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14 ottobre 2015
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Appunti ad uso esclusivo degli studenti di Matematica per le Applicazioni Economiche e Finanziarie, corso
E, Facoltà di Economia, Università di Torino.
AVVISO IMPORTANTE.
Le presenti dispense NON sostituiscono i libri di testo e sono intese soltanto come
supporto nello studio dell’esame di Matematica per le Applicazioni Economiche e Fi-
nanziarie, corso E. Non sono pertanto sufficienti per la preparazione dell’esame.
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PARTE 1 GLI INSIEMI R E Rn .
Gli insiemi numerici sono gli insiemi più conosciuti ed usati nell’Analisi Matematica.
Tutti hanno la nozione di numeri naturali, indicati con N, che sono i numeri si impara
da bambini quando si inizia a contare: N = {0, 1, 2, 3, ..., n, n + 1, ...}. Osserviamo che
N è un insieme chiuso rispetto all’operazione di addizione. Siano infatti n, m ∈ N.
Allora, n + m ∈ N. Non è invece chiuso rispetto all’operazione di sottrazione. Siano
infatti n, m ∈ N con n < m. Il numero n − m, essendo minore di 0, non appartiene
ai naturali. Per avere un insieme chiuso anche rispetto all’operazione di sottrazione,
dobbiamo estendere i naturali all’insieme dei numeri interi relativi.
I numeri interi relativi, indicati con Z, sono una estensione dei naturali, considerando gli
stessi ed i loro opposti: Z = {0, 1, −1, 2, −2, 3, −3, ..., n, −n, n + 1, −n − 1, ...}. Per tale
ragione, l’insieme degli interi relativi è chiuso rispetto alla operazione di addizione e di
sottrazione, laddove, come si è visto, i naturali sono chiusi solo rispetto all’operazione
di addizione. L’insieme dei numeri interi relativi è chiuso rispetto all’operazione di
moltiplicazione tra numeri. Infatti, siano w, z ∈ Z. Allora w · z ∈ Z. Tuttavia, esso
non è chiuso rispetto all’operazione di divisione tra numeri. Infatti, 1 ∈ Z e 2 ∈ Z
ma definendo a := 1/2 si ha a ∈
/ Z. Per avere un insieme chiuso anche rispetto
all’operazione di divisione, dobbiamo estendere i numeri interi relativi all’insieme dei
numeri razionali.
I numeri razionali, indicati con Q, sono i numeri del tipo:
{n }
Q= : n, m ∈ Z, m ̸= 0 .
m
E’ di immediata verifica che Q è chiuso rispetto alle operazioni di addizione, sottrazione,
moltiplicazione e divisione. Esso è perciò un campo 1 .
L’insieme dei numeri razionali, pur essendo un campo, non soddisfa alcune proprietà
che sono fondamentali nell’Analisi Matematica. Infatti, per esempio, non contiene
la maggior parte delle radici di numeri naturali. Come conseguenza, non soddisfa il
cosiddetto “assioma di completezza di Dedekind” (vedi prossima sezione). In altre
parole, in Q non tutti i sottoinsiemi limitati superiormente (inferiormente) possiedono
1 Si noti che quella data non è la definizione rigorosa di campo, ma riporta la principali proprietà che un campo deve
avere.
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estremo superiore (inferiore), caratteristica irrinunciabile nell’Analisi Matematica. Il
classico esempio di incompletezza di Q è dato dal seguente Teorema, che mostra che il
√
numero 2 (che è la lunghezza della diagonale del quadrato di lato 1) non appartiene
ai numeri razionali. A tal proposito si parla di inadeguatezza di Q nel misurare la
lunghezza dei segmenti. La celebre dimostrazione è la prima dimostrazione per assurdo
della storia della matematica.
√
Teorema 1 2 ∈ / Q.
Dimostrazione
√ √
Per assurdo sia 2 ∈ Q. Allora, 2 = m
n
per qualche m, n ∈ Z. Supponiamo inoltre
m
che n
sia già ridotta ai minimi termini (cioè che m e n siano coprimi tra loro). Allora,
m2
=2 ⇒ m2 = 2n2 . (1.1)
n2
Questo vuol dire che m2 è pari, e quindi m è pari (questo è dovuto al fatto, di facile
dimostrazione, che il quadrato di un numero dispari è dispari). Quindi,
4k 2 = 2n2 ⇒ n2 = 2k 2 .
√
Il numero 2 è detto irrazionale e fa parte della più ampia classe di insiemi nu-
merici, che è quella dei numeri reali. La definizione/costruzione rigorosa dei numeri
reali è molto complessa, e non la riportiamo qui. Ci limitiamo a dire che i numeri
√
reali comprendono sia i numeri razionali sia i numeri irrazionali, di cui 2 è solo un
√
esempio. Altri esempi di numeri irrazionali sono π, e, 3... Da quanto descritto sopra,
si deducono le note inclusioni di insiemi numerici:
N ( Z ( Q ( R.
Pur non definendoli rigorosamente, sottolineiamo che i numeri reali soddisfano l’assio-
ma di completezza e quindi anche la fondamentale proprietà che ogni loro sottoinsieme
3
limitato possiede estremo superiore ed estremo inferiore. Nella prossima sezione, da-
remo una definizione di numeri reali tramite gli assiomi che essi soddisfano (questo
risulta essere l’approccio più “soft” per definire i numeri reali).
1. x + y = y + x ∀x, y ∈ R (commutatività )
2. (x + y) + z = x + (y + z) ∀x, y, z ∈ R (associatività )
1. x · y = y · x ∀x, y ∈ R (commutatività )
2. (x · y) · z = x · (y · z) ∀x, y, z ∈ R (associatività )
Vale poi la
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Proposizione 1 Gli elementi neutri 0 e 1 sono unici.
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che ∃0A , 0B ∈ R, 0A ̸= 0B , tali che:
∀x ∈ R x + 0A = x (·) e x + 0B = x (··)
Ma allora:
∀x ∈ R x · 1A = x (·) e x · 1B = x (··)
Ma allora:
1. x ≤ x ∀x ∈ R (riflessiva)
2. (x ≤ y) ∧ (y ≤ z) ⇒ x ≤ z ∀x, y, z ∈ R (transitiva)
3. (x ≤ y) ∧ (y ≤ x) ⇔ x = y ∀x, y ∈ R (antisimmetrica)
4. x ≤ y ⇒ x + z ≤ y + z ∀x, y, z ∈ R (additiva)
5
6. (x ≤ y) ∧ (z > 0) ⇒ x · z ≤ y · z
Esempio 5 Consideriamo
√
L’elemento separatore è c = 2.
Dimostrazione
Per l’assioma A4 ∃c ∈ R tale che x ≤ c ≤ y, ∀x ∈ A, ∀y ∈ B.
√
Per assurdo sia c < 2. Allora, per la densità dei razionali, ∃q ∈ Q tale che 0 < c <
√ √
q < 2. Allora q 2 < 2 ⇒ q ∈ A ⇒ assurdo perchè per ipotesi x ≤ c ∀x ∈ A ⇒ c ≥ 2.
√ √
Per assurdo sia c > 2. Allora ∃q ∈ Q tale che c > q > 2. Allora q 2 > 2 ⇒ q ∈ B ⇒
√
assurdo perchè per ipotesi c ≤ y ∀y ∈ B ⇒ c ≤ 2.
√ √ √
Siccome c ≥ 2 e c ≤ 2, per la proprietà antisimmetrica si ha c = 2.
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Il fatto che R soddisfi l’assioma 4 di completezza, si può anche esprimere dicendo
che R possiede la proprietà di continuità . Viceversa, per esplicitare il fatto che Q non
soddisfa tale assioma si dice che Q è discontinuo. Per capire il concetto di continuità
e discontinuità , si mettano in corrispondenza i punti della retta con i punti di Q.
E’ immediato vedere che, nonostante i punti di Q riempiano un’infinità (numerabi-
le!) di punti della retta, lasciano un’infinità di “buchi” in corrispondenza dei numeri
irrazionali. In altre parole, a ogni punto di Q corrisponde un punto sulla retta, ma
√
non viceversa (per esempio, il punto della retta 2 non possiede il corrispondente nei
numeri razionali).
Per indicare invece la proprietà di “addensamento” dei punti razionali all’interno dei
numeri reali si parla di proprietà di densità . E’ utile, a tal proposito, la seguente
definizione:
Teorema 2 Q è denso in R.
Osservazione 9 Il teorema 2 dice che tra due numeri reali ce n’è sempre uno razionale.
E’ vero anche il viceversa: si può dimostrare che tra due numeri razionali, esiste sempre
un numero reale irrazionale.
Esempio 11 Sia dato l’insieme dei colori della bandiera italiana: C = {verde, bianco, rosso}.
C è un insieme finito. Infatti, il numero in questione è n = 3, e una possibile
corrispondenza binunivoca tra elemendi di C e {1, 2, 3} è
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Definizione 12 Due insiemi hanno la stessa cardinalità (o potenza) quando è pos-
sibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra i loro elementi.
Vale il teorema:
N: 0 1 2 3 4 5 6 7 ...
↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ...
Z: 0 1 -1 2 -2 3 -3 4 ...
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Osserviamo che la matrice infinita cosi’ costruita contiene (con infinite ripetizioni)
tutti i numeri razionali. Un possibile modo per toccare sequenzialmente tutti gli
elementi di Q della matrice infinita, è quello di partire dall’elemento in alto a
sinitra (lo 0) e spostarsi a destra di un posto (direzione E), poi in diagonale in
basso a sinistra (direzione SW), poi in basso di un posto (direzione S), poi in
diagonale in alto a destra (direzione NE) finchè si raggiunge la prima riga, da cui
si riparte in direzione E di un posto e poi in direzione SW finchè si raggiunge la
prima colonna, poi di nuovo in direzione S di un posto e ancora in direzione NE
finchè si raggiunge la prima riga. Si procede cosi’ all’infinito per toccare, prima o
poi, tutti gli elementi di Q. Gli elementi già contati precedentemente si saltano.
La corrispondenza binunivoca tra N e Q dettata da questa sequenza è :
N: 0 1 2 3 4 5 6 7 ...
↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ...
Q: 0 1 1
2
−1 2 − 12 1
3
1
4
...
Gli esempi elencati sopra danno luogo ad alcune riflessioni. Osserviamo che, nono-
stante evidentemente N ( Z, si ha che N e Z hanno la stessa cardinalità . Ancora
più sorprendente, forse, è scoprire che persino N e Q hanno la stessa cardinalità . Si
dimostra invece che l’insieme dei numeri reali non è numerabile.
In particolare, la cardinalità dei numeri naturali è minore della cardinalità dei numeri
reali, come è facile intuire. Per esprimere la (diversa e maggiore) cardinalità di R, si
dice che R ha la potenza del continuo. Si ha inoltre la definizione:
Osservazione 20 L’esempio appena visto è tutto tranne che intuitivo. Infatti, l’in-
tervallo (0, 1) è evidentemente strettamente contenuto nel (ben) più ampio insieme dei
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numeri reali. Ciononostante, esso ha la stessa cardinalità dei numeri reali. Non solo,
(0, 1) è un insieme limitato, mentre N (ma anche Z, o Q) non lo è . Ciononostante,
la cardinalità di (0, 1) è (di gran lunga!) maggiore della cardinalità di N (e di Z, e di
Q).
1.4 L’insieme Rn
| × R {z
Rn = R × ... × R}, n ∈ N
n volte
x + y = (x1 + y1 , x2 + y2 , ...xn + yn )
Assioma 1n :
1. x + y = y + x ∀x, y ∈ Rn
2. (x + y) + z = x + (y + z) ∀x, y, z ∈ R
3. ∃0 = (0, 0, ...0) ∈ Rn : ∀x ∈ Rn x + 0 = x
4. ∀x ∈ Rn ∃y = −x ∈ Rn : x + y = x + (−x) = 0
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Prodotto per uno scalare
Dato x = (x1 , x2 , ...xn ) e α ∈ R definiamo il prodotto di x per lo scalare α come il
vettore:
α · x = αx = (αx1 , αx2 , ..., αxn ).
Assioma 2n :
1. α (β · x) = (α β) · x ∀α, β ∈ R, ∀x ∈ Rn
2. Se α = 1, 1 · x = x ∀x ∈ R
3. (α + β) · x = αx + βy ∀x ∈ Rn , ∀α, β ∈ R
4. α (x + y) = α x + α y ∀α ∈ R, ∀x, y ∈ Rn
Assioma 3n :
1. x ≤ x
2. (x ≤ y) ∧ (y ≤ z) ⇒ x ≤ z
3. (x ≤ y) ∧ (y ≤ x) ⇒ x = y
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4. x ≤ y ⇒ x + z = y + z
5. (x ≤ y) ∧ (α > 0) ⇒ α x ≤ α y
Notazione
∑m
α1 z1 + α2 z2 + . . . + αm zm = i=0 α i zi
• X = R2 S = {x ∈ R2 : x2 = 0}
S è sottospazio vettoriale
Infatti siano x, y ∈ S, x = (x1 , 0) y = (y1 , 0)
z = αx + βy = α(x1 , 0) + β (y1 , 0) = (α x1 , 0) + (β y1 , 0) = (α x1 + β y1 , 0) ∈ S.
