dovuta al centro A, di coordinate (-R,0), è data da
F~A = −kA (P − A)
e allo stesso modo quella dovuta al centro B, di coordinate (R,0), è
F~B = −kB (P − B)
L’equilibrio si ha per quei valori di α per i quali si realizza la condizione
F~A + F~B + m~g + Φ
~ =0
~ è la reazione vincolare nel punto di equilibrio. Tale reazione è normale
ove Φ
alla circonferenza nel punto poichè si tratta di una curva liscia. Possiamo
scrivere l’ equazione nei termini delle componenti lungo i due assi coordinati.
A questo fine ricaviamo l’espressione delle forze come combinazione lineare
dei versori di base î e ĵ. Si ha
F~A = −kA [(x + R) î + y ĵ]
= −kA R[(1 + cos α)î − sin αĵ]
F~B = −kB [(x − R)î + y ĵ]
= −kB R[(−1 + cos α)î + sin αĵ]
Φ~ = −Φ(cos α î − sin α ĵ)
P~ = m~g = −mg ĵ
La condizione di equilibrio riferita alle componenti porta a
−kA R(1 + cos α) − kB R(−1 + cos α) − Φ cos α = 0
kA R sin α + kB R sin α − mg + Φ sin α = 0
80 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

La seconda equazione mostra che non c’è equilibrio per α = 0 e α = π. Per


sin α 6= 0 si ha che
mg
Φ= − R(kA + kB )
sin α
Sostituendo nella prima si ottiene
cos α
−kA R(1 + cos α) − kB R(−1 + cos α) − mg + (kA + kB )R cos α = 0
sin α
ovvero
mg
tan α =
(kB − kA )R
Notare che se kA = kB la configurazione di equilibrio corrisponde a α = π/2.
Nota: l’espressione di Φ è presa in modo da essere diretta lungo la normale
alla circonferenza, quindi con componente positiva lungo y.

5.4 Moto di un punto vincolato


Nel caso in cui le forze non siano bilanciate dalle reazioni vincolari si ha
evidentemente un moto accelerato della particella. Esaminiamo diverse situ-
azioni relative a vincoli lisci. Naturalmente in questo caso potrebbero es-
istere forze, non derivanti dai vincoli, le quali dipendono dalla velocità della
particella (come ad esempio la forza dovuta ad un campo magnetico), nonchè
forze dipendenti dal tempo. Per questo teniamo conto di tali dipendenze.

• Punto vincolato a muoversi su un piano liscio. Prendo come


riferimento il piano Oxy. La legge oraria è espressa tramite le due
~ = Φk̂ con k̂ versore
funzioni x(t) e y(t). Essendo il vincolo liscio Φ
normale al piano. Avremo dall’equazione del moto

max = Fx (x, y, ẋ, ẏ, t)


may = Fy (x, y, ẋ, ẏ, t)
0 = Fz (x, y, ẋ, ẏ, t) + Φ (5.10)

Le due prime equazioni, che non contengono la reazione vincolare,


sono le equazioni differenziali del moto, da risolversi per determinare
la legge oraria, una volta note le condizioni iniziali. La terza equazione
fornisce la reazione vincolare. Una volta che la legge oraria è stata
determinata, Φ può essere calcolata ad ogni istante.

• Punto appoggiato in moto su un piano liscio. Le equazioni del


moto sono le stesse che nel caso precedente. La differenza è che la
condizione Φ ≥ 0 deve essere verificata ad ogni istante in cui il punto
è appoggiato al piano. Se accade che ad un certo istante t1 , si abbia
Φ(t1 ) = 0 e, per t > t1 , Φ(t) < 0, ciò significa che a partire da t1 il
corpo si stacca dal piano.
5.4. MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO 81

• Punto vincolato ad una curva nota γ liscia. Come sappiamo, il


moto è rappresentato dalla funzione s = s(t), ove s è l’ascissa curvilin-
ea. Per ogni posizione P sulla curva consideriamoo la terna costituita
dai versori τ̂ , n̂ e b̂ intrinseca alla curva. Se la curva è liscia la reazione
vincolare dovrà essere normale alla curva nel punto P , vale a dire
~ = Φn n̂ + Φb b̂
Φ (5.11)

Possiamo decomporre la forza risultante proiettandola sui tre versori,


vale a dire
F~ = Ft τ̂ + Fn n̂ + Fb b̂ (5.12)
La legge del moto proiettata sui tre assi dà il sistema di equazioni
differenziali

ms̈(t) = Ft (s, ṡ, t)


(ṡ)2
m = Fn (s, ṡ, t) + Φn
ρ(s)
0 = Fb (s, ṡ, t) + Φb (5.13)

La prima equazione, che non contiene le reazioni vincolari, costitu-


isce l’equazione differenziale che occorre risolvere per ottenere la legge
oraria s = s(t). Le altre due equazioni, noto s(t), forniscono le reazioni
vincolari.

5.4.1 Esercizi

Figura 5.3: Esercizio 1

1. Un punto materiale P di massa m si muove in un piano verticale. Il


punto è vincolato a scorrere su una retta orizzontale sotto l’azione di
una forza elastica di costante k e centro nel punto A esterno alla retta
e posto a distanza d da essa. Il punto è inizialmente alla distanza
L da A con velocità nulla. Determinare la legge oraria e la reazione
vincolare in funzione del tempo.
Soluzione
Indico con d la distanza |A − O|. Il punto A ha pertanto coordinate
82 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

(0, d).
Con la scelta del sistema di riferimento in figura, possiamo scrivere le
forze agenti sul punto,come segue:

• forza peso P~ = −mg ĵ

• forza elastica

F~el = −k(P − A) = −kxî − k(y − d)ĵ

• reazione vincolare Φ = Φĵ

Le equazioni del moto sono pertanto

mẍ + kx = 0
mÿ + ky − kd − Φ + mg = 0

La seconda equazione si risolve facilmente notando che l’ordinata del


punto mobile è nulla, perciò

Φ = mg − kd

La prima equazione è quella dell’oscillatore armonico. Pertanto abbi-


amo
x(t) = B cos(ωt + α)
All’istante iniziale
p
x(0) = L2 − d2
ẋ(0) = 0

che richiede i seguenti valori dello sfasamento e dell’ampiezza


p
α=0 B = L2 − d2

Figura 5.4: Esercizio 2

2. Un corpo di massa m = 2 kg si muove lungo una guida verticale


semicircolare liscia di raggio r = 50 cm. Si determini:
5.5. VINCOLI SCABRI E ATTRITO RADENTE 83

