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Appunti di

Ingegneria

Primo anno
• Analisi matematica
• Fisica
• Calcolo delle probabilità
• Geometria
• Ricerca operativa

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Le seguenti pagine sono solo una dimostrazione e non sono nell’ordine in cui si trovano nelle dispense
Numero pagine: 46

Sommario

1. Limiti notevoli principali. Raccolta dei limiti notevoli, con cenni risolutivi sui simboli di
Landau (o-piccolo, o-grande, ecc.) e sugli ordini di infinito.
2. Continuità di funzioni. Teoremi, definizioni e tecniche risolutive per la determinazione
della continuità o discontinuità delle funzioni.
3. Derivata: migliore approssimazione lineare di una funzione. Derivate, estremi relativi di
funzioni, punti di non derivabilità, definizioni, teoremi e tecniche di calcolo; derivate
principali.
4. Polinomi di Taylor. Teoremi, formule e utilizzo dei polinomi che ti cambiano la vita, se sei
alle prese con i limiti
5. Studio di Funzione. Schema riassuntivo che riassume, in 6 punti, la procedura per lo studio
di una funzione, tenendo conto degli argomenti fin qui trattati (limiti, derivate, continuità,
ecc.).
6. Serie numeriche. Definizioni teoriche, descrizione delle serie notevoli e di tutti i metodi
risolutivi per stabilire la somma di una serie e soprattutto la sua convergenza, con schema
riassuntivo finale, utilissimo da tenere quando si svolgono gli esercizi.
7. Gli integrali (secondo Riemann). Teoria e tecniche d'integrazione (per parti, per
sostituzione, integrazione di funzioni razionali fratte, ecc., con tavola finale degli integrali
importanti e tavoli degli integrali la cui risoluzione è meno immediata e richiede sostituzioni
difficilmente immaginabili :-)
8. Integrali impropri. Teoria e risoluzione degli integrali impropri; calcolo dell'integrale e
dell'integrabilità in senso improprio di una funzione, con schema riassuntivo per gli esercizi.
9. Numeri complessi. Importanti concetti per passare dai numeri reali al campo complesso;
radici, esponenziali, rappresentazioni (trigonometrica, ecc.), polinomi.
10. Equazioni differenziali. Meraviglioso capitolo, in cui spiego, con cenni di teoria, come
risolvere le equazioni differenziali, con tutti i metodi studiati, e fino al secondo ordine e
comprese le equazioni a variabili separabili e di Eulero.
11. Funzioni in più variabili reali. Curve di livello, ditanza euclidea, intorni sferici, punti di
accumulazione, limiti, derivate, matrice Hessiana, ricerca di estremi, ecc.
12. Integrali doppi. Teoria e tecniche risolutive.
Derivata

La retta y=mx+q che meglio approssima una funzione f(x) nell’intorno di un punto x0 deve passare
per (x0, f(x0)).
Il coefficiente angolare m di tale retta è uguale a
f ( x) − f ( x0 )
lim e si dice derivata (prima) di f in x0.
x → x0 x − x0
f ( x) − f ( x0 )
Il valore si dice rapporto incrementale e può essere scritto anche come
x − x0
df
( x0 ) , cioè come rapporto fra le variazioni istantanee (d) di f e di x.
dx
Inoltre, effettuando un cambio di variabili, il rapporto incrementale è uguale a
f ( x + h) − f ( x )
, per h→0.
h

Equazione della retta tangente in (x0,f(x0)):


y = f(x0) + f '( x0 ) (x-x0)

Una funzione si dice non derivabile se non esiste finito il limite del rapporto incrementale.

Punti di non derivabilità di una funzione continua


1. punto angoloso
se esistono il limite destro e quello sinistro del rapporto incrementale, almeno uno finito
2. cuspide
se esistono il limite destro e quello sinistro del rapporto incrementale, infiniti e opposti
3. punto a tangente verticale
se esiste il limite del rapporto incrementale, ma è infinito

Esempi

y = |x| ha un punto angoloso y = | x | ha una cuspide y = 3 x ha un punto a tangente verticale

Teorema (continuità e derivabilità)


Se f è derivabile in x0, allora f è continua in x0

Per studiare la derivabilità di una funzione con modulo, bisogna riscriverla come definita a tratti e
analizzarla con particolare attenzione nei punti di frontiera del suo dominio.
Quadro riassuntivo dei criteri per la determinazione del carattere di un integrale improprio

Funzioni positive
• Condizione necessaria: se il dominio di integrazione è illimitato, f(x) diverge se f(x) non
tende a 0 per x che tende all’infinito.
• Criterio del confronto e del confronto asintotico: perché una funzione converga deve essere
minore di un’altra convergente oppure avere lo stesso andamento; perché una funzione
diverga deve essere maggiore di un’altra divergente oppure avere lo stesso andamento.

Integrali campione:
1
¾ in un intorno di ∞ , converge per α > 1 , diverge per α ≤ 1
| x − x0 |α
1
¾ in un intorno di x = x0, converge per α < 1 , diverge per α ≥ 1
| x − x0 |α
1
¾ α in un intorno di ∞ , converge per α > 1 , diverge per α < 1 ; se α = 1 , converge
x log β x
per β > 1 , diverge per β ≤ 1 .
1
¾ α in un intorno di x = 0 , converge per α < 1 , diverge per α > 1 ; se α = 1 ,
x log β x
converge per β > 1 , diverge per β ≤ 1 .
1
¾ α in un intorno di x = 1, converge per β < 1 , diverge per β ≥ 1
x log β x

¾ ∫
1
e − x dx converge.