• X = R2 S = {x ∈ R2 : x1 = x2 }
S è sottospazio vettoriale, infatti siano x, y ∈ S, x = (x1 , x2 ) = (x1 , x1 ) y =
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(y1 , y2 ) = (y1 , y1 )
αx+βy = α(x1 , x2 )+β(y1 , y2 ) = (αx1 , αx1 )+(βy1 , βy1 ) = (αx1 +βy1 , αx1 +βy1 ) ∈
S
• X = R2 S = {x ∈ R2 : x1 ≥ 0, x2 ≥ 0}
S non è un sottospazio vettoriale, infatti sia α = −1 e x ∈ S:
αx = −1x = (−x1 , −x2 ) ∈
/S
∑n
(x|y) = x1 y1 + x2 y2 + . . . + xn yn = i=1 xi yi
1. (x|y) = (y|x)
3. (αx|y) = α (x|y)
(Attenzione: (αx|αy) = α2 (x|y))
4. (x|x) ≥ 0 ∀x ∈ Rn
5. (x|x) = 0 ⇔ x = 0
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• x = (x1 , x2 ) y = (−x2 , x1 ). x e y sono ortogonali, infatti: (x|y) = x1 (−x2 ) +
x2 x1 = 0
Dimostrazione
Siano x, y ∈ S. Allora x ∈ S ⇒ (x|v) = 0, y ∈ S ⇒ (y, v) = 0
Consideriamo αx + βy:
(αx + βy|v) = (αx|v) + (βy|v) = α(x|v) + β(y|v) = α · 0 + β · 0 = 0 ⇒ αx + βy ∈ S.
{x ∈ R2 : x2 = mx1 } = {x ∈ R2 : (v|x) = 0}
Attenzione: v = (m, −1) non è l’unico vettore adatto a descrivere la retta conside-
rata. Tutti i vettori del tipo αv, con α ∈ R, α ̸= 0, soddisfano la condizione.
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Dimostrazione
Siano x, y ∈ S, α, β ∈ R. Allora:
Tornando a R2 , consideriamo una retta che non passa per l’origine: x2 = mx1 +q, q ̸= 0.
è facile vedere che S = {x ∈ R2 /x2 = mx1 + q} non è un sottospazio vettoriale. Infatti
0∈
/ S.
x2 = mx1 + q ⇒ −mx1 + x2 = q
Notazione
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Definizione 34 La norma di un vettore x = (x1 , x2 , ..., xn ) ∈ Rn e’:
√
∥x∥ := x1 2 + x2 2 + ... + xn 2
1. ∥x∥ = 0 ⇔ x = 0
2. ∥αx∥ = |α|∥x∥ ∀α ∈ R
3. ∥x + y∥ ≤ ∥x∥ + ∥y∥
Dimostrazione
√
1. Se x = 0, allora ∥x∥ = 0 + 0 + ...0 = 0.
Viceversa, se ∥x∥ = 0, allora tutte le componenti di x devono essere nulle. Infatti,
0 = ∥x∥2 = x21 + x22 + ... + x2n . D’altra parte, x21 + x22 + ... + x2n ≥ 0 e quindi
che implica x2i = 0 per ogni i = 1, 2, ...n (una somma di numeri positivi o nulli
puo’ essere nulla solo se tutti i numeri sono nulli).
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√
2. ∥αx∥ = ∥(αx1 , αx2 , ..., αxn )∥ = α2 (x21 + x22 + ... + x2n ) =
√ √
= α2 x21 + x22 + ... + x2n = |α|∥x∥
• In R:
• In R2 :
√ √
3) x = (1, −1) ∥x∥ = 12 + (−1)2 = 2
√ √
4) x = 2(1, −1) + 3(−2, 1) = (−4, 1) ∥x∥ = (−4)2 + (1)2 = 17
√ √ √
5) x = (a, a2 ) ∥x∥ = a2 + (a2 )2 = a2 + a4 = |a| 1 + a2
• In R3 :
√ √
6) x = (0, 1, 2) ∥x∥ = 0 + (1)2 + (2)2 = 5
√ √
7) x = (a, 2a, −a) ∥x∥ = a2 + (2a)2 + (−a)2 = |a| 6
• In R4 :
√ √
8) x = (1, 0, −2, 2) ∥x∥ = (1)2 + 0 + (−2)2 + (2)2 = 9=3
17
Definizione 38 Si dice distanza tra due vettori di Rn , x = (x1 , x2 , ..., xn ) e y =
(y1 , y2 , ..., yn ), la quantità :
d(x, y) := ∥x − y∥
1. d(x, y) = 0 ⇔ x = y
2. d(x, y) = d(y, x)
d(x, y) = |x − y|
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Esempi 41 Calcolare le distanze tra le seguenti coppie di vettori:
• In R:
1) x = 1, y = 3 d(x, y) = d(1, 3) = |1 − 3| = | − 2| = 2;
2) x = − 13 , y = 1
3
d(x, y) = | − 31 − 13 | = | − 23 | = 2
3
3) x = a, y = a2
{
a − a2 0≤a≤1
d(x, y) = d(a, a2 ) = |a − a2 | =
−a + a2 a < 0, a > 1
• In R2 :
√ √ √
4) x = (1, −3), y = (3, −1) d(x, y) = (1 − 3)2 + (−3 − (−1))2 = 8 = 2 2
√ √√ √
5) x = ( 2, −10), y = (0, 2) d(x, y) = ( 2)2 + (−10 − 2)2 = 146
√ √
6) x = (a, b), y = (−a, b) d(x, y) = (a − (−a))2 + (b − b)2 = (2a)2 + 0 =
√
4a2 = 2|a|
√ √ √
7) x = (a, 0), y = (0, −a) d(x, y) = (a − 0)2 + (0 − (−a))2 = a2 + a2 = 2a2 =
√
|a| 2
• In R3 :
√ √
8) x = (1, 1, 0), y = (0, 1, 2) d(x, y) = (1 − 0)2 + (1 − 1)2 + (0 − 2)2 = 5
√ √
9) x = (0, a, 0), y = (1, 0, −a) d(x, y) = (0 − 1)2 + (a − 0)2 + (0 − (−a))2 = 12 + a2 + a2 =
√
= 1 + 2a2
• In R5 :
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1.6 Intorni sferici di vettori di Rn
Br (x0 ) = (x0 − r, x0 + r)
Dimostrazione
Si ha:
= (x0 − r, x0 + r)
usando il fatto che |x| < a ⇔ −a < x < a (vedi lemma A.3).
• In R:
1) B2 (0) = (0 − 2, 0 + 2) = (−2, 2)
2) B3 (−1) = (−1 − 3, −1 + 3) = (−4, 2)
3) B 3 (1) = (1 − 32 , 1 + 32 ) = (− 12 , 25 )
2
4) B−1 (0) ⇒ impossibile, perche’ deve essere r > 0 (raggio strettamente positivo)
5) B0 (1) ⇒ impossibile, perche’ deve essere r > 0
20
• In R2 :
√
6) B3 ((0, 0)) = B3 (0) = {x ∈ R2 /d(x, 0) < 3} = {x ∈ R2 / x21 + x22 < 3} =
= {x ∈ R2 /x21 + x22 < 9}
7) B2 ((1, −1)) = {x ∈ R2 /d(x, (1, −1)) < 2} =
√
= {x ∈ R2 / (x1 − 1)2 + (x2 + 1)2 < 2} = {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + (x2 + 1)2 < 4}
• In R3 :
• In R5 :
21
Osservazione 47 Questo equivale a dire che E ⊂ Rn è limitato se ∃α > 0 tale che
∥x∥ ≤ α ∀x ∈ E. Come caso particolare, se n = 1, si ha che un insieme E ⊂ R è
limitato se ∃α ∈ R tale che −α < x < α ∀x ∈ E.
Esempi 51
• A = [0, 1]
2 è un maggiorante di A, -10 è un minorante di A. A è limitato sia superiormente sia
inferiormente.
•A=N
0 è un minorante di A, A non ha maggioranti. N è limitato inferiormente ma non
superiormente.
•A=Z
Z non ha maggioranti e non ha minoranti, non è limitato né superiormente né inferior-
mente.
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Definizione 53 Dato A ⊂ R limitato inferiormente, si dice che β ∈ R è l’estremo
inferiore di A e si scrive
β = inf A
2. per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A tale che x0 > M − ϵ (cioè M è il piu’ piccolo dei
maggioranti).
Dimostrazione
Dimostriamo il ”solo se”. Sia M = sup A. Vogliamo dimostrare che le proprietà 1.
e 2. sono soddisfatte. Per definizione M è un maggiorante di A, quindi M ≥ x per
ogni x ∈ A (punto 1.). Per il punto 2., sia dato ϵ > 0. Allora M − ϵ < M . Siccome
M è il piu’ piccolo dei maggioranti di A, M − ϵ non puo’ essere un maggiorante di A.
Quindi esiste x0 ∈ A tale che M − ϵ < x0 , quindi per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A tale che
x0 > M − ϵ.
Dimostriamo il ”se”. Sia M ∈ R tale che valgono 1. e 2. Vogliamo dimostrare che
M = sup A. Per il punto 1., M è un maggiorante di A. Dobbiamo dimostrare che è il
piú piccolo dei maggioranti di A. Per assurdo supponiamo che esista un maggiorante
di A, α, tale che α < M . Sia ϵ = M − α > 0. Ma allora, per il punto 2., esiste x0 ∈ A
tale che x0 > M − ϵ = M − (M − α) = α, quindi α non può essere un maggiorante di
A ⇒ M è il più piccolo dei maggioranti di A ⇒ M = sup A.
2. per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A tale che x0 < m + ϵ (cioè m è il più grande dei
minoranti).
Esempi 56
23
• A = (a, b] ⇒ sup A = b; inf A = a.
• A = [a, b) ⇒ sup A = b; inf A = a.
• A = { n1 , n ∈ N} ⇒ sup A = 1; inf A = 0.
• A = {1 − n1 , n ∈ N} ⇒ sup A = 1; inf A = 0.
m≤x ∀x ∈ A.
Esempi 60
Sia E ⊂ Rn , e sia x0 ∈ Rn .
24
Definizione 62 Il vettore x0 si dice punto esterno ad E se è interno a E C (dove
con E C si indica il complementare di E in Rn , cioè : E C = Rn \E).
NOTAZIONE
Dato E ⊂ Rn :
• E i denota l’insieme dei punti interni di E;
• E e denota l’insieme dei punti esterni di E;
• ∂E denota l’insieme dei punti di frontiera di E. ∂E e’ anche detto frontiera o bordo
di E.
(A ∩ B)C = AC ∪ B C
A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)
25
e
A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)
• In R:
Osserviamo che (a, b) e [a, b) hanno gli stessi punti interni, esterni e di frontiera, ma
non sono gli stessi insiemi. Verificare, per esercizio, che anche (a, b] e [a, b] hanno gli
stessi punti interni, esterni e di frontiera di (a, b).
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Verificarlo per esercizio. Osserviamo che E C = E e ∪ ∂E.
4) E = R ⇒ E C = ∅
E i = R = E, E C = ∂E = ∅.
5) E = Q ⇒ E C = R\Q
E i = ∅, E e = ∅, ∂E = Q ∪ (R\Q) = R.
Tutti i punti di R sono di frontiera per Q. Infatti, preso un qualsiasi razionale q ∈ Q e
preso un suo intorno (q − ϵ, q + ϵ), infiniti numeri non razionali cadono in tale intorno
(vista la densita’ di Q in R, vedi Ambrosetti Musu pag. 27), e quindi non esistono
punti interni a Q. Analogamente, tutti i punti non razionali sono di frontiera e percio’
non esistono punti esterni a Q. Infatti, preso un qualsiasi punto irrazionale λ ∈ R\Q
e preso un suo intorno (λ − ϵ, λ + ϵ), infiniti numeri razionali cadono in tale intorno.
Quindi, ogni punto di R e’ di frontiera per Q.
7) E = [0, 2) ∩ [1, 5]
Si verifica facilmente che e’ E = [1, 2). Calcolare E C , E i , E e , ∂E per esercizio.
9) E = N ⇒ E C = R\N.
E i = ∅, ∂E = E. Non esistono punti interni ad E e tutti i punti di E sono di frontiera
per E. Infatti, consideriamo n0 ∈ N, e un suo qualsiasi intorno (n0 − ϵ, n0 + ϵ), ϵ > 0.
In tale intorno cadono sia punti di N (n0 stesso appartiene a ogni suo intorno), sia
punti di R\N (tutti i punti x ∈ (n0 − 1, n0 + 1) ∩ (n0 − ϵ, n0 + ϵ), x ̸= n0 ).
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E e = R\N = E C . Infatti, preso un qualsiasi numero non naturale x ∈ R\N, e’ possibi-
le costruire un suo intorno (x − ϵ, x + ϵ) che non contenga numeri naturali. Supponendo
che x ∈ (n0 , n0 + 1), e’ sufficiente prendere ϵ = 1
2
min(x − n0 , n0 + 1 − x) (verificarlo
per esercizio).
• In R2 :
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prendere il raggio di tale intorno di x pari a 0 < ϵ < r − r′ , per avere Bϵ (x) ⊂ Br (x0 )
(infatti si puo’ facilmente dimostrare che per un qualsiasi punto y ∈ Bϵ (x) si ha
d(y, x0 ) ≤ d(y, x) + d(x, x0 ) < ϵ + r′ < r) (Vedi proposizione 39). Si ha quindi:
E i = Br (x0 ) = E, E e = {x ∈ R2 /d(x, x0 ) > r}, ∂E = {x ∈ R2 /d(x, x0 ) = r}.
19) E = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 ≤ 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 < 1} ∪ {(3, 1)} ⇒
E C = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 > 1} ∩ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 ≥ 1}\{(3, 1)}
Verificare che:
E i = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 < 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 < 1}
29
E e = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 > 1} ∩ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 > 1}\{(3, 1)}
∂E = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 = 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 = 1} ∪ {(3, 1)}
• In R3 :
30
possibile costruire un suo intorno sferico che non contenga punti del piano x1 x2 , quindi:
Ee = EC .
Ogni punto di E e’ di frontiera: infatti ogni intorno sferico di punti di E contiene sia
punti di E, sia punti di E C , e non esistono altri punti di frontiera, perche’ i punti che
non stanno in E sono esterni ad E, quindi: ∂E = E.
• (1, 0) ∈
/ A ma è punto di accumulazione per A
• Non tutti i punti dell’insieme sono punti di accumulazione per l’insieme (p.es.
(1, 1)).