(i) in funzione dell’angolo θ rispetto alla verticale il modulo della forza


F~ richiesta per mantenere il punto fermo o in moto uniforme sulla
guida,
(ii) la reazione vincolare sviluppata dalla guida quando il corpo passa
nella posizione θ = 0 con velocità |~v | = 2 m/s.
Soluzione
(i) Per mantenere il corpo a velocità costante in modulo si richiede
che la forza tangenziale risultante sia nulla. Il corpo è soggetto, oltre
che alla forza F~ , alla forza peso e alla reazione vincolare. Questa è
diretta verso il centro della guida, cioè in direzione normale, mentre la
forza peso è diretta lungo la verticale. Lungo la direzione tangente è
presente la componente tangenziale della forza peso mg sin θ, diretta
verso la posizione verticale. Pertanto la forza F~ deve essere tangenziale
ed opposta a questa.
(ii) Essendo un vincolo liscio la reazione vincolare a θ = 0 è diretta
lungo la verticale. Indicandola con Φ ~ avremo pertanto in tale punto
l’equazione del moto nella forma
2
~ = mv
−m~g + |Φ|
r
ovvero
~ =m v2 4
|Φ| + mg = 2 + 19.6 = 35.6 N
r 0.5

5.5 Vincoli scabri e attrito radente


I vincoli scabri si caratterizzano per la presenza della forza di attrito radente.
Questa genera reazioni vincolari tangenti al vincolo.

5.5.1 Fenomenologia
Quando si tenta di mettere in moto un corpo su una superficie con cui è a
contatto, si incontra una forza che tende ad impedire o a ritardare il movi-
mento. L’entità di questo effetto, detto attrito radente, varia in un ampio
intervallo e dipende da molti fattori (composizione chimica e morfologia del-
la superficie, presenza di un lubrificante, etc.).
Immaginiamo di avere un blocco fermo a contatto con un piano orizzontale.
Le uniche forze che agiscono sul blocco sono la forza peso P~ e la reazione
del piano di appoggio Φ ~ n . Essendo il corpo fermo, essa deve essere diretta
lungo la verticale, in verso positivo (opposto alla forza peso) e di intensità
pari a |P~ | (Fig. 5).
Poniamo ora di applicare al blocco una forza F~ orizzontale. Supponendo
di poter graduare l’intensità della forza si osserva che il blocco si muove solo
quando questa ha raggiunto un certo valore massimo (Fig. 6). Sotto tale
valore il blocco resta fermo. E’ evidente che l’applicazione al corpo della
84 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

Figura 5.5: Equilibrio di un corpo su un piano

Figura 5.6: Andamento delle forze di attrito in funzione della forza applicata

forza determina da parte del piano di appoggio una reazione, una forza cioè
in direzione orizzontale e di verso opposto a quella applicata (Fig. 7). Ques-
ta forza è detta forza di attrito statico radente. Essa è dovuta al vincolo
e pertanto rappresenta una reazione vincolare tangente al piano di
appoggio. Indicheremo tale forza col simbolo F~AS .
Al di sopra del valore massimo della forza applicata F~ , il corpo si muove.

Figura 5.7: Equilibrio determinato dall’attrito statico

Anche in questo caso si manifesta una forza di attrito, ma essa è inferiore.


Infatti l’esperienza mostra che è più faticoso mettere in moto il corpo, che
mantenerlo in movimento .
Si parla in questo caso di forza di attrito dinamico. La indicheremo nel
seguito con F~AD . Anche questa forza è diretta parallelamente al piano di
5.5. VINCOLI SCABRI E ATTRITO RADENTE 85

appoggio e con verso opposto ad F~ .


Se il blocco si muove con velocità costante, ~a = 0, la forza F~ = −F~AD ,
cioè la forza applicata è equilibrata dalla forza di attrito radente (Fig. 8).
La presenza dell’attrito radente spiega perchè non è possibile mantenere un
corpo in movimento su una superficie senza forze applicate.
Se il blocco si muove di moto accelerato, significa che la forza applicata è

Figura 5.8: Corpo in moto uniforme in presenza di attrito radente

maggiore della forza di attrito radente (Fig. 9).

Figura 5.9: Corpo in moto accelerato in presenza di attrito radente

Come già osservato, la F~AS e F~AD non sono altro che le componenti
tangenziali della reazione vincolare del piano. Possiamo pertanto
scrivere tale reazione come

~ =Φ
Φ ~t +Φ
~ n = F~AS + Φ
~n (5.14)

nel caso statico e


~ =Φ
Φ ~t +Φ
~ n = F~AD + Φ
~n (5.15)
nel caso del corpo in moto.
Qual’è l’intensità di queste forze di attrito?
Nel caso di superfici non lubrificate e di velocità non molto elevate si riscon-
tra sperimentalmente quanto segue:

• la forza di attrito dinamico non dipende dal modulo della velocità del
corpo (come sappiamo questo non vero nei fluidi);

• sia il massimo valore della forza di attrito statico |F~AS | sia |F~AD |
sono direttamente proporzionali alla reazione vincolare normale Φn .
86 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

|F~AS |max = µS Φn |F~AD | = µD Φn (5.16)

ove µs e µD sono detti rispettivamente coefficiente di attrito statico


e coefficiente di attrito dinamico. Sono numeri puri ed hanno di
solito valori compresi tra 0 e 1.

• A parità di altri fattori, le forze di attrito non dipendono dall’area


totale della superficie di contatto.

L’ultimo punto richiede qualche approfondimento. La figura 10 illustra due

Figura 5.10: Indipendenza dell’attrito dall’area di contatto

diverse configurazioni di tre corpi uguali di peso p ciascuno su un piano


orizzontale. Nella prima configurazione ognuno dei tre corpi è appoggiato
sul piano ed essi sono collegati tramite cavi, nella seconda i tre corpi sono
uno sopra l’altro. Il peso complessivo dei tre corpi è 3p e il peso dei cavi
è trascurabile rispetto a p. Nella prima configurazione l’area di contatto è
pari a tre volte la superficie di ogni corpo, mentre nella seconda la superficie
di contatto coincide con quella di un singolo corpo.
Se si applica un peso P > 3p tramite un filo ai tre corpi, è possibile metterli
in moto se la forza applicata supera quella massima di attrito statico. Si
osserva che sia la forza massima di attrito statico sia l’accelerazione dovuta
all’attrito dinamico non cambiano nei due casi. Questo porta a concludere
che l’attrito non dipende dalla superficie di contatto.
La situazione cambia tuttavia quando pesi molto elevati sono applicati su
aree molto piccole (per esempio nei metalli quando si hanno 500N/cm2 o
più). In tale caso la forza di attrito assume valori molto grandi e si verifi-
cano fenomeni di usura e riscaldamento delle due superfici a contatto, che
ne cambiano la natura (ingranamento).