Funzioni a segno qualunque


• Criterio della convergenza assoluta
Se la convergenza assoluta non è applicabile, calcolo diretto dell’integrale (per parti):
M b
lim
M →∞ a∫ f ( x)dx = L ∈ \ oppure lim+ ∫
ε →0 a +ε
f ( x)dx = L ∈ \ .
Integrali doppi

Gli integrali doppi si calcolano su domini semplici D di funzioni in due incognite:

Domini semplici rispetto a x


Un dominio D è semplice rispetto a x se
D = {( x, y ) ∈ \ 2 : x ∈ [a, b], α ( x) ≤ y ≤ β ( x)} , con α ( x), β ( x) ∈ C ([a, b])
Questo dominio si presenta con la x ristretta a un intervallo e la y ristretta fra due funzioni continue
di x. Di D posso calcolare l’area prendendo inizialmente un segmento che congiunge α e β in un x
β ( x)
fissato qualunque: la sua lunghezza è, per definizione di integrale definito, ∫α (x)
dy , cioè la
differenza dei due valori delle funzioni nel punto x scelto; poi faccio variare la x nel suo intervallo
di definizione; l’integrale doppio, ovvero l’area di D, risulta essere quindi:

∫∫ D dxdy = ∫
a
b
(∫ β ( x)

α ( x) )
dy dx

Domini semplici rispetto a y


Un dominio D è semplice rispetto a x se
D = {( x, y ) ∈ \ 2 : y ∈ [c, d ], γ ( y ) ≤ x ≤ δ ( y )} , con γ ( y ), δ ( y ) ∈ C ([c, d ])
Questo dominio si presenta con la y ristretta a un intervallo e la x ristretta fra due funzioni continue
di y. Calcolo l’area di D come in modo simile al caso precedente, prendendo, cioè, inizialmente un
δ ( y)
segmento che congiunge γ e δ in un y fissato qualunque: la sua lunghezza è ∫γ ( y)
dx , cioè la
differenza dei due valori delle funzioni nel punto y scelto; poi faccio variare la y nel suo intervallo
di definizione; l’integrale doppio, ovvero l’area di D, risulta essere quindi:

∫∫ D dxdy = ∫
c
d
(∫ δ ( y)

γ ( y) )
dx dy
Numero pagine: 70

Sommario

PRIMA PARTE

1. Unità di misura
2. Moti unidimensionali e bidimensionali
3. Vettori
4. Equazione di Newton e forze normali
5. Forze di attrito
6. Sistemi di punti
7. Urti
8. Formule sui moti rotatori
9. Gravitazione
10. Moto armonico, moto della molla, moto del pendolo: formule

TERMODINAMICA

1. Gas ideale
2. Solidi
3. Entropia
4. Trasformazioni cicliche (ciclo di Carnot)

ELETTROMAGNETISMO

1. Carica elettrica
2. Campo elettrico
3. Campi elettrici: esempi ed esercizi
4. Flusso
5. Conduttori ed isolanti
6. Energia potenziale
7. Potenziale elettrico
8. Differenza di potenziale
9. Energia immagazzinata dai conduttori (condensatori, ecc.)
10. Correnti
11. Resistenze
12. Magnetismo *
13. Flusso magnetico
14. Potenza
15. Induttanze

FORMULARIO

1. Formule termodinamiche
2. Formule elettriche
3. Formule magnetiche

*N.B.: Nella parte sul magnetismo, non viene trattato il campo magnetico, comunemente detto H, ma l'induzione
magnetica, comunemente B.
Esempi di calcolo delle forze risultanti su un corpo (somma delle forze sull’asse x e sull’asse y).
Piano inclinato

Come si vede in questo esempio, sul corpo posto sul piano inclinato interviene la forza peso –mg,
che viene scomposta nelle sue componenti sugli assi (scelti appositamente): la componente x è
mg sin α , quella y è - mg cos α , dove α è l’angolo formato dal vettore forza peso con la sua
componente y, che è lo stesso dell’angolo in basso a destra del piano inclinato. La forza normale
esercitata dal piano inclinato è mg cos α , in quanto il corpo lungo y non si può muovere (y(t) = 0).
G ⎛ mg sin α ⎞
L’accelerazione è a = ⎜ ;0 ⎟ = ( g sin α , 0 ) . Se si assume come origine il punto di partenza
⎝ m ⎠
G
del corpo e se questo parte da fermo ( v = (0, 0) ), si può calcolare la traiettoria.

La fune
La fune si assume non deformabile e perciò applica una forza simile alla forza normale dei corpi
solidi, detta tensione; essa varia in base al corpo appeso e ad altre condizioni ed è trasferibile: ciò
vuol dire che la fune ha la stessa tensione in tutti i suoi punti.

Dato un corpo appeso e tenuto fermo da due funi, bisogna imporre che la somma delle tensioni
sull’asse x sia 0 e che la somma delle tensioni con la forza peso sull’asse y sia anch’essa nulla,
trovando dal sistema le due tensioni delle corde.

