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STRATO LIMITE IDRODINAMICO: LASTRA PIANA

Si prenda in esame il flusso di un fluido in regime di moto laminare, con velocità della corrente
libera indisturbata pari a u∞ , che lambisce una lastra piana molto sottile.

Fig. 1.1

Si assumono le seguenti ipoetesi:


viscosità fluido costante
τ in direzione y trascurabile
moto stazionario
fluido incomprimibile
 p 
gradiente di pressione in direzione verticale trascurabile  = 0
 y 
Per tale geometria e nelle ipotesi sopra elencate è possibile definire le:
EQUAZIONI DELLO STRATO LIMITE (equazioni di Navie-Stokes)
1. Conservazione della massa
ux uy
+ =0 (1)
x y

2. Conservazione della quantità di moto in direzione x


ux u 1 P   2ux
ux  + uy  x = −  +  (2)
x y  x  y 2

3. Conservazione della quantità di moto in direzione y


P
=0 (3)
y

Determinazione pressione lungo x

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Il problema presenta un gradiente di pressione trascurabile lungo y ma non trascurabile lungo l’asse
x; poiché esiste in ogni caso una perdita di pressione a causa dell’attrito (equazione di Darcy
Weissbach)
p 
=  u2
L 2
La pressione, in qualunque posizione corrispondente ad una coordinata x all’interno dello strato
limite, può essere determinata in base all’eq. 3: ciò consente di risolvere simultaneamente le equazioni
1 e 2 per ottenere la distribuzione della velocità.

Soluzione esatta di Blasius dello strato limite


Si effettua ora un’analisi sugli ordini di grandezza per semplificare le equazioni differenziali che
caratterizzano il problema:
P
Nella seconda equazione non è di per sé nullo, ma può essere trascurato rispetto agli altri
x
gradienti (di velocità) presenti nell’equazione, essendo di ordini di grandezza inferiore (le perdite di
carico per un moto libero sono molto piccole), per cui:
ux u  2u
ux  + u y  x =   2x (2’)
x y y
Se si considerano soltanto gli ordini di grandezza ( ~ ), a parte nella zona molto vicino alla parete
della lastra dove la velocità è nulla si ha che:
yδ
ux  u
che, sostituite nella prima equazione, forniscono:
u uy u 
+ ~ 0 → uy ~ 
x  x
Analogamente, sostituendo nella seconda equazione, con l’ausilio dell’ultima espressione trovata si
ha:

u   u u u2 u  x   x  1
u  + u     2 →  ~   2 →  2 ~ → ~ = =
x x   x  u x u  x 2
u  x Re x

essendo δ lo spessore dello strato limite, il valore di y cioè per cui u = 0,99 u∞.
Poiché u x ( y) ha lo stesso profilo in tutte le sezioni x, a meno di un fattore di scala sull’asse y, cioè

ux
la velocità adimensionale è esprimibile in ogni x come funzione della distanza adimensionale
u

dalla parete y
 , ciò consente di risolvere il sistema di equazioni differenziali alle derivate totali
anziché parziali:

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ux  y  y x y u x
= f = f  = f     = g ( )
u   x  x  

in cui η è:

u
 = y (4)
 x
detto fattore di stiramento nella direzione y.
 
Guardando le equazioni 1 e 2, possiamo definire il potenziale ψ tale che sia u x = e uy = −
y x
di modo da ridurre il sistema di due equazioni differenziali alle derivate parziali in una equazione
alle derivate totali, essendo l’eq. 1 automaticamente soddisfatta.
Integrando ad una determinata distanza x dall’imbocco, si ha:
 =  u x  dy + C ( x) =
dy
= u   g ( )   d + C ( x) =
d
1 (5)
= u   g ( )   d + C ( x) =
u
 x
= u   x   g ( )  d + C ( x)

Poniamo  g ( )  d = f ( ) e poniamo C(x)=0 in modo che la definizione di ψ non vari cambiando


il sistema di misura (questo è sempre possibile perché essendo ψ un potenziale si può definire a

meno di una costante). Per questo  = f ( )  u   x e f ( ) = g ( ) = x


u
.
u
Con l’ausilio dell’ultima espressione trovata si determinano le seguenti quantità:

   u2
ux = =  =   x  f  ( ) = u  f  ( ) (5)
y  y  x

 1 u 
uy = − = −    f ( ) (6)
x 2 x

u x u x  u
= −  u   y  3   f ( )
1
=  (7)
x  x 2 x 

ux ux  u
=  = u   f  ( ) (8)
y  y  x
 2u x   u x   u
=   = u    f  ( ) (9)
y 2
  y  y  x
Che, sostituite nell’eq. 2’, danno:

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ux ux  2ux d2 f d3 f
ux  + uy  =   2  f ( )  2 + 2  3 = 0 (10)
x y y d d
equazione differenziale del III ordine, non lineare, da risolvere in f(η).

Imponiamo le condizioni al contorno:


y = 0 → ux = 0
y = 0 → uy = 0 (11)
u x
y=→ =0
y

u
le quali possono essere trasformate in funzione di f(η), essendo  = y  , nel seguente modo:
 x
 = 0 → f ( ) = 0
 = 0 → f ( ) = 0 (12)
 =  → f ( ) = 1

Fig.1.2

L’altezza dello strato limite δ, definito come luogo dei punti dove u = 0,99 , si nota dal grafico
u
di Fig. 1,2 che si ha in corrispondenza di η≈5, cioè:

u  x  1
5=  →  = 5 → = 5 (13)
 x u x Re x

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Osserviamo anche che la curva dello spessore dello strato limite è una parabola con asse orizzontale
(è proporzionale a x ).

Definendo ora lo sforzo di taglio τ sulla superficie y=0 come:


u x
s =   (14)
y y =0

ux u
ed essendo u x = u  f  ( ) → = u  f  ( )  , si ottiene:
y  x

u u
 s =   u  f  ( )  = 0.332    u  (15)
  x  =0  x

Definiamo inoltre il fattore di attrito locale (alla distanza x dall’imbocco):

u
0.332    u 
   x = 0.664  1
Cx = = 2 (16)
u 2
 u 2
Re x
  
2
essendo il numero di Reynolds
 u  x u  x
Re x = =
 
Il fattore di attrito può essere mediato sulla lunghezza dell’intera lastra ottenendo la seguente
espressione:

1
L
1  −1
L
 L 1
CL =   cx dx =  0.664    x 2 dx = 2  0.664  = 1.328  (17)
L 0 L u 0 u  L2
Re L

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STRATO LIMITE TERMICO – LASTRA PIANA

Fig. 1.3

Consideriamo ora il caso in cui la parete si trovi a temperatura differente rispetto al fluido, condizione
che comporta la formazione, oltre dello strato limite idrodinamico, anche dello strato limite termico;
La trattazione di questo problema ha come scopo il ricavare il coefficiente di scambio termico
convettivo h.
Facendo un bilancio energetico su un volume di controllo nello strato limite, l’equazione di
conservazione dell’energia diviene:

t t  2t
ux  +uy  =  2 (18)
x y y
Che ha lo stesso aspetto dell’eq. della conservazione della quantità di moto lungo x (eq. 2’)

u x u  2u x
ux  + u y  x =  (2’)
x y y 2
con le condizioni al contorno:
y = 0 → t = tS
 2t
y=0→ =0
y 2
(19)
y =  t → t = 0.99  t 
t
y = t → =0
y
essendo  t lo spessore dello strato limite termico, cioè il valore di y dove la differenza di temperatura

t-tS raggiunge il 99% di t∞-tS.


La seconda condizione al contorno deriva dalla constatazione che, non essendoci generazione di
calore, risulta:

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 2t  2t  2t  2t
 2t = 0 → + + = 0 → =0 (20)
x 2 y 2 z 2 y 2
essendo trascurabili le variazioni di temperatura lungo x e lungo z.
t S + t
N.B. i valori di α e  vanno valutati alla temperatura di film, pari a t film =
2
Dal confronto dell’equazione della quantità di moto con l’equazione dell’energia risulta che le
variazioni di velocità sono pari alle variazioni di temperatura se  (diffusività termica) è

numericamente uguale a  (viscosità cinematica), cioè se = Pr = 1 .

Soluzione esatta di Pohlhausen


Definiamo la variabile θ come:
t − tS
=
t S − t

Ricordando le definizioni precedenti:

u 
 = y  = u   x  f ( ) Pr =
 x 
possiamo trasformare la precedente equazione differenziale nella seguente equazione differenziale
del II ordine nell’incognita θ, essendo f già nota dalla soluzione dell’equazione fluidodinamica (è un
problema disaccoppiato):
 2 Pr 
+f  =0 (21)
 2
2 
da risolvere con le condizioni al contorno:
 = 0 → = 0
(22)
 =  → =1
La soluzione che si ottiene è:

Pr
 − 
 f ( ) d 

e d
2
0

 ( ) = 0
 (23)
Pr
 − 
 f ( ) d 

e d
2
0

In Fig. 1.4 sono riportati gli andamenti della temperatura ridotta  in funzione del numero
adimensionale  per alcuni valori caratteristici del numero di Prandtl.

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Fig. 1.4

Calcolo del coefficiente di scambio convettivo h


Sulla superficie della lastra (y=0) si ha che:

t u 
= ( t − t S )   (24)
y y =0
  x   =0

 x 
essendo t =   (t S − t ) + t S ed y =  
1
; essendo inoltre = 0.332  Pr 3 si ha:
u 

t u
= ( t − t S ) 
1
 0.332  Pr 3 (25)
y y =0
 x

Nel moto laminare, non essendo presente rimescolamento del fluido, lo scambio termico avviene
per pura conduzione tra i filetti di fluido (si ha cioè convezione per pura conduzione), per cui si ha:
t
q = −  = hx  (t S − t  ) (26)
y y =0

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in cui hx è il coefficiente di scambio termico convettivo alla distanza x dall’imbocco della lastra e λ
è la conducibilità termica del fluido, quindi:
 t  u u
 ( t − t S ) 
1 1
hx =  =  0.332  Pr 3 =    0.332  Pr 3 (27)
t − t S y y =0
t − t S  x  x

da cui:

hx  x u  x 1 1 1
Nux = =  0.332  Pr 3
= 0.332  Re x 2  Pr 3
(28)
 

Il valore mediato su tutta la lunghezza della lastra del coefficiente di scambio convettivo hL è:

u L
L
1 1
hL =   hx dx =     0.664  Pr 3 (29)
L 0 
mentre il numero di Nusselt medio su L vale:
1 1
Nu L = 0.664  Re L 2  Pr 3
(30)
che rappresenta la Equazione di Polhausen.

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ANALOGIE NEL TRASPORTO DI CALORE E QUANTITA’ DI MOTO IN
REGIME TURBOLENTO
Consideriamo una parete piana lambita da un fluido viscoso in moto e con una temperatura diversa
rispetto ad essa. La presenza della parete condiziona le distribuzioni di velocità e temperatura nel
fluido solo in zone vicine ad essa (negli strati limite dinamico e termico), dove sono presenti forti
gradienti di velocità e temperatura, cause del trasporto di quantità di moto e calore.
Diversamente da quanto avviene nel moto completamente laminare, nel caso in cui la velocità sia
sufficientemente elevata, ad una determinata distanza dall’imbocco della lastra il moto diventa
turbolento. Tuttavia, nelle vicinanze della parete è sempre presente uno strato in cui il moto continua
ad essere laminare, in quanto la velocità cresce a partire dal valore nullo a contatto con la superficie
della lastra. Tale strato viene denominato sottostrato laminare, mentre la restante porzione dello strato
limite sottostrato turbolento. L’intero strato limite assume l’aspetto come nella seguente figura 1.5, a
confronto con l’analogo aspetto dello stato limite nel moto laminare.

Fig.1.5
Nel sottostrato laminare l’assenza di moto turbolento limita lo scambio di calore e quantità di moto a
solo a quello dovuto a conduzione termica ed attrito viscoso.
Definiamo nel sottostrato laminare lo sforzo tangenziale di attrito ed il flusso termico per unità di
area:
u x
s =   (31)
y y =0

t
q = −  (32)
y y =0

Dividendoli membro a membro e riordinando abbiamo:


 t
q = −   (33)
 u x

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Al di fuori del sottostrato laminare si estende la zona turbolenta dello strato limite, dove le particelle
di fluido si muovono anche in direzione ortogonale al moto del fluido in maniera caotica e casuale.

Fig. 1.6
Riferendosi alla Fig. 1.6 vediamo che il generico piano a-a è attraversato in entrambi i sensi da
particelle di fluido m, provenienti da punti dello strato limite con caratteristiche dinamiche e termiche
medie differenti: infatti sul piano 1 si ha una velocità media u1 ed una temperatura media t1 , sul piano

2 una velocità media u 2 ed una temperatura media t 2 ( u2  u1 ), mentre ut è la velocità media della
particelle che si muovono dal piano 2 al piano 1 lungo y.
Supponiamo ora che per ogni piano a-a dello strato limite turbolento esista una distanza caratteristica
l percorsa dalle particelle in direzione normale alla direzione del flusso, che le particelle conservino
velocità e temperature medie durante il percorso e che, giunte sul piano 1(o 2) interagiscano con le
particelle fluide locali, tendendo ad assumere le velocità e le temperature medie, cioè
cedendo/acquistando quantità di moto e calore.
m
Possiamo dunque definire la portata media per unità di area =   ut e la variazione della quantità
A
di moto per unità di tempo e di area   ut  (u1 − u2 ) , corrispondente ad una azione frenante od

accelerante del fluido, che si esplica con uno sforzo di taglio giacente nel piano a-a diretto in senso
contrario o favorevole al moto. Questo flusso di fluido causa degli sforzi apparenti con un effetto
analogo alla viscosità, ma di entità molto più rilevante e con spostamento di materia. Tali sforzi sono
pari in valore alla variazione della quantità di moto per unità di tempo e di area:
 1→2 =   ut  (u1 − u2 )  2→1 =   ut  (u2 − u1 ) (34)

Tali sforzi tangenziali sono detti sforzi virtuali o di Reynolds, poiché non legati a fenomeni di attrito
viscoso ma dipendenti solo dal trasporto di quantità di moto.

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Lo scambio di particelle tra i piani dà origine anche ad un trasporto netto di entalpia per unità di
tempo e di area pari a:
  ut  ( h1 − h2 ) =   ut  c p  ( t1 − t2 ) (35)

che equivale ad un flusso termico scambiato per unità di area tra i piani 1-1 e 2-2, cioè:
qt =   ut  c p  ( t1 − t2 ) (36)

Poiché trasporto turbolento di calore e quantità di moto sono retti dallo stesso meccanismo, è possibile
collegare qt a  2→1 uguagliando le espressioni di   ut delle due formule:

qt 
=   ut = 2→1 (37)
c p  ( t1 − t2 ) u2 − u1

t1 − t 2
qt = cP   2→1  (38)
u 2 − u1

Esprimendo i termini come:


du
u 2 − u1 = u 2 − u a − (u1 − u a ) = l (39)
dy y =a

dt
t1 − t 2 = t1 − t a − (t 2 − t a ) = − l (40)
dy y =a

si ha:
dt
qt = −c p  2→1  (41)
du
La relazione appena ricavata è detta analogia di Reynolds e costituisce una relazione tra i valori
locali di flusso termico e sforzo tangenziale apparente dovuti alle fluttuazioni trasversali turbolente
della corrente ed alle pendenze dei profili di temperatura e velocità.
  1
Osserviamo che se = cp → = 1 → = 1 → Pr = 1 , qt  ql : l’unica differenza è che nel
   cp Pr

moto turbolento si considerano i valori medi di u e t, mentre nel moto laminare si considerano i
valori puntuali.

Integrando tra 0 e δ, avendo spezzato l’integrale tra lo strato limite e lo strato turbolento, si ha nello
strato limite:

q  q  l q 
ul t
L u


0

 
du = − 
tS
dt →    du = t S − t L →   u L = t S − t L
  0
 
(42)

mentre nel turbolento:

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u t
q 1 q 1
u  c p
 du = − t dt →   c p  (u − uL ) = tL − t (43)
L L

Sommando membro a membro si ottiene:

q   u − uL 
  uL  +   = t S − t
   c p 
q  cp   
  uL  + u − u L  = t S − t 
  cp    (44)
q
 ( uL  Pr + u − uL ) = tS − t
  cp
q  u 
 u  1 + L  ( Pr − 1)  = tS − t
  cp  u 
Per Pr=1 si ottiene:
q  u 
= t S − t
  cP

 h x  u  x  c 
da cui, ricordando le definizioni di Cx = , Nu x = x , Re x = , Pr = = p ,
u 2
   
 
2
q
hx = si ha:
t S − t

2 hx   x
  =1
C x    u  x  c p 
hx  u
=1
  cp
hx  u  2
=1
C x    u 2  c p
2 hx   x
  =1 (45)
C x    u  x  c p 
2 hx  x  
 =1
C x   Re x  c p  
2 Nu x  
 =1
C x Re x  c p  
2 Nu x
 =1
C x Re x  Pr

Queste relazioni costituiscono l’analogia di Reynolds, per Pr=1, cioè


Cx
Nu x = Re x  (46)
2

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Con tale relazione, note le sole grandezze fluidodinamiche, possiamo determinare il valore di h,
solitamente di più difficile valutazione.

Pr≠1 (analogia di Prandtl Taylor)


Ripartendo dalla formula:

q u 
 u   L  ( Pr − 1) + 1 = tS − t (47)
  cp  u 
essendo:
q u2
hx =  =  cx
t S − t 2

hx u 
2
 u   L  ( Pr − 1) + 1 = 1
u
   cx  c p
  u 
2
 x  hx  2 u 
     L  ( Pr − 1) + 1 = 1
 x    u  cx  c p  u 

x  hx   2  uL 
      ( Pr − 1) + 1 = 1
   cp   u  x cx  u 

x  hx   2 u 
     L  ( Pr − 1) + 1 = 1
   cp   u  x cx  u 
u 
  L  (Pr − 1) + 1 = 1
1 1 2
Nux   
Pr Re x cx  u 
cx Pr
Nu x =  Re x  (48)
u
1 + L  (Pr − 1)
2
u
detta analogia di Prandtl-Taylor.
uL
Per la valutazione di Nux è però necessario conoscere l’andamento di , determinabile attraverso
u

uL −1
una correlazione empirica, ad esempio = 1.06  A  Re −x 0.1 , con A = 15  Pr 6 .
u

Nella valutazione di hL deve essere trascurata la zona di imbocco, fin dove Re x  5 105 , altrimenti si

valuta h in tale zona di imbocco con la soluzione del moto laminare.


In definitiva appare chiaro come nel moto laminare si possa ottenere la soluzione analitica
dell’equazioni differenziali che descrivono il comportamento fluidodinamico e termico nello strato
limite, mentre nel moto turbolento si deve ricorrere all’analogia termomeccanica (analogia fra la
definizione di τ e la quantità di moto).

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SOLUZIONI ANALITICHE DELL’EQUAZIONE GENERALE DELLA CONDUZIONE

A parte le soluzioni più semplici già affrontate in altri corsi (Fisica Tecnica e Termotecnica),
l’equazione generale della conduzione può essere risolta analiticamente in un elevato numero di
casi. Una raccolta considerevole di tali soluzioni è il classico testo di Carslaw Jaeger [1]. Nel
seguito verranno illustrati alcuni metodi di soluzione facilmente approcciabili.
1. Lastra piana di spessore l, lunghezza semiinfinita, e largezza infinita con temperatura
uguale costante sulle due facce e temperatura della base con un andamento tipico in
funzione della distanza x (cfr. Fig. 1).
Si tratta di un problema stazionario, per cui l’equazione che
descrive il comportamento della temperatura come funzione di
x e y è quella di Laplace:

 2t  2t
+ =0 (1.1)
x 2 y 2

equazione differenziale del secondo ordine nelle due variabili x


e y , che richiede pertanto quattro condizioni al contorno:
per x=0 t = t0
per x=l t = t0
(1.2)
per y→ t = t0
per y=0 t = t1 ( x)

Considerato che la temperatura delle pareti t0 è un dato


Fig. 1
costante, conviene riportarla ad un valore nullo mediante la
sostituzione:

 ( x, y) = t ( x, y) − t0 (1.3)

per cui l’equazione differenziale e le relative condizioni al contorno diventano:

 2  2
+ =0 (1.4)
x 2 y 2
per x=0  =0
per x=l  =0
(1.5)
per y→  =0
per y=0  = t1 − t0 = 1 ( x)

Si applica ora il metodo della separazione delle variabili all’equazione differenziale.


[1] Carslaw H. S., Jaeger J. C., Conduction of Heat in Solids. 2nd edn. (Oxford Science
Publications, 1959

37
Si prova a sostituire:
 ( x, y ) = X ( x )  Y ( y ) (1.6)

Con X(x) funzione solo di x, e Y solo di y. La sostituzione porta a :

d2X d 2Y 1 d 2 X 1 d 2Y
Y +X 2 =0  + =0 (1.7)
dx 2 dy X dx2 Y dy 2

Cioè

1 d2X 1 d 2Y
2
= − 2
=  2 (1.8)
X dx Y dy

in quanto il primo termine è solo funzione di x, il secondo di y, e l’uguaglianza implica che i


due membri siano uguali ad una quantità costante. La scelta di + o – è arbitraria: viene scelto
– per convenienza (cfr. seguito).
La (1.8) corrisponde a due equazioni differenziali alle derivate totali:

d2X
+ 2 X = 0
dx 2
(1.9)
d 2Y
2
−  2Y = 0
dy

le relative soluzioni sono:


X ( x) = C1 cos  x + C2 sin  x
(1.10)
Y ( y) = C3e y + C4e−  y

da cui la soluzione per la 

 ( x, y ) = ( C1 cos  x + C2 sin  x ) ( C3e  y + C4e −  y ) (1.11)

Nella (1.11) compaiono cinque costanti di integrazione: C1 , C2 , C3 , C4 , e  . Tuttavia


l’equazione differenziale è del 2° ordine in x e del 2° ordine in y, per cui delle 5 solo 4
risultano indipendenti tra di loro, come si vedrà nel proseguimento.
Applichiamo ora la prima condizione al contorno, cioè la prima delle (1.5).

0 = C1 ( C3e  y + C4e −  y ) (1.12)

che, dovendo essere valida per tutti gli y comporta C1 = 0 . Inserito tale risultato nella (1.11),
e conglobando C1 in C2 e C3 si ottiene:

 ( x, y ) = sin  x ( C3e  y + C4e −  y ) (1.13)

Applicando ora la terza delle (1.5) si ha:

38
 =0 per y →  C3 = 0 (1.14)

altrimenti la soluzione diverge per y →  . La soluzione diventa:

 ( x, y) = C sin  x  e−  y (1.15)

Si applica ora la seconda c.c. , cioè la seconda delle (1.5):


C  sin l = 0  sin l = 0  l = n  (1.16)

Con n= 1, 2, 3, ... sino ad  (si esclude la soluzione con n=0, perchè banale). Praticamente si
hanno  soluzioni dell’equazione, cioè tenuto conto che la soluzione generale deve tenere
comprendere tutte le soluzioni possibili, si ha:
n

n −
 ( x, y) =  Cn sin
y
xe l (1.17)
n =1 l

Per determinare le Cn , si impone l’ultima condizione al contorno, per y=0, cioè:



n
0 =  ( x, 0) = 1 ( x) =  Cn sin x (1.18)
n =1 l

Questa espressione non è altro che lo sviluppo in serie di Fourier della funzione 1 ( x) ,
sviluppo in sole funzioni seni. Pertanto le Cn sono date dai coefficienti delle componenti di
Fourier, cioè:

n
l
2
Cn = 
l 0
1 ( x) sin
l
x dx (1.19)

Nel caso particolare che l’andamento della temperatura sulla base della lastra semiinfinita sia
costante, cioè 1 ( x) = 1 = costante , l’integrale è facilmente risolubile, e fornisce:
n
n n 2 l 41
l l
2 2
Cn = 
l 0
1 sin
l
x dx = 1  sin
l 0 l
x dx = 1
l n  sin z dz = n
0
(1.20)

per n= 1, 2, 3, etc. L’andamento delle isoterme è riportato nella seguente Fig. 2


La soluzione mostrata ora rappresenta un primo esempio delle cosiddette “soluzioni agli
autovettori e autovalori”. Il metodo si basa sulle proprietà delle funzioni ortogonali. Le
funzioni sono definite ortogonali quando l’integrale del prodotto di due qualsiasi di esse nel
loro campo di applicazione è uguale a 0 se le funzioni sono diverse, e diverso da 0 se sono le

39
stesse (quando l’integrale del prodotto è uguale
ad uno, le funzioni si dicono ortonormali). Le
funzioni ortogonali hanno la proprietà che
qualsiasi altra funzione, continua, discontinua in
numero finito, o anche infinito ma discreto di
discontinuità, può essere espressa come
combinazione lineare delle predette funzioni. Su
questo si basa la possibilità di sviluppare in serie
di Fourier una qualsiasi funzione, visto che le
funzioni seno e quelle coseno sono ortogonali.
Le funzioni vengono dette autofunzioni dello
sviluppo in serie, mentre i loro coefficienti
autovalori.
2. Trave a sezione rettangolare con due facce
opposte a temperatura fissa t0 e le altre due con
Fig. 2 andamenti di temperatura prefissati.
( 0  x  a e 0  y  b ), per y=0 t=t2(x), e per
y=b t=t1(x), cfr. Fig. 3

L’equazione è nuovamente la stessa (1.1), con


condizioni al contorno:
per x=0 t = t0
per x=a t = t0
(1.21)
per y=0 t = t 2 ( x)
per y =b t = t1 ( x)

Con la stessa sostituzione (1.3) si ottiene la stessa


equazione (1.4) con le condizioni al contorno
Fig. 3

per x=0  =0
per x=a  =0
(1.22)
per y=0  = 2 ( x)
per y=b  = 1 ( x)

Tenuto conto che l’equazione (1.1) è lineare ed omogenea, si può suddividere la funzione
incognita temperatura ridotta  in due addendi  I e  II , dei quali il primo ha condizioni al
contorno

40
per x=0 I = 0
per x=a I = 0
(1.23)
per y=0 I = 0
per y =b  I = 1 ( x)

mentre il secondo:

per x=0  II = 0
per x=a  II = 0
(1.24)
per y=0  II = 2 ( x)
per y=b  II = 0
Si verifica facilmente che la somma delle condizioni al contorno (1.23) e (1.24) coincide con
le (1.22). Inoltre le funzioni  I e  II rappresentano di per sè stesse le soluzioni di problemi
termici specifici, e cioè la distribuzione di temperatura in travi a sezione rettangolare con tre
superfici alla stessa temperatura e una quarta con andamento dato.
La soluzione sia della  I che della  II si ottiene nello stesso modo descritto precedentemente,
e risulta

 ( x, y ) = ( C1 cos  x + C2 sin  x ) ( C3e  y + C4e −  y ) (1.25)

Imponiamo le condizioni al contorno di tipo I.

per x = 0 0 = C1 ( C3e  y + C4e −  y )  C1 = 0 (1.26)


per y=0 0=C2 sin  x ( C3 + C4 )  C3 = − C4 (1.27)
n
per x=a 0 = sin  a  = (1.28)
a
n n

 n  y −  
 n   n 
 =  Cn sin   = 2 Cn sin 
y
I
xe a − e a
x  sinh  y (1.29)
n =1  a   n =1  a   a 

e per l’ultima condizione al contorno



 n   n 
per y=b 1 ( x ) = 2 Cn sin  x  sinh  b (1.30)
n =1  a   a 
che, per le proprietà dello sviluppo in serie di Fourier, dà

 n b  2  n x 
a
2  Cn sinh   =  1 ( x) sin   dx (1.31)
 a  a0  a 

41
 n 
sinh  y
 sin  n x   ( x)sin  n x  dx
 a
2
 I ( x) =  Cn  a
a  0
  1   (1.32)
a n =1  n    a 
sinh  b
 a 
Analogamente, per le condizioni al contorno di tipo II:

per x = 0 0 = C1 ( C3e b + C4e − b )  C1 = 0 (1.33)


per y =b 0=C2 sin  x ( C3e b + C4e − b )  C3 = − C4e −2 b (1.34)
n
per x=a 0 = sin  a  = (1.35)
a

E, inglobando in Cn anche il termine e − b



 n   n 
 II ( x, y ) = 2 Cn sin  x  sinh  ( y − b)  (1.36)
n =1  a   a 
Essendo la terza condizione:

per y=0  II ( x, y) = 2 ( x) (1.37)



 n   n 
per y=0 2 ( x ) = −2 Cn sin  x  sinh  b (1.38)
n =1  a   a 
da cui:

 n 
sinh  (b − y ) 
 sin  n  n x 


a
2
 II ( x) =   a x   2 ( x)sin 
  dx (1.39)
a n =1  n   a 0  a 
sinh  b
 a 
Ed infine:

 ( x, y) =  I +  II (1.40)

Nella Fig. 4 si riportano gli


andamenti delle isoterme nel caso
particolare che le 1 e 2 siano
costanti ed abbiano lo stesso valore,
chiaramente diverso da 0.