Le considerazioni precedenti portano a scrivere le due relazioni di


Cauchy

• In condizioni di equilibrio

~ t | ≤ µS |Φ
|Φ ~ n|
~ + F~ + P~ = 0
Φ (5.17)
5.5. VINCOLI SCABRI E ATTRITO RADENTE 87

• Per un corpo in moto


~ t = F~AD = −µD Φn v̂
Φ (5.18)

quest’ultima equazione va aggiunta a quelle relative alle componenti


normale e binormale delle forze. In ogni caso l’accelerazione tangen-
ziale è data da
F~ + Φ
~ t = m~at (5.19)

5.5.2 Applicazioni ed esercizi


1) Forza non orizzontale
Consideriamo il caso in cui la forza F~ applicata non sia orizzontale. Essa

Figura 5.11: Forza non orizzontale

avrà pertanto un vettore proiezione F~1 lungo la normale e F~2 tangente al


piano. Si osserva che il corpo non si mette in moto sotto l’azione di F~2 fin
tanto che la sua intensità non supera il valore µS Φn della forza massima di
attrito statico.
Se si indica con θ l’angolo tra la direzione della forza e l’orizzonte (vedi
Fig. 11) le componenti della forza applicata rispetto alla direzione normale
e tangente possono scriversi

F1 = |F~ | sin θ F2 = |F~ | cos θ (5.20)

In condizioni di equilibrio statico si avrà

Φn = P − F1 Φt = −F2 (5.21)

La condizione che il corpo sia appoggiato richiede che Φn > 0 e pertanto


si deve avere che P > |F~ | sin θ. Se questa è soddisfatta, cioè F1 non causa
il sollevamento del corpo, la reazione vincolare tangenziale equilibra F2 .
Questo ci consente di scrivere che per il corpo fermo

|F~ | cos θ ≤ µs Φn = µs (P − |F~ | sin θ) (5.22)

ovvero
µs mg
|F~ | ≤ (5.23)
cos θ + µs sin θ
88 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

Questo caso mostra come la componente tangenziale della reazione vinco-


lare non abbia un valore prefissato, ma dipenda da quello della componente
normale.
Quando F2 > µs Φn il corpo si mette in moto lungo il piano. Il questo
caso l’equazione del moto è data da
|F~ | cos θ − µD Φn = ma (5.24)
ovvero
|F~ | cos θ − µD (P − |F~ | sin θ) = ma (5.25)
ove si è supposto che il moto abbia luogo solo lungo la direzione orizzontale,
cioè sia unidimensionale.

2) Attrito su piano inclinato


Un corpo di massa M appoggiato su un piano inclinato di un angolo α
può mantenersi in equilibrio se la forza di attrito statico è più intensa della
componente tangenziale della forza peso, vale a dire se
|F~AS | = µS Φn ≥ M g sin α (5.26)
Tenuto conto che Φn = M g cos α la condizione di equilibrio diventa
µS M g cos α ≥ M g sin α (5.27)
ovvero
tan α ≤ µS (5.28)
Quando questa condizione non è verificata il corpo si muove lungo il
piano secondo la
M g sin α − µD M g cos α = M a (5.29)
Esercizio
Una cassa è appoggiata su un piano inclinato con α = π/4. Il coefficiente
di attrito statico tra essa e il piano è µS = 0.4. Mostrare che essa scende
lungo il piano. Calcolare la velocità che essa raggiunge dopo aver percorso
un tratto pari a 0.5 m lungo il piano, se il coefficiente di attrito dinamico è
µD = 0.3.
Soluzione
Perchè la cassa si muova occorre che tan α > 0.4. Tale condizione è verificata
nel caso in esame perchè tan α = 1.
L’accelerazione della cassa durante il moto è
M g sin α − µD M g cos α
a= = g(sin α − µD cos α) (5.30)
M
Il moto è uniformemente accelerato, pertanto lo spostamento è dato dalla
legge oraria s = 12 at2 .
Se la distanza percorsa è d si avrà
1
d = g(sin α − µD cos α)t2
2
5.5. VINCOLI SCABRI E ATTRITO RADENTE 89

per cui il tempo impiegato a percorrerla sarà


s
2d
t=
g(sin α − µD cos α)

La velocità acquisita nel tratto d sarà


s
2d
v = at = g(sin α − µD cos α)
g(sin α − µD cos α)
p
= 2dg(sin α − µD cos α) (5.31)

Con i dati del problema


1 0.3
a = 9.8( √ − √ ) = 4.8 m/s2
2 2

v = 2 × 0.5 × 4.8 = 2.2 m/s

Esercizio
Un corpo di massa m = 15 kg si muove con velocità V0 su un piano orizzon-

Figura 5.12: Forza verso la superficie di appoggio

tale con attrito µD = 0.3. Al tempo t = 0 , quando la velocità è v0 = 7 m/s


viene applicata una forza di intensità variabile |F~ (t)| = At con A = 200 N/s,
che spinge sulla superficie formando un angolo α = 75◦ rispetto alla direzione
orizzontale di moto.
Determinare (i) l’istante di tempo a cui la cassa si arresta, (ii) la distanza
percorsa prima di fermarsi.
Soluzione
(i) Indichiamo con F1 la componente della forza lungo la direzione verticale
e con F2 quella lungo la direzione orizzontale. Per l’equilibrio verticale si
richiede che
Φn + F1 − mg = 0
ovvero
Φn = mg − F1 = mg + |F~ | sin α
90 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

L’equazione del moto risulta data da


dv
m = F2 − µD Φn
dt
= |F~ | cos α − µD (mg + |F~ | sin α)
At
= (cos α − µD sin α) − µD mg
m
Possiamo integrare l’equazione tramite la
Z v Z t Z t
A
dv = (cos α − µD sin α) tdt − µD g dt
v0 m 0 0

che porta a
A
v(t) − v0 = (cos θ − µD sin α)t2 − µD gt
2m
La particella si arresta al tempo t1 che verifica la
A
v0 + (cos θ − µD sin α)t21 − µD t1 = 0
2m
ovvero q
A
µD g ± mu2D g 2 − 2v0 m (cos α − µD sin α)
t1 = A
m (cos α − µD sin α)
Ora osserviamo che con i dati del problema
A 200
(cos α − µD sin α) = (0.26 − 0.3 × 0.97) = −0.41 N/ms2
m 15
Il tempo di arresto è pertanto dato da
p
0.3 × 9.81 ± (0.3 × 9.81)2 + 14 × 0.41
t1 = −
p 0.41
2.94 ± (2.94)2 + 5, 74
=−
0.41
2.94 ± 3.79
=−
0.41
scegliendo la radice positiva abbiamo
3.79 − 2.94
t1 = = 2.07 s
0.41
Il calcolo del percorso si affettua tramite la
Z t1
x(t1 ) − x(0) = v(t)dt
0
Z t1 Z t1 Z t1
A(cos α − µD sin α) 2
= v0 dt + t dt − µD gdt
0 0 2m 0
A(cos α − µD sin α) 3 µD g 2
= v0 t 1 + t1 − t
6m 2 1
5.5. VINCOLI SCABRI E ATTRITO RADENTE 91

con i valori del problema otteniamo

x(t1 ) − x(0) = 7.6 m

Esercizio
Un corpo di massa m = 10 kg si trova su un piano inclinato scabro con

Figura 5.13: Corpo soggetto a più forze su un piano inclinato

coefficiente di attrito statico µS = 0.2 e angolo di inclinazione α = 30◦ . Il


corpo è sottoposto, oltre che alla forza peso e alla reazione vincolare normale,
ad una forza F~1 = 100 N diretta lungo il piano e verso il basso, e alla forza
F~2 normale al piano e diretta verso il basso. Determinare il valore minimo
della forza F~2 che consente al corpo di rimanere in equilibrio.
Soluzione
L’equilibrio è dato dalla condizione