Dati due corpi appesi ai due capi di una fune che gira intorno a una carrucola, questi danno luogo
alla condizione che la loro accelerazione sia la stessa, in quanto la fune non può deformarsi e quindi
la distanza fra i corpi deve essere costante. Quindi si ha:
⎧m1 g − T = m1a m − m2 2m1m2
⎨ , da cui a = 1 g eT = .
⎩m2 g − T = −m2 a m1 + m2 m1 + m2

In assenza di attrito, se imprimo una forza infinitesima a un qualunque corpo, questo subisce
un’accelerazione infinitesima. Un corpo non ha accelerazione solo se non riceve forze.
Esempio

F
m1

m2

Si suppone, in questo esercizio, che il corpo m2 non abbia attrito con la terra. L’attrito è esercitato solo fra i
due corpi.
Poiché non si conosce l’entità di F (forza impressa dall’esterno), bisogna distinguere i casi in cui questa sia
minore o maggiore della forza massima d’attrito statico.
• Se F < f amax. s . = μ S N = μ S m1 g
In questo caso, per quanto detto in precedenza, il corpo m1 non si potrà muovere rispetto al corpo m2 ed avrà
velocità relativa ad esso nulla. Poiché, però, m2 non risente dell’attrito terrestre, i corpi si muoveranno
insieme, come se fossero un corpo solo avente massa pari alla somma delle loro masse e quindi con stessa
accelerazione.
Sul corpo m1 agisce la forza F e la forza d’attrito statico opposta ad F (pari in modulo); il corpo m2, per il
principio di azione e reazione (ogni corpo che esercita una forza su un altro corpo, ne riceve da esso una pari
in modulo ma di verso opposto), frenando m1 (forza d’attrito) riceverà da esso una forza pari alla forza
d’attrito ma opposta come verso (stesso verso di F). Per cui si ha:
⎧ F − f a.s. = m1a
⎨ ; si nota che l’accelerazione, come detto, è la stessa per entrambi i corpi.
⎩ f a.s. = m2 a
⎧ F
⎪a = m + m
⎪ 1 2
⎨ ; i corpi si muovono insieme, come se fossero uno solo.
⎪f = m 2 F
⎪⎩ a.s. m1 + m2

• Se F > f amax . s . = μ S N = μ S m1 g
In questo caso le accelerazioni dei due corpi sono diverse, in quanto il corpo m1 è solo frenato dall’altro
corpo per attrito dinamico e si muove, dunque, rispetto ad esso.

⎧ F − μd m1 g
⎪ a1 =
⎧ F − f a.d . = m1a1 ⎧ F − μd m1 g = m1a1 ⎪ m1
⎨ =⎨ =⎨
⎩ f a.d . = m2 a2 ⎩ μd m1 g = m2 a2 ⎪a = μd m1 g
⎪⎩ 2 m2
Esempio

m F

D
α

Dire per quale α il corpo inizia a muoversi e a che tempo arriva alla fine del piano: x(t) = D.

N = mg cos α ; F = mg sin α ; f a.s. = μ S mg cos α

Il corpo si muove quando F > f a.s. ⇒ mg sin α > μ S mg cos α ⇒ α > α C

Se α > α C :
mg sin α − μd mg cos α
ax = = g (sin α − μd cos α ), cioè la risultante delle forze diviso la massa.
m
1 1
Quindi: x(t ) = x(0) + vx (0)t + ax t 2 = g (sin α − μ d cos α )t 2 .
2 2
Si ha dunque:
h 1 h 2h
x(t ) = D = ⇒ g (sin α − μd cos α )t 2 = ⇒t =
sin α 2 sin α sin α [ g (sin α − μd cos α )]
Trasformazioni calore-lavoro: trasformazioni cicliche

Macchina termica di Carnot


Si tratta di una macchina che assorbe calore dall’ambiente per trasformarlo poi in lavoro; essa
lavora fra due temperature diverse:
• Prima assorbe dall’ambiente del calore, Q1
• Compie un lavoro L
• Espelle una parte del calore, Q2 (quindi non tutto il calore assorbito viene trasformato in
lavoro, il che sarebbe invece l’ideale)

Il ciclo di Carnot che è alla base del funzionamento di queste macchine prevede una trasformazione
isoterma, poi una isoentropica, poi un’altra isoterma e ancora un’isoentropica, ritornando al punto
iniziale. Durante la prima isoterma si assorbe Q1, durante la seconda si cede Q2, mentre nelle
isoentropiche non c’è scambio di calore.
Nella macchina termica di Carnot si ha quindi che Q1 = L + Q2 .
Si definisce il rendimento della macchina come rapporto fra lavoro realizzato e calore assorbito:
L Q − Q2 Q
η= ⇒η = 1 = 1− 1
Q1 Q1 Q2
Q1 Q2 Q T
Poichè il ciclo è chiuso, si ha ΔS = 0 = + ⇒ 2 = 2
T1 T2 Q1 T1
T2
η = 1−
T1
Il rendimento di una macchina ideale è 1 e si ha per T1>>T2.

Frigorifero di Carnot
Si tratta dell’esatto opposto della macchina termica: infatti si ottiene invertendo il ciclo di Carnot.
Qui il lavoro (oltre a un po’ di calore assorbito dall’ambiente) viene trasformato in calore, per cui:
Q2 + L = Q1 .
L’efficienza di un frigorifero di Carnot è definita come rapporto fra il calore ottenuto e il lavoro
Q T2
impiegato: ε = 2 = . Nel frigorifero ideale, ε → +∞ ⇒ T1 ≅ T2 .
L T1 − T2
Anche per il frigorifero si può scrivere il rendimento ipotizzando assorbito il calore ceduto
(invertendo il ciclo).