Fig. 4

42
3. Lastra infinita in y e x, in transitorio a partire da una temperatura iniziale ti(x).
Temperatura t0 imposta sulle due superfici (Fig. 5) e nessuna generazione di calore. La lastra
risulta pertanto compresa tr –l e +l., con temperatura iniziale ti(x) L’equazione di Fourier
diventa:
 2t 1 t
= (1.41)
x 2  
Con  =  /  c p diffusività termica del materiale. Le
condizioni al contorno risultano:
per x =  l t (  l , ) = t 0
(1.42)
per  = 0 t ( x,0) = ti ( x )

Essendoci anche in questo caso una temperatura


costante ( t 0 ) conviene considerare la variabile

Fig. 5  ( x, ) = t ( x, ) − t0 . L’equazione diventa

 2 1 
= (1.43)
x 2  
e le condizioni al contorno
per x =  l  (  l , ) = 0
(1.44)
per  = 0  ( x, 0) = ti ( x ) − t0 = i ( x)

Anche per questi problemi si procede con la separazione delle variabili:


 ( x, ) = F ( )  G ( x) (1.45)

per cui la (1.43) diventa

d 2G ( x ) 1 dF
F ( ) = G ( x) (1.46)
dx 2
 d
Cioè

1 d 2G ( x) 1 dF
= =  2 (1.47)
G( x) dx 2
 F ( ) d
Perchè essendo la dipendenza dalle variabili x e τ separata, le due espressioni sono uguali ad
una costante  2 . Risolvendo la dipendenza temporale

1 dF ( ) dF ( )
=  2 =   2 d F ( ) = C  e  
2
  (1.48)
 F ( ) d F ( )

43
Si nota immediatamente che dei due segni   2 solo quello negativo va scelto affinchè la
soluzione non espoda per  →  . La parte spaziale dà:

G ( x) = C2  ei x + C3  e −i x = A cos(  x) + B sin(  x) (1.49)

E in totale

 ( x, ) = e−    A cos( x) + B sin( x)


2
(1.50)

Imponendo le condizioni per x=+l e per x=-l, si ottiene

 (l , ) = e−    A cos( l ) + B sin( l )  = 0
2
per x = +l
(1.51)
 (−l , ) = e −    A cos( l ) − B sin( l )  = 0
2
per x = −l

Cioè
A cos(  l ) + B sin( l ) = 0
(1.52)
A cos(  l ) − B sin( l ) = 0

Sommando e sottraendo le due equazioni si ottengono due equazioni


A  cos(  l ) = 0
(1.53)
B  sin(  l ) = 0

Per la legge dell’annullamento del prodotto, si hanno due possibilità: la prima prevede
A=0 e cos( l )  0 e anche B  0 e sin( l ) = 0 (1.54)

Tale combinazione lascia nella (1.50) solo le funzioni seno. La seconda possibilità è l’opposto
della prima, e cioè:
A0 e cos( l ) = 0 e anche B = 0 e sin( l )  0 (1.55)

che lascia solo le funzioni coseno. Ora occorre tenere in conto la forma della funzione ti ( x) o,
che è lo stesso, i ( x) . Queste possono essere pari (si ricorda la definizione di funzione pari,
cioè p(− x) = p(+ x) ) o dispari ( d (− x) = −d (+ x) ). Si ricorda anche che una qualsiasi
funzione f ( x ) può essere scomposta nella somma di una parte pari e una dispari nel modo
seguente
f ( x) + f (− x)
p ( x) =
2
(1.56)
f ( x) − f ( − x)
d ( x) =
2

44
Pertanto se la i ( x) è pari si dovrà usare la possibilità (1.55), che lascia nella (1.50) solo le
funzioni coseno, pari. Se la i ( x) è invece dispari, occorre utilizzare la possibilità (1.54), che
lascia nella (1.50) solo le funzioni seno, dispari. Se poi la i ( x) non è nè pari nè dispari, si
può considerarla come la somma di una parte pari p ( x ) e una dispari d ( x ) attraverso la
(1.56). La soluzione completa sarà la somma della soluzione contenente solo coseni e quella
contenente solo seni.
3.1. Condizioni iniziali di tipo pari
Vediamo la soluzione con condizione iniziale i ( x) funzione pari. Si ha

2n + 1 2n + 1 
cos(  l ) = 0  l =   = per n = 0,1, 2,3,... (1.57)
2 2 l
e la soluzione diventa

 2 n +1  
2
  
−
 2n + 1  
 ( x, ) =  An e  2 l cos  x (1.58)
n =0  2 l 

I coefficienti An si calcolano con il solito sistema, applicano la condizione iniziale, cioè la


seconda delle (1.44),

 2n + 1  
1 ( x) =  An cos  x (1.59)
n =0  2 l 

considerando che le An sono i coefficienti dello sviluppo in serie di Fourier della funzione
i ( x) , si ha
+l
1  2n + 1  
An =  1 ( x) cos  x  dx (1.60)
l −l  2 l 

Nel caso particolare che la i ( x) , come la ti ( x) , sia una costante, l’integrale nella (1.60) si
risolve facilmente:

1 i 2 l 2(−1)n
An = (1.61)
l (2n + 1)

e la soluzione generale diventa:

 2 n +1  
2
  
4 (−1)n −  2n + 1  
 ( x, ) = i  e 2 l
cos  x (1.62)
 n=0 (2n + 1)  2 l 

Questa soluzione può essere messa in forma adimensionale

45
 t − t0
= = (1.63)
i ti − t0

Fig. 6
E presenta gli andamenti riportati in Fig. 6, in funzione dei due altri parametri adimensionali
X = x / l e il numero di Fourier Fo =  / l 2 . Cioè risulta  =  ( X , Fo) con
2
  2 n +1 
(−1) −   Fo
 2n + 1
n
4 
 ( Fo, X ) =

 (2n + 1) e  2  cos 
 2
X

(1.64)
n =0

La quantità
 t − ti
1−  = 1− = = 1 −  (Fo, X ) (1.65)
i t0 − ti

rappresenta l’andamento della risposta in temperatura alla variazione di 1°C della temperatura
della superficie della lastra, cioè la risposta alla variazione a gradino unitario della
temperatura della superficie. Tale risposta è riportata nel diagramma seguente (Fig. 7).

46
3.2. Condizioni iniziali di tipo dispari
Nel caso che la i sia una funzione di tipo
dispari, la soluzione conterrà solo funzioni
seno, che è appunto di tipo dispari, le (1.66).
Si ha
sin( l ) = 0  l = n

 =n per n = 1, 2,3,...
l
(1.67)

E la soluzione diventa
Fig. 7

 n 
2
  
−
 n 
 ( x, ) =  Bn e  l  sin  x (1.68)
n =0  l 

Applicando la condizione iniziale



 n 
1 ( x) =  Bn sin  x (1.69)
n=1  l 

Si determinano le Bn come coefficienti dello sviluppo in serie di Fourier di solo seni, cioè

+l
1  n 
Bn =  1 ( x) sin  x  dx (1.70)
l −l  l 

4. Lastra infinita in transitorio con condizioni convettive sulle superfici


La geometria e la condizione iniziale sono le stesse della Fig. 5, ma ora le condizioni al
contorno sono:

t
per x = + l - A = hA ( t x =+ l − t f )
x x =+ l

t
per x = − l A = hA ( t x =−l − t f ) (1.71)
x x =+ l

per  = 0 t ( x, 0) = ti ( x )

(si noti come il segno del gradiente della temperatura nella seconda equazione è invertito
rispetto alla prima perchè la conduzione sulla superficie a x=-l va nella direzione opposta a
quella della superficie a x=+l). t f è la temperatura del fluido esterno alla lastra, costante, h è
il coefficiente di scambio convettivo.

47
Come nel caso precedente si pone  = t − t f con cui le condizioni al contorno diventano


per x = + l - A = hA (l )
x x =+ l


per x = − l A = hA (−l ) (1.72)
x x =+ l

per  = 0  ( x, 0) = i ( x )

La soluzione generale risulta sempre la (1.50) cioè  ( x, ) = e−    A cos( x) + B sin( x) .
2

Analogamente al caso precedente, anche in questo caso occorre dividere la condizione iniziale
nelle due parti pari e dispari i = i P + i D

4.1. Temperatura iniziale pari


Iniziamo a considerare la parte pari. La tangente nell’origine deve essere necessariamente
nulla, cioè

 P
=0 (1.73)
x x =0

cioè


= e−    − A sin(  0) + B cos(  0)  = 0
2
per x = 0 (1.74)
x x =0

Cioè B=0. La soluzione diventa

 P ( x, ) = Ae−   cos(  x)


2
(1.75)

Imponendo ad esempio la prima delle (1.72) si ha

+e−   A sin( l ) = hAe−   cos( l )


2 2
(1.76)

Cioè

= cot(  l ) (1.77)
h
Che può essere messa nella forma

l = cot( l )  Bi   l = cot(  l ) (1.78)
hl
Si tratta pertanto di una equazione trigonometrica con infinite soluzioni. Queste si devono
ottenere per via numerica, e possono essere visualizzate nel grafico della Fig. 8 come le

48
intersezioni delle curve della cot(  l )
con la retta passante per l’origine di
pendenza data dal numero di Biot
Le infinite soluzioni  n definiscono gli
infiniti autovettori cos n x , a cui
corrispondono infiniti autovalori An e
la soluzione definitiva diventa:


 P ( x, ) =  An e − n  cos( n x) (1.79)
2

n =1

Per determinare le An occorre imporre


Fig. 8 la condizione iniziale.

 i ( x) =  An cos( n x)
P
(1.80)
n =1

Anche le infinite autofunzioni cos n x sono ortogonali, cioè moltiplicandone due qualsiasi e
integrando sul campo su cui sono definite si ottiene un risultato diverso da zero solo se i due
 n sono uguali. Pertanto moltiplicando entrambi i membri della (1.79) per una generica
cos m x e integrando si ottiene:
+l  +l +l

  i ( x) cos(m x)dx =  An  cos(n x) cos(m x)dx = An  cos (n x)dx =


P 2

−l n =1 −l −l

An  
+l +l
An +l
=
n  cos  x  d sin  x = 
−l
n n cos n x  sin n x −l −  sin n x  d cos n x  =
n  −l 
(1.81)
 +l
 An  +l

sin 2nl + n  (1 − cos n x )  dx  =
An
=  2sin nl cos nl + n  sin n x  dx  =
2 2

n  −l  n  −l 
An  +l
 An
= sin 2nl + 2nl −  cos n x  dx  = sin 2nl + 2nl − n I 
2

n  −l  n
+l

 cos ( x)dx = I . Si ha
2
Avendo definito n
−l

sin 2nl + 2nl nl + sin nl  cos nl


An I = − An I + An  I= (1.82)
n n

49
+l +l
2   i ( x) cos( m x)dx
P
2n   Pi ( x) cos( m x) dx
An = −l
= −l
(1.83)
I nl + sin nl  cos nl

4.2. Temperatura iniziale dispari


Si procede analogamente al caso precedente. Ora però non è la tangente nell’origine ad avere
valore nullo, bensì la funzione stessa, essendo dispari, per cui

e−    A cos( 0) + B sin( 0) = 0


2
 D ( x = 0, ) = 0   A=0 (1.84)

 D ( x, ) = Be−   sin( x)


2
(1.85)

ed imponendo la prima condizione al contorno


 l l
+ e−   B cos( l ) = hB e −   sin( l ) tan( l ) =
2 2
 (1.86) = =
h hl Bi
Questa equazione trigonometrica che fornisce gli infiniti valori di  n si risolve analogamente
alla (1.78), con un andamento differente come si vede dalla seguente Fig. 7.
La soluzione diventa:

 D ( x, ) =  Bn e− n  sin( n x)
2
(1.87)
n =1

Analogamente alle An per la  P , le Bn


si trovano imponendo la condizione
iniziale:

 Di ( x) =  D ( x, = 0) =  Bn sin( n x)
n =1

(1.88)
Con cui
+l +l

 ( x) sin( n x)dx = Bn  sin 2 ( n x)dx


D
i
−l −l
Fig. 9
(1.89)
E definendo
+l +l
1
I=  sin (n x)dx = −  sin n x  d cos n x =
2
(1.90)
−l
n −l
+l
1  +l 
=− sin n x  cos n x −l −  cos n x  d sin n x  = (1.91)
n  −l 

50
+l
1  
−  2sin nl  cos nl − n  cos n x  =
2
(1.92)
n  −l 
 2sin nl cos nl +l  2sin nl cos nl
= −
 n
(
−  1 − sin 2 n x  dx  = −

) 
+ 2l − I = (1.93)
−l  n

Da cui
2 sin nl cos nl
2 I = 2l − (1.94)
n

e:
+l
n  i D sin n x  dx
−l
Bn = (1.95)
nl − sin nl cos nl
+l

 ( x)sin n x  dx
D
 i

 D ( x, ) =  e− n  n sin( n x) −l
2
(1.96)
n =1 nl − sin nl cos nl

5. Lastra infinita con convezione sulle superfici e irraggiamento su una di esse


Il problema è analogo a quello precedente, ma con in più un flusso radiante costante che
colpisce una delle facce della lastra. La soluzione rappresenta l’andamento della temperatura
di due problemi applicativi
particolari: l’irraggiamento di una
parete investita dal flusso radiante
del sole e che scambia per
convezione da entrambi i lati, o un
sensore di radiazione che aumenta
la sua temperatura per effetto
dell’irraggiamento da parte di una
sorgente di cui si vuole valutare il
flusso radiante (o la temperatura),
come nel caso dei sensori termici
utilizzati ad esempio nei termometri
auricolari.
Anche in questo caso la soluzione è
Fig. 10 la stessa

 ( x, ) = e−    A cos( x) + B sin( x)


2
(1.97)

Con le seguenti condizioni al contorno:

51

per x = + l - A = hA x =+ l
x x =+ l


per x = − l A = hA x =−l + qR A (1.98)
x x =+ l

per  = 0  ( x, 0) = 0
Si noti che la terza c.c. prevede una temperatura inziale in equilibrio con il fluido all’esterno
della lastra, il successivo riscaldamento della lastra è dovuto dall’irraggiamento.
Analogamente a quanto visto in altri casi trattati precedentemente, le condizioni al contorno si
possono separare in due serie di condizioni al contorno, delle quali una analoga a quella della
lastra piana senza irraggiamento (par. 4), l’altra che contiene solo l’irraggiamento; quest’ultima,
essendo l’irraggiamento costante, può essere considerata indipendente dal tempo.
 ( x,  ) =  ( x ) +  ( x,  ) (1.99)

L’equazione differenziale che descrive il comportamento della  è la solita

 2 1 
= (1.100)
x 2  
Mentre per la 

 2
=0 (1.101)
x 2
Le condizioni al contorno risultano, per la  ( x )


per x = + l - A = hA x =+ l
x x =+ l
(1.102)

per x = − l A = hA x =−l + qR A
x x =+ l

E per  :


per x = + l - A = hA (l )
x x =+ l


per x = − l A = hA (−l ) (1.103)
x x =+ l

per  = 0  ( x, 0) = − ( x )

Si verifica chiaramente come la somma delle condizioni al contorno della  e della  risulti
uguale alle (1.98).

52
5.1. Soluzione della eq. (1.101)
Essendo la  solo funzione di x, la derivata è una derivata totale, e la soluzione è

 ( x) = C1x + C2 (1.104)

Le due costanti di integrazione C1 e C2 si determinano imponendo le condizioni al contorno


(1.102)

per x = + l -C1 = h ( C1l + C2 )


(1.105)
per x = − l C1 = h ( −C1l + C2 ) + qR

Sommando e sottraendo
qR qR
2hC2 + qR = 0  C2 = − ; -2C1 = 2hC1l − qR  C1 = (1.106)
2h 2hl + 2
e
qR q
 ( x) = x− R (1.107)
2hl + 2 2h

5.2. Soluzione della eq.(1.100) (parte transitoria senza irraggiamento)


Si tratta di ripetere esattamente la procedura del par 4.
La terza condizione al contorno (1.103) dalla soluzione della  stazionaria, diventa

qR q
per  =0  ( x, 0) = − x+ R (1.108)
2hl + 2 2h
qR qR
Che contiene una parte pari ( + ) ed una dispari ( − x ).
2h 2hl + 2
Pertanto come nel caso di par. 4 anche in questo caso la soluzione può essere scomposta in una
parte pari ed una dispari:

 ( x,  ) =  P ( x,  ) +  D ( x,  ) (1.109)

Applicando la soluzione trovata nel par. 4, (1.83), si ha


+l +l
q q 2 sin 
−l i ( x) cos(n x)dx = 2hR −l cos(n x)dx = 2Rh n n
P
(1.110)

53
+l
2 n   P i ( x) cos( n x)dx
2qR sin n l
An = −l
= (1.111)
nl + sin nl  cos nl h ( nl + sin  nl  cos  nl )

2qR 
sin nl  cos( n x)
 P ( x, ) =  e 
2
n
(1.112)
h n =1 nl + sin nl  cos nl
Per la componente dispari di  ( x, ) si utilizza la (1.96):
+l

 ( x) sin n x  dx
D
 i

 ( x,  ) =  e − n 
2
D
n sin( n x) −l
(1.113)
n =1 nl − sin nl cos nl
+l +l +l
qR qR
  i ( x) sin n x  dx = −  x sin n x  dx = +
n ( 2hl + 2 ) −l
x  d cos n x =
D
(1.114)
−l
2hl + 2 −l
qR  +l
+l
 qR  1 +l 
= 
n ( 2hl + 2 ) 
x  cos  x
n −l − 
−l
cos n x  dx  = 2l cos nl − sin n x −l  =
 n ( 2hl + 2 )  n 
(1.115)
qR  2sin nl  2qR  nl cos nl − sin nl 
= 2l cos nl − =
n ( 2hl + 2 )  n  n ( 2hl + 2 )  n  (1.116)

da cui

qR 
nl cos nl − sin nl
 D ( x,  ) =  e− n 
2
sin( n x) (1.117)
( hl +  ) n=1 n ( nl − sin nl cos nl )

6. Piano semiinfinito con temperatura imposta sulla superficie


Si tratta di un solido definito da una superficie piana per x=0, esteso indefinitamente per x  0 .
Per τ=0, la temperatura uniforme del semispazio vale t ( x,0) = ti ( x) . A partire dal tempo τ=0 la
superficie viene portata ad una temperatura t (0, ) = t0 , che rimane costante per tutti i tempi.

L’equazione generale della conduzione è la stessa già


considerata:

 2t 1 t
= (1.118)
x 2  
con condizioni al contorno
Fig. 11

54
t ( x, 0) = ti ( x)
(1.119)
t (0, ) = t0

Per x →  t=ti, perchè sufficientemente lontano dalla superficie non si avverte l’effetto della
variazione di temperatura sulla superficie stessa.

Per risolvere l’equazione differenziale (1.118), si può tra i vari metodi, utilizzare l’analisi
dimensionale per individuare una particolare variabile adimensionale che sia funzione
contemporaneamente del tempo e dello spazio. Si tiene conto che la temperatura t è definita a
meno di una temperatura iniziale ti , la variabile dipendente risulta t- ti , che risulta funzione
delle grandezze x e τ, di t0- ti, e della proprietà del materiale α

t ( x, ) − ti = f ( x, , t0 − ti ,  ) (1.120)

Si hanno cioè cinque variabili, le cui dimensioni sono


t − ti → 
x → L
 → T (1.121)
 → L2 T −1
t0 − ti → 

Si hanno solo tre dimensioni (L, T, ϑ), per cui risultano solamente 5-3=2 gruppi adimensionali.
La matrice delle dimensioni risulta

t − ti x τ α t0 − ti

L 0 1 0 2 0

T 0 0 1 -1 0

ϑ 1 0 0 1

Il sistema di equazioni degli esponenti diventa:

h2 + 2h4 = 0

h3 − h4 = 0 (1.122)
h + h = 0
1 5

Assumendo come variabili principali (che risultano funzione delle altre) le prime due, cioè t-ti e
x, le altre risultano dipendenti da queste, per cui nel sistema (1.122) h1 e h2 sono indipendenti, e

55
1 1
h4 = − h2 h3 = − h2 h5 = −h1 (1.123)
2 2
La matrice dimensionale risulta composta di due righe (il numero dei gruppi adimensionali
indipendenti =5-3) e cinque colonne
h1 h2 h3 h4 h5
Π1 1 0 0 0 -1
Π2 0 1 -1/2 -1/2 0

t − ti x
Risultano pertanto i due gruppi adimensionali 1 = =  e 2 = . Per comodità di
t0 − ti 
x
calcolo come secondo numero adimensionale si prende  = La temperatura
2 
adimensionale  risulta pertanto solo funzione del parametro adimensionale  . Calcolando le
derivate da sostituire nella (1.118)
t dt  x dt
= =- (1.124)
 d  4  d
t dt  1 dt
= = (1.125)
x d x 2  d 
 2t 1 d 2t
= (1.126)
x 2 4 d  2

che sostituiti nella (1.118) danno

x d 2t x dt d 2t x dt
=− → + =0 (1.127)
4 d 2
4  d  d 2
 d
d 2 d 2
+ 2 =0 (1.128)
dx 2 d 2

Questa è l’equazione alle derivate totali in  e  che bisogna risolvere. Le condizioni al


contorno diventano
t ( x, 0) = ti  =0 per  =0  →
(1.129)
t (0, ) = t0  =1 per x = 0  = 0

L’equazione (1.128) si può scrivere:


d ' d '
= −2  '  = −2 d  ln  ' = − 2 + ln C1 (1.130)
d '

56
d
= C1  e− =C1   e− d + C2
2 2
' =  (1.131)
d

Dalla seconda condizione al contorno (1.129) si ha C2 = 1 e dalla prima


1
0 = C1  e− d + 1
2
 C1 = −  (1.132)
− 2
0
e d
0

ma

− 2  2
e d =
2
 C1 = −

(1.133)
0

e la soluzione risulta

2 −u 2
 
( ) = 1 − e du = 1 − erf ( ) (1.134)
0

essendo la erf ( ) la “error function” (in statistica è legata alla funzione di distribuzione di una
variabile casuale)
L’andamento della temperatura si ricava sostituendo le espressioni di  e 

 x 
 2 2  
t ( x, ) = ti + ( t0 − ti ) 1 −  e −u
2
du  (1.135)
  0 
 
La quantità
x
2 
t − ti t0 − ti − t + ti t − t0 2
 e−u du
2
1−  = 1− = = = (1.136)
t0 − ti t0 − ti ti − t0  0

rappresenta la risposta al gradino, cioè la risposta del semispazio ad una variazione di


temperatura unitaria della superficie.
7. Piano semiinfinito con temperatura oscillante sulla superficie
Qualora la temperatura della superficie di uno spazio semiinfinito abbia un andamento oscillante,
descritto per esempio da una funzione seno, con una determinata oscillazione  = / 2 con 
la frequenza, si può procedere nel seguente modo. L’equazione che governa l’andamento della
temperatura è sempre la stessa (1.118)

57
 2t 1 t
= (1.137)
x 2  
L’oscillazione della temperatura sulla superficie

t ( x = 0, ) = ts ( x) = t0 + A sin( ) (1.138)

rappresenta la condizione al contorno della (1.118). Come al solito si può sottrarre la quantità
costante t0 , definendo  = t − t0 . Considerato che in ogni punto del semispazio si ha una
temperatura oscillante con la stessa frequenza e quindi stessa pulsazione  , trascurando
l’eventuale transitorio iniziale, nella soluzione si può separare la dipendenza spaziale da quella
temporale, ponendo

 ( x, ) = u ( x)  ei (1.139)

Che sostituita nella (1.137) dà:

d 2u ( x )
u ( x)  ( i ) ei =   ei (1.140)
dx 2
d 2u( x) i
−  u ( x) = 0 (1.141)
dx2 
È la solita equazione differenziale lineare omogenea, ora in variabili complesse. Le due soluzioni
(è un’equazione del secondo ordine) sono
i
x
u ( x) = C1e  (1.142)

Si tratta di trovare le due soluzioni dell’operazione i . Ricordando dall’analisi delle variabili


nel campo complesso che le radici n-esime di 1 si ottengono, nel piano complesso, suddividendo
il cerchio elementare complesso in n archi uguali, le due soluzioni di i devono essere trovate
Imm
tra le 8 soluzioni di 8 1 (cfr. Fig. 12). Si verifica facilmente che solo
−1 + i
i
1+ i 1+ i −1 − i
2 2
e al quadrato danno i. Tra le due si sceglie la seconda che
2 2
-1 1
Re
ha la parte reale negativa, in quanto quando x →  non diverge (non va
1− i
ad infinito). La parte spaziale risulta pertanto
−1 − i -i 2
2 
− (1+i ) x
u ( x) = C1e 2 (1.143)
Fig. 12
e la soluzione completa

   
− x i  − 2 x 
 ( x, ) = C1e 2 e   (1.144)

58
che rappresenta un andamento oscillante nel tempo, e oscillante e smorzato nello spazio. Questa
soluzione ha entrambe le componenti seno e coseno, ma imponendo la condizione al contorno
 ( x = 0, ) = A sin( ) (1.145)

La funzione deve essere un seno, e

 (0, ) = C1ei = C1 sin( )  C1 = A (1.146)

e


2
x   
 ( x, ) = Ae sin   − x (1.147)
 2 

La soluzione risulta pertanto una oscillazione con


la stessa frequenza della forzante presente sulla

− x
superficie, smorzata della quantità e 2 e

ritardata in fase della quantità x . Si noti
2
come entrambe le caratteristiche dell’onda
all’interno del materiale, cioè attenuazione e
sfasamento, dipendono dalla quantità
Fig. 13 
x =   x . L’andamento è riportato nelle Fig.
2
13 e 14.
Esempio applicativo
Si vuole calcolare in un suolo roccioso ( α = 7,22
10-7m2s-1) a quale distanza dalla superficie
l’oscillazione diurna e quella annuale vengono
attenuate sino al 10%.
Per la variazione giornaliera

T0 = 24h = 86400 s (1.148)


2 2 −1
Fig. 14 = = s (1.149)
T0 86400
2 s
= = 7,10 m−1 (1.150)
2  86400s 7, 2210−7 m 2

Se si vuole che

59
e − x = 0,1 (1.151)
ln 0,1
x=− = 32, 4 cm (1.152)

Lo sfasamento risulta, in radianti 2,303 rad, corrispondenti a 8h 47 min.
Per l’oscillazione annuale:

2
= −7 2
= 0,3714 m−1 (1.153)
2  3600  24  365  7, 2210 m

e il 10% dell’oscillazione superficiale viene raggiunto alla profondità di 6,20 m. Lo sfasamento a


questa profondità risulta
x
= = 4m17 g (1.154)
2

60
METODO DELLE DIFFERENZE FINITE

Spesso le soluzioni analitiche non sono praticabili, a causa dei numerosi calcoli necessari ad ottenere
dei dati significativi (quando le soluzioni ad esempio sono espresse tramite serie o integrali), oppure
non possono essere ottenute, in quanto non esistenti (equazioni non risolubili in forma chiusa), oppure
ancora risultano troppo approssimate (le approssimazioni che si fanno per ottenere la soluzione
analitica sono troppo distanti dalle condizioni reali, ad es. l’adiabaticità o la costanza delle proprietà
termo fisiche o termo fluidodinamiche). In tale caso può essere utile, conveniente o indispensabile
utilizzare soluzioni numeriche.
Il metodo delle differenze finite risulta particolarmente adatto a problemi unidimensionali o
bidimensionali, che presentano geometrie rettilinee in coordinate cartesiane (ad esempio rettangoli, o
strutture a L o a U), o l’analogo nelle altre geometrie. E risultano concettualmente abbastanza
semplici. Nel caso di geometrie bi o tridimensionali qualsiasi, però, possono sorgere problemi in
quanto la discretizzazione delle geometrie può essere troppo distante dalla realtà, cfr. ad es. la fig. 1
(per tale motivo le differenze finite in campo strutturale, cioè nell’analisi della distribuzione delle
sollecitazioni, non vengono utilizzate perché danno origine a false zone di concentrazione degli
sforzi).