1. x0 ∈ A;
31
2. x0 non è punto di accumulazione per A.
• A = (0, 1)
A′ = [0, 1]. A non ha punti isolati.
• A = {numeri pari tra 2 e 8} = {2, 4, 6, 8}
A′ = ∅. A è costituito da punti isolati e non esistono punti di accumulazione per A.
• A = (1, 3) ∪ {5}
A′ = [1, 3]. Il punto 5 ∈ A ed è punto isolato di A.
• A = [0.6]\{5}
A′ = [0, 6]. Osserviamo che 5 ∈
/ A ma è punto di accumulazione per A. Osserviamo
inoltre che 5 è punto isolato di AC .
• A = { n1 , n ∈ N}
A′ = {0}. L’unico punto di accumulazione per A è 0 e 0 ∈
/ A. Tutti i punti di A sono
punti isolati.
• A = Q ∩ [0, 1]
A′ = [0, 1]. Tutti i punti razionali e tutti i punti irrazionali di [0, 1] sono punti di
accumulazione per A (per la densità dei razionali nei reali).
Dato A ⊂ Rn , che relazioni ci sono tra punti interni, esterni e di frontiera di A e punti
isolati e di accumulazione di A? Sappiamo che
Ai ∪ Ae ∪ ∂A = Rn
32
Vale lo stesso per A′ ∪ Ais ? La risposta è no (cioè non necessariamente), come vedremo
nel prossimo importante risultato per i punti esterni.
Dimostrazione
x0 non può essere isolato perché, essendo esterno ad A, non appartiene ad A.
Inoltre, poiché x0 è esterno ad A, esiste uno suo intorno tutto contenuto in AC , cioè
esiste ϵ > 0 tale che Bϵ (x0 ) ⊂ AC . Allora si ha
Bϵ (x0 ) ∩ A = ∅
Dimostrazione
Poiché x0 è punto interno ad A, esiste un suo intorno sferico tutto contenuto in A, cioè
esiste ϵ0 > 0 tale che Bϵ0 (x0 ) ⊂ A. Sia ora ϵ > 0 e sia 0 < δ ≤ min{ϵ, ϵ0 }. Poiché
δ ≤ ϵ, si ha
Bδ (x0 ) ⊂ Bϵ (x0 )
e poiché δ ≤ ϵ0 , si ha
Bδ (x0 ) ⊂ Bϵ0 (x0 ) ⊂ A.
33
Allora preso y ∈ Bδ (x0 ), y ̸= x0 , si ha
y ∈ Bϵ (x0 )\{x0 }
ed anche
( )
y ∈ Bϵ0 (x0 )\{x0 } ⊂ A.
Quindi
( )
y ∈ Bϵ (x0 )\{x0 } ∩ A
che implica
( )
Bϵ (x0 )\{x0 } ∩ A ̸= ∅.
Siccome questo vale per ogni ϵ > 0, si ha che x0 è punto di accumulazione per A. 2
Quindi ogni punto interno è di accumulazione. Chiaramente un punto interno non può
essere isolato perché un punto isolato non è di accumulazione per definizione. Veniamo
ai più delicati punti di frontiera.
Dimostrazione
La proposizione si può dimostrare in due modi diversi.
Dimostrazione 1) Se x0 è punto isolato di A, per la Proposizione 76 non può essere
esterno. Se x0 è punto isolato di A, per la Proposizione 77 non può essere interno: se
fosse punto interno sarebbe punto di accumulazione e quindi non isolato. Allora deve
essere punto di frontiera.
Dimostrazione 2) Per dimostrare che x0 è punto di frontiera di A devo dimostrare
che ogni suo intorno contiene sia punti di A sia punti di AC . Poiché x0 è isolato, si ha
che x0 ∈ A. Siccome ogni intorno di x0 contiene x0 e quindi contiene un punto di A,si
ha che per ogni ϵ > 0 si ha
Bϵ (x0 ) ∩ A ̸= ∅.
Inoltre, poiché è isolato, esiste un suo intorno che interseca A solo nel punto stesso,
cioè esiste ϵ0 > 0 tale che
( )
Bϵ0 (x0 )\{x0 } ∩ A = ∅
34
cioè
Bϵ0 (x0 )\{x0 } ⊂ AC
e
Bδ (x0 )\{x0 } ⊂ Bϵ (x0 )\{x0 } ⊂ AC
Quindi
y ∈ Bδ (x0 )\{x0 } ⇒ y ∈ Bϵ (x0 )\{x0 } ∩ AC
che implica
Bϵ (x0 ) ∩ AC ̸= ∅
La Proposizione appena dimostrata ci dice che ogni punto isolato è di frontiera. Non
vale però il viceversa, ovviamente, come il significativo esempio 68 ha mostrato, dove
il punto (1, 0) è contemporaneamente di frontiera e di accumulazione. Chiaramente,
per definizione, un punto di accumulazione non può essere isolato e viceversa. Ma un
punto di frontiera può essere isolato oppure può essere di accumulazione. Si ha anzi il
seguente importante risultato:
Dimostrazione
⇒ “Solo se” Sia x0 punto di frontiera e punto di accumulazione per A. Allora non può
essere punto isolato di A perchè altrimenti non sarebbe punto di accumulazione per A.
⇐ “Se” Sia x0 punto di frontiera e punto non isolato di A. Devo dimostrare che è
punto di accumulazione per A. Distinguiamo i due casi: 1) x0 ∈ A; 2) x0 ∈
/ A.
1) Se x0 ∈ A, x0 deve per forza essere di accumulazione per A, altrimenti, per defini-
zione sarebbe punto isolato di A.
2) Supponiamo x0 ∈
/ A. Poiché per ipotesi x0 è punto di frontiera di A, ogni suo
intorno deve contenere punti di A e punti di AC . Allora, poiché x0 ∈
/ A, ogni intorno
di x0 contiene almeno un punto di A diverso da x0 . Allora, per definizione, x0 è punto
di accumulazione per A. 2
35
1.11 Aperti e chiusi di Rn
Dimostrazione
Per dimostrare che una bi-implicazione e’ valida, bisogna dimostrare le due implicazio-
ni separatamente.
Dim. di (⇒).
E e’ chiuso ⇒ ∀x ∈ ∂E, x ∈ E.
Supponiamo, per assurdo, che ∃x0 ∈ ∂E/x0 ∈
/ E. Allora x0 ∈ E C . Questo e’ assurdo,
perche’ E e’ chiuso e quindi E C e’ aperto, e non puo’ contenere punti di frontiera.
Dim. di (⇐).
∂E ⊂ E ⇒ E e’ chiuso.
Supponiamo, per assurdo, che E non e’ chiuso. Allora, E C non e’ aperto. Quindi esiste
almeno un punto di E C che non e’ interno a E C , e quindi E C deve contenere almeno
un punto di frontiera, cioe’ ∃x0 ∈ E C ∩ ∂E. Ma questo e’ assurdo, perche’ per ipotesi
∂E ⊂ E, e quindi E C ∩ ∂E = ∅.
Casi particolari: ∅ e Rn
Abbiamo visto prima (vedi esempio 4 sui punti interni ed esterni) che tutti i punti
di R sono punti interni, pertanto R e’ aperto. Analogamente, e’ immediato dimostrare
36
che tutti i vettori di Rn sono interni, quindi anche Rn e’ aperto. Applicando la defini-
zione 81, si ha pertanto che ∅ = (Rn )C e’ chiuso.
Convenzione
Per convenzione l’insieme vuoto, ∅, e’ aperto in Rn , ∀n.
Dimostrazione
Dimostriamo che A1 ∪ A2 è aperto. Sia x0 ∈ A1 ∪ A2 . Supponiamo che x0 ∈ A1 .
Siccome A1 è aperto, esiste r > 0 tale che Br (x0 ) ⊂ A1 . Siccome A1 ⊂ (A1 ∪ A2 ), si
ha Br (x0 ) ⊂ (A1 ∪ A2 ). Se x0 ∈ A2 , si arriva alla stessa conclusione. Allora, per ogni
x0 ∈ A1 ∪ A2 , esiste r > 0 tale che Br (x0 ) ⊂ (A1 ∪ A2 ), cioè x0 è interno a A1 ∪ A2 ,
quindi A1 ∪ A2 è aperto.
Dimostriamo che A1 ∩ A2 è aperto. Sia x0 ∈ A1 ∩ A2 . Siccome x0 ∈ A1 e siccome A1
è aperto, esiste r1 > 0 tale che Br1 (x0 ) ⊂ A1 . Siccome x0 ∈ A2 e siccome A2 è aperto,
esiste r2 > 0 tale che Br2 (x0 ) ⊂ A2 . Sia r = min(r1 , r2 ). Siccome r ≤ r1 e r ≤ r2 , si
37
ha Br (x0 ) ⊂ Br1 (x0 ) ⊂ A1 e Br (x0 ) ⊂ Br2 (x0 ) ⊂ A2 , che implica Br (x0 ) ⊂ (A1 ∩ A2 ).
Quindi, per ogni x0 ∈ A1 ∩ A2 , esiste r > 0 tale che Br (x0 ) ⊂ (A1 ∩ A2 ), cioè x0 è
interno a A1 ∩ A2 , quindi A1 ∩ A2 è aperto.
Dimostrazione
Definiamo i complementari di C1 e C2 come A1 e A2 , cioè : A1 = (C1 )C e A2 = (C2 )C .
Siccome C1 e C2 sono chiusti, A1 e A2 sono aperti. Applicando le leggi di De Morgan,
si ha:
C1 ∪ C2 = (A1 )C ∪ (A2 )C = (A1 ∩ A2 )C
In altre parole, unioni e intersezioni finite di aperti (chiusi) sono aperti (chiusi). Per
quanto riguarda l’unione e intersezione infinita, si ha invece la seguente proposizione:
∪
Proposizione 88 Siano {Ai }i∈N ⊂ Rn , aperti di Rn . Allora, l’insieme +∞ i=1 Ai è
∩
aperto. Siano {Ci }i∈N ⊂ Rn , chiusi di Rn . Allora, l’insieme i=1 Ci è chiuso.
+∞
Esempio 89 Sia ( )
1 1
An = − , , .
n n n=1,2,3,....
38
Gli insiemi An sono aperti e inoltre si ha:
∩
+∞
An = {0},
i=n
Esempi 91 Considerare gli esempi visti prima nei punti interni, esterni e di frontiera
e stabilire se gli insiemi visti sono aperti, chiusi oppure ne’ aperti ne’ chiusi.
• In R:
1) E = (a, b) ⇒ E i = (a, b) = E.
E e’ aperto, poiche’ tutti i suoi punti sono interni. Quindi, E C = (−∞, a] ∪ [b, +∞) e’
chiuso (vedi def. 81). Verificare, per esercizio, che E C soddisfa la proprieta’ 82.
2) E = [a, b) ⇒ E i = (a, b). E non e’ aperto, perche’ i suoi punti non sono tutti
interni, a e’ di frontiera. Bisogna stabilire se E e’ chiuso. Il complementare di E,
E C = (−∞, a) ∪ [b, +∞) non e’ aperto, perche’ il punto b ∈ E C ed e’ di frontiera per
E C . Quindi, E non e’ chiuso, perche’ E C non e’ aperto.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.
39
4) E = R ⇒ E i = R
E e’ aperto e chiuso contemporaneamente (vedi 83).
8) E = {x ∈ R/1 < |x| < 2} = (−2, −1) ∪ (1, 2) ⇒ E i = (−2, −1) ∪ (1, 2) = E,
quindi E e’ aperto. Il suo complementare, E C = (−∞, −2] ∪ [−1, 1] ∪ [2, +∞), e’
chiuso. Verificare, per esercizio, che E C soddisfa la Proposizione 82. Verificare, inoltre,
che soddisfa il corollario 86.
11) E = {x ∈ [0, 2π]/ sin x > 12 }. Per esercizio, verificare che E e’ aperto.
40
punti interni, perche’ i punti di ([0, 1] ∩ R\Q) sono punti di frontiera, quindi E C non
e’ aperto. Quindi, E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.
13) E = (1, 3]\{2} ⇒ E i = (1, 2) ∪ (2, 3), quindi E non e’ aperto. Il suo comple-
mentare e’ E C = (−∞, 1] ∪ (3, +∞) ∪ {2} che non e’ aperto perche’ contiene i punti
di frontiera 1 e 2. Quindi E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.
Verificare che l’insieme E = (1, 3)\{2} e’ aperto e soddisfa la Proposizione 85.
14) E = (0, 2) ∪ {3} ⇒ E i = (0, 2), quindi E non e’ aperto (contiene il punto di
frontiera 3). Il suo complementare e’E C = (−∞, 0] ∪ [2, 3) ∪ (3, +∞), che non e’ aperto
perche’ contiene i punti di frontiera 0 e 2. Quindi E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.
• In R2 :
16) E = {x ∈ R2 /1 < x21 + x22 ≤ 4} ⇒ E i = {x ∈ R2 /1 < x21 + x22 < 4}, quindi
E non e’ aperto. Vediamo se e’ chiuso. Il suo complementare e’
E C = {x ∈ R2 /x21 + x22 ≤ 1} ∪ {x ∈ R2 /x21 + x22 > 4}, che non e’ aperto, in quanto
contiene i punti della circonferenza {x ∈ R2 /x21 + x22 = 1}, che sono di frontiera, quindi
E C non e’ aperto e E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.
41
quindi E non e’ aperto. Il suo complementare e’E C = {x ∈ R2 /x21 + x22 ≤ 1, x1 x2 ̸= 0},
che non e’ aperto, in quanto contiene i punti della circonferenza {x ∈ R2 /x21 + x22 = 1},
che sono di frontiera, quindi E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.
19) E = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 ≤ 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 < 1} ∪ {(3, 1)} ⇒
E i = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 < 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 < 1}, quindi E non e’
aperto.