Esercizio: trovare il rendimento di due macchine di Carnot collegate: una assorbe Q1 a temperatura
T1, compie LA e cede Qx, che viene assorbito dalla seconda macchina, che compie LB e cede Q2
all’ambiente. Trovare il rendimento totale. Si ha:
Q1 = LA + Qx ; Qx = LB + Q2 ⇒ Q1 = LA + LB + Q2 ⇒ Ltot = Q1 − Q2
LA L ⎛ T ⎞ ⎛ T ⎞
ηA = ; η B = B ⇒ LA = Q1 ⎜1 − x ⎟ = Q1 − Qx ; LB = Qx ⎜1 − 2 ⎟ = Qx − Q2
Q1 Qx ⎝ T1 ⎠ ⎝ Tx ⎠
L +L T
ηtot = A B = 1 − 2
Q1 T1
Il risultato è lo stesso di una macchina unica che lavora fra la temperatura 1 e la 2. Ciò perché
l’unico calore realmente assorbito è Q1 e l’unico realmente ceduto all’ambiente è Q2: infatti Qx non
conta, perché viene sì ceduto dalla prima macchina, ma subito riassorbito dalla seconda. Se si
guarda poi il diagramma P-V delle macchine, si vede che quest’ultimo processo riguardante la
Ora abbiamo una sfera di raggio R, con una cavità sferica di raggio R’’. La distanza fra i centri delle
sfere è a. Vogliamo sapere quale campo viene sentito da un punto che si trova all’interno della
cavità, a distanza b dal centro della stessa ed r dal centro della sfera.
In questo caso bisogna fare il ragionamento seguente: la sfera cava è la sfera piena “meno” la sfera
della cavità. Abbiamo già visto che il campo sentito da un punto all’interno di una sfera carica è

E (r ) = , dove r sarà la distanza dal centro della sfera. Quindi, indicando con V la cavità e con P
3ε 0
G G G G
rρ G bρ G G G ρ (r − b ) ρ a
la sfera, si ha EP (r ) = , EV (b) = ⇒ ETOT (r ) = EP (r ) − EV (b) = = , dove a,
3ε 0 3ε 0 3ε 0 3ε 0
ricordiamo, è la distanza del centro della cavità dal centro della sfera.
Numero pagine: 27

Sommario

1. Schema sulle matrici. Somma, prodotto, calcolo del determinante, del rango, teorema di Cramer,
di Rouchè-Capelli, di Gauss
2. Schema sulla lineare indipendenza di vettori
3. Spazi vettoriali
4. Prodotto scalare di vettori geometrici
5. Prodotto scalare in Rn
6. Geometria analitica nel piano cartesiano
7. Geometria analitica nello spazio
8. Equazioni vettoriali, parametriche e cartesiane.
9. Equazioni parametriche nello spazio
10. Equazioni cartesiane nello spazio
11. Funzioni tra insiemi
12. Omomorfismi
13. Immagine di un omomorfismo e nucleo
14. Isomorfismi ed endomorfismi
15. Autovettori e autovalori
16. Matrici ed endomorfismi simmetrici
17. Algoritmo per la determinazione di una matrice associata diagonale
18. Endomorfismi di V3(O): un esempio
19. Diagonalizzazione di un endomorfismo
20. Appendice: formule da ricordare
Prodotto scalare (standard) in \ n

Il prodotto scalare standard è ancora la somma dei prodotti delle singole coordinate.
Le proprietà del prodotto scalare sono quelle del prodotto fra numeri reali (associativa,
commutativa) e il prodotto scalare di un vettore con se stesso è sempre non negativo e nullo se e
solo se il vettore è nullo.
v×v ≥ 0
v×v = 0 ⇔ v = 0
Norma di un vettore: v = v × v (quindi è la somma dei quadrati delle coordinate).
Ogni vettore, se diviso per la propria norma, diventa un vettore di norma 1.
m = v × w ; i vettori sono ortogonali se v × w = 0 .
cos vw
v w

Disuguaglianza triangolare:
u+v ≤ u + v
Inoltre: | u × v |≤ u v

In un sottospazio di \ n , dei vettori formano una base ortogonale se sono a due a due ortogonali,
una base ortonormale se sono a due a due ortogonali e di norma 1 (la base canonica di \ n è
ortonormale).

Le singole coordinate di un vettore rispetto a una base sono i prodotti scalari tra questo vettore e i
singoli vettori della base.

Basi ortonormali
Per trovarle dobbiamo fissare il primo vettore della base non ortonormale, u1=v1, e modificare il
secondo, u2=v2+ α u1, ponendolo uguale a se stesso più una combinazione lineare del precedente;
poi, calcolando il prodotto scalare tra u1 e u2 trovo α in modo che questo si annulli e i vettori siano
perpendicolari. Anche i rimanenti vettori li pongo uguali a se stessi più una combinazione lineare di
tutti i precedenti già sistemati. Poi normalizzo i vettori trovati ed ecco la base ortonormale.
Un qualsiasi sottospazio di dimensione maggiore di 0 è dotato di base ortonormale.

Matrici ortogonali
Una matrice quadrata M invertibile di ordine n si dice ortogonale, se t MM = I , cioè se l’inversa di
M è la sua trasposta.
La matrice di passaggio tra due basi ortonormali è una matrice ortogonale.
Il determinante di M è ±1 , M-1 è ortogonale e, data un’altra matrice ortogonale N, MN è ortogonale.
⎧ x = x 0 +x1t

• la retta r: ⎨ y = y0 +y1t e il piano π : ax + by + cz + d = 0 sono
⎪z = z +z t
⎩ 0 1

paralleli, se ax1 + by1 + cz1 = 0 (cioè se il vettore direttore della retta e quello perpendicolare
al piano sono perpendicolari)
⎛a b c⎞
perpendicolari, se rk ⎜⎜ ⎟
⎟ = 1 (cioè se il vettore direttore della retta e quello
⎜x y z ⎟
⎝ 1 1 1⎠
perpendicolare al piano sono paralleli), oppure se il vettore direttore della retta è
perpendicolare ai vettori direttori del piano (se questo è dato in equazione parametrica).