Fig. 1: Discretizzazione a differenze finite di una geometria qualsiasi

Nel seguito verrà esposta la trattazione della soluzione numerica con il metodo delle differenze finite
dell’equazione di Fourier scritta nella forma adimensionale (in tale modo la soluzione può essere
facilmente estesa ad un numero molto superiore di casi pratici). Esaminiamo il caso
monodimensionale di una lastra infinita (dimensione x sullo spessore), di spessore l, costituita di un
materiale di conduttività termica λ e diffusività termica α. Le grandezze adimensionali che
caratterizzano il fenomeno sono l’ascissa adimensionale X=x/l, il tempo adimensionale (numero di
t − t0
Fourier) Fo=ατ/l2 , (con τ il tempo) e la temperatura adimensionale  = , con t temperatura
ti − t0
della lastra funzione dell’ascissa x e del tempo τ , ti la temperatura all’inizio (funzione dell’ascissa) e
t0 temperatura iniziale della lastra, sempre funzione di x. Chiaramente 0  X  1. Le condizioni al
contorno sono espresse sempre nella stessa forma con le stesse variabili.

Metodo delle differenze finite esplicito

Il metodo consiste nel discretizzare la temperatura dividendo l’intervallo 0÷1 in N sottointervalli, che
possono essere di lunghezza uguale o anche diversa. Esaminiamo che cosa avviene con intervalli di
uguale ampiezza, anche se la generalizzazione al caso di ampiezze differente è immediata. Anche il

61
tempo viene discretizzato in intervalli ΔFo, anche questi uguali. Vengono calcolati solo i valori della
variabile incognita (temperatura) nei punti iΔX, con 0 ≤ i ≤ N, e ai tempi jΔFo, con j ≥ 0, e in questi
punti la temperatura adimensionale viene indicata con ij .
Nel seguito vengono calcolate le approssimazioni per le derivate parziali della temperatura da
sostituire nell’equazione di Fourier.
Dallo sviluppo in serie di Taylor si può scrivere:
 1  2
i, j +1 = i, j + Fo + Fo2 + ....
Fo 2 Fo 2

Che a questo livello di approssimazione dà:


 1  2
Fo
=+
1
Fo
(
i, j +1 − i, j − )
2 Fo2
Fo (1)

Pe quanto concerne la discretizzazione spaziale, si considera che lo sviluppo può essere fatto sia
indietro che in avanti rispetto al punto iΔX, cioè
 1  2 2 1 
3
3  1  4
 ( X + X , Fo ) = i +1, j = i, j + X +  X +  X  X + X 4 + ....
X 2 X 2 6 X 3 X 24 X 4
 1  2 2 1 
3
3  1  4
 ( X − X , Fo ) = i +1, j = i, j − X +  X −  X X + X 4 + ....
X 2 X 2 6 X 3 X 24 X 4

Sottraendo e sommando queste due espressioni, sempre al livello di approssimazione indicato, si


ottiene:
i, j 1  2
X
=+
1
2X
(
i +1, j − i −1, j − )
6 X 2
X (2)

 2 2  
4

X 2 X 2
=
1
( 1
i +1, j + i −1, j − 2i, j −
12
 X
X 4
) (3)

L’approssimazione utilizzata per il metodo delle differenze finito esplicito si ottiene trascurando i
termini di ordine ΔFo in Fo e di ordine ΔX2 in ΔX; questo è quindi l’ordine di approssimazione che si
può attribuire ai risultati. Si noti anche che l’approssimazione utilizzata è alle differenze finite in
avanti per Fo, e alle differenze centrali in X, cioè il valore viene calcolato ad un tempo a partire dal
tempo precedente, e in una posizione dai valori nelle posizioni antecedente, successiva e nella stessa
posizione. Tale secondo metodo risulta più accurato, ma non può essere utilizzato anche per il tempo
perché porta ad instabilità delle soluzioni.
Si supponga di voler risolvere un problema con condizioni al contorno di 1° tipo (temperatura imposta
alla parete). Tale condizione è espressa in termini adimensionali:
 ( X ,0) = f ( X ) per 0  X 1 (4)
 ( 0, Fo ) = g1 ( Fo ) e  (1, Fo ) = g2 ( Fo ) per Fo  0 (5)
L’equazione generale della propagazione del calore diventa, utilizzando le relazioni (1), (2) e (3)
1
Fo
(
i, j +1 − i, j =
1
X 2
) (
i +1, j + i −1, j − 2i, j ) (6)

Per 1  i  N −1 e j  0 . Cioè
Fo
i, j +1 = i, j +
X 2
(
i +1, j + i −1, j − 2i, j ) (7)

Questa è la soluzione voluta (in realtà andrebbe distinta questa soluzione approssimata da quella
esatta analitica, ad esempio indicandola con i, j* ).
La condizione iniziale viene discretizzata nel seguente modo:
i,0 = f (iX ) per 0i  N (8)

62
e le condizioni al contorno
0, j = g1 ( jFo ) e  N , j = g2 ( jFo ) per j 1 (9)
Da queste formule, data la soluzione per j=0, dall’eq. (8), mediante l’eq. (7) si ottiene quella per j=1
dappertutto tranne che per i= 0 e i=N, casi in cui si utilizza l’eq. (9), e così via per tutti i tempi
successivi. Tale procedura può essere schematizzata come nel grafico seguente, fig. 8.2

Fo

i,j+1

i-1,j i,j i+1,j

X=0 X=1
Fig. 2: Schema della propagazione in avanti del metodo alle differenze finite esplicito

Per considerare valida questa approssimazione bisogna però tenere conto dei due problemi che si
verificano utilizzando tale metodo: la convergenza e la stabilità della soluzione a differenze finite.
Occorre garantire la stabilità perché noi approssimiamo una soluzione analitica con dei calcoli
aritmetici (differenze e somme); la soluzione è detta pertanto stabile se gli errori che si commettono
in questa approssimazione non aumentano sempre più mano mano che prosegue il calcolo al punto di
far perdere di significato alla soluzione.
Il problema della convergenza sta ad indicare se la soluzione approssimata si avvicina sempre più a
quella esatta (analitica) se gli intervalli ΔX e ΔFo tendono a zero. Esiste la dimostrazione matematica
Fo
che la soluzione converge se 0   0,5 ; cioè se è verificata questa condizione il massimo errore
X 2
di troncamento tende a 0 quando ΔX e ΔFo tendono a 0.
Per verificare la stabilità bisogna che qualsiasi errore associato al valore calcolato i , j non si
Fo
amplifichi calcolando i, j+1 . Di nuovo questa condizione comporta 0   0,5 .
X 2
La condizione ora espressa può portare seri vincoli ai valori utilizzabili per ΔX e ΔFo, e richiede a
volte un numero molto elevato di calcoli.

Condizioni al contorno di 2° e 3° tipo


Sei si ha una condizione al contorno che contiene il gradiente (quindi di secondo e terzo tipo) a X=0
dall’eq. (7) si può scrivere
Fo
0, j +1 = 0, j +
X 2
(
1, j + −1, j − 20, j ) (10)

Dove −1, j è una temperatura fittizia, calcolata in X=-1 ΔX , in una regione cioè che non appartiene
al sistema esaminato. Dalla eq. (2) si ha anche

X
( 0, Fo ) =
1
2X
(
1, j − −1, j ) (11)

63
Dalla combinazione dell’eq. (10) e della (11), considerato che il gradiente è conosciuto, si può
determinare la −1, j e sostituirla, in modo da eliminarla. Quindi per esempio se si impone una
condizione di tipo convettivo:

= h1 ( Fo ) (12)
X X =0
dall’eq. (11) si ha
h1 ( j  Fo ) =
1
2X
(
1, j − −1, j ) (13)
che sostituita nell’eq. (10) dà
Fo
0, j +1 = 0, j + 1, j + 1, j − 2X  h1 ( jFo ) − 20, j  =
X 2  
(14)
Fo
= 0, j + 2 1, j − X  h1 ( jFo ) − 0, j 
X 2  
Per quanto riguarda la condizione al contorno per X=1, ci si comporta nello stesso modo, e si
ottengono le eq. (10) e (11) in funzione di una temperatura fittizia a i=N+1, cioè
Fo
 N , j +1 =  N , j +
X 2
( )
 N −1, j +  N +1, j − 2 N , j (15)

e

=
X X =1 2X
1
(
 N −1, j −  N +1, j ) (16)

Relazioni che possono essere messe nelle condizioni al contorno di tipo convettivo a X=1 eliminando
la temperatura fittizia.
Si noti che con condizioni al contorno di tipo convettivo la stabilità non è automaticamente garantita
Fo
con  0,5 , ma può essere necessario abbassare tale valore.
X 2

Metodo delle differenze finite implicito

Supera gli inconvenienti dovuti al criterio di stabilità delle differenze finite esplicito. Ve ne sono due
versioni: metodo delle differenze finite completamente implicito, e metodo di Crank Nicolson.

Metodo delle differenze finite completamente implicito

La derivata parziale nel tempo è approssimata all’indietro anziché in avanti. Si usa cioè
i, j
Fo
=
1
Fo
(i, j − i, j −1 ) per j 1 (17)
E l’equazione di propagazione del calore diventa quindi:

Fo
1
( i, j − i, j −1 =) 1
X 2
( )
i +1, j + i −1, j − 2i , j per j 1 (18)

Da cui si ottiene
 Fo  Fo
i , j −1 = 1 + 2
 X 2 
  i , j −
X 2
( )
i +1, j + i −1, j (19)

Si noti come ora i +1, j , i , j e i −1, j sono espressi in modo implicito in funzione di secondo lo
schema riportato in figura 8.3. In pratica si tratta di risolvere un sistema di N-1 equazioni (le 10 per
i=1÷N-1) e N-1 incognite i , j .

64
0, j e N , j sono come nel caso delle differenze finite esplicite dati dalle condizioni al contorno (ad
esempio nel caso di condizioni al contorno con temperatura imposta).

Fo

i-1,j i,j i+1,j


jFo

(j-1)Fo
i,j-1

X=0 X=1
Fig. 3: Schema della propagazione all’indietro del metodo alle differenze finite completamente
implicito

Si può semplificare la trattazione del problema introducendo la notazione vettoriale. Si introduce il


vettore  j delle temperature al tempo jΔFo, di dimensioni N-1:
 1, j 
 
 2, j 
j = 
... 
 
 N −1, j 
ed un vettore U j delle condizioni al contorno (di 1° tipo), sempre di dimensioni N-1, con tutti i
termini pari a 0 tranne il primo e l’ultimo:
 U 0, j 
 
Uj =  0 
 ... 
 
U N , j 
L’insieme delle n-1 equazioni (19), insieme alle condizioni al contorno si può scrivere in notazione
matriciale come
Fo
B  j =  j −1 + Uj (20)
X 2
con la matrice B definita come
1 + 2 − 0 ... 0 
 − 1 + 2 − ... 0 

B= 0 − 1 + 2 ... 0 
 
 ... ... ... ... ... 
 0 0 0 ... 1 + 2 

65
Fo
essendo  =
X 2
Considerato che la matrice B è invertibile, la soluzione  j risulta:

(
 j = B −1   j −1 +  U j ) per j≥1 (21)
0 è data dalle condizioni iniziali, e U j dalle condizioni al contorno.
Si può dimostrare che questo metodo converge per qualsiasi valore di δ. Per la stabilità vale lo stesso
discorso.
In definitiva questo metodo richiede più calcoli rispetto a quello delle differenze finite esplicito, ma
è possibile utilizzare valori maggiori di δ perché non vincolati al criterio   0, 5 .
Tuttavia δ grandi implicano anche grandi errori, perché la soluzione è approssimata all’ordine
X 2 + Fo . A causa di questo fatto si può utilizzare il metodo di Crank Nicolson, in cui la soluzione
è approssimata all’ordine X 2 + Fo2

Metodo di Crank Nicolson

Risulta una via intermedia tra il metodo delle differenze finite completamente implicito e quello
esplicito.
 2
viene approssimato dalla media della sua rappresentazione a differenze finite tra jΔFo e
X 2
(j+1)ΔFo, cioè
1
Fo
( )
i, j +1 − i, j =
1 
2X 2 
( ) ( )
i +1, j +1 + i −1, j +1 − 2i, j +1 + i +1, j + i −1, j − 2i , j 

(22)

 1
Si tratta di un’approssimazione a differenze finite attorno ai punti iΔX e  j +  Fo , cioè
 2
1
(
i , j +1/2 = i , j + i , j +1
2
) (23)
con livello di approssimazione nel tempo ΔFo2 , come si può vedere dal calcolo seguente:
i, j +1/2 Fo 1  2 j +1/2  Fo 2 1 3 j +1/2  Fo 3
i, j +1 = i, j +1/2 + +   +   + .... (24)
Fo 2 2 Fo2  2  6 Fo3  2 
e
i, j +1/2 Fo 1  2 j +1/2  Fo 2 1 3 j +1/2  Fo 3
i, j = i, j +1/2 − +   −   + .... (25)
Fo 2 2 Fo2  2  6 Fo3  2 
Se vale la (23), si può scrivere, sottraendo la (25) dalla (24) e dividendo per 2:
i, j +1/2 Fo 1 3 j +1/2  Fo 3
1
2
( )
i, j +1 − i, j =
Fo 2
+
6 Fo3  2 
  + ... (26)

da cui
i , j +1/2 1   j +1/2  Fo 
3 2

Fo
=
1
( 
Fo i , j +1 )
− i , j −
6 Fo3  2 
  + ... (27)
2
2
Dall’eq. (22) utilizzando questa espressione si ottiene:
 
(1 +  ) i, j +1 −
2
( i +1, j +1 + i −1, j +1 ) = (1 −  ) i , j + ( i +1, j + i −1, j )
2
(28)

66
Nuovamente, assumendo note le temperature al contorno (condizioni al contorno di 1° tipo, cioè
conoscendo il vettore U j , lo schema di Crank Nicolson si scrive, in notazione matriciale:

C   j +1 = D   j +
2
(
U j + U j +1) (29)

Dove le matrici C e D di N-1 x N-1 dimensioni sono definite come:


 1 +  − / 2 0 ... 0  1 −   / 2 0 ... 0 
 − / 2 1 +  − / 2 ...   0 
 0   / 2 1 −   / 2 ...
C= 0 − / 2 1 +  ... 0  e D= 0  / 2 1 −  ... 0 
   
 ... ... ... ... ...   ... ... ... ... ... 
 0 0 0 ... 1 +    0 0 0 ... 1 −  
L’equazione matriciale (29) viene pertanto risolta portando alla soluzione:


(
 j +1 = C −1   D   j + U j + U j +1 
 2
)

(30)

Condizioni al contorno di tipo convettivo


Ci si comporta come per il metodo esplicito, introducendo cioè una temperatura fittizia fuori
dall’intervallo spaziale considerato 0  X  1, cioè −1, j e  N +1, j e si usa l’approssimazione a
differenze finite per eliminare questa temperatura fittizia.

67
METODO DELLE DIFFERENZE FINITE

Spesso le soluzioni analitiche non sono praticabili, a causa dei numerosi calcoli necessari ad ottenere
dei dati significativi (quando le soluzioni ad esempio sono espresse tramite serie o integrali), oppure
non possono essere ottenute, in quanto non esistenti (equazioni non risolubili in forma chiusa), oppure
ancora risultano troppo approssimate (le approssimazioni che si fanno per ottenere la soluzione
analitica sono troppo distanti dalle condizioni reali, ad es. l’adiabaticità o la costanza delle proprietà
termo fisiche o termo fluidodinamiche). In tale caso può essere utile, conveniente o indispensabile
utilizzare soluzioni numeriche.
Il metodo delle differenze finite risulta particolarmente adatto a problemi unidimensionali o
bidimensionali, che presentano geometrie rettilinee in coordinate cartesiane (ad esempio rettangoli, o
strutture a L o a U), o l’analogo nelle altre geometrie. E risultano concettualmente abbastanza
semplici. Nel caso di geometrie bi o tridimensionali qualsiasi, però, possono sorgere problemi in
quanto la discretizzazione delle geometrie può essere troppo distante dalla realtà, cfr. ad es. la fig. 1
(per tale motivo le differenze finite in campo strutturale, cioè nell’analisi della distribuzione delle
sollecitazioni, non vengono utilizzate perché danno origine a false zone di concentrazione degli
sforzi).

Fig. 1: Discretizzazione a differenze finite di una geometria qualsiasi

Nel seguito verrà esposta la trattazione della soluzione numerica con il metodo delle differenze finite
dell’equazione di Fourier scritta nella forma adimensionale (in tale modo la soluzione può essere
facilmente estesa ad un numero molto superiore di casi pratici). Esaminiamo il caso
monodimensionale di una lastra infinita (dimensione x sullo spessore), di spessore l, costituita di un
materiale di conduttività termica λ e diffusività termica α. Le grandezze adimensionali che
caratterizzano il fenomeno sono l’ascissa adimensionale X=x/l, il tempo adimensionale (numero di
t − t0
Fourier) Fo=ατ/l2 , (con τ il tempo) e la temperatura adimensionale  = , con t temperatura
ti − t0
della lastra funzione dell’ascissa x e del tempo τ , ti la temperatura all’inizio (funzione dell’ascissa) e
t0 temperatura iniziale della lastra, sempre funzione di x. Chiaramente 0  X  1. Le condizioni al
contorno sono espresse sempre nella stessa forma con le stesse variabili.

Metodo delle differenze finite esplicito

Il metodo consiste nel discretizzare la temperatura dividendo l’intervallo 0÷1 in N sottointervalli, che
possono essere di lunghezza uguale o anche diversa. Esaminiamo che cosa avviene con intervalli di
uguale ampiezza, anche se la generalizzazione al caso di ampiezze differente è immediata. Anche il

61
tempo viene discretizzato in intervalli ΔFo, anche questi uguali. Vengono calcolati solo i valori della
variabile incognita (temperatura) nei punti iΔX, con 0 ≤ i ≤ N, e ai tempi jΔFo, con j ≥ 0, e in questi
punti la temperatura adimensionale viene indicata con ij .
Nel seguito vengono calcolate le approssimazioni per le derivate parziali della temperatura da
sostituire nell’equazione di Fourier.
Dallo sviluppo in serie di Taylor si può scrivere:
 1  2
i, j +1 = i, j + Fo + Fo2 + ....
Fo 2 Fo 2

Che a questo livello di approssimazione dà:


 1  2
Fo
=+
1
Fo
(
i, j +1 − i, j − )
2 Fo2
Fo (1)

Pe quanto concerne la discretizzazione spaziale, si considera che lo sviluppo può essere fatto sia
indietro che in avanti rispetto al punto iΔX, cioè
 1  2 2 1 
3
3  1  4
 ( X + X , Fo ) = i +1, j = i, j + X +  X +  X  X + X 4 + ....
X 2 X 2 6 X 3 X 24 X 4
 1  2 2 1 
3
3  1  4
 ( X − X , Fo ) = i +1, j = i, j − X +  X −  X X + X 4 + ....
X 2 X 2 6 X 3 X 24 X 4

Sottraendo e sommando queste due espressioni, sempre al livello di approssimazione indicato, si


ottiene:
i, j 1  2
X
=+
1
2X
(
i +1, j − i −1, j − )
6 X 2
X (2)

 2 2  
4

X 2 X 2
=
1
( 1
i +1, j + i −1, j − 2i, j −
12
 X
X 4
) (3)

L’approssimazione utilizzata per il metodo delle differenze finito esplicito si ottiene trascurando i
termini di ordine ΔFo in Fo e di ordine ΔX2 in ΔX; questo è quindi l’ordine di approssimazione che si
può attribuire ai risultati. Si noti anche che l’approssimazione utilizzata è alle differenze finite in
avanti per Fo, e alle differenze centrali in X, cioè il valore viene calcolato ad un tempo a partire dal
tempo precedente, e in una posizione dai valori nelle posizioni antecedente, successiva e nella stessa
posizione. Tale secondo metodo risulta più accurato, ma non può essere utilizzato anche per il tempo
perché porta ad instabilità delle soluzioni.
Si supponga di voler risolvere un problema con condizioni al contorno di 1° tipo (temperatura imposta
alla parete). Tale condizione è espressa in termini adimensionali:
 ( X ,0) = f ( X ) per 0  X 1 (4)
 ( 0, Fo ) = g1 ( Fo ) e  (1, Fo ) = g2 ( Fo ) per Fo  0 (5)
L’equazione generale della propagazione del calore diventa, utilizzando le relazioni (1), (2) e (3)
1
Fo
(
i, j +1 − i, j =
1
X 2
) (
i +1, j + i −1, j − 2i, j ) (6)

Per 1  i  N −1 e j  0 . Cioè
Fo
i, j +1 = i, j +
X 2
(
i +1, j + i −1, j − 2i, j ) (7)

Questa è la soluzione voluta (in realtà andrebbe distinta questa soluzione approssimata da quella
esatta analitica, ad esempio indicandola con i, j* ).
La condizione iniziale viene discretizzata nel seguente modo:
i,0 = f (iX ) per 0i  N (8)

62
e le condizioni al contorno
0, j = g1 ( jFo ) e  N , j = g2 ( jFo ) per j 1 (9)
Da queste formule, data la soluzione per j=0, dall’eq. (8), mediante l’eq. (7) si ottiene quella per j=1
dappertutto tranne che per i= 0 e i=N, casi in cui si utilizza l’eq. (9), e così via per tutti i tempi
successivi. Tale procedura può essere schematizzata come nel grafico seguente, fig. 8.2

Fo

i,j+1

i-1,j i,j i+1,j

X=0 X=1
Fig. 2: Schema della propagazione in avanti del metodo alle differenze finite esplicito

Per considerare valida questa approssimazione bisogna però tenere conto dei due problemi che si
verificano utilizzando tale metodo: la convergenza e la stabilità della soluzione a differenze finite.
Occorre garantire la stabilità perché noi approssimiamo una soluzione analitica con dei calcoli
aritmetici (differenze e somme); la soluzione è detta pertanto stabile se gli errori che si commettono
in questa approssimazione non aumentano sempre più mano mano che prosegue il calcolo al punto di
far perdere di significato alla soluzione.
Il problema della convergenza sta ad indicare se la soluzione approssimata si avvicina sempre più a
quella esatta (analitica) se gli intervalli ΔX e ΔFo tendono a zero. Esiste la dimostrazione matematica
Fo
che la soluzione converge se 0   0,5 ; cioè se è verificata questa condizione il massimo errore
X 2
di troncamento tende a 0 quando ΔX e ΔFo tendono a 0.
Per verificare la stabilità bisogna che qualsiasi errore associato al valore calcolato i , j non si
Fo
amplifichi calcolando i, j+1 . Di nuovo questa condizione comporta 0   0,5 .
X 2
La condizione ora espressa può portare seri vincoli ai valori utilizzabili per ΔX e ΔFo, e richiede a
volte un numero molto elevato di calcoli.

Condizioni al contorno di 2° e 3° tipo


Sei si ha una condizione al contorno che contiene il gradiente (quindi di secondo e terzo tipo) a X=0
dall’eq. (7) si può scrivere
Fo
0, j +1 = 0, j +
X 2
(
1, j + −1, j − 20, j ) (10)

Dove −1, j è una temperatura fittizia, calcolata in X=-1 ΔX , in una regione cioè che non appartiene
al sistema esaminato. Dalla eq. (2) si ha anche

X
( 0, Fo ) =
1
2X
(
1, j − −1, j ) (11)

63
Dalla combinazione dell’eq. (10) e della (11), considerato che il gradiente è conosciuto, si può
determinare la −1, j e sostituirla, in modo da eliminarla. Quindi per esempio se si impone una
condizione di tipo convettivo:

= h1 ( Fo ) (12)
X X =0
dall’eq. (11) si ha
h1 ( j  Fo ) =
1
2X
(
1, j − −1, j ) (13)
che sostituita nell’eq. (10) dà
Fo
0, j +1 = 0, j + 1, j + 1, j − 2X  h1 ( jFo ) − 20, j  =
X 2  
(14)
Fo
= 0, j + 2 1, j − X  h1 ( jFo ) − 0, j 
X 2  
Per quanto riguarda la condizione al contorno per X=1, ci si comporta nello stesso modo, e si
ottengono le eq. (10) e (11) in funzione di una temperatura fittizia a i=N+1, cioè
Fo
 N , j +1 =  N , j +
X 2
( )
 N −1, j +  N +1, j − 2 N , j (15)

e

=
X X =1 2X
1
(
 N −1, j −  N +1, j ) (16)

Relazioni che possono essere messe nelle condizioni al contorno di tipo convettivo a X=1 eliminando
la temperatura fittizia.
Si noti che con condizioni al contorno di tipo convettivo la stabilità non è automaticamente garantita
Fo
con  0,5 , ma può essere necessario abbassare tale valore.
X 2

Metodo delle differenze finite implicito

Supera gli inconvenienti dovuti al criterio di stabilità delle differenze finite esplicito. Ve ne sono due
versioni: metodo delle differenze finite completamente implicito, e metodo di Crank Nicolson.