Il suo complementare e’
E C = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 > 1} ∩ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 ≥ 1}\{(3, 1)}. E C non e’
aperto, in quanto contiene i punti di frontiera {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 = 1}, quindi E
non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.
• In R3 :
42
pio, i punti del tipo (0, x2 , x3 ), con x2 > 0, x3 > 0, che sono punti di frontiera (infatti,
ogni intorno sferico centrato in un punto (0, x2 , x3 ), x2 > 0, x3 > 0, contiene punti di
E). Quindi E C non e’ aperto e E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.
43
PARTE 2 LE FUNZIONI
f :A→B
f : A ⊂ Rn → B ⊂ R
f : A ⊂ Rn → B ⊂ R
una legge che a ogni elemento x = (x1 , x2 , ..., xn ) ∈ A associa uno e un solo elemento
y ∈ B. Si scrive anche: y = f (x) = f (x1 , x2 , ..., xn ).
f :A⊂R→B⊂R
44
che a ogni elemento x ∈ A associano un elemento y ∈ B, secondo la regola: y = f (x).
1) A = B = R, f : R → R, f (x) = x2 .
La relazione f e’ una funzione. Infatti, a ogni elemento x ∈ R associa uno e un solo
elemento di R: il suo quadrato.
√ √
2) A = R+ , B = R, f : R+ → R, f (x) = {− x, + x}.
La relazione f non e’ una funzione. Infatti, a ogni elemento x ∈ R+ associa due ele-
√ √
menti di R: + x e − x, per essere una funzione dovrebbe associare uno e un solo
elemento.
√
3) A = R+ , B = R, f : R+ → R, f (x) = x.
La relazione f e’ una funzione. Infatti, a ogni elemento x ∈ R+ associa un solo ele-
√
mento di R: x (che, ricordiamolo, e’ considerato col segno +).
4) A = B = R, f : R → R, f (x) = 10.
La relazione f e’ una funzione. Infatti, a ogni elemento x di R associa un solo elemento
di R (sempre lo stesso: il punto y = 10).
Per visualizzare una funzione reale di variabile reale, e’ spesso opportuno ricorrere al
grafico della funzione y = f (x), che esprime graficamente come varia il valore di y al
variare di x. E’ possibile usare il grafico della funzione anche nel caso di funzioni da
R2 in R. Per funzioni da Rn in R con n ≥ 3, non e’ possibile disegnare il grafico di
45
funzione, che quindi perde gran parte della sua utilita’ immediata.
f :A⊂R→B⊂R
il grafico di f è
Graf (f ) = {(x, f (x)) ∈ R2 , x ∈ A}
Osservazione 97
Ogni retta x = a, con a ∈ A (retta parallela all’asse y), tocca il grafico di f in uno e
un solo punto: nel punto (a, f (a)). Questa e’ una conseguenza immediata del fatto che
f e’ una funzione (dimostrare, per esercizio, che se la retta x = a incontra il grafico di
f in due o piu’ punti, allora f non e’ una funzione).
Per funzioni
f : A ⊂ R2 → B ⊂ R
il grafico di f è
Graf (f ) = {(x, f (x)) ∈ R3 , x ∈ A}
46
capire come evolve la superficie Graf (f ) in R3 e rappresentarla. In particolare, si ha
la seguente definizione:
• f (x1 , x2 ) = x1 x2
Se c < 0, Sc = {x ∈ R2 : x1 x2 = c} cioé è l’iperbole equilatera con asintoti gli assi
il cui grafico sta nel secondo e quarto quadrante.
Se c = 0, S0 = {x1 = 0} ∪ {x2 = 0}, cioé sono i due assi.
Se c > 0, Sc = {x ∈ R2 : x1 x2 = c} cioé è l’iperbole equilatera con asintoti gli assi
il cui grafico sta nel primo e terzo quadrante.
È evidente che ogni punto x0 = (x01 , x02 ) del dominio di f appartiene ad una e una sola
curva di livello: essa è Sc0 (f ), dove c0 è tale che f (x0 ) = f (x01 , x02 ) = c0 . Volendo sapere
47
a quale specifica curva di livello appartiene un determinato punto di R2 , si segue la
semplice procedura illustrata dal seguente esempio:
Per prima cosa, dobbiamo calcolare quale valore assume f nel punto desiderato: si ha
f (2, 4) = 8. Si tratta quindi di calcolare S8 . Si ha: S8 = {(x1 , x2 ) ∈ R2 : 6x1 + x2 − 8 =
8} = {(x1 , x2 ) ∈ R2 : 6x1 + x2 = 16} sono cioé i punti della retta di equazione
x2 = −6x1 + 16.
D’ora in poi, per comodità , si prenderà B = R. Segue che il codominio delle funzioni
considerate sarà sempre R.
f : A ⊂ Rn → R
48
In altre parole, l’immagine di f è l’insieme dei punti del codominio che hanno almeno
una controimmagine in A, o, intuitivamente, l’insieme di punti del codominio che ven-
gono “colpiti“ da punti del dominio tramite la funzione f .
L’immagine di una funzione puo’ coincidere col suo codominio, R, oppure essere un
sottoinsieme strettamente contenuto in R. Quando l’immagine coincide col codominio
si ha una funzione suriettiva. Si ha quindi la seguente definizione:
Vediamo alcuni esempi per calcolare l’immagine di una funzione e studiarne la suriet-
tività .
1) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = x2 .
0 ( R (dove, con R0 si intende: R0 = {x ∈ R/x ≥ 0}).
L’immagine di f è Im(f ) = R+ + +
49
2) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = x3 .
L’immagine di f è Im(f ) = R = R, quindi f è suriettiva.
Infatti, preso un qualsiasi elemento y ∈ R, y ha una controimmagine in R: la sua
controimmagine è quel numero il cui cubo è y stesso, cioè la controimmagine di y è
√
x = 3 y.
Lo stesso vale per ogni funzione y = f (x) = xn , con n dispari, e in tal caso, la contro-
√
immagine di y è x = n y.
3) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = −9.
L’immagine di f è Im(f ) = {−9} ( R, quindi f non è suriettiva. Infatti, preso un
qualsiasi elemento y ̸= −9, @ x ∈ R/f (x) = y.
4) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = sin x.
L’immagine di f è Im(f ) = [−1, 1] ( R, quindi f non è suriettiva. Lo stesso vale per
la funzione y = f (x) = cos x.
5) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = |x|.
0 ( R, quindi f non è suriettiva.
L’immagine di f è Im(f ) = R+
6) f : A ⊂ R → R, A = R\{0}, f (x) = x1 .
L’immagine di f è Im(f ) = R\{0} ( R, quindi f non è suriettiva.
√ 1
7) f : A ⊂ R → R, A = R+
0 , f (x) = x = x2 .
0 ( R, quindi f non è suriettiva.
L’immagine di f è Im(f ) = R+
Una caratteristica delle funzioni ancora piu’ importante della suriettività è l’iniettivi-
ta’. Intuitivamente, una funzione è iniettiva se ogni elemento dell’immagine di f ha
una sola controimmagine e non piu’ d’una (sappiamo già dalla definizione 102 che ogni
elemento dell’immagine di f ha almeno una controimmagine: se vale l’inieittività ogni
elemento di Im(f ) ha una e una sola controimmagine). In altre parole, se elementi
diversi del dominio vanno in punti diversi dell’immagine.
50
Definizione 106 Data una funzione f : A ⊂ Rn → R la funzione si dice iniettiva se
x ̸= y ⇒ f (x) ̸= f (y) ∀ x, y ∈ A.
f (x) = f (y) ⇒ x = y ∀ x, y ∈ A.
Dimostrazione
Dim. di (⇒).
f è iniettiva ⇒ (∀ x, y ∈ A t.c. f (x) = f (y) ⇒ x = y).
Supponiamo per assurdo che la tesi da dimostrare non sia vera. Allora, esistono
due elementi x, y ∈ A tali che f (x) = f (y) e x ̸= y. Quindi, non è vero che
∀ x, y ∈ A, x ̸= y ⇒ f (x) ̸= f (y), quindi f non è iniettiva, ma questo è as-
surdo (f è iniettiva per ipotesi).
Dim. di (⇐).
(∀ x, y ∈ A t.c. f (x) = f (y) ⇒ x = y) ⇒ f è iniettiva.
Di nuovo, lo dimostriamo per assurdo. Supponiamo che f non sia iniettiva. Allora,
negando la Definizione 106, si ha che ∃ x, y ∈ A, x ̸= y tali che f (x) = f (y). Ma
per ipotesi, due elementi con la stessa immagine devono coincidere, cioè x = y, quindi
siamo arrivati a un assurdo.
Osservazione 108 In molti testi, il Lemma 107 viene dato come definizione di iniet-
tività di una funzione.
51
Ovviamente, se una funzione è biiettiva, ogni elemento y ∈ R ha un’unica controim-
magine nel dominio di f , cioè ∀y0 ∈ R, ∃x0 ∈ A t.c. y0 = f (x0 ).
Osservazione 110 Per funzioni reali di variabile reale esistono utili relazioni tra
la suriettività , l’iniettività o la biiettività di una funzione e il suo grafico. Sia
f : A ⊂ R → R una funzione e sia Graf (f ) il suo grafico.
Se f è suriettiva, ogni retta (orizzontale) del tipo y = k, con k ∈ R, incontra Graf (f )
in almeno un punto x0 (e in tal caso si ha f (x0 ) = k).
Se f è iniettiva, ogni retta (orizzontale) del tipo y = k, con k ∈ R, incontra Graf (f )
in non piu’ di un punto. Se, inoltre, k ∈ Im(f ), la retta y = k incontra il grafico di f
in uno e un solo punto x0 (tale che k = f (x0 )).
Se f è biiettiva, ogni retta (orizzontale) del tipo y = k, con k ∈ R, incontra Graf (f )
in uno e un solo punto (tale che k = f (x0 )).
Esempi 111 Stabilire se le funzioni negli esempi 105 sono iniettive e biiettive, giusti-
ficando.
1) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = x2 .
Ogni elemento di Im(f ) ha due controimmagini (tranne 0, perche’ ?). Infatti, da-
√ √
to y ∈ R+ 0 , sia il punto − y sia il punto y hanno y come immagine (infatti,
√ 2 √ 2
(− y) = |y| = y, e ( y) = |y| = y).
√ √
Alternativamente, dati x1 = − y e x2 = y, si ha x1 ̸= x2 (se y ̸= 0), ma
f (x1 ) = f (x2 ) = y.
Quindi, f non è iniettiva e non è biiettiva.
La stessa conclusione vale per ogni funzione y = f (x) = xn , con n pari (dimostrazione
analoga).
2) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = x3 .
√
Ogni elemento y ∈ R ha una sola controimmagine in R, pari a x = 3 y.
52
3) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = −9.
Tutti i punti x ∈ R hanno la stessa immagine, f (x) = −9, ∀x ∈ R: elementi diversi
del dominio hanno la stessa immagine nel codominio.
Quindi, f non è iniettiva e non è biiettiva.
4) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = sin x.
E’ facile verificare che elementi diversi del dominio hanno la stessa immagine. Con-
sideriamo, per esempio, x = 0, y = π. Si ha x ̸= y, ma f (x) = f (0) = sin 0 = 0 e
f (y) = f (π) = sin π = 0, cioè f (x) = f (y).
Quindi, f non è iniettiva e non è biiettiva.
Lo stesso vale per la funzione y = f (x) = cos x (per esercizio, trovare due punti x e y
di R tali che si abbia x ̸= y e f (x) = f (y)).
5) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = |x|.
Come nell’esempio 1), anche qui elementi diversi del dominio vanno nello stesso ele-
mento del codominio, e anche qui ogni elemento dell’immagine ha due controimmagini
(tranne 0, che ne ha una sola, quale?). Infatti, preso un qualsiasi y ∈ R+
0 , sia x = y
6) f : A ⊂ R → R, A = R\{0}, f (x) = x1 .
Ogni elemento y ∈ R\{0} = Im(f ) ha un’unica controimmagine in A. Infatti, dato
y ̸= 0, la sua controimmagine è x = y1 .
E’ possibile inoltre dimostrare che elementi diversi del dominio vanno in elementi di-
versi del codominio. Infatti, siano x1 , x2 ∈ A, x1 ̸= x2 . Si ha: f (x1 ) = 1
x1
̸= 1
x2
= f (x2 ).
Alternativamente, è possibile dimostrare che se due elementi hanno la stessa imma-
gine in Im(f ), allora i due elementi devono coincidere in A. Infatti, siano x1 , x2 ∈
1 1
A t.c. f (x1 ) = f (x2 ), cioè x1
= x2
. Allora, moltiplicando entrambi i termini per
x1 x2 , si ha: x1 = x2 .
Quindi, f è iniettiva. Tuttavia non è biiettiva, in quanto non è suriettiva.
√ 1
7) f : A ⊂ R → R, A = R+
0 , f (x) = x = x2 .
53
Presi due elementi diversi del dominio di f , essi hanno immagini diverse. Infatti, siano
√ √
siano x1 , x2 ∈ R+
0 , x1 ̸= x2 . Le loro immagini sono f (x1 ) = x1 ̸= x2 = f (x2 ).
Quindi f è iniettiva. Tuttavia non è biiettiva, in quanto non è suriettiva.
E’ facile verificare che una funzione pari ha il grafico simmetrico rispetto all’asse delle
ordinate, e una funzione dispari ha il grafico simmetrico rispetto all’origine. Ovvia-
mente, una funzione puo’ essere pari, dispari oppure nè pari nè dispari.
Esempi fondamentali di funzioni che hanno una certa parità o periodicità , tra le fun-
zioni reali di variabile reale, sono i seguenti:
54
Esempi 115 Dire se le seguenti funzioni f : R → R sono pari, dispari o nè pari nè
dispari:
1) f (x) = x2 + 1
Per vedere se f sia pari o dispari, si calcola f (−x) e si verifica se è uguale a f (x) (in
tal caso, la funzione è pari), a −f (x) (in tal caso, la funzione è dispari), oppure nè a
f (x) nè a −f (x) (in tal caso, la funzione non è nè pari nè dispari).