Distanza punto-retta
La distanza di un punto P=(x0,y0) da un piano π : ax + by + cz + d = 0 è:
| ax0 + by0 + cz0 + d |
d(P, π ) =
a 2 + b2 + c2
La distanza fra due piani paralleli si trova prendendo un punto su uno dei due e facendo la sua
distanza dall’altro piano.
La distanza fra un piano e una retta paralleli si trova prendendo un punto della retta e facendo la sua
distanza dal piano.

Piano parallelo a due rette di vettori direttori v = (v0,v1,v2) e w = (w0,w1,w2) passante per il punto
⎛ x − x0 x − x1 x − x2 ⎞
(x0,y0): det ⎜⎜ v1 v2

v3 ⎟ = 0
⎜ w w3 ⎟⎠
⎝ 1 w2
Algoritmo per la determinazione di una matrice associata diagonale.
1. Determinazione del polinomio caratteristico (e degli autovalori)
Preso un vettore generico v di V con coordinate, ad esempio, a0, a1, a2, a3 rispetto alla base di V
scelta in precedenza, ottengo le coordinate di f(v) rispetto alla stessa base con il prodotto:
⎛ a0 ⎞ ⎛ b0 ⎞
⎜ ⎟ ⎜ ⎟
a1 b1
A ⎜ ⎟ = ⎜ ⎟ , dove però le coordinate di f(v) devono essere λ volte quelle di v (affinché v sia un
⎜ a2 ⎟ ⎜ b2 ⎟
⎜⎜ ⎟⎟ ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ a3 ⎠ ⎝ b3 ⎠
autovettore. Quindi per trovare gli autovalori devo risolvere il sistema:
⎛ a0 ⎞ ⎛ a0 ⎞
⎜ ⎟ ⎜ ⎟
⎜ a1 ⎟ a
A = λ ⎜ 1 ⎟ che, con opportuni passaggi, diventa:
⎜ a2 ⎟ ⎜ a2 ⎟
⎜⎜ ⎟⎟ ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ a3 ⎠ ⎝ a3 ⎠
⎛ a0 ⎞ ⎛ 0 ⎞
⎜ ⎟ ⎜ ⎟
a1 0
(A- λ I) ⎜ ⎟ = ⎜ ⎟ , che è un sistema omogeneo, la cui matrice dei coefficienti è semplicemente
⎜ a2 ⎟ ⎜ 0 ⎟
⎜⎜ ⎟⎟ ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ a3 ⎠ ⎝ 0 ⎠
quella associata A ai cui elementi della diagonale principale è stato sottratto λ .
Per il teorema di Cramer, questo sistema ha più di una soluzione, cioè più della soluzione nulla se
det(A - λ I) = 0; questa equazione di grado n = dim V si dice polinomio caratteristico e ha come
radici gli n autovalori di f.
Se A e A’ sono due matrici rappresentative dello stesso endomorfismo, si ha det(A’- λ I) = det(A-
λ I).
Se esiste una matrice A rappresentativa di un endomorfismo rispetto a una certa base di V e questa
matrice è triangolare, gli autovalori di f sono gli elementi sulla diagonale principale.
2. Determinazione degli autovettori
Per trovare l’autovettore vi si risolve il seguente sistema omogeneo con matrice dei coefficienti con
determinante nullo, che deriva ancora dalla formula per trovare le coordinate di f(vi):
⎛ a0 ⎞ ⎛ 0 ⎞
⎜ ⎟ ⎜ ⎟
a1 0
(A- λ i I) ⎜ ⎟ = ⎜ ⎟ , dove però, adesso, (A- λ i I) è una matrice nota.
⎜ a2 ⎟ ⎜ 0 ⎟
⎜⎜ ⎟⎟ ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ a3 ⎠ ⎝ 0 ⎠
Le soluzioni di questo sistema omogeneo rappresentano l’autospazio relativo all’autovalore λ i, cioè
E( λ i), la cui dimensione è uguale ad n – rk(A- λ i I).
A questo punto possiamo trovare gli n autovettori, che sono ognuno base di un autospazio relativo
al proprio autovalore e quindi otteniamo:
f(v1)= λ 1v1
f(v2)= λ 2v2
f(vn)= λ nvn
Trovati gli autovettori con relativi autovalori dobbiamo solo scrivere la nuova matrice associata ad f
rispetto alla nuova base di autovettori, che, avendo come colonne le coordinate di f(vi) rispetto alla
⎛ λ1 0 0 ⎞
base formata dai vettori vi è proprio: ⎜ ⎟
⎜0 % 0⎟
⎜0 0 λ ⎟
⎝ n⎠
Numero pagine: 34