Metodo delle differenze finite completamente implicito

La derivata parziale nel tempo è approssimata all’indietro anziché in avanti. Si usa cioè
i, j
Fo
=
1
Fo
(i, j − i, j −1 ) per j 1 (17)
E l’equazione di propagazione del calore diventa quindi:

Fo
1
( i, j − i, j −1 =) 1
X 2
( )
i +1, j + i −1, j − 2i , j per j 1 (18)

Da cui si ottiene
 Fo  Fo
i , j −1 = 1 + 2
 X 2 
  i , j −
X 2
( )
i +1, j + i −1, j (19)

Si noti come ora i +1, j , i , j e i −1, j sono espressi in modo implicito in funzione di secondo lo
schema riportato in figura 8.3. In pratica si tratta di risolvere un sistema di N-1 equazioni (le 10 per
i=1÷N-1) e N-1 incognite i , j .

64
0, j e N , j sono come nel caso delle differenze finite esplicite dati dalle condizioni al contorno (ad
esempio nel caso di condizioni al contorno con temperatura imposta).

Fo

i-1,j i,j i+1,j


jFo

(j-1)Fo
i,j-1

X=0 X=1
Fig. 3: Schema della propagazione all’indietro del metodo alle differenze finite completamente
implicito

Si può semplificare la trattazione del problema introducendo la notazione vettoriale. Si introduce il


vettore  j delle temperature al tempo jΔFo, di dimensioni N-1:
 1, j 
 
 2, j 
j = 
... 
 
 N −1, j 
ed un vettore U j delle condizioni al contorno (di 1° tipo), sempre di dimensioni N-1, con tutti i
termini pari a 0 tranne il primo e l’ultimo:
 U 0, j 
 
Uj =  0 
 ... 
 
U N , j 
L’insieme delle n-1 equazioni (19), insieme alle condizioni al contorno si può scrivere in notazione
matriciale come
Fo
B  j =  j −1 + Uj (20)
X 2
con la matrice B definita come
1 + 2 − 0 ... 0 
 − 1 + 2 − ... 0 

B= 0 − 1 + 2 ... 0 
 
 ... ... ... ... ... 
 0 0 0 ... 1 + 2 

65
Fo
essendo  =
X 2
Considerato che la matrice B è invertibile, la soluzione  j risulta:

(
 j = B −1   j −1 +  U j ) per j≥1 (21)
0 è data dalle condizioni iniziali, e U j dalle condizioni al contorno.
Si può dimostrare che questo metodo converge per qualsiasi valore di δ. Per la stabilità vale lo stesso
discorso.
In definitiva questo metodo richiede più calcoli rispetto a quello delle differenze finite esplicito, ma
è possibile utilizzare valori maggiori di δ perché non vincolati al criterio   0, 5 .
Tuttavia δ grandi implicano anche grandi errori, perché la soluzione è approssimata all’ordine
X 2 + Fo . A causa di questo fatto si può utilizzare il metodo di Crank Nicolson, in cui la soluzione
è approssimata all’ordine X 2 + Fo2

Metodo di Crank Nicolson

Risulta una via intermedia tra il metodo delle differenze finite completamente implicito e quello
esplicito.
 2
viene approssimato dalla media della sua rappresentazione a differenze finite tra jΔFo e
X 2
(j+1)ΔFo, cioè
1
Fo
( )
i, j +1 − i, j =
1 
2X 2 
( ) ( )
i +1, j +1 + i −1, j +1 − 2i, j +1 + i +1, j + i −1, j − 2i , j 

(22)

 1
Si tratta di un’approssimazione a differenze finite attorno ai punti iΔX e  j +  Fo , cioè
 2
1
(
i , j +1/2 = i , j + i , j +1
2
) (23)
con livello di approssimazione nel tempo ΔFo2 , come si può vedere dal calcolo seguente:
i, j +1/2 Fo 1  2 j +1/2  Fo 2 1 3 j +1/2  Fo 3
i, j +1 = i, j +1/2 + +   +   + .... (24)
Fo 2 2 Fo2  2  6 Fo3  2 
e
i, j +1/2 Fo 1  2 j +1/2  Fo 2 1 3 j +1/2  Fo 3
i, j = i, j +1/2 − +   −   + .... (25)
Fo 2 2 Fo2  2  6 Fo3  2 
Se vale la (23), si può scrivere, sottraendo la (25) dalla (24) e dividendo per 2:
i, j +1/2 Fo 1 3 j +1/2  Fo 3
1
2
( )
i, j +1 − i, j =
Fo 2
+
6 Fo3  2 
  + ... (26)

da cui
i , j +1/2 1   j +1/2  Fo 
3 2

Fo
=
1
( 
Fo i , j +1 )
− i , j −
6 Fo3  2 
  + ... (27)
2
2
Dall’eq. (22) utilizzando questa espressione si ottiene:
 
(1 +  ) i, j +1 −
2
( i +1, j +1 + i −1, j +1 ) = (1 −  ) i , j + ( i +1, j + i −1, j )
2
(28)

66
Nuovamente, assumendo note le temperature al contorno (condizioni al contorno di 1° tipo, cioè
conoscendo il vettore U j , lo schema di Crank Nicolson si scrive, in notazione matriciale:

C   j +1 = D   j +
2
(
U j + U j +1) (29)

Dove le matrici C e D di N-1 x N-1 dimensioni sono definite come:


 1 +  − / 2 0 ... 0  1 −   / 2 0 ... 0 
 − / 2 1 +  − / 2 ...   0 
 0   / 2 1 −   / 2 ...
C= 0 − / 2 1 +  ... 0  e D= 0  / 2 1 −  ... 0 
   
 ... ... ... ... ...   ... ... ... ... ... 
 0 0 0 ... 1 +    0 0 0 ... 1 −  
L’equazione matriciale (29) viene pertanto risolta portando alla soluzione:


(
 j +1 = C −1   D   j + U j + U j +1 
 2
)

(30)

Condizioni al contorno di tipo convettivo


Ci si comporta come per il metodo esplicito, introducendo cioè una temperatura fittizia fuori
dall’intervallo spaziale considerato 0  X  1, cioè −1, j e  N +1, j e si usa l’approssimazione a
differenze finite per eliminare questa temperatura fittizia.

67
METODO DEGLI ELEMENTI FINITI

Le differenze finite trovano il loro limite nel criterio di discretizzazione geometrica. Infatti la
suddivisione delle coordinate in segmenti, ancorché di lunghezza differente, produce una descrizione
a volte troppo approssimata della geometria che si vuole rappresentare (cfr. Fig. 1), Inoltre vi sono
casi in cui tale descrizione geometrica può rappresentare un’alterazione del fenomeno che si vuole
studiare, come nel caso della distribuzione delle sollecitazioni all’interno dei materiali (governata da
una equazione differenziale completamente analoga, in cui la variabile di campo è la sollecitazione
anziché la temperatura). In tale caso infatti la descrizione a griglia rettangolare come in Fig. 1 può
produrre concentrazioni di sforzi agli angoli dei rettangoli, sforzi non esistenti nel problema originale.
La soluzione di tale problema è stata implementare un metodo alternativo che calcola la funzione di
campo non solo sui nodi, ma all’interno di opportuni domini (elementi). Nel seguito viene descritta
la base del metodo.
Si supponga di avere un corpo di geometria definita R , il cui contorno è una superficie S (Fig. 4).
Su ogni elemento della superficie è anche definita la normale a detta superficie n

n
S
dS

Fig. 4: Quantità della geometria degli elementi finiti

y
x
Fig. 5: discretizzazione di una geometria a elementi finiti

Se si considera la trasmissione del calore per conduzione, vale l’equazione generale della conduzione,
e si può anche integrare il contenuto di tale equazione all’interno del dominio R :


 dT 
( )
  c d −   T − qv dR = 0 (31)
R
con qv la generazione di calore per unità di volume (in W/m3) entro il corpo considerato. Si può
scrivere:

68
dT
  c d dR =    TdR +  qv dR (32)
R R R

Il secondo integrale viene trasformato mediante il teorema della divergenza:


dT
(
  c d dR =  T  n dS +  qv dR ) (33)
R S R
La variabile di campo incognita T , funzione delle variabili spaziali e di quella temporale
T = T ( x, y, z , ) , viene approssimata da una funzione T ( x, y, z, ) . Tale quantità è definita all’interno
di singoli elementi in cui viene suddivisa la struttura, di forma qualsiasi, ma preferibilmente
triangolare, in 2 dimensioni, o tetraedrica in 3 dimensioni (cfr. Fig. 5).
N
T ( x, y, z, )  T ( x, y, z, ) =  pi ( x, y, z)  Ti ( ) (34)
i =1
dove le pi ( x, y, z ) sono funzioni che descrivono la dipendenza della temperatura all’interno dei
singoli elementi dai valori della temperatura nei nodi Ti ( ) . Vengono definite funzioni di forma , e
sono relative al nodo i-esimo. L’integrando della (31) quando si sostituisce la temperatura vera T
con quella approssimata T non vale più zero, ma una quantità piccola  , e si impone che sia
   dR = 0 (35)
R
Metodo dei residui pesati
Si scelgono N funzioni peso Wi e si richiede che sia:

 W  dR = 0
Re
i (36)

La (36) corrisponde ad un sistema di N equazioni. La scelta più frequente è quella di far coincidere
le Wi con le pi . Tale scelta è detta scelta di Galerkin, ed il metodo prende il nome di metodo di
Galerkin. La (36) diventa


 dT 
pi   c (
−   T − qv  dR = 0 ) (37)
 d 
R
Le funzioni pi sono diverse da zero solo nelle immediate vicinanze di un nodo i-esimo, per cui
 dT e 

Re
pi e   c
 d
(

)
−   T e − qv  dRe = 0 per i = 1, 2,...Ne (38)

con Ne numero dei nodi nell’elemento e-esimo.


Il sistema complessivo di equazioni si ottiene dall’unione dei contributi di ciascun elemento. Tale
unione è valida solo se si rispettano determinate condizioni, cioè gli elementi devono soddisfare le
sottoelencate esigenze:
- Per la compatibilità: all’interfaccia con gli altri elementi la variabile di campo (nel nostro
caso la temperatura) deve avere continuità C n−1 ( C n vuol dire che la derivata n-esima della
variabile di campo deve essere continua)
- Per la completezza: la variabile di campo deve avere continuità C n all’interno degli
elementi.
Quanto detto implica che l’ordine più basso del polinomio che descrive la variabile di campo può
essere solo la retta ( C 0 all’interfaccia con gli altri elementi, cioè la temperatura deve avere lo stesso
valore all’interfaccia, e C1 nell’elemento, cioè la funzione è descritta da segmenti di rette, cfr. Fig.
6).

69
Fig. 6: Due elementi triangolari con la funzione di campo (temperatura) avente continuità C0
all’interfaccia (valori puntuali) e C1 all’interno (segmenti rettilinei)

Se un elemento ha compatibilità C1 e completezza C2 le isoterme all’interno degli elemnti saranno


dei rami di parabole e all’interfaccia sarà uguale non solo il valore della funzione ma anche la tangente
(cfr. Fig. 7).

Fig. 7: Due elementi triangolari con la funzione di campo avente continuità C1 all’interfaccia
(tangenti coincidenti) e C2 all’interno (rami di parabole)

La soluzione a elementi finiti dell’equaszione generale della conduzione possiede due importanti
proprietà:
1 – condensazione: si può far girare il programma togliendo alcuni nodi che non siano collegati con
altri (facendo cioè condensare alcuni elementi in uno solo). La soluzione fuori dagli elementi
condensati rimane la stessa, cfr. Fig. 8
2 - sottostruttura : strutture molto complesse possono essere modellate prima in modo grossolano,
poi in un secondo tempo si può far girare solo le zone in cui ci si aspetta che la variabile di campo
cambi maggiormente, usando come condizioni al contorno sui bordi di tali zone i risultati del
calcolo grossolano, sempre nelle stesse zone.

70
Fig. 8: Condensazione di un nodo entro un elemento

Derivazione della matrice con le condizioni al contorno (caso stazionario)


In tal caso l’equazione dei residui (37) risulta


R
(
pi   T + qv dR = 0 ) per i = 1, 2,...., N (39)

dove  e qv sono funzioni note della posizione. In questa equazione non compaiono le condizioni al
contorno, e compaionole derivate del secondo ordine, che richiedono l’adozione di elementi con
continuità C2 all’interno e C1 sulle interfacce. Per poter usare anche elementi con continuità C0 e C1
Quindi per poter usare anche gli elementi C0 e C1 è preferibile ridurre l’ordine delle derivate mediante
il teorema di Gauss. Si pone
( )
pi  T =   pi T − pi  T( ) ( )( ) (40)
che sostituita nella (39) e utilizzando il teorema di Gauss, porta a


S
( )
pi T  n dS − pi  T dR +

R
R
pi qv dR = 0 (41)

Il primo integrale della (41) rappresenta l’integrale dei resiui sul contorno (S), e quindi le condizioni
al contorno. Gli altri termini contengono solo derivate prime, e pertanto il problema può essere risolto
con elementi di continuità C0 e C1 . I termini integrali sulla superficie si annullano vicendevolmente
all’interno del dominio complessivo, in quanto ogni elemento deve avere contorno percorso in un
determinato senso (orario o antiorario), e il senso deve essere lo stesso per tutti gli elementi (la
normale n deve essere la stessa per tutti gli elementi); quindi ad ogni lato percorso in un senso deve
necessariamente corrisponderne un altro nell’elemento adiacente percorso nel senso opposto (tale
condizione deve essere anche rispettata nella definizione dei nodi degli elementi: tutti devono essere
elencati percorrendo il contorno nello stesso senso).
Si può scrivere:


S
(
pi T  n dS = ) 
S1 + S2 + S3
pi qn,S dS (42)

con qn,S = − n T ;


S1 sono le porzioni della superficie di contorno in cui le condizioni al contorno sono di temperatura
imposta (c.c. del primo tipo);
S2 quelle con condizioni al contorno di flusso termico imposto (c.c. del secondo tipo);
S3 quelle con condizioni al contorno di tipo convettivo (c.c. del terzo tipo) per cui qn,S = h T − T f , ( )
T f temperatura del fluido circondante la superficie esterna, e h coefficienete di scambio convettivo.

71
L’equazione risolutiva del problema viene scritta in forma matriciale:
A*  T − F * = 0 (43)
dove la matrice A* è data dalla somma di due componenti A* = Ah + AS3 con
 pi p j pi p j pi p j 
(A )
h
i, j
=

R
  +  +
 x x y y z z 
 dR (44)

(A )S3
i, j
=  pi h p j dS (45)
S3

F * = Fqv + FS1 + FS2 + FS3 (46)


( F ) =  p q dR
qv
i
i v (47)
R

( F ) = −  p q dS
S1
i
i S ,n (48)
S1

(F )
S2
i
= −  pi qS ,n dS (49)
S2

( F ) =  p hT
S3
i
i f dS (50)
S3

Le stesse equazioni si possono scrivere con il suffisso e per indicare ogni singolo elemento.

Esempio: applicazione ad un caso stazionario bidimensionale.

L’equazione generale della conduzione da risolvere è:


  T    T 
  +   + qv = 0 (51)
x  x  y  y 
Se si sceglie di suddividere la geometria in elementi triangolari, si ha
3
T ( e ) ( x, y ) =  pi (e)T ( e )i (52)
i =1

1
( ai + bi x + ci y )
pi (e) = (53)
2
p j (e) =
1
2
( a j + bj x + c j y ) (54)
1
pk (e) = ( ak + bk x + ck y ) (55)
2
ai = x j yk − xk y j bi = y j − yk ci = xk − x j (56)
e l’area del triangolo 
 = ( yi + y j )( xi − x j ) + ( y j + yk )( x j − xk ) + ( yk + yi )( xk − xi ) 
1
(57)
2
Adottando il metoodo di Galerkin
pi ( e ) bi p j ( e ) b j
= = (58)
x 2 x 2
pi (e)
c p j (e)
cj
= i = (59)
y 2 y 2
e

72

 bi b j cc 
(A )
(e)
=  + i j  dx dy (60)
 2 2 2 2 
h
i, j
R
Se  è costante all’interno dell’elemento e-esimo

(A ) ( bib j + ci c j )
(e)
= (61)
4
h
i, j

Se anche qv (costante all’interno dell’elemento), il vettore generazione di calore diventa


qv ( e ) 
( )
(e)
Fqv
i
=  pi (e) qv ( e ) dx dy =
3
(62)
R( e )

(chiaramente anche questo se qv ( e ) è costante all’interno dell’elemento).


Per le condizioni al contorno, si suppone che i e j siano sul contorno, dove si trovano le regioni di
tipo S1, S2 , S3 . Supponendo anche che T, q S , n e h siano costanti sul contorno, e che quest’ultimo
abbia lunghezza S , le condizioni al contorno si possono scrivere:
S S S
( ) ( ) ( )
(e) (e) (e)
FS1 = − qS , n ; FS2 = − qS , n ; FS3 = hT f (63)
i 2 i 2 i 2
Da cui la componente matriciale al contorno risulta
1/ 3 1/ 6 0   Ti 
AS ( e )  T = S  h  1/ 6 1/ 3 0   T j  (64)
3

 0 0 0 Tk 
Gli elementi finiti commerciali
La soluzione numerica delle equazioni differenziali alle derivate parziali con il metodo delle
differenze finite risulta semplice da implementare, agevole, e di facile comprensione. Non soltanto
l’equazione generale della conduzione può essere risolta con tale tecnica, ma anche altre che si
presentano con forma simile o analoga: l’equazione di propagazione degli sforzi all’interno di un
materiale, l’equazione della propagazione del campo elettromagnetico, o addirittura l’equazione di
Scroedinger nella fisica delle particelle elementari. I tentativi però di utilizzare le differenze finite per
risolvere l’equazione di propagazione degli sforzi ha evidenziato un problema fondamentale che ne
ha impedito di fatto l’implementazione: se si considera la discretizzazione rappresentata in Fig. 1, ad
esempio, si nota come nella geometria discretizzata compaiono angoli (ad esempio quelli concavi tra
un elemento e l’altro) che nella struttura originale (con bordi curvi) non compaiono, e costituiscono
zone di concentrazione degli sforzi. La soluzione a differenze finite pertanto non risulta praticabile.
Questo è il motivo per cui è stato sviluppato il metodo degli elementi finiti. Il successo nello sviluppo
e nelle applicazioni di tale metodo ha fatto sì che risultasse pratico e vantaggioso utilizzarlo anche
per le altre equazioni differenziali alle derivate parziali, in particolare per l’equazione generale della
conduzione. Tenuto conto che per gli elementi finiti strutturali vengono in pratica per lo più utilizzati
programmi di libreria acquistati da società specializzate (ad es. i programmi NASTRAN, ANSYS,
PATRAN, COMSOL, etc), è risultato immediato per tali società fornire nel pacchetto anche il modulo
che tratta la conduzione, ed addirittura accoppiare le due soluzioni, nel caso particolare di dover
calcolare gli sforzi dovuti alla dilatazione termica conseguente alla propagazione del calore.

Gli elementi finiti (F.E., finite elements) rispetto alle differenze finite, presentano due vantaggi
principali:
- Si possono modellizzare geometrie qualsiasi mono, bi e tridimensionali in condizioni
stazionarie o transitorie. Tale vantaggio è dovuto all’utilizzo di elementi triangolari o
quadrangolari qualsiasi (caso bidimensionale) o poliedrici (caso tridimensionale)
- La convergenza è assicurata dal metodo stesso , senza complicati controlli e criteri.

73
La base del metodo degli F.E. è nel principio variazionale per la soluzione delle equazioni
differenziali alle derivate parziali. Tale metodo afferma che la soluzione di tale tipo di equazioni è
quella che rende “stazionario” un determinato funzionale:
  2t t  
 (
 2t  2t
  

J = x 2 +  y 2 + z 2 + 2   qv −  c   dV + ht 2 + qt dS
  
) (65)
 x y z 
R 
Gli integrali sono estesi al volume interessato ( R ) e alla superficie che racchiude tale volume (  ).
Rendere stazionario tale funzionale significa far sì che
J
=0 (66)
t
Il volume R considerato viene suddiviso in tante sottoregioni R e , chiamate elementi finiti, tale che
sia:
E

R= Re (67)
e =1
All’interno di ogni elemento la funzione da approssimare (nel nostro caso la temperatura) viene
approssimata da un polinomio, ad es.
t = a1 + a2 x + a3 y + a4 xy + a5 x2 + a6 y 2 + ... (68)
Le costanti ai si ricavano imponendo il valore della temperatura in determinati punti, in genere presi
sul contorno dell’elemento.Tali punti costituiscono i nodi. Di conseguenza la funzione incognita è
calcolata in tutti i punti in funzione del valore nei nodi, grazie ad opportuni fattori di forma Wi , fattori
che dipendono dalla forma dell’elemento e dal numero di nodi che lo definiscono.
Una volta definita la funzione, la si sostituisce nel modello matematico, cioè nell’equazione
variazionale. La soluzione comporta la soluzione di un sistema di equazioni (lineari, ma anche non
lineari. In tal caso con metodi iterativi) in cui le incognite sono i valori delle temperature nei vari
nodi.
Gli elementi, anche se in teoria possono essere di qualsiasi forma e con un qualsiasi numero di nodi,
in pratica vengono scelti tra alcuni tipi standard più semplici:
- Elementi lineari, barre, elementi radiativi, elementi convettivi (ad esempio tra i nodi di una
superficie ed un nodo esterno che rappresenta il fluido)
- Elementi di area, triangolari o quadrangolari
- Elementi di volume, a tetraedro o parallelepipedo.
Ciascun tipo ha i suoi tipici fattori di forma.
Scrivendo l’equazione variazionale nella seguente forma matriciale:
C T + K T + F = 0 (69)
dove C è la matrice della capacità termica:
(C )
e
i, j
=  c N N dV
i j (70)
Re

K è la matrice della conduttività termica e dello scambio termico convettivo, e vale K = A + B con
 N N j N N j N N j 
( )
i, j 
Ae =   x i

Re
x x
+ y i
y y
+ z i
z z 
dV (71)

( B )i, j =  hNi N j dS (72)


F è il vettore del calore totale, somma del calore generato all’interno dell’elemento e scambiato
attraverso il contorno: F = D + G , con

74
(D )
e
i
= −  qv Ni dV (73)
Re

(G ) e
i
= − qNi dS (74)

con q la somma del calore scambiato per conduzione (a flusso e temperatura imposti) e
convezione; T è il vettore delle temperature nei nodi.
L’integrazione spaziale avviene per soluzione del sistema di equazioni con le temperature dei nodi
come incognite. Questo comporta l’inversione di una matrice a bande (è diversa da 0 solo la banda
parallela alla diagonale principale, cioè solo i nodi vicini hanno una temperatura che dipende uno
dall’altro). L’inversione viene fatta con opportuni metodi che permettono di velocizzare il calcolo.
Si tenga conto infatti che è possibile avere numeri elevatissimi di nodi nella struttura, anche 106.
L’utilizzazione di programmi ad elementi finiti commerciali include tre differenti passi:
1. Preprocessing: cioè la costruzione del modello. Comprende :
1.1. la definizione del tipo di elementi e la costruzione del modello geometrico: la scelta degli
elementi mono, bi o tridimensionali in coordinate cartesiane, cilindriche o sferiche, e la
definizione degli elementi convettivi e radiativi
1.2. la definizione delle proprietà termofisiche, anche eventualmente come funzioni della
temperatura:  , c p e  per gli elementi conduttivi, h ed A per quelli convettivi, e  , A ed
 per quelli radiativi
1.3. la definizione dei load step , cioè le condizioni al contorno (il termine è preso dall’analisi
strutturale) eventualmente come funzioni del tempo: sono i valori di temperatura, flusso
termico e dei coefficienti di scambio convettivo imposti in particolari nodi della struttura.
Anche la generazione di calore in particolari nodi può essere imposta come questo tipo di
condizioni al contorno (ad esempio l’irraggiamento su una superificie, o il passaggio di
corrente in un avvolgimento elettrico).
2. Solution: consiste nell’inversione della matrice della eq. (69) e nella determinazione del vettore
T e T per i nodi di ogni elemento.
3. Postprocessing: comprende la visualizzazione dei dati, la stampa e la rappresentazione grafica dei
risultati (temperature, flussi termici, gradienti di temperatura) come isoterme o andamenti in
funzione del tempo.

75
Mettendo in evidenza il calore specifico dell’aria α/cpa nella (4.69), ricordando che α è il coefficiente di
scambio convettivo, normalmente indicato con h),

  r  k ' c pa 
c p mAdt A =
A
c p a
( t A − ta ) + (  s −  ) adV ' (4.69’)
c pa   


La quantità risulta un numero adimensionale, e prende nome di “numero di Lewis”, Le .
k ' c pa
Rappresenta in pratica il rapporto tra lo scambio termico per convezione (rappresentato da  ) e il
trasporto di massa (rappresentato da k ' ). Per il regime di moto turbolento assume un valore all’incirca
unitario, per cui l’eq. (4.69’) diventa

c p AmAdt A = k ' adV ' c p a ( t A − ta ) + r (  s −  ) (4,69’’)


 
Si riconosce in questa espressione (nella parentesi quadra) l’entalpia dell’aria umida, da cui ottiene l’eq.
(4.70)

131’
REGOLAZIONE DEGLI IMPIANTI

La regolazione degli impianti di condizionamento e di riscaldamento è indispensabile, in quanto


tali impianti sono progettati per le condizioni più gravose, e pertanto funzioneranno la maggior
parte del loro tempo a carico parziale.
Un impianto si può assimilare come funzionamento ad un sistema (cfr. fig. 1), dotato quindi di
ingressi (i), di uscite (u) e di disturbi (d). Ad esempio se la variabile in uscita è la temperatura
dell'aria del locale che si vuole riscaldare o condizionare (variabile controllata), in ingresso ci può
essere il flusso termico fornito dall'impianto (variabile di controllo), e il flusso termico scambiato
dall'involucro dell'edificio con l'esterno costituisce il disturbo.

Esistono due tipi fondamentali di regolazione:


1 – Feed forward: o azione in avanti, quando la variabile di controllo non ha nulla a che vedere con
la variabile controllata (cfr. fig. 2, r= segnale di riferimento, s= segnale di controllo esterno al
sistema; c=r-s) è il caso della maggior parte degli impianti condominiali, che vengono regolati sulla
base della temperatura dell'aria esterna, perché regolarlo su una delle temperature interne porterebbe
necessariamente a un malfunzionamento per gli altri locali

2 – Feedback; o retroazione: come segnale di controllo viene utilizzato il rilievo della variabile
controllata stessa (cfr. Fig. 3), rilievo effettuato mediante un opportuno sensore; E' il caso per
esempio dei controllo effettuato mediante termostato ambientale. In tale caso il segnale di
riferimento (r) viene denominato “set-poit”.

Un impianto con regolazione pertanto viene fornito di un'unità di controllo. Tale unità è costituita

137
da tre differenti dispositivi (Fig.4):
1 – regolatore, che definisce la logica con cui si effettua l'intervento;
2 – organo di comando (potrebbe essere optionale), quando il segnale del controllore non è
sufficientemente potente per azionare gli organi di comando; si tratta in genere di amplificatori o
servomotori.
3 – elementi finali: valvole (per regolare la portata di un fluido) o reostati o diodi di potenza (per
regolare la potenza elettrica).