Si ha: f (−x) = (−x)2 + 1 = x2 + 1 = f (x), quindi la funzione è pari.
x3 −x
2) f (x) = x2 +1
(−x)3 −(−x) −x3 +x
si ha: f (−x) = (−x)2 +1
= x2 +1
= −f (x), quindi la funzione è dispari.
3) f (x) = sin x2
Si ha: f (−x) = sin(−x)2 = sin x2 = f (x), quindi la funzione è pari.
4) f (x) = sin x
Si ha: f (−x) = sin(−x) = − sin x = −f (x), quindi la funzione è dispari.
5) f (x) = cos 3x
Si ha: f (−x) = cos(3(−x)) = cos(−3x) = cos 3x = f (x), quindi la funzione è pari.
2x +2−x
7) f (x) = 3
.
−x −(−x) 2x +2−x
Si ha: f (−x) = 2 +23 = 3
= f (x), quindi la funzione è pari.
2x −2−x
Verificare che invece f (x) = 3
è dispari.
1−x
8) f (x) = ln 1+x = ln(1 − x) − ln(1 + x).
Si ha: f (−x) = ln 1−(−x)
1+(−x)
= ln 1+x
1−x
= ln(1 + x) − ln(1 − x) = −f (x), quindi la funzione
è dispari.
sin x
9) f (x) = x
.
sin(−x) − sin x sin x
Si ha: f (−x) = (−x)
= −x
= x
= f (x), quindi la funzione è pari.
55
sin x
10) f (x) = x−2
.
− sin x
Si ha: f (−x) = sin(−x)
(−x)−2
= −x−2
= sin x
x+2
. f (−x) non è nè pari a f (x) nè a −f (x), quindi
la funzione non è nè pari nè dispari.
3x −1
11) f (x) = 3x +1
.
−x 1
−1
Si ha: f (−x) = 33−x −1+1
= 3x
1
+1
= 1−3x
1+3x
= −f (x), quindi la funzione è dispari.
3x
x
12) f (x) = 2x −1
.
−x
Si ha: f (−x) = 2−x −1
. f (−x) non è nè pari a f (x) nè a −f (x), quindi la funzione non
è nè pari nè dispari.
1 √
2) y = f (x) = x n = n
x, con n ∈ N. Il grafico passa dal punto (1, 1). Dominio
e immagine cambiano, a seconda che n sia pari o dispari.
n ∈ N pari.
Il dominio è Dom(f ) = R+ +
0 , l’immagine è Im(f ) = R0 . f è iniettiva, e non è surietti-
56
n ∈ N dispari.
Il dominio è Dom(f ) = R, l’immagine è Im(f ) = R. f è iniettiva e suriettiva, quindi
è biiettiva. Inoltre, f è dispari.
3) f (x) = x−n = 1
xn
, con n ∈ N.
Valgono tutte le cose dette per xn , con esclusione del punto 0 dal dominio e dall’im-
magine (e con la differenza che non si ha suriettività per n dispari). Il dominio è
Dom(f ) = R\{0} per ogni n. Il grafico passa dal punto (1, 1).
n ∈ N pari.
L’immagine è Im(f ) = R+ . f non è iniettiva, nè suriettiva. Inoltre, f è una funzione
pari.
n ∈ N dispari.
L’immagine è Im(f ) = R\{0}. f è iniettiva, ma non è suriettiva (perchè 0 non appar-
tiene a Im(f )). Inoltre, f è una funzione dispari.
4)f (x) = x− n = ( x1 ) n = ( √
1 1
n x ), con n ∈ N.
1
1 √
Valgono tutte le cose dette per x n = n x, con esclusione del punto 0 dal dominio e
dall’immagine (e con la differenza che non si ha suriettività per n dispari). Il grafico
passa dal punto (1, 1).
n ∈ N pari.
Il dominio è Dom(f ) = R+ = {x > 0}. L’immagine è Im(f ) = R+ = {x > 0}. f è
iniettiva, e non è suriettiva. Inoltre, f non è pari nè dispari.
n ∈ N dispari.
Il dominio è Dom(f ) = R\{0} = {x ̸= 0}. L’immagine è Im(f ) = R\{0} = {x ̸= 0}.
f è iniettiva ma non è suriettiva. Inoltre, f è dispari.
57
Esempio particolare e di fondamentale importanza di funzione esponenziale è quello in
cui la base a è il numero e (dove e = 2.718...).
58
1) Grafico di |f (x)|.
Si ribalta sopra l’asse delle ascisse la parte di grafico che sta sotto tale asse.
2) Grafico di f (|x|).
Si ribalta a sinistra dell’asse delle ordinate la parte di grafico che sta a destra di tale
asse (cancellando la parte di grafico che nella f originaria sta a sinistra dell’asse delle
ordinate, cioè la parte di grafico corrispondente a {x < 0}).
5) Grafico di −f (x).
Si ribalta il grafico rispetto all’asse delle ascisse.
6) Grafico di f (−x).
Si ribalta il grafico rispetto all’asse delle ordinate.
59
Esempi 116 Disegnare i grafici delle seguenti funzioni:
60
√
23) y = f (x) = x−4 24) y = f (x) = lg 1 (x + 1)
3
2. se x compare sotto il segno di una radice di indice pari, bisogna richiedere che il
√
radicando sia non negativo; es. f (x) = x + 2 ⇒ x ≥ −2;
√
x2 −3
√ √
2) f (x) = e ⇒ x2 − 3 ≥ 0 ⇒ Dom(f ) = {x ≤ − 3} ∪ {x ≥ 3}
√
3) f (x) = log x2 + 3 ⇒ x2 + 3 > 0 ⇒ Dom(f ) = R
√
4) f (x) = log 3
x2 + 5 ⇒ x2 + 5 > 0 ⇒ Dom(f ) = R
61
√
5) f (x) = ln(x2 − 3)
{ {
x2 − 3 > 0 x2 − 3 > 0
√ ⇒ ⇒ Dom(f ) = {x ≤ 2} ∪ {x ≥ 2}
ln( x2 − 3) ≥ 0 x2 − 3 ≥ 1
√
log( x2 −3)
6) f (x) = |x2 −4|
2
−3≥0
x
√ √ √
x2 − 3 > 0 ⇒ Dom(f ) = ((−∞, − 3) ∪ ( 3, +∞))\{−2, 2}
x2 − 4 ̸= 0
7) f (x) = 1
x
+ 1
x−1
⇒ Dom(f ) = (−∞, 0) ∪ (0, 1) ∪ (1, +∞)
√
1
8) f (x) = x−1
{
x − 1 ̸= 0
⇒ Dom(f ) = {x > 1}
1
x−1
≥0
√
9)
f (x) = x(x − 1)(x − 2)(x + 3)
x≥0
x−1≥0
⇒ Dom(f ) = {x ≤ −3} ∪ {0 ≤ x ≤ 1} ∪ {x ≥ 2}
x−2≥0
x+3≥0
√ √
10) f (x) = 1 − x2 − 4 ⇒ Dom(f ) = {x ≤ −2} ∪ {x ≥ 2}
3
1) f (x1 , x2 ) = 1
1+x1 +x2
⇒ 1 + x1 + x2 ̸= 0 ⇒ Dom(f ) = {x ∈ R2 : x2 ̸= −1 − x1 }
2) f (x1 , x2 ) = 1
x1
+ 1
x2
⇒ x1 ̸= 0 e x2 ̸= 0 ⇒ Dom(f ) = {x ∈ R2 : x1 ̸= 0, x2 ̸= 0}
62
3) f (x) = 1
x1 +x2 +x3
⇒ x1 + x2 + x3 ̸= 0 ⇒ Dom(f ) = {x ∈ R3 : x3 ̸= −x1 − x2 }
4) f (x) = 1
x1 x2 x3
⇒ x1 ̸= 0 e x2 ̸= 0 e x3 ̸= 0 ⇒
Dom(f ) = {x ∈ R3 : x1 ̸= 0, x2 ̸= 0, x3 ̸= 0}
√
5) f (x) = ∥x∥2 − 1 con x ∈ R3
⇒ ∥x∥2 − 1 ≥ 0 ⇒ Dom(f ) = {x ∈ R3 : x21 + x22 + x23 ≥ 1}
√
6) f (x) = 1 − ∥x∥2 con x ∈ R3 ⇒ 1 − ∥x∥2 ≥ 0
⇒ Dom(f ) = {x ∈ R3 : x21 + x22 + x23 ≤ 1} = B1 (0) ∪ {x ∈ R3 : d(x, 0) = 1}
√
7) f (x) = ln( 1 − ∥x∥2 ) con x ∈ R3 ⇒ 1 − ∥x∥2 > 0
⇒ Dom(f ) = {x ∈ R3 : x21 + x22 + x23 < 1} = B1 (0)
x1 x22
8) f (x1 , x2 ) = x1 −ln x2
{ {
x2 > 0 x2 > 0
⇒ ⇒ Dom(f ) = {(x1 , x2 ) ∈ R2 : x2 > 0, x2 ̸= ex1 }
x1 − ln x2 ̸= 0 x2 ̸= e
x1
√ x2 + x2 ̸= 0
1 2
9) f (x1 , x2 ) = 1+ 4x1 x2
⇒
x1 +4x2 1 x22+x2 ≥ 0
2 2
x21 +x22
x1 +x2
√ √
⇒ Dom(f ) = ({x1 ≤ −2x2 − 3|x2 |, } ∪ {x1 ≥ −2x2 + 3|x2 |})\{(0, 0)}
√
10) f (x, y) = xy(xy − 1) ⇒ xy(xy − 1) ≥ 0
{ {
xy ≥ 0 xy ≤ 0
o ⇒ xy ≥ 1 o xy ≤ 0
xy − 1 ≥ 0 xy − 1 ≤ 0
(f ◦ g)(x) = f (g(x))
63
Si ha quindi:
f ◦ g : B ⊂ R → Im(g) ⊂ A ⊂ R → R
x → g(x) → f (g(x))
E’ chiaro come la funzione composta sia definita su tutti gli elementi del dominio B
di g se e solo se tutti gli elementi dell’immagine di g appartengono al dominio A di f .
Infatti, se esiste un elemento x ∈ B la cui immagine g(x) ∈
/ A, tale elemento non ha
immagine in R tramite f (in quanto, in tal caso, non è possibile applicare la funzione
f a g(x)) e quindi c’è un elemento di B che non ha una immagine in R tramite f ◦ g,
contro la definizione stessa di funzione definita su B.
Viceversa, se tutti gli elementi di Im(g) appartengono al Dom(f ), ogni elemento x ∈ B
va a finire in un unico elemento g(x) ∈ Dom(f ) (per definizione di funzione, applicata
a g) e g(x) va a finire in un unico elemento f (g(x)) ∈ R (per definizione di funzione,
applicata a f ), e quindi ogni elemento x di B va a finire in un unico elemento f (g(x))
di R mediante f ◦ g, e quindi f ◦ g è una funzione.
Tuttavia, se risulta Im(g) * Dom(f ) (se cioè l’immagine di g risulta non contenu-
ta nel dominio di f ), f ◦ g puo’ essere definita su un dominio piu’ ristretto di B,
escludendo gli elementi di B la cui immagine mediante g va a finire fuori da Dom(f ).
√
2) f (x) = cos x, g(x) = x+2
64
Dom(f ) = R, Dom(g) = [−2, +∞), Im(f ) = [−1, 1], Im(g) = R+
0.
√
(f ◦ g)(x) = f (g(x)) = cos( x + 2).
Si ha: Dom(f ◦ g) = [−2, +∞) = Dom(g) (infatti, Im(g) ⊂ Dom(f )). Im(f ◦ g) =
[−1, 1].
√
(g ◦ f )(x) = g(f (x)) = cos x + 2.
√
Si ha: Dom(g ◦ f ) = R = Dom(f ) (infatti, Im(f ) ⊂ Dom(g)). Im(g ◦ f ) = [1, 3].
Per capire cosa è la funzione inversa, consideriamo un esempio molto semplice. Sia
A un insieme con due elementi: A = {a1 , a2 } e sia B un insieme con due elementi:
B = {b1 , b2 }. Sia f una funzione da A in B, f : A → B tale che f (a1 ) = b1 , f (a2 ) = b2 .
Cioè :
f :A→B
a1 → b1
a2 → b2
Consideriamo ora la relazione che associa ad ogni elemento di B la controimmagine (o
le controimmagini) in A mediante f , e la chiamiamo f −1 :
f −1 : B → A
b1 → a1
b2 → a2
La relazione f −1 è in realta’ una funzione, infatti associa ad ogni elemento di B uno
e un solo elemento di A. Osserviamo inoltre che f è una funzione iniettiva: infatti
elementi diversi di A vanno in elementi diversi di B. In questo caso, possiamo dire
che la funzione inversa esiste ed è la funzione f −1 : B → A, tale che f −1 (b1 ) = a1 e
f −1 (b2 ) = a2 .
Consideriamo ora un altro esempio, simile al precedente. Sia A un insieme con tre
elementi: A = {a1 , a2 , a3 } e sia B un insieme con due elementi: B = {b1 , b2 }. Sia f
una funzione da A in B, f : A → B tale che f (a1 ) = b1 , f (a2 ) = b2 , f (a3 ) = b2 . Cioè :
65
f :A→B
a1 → b1
a2 → b2
a3 → b2
Consideriamo ora la relazione che associa ad ogni elemento di B la controimmagine (o
le controimmagini) in A mediante f , e la chiamiamo f −1 :
f −1 : B → A
b1 → a1
b2 → {a2 , a3 }
f : X → f (X)
x→y
y→x
che associa ad ogni elemento dell’immagine di f la/e sua/e controimmagine/i sia una
funzione, essa deve associare ad ogni elemento di Im(f ) uno e un solo elemento di X,
cioè ogni elemento di Im(f ) deve avere una sola controimmagine, cioè f deve essere
iniettiva.