Sommario

1. Probabilità. Eventi, leggi di De Morgan, scommesse, teorema delle probabilità totali, ecc...
2. Numero aleatorio semplice.
3. Previsione del numero aleatorio (con proprietà e quant'altro)
4. Funzioni con numeri aleatori
5. Varianza e covarianza
6. Numero aleatorio standardizzato
7. Eventi condizionati
8. Indipendenza stocastica (e teorema di Bayes)
9. Calcolo combinatorio (tutte le formule e le spiegazioni sintetiche)
10. Distribuzione ipergeometrica
11. Distribuzione binomiale
12. Distribuzione di Poisson
13. Distribuzione geometrica
14. Schema riassuntivo delle dstribuzioni (nel discreto)
15. Funzioni di ripartizione
16. Cardinalità degli insiemi
17. Partizioni infinite e numeri aleatori continui
18. Distribuzione uniforme
19. Distribuzione esponenziale
20. Distribuzione normale standard
21. Distribuzione normale generica
22. Distribuzione beta
23. Funzione di rischio
24. Vettori aleatori
25. Retta di regressione
26. Teorema centrale
27. Funzione caratteristica
28. Distribuzione normale multidimensionale
29. Inferenza statistica
30. 2 esempi di esercizi complicati
31. Formule più importanti
Probabilità

Definizione che presuppone eventi equiprobabili: è il rapporto fra i casi possibili e quelli favorevoli.
Definizione frequentista: faccio n prove e se ho m casi favorevoli la probabilità è m/n; questa
definizione ha 2 limiti: necessità di tempo infiniti e di medesime condizioni esterne.
Definizione soggettiva: ognuno definisce la probabilità, che quindi non dipende più dall’oggetto.

L’evento è un ente logico che ha due soli valori possibili: vero e falso.
Un evento deve poter essere o vero o falso e non deve essere ambiguo. Degli eventi e le loro
probabilità possono essere rappresentati con i diagrammi di Venn.

Operazioni tra eventi


Il corrispondente dell’unione insiemistica si dice somma logica; A ∪ B è vero se è vero almeno uno
fra A e B; è falso se entrambi sono falsi. Il corrispondente dell’intersezione è il prodotto logico;
A ∩ B è vero se sono veri sia A che B; è falso se almeno uno è falso.
In generale l’unione di n eventi è vera quando almeno uno di essi è vero, falsa quando sono tutti
falsi; l’intersezione è vera quando tutti sono veri, falsa quando almeno un evento è falso.
Somma e prodotto logici sono operazioni binarie, perché interessano due eventi.
L’unica operazione unaria è il contrario, cioè il passaggio al complementare; AC (A contrario) è
vero quando A è falso e viceversa.

Eventi particolari
Si indica con Ω l’evento certo (insieme ambiente o universo); si indica con ∅ l’evento impossibile
(insieme vuoto).

La parte in rosso è ( A ∪ B)C = AC ∩ BC .

La parte in rosso è ( A ∩ B)C = AC ∪ BC .


⎧⎪( A ∪ B )C = AC ∩ B C
⎨ Leggi di De Morgan
⎪⎩( A ∩ B ) = A ∪ B
C C C

Queste leggi sono generalizzabili a più eventi: il contrario delle unioni è l’intersezione dei contrari,
il contrario delle intersezioni è l’unione dei contrari.

Relazione d’inclusione

A ⊆ B significa che A implica B; cioè, se A è vero lo è anche B.

Relazione di uguaglianza
A = B se A ⊆ B e B ⊆ A
Se A ⊆ B , allora P(A) ≤ P(B)

Probabilità dell’unione di più eventi compatibili:


P ( A ∪ B ) = P ( A) + P ( B) − P( A ∩ B)
P ( A ∪ B ∪ C ) = P ( A) + P ( B ) + P (C ) − [ P ( A ∩ B) + P( A ∩ C ) + P( B ∩ C )] + P( A ∩ B ∩ C )
Allo stesso modo, con 4 o più eventi, la probabilità dell’unione è la somma delle probabilità dei
singoli eventi, meno la somma delle probabilità delle intersezioni a 2 a 2, + la somma delle
probabilità delle intersezioni a 3 a 3 meno la somma delle probabilità delle intersezioni a 4 a 4 e
così via sempre a segno alterno.

Costituenti

Dato un diagramma di Venn si dicono costituenti tutte aree in cui Ω resta diviso
dall’evento o dagli eventi.
n eventi generano al massimo 2n costituenti.
Quando si hanno 2n costituenti, gli n eventi sono logicamente indipendenti, cioè la verità o falsità
di un evento non influenza la verità o falsità dell’altro, che quindi può essere ancora sia vero che
falso.
In ogni caso i costituenti sono partizione di Ω .

Dal fatto che se A ⊆ B , allora P(A) ≤ P(B), si evince che se A, B e C sono 3 eventi incompatibili e
( A ∪ B ∪ C ) ⊆ Ω, allora P( A ∪ B ∪ C ) ≤ 1 e quindi P( A) + P( B) + P(C ) ≤ 1 .
Distribuzione normale generica

Questa distribuzione normale differisce da quella standard nel fatto che non è centrata in 0 ma in m
e ha i flessi in m ± σ .
2
1 ⎛ x−m ⎞
1 − ⎜
σ ⎟⎠
f(x) = N m ,σ ( x) = e 2⎝
σ 2π
⎛ x−m⎞
N⎜
σ ⎟⎠
2
1 ⎛ x−m ⎞
⎛ x−m⎞ 1
= σ N m ,σ ( x) ⇒ N m ,σ ( x) = ⎝
− ⎜ ⎟
2⎝ σ ⎠
Relazione con la standard: N ⎜ ⎟= e
⎝ σ ⎠ 2π σ
+∞
Verifica che ∫−∞
N m ,σ ( x)dx = 1 :
+∞ +∞ 1 ⎛ x−m⎞ +∞
∫−∞
N m ,σ ( x)dx = ∫
−∞
N⎜
σ ⎝ σ ⎠⎟ dx x −=m ∫−∞ N (t )dt = 1
=t
σ
Con lo stesso procedimento si trovano:
+∞
P( X ) = ∫ xN m ,σ ( x)dx = m
−∞
Inferenza statistica