F1 + mg sin α − µS Φn ≤ 0
Φn − mg cos α − F2 = 0

ove F1 = |F~1 | e F2 = |F~2 |. Il valore minimo della forza F2 è dato dalla


condizione che la risultante lungo x sia nulla. In questo caso dalla prima
equazione si ottiene
1
Φn = (F1 + mg sin α) = 245 N
µS
Inserendo nella seconda si ricava

F2 = Φn − mg cos α = 160.1 N

Esercizio
Due corpi di massa m1 e m2 scivolano su un piano di inclinazione α ri-
92 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

Figura 5.14: Due corpi su un piano

manendo a contatto. L’attrito tra il primo corpo e il piano è trascurabile,


mentre quello tra il secondo e il piano è µD = 0.2. Determinare la forza f~
che il primo corpo esercita sul secondo.
Soluzione
Prendiamo come sistema di riferimento quello indicato in figura, con asse x
lungo il piano e asse y ortogonale al piano.
Sul corpo di massa m1 agiscono:

• la forza peso m1~g diretta lungo la verticale,

• la reazione vincolare Φ1n normale al piano,

• la forza −f~ che esso esercita sul corpo di massa m2 , diretta lungo l’asse
x in verso negativo.

Poichè tale corpo si muove lungo il piano possiamo scrivere l’equazione del
moto nei termini delle componenti

m1 a = m1 g sin α − |f~|
Φ1n = m1 g cos α

Sul corpo di massa m2 agiscono le seguenti forze

• la forza peso m2~g diretta lungo la verticale,

• la reazione vincolare Φ2n normale al piano,

• la forza f~ che su esso esercita sul corpo di massa m1 , diretta lungo


l’asse x in verso positivo,

• la forza di attrito radente µD Φ2n diretta lungo l’asse x con verso


negativo.
5.6. FORZE CENTRIPETE 93

L’equazione del moto è pertanto


m2 a = m2 g sin α + |f~| − µD m2 g cos α
Φ2n = m2 g cos α
Possiamo uguagliare le due espressioni dell’accelerazione. Otteniamo in tale
modo
|f~| |f~|
g sin α − = g sin α + − µD g cos α
m1 m2
da cui si ottiene
m1 m2
f= µD g cos α
m1 + m2

5.6 Forze centripete


Nella esperienza ordinaria si tratta di forze prodotte da rotaie, pneumati-
ci, fili che collegano il corpo in moto a un punto fisso, ovvero vincoli che
consentono ad un corpo di curvare la propria traiettoria. Forze dello stesso
genere sono prodotte da interazioni a distanza come quella gravitazionale
che determina l’orbita della Terra attorno al Sole o da campi esterni. In
questa sezione ci soffermiamo sulle forze che sono presenti quando un corpo
mobile percorre una curva.
1. Curva piana
Poniamoci il problema della velocità massima con cui un’automobile
può affrontare una curva su strada piana. Assumiamo che la curva sia
un arco di circonferenza con raggio R. Le equazioni del moto sono
ms̈ = Ft (s, ṡ, t)
ṡ2
m = Φn (5.32)
R
0 = −mg + Φb (5.33)
Supponiamo che la risultante delle forze attive in direzione normale
sia nulla (non ci sono interazioni fisiche a distanza in direzione radiale,
cioè normale alla circonferenza). L’unica forza che agisce in direzione
normale è quella di attrito statico dovuta ai pneumatici. Per man-
tenere in traiettoria l’auto, quindi perchè non vari la sua distanza dal
centro della circonferenza, occorre che
ṡ2
FAS = µS mg = m (5.34)
R
Se questa condizione non è verificata, vale a dire la forza di attrito
statico è inferiore alla forza centripeta, l’auto non rimane in strada. Ne
consegue che la velocità massima con cui la curva può essere affrontata
è p
v = |ṡ| = µS Rg (5.35)
94 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI

2. Curva sopraelevata
Per aumentare la tenuta di strada, cioè per consentire di affrontare le
curve con velocità più elevate che nel caso di curve piane, si adotta
l’accorgimento di sopraelevarle. Una curva sopraelevata ha una sezione

Figura 5.15: Forze nella curva sopraelevata

che appare come un piano inclinato, formante un certo angolo θ con


l’orizzonte. La normale alla traiettoria è diretta in direzione orizzon-
tale: essa è la retta che collega l’auto al centro dell’arco di circonferenza
che essa percorre (la traiettoria è sempre un arco di circonferenza, ma
il piano di appoggio è inclinato). Il corpo è soggetto alla forza peso
mg, alla reazione vincolare normale al piano inclinato Φ e all’eventuale
forza di attrito statico, che tende a contrastare spostamenti lungo il
piano inclinato. Per poter ottenere un moto circolare occorre che si
abbia una forza risultante netta in direzione normale alla curva e di-
retta verso il centro della circonferenza.
Consideriamo il caso in cui il piano sia liscio. La reazione vincolare
ha una componente pari a |Φ| cos θ diretta lungo la verticale e verso
l’alto, che equilibra la forza peso, e una orizzontale di modulo |Φ| sin θ
diretta in direzione orizzontale verso il centro della traiettoria circolare
dell’auto. Questa componente fornisce la forza centripeta, pertanto
avremo
mv 2
an = = |Φ| sin θ (5.36)
R
Poichè
|Φ| cos θ = mg
abbiamo, sostituendo nella precedente, che
mv 2 mg
= sin θ (5.37)
R cos θ
Se pertanto si vuole che la curva venga percorsa ad una certa velocità
v occorre che sia verificata la condizione
v2
tan θ = (5.38)
gR
5.6. FORZE CENTRIPETE 95

In questo modo è possibile avere una forza centripeta anche senza


attrito statico.