66
Definizione 121 Sia f : A ⊂ R → R una funzione. Se f è iniettiva, si dice che f è
invertibile in A, e si chiama funzione inversa di f la funzione f −1 che ad ogni
elemento y dell’immagine di f associa la sua controimmagine x ∈ A, cioè la funzione
f −1 : Im(f ) → A
cosi’ definita:
f −1 (y) = x ⇔ f (x) = y
Si ha inoltre:
(f ◦ f −1 )(x) = x
e
(f −1 ◦ f )(x) = x
cioè componendo una funzione con la sua inversa (e viceversa) si ottiene la funzione
identità I(x) = x, e si scrive anche
f ◦ f −1 = f −1 ◦ f = I
67
√ √
E si ha: (f ◦ f −1 )(x) = f (f −1 (x)) = f −1 (x) = x3 = x.
3 3
2) f : R → R, f (x) = x2 . Si ha Im(f ) = R+
0 e Dom(f ) = R.
√
0 → R0 , f (x) =
3) f : R+ +
x. Qui si ha Im(f ) = R+ +
0 e Dom(f ) = R0 .
5) f : R → R+ , f (x) = ex .
f è iniettiva e quindi è invertibile. Si ha: Im(f ) = R+ , Dom(f ) = R.
Per trovare la funzione inversa si deve ricavare la variabile x come funzione della varia-
bile y. Da y = f (x) = ex si ricava x = ln y (applicando il logaritmo naturale a destra
e a sinistra). Quindi f −1 manda un generico elemento y nella sua controimmagine
x = ln y, cioè f −1 (y) = ln y, e vedendola come funzione di x, si ha f −1 (x) = ln x.
La funzione inversa è : f −1 : R+ → R, f −1 (x) = ln x.
Si ha: (f −1 ◦ f )(x) = f −1 (f (x)) = ln(f (x)) = ln(ex ) = x (osserviamo che ex > 0).
−1 (x)
E si ha: (f ◦ f −1 )(x) = f (f −1 (x)) = ef = eln x = x.
68
6) f : R+ → R, f (x) = ln x.
f è iniettiva e quindi è invertibile. Si ha: Im(f ) = R, Dom(f ) = R+ .
Per trovare la funzione inversa si deve ricavare la variabile x come funzione della va-
riabile y. Da y = f (x) = ln x si ricava x = ey (applicando l’esponenziale a destra e a
sinistra). Quindi f −1 manda un generico elemento y nella sua controimmagine x = ey ,
cioè f −1 (y) = ey , e vedendola come funzione di x, si ha f −1 (x) = ex .
La funzione inversa è : f −1 : R → R+ , f −1 (x) = ex .
Per esercizio, verificare che (f ◦ f −1 )(x) = x e (f −1 ◦ f )(x) = x.
69
PARTE 3 I LIMITI
Esempio 123
sin x
Sia data la funzione y = f (x) = x
, Dom(f ) = R\{0}. Come si comporta f av-
vicinandosi al punto x0 = 0? E’ sempre possibile studiare il comportamento di f
nell’intorno di 0 andando a prendere valori sempre piu’ vicini a 0 e vedendo che valori
assume la funzione in tali punti.
x -1 -0.5 -0.2 -0.1 -0.01 -0.001 0.001 0.01 0.1 0.2 0.5 1
sin x
x
0.84 0.9588 0.993 0.998 0.99998 0.9999999 0.9999999 0.99998 0.998 0.993 0.9588 0.84
Andando avanti con i valori, si puo’ verificare che per valori di x “sempre piu’ vicini”
sin x
a x0 = 0 si hanno valori di f (x) = x
“sempre piu’ vicini” al valore l = 1.
sin x
In questo caso si dice che “il limite di x
per x che tende a 0 è 1”, e si scrive:
sin x
lim =1
x→0 x
Esempio 124
70
Dom(f ) = R. Come si comporta f avvicinandosi al punto x0 = 1? Studiamo il com-
portamento di f nell’intorno di 1 andando a prendere valori sempre piu’ vicini a 1 e
vedendo che valori assume la funzione in tali punti.
x 0.9 0.95 0.98 0.99 0.999 0.9999 1.0001 1.001 1.01 1.02 1.05 1.1
f (x) 0.9 0.95 0.98 0.99 0.999 0.9999 1 1 1 1 1 1
Andando avanti con i valori, si puo’ verificare che per valori di x “sempre piu’ vicini”
a x0 = 1 si hanno valori di f (x) “sempre piu’ vicini” al valore l = 1.
In questo caso si dice che “il limite di f (x) per x che tende a 1 è 1”, e si scrive:
lim f (x) = 1
x→1
Osserviamo che in questo caso il valore che la funzione assume nel punto 1 è f (1) = 1,
e quindi si ha che il valore del limite è uguale al valore della funzione.
Esempio 125
La funzione è quasi uguale al quella dell’esempio precedente, tranne per il fatto che
nel punto x = 1 la funzione “salta” al valore 2 (si ha infatti f (1) = 2). Andando a
studiare per valori il comportamento di f nell’intorno di x0 = 1, si costruisce la stessa
tabellina di valori di prima (perchè la funzione a sinistra e a destra di 1 è identica a
quella dell’esempio precedente), e quindi da li’ si deduce che anche in questo caso si ha
lim f (x) = 1
x→1
71
Osserviamo che stavolta il valore che la funzione assume nel punto 1 è f (1) = 2, e
quindi si ha che stavolta il valore del limite non è uguale al valore della funzione.
Esempio 126
Consideriamo la funzione:
1
y = f (x) =
x−2
Si ha: Dom(f ) = R\{2}. Andiamo a vedere cosa accade per valori prossimi a x0 = 2
da destra. “Avvicinarci al punto x0 = 2 da destra” vuol dire avvicinarsi considerando
valori x > 2.
Per valori “sempre piu’ vicini” a 2 da destra la funzione assume valori “sempre più
grandi”. In questo caso si dice che “la funzione f tende a piu’ infinito” per x che tende
a 2 da destra e si scrive:
lim f (x) = +∞
x→2+
Per valori “sempre piu’ vicini” a 2 da sinistra la funzione assume “valori negativi sempre
più grandi in valore assoluto”. In questo caso si dice che “la funzione f tende a meno
72
infinito” per x che tende a 2 da sinistra e si scrive:
lim f (x) = −∞
x→2−
Osserviamo che
lim f (x) ̸= lim− f (x)
x→2+ x→2
cioè limite destro e sinistro esistono, ma sono diversi tra loro. In questo caso, vedremo
che il limite di f (x) per x che tende a 2 non esiste, in quanto i limiti destro e sinistro
sono diversi tra loro (e diremo quindi che non esiste il limite “globale” o “bilaterale”).
Sempre in questo esempio, cosa succede se come x0 consideriamo +∞? Vuol dire con-
siderare valori molto grandi di x. Si ha la seguente tabellina di valori:
Per valori “sempre piu’ grandi” di x la funzione assume valori “sempre piu’ vicini a 0”.
Si dice che “la funzione tende a 0 per x che tende a piu’ infinito” e si scrive:
lim f (x) = 0
x→+∞
lim f (x) = 0+
x→+∞
Cosa succede se come x0 consideriamo −∞? Vuol dire considerare valori di x negativi
e molto grandi in valore assoluto. Si ha la seguente tabellina di valori:
73
x -100 -1000 -10000 -100000 -1000000
f (x) -0.0098 -0.000998 -0.0001 -0.00001 -0.000001
Per valori di x “minori di 0 e sempre piu’ grandi in valore assoluto”, la funzione assume
valori “sempre piu’ vicini a 0”. Si dice che “la funzione tende a 0 per x che tende a
meno infinito” e si scrive:
lim f (x) = 0
x→−∞
lim f (x) = 0−
x→−∞
Esempio 127
74
limite di f per x che tende a 1 da destra è 1” e si scrive:
lim f (x) = 1
x→1+
si puo’ dimostrare (vedi teorema 5) che il limite esiste e coincide col valore comune di
limite destro e limite sinistro, cioè
In generale, la scrittura
lim f (x) = L
x→x0
75
3.2 Prime definizioni di limite
Come formalizziamo le espressioni usate negli esempi del tipo “per valori sempre piu’
vicini a...”, “la funzione si avvicina sempre piu’ a...”, “la funzione tende a...”? Si for-
malizzano con il concetto di limite.
lim f (x) = L
x→x0
se per ogni intorno I(L) di L esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che ∀x ∈ U (x0 )∩A, x ̸=
x0 , si ha: f (x) ∈ I(L).
La scrittura limx→x0 f (x) = L si legge “il limite di f (x) per x che tende a x0 è L”.
76
del tipo U (x0 ) = (x0 − δ, x0 + δ). Quindi, considerando che dare un intorno di un punto
significa dare un raggio dell’intorno (ogni intorno di un certo punto è identificato in
modo univoco dal suo raggio), la definizione data con gli intorni si puo’ riscrivere nel
seguente modo:
lim f (x) = L
x→x0
In sostanza, si sta dicendo che dato un raggio arbitrariamente piccolo ϵ > 0, e quin-
di un intorno arbitrariamente piccolo di L, si puo’ trovare un raggio sufficientemente
piccolo δϵ > 0, e quindi un intorno sufficientemente piccolo di x0 , tale che tutti i punti
x che cadono nell’intorno (x0 − δϵ , x0 + δϵ ) di x0 , tolto il punto x0 stesso, andranno in
punti f (x) che distano meno di ϵ da L, cioè andranno in punti f (x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ).
L’intorno di x0 trovato dipende ovviamente dalla scelta dell’intorno di L, e questo si
esplicita scrivendo δϵ (che significa “δ dipende da ϵ“), con un raggio δ > 0 tanto piu’
piccolo quanto piu’ piccolo si sceglie il raggio ϵ. Per brevità di notazione, nel seguito
ometteremo il pedice ϵ al raggio δ e al posto di δϵ > 0 scriveremo semplicemente δ > 0.
77
Osservazione 130 (importante)
Sia data una funzione f : R → R e sia
lim f (x) = L.
x→x0
Questa osservazione molto importante sarà usata diverse volte nel corso delle dimo-
strazioni dei teoremi sui limiti.
A volte non esiste il limite di una funzione per x che tende a un certo punto x0 , ma
puo’ esistere il limite destro o il limite sinistro (vedere esempio 126, nel caso di x0 = 2).
78
se ∀ϵ > 0 ∃δ > 0 t.c ∀x ∈ (x0 − δ, x0 ) ∩ A ⇒ f (x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ).
Esiste un teorema che dice che se f ammette limite destro e sinistro in un punto e
i due limiti coincidono, allora esiste il limite in tale punto ed è pari al valore comune
di limite destro e sinistro (e vale anche il viceversa).
se e solo se
lim f (x) = L.
x→x0
Dimostrazione
Dimostriamo il teorema per L ∈ R, è possibile estendere il risultato anche per L = ±∞.
Dim. di (⇒).
Bisogna dimostrare che se limx→x−0 f (x) = limx→x+0 f (x) = L allora limx→x0 f (x) = L.
Poichè limx→x+0 f (x) = L, dato un ϵ > 0 arbitrario, è possibile trovare un δ1 > 0 tale
che ∀x ∈ (x0 , x0 + δ1 ) ∩ A si abbia: |f (x) − L| < ϵ.
Poichè limx→x−0 f (x) = L, dato lo stesso ϵ > 0 considerato prima, è possibile trovare
un δ2 > 0 tale che ∀x ∈ (x0 − δ2 , x0 ) ∩ A si abbia: |f (x) − L| < ϵ.
Sia δ = min(δ1 , δ2 ). Allora si ha (vedi osservazione 130):
e
∀x ∈ (x0 − δ, x0 ) ∩ A ⇒ |f (x) − L| < ϵ
cioè
∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A, x ̸= x0 , ⇒ |f (x) − L| < ϵ
Quindi,
lim f (x) = L.
x→x0
79
Dim. di (⇐).
Bisogna dimostrare che se limx→x0 f (x) = L allora limx→x−0 f (x) = limx→x+0 f (x) = L.
Poichè limx→x0 f (x) = L, dato ϵ > 0 arbitrario, esiste δ > 0 tale che ∀x ∈ (x0 − δ, x0 +
δ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ |f (x) − L| < ϵ. Ma quindi, dato ϵ > 0 arbitrario, esiste δ > 0 tale che
∀x ∈ (x0 , x0 + δ) ∩ A ⇒ |f (x) − L| < ϵ, cioè limx→x+0 f (x) = L. E dato ϵ > 0 arbitrario,
esiste δ > 0 tale che ∀x ∈ (x0 − δ, x0 ) ∩ A ⇒ |f (x) − L| < ϵ, cioè limx→x−0 f (x) = L.
Per distinguere il limite per x che tende a x0 dai limiti destro e sinistro, si parlerà
di limite globale o bilaterale quando entrambi i limiti destro e sinistro esistono e
coincidono.
Osservazione 133
Abbiamo visto che il punto x0 verso cui si puo’ fare il limite deve appartenere a A ∪ ∂A.
Poichè il dominio della funzione è A, con A aperto, si deduce che il limite si puo’ fare
anche verso punti in cui la funzione f non è definita (tali sono tutti i punti della
frontiera di A). Un esempio visto è l’esempio 126, per x0 = 2. La cosa importante nel
fare il limite è che ci si possa avvicinare a x0 quanto si vuole con punti del dominio di
f , cioè con intorni sempre piu’ piccoli di x0 che contengano punti di Dom(f ), e questo,
siccome A è aperto, si puo’ fare sia con punti interni di A sia con punti di frontiera di
A. Piu’ avanti vedremo come definire i limiti anche per funzioni definite su insiemi A
non necessariamente aperti: in tal caso, il requisito tecnico x0 ∈ A ∪ ∂A non sarà piu’
sufficiente.