Esempio
Ho un’urna incognita con 4 palline (o bianche o nere).
Q è il numero di palline bianche nell’urna. Il suo codominio è e rimane 0, 1, 2, 3, 4.
Hk è l’evento (Q = k); questi eventi hanno tutti probabilità uguale a 1/5 (dato del testo).
Ora inizio a fare una serie di esperimenti (qui estrazioni), che aggiorneranno la mia distribuzione di
⎧1 1 1 1 1 ⎫
probabilità di Q, che ora è la distribuzione iniziale: PQ = ⎨ , , , , ⎬ .
⎩5 5 5 5 5⎭
n
Definisco P la probabilità dopo l’n-esimo esperimento.
Primo esperimento
E1: “Ho estratto pallina bianca”.
Adesso, per esempio, ho P(H0) = 0.
Calcoliamo, in generale, la probabilità di Hk|E1 usando il teorema di Bayes:
i1
P( E | H i ) P 0 ( H i ) i
P( H i | E1 ) = n = 45 =
1 10

j =0
P( E1 | H j ) P 0 ( H j )
2
⎧ 1 2 3 4⎫
Si ha quindi: PQ1 = ⎨0, , , , ⎬
⎩ 10 10 10 10 ⎭
Numero pagine: 37

Sommario

1. Ripasso di Geometria
2. Programmazione lineare. Esempi di modelli
3. Risoluzione grafica per problemi in due variabili
4. Insiemi convessi e poliedri, vertici di un poliedro (con teorema dimostrato)
5. Teorema fondamentale della programmazione lineare (dimostrato, con nozioni preliminari)
6. Metodo del simplesso (forma standard, vertici, ecc.)
7. Basi e soluzioni di base
8. Simplesso: la fase 2 (con tutti i criteri dimostrati e con esempi, con tecniche per ridurre i
calcoli e la spiegazione di tutti i passaggi!)
9. La fase 1
Insieme convesso

Un insieme si dice convesso se, presi due punti qualunque dell’insieme, questo contiene la loro
congiungente.

Congiungente
{ }
Dati due punti x e y in \ n , la loro congiungente è [ x, y ] = z ∈ \ n | z = λ x + (1 − λ ) y, λ ∈ [ 0,1] . Se
si escludono gli estremi: ( x, y ) = { z ∈ \ n | z = λ x + (1 − λ ) y, λ ∈ ( 0,1)} .
Esempi
Un quadrato pieno è un insieme convesso, mentre un quadrato “vuoto” no. Sono poi convessi: \ n ,
l’insieme vuoto (per convenzione), un punto (intervallo [x,x]), una retta.

Semispazio
{
Dicesi semispazio l’insieme delle soluzioni di una disequazione lineare: S ≤ = x ∈ \ n | aT x ≤ b . }
Un semispazio è un insieme convesso; infatti basta sostituire a x la congiungente dei punti x e y del
semispazio (cioè verificanti la disequazione) in questo modo:
a ⎡⎣λ x + (1 − λ ) y ⎤⎦ ≤ b da cui λ a x + (1 − λ ) a y ≤ b, che è vera,
T T T

perchè il primo membro è la somma di elementi minori di b e con coefficienti a somma 1.


Proprietà degli insiemi convessi
Se C1 e C2 sono due insiemi convessi, allora C1 ∩ C2 è convesso. Allo stesso modo l’intersezione di
n insiemi convessi è un insieme convesso.
Dim: Presi t , v ∈ C1 ∩ C2 , deve essere [t , v ] ⊆ C1 ∩ C2 .
Poiché t e v appartengono ad entrambi gli insiemi, che sono convessi, la loro congiungente è
contenuta in entrambi gli insiemi, cioè anche nella loro intersezione.
Dimostrazione: sufficienza che il rango sia n affinchè x sia vertice
Suppongo per assurdo che il rango di I(x) sia n ma che x non sia un vertice, cioè che:
∃ y, z ∈ P tali che x ≠ y , x ≠ z e x ∈ ( y , z ) , oppure
∃ λ ∈ ( 0,1) tale che x = λ y + (1 − λ ) z
I ( x) ≠ ∅ perchè abbiamo almeno n vincoli attivi (rkI = n) .
Voglio far vedere che I ( y ), I ( z ) ⊇ I ( x) .
Prendiamo in esame i vincoli attivi in x: bi = aiT x = aiT ⎡⎣λ y + (1 − λ ) z ⎤⎦ = λ aiT y + (1 − λ )aiT z .
Se i vincoli sono attivi in y e z, allora l’equazione è verificata ( bi = bi ); se invece aiT y e/o aiT z sono
maggiori di bi (cioè appartengono a P ma questi vincoli non sono attivi), almeno uno dei due
prodotti aumenta il suo valore, rendendo l’espressione maggiore di bi e portando dunque all’assurdo
bi > bi . Perciò i vincoli devono essere attivi anche in y e z, come volevasi dimostrare.
Prendo adesso il sistema aiT w = bi , i ∈ I ( x ) ; ovviamente x, y e z soddisfano questo sistema; però
questo sistema ha rango n, per cui può avere al più una soluzione; poiché x, y e z sono punti distinti,
questo è un assurdo, perciò x è un vertice.
Alcune nozioni prima della dimostrazione del teorema fondamentale
Si definisce semiretta x + λ d , λ ≥ 0 , la semiretta con origine in x e direzione d .