3. Esercizio
Una moneta di massa m = 1.5 g è posta su un giradischi, che ruo-
ta compiendo 3 giri in 3.3 s, alla distanza di d = 5.2 cm dal centro.
Determinare la forza di attrito statico tra la moneta e il disco. Tenu-
to conto che quando si colloca la moneta ad una distanza maggiore
d0 = 12 cm dal centro, essa sfugge dal disco, calcolare il coefficiente di
attrito statico.
Soluzione
La forza di attrito statico è pari alla massa per l’accelerazione cen-
tripeta. Per calcolare quest’ultima occorre conoscere la velocità con
cui ruota la particella, data da

v = ωd

con ω velocità angolare. Questa si calcola dal periodo del moto, dato
da
3.3
T = = 1.1 s
3
Pertanto

ω= = 5.71 rad/s
T
Segue che

v = ωd = 5.71 × 5.2 = 29.7 cm/s


v2 (29.7)2
FAS = m = 1.5 = 254.4 dyn
d 5.2
Quando la rotazione avviene su una circonferenza di raggio elevato,
la forza centripeta richiesta per mantenere in orbita la moneta supera
quella massima di attrito statico. In tale caso la pallina si allontana
radialmente dal disco. Nel caso in esame abbiamo

v 0 = ωd0 = 5.77 × 12 = 69.24 cm/s

Dalla 0
(max) mv 2
FAS = µS mg =
d0
ottengo
0
v2 (69.24)2
µS = 0 = = 0.41
gd 980 × 12
96 CAPITOLO 5. REAZIONI VINCOLARI
Capitolo 6

Fili e Dispositivi meccanici

Illustriamo alcuni dispositivi meccanici basati sul particolare vincolo costi-


tuito dai fili. Un modo infatti per vincolare il moto di una particella è quello
di collegarla ad un altro corpo tramite un filo.

6.1 Proprietà dei fili


In generale, tranne che non sia diversamente specificato, si suppone che il
filo costituisca un vincolo inestensibile e di massa trascurabile. Il
primo requisito impone che la lunghezza del filo si mantenga costante, vale
a dire che esso non vada soggetto a deformazioni, il secondo che il suo peso
possa essere trascurato in rapporto alle altre forze in gioco nel problema
oggetto di studio.
Sotto l’azione di una forza esterna applicata ad un estremo, il filo è sogget-
to ad una tensione, che, in condizioni di equilibrio, si manifesta come una
forza uguale ed opposta applicata all’altro estremo. Questa considerazione
si applica ad ogni singola parte del filo teso.
Nel caso in cui il filo sia in movimento, l’assunzione che il filo sia inesten-
sibile comporta che ogni suo punto abbia la stessa accelerazione. La stessa
cosa deve avvenire per il corpo o i corpi attaccati al filo. Inoltre il fatto che
la massa sia trascurabile implica che il valore del prodotto ma sia nullo e
quindi che il valore della tensione durante il moto sia lo stesso in ogni punto
del filo. In altri termini, se il filo si muove la tensione in generale varia nel
tempo, ma ad ogni istante è la stessa in tutti i punti del filo.

1. Esempio
Considero un corpo di peso P~ sospeso ad un soffitto tramite un filo.
Nella configurazione di equilibrio il corpo è sulla verticale e la forza
peso è equilibrata da una forza agente sul corpo diretta lungo il filo
T~ = −P~ : essa è la forza di reazione dovuta al filo ed è detta tensione

97
98 CAPITOLO 6. FILI E DISPOSITIVI MECCANICI

Figura 6.1: Equilibrio di un corpo appeso con un filo di massa trascurabile

del filo. A sua volta il filo è soggetto alla forza peso P~ e alla forza
esercitata dal soffitto che è diretta verso l’alto. Se supponiamo che il
filo abbia peso trascurabile, tale forza è uguale alla tensione del filo.
A sua volta il soffitto è soggetto ad una forza −T~ dovuta al filo e ad
una reazione vincolare Φ che la equilibra, consentendo al soffitto di
rimanere fermo.
Il filo sviluppa ai suoi estremi le due forze P~ = −T~ e T~ uguali e di
segno opposto. Esso, essendo privo di peso, trasmette integralmente
al soffitto la forza peso da equilibrare.

2. Esempio
Si consideri il caso di due corpi di massa m1 e m2 soggetti rispetti-

Figura 6.2: Sistema di due masse collegate da un filo ideale

vamente alle forze esterne F~1 e F~2 , come nella figura 2, e collegati da
un filo inestensibile di massa trascurabile.
Per determinare la tensione del filo scriviamo l’equazione del moto per
le due masse, tenendo presente che, per le proprietà del filo, l’acceler-
azione deve essere la stessa. Prendendo come verso positivo del moto
quello della forza F~2 , abbiamo

F2 − T = m2 a T − F1 = m1 a
6.1. PROPRIETÀ DEI FILI 99

ove T è la tensione del filo. Dividendo la prima equazione per la


seconda otteniamo
F2 − T m2
=
T − F1 m1
da cui si ricava
F1 m2 + m1 F2
T =
m1 + m2

3. Esempio
Un punto materiale, collegato ad un centro fisso O da un filo, si muove
su un piano orizzontale senza attrito di moto circolare uniforme con
velocità v. Il filo è il vincolo che fornisce l’accelerazione centripeta nec-
essaria al moto. La particella sperimenta infatti una forza di reazione
2
dovuta al filo rivolta verso il centro con intensità T = mv R , ove R è
il raggio della circonferenza, pari alla lunghezza del filo. Questa forza
è diretta lungo il filo, quindi in direzione normale alla traiettoria. Il
filo è soggetto alla forza T diretta verso l’esterno della circonferenza e
alla forza del vincolo centrale a cui è fissato, diretta in verso opposto.
Esso trasmette al vincolo l’intera forza centripeta.

4. Esercizio Un blocco di massa m = 18 kg è trattenuto da un filo

Figura 6.3: Massa trattenuta da un filo su un piano inclinato

su un piano scabro inclinato di un angolo θ = 27◦ . Il coefficiente di


attrito statico è dato da µS = 0.24. Determinare la tensione del filo e
la reazione vincolare del piano.
Soluzione
Prendiamo l’asse x diretto lungo la direzione del filo verso il basso e
l’asse y nella direzione normale al piano. L’equilibrio del corpo è dato
dall’annullarsi della risultante delle forze agenti su di esso

T~ + Φ~n + Φ
~t + m~g = 0
100 CAPITOLO 6. FILI E DISPOSITIVI MECCANICI

Nei termini delle componenti abbiamo

−T + mg sin θ − µS Φn = 0
−mg cos θ + Φn = 0

La seconda equazione consente di determinare la reazione vincolare


normale
Φn = mg cos θ = 157.2 N
Possiamo determinare la tensione del filo dalla prima equazione