Osservazione 134
Nei punti x0 ∈ A, con A aperto, che sono quindi punti interni ad A, il limite esiste
se esiste il limite globale (è infatti possibile avvicinarsi sia da destra sia da sinistra).
Tuttavia se x0 ∈ ∂A, il limite da destra o da sinistra potrebbe non esistere perchè
potrebbe non essere possibile costruire intorni destri o sinistri di x0 con punti del
Dom(f ). Per esempio, data f : (1, 2) → R, se x0 = 1 il limite sinistro non puo’
esistere, in quanto tutti i punti a sinistra di 1 non stanno nel dominio di f (cioè ogni
intorno sinistro di 1 ha intersezione vuota con A = Dom(f )), e non puo’ che esserci
80
(se esiste) il limite per x che tende a 1 da destra. Analogamente, se x0 = 2 il limite
destro non puo’ esistere, in quanto tutti i punti a destra di 2 non stanno nel dominio
di f (ogni intorno destro di 2 ha intersezione vuota con A = Dom(f )) e non puo’ che
esserci (se esiste) il limite per x che tende a 2 da sinistra. Pertanto, in casi particolari
come questo si dice che il limite esiste se esiste il limite destro (per x0 = 1) oppure il
limite sinistro (per x0 = 2).
Definizione 135 Si chiama “retta reale estesa” e si indica con R l’insieme dei numeri
reali e di −∞ e di +∞:
R := R ∪ {−∞, +∞}
Si hanno le seguenti regole di calcolo con ±∞ (per i numeri reali valgono le solite
regole):
5. quoziente: ∀a ∈ R ⇒ a
+∞
= a
−∞
=0
81
di numero reale (con base > 0): ∀a > 0 ⇒
6. potenza
a+∞ = +∞ se a > 1
a+∞ = 0
∞
se a < 1
a =
a−∞ = 0 se a > 1
a−∞ = +∞ se a < 1
Definizione 136 Un intorno di +∞ è una semiretta del tipo (K, +∞), con K ∈ R.
Un intorno di −∞ è una semiretta del tipo (−∞, K), con K ∈ R.
Osservazione 137 Osserviamo che non solo le semirette del tipo descritto nella defi-
nizione 136 sono intorni di ±∞, ma anche la retta reale R è un intorno sia di +∞
sia di −∞.
Osservazione 138
82
grandi. In altri termini, f puo’ essere resa “grande a piacere” avvicinandosi “quanto
basta” a x0 . Cioè, scelto un numero reale M arbitrariamente grande, la f puo’ essere
resa piu’ grande di M avvicinandosi abbastanza a x0 , cioè per tutti gli x in un intorno
sufficientemente piccolo di x0 .
lim f (x) = +∞
x→x0
Osserviamo che dando la definizione con gli intorni, otteniamo la stessa definizione.
Infatti, si ha:
lim f (x) = +∞
x→x0
se per ogni intorno di +∞, I(+∞), esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che ∀x ∈ U (x0 )∩
A, x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈ I(+∞).
Considerando che un intorno di +∞ è una semiretta del tipo (M, +∞), con M > 0
(vedi osservazione 138), dire f (x) ∈ (M, +∞) equivale a dire f (x) > M e si vede quindi
come le due definizioni coincidano.
lim f (x) = −∞
x→x0
83
Definizione 142 Sia f : R → R. Si ha
lim f (x) = L
x→+∞
lim f (x) = L
x→−∞
84
Definizione 144 Sia f : R → R, e siano x0 ∈ R e L ∈ R. Si ha:
lim f (x) = L
x→x0
se per ogni intorno I(L) di l esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che ∀x ∈ U (x0 ), x ̸=
x0 ⇒ f (x) ∈ I(L).
3.6 Estensione a Rn
lim f (x) = L
x→x0
La definizione data con le distanze (cioè i raggi degli intorni) ϵ e δ tiene conto del fatto
che la distanza in Rn è data dalla norma della differenza di vettori (si osservi come
nella definizione che segue si è posto L ∈ R):
Definizione 146 (ϵ − δ)
Sia f : A ⊂ Rn → R, A aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A e L ∈ R. Si ha:
lim f (x) = L
x→x0
85
3.7 Estensione a insiemi di esistenza non aperti
Il secondo requisito si puo’ anche esprimere dicendo che esiste un intorno di x0 la cui
intersezione con A è data dal solo punto x0 , cioè : Bδ (x0 ) ∩ A = {x0 }.
86
Osservazione 148 Un punto isolato di A se non appartenesse ad A sarebbe un punto
esterno ad A (infatti, esiste un suo intorno tutto contenuto in AC , escluso il punto
stesso).
E’ ora chiaro come il punto x0 = 2 dell’insieme A descritto prima sia un punto isolato
di A. Il limite si puo’ fare per qualsiasi punto che non sia isolato. Definiamo quindi
l’insieme dei punti isolati di un insieme A:
Definizione 149 Denotiamo con Ais l’insieme dei punti isolati di un insieme A ⊂ Rn :
Per definire il limite di una funzione definita su un insieme qualsiasi sarà sufficiente
evitare che x0 sia un punto isolato:
lim f (x) = L
x→x0
se per ogni intorno I(L) di L esiste un intorno Bδ (x0 ) di x0 tale che ∀x ∈ Bδ (x0 ), x ̸=
x0 ⇒ f (x) ∈ I(L).
Osserviamo che la definizione è quasi identica alla definizione 161, con la differenza che
si è tolta l’ipotesi “A aperto” e si è aggiunta l’ipotesi “x0 punto non isolato”. Questo
è facilmente spiegabile: se A è aperto, l’ipotesi x0 ∈
/ Ais non è necessaria, perchè è au-
tomaticamente soddisfatta: un insieme aperto A non puo’ avere punti isolati (perchè
tutti i punti sono interni, e i punti isolati sono punti di frontiera dell’insieme: vedi
lemma 150). Un insieme A che non sia aperto puo’ invece avere punti isolati.
87
3.8 Teoremi sui limiti
Raccogliamo qui una serie di teoremi sui limiti, che risulteranno di grande utilità e
applicazione. Per semplicità di dimostrazione, i teoremi saranno enunciati e dimostrati
per funzioni da R in R. Occorre tuttavia sapere che i risultati sono validi anche per
funzioni da Rn in R.
lim f (x) = L
x→x0
Dimostrazione
Per assurdo supponiamo che esistano due limiti diversi tra loro L1 ̸= L2 . Si assume
cioè che:
lim f (x) = L1
x→x0
e
lim f (x) = L2
x→x0
con L1 ̸= L2 . Allora, esistono due intorni di L1 e di L2 distinti tra loro: ∃ϵ1 > 0 e
∃ϵ2 > 0 tali che (L1 − ϵ1 , L1 + ϵ1 ) ∩ (L2 − ϵ2 , L2 + ϵ2 ) = ∅ (è sufficiente prendere p.es.
|L1 −L2 |
ϵ1 = ϵ2 = 4
> 0).
Poichè per ipotesi limx→x0 f (x) = L1 , dato il raggio ϵ1 > 0 si puo’ trovare un raggio
δ1 > 0 tale che per x ∈ (x0 − δ1 , x0 + δ1 ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈ (L1 − ϵ1 , L1 + ϵ1 ) (•).
Analogamente, poichè per ipotesi limx→x0 f (x) = L2 , dato il raggio ϵ2 > 0 si puo’
trovare un raggio δ2 > 0 tale che per x ∈ (x0 − δ2 , x0 + δ2 ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈
(L2 − ϵ2 , L2 + ϵ2 ) (••).
Preso il piu’ piccolo dei due raggi δ = min(δ1 , δ2 ) si ha che l’intorno di x0 con raggio δ
è contenuto nei due intorni dati prima, cioè in (x0 − δ, x0 + δ) le proprietà (•) e (••)
valgono entrambe (vedi osservazione 130):
88
cioè :
(L1 − ϵ1 , L1 + ϵ1 ) ∩ (L2 − ϵ2 , L2 + ϵ2 ) = ∅.
e se
lim f (x) = L e lim h(x) = L
x→x0 x→x0
allora
lim g(x) = L
x→x0
Dimostrazione
Preso ϵ > 0 arbitrario, si deve dimostrare che ∃δ > 0 tale che ∀x ∈ (x0 −δ, x0 +δ)∩A, x ̸=
x0 si ha g(x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ).
Siccome limx→x0 f (x) = L, dato ϵ > 0 esiste δ1 > 0 tale che
Allora, preso δ = min(δ1 , δ2 ) si ha che in (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A valgono sia (∗) sia (∗∗).
Inoltre si ha f (x) ≤ g(x) ≤ h(x) in (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A. Quindi ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A
si ha:
L − ϵ < f (x) ≤ g(x) ≤ h(x) < L + ϵ
89
cioè
g(x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ) ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ)
lim g(x) = L
x→x0
Questo teorema, molto importante nella teoria dei limiti, dice che se una funzione tende
a un limite L ̸= 0 per x → x0 , allora esiste un intorno di x0 in cui la funzione assume
valori diversi da 0 e dello stesso segno del limite verso cui tende. Questo risultato
è molto intuitivo: se L ̸= 0 è sempre possibile considerare un intorno di L che non
contenga lo 0 e scegliere quello come intorno I(L) nella definizione di limite, trovando
il corrispondente intorno di x0 .
Dimostrazione
L
Sia L > 0. Scegliamo ϵ = 2
> 0. Siccome limx→x0 f (x) = L, esiste un intorno di x0
U (x0 ) = (x0 − δ, x0 + δ) tale che
( ) ( )
L L L 3
∀x ∈ U (x0 ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ) = L − , L + = , L
2 2 2 2
cioè
L 3
0< < f (x) < L.
2 2
Cioè f (x) > 0 per ogni x ∈ U (x0 ) ∩ A, x ̸= x0 .
La dimostrazione per L < 0 è analoga ed è lasciata per esercizio.
Prima di dimostrare gli importanti teoremi sull’algebra dei limiti, è opportuno fare una
ulteriore osservazione, che aiuta a capire meglio alcuni passaggi delle dimostrazioni.
90
Osservazione 152 L’osservazione (molto importante) è divisa in due parti, speculari.
(I) Nella definizione di limite il valore di ϵ > 0 è arbitrario. Quindi, anzichè dare la
ϵ
definizione con ϵ > 0 è possibile darla anche con 2
> 0 o con kϵ > 0 (con k > 0).
Cioè , se limx→x0 f (x) = l allora non solo è vero che ∀ϵ > 0 ∃δ > 0. t.c...... < ϵ,
ma anche ∀ϵ/2 > 0 ∃δ > 0 t.c..... < ϵ/2 e anche ∀kϵ > 0 ∃δ > 0 t.c..... < kϵ (con
k > 0). E’ altresi’ vero che ∀ϵ > 0 ∃δ > 0 t.c..... < kϵ con k dato, k > 0, proprio per
l’arbitrarietà della vicinanza di f (x) da L.
(II) Viceversa, se si riesce a dimostrare che ∀ϵ > 0 ∃δ > 0 t.c..... < kϵ con k dato,
k > 0, allora si è dimostrato che limx→x0 f (x) = L, perchè si è dimostrato che si riesce
a rendere piccola a piacere la distanza |f (x) − L|. Infatti, la presenza dell’elemento
k > 0 dato non disturba l’arbitrarietà della distanza |f (x) − L|, in quanto è l’elemento
ϵ a permettere di rendere arbitrariamente piccola tale distanza.
lim f (x) = L
x→x0
lim g(x) = M
x→x0
Allora:
91
1. Si deve dimostrare che preso ϵ > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni x con 0 <
|x − x0 | < δ si abbia: |f (x) + g(x) − L − M | < ϵ.
ϵ
Siccome limx→x0 f (x) = L, preso 2
> 0 esiste δ1 > 0 tale che per ogni x con
0 < |x − x0 | < δ1 si ha: |f (x) − L| < 2ϵ .
ϵ
Siccome limx→x0 g(x) = M , preso 2
> 0 esiste δ2 > 0 tale che per ogni x con
0 < |x − x0 | < δ2 si ha: |g(x) − M | < 2ϵ .
Ma allora, preso δ = min(δ1 , δ2 ), si ha che nell’intorno di x0 : (x0 −δ, x0 +δ), x ̸= x0 ,
valgono entrambe (vedere osservazione 130): |f (x) − L| < ϵ
2
e |g(x) − M | < 2ϵ .
Quindi, per x ∈ (x0 − δ, x0 + δ), x ̸= x0 , si ha:
ϵ ϵ
|f (x)+g(x)−L−M | = |f (x)−L+g(x)−M | ≤ |f (x)−L|+|g(x)−M | < + =ϵ
2 2
dove la prima disuguaglianza è dovuta alla disuguaglianza triangolare (vedere Ap-
pendice A.2).
con k = (|M | + 1 + |L|) > 0. Quindi, in virtu’ dell’osservazione 152 (II), si ha:
92
3. Osserviamo innanzitutto che siccome M ̸= 0, esiste un intorno sufficientemente
piccolo U (x0 ) di x0 in cui la funzione g(x) assume lo stesso segno di M , quindi
non si annulla mai (per il teorema di permanenza del segno).
Per dimostrare la (•), è sufficiente dimostrare che
1 1
lim =
x→x0 g(x) M
Infatti, dimostrato questo, la (•) diventa immediata come caso particolare della
f (x) 1
2), vedendo g(x)
come il prodotto delle funzioni f (x) e g(x)
.
Supponiamo che sia M > 0 (se M < 0 la dimostrazione è analoga). Allora, esiste
un intorno V (x0 ) in cui si ha − M2 < g(x) − M < M
2
, cioè M
2
< g(x) < 3M
2
, cioè
1
g(x)
< 2
M
, e quindi | g(x)
1
| < | M2 |.