Dato un vincolo aT x ≥ b , tutte le semirette interamente contenute nel semispazio sono quelle che
hanno origine nel semispazio e che hanno direzioni d tali da formare un angolo minore o uguale di
90° con il vettore a, che è perpendicolare alla retta che delimita il semispazio.
aT d ≥ 0 ⇒ angolo ≤ 90°
aT d < 0 ⇒ angolo > 90°
aT d = 0 ⇒ angolo = 90°
In questo caso la nostra condizione è: aT d ≥ 0 . Inoltre la semiretta è nel semipiano per ogni punto
(cioè per ogni λ ≥ 0 ) se aT ( x + λ d ) ≥ b ∀λ ≥ 0 ⇒ aN T
x + λ aN
T
d ≥ b ; questa disequazione è
≥b ≥0

ovviamente verificata per aT d ≥ 0 ; se fosse stato aT d < 0 a un certo punto (cioè per un certo
λ ≥ 0 ), si sarebbe prima o poi usciti dal semispazio (cioè diventati <b). Questo “certo λ ≥ 0 ” è
quello per cui ci si trova sul bordo del semispazio, cioè sulla retta aT x = b . Quindi quel valore è
b − aT x
quello tale che aT ( x + λ d ) = b ⇒ λ = . Quindi per λ = λ sono sulla frontiera, per λ < λ
aT d
sono all’interno del semispazio, per λ > λ sono fuori.
La stessa cosa avviene se si considera un poliedro P intersezione di 3 semispazi. Una semiretta sarà
⎧a1T d ≥ 0

contenuta in P se è contenuta in tutti e 3 i semispazi, cioè se ⎨a2T d ≥ 0 .
⎪ T
⎩a3 d ≥ 0
Ci sono 3 diversi valori di λ per cui raggiungo la frontiera dei 3 semipiani:
b − aT x b − aT x b − aT x
λ1 = 1 T 1 ; λ2 = 2 T 2 ; λ3 = 3 T 3 . Il valore per cui arrivo prima alla frontiera e oltre il
a1 d a2 d a3 d
quale quindi già esco da P (basta violare un vincolo per non essere più nella regione ammissibile) è
bi − aiT x b j − a j x
T

il minimo di questi 3 valori: λ = min = (dove ho considerato solo i vincoli che


i|aiT d < 0 aiT d aTj d
non contengono interamente la semiretta). Anche qui per λ = λ sono sulla frontiera, per λ < λ
sono all’interno del poliedro, per λ > λ sono fuori.
Bisogna osservare che il vincolo j è attivo per λ = λ e che esso può non essere l’unico (la frontiera
può essere raggiunta contemporaneamente per 2 o più semispazi).

Teorema fondamentale della PL

Se, formulato un problema di programmazione lineare (di minimo), il poliedro della regione
ammissibile non contiene rette, allora una sola delle seguenti affermazioni può essere vera:
1. Il problema è inammissibile, ovvero il poliedro P è vuoto.
Esempio riassuntivo
( )
min x1 − 7 x2' − 3 x3+ − x3− + x4

( )
2 x1 − x2' − x3+ − x3− + x5 = 2
x1 + x4 + x6 = −2
min x1 + 7 x2 − 3 x3 + x4 ( )
3x1 − 2 x2' − 2 x3+ − x3− + 6 x4 − x7 = 5
2 x1 + x2 − x3 ≤ 2
x1 + 2 x2' + 3 x4 = 0
x1 + x4 ≤ −2
x1 ≥ 0
3 x1 + 2 x2 − 2 x3 + 6 x4 ≥ 5 FORMA STANDARD
x2' ≥ 0
x1 − 2 x2 + 3 x4 = 0 ⇒
x3+ ≥ 0
x1 ≥ 0
x3− ≥ 0
x2 ≤ 0
x4 ≥ 0
x4 ≥ 0
x5 ≥ 0
x6 ≥ 0
x7 ≥ 0
L’inizio della fase II
All’inizio della fase 2 abbiamo un poliedro standard non vuoto con rk A = m e abbiamo una SBA.
I test
I test di ottimalità e illimitatezza sono condizioni sufficienti ma non necessarie, il che vuol dire che
se una SBA non supera il test di ottimalità potrebbe essere soluzione ottima e se non supera il test di
illimitatezza, il problema potrebbe comunque essere illimitato.
Il metodo del simplesso assicura però che prima o poi si esca dal ciclo (cioè che prima o poi uno dei
2 test sia soddisfatto).
Quando da un’iterazione della fase II si passa alla successiva, la scelta della nuova SBA va fatta in
maniera intelligente: per esempio, dovendo minimizzare, non si sceglierà una SBA con valore più
alto della funzione obiettivo.
Inoltre le basi che si considerano in due iterazioni successive differiscono sempre di un solo indice.

La fase II

Esempio
Ho 10 euro di budget e devo comprare rape (3 euro al chilo) e zucchine (1 euro al chilo); però le
rape (x1) non mi piacciono, le zucchine (x2) sì.
min 2 x1 − x2
3x1 + x2 = 10
x≥0

Ora, osservato che il problema non è vuoto e che rk A = m = 1, posso prendere ad esempio la base
10 − x2
B = {1} e osservare che: x1 = ; oppure posso prendere la base B’= {2} e porre x2 = 10 − 3x1 .
3
In generale, dato un problema in forma standard:
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