REGOLATORE

Il regolatore stabilisce il legame tra il segnale di ingresso c e il segnale attuatore w che viene
utilizzato dagli altri elementi dell'unità di regolazione. Il regolatore funziona con quattro differenti
metodi di regolazione:

1 – Metodo di regolazione discontinuo (on-off, attacca e stacca). Il regolatore risponde con due
valori del segnale attuatore (w' e w'') in modo tale che sia w=w' se c<c', e w=w'' se c>c''. Se
c'<c<c'' la dipendenza di w da c non è univoca ma dipende dalla direzione da cui arriva il segnale c.

Viene denominato differenziale del regolatore la quantità d = c '− c '' che rappresenta la
variazione della variabile regolata che provoca il passaggio del regolatore da w' a w'', Non deve
essere troppo piccolo per evitare che commutazioni troppo frequenti danneggino il regolatore.

138
La variabile controllata assume pertanto un andamento oscillante attorno al set-point (cfr. fig. 6).
Le oscillazioni vengono amplificate dall'inerzia del sistema. Termostati, umidostati, pressostati
funzionano secondo questo sistema. E' importante che l'inerzia del sistema sia piccola per ridurre
l'ampiezza delle oscillazioni. Pertanto è un sistema che funziona bene ad esempio con i
ventilconvettori , ma male con i pannelli radianti annegati nelle strutture, o ancora peggio, con il
riscaldamento a pavimento. Esistono termostati dotati di resistenze anticipatrici (Fig. 7), attraversate
da corrente durante il riscaldamento, che scaldano l'aria vicino all'elemento sensibile anticipando
l'apertura dell'interruttore e contrastando l'effetto dell'inerzia, almeno parzialmente.

Molto importante è la localizzazione del termostato, che è preferibile sia nell'ambiente che più
risente dei carichi termici, e lontano da perturbazioni (sorgenti di calore interne, pareti fredde, punti
riscaldati dal sole, aria calda provenienti da impianti). Tale regola purtroppo è spesso disattesa, e si
verificano spesso fastidiose e ampie oscillazioni della variabile controllata (ad es. la temperatura).

2 – Metodo di regolazione proporzionale:


Il segnale attuatore può assumere quansiasi valore compreso in un certo intervallo, in modo
proporzionale tra c' e c'' (Fig. 8). All'interno di questo intervallo vale pertanto la relazione lineare:
w = w0 + k p  c (0.1)

139
La quantità b=c'-c'' viene detta banda di proporzionalità. Per c<c' w=w', e per c>c'', w=w''.
Lo svantaggio nell'utilizzare questo metodo si verifica quando è presente un disturbo permanente:
dopo un certo transitorio si raggiunge una situazione di regime in cui il disturbo è compensato solo
parzialmente. Succede cioè che la regolazione proporzionale insegue la variazione della variabile
controllata ma non può eliminare uno scostamento (offset) tra la variabile controllata stessa e il set-
point.
Per comprendere meglio questo aspetto si consideri un sistema di regolazione della temperatura di
un edificio con set point di 20 °C (r) e temperatura esterna (d) di 0°C. Se il sistema è in regolazione
(supponimo che lo sia, quindi s=20°C) c = r − s = 0C . A tale valore di c corriponde un certo flusso
termico che l’impianto deve fornire per mantenere s=20°C. Se però il disturbo cambia, cioè ad
esempio la temperatura esterna si porta a 10°C, il valore di c non può più essere lo stesso di prima,
in quanto il sistema (l’edificio) richiede ora un flusso termico inferiore. Questo si riflette in un
valore della variabile controllata non più pari a 20°C, ma superiore, ad es. 22°C, in modo che sia
c=-2°C. Con tale valore il flusso fornito effettivamente diminuisce, ma non tale da compensare il
carico termico ora decisamente inferiore, corrispondente ora ad un T = 20C −10C = 10C
rispetto al caso precedente con un T = 20C .
Se b diminuisce, diminuisce anche l’offset permanente, ma il segnale attuatore può oscillare (si dice
che pendola, cioè commuta continuamente tra w' e w''). Se b è troppo grande il segnale “dorme”,
cioè raggiunge la regolazione molto lentamente. Normalmente per il controllo della temperatura
dell'aria si utilizza b=2°C; per l'acqua (ad esempio di una caldaia) b= 4°C.

3 – Metodo di regolazione integrale e proporzionale-integrale


Il metodo proporzionale fornisce una variazione del segnale attuatore proporzionale all’integrale del
segnale di ingresso c, cioè

w = ki  c d (0.2)
0

Tale sistema, utilizzato da solo, presenteresbbe lunghi tempi di assestamento e noiose oscillazioni.
Per tale motivo si utilizza solo congiuntamente al metodo proporzionale, realizzando cioè il sistema
proporzionale-integrale (PI):

w = w0 + k p  c + ki  c d (0.3)
0

Con opportuni valori della costante integrale k i e di quella proporzionale k p si eliminano i fuori
equilibrio permanenti propri del proporzionale e grazie alla componente proporzionale si ottiene un
effetto stabilizzante (si riducono le oscillazioni). Il regolatore è caratterizzato dai valori della banda
proporzionale e dal tempo integrale, definito come  i = k p / ki

140
4 – Metodo derivativo e proporzionale, integrale-derivativo
La componente derivativa è data dall’espressione
dc
w = kd (0.4)
d
La regolazione derivativa ha un effetto benefico nei transitori (quando il sistema è in regolazione,
essendo il regime stazionario, ha chiaramente valore nullo), perchè se opportunamente dosata
anticipa le variazioni del segnale di ingresso e compensa i ritardi del sistema. Tuttavia da sola non è
in grado di opporsi agli squilibri permanenti, come la regolazione proporzionale. Si usa pertanto
solo congiuntamente agli altri sistemi, realizzando il cosiddetto sistema proporzionale-integrale-
derivativo (PID):

dc
w = w0 + k p  c + ki  c d + k d (0.5)
0
d
L’azione del sistema risulta più accentuata quando ci si allontana dal valore impostato della
variabile controllata, e meno quando ci si avvicina alla regolazione.
Dalla teoria dei sistemi, se si conoscono bene le caratteristiche del sistema edificio-impianto da
controllare (cioè se si conosce la risposta all’impulso del sistema, o la sua funzione di
trasferimento) è possibile descrivere il sistema sul diagramma di Bode (o di Nyquist) e ricavare
analiticamente o graficamente i valori ottimali delle tre costanti proporzionale, integrale e
derivativa. Ma tale conoscenza non è facilmente ottenibile, per cui si opera solitamente in modo
empirico: si mettono a zero i valori di k i e k d e si monitora il comportamento del sistema regolando
k p in modo da non avere oscillazioni. Poi si incrementa il valore di k i sino a elminare gli offset
permanenti, ed infine si imposta un valore di k d il modo da ridurre i tempi dei fuori controllo
rilevanti. Tali operazioni vengono effettuate durate il collaudo iniziale del sistema di regolazione
dell’impianto.

ORGANI DI COMANDO

Considerato che gli elementi finali sono in genere di tipo meccanico (valvole, serrande) o elettrico
di potenza (attuatori, interruttori), il segnale del regolatore può non essere sufficiente ad azionare
tali componenti. Si inseriscono allora degli organi intermedi di comando, cioè servomotori (per il
comando di valvole), o relais elettromagnetici (per il comando di interruttori).
I sevomotori possono essere di tipo:
- pneumatico: sono soffietti che trasformano una variazione di pressione dell’aria in uno
spostamento
- oleodinamico: il meccanismo è analogo, ma il fluido è ora un liquido (olio o acqua)
- elettrico: sono motori elettrici che trasformano il segnale in uno spostamento. Possono
essere di tipo passo passo (stepping motor) o ad azionamento continuo. Questi ultimi
necessitano di una riga ottica per garantire l’accuratezza dello spostamento richiesto.

ELEMENTI FINALI

Se viene regolata la potenza elettrica si possono utilizzare i relais (interruttori) che accendono o
spengono un dispositivo elettrico, o i diodi controllati che variano la potenza termica fornita
mediante parzializzazione dell’onda di un circuito a corrente alternata (molto più efficaci dei vecchi
reostati che variavano la potenza mediante introduzione di una resistenza parasssita variabile, che
però assorbiva la potenza dissipata).
Se si deve regolare la potenza termica fornita da un fluido termovettore (caldo o freddo) si ultizzano
le valvole, che variano la portata del fluido e di conseguenza il flusso termico fornito (o estratto).
Le valvole variano la portata del fluido variando la sezione di deflusso del fluido (Fig. 9).

141
Ciò si ottiene mediante il movimento di un opportuno organo, l’otturatore, montato su di uno stelo
comandato dall’esterno. Il movimento dell’otturatore chiude o apre una opportuna sede, che
costituisce l’ostacolo variabile sul percorso del fluido. Le valvole sono caratterizzate da una curva
caratteristica, che riporta l’andamento della portata in funzione della corsa dell’otturatore
m = f ( H ) . Invece dei valori assoluti di pressione e corsa dell’otturatore, si possono usare, come
fatto nel seguito, i valori relativi rispetto alla portata massima della valvola mS (quando è
completamente aperta) e alla massima corsa dell’otturatore H S .
Viene definita la curva di base teorica della valvola quando la differenza di pressione tra ingresso e
uscita della valvola è costante, e pari ad un valore fisso di P , ad esempio 1 bar. La curva di base
teorica può essere lineare, quando la relazione che rappresenta è pari a
m = m0 + b  H (0.6)
Quando la curva di base teorica è invece equipercentuale, per cui la relazione è di tipo esponenziale
m = m0  ebH (0.7)
Le due curve caratteristiche (in notazione relativa come detto) sono riportate nella Fig. 10.

Il diverso comportamento della valvola, cioè la diversa curva carattteristica teorica di base, si
ottiene con una differente forma dell’otturatore, cfr. ad es. la Fig. 11. Dove a) è quella lineare, e b)
quella equipercentuale.

142
Oltre alle valvole a due vie descritte esistono anche valvole a tre vie e a quattro vie. Prendendo in
esame le valvole a tre vie (Fig. 12) si possono avere due possibilità: valvole miscelatrici (a), quando
delle tre vie due sono ingressi e una è un’uscita, e valvole deviatrici, con un ingresso e due uscite.

Lo stesso effetto delle valvole a tre vie si ottiene con due valvole a due vie nei due differenti rami
del circuito. Tuttavia in questo caso non è garantita la costanza della portata totale tra ingresso e
uscita nelle diverse condizioni di regolazione, come invece avviene per le valvole a tre vie.
La curva di base reale (sempre di base, cioè con differenza di pressione pari ad 1 bar) è quella
misurata sperimentalmente sulle valvole realizzate. Può avere alcuni scostamenti da quella teorica
(cfr. Fig. 13).

Quando la differenza di pressione tra monte e valle della valvola non è più unitaria (1 bar), cioè nel
funzionamento reale in un impianto, si utilizzano le curve dinamiche. Per queste si definisce
l’autorità della valvola, come il rapporto tra la caduta di pressione nel funzionamento effettivo

143
rispetto alla caduta di pressione a valvola completamente chiusa. In Fig. 14 e 15 sono riportati gli
andamenti della portata in funzione dell’altezza dello stelo (in valori relativi ai loro massimi) con
come parametro l’autorità della valvola, rispettivamente per le valvole lineari ed equipercentuali.

CIRCUITI IDRAULICI

Prendiamo in esame le diverse tipologie dei circuiti in cui è inserita una valvola.

1. Valvola a due vie modulante


Il circuito è rappresentato in Fig. 16. La portata del fluido (ad esempio del fluido termovettore)
varia in funzione della regolazione della valvola. La temperatura che arriva allo scambiatore invece
rimane costante. La prevalenza della pompa p p risulta uguale alla somma delle perdite di carico
sulla valvola pv e quella sul resto del circuito pc
p p = pv + pc (0.8)
Quando la valvola viene chiusa, aumenta la caduta di pressione sulla valvola, aumenta la prevalenza
della pompa e diminuisce la portata.

Il calcolo si effettua tenendo conto della curva caratteristica della pompa e del circuito, la cui
intersezione corrisponde al punto di funzionamento dell’impianto. Nella notazione delle figure
precedenti tale calcolo si effettua sulla Fig. 17.

144
In tale grafico compaiono tre differenze di pressione, la prevalenza della pompa p p , la caduta di
pressione sulla valvola pv e quella sul circuito pc . La curva caratteristica del circuito corriponde,
in valore relativo al massimo pc / p0 , alla curva inferiore, mentre la curva carateristica della
pompa alla curva superiore p p / p0 . La curva caratteristica della pompa è fornita dal costruttore,
mentre quella dell’impianto (all’incirca parabolica) si deve calcolare con le solite formule delle
perdite di carico. La differenza delle due curve corrisponde, secondo la (0.8), alla caduta che deve
esserci sulla valvola.
Pertanto il dimensionamento (ciè il calcolo dell’altezza dell’otturatore necessaria per ottenere una
data diminuizione della portata) si effettua nel seguente modo:
- si individua l’ascissa corrispondente alla diminuizione della portata voluta (il segmento con
due frecce riportato in Fig. 17 corrisponde all’incirca ad un dimezzamento della portata)
- si rileva dal grafico la caduta di pressione sulla valvola pv / p0
- si calcola pv / pv 0 , con pv 0 (caduta di pressione a vavola completamente chiusa) dato dal
costruttore della valvola; la quantità pv / pv 0 corriponde all’autorità della vavola
- sulla Fig. 14 o sulla 15 (secondo il tipo di vavola) si determina di quanto deve essere
abbassato lo stelo della valvola.
Si noti come in Fig. 17 la curva caratteristica dell’impianto e quella della pompa non si intersecano.
Questo significa che anche a vavola completamente aperta c’è sempre una caduta di pressione sulla
valvola stessa, corrispondente al segmento intermedio sull’estremità destra della figura, per
G / Gs = 1 .
2. Circuito in deviazione con valvola miscelatrice (Fig. 18)

La pompa è montata sul circuito primario e lo scambiatore sul circuito secondario. La portata totale
elaborata dalla pompa (sul primario) rimane costante. Sul circuito secondario, dove è installato lo

145
scambiatore, la portata risulta variabile a seconda della regolazione della valvola miscelatrice a tre
vie. La temperatura di ingresso allo scambiatore risulta costante. Dovendo trattare una portata
costante, il punto di funzionamento della pompa, e quindi la prevalenza e portata fornite dalla
stessa, non variano. La relazione tra la portata che arriva allo scambiatore e la corsa dell’otturatore
della valvola a tre vie si ottiene direttamente dalla curva caratteristica della valvola (Fig. 14 o 15),
relativamente al percorso tra uscita dello scambiatore e uscita dal circuito (si ricorda che per le
valvole a tre vie entrambi i percorsi hanno una curva caratteristica).
Questo tipo di circuito è utilizzato, ad esempio, per le batterie di raffreddamento con
deumidificazione degli impianti di condizionamento ad aria, nei quali è importante che la
temperatura di ingresso alla batteria rimanga costante durante la regolazione.
3. Circuito in miscelazione (Fig. 19)

La valvola a tre vie miscelatrice è posta tra il circuito primario e il secondario, la pompa è installata
sul secondario. Di conseguenza la portata sullo scambiatore risulta costante indipendentemente
dalla regolazione della valvola. A seconda della regolazione della valvola, e quindi a seconda della
miscelazione effettuata dalla stessa, cambia la temperatura di ingresso allo scambiatore. La portata
sul circuito principale risulta variabile con la regolazione. Tale portata si determna mediante il
bilancio termico: da questo si determina la temperatura di ingresso dello scambiatore (essendo la
portata costante, il flusso termico fornito è uguale a m  c p  t , quindi proporzionale alla differenza
di temperatura. La portata che deve circolare nel circuito principale si determina sempre da tale
valore di t . La curva caratterisitca della valvola (Fig. 14 o 15) mi dà l’altezza dello stelo
necessaria alla regolazione. Tale tipo di regolazione è utilizzata ad esempio per le batterie di
riscaldamento per variare la temperatura di uscita dell’aria calda.
Se la temperatura massima all’ingresso dello scambiatore è inferiore alla temperatura di mandata
sul principale, si inserisce un ramo di by-pass con regolazione fissa (valvola tarata non regolabile
così fornita), cfr. Fig. 20

146
4. Circuito ad iniezione con valvola modulante a due vie (Fig. 21)

Sono presenti due pompe, una sul primario ed una sul secondario. Al variare della regolazione della
valvola a due vie sul primario, varia la portata sempre sul primario. Sul secondario la portata rimane
invece invariata. La diversa miscelazione cambia la temperatura di ingresso allo scambiatore. Il
dimensionamento si effettua nello stesso modo del circuito 1), con in più il bilancio termico dovuto
al miscelamento.
5. Circuito ad iniezione con valvola miscelatrice (Fig. 22)

Rispetto al circuito precedente, invece della valvola a due vie viene installata una valvola a tre vie
miscelatrice con il relativo circuito di by-pass. Con tale configurazione la portata rimane costante
anche sul primario, oltre che sul secondario. Al cambiare della regolazione della vavola cambiano le
portate nei due tratti di by-pass.
147
GENERALITÀ SUI GAS REFRIGERANTI

1 - COSA È UN GAS REFRIGERANTE


Gas refrigeranti sono tutti i gas utilizzati normalmente negli impianti di refrigerazione, per i più
diversi utilizzi e campi di temperature. Oltre ai comuni gas utilizzati anche per altri scopi (acqua,
aria, idrocarburi vari, etc.) sono di particolare importanza i gas alogenati. Si tratta di composti
sintetici (cioè artificiali) creati mediante l'introduzione nella molecola di un idrocarburo di uno o
più atomi di un alogeno. Alla classe degli alogeni appartengono il Fluoro (F), il Cloro (Cl) e il
Bromo (Br). Hanno particolari proprietà chimico fisiche comuni, provenendo dalla stessa
famiglia, o gruppo, del sistema periodico degli elementi.
Nell' alogenazione (il processo di sintesi con gli idrocarburi) gli atomi di questi alogeni vanno a
sostituire altrettanti atomi di idrogeno (H) esistenti nella molecola dell'idrocarburo di base.
2 - LA CLASSIFICAZIONE DEI REFRIGERANTI
La classificazione inizialmente (ed attualmente) utilizzata per i gas refrigeranti si basa sulla
composizione chimica del composto. Essa prevede:
- la matrice, cioè l'idrocarburo di provenienza
- la presenza quantitativa degli atomi di alogeni inglobati e dell'H eventualmente residuo
Il sistema di classificazione e rappresentazione ANSI/ ASHRAE prevede la seguente sigla: R-
XYZ dove:
- R sta per refrigerante
- Z prima cifra da destra, rappresenta gli atomi di fluoro
- Y seconda cifra meno uno, rappresenta gli atomi di idrogeno
- X terza cifra più uno, rappresenta gli atomi di carbonio
Gli atomi di cloro si ottengono dal calcolo della valenza.
La classificazione si estende anche ai non alogenati in modo da poter identificare in modo
semplice tutti i gas, purchè abbiano sia pur remote possibilità di applicazione nella
refrigerazione. Da tale classificazione conseguono le seguenti famiglie di gas:
- serie a due cifre (terza cifra da destra, 0, omessa corrisponde ad 1 atomo di C); è la serie
del metano (R-l1, R-12, R-22)
- serie cento (terza cifra da destra 1, cioè 2 atomi di C); è la serie dell'etano (R-113, 114, R-
123, R-134)
- serie duecento; è la serie del propano (R-218, R-245)

150
- serie trecento; è la serie ciclica (i composti organici ciclici hanno generalmente 4 atomi di
C legati ad anello). Questa serie prende la lettera di identificazione C anziché R (C-316, C-317,
C-318)
- serie quattrocento (la terza cifra da destra non identifica più gli atomi di C, designa la
serie); sono le miscele zeotropiche, ovvero miscugli di diversi composti volatili (ciascuno
solitamente già utilizzato come refrigerante in altre applicazioni) che, usati nei cicli di
refrigerazione, durante l' evaporazione o la condensazione a pressione costante cambiano la loro
composizione volumetrica o la loro temperatura di saturazione (R-401, R-403, R-407, R-410)
- serie cinquecento (la terza cifra da destra non identifica più gli atomi di C, designa la
serie); sono le miscele azeotropiche, ovvero miscugli di diverse sostanze volatili che usati in cicli
di refrigerazione, durante l'evaporazione o la condensazione a pressione costante non cambiano
la loro composizione volumetrica o la loro temperatura di ebollizione. Si comportano in pratica
come se fossero costituiti da un composto singolo (R-502, R-503, R-509)
- serie seicento, composti organici vari:
idrocarburi (es. R-600, butano)
composti di O, ossigeno, (es. R-610, etere etilico)
composti di S, zolfo (es. R-620)
composti di N, azoto (es. R-630, amminometile)
- serie settecento, composti inorganici vari:
R-702, idrogeno
R-717, ammoniaca
R-718, acqua
R-728, azoto
R-732, ossigeno
R-740, argon
R-744, anidride carbonica
R-764, anidride solforica
- serie mille, composti organici insaturi; sono composti nei quali non tutti gli atomi di C
sono legati a quattro altri atomi (es. R-1150, etilene e R-1270, propilene).
I refrigeranti sono anche classificati in funzione della loro struttura molecolare e della
composizione, se si tratta di miscele. Si definiscono
- isomeri (= stessa divisione), i composti che hanno la stessa composizione chimica del
fluido primario, ma diversa struttura molecolare e quindi diverse proprietà fisico-

151
chimiche (tra cui quelle termodinamiche); essi si identificano con una lettera dell'alfabeto
minuscola come suffisso (ad es. R-134a);
- miscele (blend) composte da diversi fluidi originali; ogni combinazione percentuale
diversa (provata ed accettata) dei diversi componenti singoli viene identificata da un
suffisso consistente in una lettera maiuscola. Esempio:
R-407 miscela non azeotropica di R-32/R-125/R134a diventa R-407A per percentuali
rispettivamente di 20/40/40 %
R-407B per percentuali rispettivamente di 10/70/20 %
R-407C per percentuali rispettivamente di 23/25/52 %
R-407D per percentuali rispettivamente di 15/15/70 %
R-407E per percentuali rispettivamente di 25/15/60 %
la miscela R-410, miscela non azeotropica di R-32/R-125, diventa R410A per percentuali
rispettivamente di 50/50 % e 410B per percentuali 45/55%.
Poiché le miscele azeotropiche sono tali a fronte di un solo rapporto percentuale dei componenti,
per esse non sussiste la necessita di distinzioni tramite suffisso.
3 - LA CLASSIFICAZIONE RIFERITA ALLA QUESTIONE DELL'OZONO
I gas refrigeranti vengono definiti CFC, HCFC, HFC, HC, a seconda della loro composizione.
Tale composizione è rilevante per l’effetto che hanno sull’impauperimento della fascia di zono
nella stratosfera. Questi gruppi di lettere possono sostituire la lettera R della sigla del refrigerante
quando di essi si parla in relazione al problema della salvaguardia dell'atmosfera. La lettera R è
comunque obbligatoria nella letteratura tecnica e nelle targhette di identificazione delle
caratteristiche delle macchine.
Nella tabella di seguito diamo le definizioni e le particolarità relative
SIGLA DENOMINAZIONE ALOGENAZIONE PARTICOLARITA'
CFC clorofluorocarburo totale assenza di H
HCFC idroclorofluorocarburo parziale presenza di H
HFC idrofluorocarburo parziale assenza di Cl
HC idrocarburo nessuna assenza di alogeni
Tab. l - Classificazione dei gas refrigeranti riferita al problema dell' ozono.
Per le miscele occorre indicare la qualità di tutti i componenti (es. HC/CFC 503 perché composta
da HC-23 e CFC-13). Le serie 600, 700 e 1000 non contengono alogeni. È da notare che è stata
tralasciata per facilità di scrittura, la lettera minuscola l che contraddistingue il cloro; esso, nella
forma C- anziché Cl- è rappresentato dalla prima C della sigla, l'ultima indica sempre il carbonio
- CFC
Se la seconda cifra da destra e 1, non c'è H quindi si tratta di un CFC. Esempio R-11, R-
12, R-113, R-l15, R-218

152
- HCFC
Se la seconda cifra da destra è 2 o più, esistono uno o più atomi di H, quindi è un HCFC.
Esempio R-22, R-123, R-132, R-235
- HFC
La prima cifra da destra conta gli atomi di fluoro: se essa è tale che sommata agli atomi di
H (seconda cifra meno 1) dà 4 per la serie del metano, 6 per quella dell'etano e 8 per la
serie del propano, non c'è cloro, quindi e un HFC. Es. R-125, R-134, R-245.
- HC
Un HC può essere solo un idrocarburo non alogenato. Parimenti e naturalmente senza Cl
e/o F sono tutti gli altri elementi o i composti usati come refrigeranti che non provengono
da idrocarburi.
4 - ODP, GWP, TEWI
L’effetto sull’ozono
Come si sa, 1' ossigeno (O2) della troposfera (la sfera dei cambiamenti meteorologici nella quale
viviamo ) assorbendo 1' energia sprigionata dai fulmini durante i temporali si scinde in due atomi
di ossigeno monoatomico (O) molto instabili. Questi, salendo verso la stratosfera, assorbono
energia dalle radiazioni solari (in particolare UV-B) e si legano ad altro O2 formando O3, l'ozono.
Si crea in questo modo la fascia di ozono stratosferico. La presenza di tale fascia è estremamente
importante per l’assorbimento della radiazione UV-B proveniente dal sole, che essendo di
lunghezza d’onda minore (della UV-A ad esempio, benefica), risulta dannosa per gli esseri
umani perché cancerogena.
Gli idrocarburi alogenati rilasciati in atmosfera hanno una vita lunghissima durante la quale si
dissociano lentamente. Quando raggiungono la fascia dell'ozono, il cloro, che da essi si libera,
costituisce un catalizzatore per la riduzione dell’O3 (2 O3 → 3 O2) così distruggendolo.
Si è stabilito perciò di misurare il potenziale di danneggiamento della fascia di ozono che ciascun
refrigerante ha. Tale potenziale è chiamato ODP (Ozone Depletion Potenzial, Potenziale di
Impoverimento, o se si vuole di Depauperamento, dell'Ozono). Questo fattore è espresso in
valore relativo, e si è assegnato il valore 1 (il maggiore, o peggiore) all’ R-11 che ha la molecola
con il più alto numero di atomi di Cl (cioè 3) e che si è calcolato avere una vita media di circa
100 anni, sufficiente a raggiungere la fascia dell’ozono e sviluppare qui la sua massima
virulenza. Altri CFC hanno valori molto vicini, mentre gli HCFC, a causa (o grazie) della
presenza di H hanno vita molto più breve, circa 25 anni, si dissolvono prima di raggiungere
l'ozono e comunque contengono meno atomi di cloro. Il loro potenziale ODP (tipico quello
dell’R-22) è calcolato intorno a 0,05. Ovviamente gli HFC non avendo cloro hanno ODP nullo e
parimenti hanno ODP nullo sia gli HC, sia tutti gli altri composti che non contengono cloro.