T = mg sin θ − µs Φn = 80.1 − 37.7 = 42.4 N

6.2 Pendolo semplice


E’ un dispositivo costituito da un corpo appeso tramite un filo ad un sup-
porto. La posizione di equilibrio è quella verticale con il pendolo fermo ed il
filo teso. In questo caso il corpo è in equilibrio sotto l’azione della tensione
del filo e della forza peso T~ = −m~g . Se spostiamo il corpo dalla verticale
e lo rilasciamo, esso prende ad oscillare nel piano verticale attorno alla po-
sizione di equilibrio, lungo una circonferenza di raggio pari alla lunghezza L
del pendolo e con centro nel punto di sospensione. L’equazione del moto del

Figura 6.4: Pendolo semplice

corpo risulta data da


T~ + m~g = m~a (6.1)
ove la tensione T~ dovuta al filo è diretta lungo il filo e verso il punto di
sospensione del pendolo e ~g è diretto lungo la verticale e verso il basso.
6.2. PENDOLO SEMPLICE 101

Conviene analizzare il moto scomponendo i vettori lungo la direzione del


filo, che è ortogonale all’orbita, e lungo la tangente all’orbita. Indicando con
θ l’angolo di rotazione si ottiene

T − mg cos θ = man
−mg sin θ = mat (6.2)

ove an è l’accelerazione normale o centripeta: essa è dovuta al filo, la cui


tensione è solo parzialmente equilibrata dalla componente lungo la normale
della forza peso. at è l’accelerazione tangenziale. Il segno negativo nella
proiezione della forza peso sulla tangente alla curva deriva dal fatto che essa
si oppone alla rotazione, tende cioè a ridurre l’angolo (in questo senso è una
forza di richiamo, perchè diretta verso la posizione di equilibrio, corrispon-
dente a θ = 0).
Dalla cinematica del moto circolare vario sappiamo che
d2 θ
at = L
dt2
ṡ2
an = = θ̇2 L
L
pertanto abbiamo
d2 θ g
= − sin θ (6.3)
dt2 L
mθ̇2 L = T − mg cos θ (6.4)

La prima equazione fornisce la legge oraria θ = θ(t), la seconda, nota la


legge oraria, fornisce il valore della reazione vincolare (tensione) del filo.
L’equazione differenziale del moto è assai complessa, perchè la funzione
incognita compare come argomento di una funzione trascendente.
Possiamo tuttavia derivarne l’andamento nel caso di piccole oscillazioni,
quando cioè sin θ ≈ θ. Infatti in questo limite l’equazione diventa
g
θ̈ + θ=0 (6.5)
L
che, con l’apposizione ω 2 = g/L, è quella dell’oscillatore armonico.
Questo ci consente di scrivere la soluzione per piccole oscillazioni come

θ(t) = Θ sin(ωt + γ) (6.6)

ove Θ e γ sono rispettivamente l’ampiezza e la fase del moto. Si noti che


l’ampiezza è un angolo e va espressa in radianti.
Volendo scrivere l’equazione per la coordinata curvilinea, ove si prende per
origine il punto di equilibrio, si ottiene

s(t) = A sin(ωt + γ) (6.7)


102 CAPITOLO 6. FILI E DISPOSITIVI MECCANICI

con A = LΘ.
Il moto per piccole oscillazioni è dunque periodico con periodo
s
2π L
T = = 2π (6.8)
ω g

Queste equazioni rappresentano le proprietà del pendolo nel regime di piccole


oscillazioni, che possiamo cosı̀ riassumere
• le piccole oscillazioni sono isocrone, cioè hanno lo stesso periodo
indipendentemente dall’ampiezza;

• il periodo non dipende dalla massa del pendolo;

• il periodo è direttamente proporzionale alla radice quadrata della lunghez-


za e inversamente proporzionale alla radice quadrata dell’accelerazione
di gravità.
Infine ricordiamo che la periodicità è possibile solo in quanto abbiamo trascu-
rato le forze di attrito con l’aria, che causano lo smorzamento delle oscil-
lazioni.

6.3 La macchina di Atwood

Figura 6.5: Macchina di Atwood

Il dispositivo consiste di due masse m1 e m2 collegate da un filo, in-


estensibile, con massa trascurabile e perfettamente flessibile. I due corpi
si muovono nella direzione verticale, ma in versi opposti (uno sale e l’altro
scende), poichè il filo scorre senza attrito lungo la carrucola. Si suppone
che la massa della carrucola sia molto piccola rispetto a quelle dei due corpi
e possa essere trascurata. Il filo costituisce un vincolo che crea un legame
6.3. LA MACCHINA DI ATWOOD 103

fisico tra i due corpi.


In accordo con il metodo generale per affrontare i problemi meccanici, con-

Figura 6.6: Diagramma delle forze nella macchina di Atwood

sideriamo separatamente le forze che agiscono sui due corpi. Il diagramma


delle forze ci rappresenta tutte le interazioni cui è sottoposta ogni singola
parte del sistema e ci consente di studiarne il moto. Trattandosi di un mo-
to unidimensionale e scegliendo come direzione positiva dell’asse verticale
quella verso l’alto, le equazioni del moto delle sue masse sono

T1 − m1 g = m1 a1 (6.9)
T2 − m2 g = m2 a2 (6.10)
(6.11)

ove T1 rappresenta la forza di tensione dovuta al filo che agisce sulla massa
m1 e T2 quella agente sulla massa m2 , mentre a1 e a2 sono le accelerazioni
dei due corpi.
Le proprietà dei vincoli pongono delle restrizioni sui valori di queste grandezze
1. Il fatto che il filo sia inestensibile comporta che uno spostamento verso
l’alto di una massa sia uguale e opposto a quello verso il basso dell’altra
∆z1 = −∆z2 . Di conseguenza le accelerazioni delle due masse devono
essere uguali in modulo e di verso opposto

a1 = −a2

2. Il filo privo di massa trasmette la forza di tensione su tutta la sua


lunghezza. Poichè la tensione del filo deve essere la stessa in ogni suo
punto, le forze esercitate sulle due masse agli estremi del filo devono
essere uguali
T1 = T2 = T

In queste condizioni le due equazioni si riducono a

T − m1 g = m1 a1 (6.12)
T − m2 g = −m2 a1 (6.13)
104 CAPITOLO 6. FILI E DISPOSITIVI MECCANICI

da cui
m1 g − m2 g = −a1 (m1 + m2 )

ovvero
m2 − m1
a1 = g (6.14)
m1 + m2
Possiamo fare le osservazioni seguenti.

• Se m2 > m1 l’accelerazione a1 è positiva, cioè diretta verso l’alto, e


quella della massa m2 è uguale in modulo e diretta verso il basso.
L’opposto accade se m1 < m2

• Se le due masse sono uguali l’accelerazione è nulla e si può avere una


configurazione di equilibrio.