153
L’effetto serra.
La stratosfera oltre alla fascia di ozono contiene altri gas, principalmente CO2 (anidride
carbonica) e vapore acqueo che consentono alla troposfera di scaldarsi, trattenendo parte delle
radiazioni che la terra riflette verso l'atmosfera esterna. Si tratta del cosiddetto effetto serra,
perché tali gas (triatomici) presentano un comportamento selettivo alla radiazione termica:
risultano cioè più trasparenti alla radiazione a breve lunghezza d’onda, quale quella proveniente
dal sole con una componente visibile rilevante, e più opachi alla radiazione riemessa dalla
superficie terrestre, nel medio e lontano infrarosso. Il bilancio tra il flusso radiante proveniente
dal sole ed assorbito dalla terra, e quello riemesso dalla terra ed assorbito dall’atmosfera, risulta
positivo per la presenza di questi gas, detti perciò gas serra. L’aumento della CO2 a causa delle
emissioni dovute alla combustione dei combustibili fossili, e, anche se in misura molto inferiore,
alla perdita di refrigerante degli impianti di condizionamento e di produzione del freddo, ha
prodotto e continua a produrre un’alterazione del bilancio naturale di cui sopra, e di conseguenza
un aumento della temperatura media del globo (global warming)
Quindi anche gli idrocarburi alogenati sono considerati gas serra. Si misura quindi per essi un
altro potenziale: il GWP (Global Warming Potential), Potenziale di Riscaldamento del Globo,
che viene misurato come quantità equivalente di CO2 occorrente per procurare lo stesso effetto
nello stesso periodo di tempo (solitamente 100 anni). Il GWP peggiore è quello dell’R-11, pari a
3500 kgCO2 per kg di gas, corrispondente al fatto che un kg di R-11 produce in 100 anni gli stessi
danni di 3500 kg di CO2.
REFRIGERANTE ODP GWP(kgCO2/kg)
CFC
R-11 1 3500
R-12 1 8100
R-502 1 5500
HCFC
R-22 0.05 1700
R-123 0.02 250
R-142b 0.06 1900
HFC
R-32 0 455
R-125 0 2485
R-134a 0 1300
R-404° 0 38000
R-407C 0 1600
R-410° 0 1900
R-507 0 3800
ALTRI
R-290 propano 0 3
R-600 butano 0 3
R-717 ammoniaca 0 0.10
R-744 CO2 0 1
R-718 acqua 0 0
Tab. 2 - ODP e GWP dei principali gas refrigeranti.

154
Per tutti i gas refrigeranti, di qualsiasi natura o provenienza, si è recentemente introdotto un altro
fattore di comparazione. Questo fattore, piuttosto complicato e di per sè alquanto opinabile come
valore assoluto, è molto interessante come sistema di comparazione dei vari gas refrigeranti, in
particolare quelli di nuova o di progettata introduzione. Si tratta del TEWI (Total Equivalent
Wanning Impact), Impatto Equivalente Totale di Riscaldamento, che misura quanto effetto serra
(in tonnellate equivalenti di CO2) procura un gas durante la vita operativa dell'impianto che esso
alimenta. Il TEWI viene calcolato in base alla seguente formula, introdotta con lo Standard
Europeo 378 (10/08/95):
TEWI= [(GWP·m)+(E·b·t)]·n
in cui:
m= massa di fluido emessa verso l'atmosfera ogni anno (kg/anno)
E= consumo di energia elettrica giornaliero del sistema, kWh/24h
b =emissione di CO2 per kWh di energia elettrica prodotta, kg(CO2)/kWh;
t= tempo di funzionamento annuale del sistema, giorni dell'anno (24h);
n= durata della vita del sistema in anni.
Come detto, la formula contiene alcuni elementi di discutibile individuazione univoca ed altri
che dipendono essenzialmente da situazioni "locali"; comunque essa evidenzia intanto due parti
ben distinte:
1) l'apporto diretto del gas rilasciato all'atmosfera in quanta tale (GWP·m·n)
2) l' apporto indiretto del gas durante la vita operativa come quantità di CO2 causata dalla
produzione dell' energia necessaria e spesa in questo periodo (E·b·t·n)
Da notare che l'apporto diretto (che nella pratica risulta di gran lunga trascurabile rispetto a
quello indiretto) essendo basato sulla quantità del gas rilasciato all' atmosfera spinge il
progettista e l'utilizzatore dell'impianto a ricercare la condizione ideale di zero fughe per poter
rispettare l'ambiente.
L'apporto indiretto, (di gran lunga maggiore) mette in gioco l'efficienza dell'impianto, ossia dei
sistemi di refrigerazione, che debbono assorbire il meno possibile (E), e l'efficienza delle centrali
di produzione di energia elettrica, che debbono produrre il meno possibile di anidride carbonica
per kWh prodotto (b). II discorso si estende quindi all' efficienza delle macchine, per la quale
partecipa sia pure in misura minore il gas, ma soprattutto all'efficienza dei sistemi di produzione
dell'energia elettrica (Italia 0,712 kgCO2/kWh, Germania 0,641, Francia 0,131, media EU 0,513).

155
5 - APPLICAZIONI DELLA REFRIGERAZIONE
È importante notare che tra i consumi energetici definibili, cioè che si possono attribuire con
certezza ad un'unica categoria, quelli per la refrigerazione sono tra i maggiori di tutte le attività
umane: nell'UE rappresentano circa il 15% della domanda totale di elettricità. Nella
refrigerazione si passa da sistemi di qualche centinaio di Watt fino a sistemi industriali di oltre
10 MW; i primi possono contenere cariche di circa 100g di gas, gli altri di molte tonnellate. La
temperatura di applicazione può variare da -140°C per la criogenia, a valori compresi tra -40°C e
10°C per la catena alimentare, fino ai 20°C ed oltre per il condizionamento dell'aria.
Nell'industria della refrigerazione, nella quale non si considerano generalmente i processi
industriali veri e propri di pertinenza delle varie tecnologie industriali, è possibile riconoscere le
seguenti categorie:
- freddo industriale, la parte della preparazione della catena alimentare
- refrigerazione domestica
- refrigerazione commerciale
- condizionamento di comfort
- condizionamento autoveicoli
Costruttivamente, i sistemi di piccola capacità (refrigeratori domestici e simili) sono di norma
completamente assemblati in fabbrica con costruzioni ermetiche e giunzioni brasate, contengono
cariche di piccolissime quantità di refrigerante con scarsissime possibilità di fughe; i sistemi di
grande capacità vengono generalmente assemblati in loco e sono dotati di estesi sistemi di
tubazioni con giunzioni meccaniche. Contengono quindi grandi cariche di refrigerante con
considerevoli probabilità di fughe anche notevoli e continue.
Per quanto riguarda la configurazione degli impianti, un'altra differenziazione è quella che tiene
conto della tecnologia utilizzata nella distribuzione del calore dalla centrale di produzione ai
punti periferici di utilizzazione; si distinguono:
- sistemi a distribuzione diretta, nei quali il fluido refrigerante è nello stesso tempo il
vettore termico alle apparecchiature terminali
- sistemi a distribuzione indiretta o secondaria, nei quali il fluido vettore del calore non è lo
stesso fluido refrigerante, ma un fluido secondario che ha minore potenziale di pericolo
(inquinamento e sicurezza) rispetto al primo; solitamente il fluido secondario è molto più facile
da maneggiare che non il gas refrigerante.
È evidente che, a parte i piccoli impianti domestici, il sistema diretto comporta estesissime reti di
refrigerante in circolazione con grandi cariche in gioco ed enormi possibilità di fughe, il secondo
invece elimina completamente questo pericolo, ma presenta un'efficienza minore a causa
dell'interposizione di un secondo sistema di trasmissione del calore con due processi di
trasmissione termica (e relative efficienze).

156
I grandi impianti dei supermercati, alcuni peraltro già in via di trasformazione, sono pressoché
tutti a distribuzione diretta, mentre tutti gli impianti di condizionamento dei grandi edifici ad uso
ufficio funzionano con sistemi di distribuzione indiretta.
In termini di mercato di apparecchiature e sistemi, sempre riferito all'UE, si possono dare i
seguenti dati:
- numero di unita:
o domestico, 200 milioni di unita
o refrigerazione negozi e condizionatori d'aria, 30 milioni di unita o piccoli sistemi
split
o supermarket, edifici ed industrie, 2 milioni di sistemi
- gas refrigerante utilizzato:
o 80-85% HFC (con pochi CFC e HFC residui))
o 10-15 % ammoniaca
o 1-2% HC
- Percentuali di utilizzo
o 27% supermarket
o 25% processi industriali
o 22% condizionamento dell'aria
o 12 % domestico
o 10% piccoli impianti commerciali
o 4% autoveicoli
6 - GAS REFRIGERANTI DISPONIBILI E PROSPETTIVE PER IL FUTURO
Fino alla fine de secolo scorso, CFC e HCFC hanno dominato praticamente in modo totale
l'industria della refrigerazione e del condizionamento dell'aria con la sola eccezione, a paragone
modesta, dell'ammoniaca e di qualche altro refrigerante applicato in sistemi per processi
industriali o molto particolari.
Per tali gas, dopo la scoperta del buco dell'ozono stratosferico e del surriscaldamento del globo,
il consesso della società internazionale ha stabilito la loro eliminazione, anche nelle applicazioni
come espandenti ed estinguenti.
Per tale motivo nei decenni prima della fine del ‘900 e all’inizio del 2000, sono stati studiati,
individuati e sperimentati un numero rilevante di nuovi gas in sostituzione prima dei CFC e poi
anche degli HCFC.
Pertanto attualmente i gas maggiormente utilizzati per la refrigerazione sono i seguenti:
- R402, R407 e R410 principalmente per compressori centrifughi
- R134a, per frigoriferi e freezer domestici e per il condizionamento degli autoveicoli

157
- R410A, miscela azeotropica a maggioranza di R-125 per gli impianti dei supermarket,
alimenti surgelati e congelati
-

Tabella 3

Il protocollo di Montreal e le sue aggiunte ed emendamenti (ad es. il protocollo di Parigi) hanno
decretato il bando della produzione dal 1/1/95 nei paesi industrializzati (tra cui USA, UE,

158
Giappone); nei paesi in via di sviluppo, elencati nell' ART.5 (come India e Cina, che si
apprestano a produrre altrettanto quanto noi), la produzione è stata invece consentita fino al
2010; altri paesi, definiti ad economia di transizione (come la Russia) godono di una deroga
speciale (Dec. VII/18) praticamente a tempo indeterminato. La Comunità Europea ha stabilito il
bando completo (normativa EU2037/2000), sia dei CFC che degli HCFC, a partire dal
1/01/2015. U uso parziale come ripristino dei vecchi impianti è stato consentito per i CHFC sino
al 31/12/2019.
Il problema della sostituzione dei refrigeranti contenenti cloro ha richiesto un notevole impegno
sia ai chimici (per la formulazione delle nuove formule), sia ai progettisti (per la individuazione
dei nuovi criteri di progettazione delle macchine che utilizzano i nuovi refrigeranti), sia ai
manutentori (per la necessità di ripristinare la carica di gas negli impianti esistenti con fluidi
dalle caratteristiche il più possibile simili a quelli attualmente proibiti, almeno fino alla completa
obsolescenza delle macchine progettate sulla base dei vecchi fluidi).
Nel complesso processo della scelta dei refrigeranti da utilizzare in sostituzione di quelli
precedentemente usati, ha richiesto di tener conto dei seguenti parametri:
- caratteristiche termodinamiche, principalmente le temperature di evaporazione e
condensazione che debbono consentire livelli di efficienza (COP: coefficient of performance,
termine che sostituisce il rendimento potendo avere valore superiore a 1, pari alla resa frigorifera
diviso la potenza assorbita) elevati
- pressione di funzionamento
- dimensioni del compressore risultante dal loro uso
- tossicità, possibilmente nulla
- infiammabilità, il fluido dovrebbe essere non infiammabile e non esplosivo
- compatibilità con i materiali correntemente usati nei sistemi di refrigerazione
- compatibilità con i lubrificanti disponibili e stabilità: il fluido dovrebbe restare stabile in
tutto il processo e non reagire chimicamente con materiali, oli e contaminati
- costo
- ODP, dovrebbe essere zero
- GWP, il più basso possibile
- alternative a lungo termine: HFC o simili a zero ODP-GWP.
Le alternative utilizzate le seguenti:

- R-11 ➔R-123 il cui uso comporta modesta perdita di capacità e incompatibilità con
alcuni materiali
- R-12➔Miscele della serie R-401 (contenenti principalmente R-22) che hanno buona
compatibilità con olio e materiali correntemente usati; vanno considerati però come

159
refrigeranti da manutenzione piuttosto che per nuovi sistemi; il refrigerante R-12 degli
autoveicoli e dei frigoriferi domestici viene sostituito principalmente con HFC-134a.
- R-502➔R-410A o B, che presentano temperature di mandata più alte ovviate con il
metodo dell'iniezione di liquido (che causa piccole perdite di capacità)
- R-114➔R-124 con problemi specifici per ciascuna applicazione.
Considerato che l’R-22 è stato il refrigerante della maggior parte degli impianti di
condizionamento e di tutti i condizionatori autonomi e simili nel mondo, la sua sostituzione ha
presentato notevoli problemi.
Nell'ambito dei prodotti sintetici, le sole alternative ai fluidi frigorigeni di vecchia generazione
CFC e HCFC sono i composti idrofluorocarburi HFC, puri o in miscela. Ricordiamo che questi
composti, non contenendo cloro e/o bromo nella propria molecola, sono innocui all'ozono
stratosferico, ed inoltre, conservando atomi di idrogeno residuo dell'idrocarburo di provenienza,
presentano vita media atmosferica relativamente breve così da dar luogo ad un impatto di effetto
serra generalmente contenuto.
7 - Gli HFC
Nella formulazione di sostituti sintetici per i fluidi frigorigeni di vecchia generazione occorre
tenere conto del problema dell'ininfiammabilità. Infatti molti fluidi che potrebbero funzionare
bene come fluidi frigorigeni (ammoniaca o idrocarburi puri o in miscela) prodotti hanno proprio
nella possibilità di formare con aria miscele esplosive il punto debole che ne contrasta l'utilizzo
nella maggioranza delle applicazioni. Per l'ammoniaca anche la tossicità costituisce fattore di
rischio, peraltro temperato dall' odore pungente esibito anche in debole concentrazione in aria,
che allerta tempestivamente le persone eventualmente esposte. Per quanto riguarda le
caratteristiche di sicurezza d' impiego dei fluidi frigorigeni, la norma ANSI/ASHRAE 34-1992
considera gli aspetti relativi all' infiammabilità ed alla tossicità, collocando i prodotti in sei
differenti classi contraddistinte da due caratteri alfanumerici: il primo carattere è la lettera A
oppure B, e contraddistingue la tossicità; il secondo carattere è una cifra 1, 2 oppure 3, ed è
relativo all'infiammabilità del prodotto. Lo specifico significato dei caratteri che identificano le
classi di tossicità ed infiammabilità è il seguente:
- Classe A: fluidi frigorigeni per i quali non sono stati individuati effetti tossici a
concentrazione minore o uguale a 400 ppm;
- Classe B: fluidi frigorigeni per i quali vi è evidenza di effetti tossici a concentrazione
minore di 400 ppm;
- Classe 1: fluidi frigorigeni che non presentano propagazione di fiamma in aria a 1 atm e
l8°C;
- Classe 2: fluidi frigorigeni moderatamente infiammabili in aria a l atm e 21 °C;
- Classe 3: fluidi frigorigeni altamente infiammabili in aria a l atm e 21 °C;
Le sei classi di possibile caratterizzazione di un fluido frigorigeno sono pertanto Al, A2, A3, B1,
B2 e B3.

160
Nella caratterizzazione ai fini della sicurezza di una miscela zeotropica bisogna tener conto
anche del possibile fenomeno del frazionamento, conseguenza diretta della particolarità di
comportamento di questi fluidi che possono presentare notevole diversità di composizione tra la
fase liquida e la fase vapore all'equilibrio termodinamico; la norma precedentemente nominata
richiede quindi per queste miscele una doppia valutazione della classe di sicurezza, la prima
relativa alla composizione nominale, e la seconda relativa alla composizione che può derivare nel
peggior caso di frazionamento ipotizzabile.
Nella seguente tabella sono rappresentati i principali HFC puri, la classe di appartenenza
(tossicità e infiammabilità), il punto critico, l'NBP (normal boiling point, temperatura di
ebollizione normale, ovvero ad 1 atm) ed il GWP.
ASHRAE classe Punto critico NPB (°C) GWP
R-23 A1 26,3°C 4,87MPa -82,1 11700
R-32 A2 78,2°C 5,80MPa 51,7 650
R-116 A1 19,9°C 3,04MPa 78,4 12500
R-125 A1 66,3°C 3,63MPa 48,6 2800
R-134a A1 101,1°C 4,06MPa 26,1 1300
R-143a A2 104,9°C 3,59MPa 47,4 3800
R-152a A2 113,3°C 4,52MPa 24,7 140
R-218 A1 71,9°C 2,68MPa 36,7 7000
R-123 B1 183,7°C 3,70MPa 27,9 90
Tab. 4 - caratteristiche dei principali HFC puri.
In questa seconda tabella sono riportati i refrigeranti HFC in miscela, la classe di sicurezza
(ricordiamo la doppia valutazione), la composizione, l'NBP (temperatura di ebollizione normale,
oppure, per le miscele zeotropiche, la temperatura normale di bolla e l'intervallo di temperatura
di cambiamento isobaro di fase, cioè il glide, sempre ad 1 atm) ed il GWP.
ASHRAE Classe composizione (%fraz. massa) NBP (°C) GWP
(bolla/glide)
R-404A (A1/A1) R-125/143a/134a(44/52/4) (-46,5/0,8) 3300
R-407A (A1/A1) R-32/125/134a (20/40/40) (-45,5/6,6) 1800
R-407B (A1/A1) R-32/125/134a (10/70/20) (-47,3/4,4) 2300
R-407C (A1/A1) R-32/125/134a (23/25/52) (-44,0/7,2) 1500
R-407D (A1/A1) R-32/125/134a (15/15/70) (-39,5/6,7) 1400
R-410A (A1/A1) R-32/125 (50/50) (-52,7/0,1) 1700
R-410B (A1/A1) R-32/125 (45/55) (-51,8/<0,1) 1800
R-413A (A1/A1) R-218/134a/600a (9/88/3) (-35,0/5,2) 3500
R-507 (A1) R-125/143a (50/50) -46,7 3300
R-508A (A1) R-23/116 (39/61) -85,7 12200
R-508B (A1/A1) R-23/116 (46/54) -88 12100
Tab. 5 - caratteristiche delle principali miscele HFC.
Per i più importanti fluidi di questa tabella, la figura 1 riporta l' andamento delle curve di
tensione di vapore a saturazione (le curve di bolla e di rugiada per le miscele zeotropiche); la

161
pressione di saturazione nell'ordinata è rappresentata in scala logaritmica, mentre la scala di
temperatura in ascissa corrisponde ad andamento lineare per il reciproco della temperatura
Kelvin, con orientamento da destra a sinistra: rispetto a tali scale infatti le curve di tensione di
vapore hanno andamento pressoché rettilineo, come risulta nella figura 1.1.

Fig. 1 - Curve di saturazione all' equilibrio liquido-vapore per i più comuni fluidi frigorigeni.

Alcuni sostituti sono chiamati gemelli del refrigerante che vanno a sostituire; ad esempio il
fluido R-407C è presentato come alternativa gemella di R-22, così come il fluido R-134a è
considerato gemello di R-12. Con questa dizione si intende un fluido che, se utilizzato con lo
stesso compressore volumetrico del refrigerante che sostituisce, fornisce approssimativamente la
stessa potenza frigorifera, richiedendo approssimativamente la stessa potenza di compressione.
Si può dimostrare che affinché due fluidi siano tra loro gemelli, il requisito più importante e che
le loro correlazioni tra pressione e temperatura a saturazione approssimativamente coincidono
nelle condizioni dell'evaporatore.
Il vincolo di alternativa gemella è necessario quando si vuol procedere alla sostituzione diretta
del vecchio refrigerante con quello sostitutivo in un circuito frigorifero con compressore
volumetrico (operazione di retrofit). Questa considerazione non è evidentemente sufficiente, in
quanto altri aspetti devono essere considerati, ed in particolare la compatibilità del nuovo fluido
con i vari materiali del circuito, come gli elastomeri, l'olio lubrificante e, nei circuiti con
compressore ermetico, i materiali di isolamento elettrico del motore.
In nessun caso fluidi HFC possono però essere considerati perfetti sostituti gemelli dei vecchi
fluidi frigorigeni CFC o HCFC, per il fatto che nel retrofit quanto meno si deve procedere alla
sostituzione dei tradizionali lubrificanti, in quanto, per l'assenza di atomi di cloro nelle molecole
HFC, sia gli oli di tipo minerale che achilbenzenico non presentano adeguata lubricità, e non

162
sono miscibili con i refrigeranti HFC. La ricerca scientifica sviluppatasi intensamente in questi
anni ha permesso di giungere alla conclusione che oli di tipo estere di polioli (indicati con
l’acronimo POE), con appropriati additivi, rappresentano la scelta più opportuna come
lubrificanti da usare coi refrigeranti HFC pressoché in tutte le applicazioni. Da precisare che
nelle macchine frigorifere con compressore di tipo centrifugo, il lubrificante non entra in contatto
diretto con il fluido frigorigeno, e dunque in tale circostanza oli lubrificanti minerali
rappresentano probabilmente la scelta migliore anche con refrigeranti tipo HFC.
Tra i fluidi refrigeranti sintetici di nuova generazione, la maggioranza è in forma di miscela.
Alcune delle miscele considerate hanno comportamento azeotropico (ASHRAE serie 500); tra le
miscele zeotropiche (ASHRAE serie 400) alcune in realtà hanno intervallo di temperatura di
cambiamento di fase (glide) così basso (pochi decimi di grado Celsius) da poter essere
considerate anch'esse a comportamento azeotropico (come R-410A o B, ed anche R-404A).
Questi fluidi vengono chiamati quasi azeotropici (nearm: nearly azeotropic refrigerant mixture),
ed il loro comportamento nel circuito frigorifero approssima quello di un fluido puro.
Per quanto riguarda invece le miscele decisamente zeotropiche, le maggiori perplessità nel loro
impiego quali fluidi frigorigeni, al posto di fluidi puri o miscele azeotropiche, derivano dal
fenomeno del frazionamento, che è conseguenza del fatto che all' equilibrio termodinamico la
composizione della fase liquida e quella della fase vapore sono differenti. Il frazionamento può
causare la modifica della composizione globale della carica residua in un circuito frigorifero, in
seguito ad una fuga di refrigerante da un componente ove è presente in stato bifase.
E' evidentemente una caratteristica desiderabile che un impianto, dopo una perdita parziale di
carica, possa essere rabboccato con il fluido frigorigeno nella sua composizione nominale, senza
che a ciò conseguano variazioni negative apprezzabili di prestazioni, e senza che la
composizione della carica diventi infiammabile, se la sua formulazione (come ad esempio per i
fluidi della serie R-407) contiene di per sé un componente infiammabile (quale è il fluido HFC
R-32, che appartiene alla classe A2). Tutto ciò usualmente accade con le varie miscele
zeotropiche correntemente proposte come fluidi frigorigeni sostitutivi, come ricavato da
simulazioni e come verificato sperimentalmente. Solo in situazioni estreme la manutenzione di
un circuito frigorifero dopo una perdita di carica può richiedere la rimozione del fluido
frigorigeno residuo ed una completa ricarica.
L' esistenza di un intervallo finito di temperatura nei processi isobari di condensazione ed
evaporazione delle miscele zeotropiche offre in principio la possibilità di aumentare l' efficienza
energetica del processo di refrigerazione attraverso un possibile migliore accordo tra i profili di
temperatura del refrigerante e quello dei fluidi esterni, rispetto a quanto possa realizzarsi con un
refrigerante con cambiamento di fase isotermo, qual è un fluido puro. Con una miscela
zeotropica il ciclo di riferimento del processo frigorifero diviene quello di Lorenz anziché quello
usuale di Carnot. Il ciclo ideale di Lorenz consiste di due processi a calore specifico costante per
le trasformazioni di scambio termico, e due processi isoentropici per le trasformazioni di
compressione ed espansione. Tuttavia con un fluido frigorigeno il cui glide di temperatura è
limitato a 6-7°C, quale ad esempio la miscela R-407C, non si possono ottenere, nelle comuni
applicazioni, rilevanti incrementi nell'efficienza energetica dallo sfruttamento del migliore

163
accordo possibile nei profili di temperatura negli scambiatori (configurazioni in perfetta
controcorrente). Solo con miscele a più elevato valore di glide (20 °C o più), ed equivalenti
intervalli di temperatura dei fluidi esterni e limitate differenze di temperatura di ciclo, sostanziali
miglioramenti di efficienza energetica sarebbero conseguibili.
Operando con miscele zeotropiche, generalmente si incontra una ulteriore penalizzazione per il
degrado dei coefficienti di scambio termico, nel corso di entrambi i processi di condensazione ed
evaporazione. Nella condensazione, la responsabilità di un coefficiente di scambio termico più
ridotto rispetto all' utilizzo di un fluido puro con le medesime proprietà termofisiche è da
imputare alla resistenza addizionale di scambio di massa che si forma nella fase vapore per
l'accumulo del componente più volatile all'interfaccia liquido-vapore; maggiormente penalizzata
a tale proposito è la condensazione all’esterno dei tubi nei condensatori a fascio tubiero, rispetto
alla situazione di condensazione all'interno dei tubi ( come nei condensatori a batteria alettata
raffreddati ad aria). In questo secondo caso infatti l' elevata turbolenza riduce, per effetto del
rimescolamento, l' entità della resistenza di scambio di massa.
Nello scambio termico per ebollizione di miscele zeotropiche, la diminuzione del grado di
surriscaldamento alla superficie di parete e la resistenza allo scambio di massa sono i fattori
responsabili del degrado del coefficiente di scambio nel confronto dei componenti puri in
condizioni operative e di valori delle proprietà termofisiche equivalenti.
Inoltre nel miscelamento di due fluidi, la conduttività termica della fase liquida diminuisce e la
sua viscosità aumenta, rispetto a quanto predetto per semplice interpolazione lineare (rispetto alla
frazione di massa) delle. proprietà dei singoli componenti, e questo naturalmente penalizza lo
scambio termico, sia nella condensazione a film che in convezione forzata.
Pressappoco si può assumere che l 'entità dell'intervallo di temperatura dei cambiamenti di fase
isobari di miscele zeotropiche (glide di temperatura) fornisca un'indicazione del potenziale
degrado nello scambio termico nei processi di ebollizione e condensazione, a confronto dei
valori ottenuti per interpolazione lineare, rispetto alla frazione di massa, dei dati relativi ai
componenti.
La discussione riportata più sopra ovviamente non vuole di necessità implicare che il coefficiente
di scambio termico di una miscela zeotropica sia sempre inferiore a quello realizzato col
refrigerante monocomponente che essa può sostituire.
Ricordiamo che i fluidi frigorigeni di vecchia generazione maggiormente diffusi, e la cui
sostituzione ha rappresentato e rappresenta il problema significativo, sono il CFC-12, CFC-11, la
miscela azeotropica CFC/HCFC-502 e soprattutto HCFC-22 (sicuramente il più diffuso sino al
suo bando nel condizionamento dell' aria, particolarmente nelle apparecchiature con compressore
volumetrico, oltreché nella refrigerazione commerciale a più alta temperatura, e nella
refrigerazione industriale ).
Nell'ambito dei possibili sostituti di sintesi, i fluidi R-12 ed R-502 trovano alternative gemelle
costituite da fluido puro (R-134a per R-12), o da miscele azeotropiche o quasi azeotropiche (R-

164
507 oppure R-404A per R-502). Non c’era invece alternativa gemella a comportamento
azeotropico per il fluido HCFC-22.