• In ogni caso |a1 | < g: variando la differenza delle due masse possiamo
modulare l’accelerazione come vogliamo, ma l’accelerazione rimane
comunque inferiore a quella di gravità.

• Se (m1 − m2 ) << (m1 + m2 ) la caduta (salita) dei corpi avviene con


velocità basse.

Il dispositivo consente di fatto una verifica della seconda legge della dinam-
ica. Il moto è determinato dalla differenza delle due masse, cioè dalla forza
motrice F = (m1 − m2 )g. Posso infatti scrivere che

F = (m1 + m2 )a (6.15)

Poichè l’accelerazione è minore di g si può verificare la seconda legge più


facilmente.

6.3.1 Applicazioni
Esercizio
Si consideri il dispositivo in figura 7 costituito da tre masse per le quali si
abbia m > m1 + m2 . Si supponga che la carrucola abbia massa trascurabile,
che non siano presenti effetti di attrito e che il filo sia inestensibile e di massa
trascurabile. Determinare (i) l’accelerazione dei tre corpi, (ii) la tensione del
filo, (iii) la forza di reazione agente sul vincolo che sostiene il filo.
Soluzione
Conviene tracciare per ogni corpo il diagramma delle forze come in figura 8.
Dato che il filo è inestensibile e privo di massa l’accelerazione dei tre corpi
è uguale in valore assoluto. Dato il valore delle masse ci aspettiamo che il
corpo di massa m abbia accelerazione verso il basso (negativa) e gli altri
6.3. LA MACCHINA DI ATWOOD 105

Figura 6.7: Dispositivo a tre masse

Figura 6.8: Diagramma delle forze agenti sulle tre masse


106 CAPITOLO 6. FILI E DISPOSITIVI MECCANICI

due verso l’alto (positiva). Pertanto l’equazione della dinamica riferita ai


tre corpi porta a
T − mg = −ma
T − T2 − m1 g = m1 a
T2 − m2 g = m2 a
Questo è un sistema di equazioni nelle tre incognite T , T2 e a. Per risolverlo
possiamo procedere come segue:
- dalla prima equazione otteniamo
T = m(g − a)
che inserito nella seconda porta alla
T2 − g(m − m1 ) = −(m1 + m)a
- dividiamo questa equazione per la terza,
T2 − g(m − m1 ) m1 + m
=−
T2 − m2 g m2
- risolvendo per T2 otteniamo la seguente espressione
2mm2
T2 = g
m + m1 + m2
- che inserita nella terza equazione del sistema dona l’accelerazione
m − m1 − m2
a=g
m + m1 + m2
- otteniamo la tensione T del filo inserendo queste espressioni nella prima
equazione del sistema
2m(m1 + m2 )
T = g
m + m1 + m2
Si noti come anche in questo caso la forza motrice che determina il valore
dell’accelerazione è data dalla differenza tra la massa totale da un lato e
quella dall’altro della carrucola.
Per determinare la reazione sul vincolo notiamo che la forza totale agente
su di esso e dovuta ai pesi è pari a 2T e rivolta verso il basso. Pertanto la
reazione vincolare ha modulo 2T ed è rivolta verso l’alto.

Esercizio
Un pendolo è mantenuto in posizione di equilibrio con un angolo θ rispetto
alla verticale mediante un filo orizzontale inestensibile e di massa trascur-
abile. Quando il filo viene reciso il pendolo oscilla. Calcolare il rapporto tra
la tensione TA nella configurazione vincolata e quella TB quando il pendolo
oscilla.
Soluzione
Nella configurazione vincolata la massa del pendolo è soggetta a
6.3. LA MACCHINA DI ATWOOD 107

Figura 6.9: Pendolo vincolato

• la tensione del filo del pendolo T~A diretta lungo il filo,


• la tensione T~ 0 del filo orizzontale;
• la forza peso diretta lungo la verticale
La condizione di equilibrio comporta che
T~A + T~ 0 + m~g = 0
o, nei termini delle componenti lungo la direzione verticale ed orizzontale
mg = TA cos θ T 0 = TA sin θ
ove si è indicato con TA = |T~A |. Segue che nella configurazione vincolata
mg
TA =
cos θ
Viceversa, come già sappiamo, quando il pendolo è il moto
m|~v |2
TB − mg cos θ = man =
L
Se si considera l’angolo θ come il valore massimo raggiunto dal pendolo,
allora ~v = 0 e si ha
TB = mg cos θ
Segue che
TB
TA =
cos2 θ
108 CAPITOLO 6. FILI E DISPOSITIVI MECCANICI

6.4 Pendolo conico


In questo dispositivo un corpo di massa m è appeso tramite un filo di
lunghezza L, che ruota con velocità costante su un’orbita circolare in un
piano orizzontale. Mentre il corpo ruota il filo descrive la superficie di un

Figura 6.10: Pendolo conico

cono, da cui il nome di pendolo conico.


Possiamo determinare la velocità, il periodo di rotazione e la reazione vin-
colare nell’ipotesi che sia attiva la sola forza peso e non siano presenti forze
di attrito viscoso. Il vincolo è costituito dal filo e la reazione vincolare T~ è
diretta lungo il filo stesso.
Conviene usare la terna intrinseca alla curva per scrivere le equazioni del mo-
to. Notiamo che la binormale coincide con la normale al piano dell’orbita e
che, essendo il moto uniforme, non c’è accelerazione tangenziale. Scriveremo
pertanto
mat = 0
man = T sin θ (6.16)
0 = −mg + T cos θ (6.17)

ove ho posto T = |T~ |.


La terza equazione fornisce immediatamente il valore della tensione
mg
T = (6.18)
cos θ
Essa è dunque tanto più elevata quanto maggiore è l’angolo θ. Per θ = 0 ab-
biamo la condizione di equilibrio. Si osservi che la tensione tende all’infinito
quando θ → π/2. Questa è una situazione che non si verifica, in quanto la
tensione del filo non può superare un valore massimo (carico di rottura).
L’accelerazione è data da nei termini del raggio R dell’orbita circolare
v2 v2
an = = (6.19)
R L sin θ
6.4. PENDOLO CONICO 109

possiamo pertanto scrivere la seconda equazione nella forma

v2
m = T sin θ
L sin θ
mg
= sin θ
cos θ
= mg tan θ

da cui si ottiene r
p gL
v = gL sin θ tan θ = sin θ (6.20)
cos θ
Poichè 0 < θ < π/2, la velocità è tanto maggiore quanto maggiore è il valore
di θ, cioè il raggio della circonferenza che la particella deve percorrere.
Il periodo del moto è dato da
2πR
T =
v
L sin θ
= 2π q
gL
sin θ cos θ
s
L cos θ
= 2π (6.21)
g

6.4.1 Esercizio
Un pendolo conico è costituito da una particella con massa m = 6 g, legata
ad un supporto fisso tramite un filo ideale di lunghezza L = 25 cm. Il
pendolo descrive una circonferenza orizzontale con velocità angolare costante
ω = 7 rad/s.
Determinare: (i) il valore della tensione T del filo; (ii) il raggio R della
circonferenza; (iii) la massima apertura angolare θmax tenendo conto che il
carico di rottura della fune è Tmax = 11760 dyn, e la corrispondente velocità
angolare.
Soluzione
(i) Sappiamo che l’accelerazione normale è data da
T sin θ
an =
m
Ora osserviamo che
R
an = ω 2 R sin θ =
L
Possiamo pertanto scrivere
TR
mω 2 R = T = mLω 2
L
110 CAPITOLO 6. FILI E DISPOSITIVI MECCANICI

Con i dati del problema otteniamo T = 7350 dyn


(ii) Dalle equazioni del moto

T sin θ
ω2R =
m
T cos θ = mg

elevando al quadrato e sommando abbiamo

T 2 = m2 g 2 + ω 4 m2 R 2

da cui si ottiene r
T 2 − m2 g 2
R= = 15 cm
m2 ω 4
(iii) In corrispondenza del carico di rottura si ha

Tmax = cos θmax mg

da cui si ottiene
mg 5880 1
cosθmax = = =
Tmax 11760 2

da cui θmax = 60 .
La corrispondente velocità angolare risulta
r
Tmax
ωmax = = 8.9 rad/s
Lm

6.5 L’ascensore
Si tratta di un dispositivo meccanico che si muove verticalmente e consiste
della cabina, il contrappeso e i fili di collegamento, e che è mosso da un
motore, che esercita sulla cabina una forza F . Di solito il contrappeso ha
una massa pari a quella della cabina. Il diagramma delle forze agenti su
cabina e contrappeso è indicato nella Figura 11. La cabina è soggetta alla
forza peso M g, alla tensione del filo T e alla forza F tutte dirette lungo la
verticale , mentre il contrappeso è soggetto alla forza peso e alla tensione del
filo. Pertanto se supponiamo che la cabina salga avremo le due equazioni
del moto

T + F − Mg = Ma
T − M g = −M a (6.22)

con a > 0. Sottraendo la seconda dalla prima equazione otteniamo

F = 2M a (6.23)
6.6. ESERCIZI 111

Figura 6.11: Diagramma delle forze in un ascensore

Sommando le due equazioni otteniamo per la tensione del filo

F
T = Mg − (6.24)
2
ovvero, sostituendo il valore di F ,

T = M (g − a) (6.25)

Come esempio numerico si consideri il caso in cui M = 1000 kg e l’acceler-


azione è pari a a = 1.1 m/s2 . Si ottiene

F = 2 × 1000 × 1.1 = 2200 N


T = 1000(9.8 − 1.1) = 8700N

Si noti che in assenza del contrappeso la forza da applicare sarebbe data


dalla equazione
F − Mg = Ma F = M (g + a)
che con i dati precedenti dà F = 10900 N pari alla somma della tensione
del filo e della forza in presenza del contrappeso.

6.6 Esercizi
1) Tre blocchi A,B e C di massa mA = 1 kg, mB = 2 kg, mC = 3 kg sono
collegati tra loro da fili, come in Figura 12. Il blocco B può muoversi su un
piano orizzontale liscio. Determinare (i) l’accelerazione di B, (ii) le tensioni
dei fili che collegano A a B e C a B.
Soluzione
(i) Il blocco A è soggetto alla tensione del filo TA diretta lungo la verticale
verso l’alto e alla forza peso−mA g diretta verso il basso. Il blocco C è
soggetto alla tensione del filo TC e alla forza peso −mC g. Il blocco B è
soggetto alla forza orizzontale TC − TA il cui segno deve essere determinato
112 CAPITOLO 6. FILI E DISPOSITIVI MECCANICI

Figura 6.12: Problema dei tre blocchi

dalla soluzione del problema.


Supponiamo che il blocco B si muova lungo il piano verso C con accelerazione
a . Poichè i fili sono inestensibili l’accelerazione di C deve essere pari a quella
di B in valore assoluto e diretta verso il basso (quindi negativa) e quella di
A deve essere di segno opposto ma con lo stesso valore assoluto.
In tale caso abbiamo che le equazioni del moto dei due due blocchi A e C
sono

TA − mA g = mA a
TC − mC g = −mC a

da cui ottengo le tensioni

TA = mA (g + a)

TC = mC (g − a)
L’equazione del moto per B sarà pertanto

TC − TA = mB a = mC (g − a) − mA (g + a) (6.26)

ovvero
(mA + mB + mc )a = (mC − mA )g
Ne consegue che

• l’accelerazione è data da
(mC − mA )g
a=
mA + mB + mC
con i dati del problema
2
a = g = 3.27 m/s2
6
6.6. ESERCIZI 113

• la forza motrice è data da


F = (mC − mA )g

(ii) il valore delle tensioni risulta


TA = 9.81 + 3.27 = 13.08 N TC = 3(9.81 − 3.27) = 19.62 N
2) Un blocco di massa m = 15 kg è appeso a tre fili come in figura
8. Gli angoli sono α = 45◦ e β = 30◦ .Calcolare le tensioni dei fili nella
configurazione di equilibrio.
Soluzione

Figura 6.13: Equilibrio con tre fili

Prendiamo l’asse z lungo la verticale e l’asse x in direzione orizzontale. Il


sistema si trova nel piano Oxz.
Consideriamo in primo luogo il diagramma delle forze sul corpo. Perchè esso
sia in equilibrio occorre che la tensione del filo, diretta lungo z verso l’alto,
sia uguale alla forza peso. Indicando tale tensione con TC dobbiamo avere
TC = mg = 15 × 9.8 = 147 N
Osserviamo ora che nel punto C, ove convergono i tre fili, è presente la forza
di tensione T~A , diretta da C verso A, e la forza di tensione T~B diretta verso
il punto B. Esse possono decomporsi lungo gli assi coordinati secondo le
T~A = TAx î + TAz k̂
= −TA cos(30◦ )î + TA sin(30◦ )k̂
T~B = TBx î + TBz k̂
= TB cos(45◦ )î + TB sin(45◦ )k̂
Perchè il filo sia in equilibrio si deve avere

1 3
TAx + TBx = TB − TA =0
2 2
1 1
TAz + TBz − mg = TB √ + TA √ − mg = 0
2 2
114 CAPITOLO 6. FILI E DISPOSITIVI MECCANICI

ovvero

2mg
TA = √ = 75.9 N
1+ 3

TB = TA 3 = 131.7 N

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