8 - LA SOSTITUZIONE DEL REFRIGERANTE R-22


Per soddisfare alle restrizioni sull’uso dei refrigeranti tradizionale nelle applicazioni per il
condizionamento dell'aria, nel corso di un programma cooperativo, non competitivo, sotto gli
auspici dell'ARI (American Refrigeration Institute) sono stati provati 30 candidati come
potenziali alternative all'R-22 e R-502, tra i quali l'ammoniaca e il propano. Questo programma
di studi ha coinvolto ricercatori dagli Stati Uniti, Giappone, Europa, Canada e Sud America, con
una durata di quasi quattro anni. Tra le varie alternative possibili nell'ambito dei fluidi di sintesi,
tre sono risultate più favorevoli in dipendenza della particolare applicazione e del tipo di sistema
di refrigerazione: l'impiego del fluido gemello R-407C (miscela zeotropica HFC), l'impiego di
fluidi a più alta pressione della serie R-410A (miscela quasi azeotropica di HFC, con intervallo
di temperatura di cambiamento di fase isobaro, glide, limitato a circa 0,1 °C nelle comuni
condizioni di applicazione), oppure l'uso del fluido puro a minore pressione HFC-134a.
L'R-134a è un refrigerante puro, costituito da un singolo componente, e perciò non è soggetto a
"scorrimenti" di temperatura (glide) durante i cambiamenti di stato. Un'ulteriore caratteristica
positiva è rappresentata dal basso potenziale di riscaldamento globale.
Purtroppo esso presenta una capacità termodinamica sensibilmente più ridotta rispetto all'R-22.
La conseguenza di ciò è che, a parità di potenza frigorifera, una macchina caricata con R-134a
deve essere tra il 30% ed il 40% più grande, a parità di potenza frigorifera, di una con R-22
(compressore di maggiore cilindrata, tubi di maggiore sezione e scambiatori di maggiore
superficie). A ciò si aggiunge il fatto che il coefficiente di scambio termico dell'R-134a è minore
di quello dell'R-22 e sembra che esso sia inoltre soggetto a diminuire con l'uso.
L'R407C presenta caratteristiche operative simili a quelle dell'R-22. Si tratta però di un fluido
zeotropo, con uno di scorrimento temperatura (glide) non trascurabile di 5,4 °C; a ciò si aggiunge
anche lo svantaggio di una minor efficienza rispetto all'R-22. Si può ritenere che in impianti o
macchine dove i1 suo glide risulti accettabile, l'R-407C rappresenta la scelta ottimale per il
passaggio all'uso di HFC. Invece i1 suo impiego deve essere evitato in quelle applicazioni dove
l'effetto del glide sulle prestazioni del circuito frigorifero è rilevante, ad esempio in impianti con
evaporatori allagati o evaporatori multipli.
L’R-410A è una miscela di R-32 e R-125, ed ha comportamento quasi azeotropico, perciò il suo
scorrimento di temperatura risulta trascurabile, ma funziona a pressioni sensibilmente più elevate
dell'R-22 (circa il 50%). Dalle prove realizzate risulta che, sebbene con questo nuovo
refrigerante non si possa raggiungere l'efficienza teoricamente ottenibile con l'R-22, le sue
caratteristiche di scambio termico si rivelano superiori nella maggior parte degli impianti.
L'utilizzo dell'R-410A proprio a causa della sua diversa densità ha comportato la necessita di
riprogettare estesamente le macchine ed i circuiti frigoriferi.

165
Un importante vantaggio che ottiene con l'utilizzo di questo refrigerante sta nel fatto che, per
effetto della sua maggiore densità, pressione di lavoro e capacità di scambio termico, esso
consente di ridurre la grandezza dei componenti dei circuiti frigoriferi a parità di potenza resa,
oppure, a parità di grandezza dei componenti, di aumentare sensibilmente la capacità frigorifera
erogata rispetto al funzionamento con R-22, fino al 50-55%.
R-22 R-134a R-407C R-140A
Glide 0 0 5,4°C 0,11°C
HGWP 0,34 0,28 0,37 0,44
Pressione 54,5°C, kPa 2,139 1,476 2,262 3,406
EER compressore, %R-22 100% 101% 95-101% 92-100%
capacità frigorifera, %R-22 100% 65% 98-105% 149-155%
scambio termico 100% inferiore identico più elevato
diametro tubi 100% minore identico più piccolo
prestazioni dell’impianto 100% minori 95-100% 98-100%
riprogettazione dell’impianto no significativa minore significativa
Tab. 6 - Confronto del refrigerante R-22 con i suoi sostituti sintetici.

166
Tabella 7: Elenco completo di tutti i refrigeranti

167
168
169
170
171
172
173
174
Capitolo XI
..

Termoelettricita

11.1 Effetti ter moelettrici reversibili

Vanno sotto il nome di effetti termoelettriei reversibili tre fenomeni


ehe, in eonduttori e semieonduttori elettriei, eoinvolgono seambi di
ealore e salti di temperatura eon eorrenti e forze elettromotriei (F .e.m. )
elettriehe. Essi sono gli effetti Seebeek, Peltier e Thomson. Questi
fenomeni sono reversibili in quanta il segno degli effetti dip ende da
quello delle grandezze eh e li provoeaqno ed in eiü differiseono dall'effetto
Joule , ehe e irreversibile. Essi vengono qui studiati in quanta st.anno
alla base di teeni che di misura e di refrigerazione.

A
a) Effetto Seebeck . Si abbiano
due conduttori elettrici di natura
diversa, metaHici, di l~ghe 0
di semieonduttori , A e 13 (fig.
ll.l) , saldati alle estremita. Uno B
di es si e interrotto, in modo
da costituire un circuito aperto p
con due estremita collegatre a un
potenziomenttö· P 'Pilrmisurar~
F igura 11.1
f.e .m. generate nel eitcilito. Se
tra le due saklature e@s.t~ " aRa dlffepenza di temperatura, essa genera
una f.e .m.:
(11.1)
Questo e l'effetto Seebeclc Si clüama coefficiente di Seebeck, 0 potere
termoelettrico , la grandezza~ ,"

. •' AE dE
cxAB = 11m' --'-- = ~ (ll.2 )
llT ..... O 6T dT

Essa e ua pal'ametro (te i mater ia-li c1 ip enclent.c dalla temperatura.


158 Gap. XI TeTmoelettTicita

b) Effetto PeltieT. Si colleghi un genei'atore di corrente elettrica


a un circuito formato da due conduttori (0 semicondu ttori) eterogenei
saldati ad un estremo (fig. 11.2). _
Il passaggio della corrente "....----
1_

attraverso alla s.aldatura provoca un


flusso di calore Q tra essa e l'esterno. ~
Si ha emissione 0 assorbimento di 0
B
calore secondo la natura dei materiali
Figura 11.2
e il verso d ella corrente. La gene-
razione di calore in una saldatura tra condu ttori eterogenei percorSl da
corrente si chiama effetto PeltieT.
Goefficiente di PeltieT e il parametro:

Q
nAB = - (11.3)
I
Esso e funzione della temp eratura.
Appare che, per l'effetto Peltier , e possibile estrarre calore da un
termostato a contatto termico con una saldatura tra due conduttori
eterogenei.

c) Effetto Thomson. In un con-


duttore omogeneo percorso da corrente
- I /0
esista un gradiente di temperatura. Per I
l'effetto Thomson una corrente elettrica LlT
Figura 11.3
. che attraversi un gradiente termico (fig.
11.3) produce uno scambio di calore fra conduttore e ambiente, il cui
verso dip ende da quelle della corrente e dal segno deI gradiente termico .
Questa produzione di calore reversibile si chiama effetto Thomson e
non si deve confondere coll'effetto Joule nel quale il calore prodotto
e irreversibile. L'effetto Thomson e stato postulato , prima della sua
verifica sperimentale, da William Thomson , poi Lord Kelvin, per far
quadrare il bilancio termodinamico degli effetti Seeb eck e P eltier , in
accordo col prima e secondo principio.
Si chiama coefficiente di Thomson il parametro:

~( =
. 6.Q
hm - -
lSQ .. (llA)
LlT~oI6.T I dT

con dT > 0, se T cresce nel verso della corrente (allora: SQ > 0, cioe
il calore viene assorbito dall 'esterno) .
11 .2 R elazi oni di K elvin

11.2 Relazioni di Kelvin



I tre effetti termoelettrici reversibili n on sono indipendenti tra di
loro. In base al prima e al secondo principio della termodinamica si
prova la loro interdip endenza, che si traduce in relazioni che legano tra
di loro i coefficienti di Seebeck, Peltier e Thomson.
R]2
A

~,
°2
+--

B
E
-
[
T,<T2

Figura 11.4

I prinClpi vengono applicati al sistema di fig. ll.4, il quale consiste


di due conduttori eterogenei A e B saldati ai loro estremi. Le due
saldature sono a temperature diverse Tl e T 2 . I conduttori formano
un circuito chiuso percorso dalla corrente I generata dalla f.e.m. E.
11 lavoro clettrico viene prodotto (e percio positivo) assorbendo calore
(positivo) al giunto caldo T 2 e cedendone (n agativo) al giunto freddo
Tl. Il sistema puo funzionare da refrigeratore, e allora s'invertono
tutti i segni delle quantita in gioco . Nel sistema, oltre ai fenomeni
reversibili , accadollo effetti irreversibili , cioe la produzione deI fiusso di
calor e Joule R1 2 , che viene dissipato, e la trasmissione di calore tra il
giunto caldo e il giunto freddo.
Si fa l'ipatesi puramente gratuita che i fenomeni r eversibili non
interagiscano cogl'irreversibili e quindi entrambe le categorie obbediscano
a equazioni indipendenti. E audace ma non falso. Infatti tutti i
fenomeni si possono trattare congiuntamente a mezzo delle equazioni
di reciprocita di Gnsager , le quali tengono conto delle irreversibilita,
pervenendo a identici risultati.
Per il prima principio, essendo invariabile l'energia interna deI
sistema, la somma dei fiussi di calore generati nei giunti edel
calore Thomson e uguale alla p otenza elettrica generata dalle Le.m.
termoelettriche:

(11.5)
Gap. XI TermoeLettricita

ossla:
(1l.5bis)

In questa relazione l'integrale a prima membro e nullo per qualsiasi


limite d'integrazione , percio la funzione integranda e identicamente
nulla:
(11.6)

In base al secondo pTincipio si calcola la circuitazione dell'entropia


g;enerat a nel sistema, la quale , per una trasformazione reversibile,
dev 'esser nulla. Essa consta di quattro contri buti dovuti ai calori
g;cllcrati nelle due giunzioni (Peltier ) e nei due conduttori (Thomson):

IIIAB) _( III AB) + j 2IIB-'YAdT=0 (11.7)


( T 2 T 1 1 T

(~ cl II A l:l

]ler C\1I:
1
.1
2 I
T dT
_ II AB
T2
+ 'YB -
T
'Y A ) clT = 0 (11 .7bis)

dII AB II AB
dT - T + IB - 'Y A =0 (1l.8)

COlllhillitllc!O le eqq. (11 .6 ) e (11.8), s'ottiene:

IIAB
(tAB = -- (1l.9)
T

ehe c La prima relazione di Thomson . Essa lega in modo assai semplice


il coeffieiente di Peltier a quello di Seebeck.
Derivando la eq. (11.9 ) rispetto a T , s'ottiene:

da ..\B 1dII AB
(11.10)
dT T dT

ehe, sostit.ui ta nella (11 .8) fornisee:

'Y A - 'YB
(11.11 )
T

Questa e la seco'nda reLazione di Thomson.


11.3 R ejrigemzione termoelettrica

Il coefficiente O'AB relativo a una coppla di materiali SI pUD


convenienSem ente scindere ll1 due tennini clascuno proprIO d 'un
componente:

I due termini sono i coefficienti di Seebeck assoluti.


In base al loro valore si pUD calcolare il coefficiente d 'una qualsiasi
combinazione di materiali.
Introducendo i coefficienti assoluti, l'eq. (1l.11 ) diviene:

dO'A dO'B "( A "(B


----- --- (11. 13)
dT dT T T
Scinclendo questa relazione ll1 clue, s'ottiene una relazione valicla per
un materiale generico:
dO' "(
(11. 14)
dT T
La liceita delle eqq. (11.13) e (11 .1 4) si fonda in ultima analisi sulla
legg e dei metallo intermedio: la fe.m. d'una termocoppia non si altera
se in una salclatura di essa s'intercala un conduttorc isotermo diversu
da quelli costituenti la coppia.
Dalla (11.14) segue che, per integrazione rispetto a T, il coefficiente
di Seebeck si pUD derivare da quello di Thomson. Per il piombo, salda t o
in coppia con un supercondu ttore, ch e ha 0' nullo sinche es so si mantiene
tale , e possibile misurare con buona precisione il potere termoelettrico
assoluto al di sotto di 18 K (al di sotto cli 7 K e sup erconduttore
10 stesso piombo, per cui 0' e nullo). Sopra i 20 K si conosce bene
il suo coefficiente cli Thomson . Nella lacuna tra 18 K e 20 K il
p otere t~rmoelettrico si valuta per estrapolazione e sopra i 20 K si
calcola integrando la (11 .14) . e OS! il piomb o si utilizza come materiale
cli riferimento. Il potere termoelettrico di qualsiasi altro materiale si
calcola per differenza dei potere tennoelettrico della coppia di detto
materiale col piombo.

11.3 Refrigerazione termoelettrica

Si . pongano a contatto termico con due termostati, uno a


temperatura TI e l'altro a temperatura T 2 > Tl le saldature d 'una
termocoppia in cui un generatore es terno immette la corrente I (fig.
162 Gap. XI Termoelettricita

11 .5); il salto di temperatura tra 1 termostati e 6.T = T 2 - Tl. La


temperatura media dei sistema e:

Con verso opportuno della corrente, dipendente dalla natura dei


conduttori, la termocoppia estrae calore attraverso il giunto freddo e 10
riversa al termostato caldo attraverso l'altro giunto.
A

T,

Figura 11.5

Attraverso il giunto freddo F si ha il flusso di calore risultante


dalle seguenti partite:

a) Calore Peltier: Qp = II! = aT) I = a(T - ßT/2) I ;


b) Una meta nel calore Joule, che si suppone equipartito tra i
giunti: QJ = ~ RI 2 , 1ll cui R e la resistenza elettrica totale della
termo coppia;

c) Una meta dei calore Thomson sviluppato in ciascun braccio della


2
!
termocoppia (con verso opposto): QT = J1 I bA -1'8) dT;

d) Calore di concluzione che fluisce dal giunto calclo al gi~nto freclclo


attraverso i clue bracci clella termocoppia in parallelo: Qe = J( 6.T.

Trascurando tra queste partite il calore Thomson , che e esiguo (e che


comunque si potra mettere in conto con un proceclimento che si veclra
piu avanti), il flu sso netto cli calore est ratto al giunto frecldo e:

. 1 ?
Q = a(T - 6.T/2 )I - 2RI- - I(6.T (11.15)
11. 3 Rejrigerazione termoelettrica

La potenza elettriea lmmessa nel eireuito vale:

W=VI (11.16)

in cui Vela tensione al morset ti fornita dal generatore.

Vale a dire:
W = EI + RI 2 = cx!::"TI + RI 2 (11 .1 7)
ove E C la Le.m. termoelettriea.

NOTA . Nell'assegna re il segno della potenza elettrica ceduta al


sistcma si segne qni la conven zione degli elettrotecnici, opposta m
qucsto easo a qnella dei termodinamici che danno segno negativo al
lavoro ceduto al sistema. Si deroga quindi nella presente trattazione ad
IlWL regola seguita in generale per non appesantire le espressioni con

I1U segno ehe pUD ingenerare confusioni e, aneor pili, per esse re chiari

ud discorso su massimi t minirni.

L'efficicnza dei refrigeratore termoelettrico e il rapp orto tra fiusso


di calore cstratto e potenza elettrica impiegata:

a(T - !::"T /2)1 - ~ RI 2 - J( !::"T


(11.18)
17 = a !::,. T I + RI2
Appmc ehe esso dip ende dai parametri dei materiali, dalle temperature
cstrcllle e c1alla corrente elet trica.
Si vogliono c1eterminare le eonclizioni di efficienza massima.
All'nopo si riscrive la (1l.18) dopo aver moltiplieato i termini dei
s('conc!o membro per R e posto x = RI:

a(T - !::"T /2)x - lx 2 - J( R!::"T


17 = 2
a!::"Tx + x 2
(11.19)

Conclizione neeessaria perche .1) sia massima e:


d77
- =0 (11.20)
dx
Essa e anehe snfficiente perehe 17 = - 1/2 per x = ±oo ed ha due
att.raversamenti delln zero . La (3.20) si avvera per:

dN N dD _ 0
------
dx D dx
164 Cap. XI Termoelettricita

m eui N e D sono risp ettivam ente il numeratore e il denominatore di


1]. Con le dovute sosti t uzioni e semplifieazioni si ottiene:

(1l.21 )

m eUl Xm e il valore di x per TJ massimo. Si ottiene m definitiva :

Xm
_ KR6.T [
- aT 1+
VI + aKRT ]
2
(1l.22)

uni co valore ehe da 1: m > 0, eioe RI > O.


Si ponga or a :
( 11.23)

gr andezza eh e eongloba i parametri deI eireuito e SI misura in K -l . Si


ottiene:
1: 111 = a:: ( \11 + ZT + 1) (11 .24)

Questo valore, introdot to nella (1l.19), p ermette di ealcolare


j'efficienza masSJma. Sviluppando i conti e rieordando I'identita:

s' ottien e m definitiva:

T )1 + ZT - 1 1
(1l.25)
TJm = 6.T )1 + ZT + 1 2

11.4 Fattore di merito

Il par ametro Z e fisieamente POSltlVO: passando da 0 a +00 fa


variare I'effieienza massima da - 1/ 2 a (T/6.T-1/2 ). 11 eamp o", di valOl'i
n egativ i clell'effieienza .sta a indieare ehe per

Z
<T
!.. [(2T+6.T)2 _ ]
2T _ 6.T 1 (11.26)
11.4 Fattore di merito

iJ sistema, invece di estrarre calore dal giunto freddo , gliene cede. Vale
a dire ehe. p er valori troppo piccoli di Z, la termocoppia non puo
compiere funzioni refrigeranti. Il limi te sup eriore dei rendimento:

T 1 T - ßT/2
ßT 2 ßT

" refficienza cl 'un cido di Carnot fun zionante tra gli stessi estremi di
t,('llljJcratura.
Dall 'eq. (ll. 23) appare ehe il parametr o Z e fun zione, attraverso
fl (, A-, di parametri geornetrici dei sistema. Si cerchino i parametri
ottiIllali per l'cfficicllza. Qu esta, a parita di ternperature estreme, e
I lI i lSSllIlO per Z maSSllTlO , e p crcio per il minimo valore dei prodotto
flI\ .

(11.27)

Jll C111 SO Il O :

a 1(' cOlldllt.ti vitA clct. t riche


,\ 1(' cowlll t.tivit.a tc rmiche
A. Ic SCZiOlli dei conduttori
lc 101'0 11llighezze nei due tronchi deI circuito .

Svilllp pilndo i conti SI p crvlen e a :

(11.28)

In C]ll('st.'cCjuazione app aiono i rapporti tra la sezione e la lunghezza dei


cOJl(lllttori 'rA = _4 A / I A e 1'8 = A.B ZB. Si conglobino questi parametri in
1ll1O solo : = r/\ / r B (' se ne trovi il valore p er CUl

(ll.29)

e 1111ll11l10 . L'est.remo SI ha p er:

(ll.30)
166 Gap. XI TerrnoelettTicita

da cU!:
\ ),1;:;;
AA(JA .~

Z = ( AB(JB
= Zm (11.31 )

Questo valore eorrisponde a un minimo , perehe RJ( va a +00 per z = 0


e Z = +00. Sostituendo nella (11.29) Z eon Zm, s'ot tiene il minimo
valore di RJ( ehe e:
2
A 1/ 2 A 1/ 2
(RJ()min = [( (J:) + ((J: ) ]
(11.32)

Appare quindi ehe il valore ottimale di Z e:


(}2
Z' = ---------~ (1 1.33)
[ (~r/2 + (~ r/2r
Questo parametro, seeondo Joffe, si ehiama ci/Ta di rnerito della
t.ermoeoppia: essa e unieamente funzione dei paramet.ri dei materiali ,
vale a türe dei potere termoelettrieo della eoppia e dei rapporti
tra eonduttivita termiea ed elettriea - 0 numeri di Lorenz dei
eomponenti.
Appare dalla (11 .33) ehe elevati valori di Z' esigono bassi numen
di Lorenz. CiD non accade neUe termoeoppie metalliehe impiegate in
tennometria. Soddisfaeenti eifre di merito si sono solo ottenute eon
semicondu ttori drogati. Alcune eifre di m erito sono riportate in tabella.
T ab ella 11.1

TERMOCOPPIA Z/10-3 1( -1

Cromel-eostantana 0,1
Sb-Bi 0,18
ZnSb-Costantana 0,5
PbTe(p)- PbTe(n) 1,3
Bi 2 Te3 (P)-B i2 Te3(n) 2,0
..
I pot. eri termoelettriei e le proprieta di trasporto (cosl vengono
ehiamate le eond uttivita termica ed elettriea) sono funzione della
temperat.nra. Consegue ehe anehe la cifra di merito dip ende daUa
temperatura (fig. 11.6).
11.4 Fattore di merito

Nasee allora la questione della temperatura a eui si deve riferire


la eifra di merito da inserire nell 'espressione dell'effieienza (eq. 1l.25).
Per rispondere si determini in primo luogo ehe valore di 0' si deve
intro durre in eq. (1l.33). Allo seopo si serive in modo esatto il termine
deI ealore reversibile ehe fiuisee attraverso il giunto freddo F (fig. 11.5)
includendo rneta deI ealore Thomson (l 'alt ra meta fiuisee dal giunto
ealdo ):
(1l.34a)

25

20

15

10

05

O~-------r------~------r------.------.--'_
100 50 0 50 100 150 T!c
Figura 11.6

ehe, per la 2 relazione di Thomson (eq. ll.11 ), SI senve:

.
Qrev = O'FTd + -1 I ]2T dO' (11.34b)
2 I

Si approssimi il valore dell'integrale faeendo T = TF (il ehe eomporta


un lieve errore data l'esiguita deI seeondo termine), p er eui si h a:

.
Qrev = O'FTFI + -Tri ]2 dO' = O'F + O'c TI (11.35)
2 I 2

Appare quindi ehe l'omissione deI ealore Thomson nell'espressione


deI fiusso di ealore (eq. 11.15 da cui deri va la 11.25) equivale a
168 Gap . XI TeTrnoelettricita

,
intro durre nell'espressione deI ealore Peltier il potere ter moelettrieo
medio fr a i valori estremi deI eiclo.
Sieeome l'effetto Joule e il trasporto di ealore sono distribuiti lungo
i due rami della termoeoppia, per i para;metri di trasporto ehe li regolano
si possono assumere eon buona approssimazione i loro valori medi. Si
eonclude pereio ehe il fattore di merito da introdurre nell'espressione
dei rendimento dei refrigeratore e il valor medio di quelli eorrispondenti
~.

alle temperatur e estrem e .

11.5 Corrente ottima e temperatura mInIma raggiungl-


. .
bile

Il valore ottimo della eorrente elettriea d'un refrigeratore Pelber


s'ottiene dall'eq . ( 11 .24) in eui e:

J:m = Rlott
eioe:

I ot t = ~~~ ( VI + ZT + 1) =
I(!~T ( VI + ZT + 1) (11.36)
aT ,
Essa quindi e proporzionale alla eon-
duttanza termiea della termoeoppia ed e
funzione dei salt o termieo mantenuto dal ,
V
refrigera tore. /
100
Il massimo salto termieo ottenibile V
dalla termoeoppia refrigeratriee si ha 80 /
quando la sua effieienza seende a zer o.
/
V
Dall'eq. (11.25) s'ottiene: 60

6.T = 2T VI + ZT - 1 (11.37)
1/
max VI + ZT + 1
20
/
espressione da eui si rieava la mllllma
temperatura ottenibile dal refrigeratore
0
/
o J 1\ 2/10 J K"'

a partire da una eerta temperatura


supenore: Figura 11.7

(11.38)
VI + ZT
11 .6 Elernenti TefTigemtoTi teTrilOelettTici 16 9 @
-,
Se , per es ., e T;. = 300 K e Z = 1,5 1O- 3 K- 1 , si ha T min = 252,3
K (la soluzione della (11.38) s 'ottiene con poche iterazioni dopo aver
introdotto una prima temperatura media di tentativo) .
La temperatura minima, e quindi il massimo salto di temperatura,
dip ende quindi dalla cifra di merito. In fig. 1l.7 viene rappresentato
il salto massimo di temperat ura in funzione di Z per temperatura
sup eriore T di 290 K.

11.6 Elementi refrigeratori termoelettrici

Il piu semplice refrigeratore termoelettrico e costituito da una


tennocoppia avente il giunto freddo a contatto col termostato a
bassa temperatura e il giunto caldo munito di dissipatore di calore
a temp eratura ambiente.
'Y)

1-5 1--+---lr-t1H.--t----f----I---.-1

1 I--~~~~~---t---~--~

0·51---~-~~~._~+_--_r--~

O~--~-~~--~~~-~~~~
o 20 40 60 80 oe L1 T
Figura 11.8

L 'efficienza cli tale refrigeratore e governato dalla cifra di merito


che pone limiti illvalicabili. In fig. 11.8 e rappresentata l'efficienza, per
una data temperatura superiore , in fun zione deI salto termico operato ,
per diversi valori cli Z .
170 Gap. XI Termoelettricitri

Anche la potenza termica asportabile da una sola termocoppia e


modesta in quanta limitata dal termine a(T - tJ.T /2)1 e dal valore della
corrente ottima forni ta dalla (11 .36) .
Tuttavia la potenza termica asportabile da t.ermocoppie si puo
moltiplicare ponendo piu termocoppie in serie dispost e in modo ehe i
giunti omonimi siano accostati e posti contatto dei rispettivi tenllostati
(fig . 1l.9) . Apposite alette favoriscono gli scambi termici.
Qu esti refrigeratori
constano di n termocoppie.
P ercio potere termoelettri- Alette verso
co, resistenza elettrica I'ambiente
e conduttanza termica ven-
gonG moltiplicati per n, las-
ciando cosl invariata la Z. Il
Connessioni Iso lante
calore asportato dal giunto elettriche elettrico
freddo viene pur esso molti-
plicato p er n e cosl
pure la potenza elettrica re- Alette verso
i I termostato
stando l'efficienza pari a freddo
quella d 'unasola termocop-
pm. Figura 11.9

La corrente elet.trica resta immutata, venendo mol tiplicata per n


solo la tensione ai morsetti, il ehe facilita la costruzione deI generatore
d 'alimentazione.
Termostato freddo
Maggiori salti termici
di quelli ottenibili da un
solo elemento si possono
ottenere disponendone piu
III cascata (fig. 11.10)
in modo ehe 1 giunti +
freddi di quello operante
a temperat ura sup eriore
asportino il calore dai
Termostato caldo
giunti caldi dell 'elemento
a temperat ura inferiore . Figura 11.1 0
DISPOSITlVI TERMOELETTRICI AD EFFETTO PELTIER
PER REFRIGERAZIONE E CONTROLLO TERMICO

Prillcipi fisici

Una coppia termoelettrica elementare e costituita da due pri smi (pellet) in materi ale semiconduttore.
11 materiale semiconduttore, tipicamente una so luzione so lida di bi smuto-antimonio-tellurio-selenio,
presenta drogaggio di tipo p in uno dei due prismi , mentre nell ' altro presenta drogaggio di tipo n.
Nella coppi a termoelettrica elementare in esame, i due prismi sono coll egati tra loro ad un 'estre mita
mediante una piastrina metallica ("giunzione fredda"), usualmente in rame. AII ' estre mita opposta
sono in contatto con altre due piastrine metalliche (" giunzioni calde"), tra le quali e inserito un
genera tore di corre nte (fig. I).

al iment8zione elcurica
- +

giullzioni calde
(calare ceduto)

p n

1-;;==j giunzione fi-edda


'7.

• (calore assorbito)

Figura I. Coppia tennoelellrica elementare.

Se il generatore di corrente applica all a copp ia termoelettri ca una corren te elettrica continua, per
effetto Pe ltier ne risu lta un trasferimento di ca lore dalla giunzione fredda alle giunzioni calde.
Infatti , passando dal materiale drogato p a quello drogato n attraverso la giunzione fredda, gli
elettroni assorbono energia per superare il locale gradino di potenziale. Dato che I'energia assorbita
viene sottratta, sotto forma di calore sensibile, alla piastrina metallica che costitu isce la giunzione,
questa si raffredda. AI lato caldo succede il contrario, a causa dei segno opposto dei grad ino di
potenzial e.
Le prestazioni in refrigerazione di una copp ia tennoelellrica possono essere stim ale valulando i
diversi apporti energetici alla giunzione fredda. Quesli sono principalmente causati da:
a) effelto Peltier
b) effetto Joule (d issipazione elettrica)
c) effelto Fourier (conduzione tennica)
La potenza termi ca sottratta alla gi un zione fredda per effetto Peltier e proporzion ale alla correnle:
Qp = 2aT) ( I)
Dall a relazione si ricava che I'effelto Peltier dipende anche dalla temperatura lennod inamica
assoluta dell a giunzione, Tc, e dal coeffici ente di Seebeck relati vo della coppia lennoelettrica, a,
definilo come segue:

a = ~(ap", + a,,,,) (2)

I lermini a pm e a,m, so no I valori dei coefficie nte di Seebeck relativo tra semicondultore lipo p e
metallo (rame) , e tra metallo e semieonduttore tipo n.
La dissipazione per effetto Joule nella eoppia termoelettriea pub essere stimata sulla base della
resistenza elettriea totale deI eireuito eostituito dai prismi semieonduttori , ovvero delle resistivita
elettriehe dei due materiali semieonduttori, rp and r". Queste sono tipieamente simili , per eui si
assumono uguali per semplieita, eon valore pari al 101'0 valore medio, r:

r=~(r
2 p
+r
n
) (3)

Nell'ipotesi, verifieabil e analitieamente, ehe meta deI ealore dissipato nel eireuito per effctto Joule
afflui sea alle giunzioni ealde, e I'altra meta affluisea alla giunzione fredda, questa rieeve una
potenza termiea valutabile mediante la relazione:

Q
j
= ~RI2
2
=~(12S)I
2 A
2 '=~(2~)I
2 G
2 (4)

Nella relazione si e introdotto un "fattore di forma" G, definito eome il rapporto tra I'area della
sezione trasversale dei prismi, A, e l'altezza degli stessi, s:

G=A (5)
s
Si e assunto ehe iI fattore di forma sia 10 stesso per entrambi i prismi della eoppia, eome usualmente
aecade nei dispositivi termoelettriei eommereiali. Si e inoltre traseurata la resistenza elettriea delle
piastrine di rame ehe eostituiseono le giunzioni metalliehe, relativamente pieeola rispetto a quella
dei pri smi in semiconduttore.
La potenza termiea trasferita attraverso la eoppia per effetto Fourier, ovvero per eonduzione termiea
dalle giunzioni ealde alle giunzioni fredde, e ealcolabile mediante la relazione seguente:

Q F = (kr + k " ( (T" - Tc) '= 2kG(T" - Tc) (6)


S

T h e la temperatura termodinamiea assoluta delle gi unzioni ealde. Nella relazione si e introdotta una
eonduttivita termiea media della eoppia termoelettriea, k, in analogia eon quanto fatto per la
resisti vita elettriea. In prima approssimazione, gli effetti della eonduzione attraverso l' aria tra le
giunzioni e dell'irraggiamento termieo sono traseurati in quanta poeo rilevanti.
Nella valutazione delle prestazioni dei moduli termoelettriei , e eonsuetudine assumere ehe a, r e k
siano eostanti nel semieonduttore. Cib non e
in realta ve1'O, in quanta le proprieta dei materiali
presentano una mareata dipendenza dalla temperatura. Conseguentemente, della resi stivita elettriea
e della eonduttivita termiea andrebbe impiegato il valor medio integrale, ehe tuttavia, per moderate
differenze di temperatura tra giunzione ealda e giunzione fredda, e ragionevolmente approssimato
dal valore ealcolato alla temperatura media. Inveee, per il coefficiente di Seebeek andrebbe in Iinea
di prineipio utilizzato il valore alla temperatura della giunzione fredda, ma si pub verifieare ehe
l'impiego dei valore ealcolato alla temperatura media eonsente di eompensare un fenomeno
seeondario, I' effetto Thomson, ehe si manifesta in presenza di gradienti di temperatura nel
semieonduttore (per maggiori dettagli si rimanda alla letteratura speeialistiea indieata in
bibliografia).
[n sintesi, nelle relazioni di prestazione le proprieta deI semieonduttore sono sempre riferite alla
temperatura media deI materiale:

(7)
La potenza termiea ehe in eondizioni stazionarie e sottratta alla giunzione fredda di una eoppia
termoelettriea (in viltu deI flus so di elettroni ehe la attraversa), e ehe pub essere quindi estratta da
un eorpo 0 ambiente in eollegamento termieo eon la giunzione stessa, e in definitiva data dalla

2
somma algebriea dei diversi eontri buti, dovuti agli effetti Peltier, Jou le e Fourier:

Q, = Qp -Q, - Q F = 2[ aT, I -2IrG 1-, - kG(Th - TJ] (8)

Dalla re lazione si pub desumere ehe le prestazioni di un dispositivo termoelettri eo dipendono


es senzialmente dall e proprieta dei materiali semieondullori. In partieolare, sono des iderabili
materi ali in eui il eoeffieiente di Seebeek presenle va lore massimo e, al eontempo, la resisli vita
elettriea e la eondutti vita tenniea siano minime. Sfortunatamente, queste ullime dlle propri ela sono
intrinseeamenle legale tra loro e presentano proporzionalita inversa l' una all 'allra: ad esemp io, i
melalli presenlano ridotti ss ima resisti viül e le ltriea, ma anehe e levatissima eondueibi lila termi ea. La
seella deI maleri ale deve quindi reali zzare lIn eompromesso.
In generale, si pub dimostrare ehe i prineipali parametri prestazionali di un modul o lermoelettrieo
per refrigerazione (eoeffiei e nte di preslazione, differenza di temperatura mass ima reali zzabile tra
lalo ealdo e lalo freddo , potere refri geranle, eee .) dipendono prineipalmente dalla eosiddetta " fi gura
di merito" Z dell a eoppia di materiali impiegati , definita eome segue:
a'
Z= - (9)
rk
Poiehe i materiali semieonduttori sono quell i ehe realizzano il valore massi mo di Z (vedi fi g. 2), il
loro impi ego nella termoelettrieita per refri gerazione e oggi generalizzato.

concentrazione dei portatori di carica


isolanti semiconduttori metalli
------
Figura 2. Figura di merilO Z.

Il modulo termoelettrico

Nei di spositivi termoelettriei commereiali , i cosiddetti "mod uli termoelettriei ", svariate eoppie
eome quella preeedentemente deseritta sono eonnesse elettricamente in serie mediante piastrine in
rame saldate all a estremita dei prismi in semi eonduttore (fig. 3).
alimentazione eleurica
- ,I +
"

giunzioni calde
C- e- (calore cedUlO)

p n p n I' 11

giunzioni freddc

•••••
(calore assorbito)

Figura 3. Serie di coppie termoelettriche.

3
Come materi ale di saldatura tra prisml in semiconduttore e giunzioni in rame e generalinente
utili zzata una lega metallica bassofond ente (ad esempio, lega stagno-bismuto). Le coppie sono
inoltre integrate tra du e sottili piastre, tipi camente in materiale cerami co, che hanno il dupli ce scopo
di garantire I' isolamento elettrico delle giunzioni metalliehe e di formare le superfi ci di scambio
tennico dei modulo. Vna rappresentazione di tale architettura e schematizzata in fi g. 4.

D
Calore assorbito (gimtzioni fredde)

N.,,"';,,"(_)

SerrlicOIlduttore di tipo p
Semiconduttore di tipo n

Piastrine m farne
Calore scaricato (giunzioni calde)
(giunzioni metalliche)

D
Figura 4. Modulo termoelettrico commerciale.

Il potere frigorifero di una pompa di calore tennoelettrica costituita da N coppie, che termicamente
lavorano in parallelo, e dato dall a relazione segue nte:

Q, = N(Qp - QJ - Q F) = 2N [ aT, 1 - '2IrGI , - kG(T h - TJ] (10)

L'applicazione di una corrente elettrica continua al modulo fa SI ehe il calore sia sottratto al eorpo 0
ambiente refrigerato in collegamento con la piastra ceramica saldata alle giunzioni fredde, e che sia
quindi trasferito al corpo 0 ambiente in collegamento con la piastra opposta, saldata alle giunzioni
calde. Ovviamente, dal lato caldo si deve rimuovere mediante un opportuno dissipatore di ca lore
una potenza termiea corrispondente alla somma deli' effetto frigorifero sul lato freddo edella
potenza elettrica assorbita. Vna valutazione di tale potenza termica pub essere effettuata eon
procedimento analogo a quello con cui e stata ottenuta la relazione (10), ottenendo:

-Qh = N(Q p + QJ -Q F) = 2N[ aTh' + ~ ~ I' - kG(Th - Tel] (11)

11 verso dei flu sso termico attraverso un modulo termoelettrico dipende dal verso della corrente, e si
pub in vertire agevolmente. Infatti, e facile verificare che inveltendo il segno di 1 nella relazione (10)
si ottiene una relazione equivalente alla (11), e viceversa. 1 di spositivi termoelettrici possono essere
quindi usati sia per raffreddare che per riscaldare, ovvero per stabilizzare la temperatura di sensori e
di spositivi elettronici.
La potenza termica estratta dal corpo 0 dall'ambiente raffreddato e quella ceduta al corpo 0
all'ambiente ri scaldato devono attraversare le piastre per isolamento elettrico, la cui resisten za alla
conduzione termica andrebbe quindi tenuta in considerazione nelle relazioni. Tuttavia, tale
resistenza e trascurabile in virtu dei ridotto spessore delle piastre «0.8 mm) e deli 'elevata
conduttivita termica dei material e ceramico con cui sono reali zzate, generalmente allumina (A I2 0 3 ,

4
k>30 W/m·K).
L ' e ffetto Peltier e lineannente proporz ionale alla corrente, mentre I'effetto Jou le presenta
proporzionali ta quad ratica. Se ne desume che esiste un valore limite per la corrente c1a erogare al
modu lo, oltre il quale I' increme nto delle d issipazio ni per etretto Joule e superio re a ll ' incremento
dei potere frigo ri fero per effetto Peltier. Ino ltre, I' effetlo Fo urier aumen ta linearmente con la
differenza d i temperatura tra g iunzioni fredde e giunzioni calde. Esiste quindi anche un valore
limite della d ifferen za di tem peratura realizzabile, in corri spo nde nza dei quale i rifl uss i di calo re per
effetto Fo uri er, co mbi nati con q uelli per effetto Joule, bil anciano esattamente l'e Ffetto Peltier ed
ann ull ano il potere frigorifero. Le relazio ni convenzio nalme nte usate per sti mm'e la corrente
massi ma e la d ifferenza di temperatu ra massima d i un modulo termoelettrico so no le seguenti

( 12)

( 13)

, ,
I, ,
\ \ '\ \ \
0.9 : cqP mal< \ \ \ QJQc.....
0.8 : \ AT/AT""",=0
l . \' \
: /'\-- COP \ \ t 1.5
0.7
I (/ \"'"" \ '\. \
i!I \.
I 1.0
Q..

8
I I

-+--/--
I ,

0.3 : : I
I
I
I
,
'
I
0.2 I
! '
---~~
---._=~-,
0.9 __ _ - .
O.1 O. 2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1.0 AT/ATmax=l
In max
Figura 5. Diagramma universale per l110duli termoelettrici a singolo stadio.

La tensio ne da fornire ad un modulo tennoelettrico e data dalla caduta dov uta all e d iss ipazioni
elettriche e dal bil anc io algebrico dei grad ini di potenzia le alle g iunzioni calde e fredde:

6V = 2N[ aTh(Th -TJ+ ~ I] ( 14)

La potenza elettrica assorbita da un modulo tennoelettrico e q uindi pari a:

P = 6V. I =2N[aTh(Th -TJ I+ ~ I' ] ( 15)

11 coeFfic iente d i prestazione e infine dato dal rapporto tra effetto fri gori Fero util e e potenza e lettri ca
asso rbita. In refrigerazio ne :

5
COP= Q, ( 16)
P
Le relazioni convenzionalmente impiegate per stimare il valore della corrente a cui SI reali zza in
refrigerazione il COP massimo ed il valOJ'e di quest' ultimo sono le seguenti :
kG(Th - T, )(1 + ~l + ZT", )
I OPI = _--'--"--_-"-'-'----'C _ _-"'-"- (17)
aTm

COP = Tm (~l+ZT", - lJ-~ ( 18)


Opl (Th -TJl~l +ZT'" + 1 2
In ri scaldamento (modalita pompa di calore) si ha infine:

COP = IQhI = Q, + 1 (19)


PdC P P

Moduli termoelettrici c011lmerciali ed Ullitit jrigorijere termoelettriche

Il modulo tennoelettrico e un prodotto industri ale con caratteristiche ormai standardizzate. Un


tipico modulo a singolo stadio (40 mm x 40 mm, 127 coppie) pub estrarre dal vano refrigerato una
potenza termica superiore a 60 W, 0 pub consentire il raggiungimento di differenze di temperatura
tra lato caldo e lato freddo superiori a 70°C.
Per conseguire differenze di temperatura maggiori, fino a 130°C ed anche oltre, si impi egano
moduli termoelettrici multi stadio, disposti a cascata (fig. 6).

Figura 6. Moduli termoelettrici multistadio.

Per ottenere potenze frigorifere elevate si devono invece impiegare piu moduli, termicamente 111
parallelo ed elettricamente in parallelo 0 in serie (la connessione elettrica in serie e generahnente
evitata poiche il cedimento di un solo modulo inibirebbe il funzionamento dell ' intero sistema).
Questa architettura e necessaria perche non e sem pli ce realizzare moduli con dimension i superiOJ'i a
circa 60 x 60 mm, a causa delle tensioni indotte dalle dilatazioni termiche differenziate tra lato
caldo e lato freddo edella scarsa resistenza a flessione dei materiali impiegati. Cib limita anche il
numero di coppie integrabili «256).
Poiche I' efficienza di un modulo termoelettrico cala drasticamente con I' aumentare della differenza
tra la temperatura dei suo lato freddo e la temperatura dei lato caldo, tali temperature devono essere
mantenute il piu vicine poss ibile a quelle deli ' ambiente refrigerato e dell ' ambiente 111 CUl vlene
rilasciato il calore, rispettivamente.

6
Ogni modulo termoelettrico ha poi un intervallo utile per la temperatura operativa, fuori dei quale
pub avere prestazioni insoddisfacenti 0 cessare di funzionare: infatti, I'effetto Peltier cala
drasticamente d' intensita al calare della temperatura dei materiale semiconduttore, mentre
temperature troppo elevate possono portare all ' accelerazione dei processi di diffusione ionica 0 ,
addirittura, alla fusione delle saldature tra semico nduttori e giunzioni metall iche, realizzate in leghe
ehe fondono a bassa temperatura (tra 130°C e 170 °C).
Per tutte le ragioni sopra esposte, e necessario corredare un modulo termoelettrico di adeguati
dispositivi per la dissipazione dei calore, atti ad evacuare in modo efficiente I'energia tennica
generata 0 assorbita alle giunzioni . Si impiegano a tal scopo scambiatori di calore a superficie
alettata 0 anche semp lici piastre metalliehe e, piu raramente, scambiatori a liquida 0 a tubi di calore.
L' insieme di modulo termoelettrico, scambiatori di calore e organ i accessori a questi direttamente
collegati costitui sce I'unita frigorifera termoelettrica, le cui piu comuni configurazioni sono
schemati zzate in fig. 7.

iJ~1
ana-ana
loo~
aria-liquido
1000
aria-solido

OOO~
solido-liquido
~II
Iiquido-aria
~OO~
liquido- li quido

Figura 7. Configurazioni tipiehe di un 'unitit jrigorifera termoelettrica.

La dissipazione di calore mediante superfici alettate, lambite da un flusso d' aria, e la tecnica piu
semplice ed economica da implementare. Tuttavia, le ventole eventualmente impiegate per
movimentare I'aria possono nel tempo diventare ru morose 0 cessare di fUilZionare per sporcamento
o usura dei cuscinetti. A cib va poi aggiunto ehe, quando un'unita termoelettrica con superfi ci
alettate su entrambi i lati dei modulo termoelettrico e inattiva, si instaura attraverso il modulo un
ponte termico, il quale comporta significativi rifluss i di calore dallato caldo allato freddo.
La dissipazione di calore a liquida, oltre ad essere in generale piiI efficace, permette di introdurre un
diodo termico nel sistema e, quindi, di inibire i riflussi di calore suddetti. Tuttavia, la circolazione
dei liquida richiede l'impiego di dispositivi ausiliari di pompaggio, i quali, forse anche piiI dei
dispositivi di ventilazione forzata, possono diventare causa di rumorosita e malfunzionamenti.
In generale, la scelta dei tipo di dissipatore deve reali zzare un compromesso tra opposte esigenze.

Applicazioni civili ed industriali della rejrigeraziolle termoelettrica

Un'unita frigorifera termoelettrica in una delle sue possibili configurazioni viene alla fine corredata
di una serie di organ i e componenti accessori (sensori, gruppi di alimentazione elettrica e controll o
termico, rivestimenti per isolamento termico, ecc.) ed integrata nel prodotto in cui deve esplicare le
sue funzioni di trasferimento dei calore.
La gamma delle applicazioni civili , scientifiche e indu striali della tecnologia termoelettrica per
refrigerazione e cosl ampia da spaziare, ad esempio, dal frigorifero/scaldavivande portatile al
raffreddamento di sensori a temperature criogeniche e/o stabilizzate con elevato grado di
accuratezza. In considerazione della considerevole quantita di prodotti termoelettrici in commercio,
7
CICLI E IMPIANTI PER LA LIQUEFAZIONE DELL’ARIA

La liquefazione dell’aria è un processo industriale di notevole importanza, in quanto ha lo scopo


di ottenere aria liquida per i seguenti utilizzi:
- Raffreddare dispositivi a temperature criogeniche (circa ed al di sotto dei -150°C)
- Ottenere mediante distillazione frazionata i gas puri di cui è costituita l’aria, cioè azoto
liquido, ossigeno, e argon. Questo è il processo da cui si ottiene ad esempio l’ossigeno
per usi industriale ed ospedalieri,
Inoltre il ciclo di Linde e la macchina di Linde sono i primi esempi di impianti utilizzati per la
refrigerazione industriale, già a metà dell’800 per produrre ad esempio la birra nei birrifici.
La macchina di Linde (Fig. 1) si basa sul ciclo di Linde (Fig. 2). Un compressore pluristadio
interrefrigerato porta l’aria dalla temperatura e pressione ambienti (ad es. 300 K e 1 bar, punto 1)
fino a pressioni molto elevate, almeno 200 bar (punto 3). Per questo motivo la compressione
deve avvenire in più stadi, con uguale rapporto di compressione ρ:
 = P2 / P1 = P2' / P1' = P2" / P1" = ...

Per cui se P1 = 1 bar e P2n = 400 bar , essendo  = 4, 47 con n=4 (4 stadi), si ha
P2n =  n  P1 = 4, 474 1 bar 400 bar

Deve essere previsto un ripristino dell’aria ottenuta dalla separazione dell’aria liquida (punto 6).
Tale ripristino avviene all’ingresso del compressore (punto 1).

201
Si può calcolare la quantità di aria prodotta a regime dal bilancio dell’entalpia. Indicando con ml
la portata di liquido prodotta (punto 6), con m la portata totale (che circola nel compressore) e di
conseguenza con m − ml la portata di vapore che rientra nel ciclo, cioè all’ingresso del
compressore (punto 1) si ha:
m5 = m3 = m2 = m1 = m m7 = m − ml m6 = ml (1.1)

Si possono fare due bilanci del flusso entalpico, uno sul punto 4 prima della valvola

h4m = h5m = h6ml + h7 ( m − ml ) (1.2)

ed uno sullo scambiatore di calore:

( h3 − h4 ) m = ( h1 − h7 )( m − ml ) (1.3)

cioè

h4 m = h3m − h1 ( m − ml ) + h7 ( m − ml ) (1.4)

Combinando la(1.2) e la (1.4) si ottiene

h6 m + h7 ( m − ml ) = h3m − h1 ( m − ml ) + h7 ( m − ml ) (1.5)

Da cui, definendo y il titolo di liquido la percentuale di liquido nella miscela dopo l’espansione
isoentalpica:
ml h7 − h5
y= = (1.6)
m h7 − h6

202
h3 − h1
h6 y − h1 y = h3 − h1  y= (1.7)
h6 − h1

A regime variabile, dopo l’accensione della macchina, passa un determinato tempo prima che la
macchina cominci a produrre aria liquida. Durante tale transitorio il comportamento è descritto
dalle curve tratteggiate della Fig. 3

La portata di liquido prodotta per unità di potenza consumata tuttavia è molto bassa, a causa
principalmente della piccola differenza di entalpia al numeratore della (1.7), h3 − h1 . Per tale
motivo il ciclo è stato modificando introducendo una turbina che preraffredda parte della portata
dell’aria compressa mediante una espansione teoricamente adiabatica irreversibile (con aumento
di entropia).
Si ottengono in tale modo i due cicli di Heyland e di Kapitza:
Ciclo di Heyland (Fig.4 e Fig. 5)
Sono presenti due scambiatori di calore, il primo utilizzato per preraffreddare l’aria compressa
con la somma del vapore separato dal liquido e l’aria raffreddata nella turbina, e il secondo tra il
vapore separato dal liquido e quello in ingresso alla valvola.

203
La differenza di pressione tra aspirazione e mandata del compressore è particolarmente elevata,
tra 1 e 180÷200 bar. Le portate sono piccole. La percentuale di aria spillata per l’invio in turbina
è elevata (60%). Come vantaggio si ha che non presenta problemi di lubrificazione nella turbina
a causa del fatto che lavora ad alta temperatura (temperatura ambiente a cui l’aria ha un
comportamento di gas ideale). Tuttavia necessita di compressori di grosse dimensioni per
comprimere la portata totale di aria (somma di quella spillata e quella espansa).
Ciclo di Kapitza (Fig.6 e Fig. 7)
La differenza di pressione è bassa (solo 5÷7 bar). Per questo motivo è possibile utilizzare nel
primo scambio termico (tra 2-3 e 9-1) un rigeneratore anziché uno scambiatore classico, in
quanto nei rigeneratori non può esserci una elevata differenza di pressione tra i due fluidi, e
questo comporta anche una parziale contaminazione di un fluido con l’altro. Il compressore
risulta pertanto di ridotte dimensioni.

204
Per contro il raffreddamento nella turbina avviene con aria già preraffreddata, quindi a
temperatura inferiore, con possibile formazione di liquido all’uscita. La percentuale di aria
spillata per l’invio in turbina è ancora più rilevante che nel ciclo di Heyland, e raggiunge anche il
90÷95%.
Ciclo di Clode (Fig.8 e Fig. 9)
Rappresenta un compromesso tra il ciclo di Heyland e quello di Kapitza, e comprende tre
scambiatori di calore che operano in intervalli di temperatura differenti. La pressione finale
dell’aria compressa è pari a circa 40 bar, lo spillamento ottimale risulta del 20%.

205
In realtà è stato studiato e utilizzato prima dei due cicli di Heyland e di Kapitza, che attualmente
lo hanno sostituito completamente.
Cicli di liquefazione di gas in cascata (Fig. 10)
Per liquefare gas come idrogeno (H2) o elio (He) non si possono utilizzare le macchine descritte
in precedenza, in quanto tali gas hanno temperature di inversione (quando l’espasione
isoentalpica produce un raffreddamento) molto basse (202 K per l’ H2 e 40 K per l’He). Si deve
pertanto preraffreddare il gas perchè il ciclo lavori al di sotto di tali temperature.

206
Preraffreddare tutto il sistema non è pratico, perchè i compressori lavorano male a bassa
temperatura. Si preferisce perciò preraffreddare solo il gas in ingresso alla valvola di espansione
facendolo gorgogliare in un bagno di un gas liquido a più alta temperatura di inversione, cioè
azoto liquido per l’idrogeno, e idrogeno liquido per l’elio. L’impianto è quello mostrato nella
Fig. 10. I liquefattori di elio sono pertanto dei sistemi di liquefazione in cascata: il primo di N2, il
secondo di H2 ed il terzo di He.
Miniraffreddatori di Joule Thomson (Fig. 11)
Sono piccoli dispositivi in cui l’aria compressa viene fatta espandere e viene quindi raffreddata
per raffreddare a sua volta dispositivi elettrici od elettronici di piccole dimensioni. La tipica
applicazione è il raffreddamento dei sensori di radiazione infrarossa, per pirometri o
termocamere (telecamere IR). Le dimensioni sono molto ridotte, compatibili con i dispositivi da
raffreddare, e sono alimenati da bombole ad altissima pressione (400 bar). È importante garantire
un’elevata purezza del gas, per evitare che impurezze presenti in esso, congelando, blocchino
l’ugello di uscita, che costituisce la valvola di espansione. Pertanto prima dell’ugello di uscita si
mette un filtro di purificazione, un ugello poroso ed un assorbitore. Le dimensioni tipiche sono
diametro 7,2 mm, altezza 25 mm e 5,3 g di peso.

207
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