Ora, mostriamo che si puo’ rendere piccola a piacere la distanza | g(x)
1
− 1
M
|. Ri-
cordiamo che preso ϵ > 0, in un intorno sufficientemente piccolo di x0 , W (x0 ), si
ha |M − g(x)| < ϵ. Quindi in un intorno Z(x0 ) ⊂ (U (x0 ) ∩ V (x0 ) ∩ W (x0 )) si ha:
1 1 M − g(x) |M − g(x)| ϵ ϵ 2 2
− = = < < = 2ϵ
g(x) M M g(x) |M g(x)| |M ||g(x)| |M | M M
cioè in un intorno sufficientemente piccolo di x0 si ha:
1 1
− < kϵ
g(x) M
2
con k = M2
> 0. Quindi, in virtu’ dell’osservazione 152 (II), si ha:
1 1
lim =
x→x0 g(x) M
e quindi
f (x) L
lim = .
x→x0 g(x) M
93
3.9 Calcolo di limiti
Conoscendo il valore del limite per le funzioni elementari è possibile calcolare il limite
di limiti piu’ complessi, applicando le regole date dal Teorema 9. Dimostriamo ora due
limiti fondamentali:
1. limx→x0 (c) = c
2. limx→x0 (x) = x0
Dimostrazione
1. Si ha limx→x0 (c) = c se dato ϵ > 0 è possibile trovare δ > 0 tale che per ogni
x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si abbia |f (x) − c| < ϵ. Ma questo vale per qualsiasi numero
reale δ > 0. Infatti dato un qualsiasi raggio δ > 0, per x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si
ha f (x) = c (poichè f (x) = c ∀x ∈ R), quindi |f (x) − c| = |c − c| = 0 < ϵ, per
qualsiasi raggio ϵ.
2. Si ha limx→x0 (x) = x0 se dato ϵ > 0 è possibile trovare δ > 0 tale che per ogni
x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si abbia |f (x) − x0 | < ϵ. Affinchè questo valga, è sufficiente
prendere δ = ϵ. Infatti, per x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si ha f (x) = x (poichè f (x) = x
∀x ∈ R), quindi |f (x) − x0 | = |x − x0 | < δ = ϵ.
Da questi due limiti elementari è immediato dimostrare che (farlo per esercizio):
94
4. limx→+∞ loga x = +∞ e limx→0+ loga x = −∞ ∀a > 1
Ci sono casi in cui applicare le regole dell’algebra dei limiti non è sufficiente per de-
terminare il valore del limite. Questi casi particolari sono detti forme indeterminate o
forme di indecisione. Esse sono:
Non è pertanto possibile stabilire a priori, usando la regola della somma dei limiti,
il valore del limite e si ha la forma di indeterminazione +∞ − ∞ (oppure −∞ + ∞
per limx→x0 (g(x) + f (x)).
95
f2 (x)
x, g2 (x) = x2 : qui si ha limx→+∞ g2 (x)
= 0; (iii) f3 (x) = 2x, g3 (x) = x: qui si ha
f3 (x)
limx→+∞ g3 (x)
= 2. Non è pertanto possibile stabilire a priori, usando la regola del
∞
quoziente dei limiti, il valore del limite e si ha la forma di indeterminazione ∞
.
2. manipolazioni algebriche;
3. limiti notevoli.
96
3.9.3 Infiniti, infinitesimi e loro confronto
Infiniti
si dice che f è un infinito per x che tende a x0 . Siano f e g due infiniti per x che
tende a x0 . Per confrontarli, bisogna fare il limite del loro rapporto, che è ovviamente
∞
una forma indeterminata del tipo ∞
. Si hanno quattro possibilità :
1. se limx→x0 f (x)
g(x)
= ∞, allora si dice che f è un infinito di ordine superiore a g;
f (x)
2. se limx→x0 g(x)
= 0, allora si dice che f è un infinito di ordine inferiore a g;
3. se limx→x0 f (x)
g(x)
= k ̸= 0, allora si dice che f e g sono infiniti dello stesso ordine;
f (x)
4. se limx→x0 g(x)
non esiste, allora si dice che f e g sono infiniti non confrontabili.
∞
Osserviamo che se ∞
tende a ∞, vuol dire che “prevale” l’infinito del numeratore, cioè
∞
f , e quindi f è “piu’ forte”, o di ordine superiore; se invece ∞
tende a 0, vuol dire che
“prevale” l’infinito del denominatore, cioè g, e quindi f è “piu’ debole”, o di ordine
∞
inferiore; se ∞
tende a un limite finito diverso da 0, vuol dire che nessuno dei due
infiniti prevale sull’altro, cioè i due infiniti sono dello stesso ordine.
Esempi 153 Date f e g, infiniti per x che tende a x0 , fare il loro confronto.
1) f (x) = x2 , g(x) = x3 , x0 = +∞. E’ immediato vedere che f e g sono due infiniti per
f (x) x2 1
x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
= limx→x0 x3
= limx→+∞ x
= 0, quindi x2 è infinito
di ordine inferiore a x3 per x → +∞. In generale, xm è infinito di ordine inferiore a xn
per x → +∞ per ogni m < n.
2) f (x) = 1
x4
, g(x) = 1
x3
, x0 = 0− . E’ immediato vedere che f e g sono due infini-
ti per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 f (x)
g(x)
= limx→x0 1 3
x4
x = limx→0− 1
x
= −∞, quindi
1
x4
è infinito di ordine superiore a 1
x3
per x → 0− . In generale, 1
xm
è infinito di ordine
superiore a 1
xn
per x → 0− (e anche per x0 = 0+ e 0) per ogni m > n.
97
2+x2
infiniti per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 f (x)
g(x)
= limx→−∞ 3x2
= 1
3
̸= 0, quindi 2 + x2
è infinito dello stesso ordine di 3x2 per x → −∞. In generale, α + βxm è infinito dello
stesso ordine di γ + δxm per x → ±∞ per ogni m > 0.
4) f (x) = x(2 + sin x), g(x) = 2x, x0 = +∞. E’ facile vedere (usando il teorema
f (x)
del confronto) che f e g sono due infiniti per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
=
limx→x0 2+sin
2
x
= 1 + limx→+∞ sin x che non esiste, quindi x(2 + sin x) e 2x sono infiniti
non confrontabili per x → +∞.
se questo limite esiste. In altre parole, nel calcolo dei limiti di infiniti, gli infiniti di
ordine inferiore si possono trascurare.
Dimostrazione
Si ha: ( f2 (x) )
f1 (x) + f2 (x) f1 (x) 1 + f1 (x)
lim = lim · g2 (x)
x→x0 g1 (x) + g2 (x) x→x0 g1 (x) 1 +
g1 (x)
98
f1 (x)
Allora, se esiste il limite limx→x0 g1 (x)
, si ha
( f2 (x) ) ( ) ( )
f1 (x) + f2 (x) f1 (x) 1 + f1 (x) f1 (x) 1 + ff21 (x)
(x)
lim = lim · g2 (x)
= lim · lim
x→x0 g1 (x) + g2 (x) x→x0 g1 (x) 1 +
g1 (x)
x→x0 g1 (x) x→x0 1 + gg21 (x)
(x)
( )
f1 (x) f1 (x)
= lim · 1 = lim (3.1)
x→x0 g1 (x) x→x0 g1 (x)
Infinitesimi
1. se limx→x0 f (x)
g(x)
= ∞, allora si dice che f è un infinitesimo di ordine inferiore a g;
f (x)
2. se limx→x0 g(x)
= 0, allora si dice che f è un infinitesimo di ordine superiore a g;
3. se limx→x0 f (x)
g(x)
= k ̸= 0, allora si dice che f e g sono infinitesimi dello stesso
ordine;
f (x)
4. se limx→x0 g(x)
non esiste, allora si dice che f e g sono infinitesimi non confrontabili.
Osserviamo che se 0
0
tende a ∞, vuol dire che “prevale” l’infinito del denominatore,
0
cioè g, e quindi f è “piu’ debole”, o di ordine inferiore; se invece 0
tende a 0, vuol dire
che “prevale” l’infinito del numeratore, cioè f , e quindi f è “piu’ forte”, o di ordine
0
superiore; se 0
tende a un limite finito diverso da 0, vuol dire che nessuno dei due
infinitesimi prevale sull’altro, cioè i due infinitesimi sono dello stesso ordine.
Esempi 154 Date f e g, infinitesimi per x che tende a x0 , fare il loro confronto.
99
2) f (x) = 1
x4
, g(x) = 1
x3
, x0 = −∞. E’ immediato vedere che f e g sono due infi-
f (x)
nitesimi per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
= limx→x0 x14 x3 = limx→−∞ 1
x
= 0,
quindi 1
x4
è infinitesimo di ordine superiore a 1
x3
per x → −∞. In generale, 1
xm
è infi-
nitesimo di ordine superiore a 1
xn
per x → −∞ (e anche per x0 = +∞) per ogni m > n.
3 cos x+2
4) f (x) = x3
, g(x) = x3
, x0 = +∞. E’ facile vedere (usando il teorema del
f (x)
confronto) che f e g sono due infinitesimi per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
=
3x3 3 3 cos x+2
limx→x0 x3 (cos x+2)
= limx→+∞ cos x+2
che non esiste, quindi x3
e x3
sono infinitesimi
non confrontabili per x → +∞.
Dimostrazione
Si ha: ( f2 (x) )
f1 (x) + f2 (x) f1 (x) 1 + f1 (x)
lim = lim · g2 (x)
x→x0 g1 (x) + g2 (x) x→x0 g1 (x) 1 +
g1 (x)
100
Quindi ( )
f2 (x) f2 (x)
1+ f1 (x)
limx→x0 1 + f1 (x)
lim g2 (x)
= ( ) =1
x→x0 1+ g2 (x)
g1 (x) limx→x0 1 + g1 (x)
f1 (x)
Allora, se esiste il limite limx→x0 g1 (x)
, si ha
( f2 (x) ) ( ) ( )
f1 (x) + f2 (x) f1 (x) 1 + f1 (x) f1 (x) 1 + ff21 (x)
(x)
lim = lim · g2 (x)
= lim · lim g2 (x)
x→x0 g1 (x) + g2 (x) x→x0 g1 (x) 1 + x→x0 g1 (x) x→x0 1 + g1 (x)
g1 (x)
( )
f1 (x) f1 (x)
= lim · 1 = lim (3.2)
x→x0 g1 (x) x→x 0 g1 (x)
Osserviamo che per infiniti e infinitesimi valgono regole in un certo senso “opposte”: nel
confronto di infiniti si trascurano quelli di ordine inferiore, nel confronto tra infinitesimi
si trascurano quelli di ordine superiore. Questo si puo’ facilmente capire, pensando che
nel confronto tra infiniti si considerano solo i piu’ “grandi”, cioè quelli che vanno a
infinito piu’ velocemente e si trascurano quelli che vanno a infinito piu’ lentamente, che
sono gli infiniti di ordine inferiore. Anche nel confronto tra infinitesimi si considerano
quelli piu’ “grandi”, cioè si trascurano quelli che vanno a 0 piu’ velocemente, che sono
gli infinitesimi di ordine superiore.
“o” piccolo
101
Osservazione 156
Osservazione 159
Esercizi
√ 1
x+ 3 x+4x3
= limx→0+ x− 6 = limx→0+
x3 1 1
1) limx→0+ 2
√ = limx→0+ 1
√
6x = +∞
2x + x+3x x2
√ 1
x4 +2x3 −6 x −6x 2
2) limx→0+ 3
√ = limx→0+ 1 =2
x +2x−3 x −3x 2
√ √
3 1 2
2 x+5 x2 +x 2x 2 +5x 3 +x x
3) limx→+∞ √ = limx→+∞ 3 = limx→+∞ 3 = limx→+∞ √1 =0
3
3+ x +3x 3+x 2 +3x x2 x
3x −x10 −x15 3x
( 3 )x
4) limx→+∞ 1−ex +xe
= limx→+∞ −ex
= − limx→+∞ e
= −∞
e2x −x 3
√ +x
18
5) limx→+∞ e3x − x−x16
=0
√ ( )
8) limx→+∞ (2x + 3x2 − 3
x) = limx→+∞ x2 x2 + 3 − 1
5 = limx→+∞ (3x2 ) = +∞
x3
102
3.9.4 Manipolazioni algebriche
Richiamo
Si richiamano i seguenti prodotti notevoli, che sono di grande utilità nella soluzione di
molti limiti.
a2 − b2 = (a − b)(a + b) (3.3)
a3 − b3 = (a − b)(a2 + ab + b2 ) (3.4)
Nelle manipolazioni algebriche, si usano le equazioni 3.3 e 3.4 per razionalizzare il nu-
meratore o il denominatore di una forma indeterminata.
Esercizi
1) limx→5 5−x
x2 −25
= limx→5 5−x
(x−5)(x+5)
= − limx→5 1
x+5
= − 10
1
√ √ √ √ √ √
( x2 +3− x2 +7)( x2 +3+ x2 +7)
2) limx→+∞ ( x2 + 3 − x2 + 7) = limx→+∞ √ √
( x2 +3+ x2 +7)
=
(x2 +3)−(x2 +7) −4√
= limx→+∞ (√ √
x2 +3+ x2 +7)
= √
limx→+∞ ( x2 +3+ x2 +7) = 0
√ √
3) limx→+∞ ( x3 + 2x + 12 − x3 + 6) = ... = 0
√ √ √ √
√ √ √ √
x( x+1− x)( x+1+ x)
√
x(x+1−x)
4) limx→+∞ x( x + 1− x) = limx→+∞ √ √ = limx→+∞ √ √ =
√ √ ( x+1+ x) ( x+1+ x)
= x
limx→+∞ (√x+1+ √
x)
= limx→+∞ √ √ 1 x
= 12
x( 1+ x +1)
√
5) limx→0 1− 1+x2
x2
= ... = − 12
x−3
√ 4
6) limx→3 x−1− x+1
= ... = 3
√
7) limx→+∞ ( x2 + 1 − x) = ... = 0
√ √
8) limx→+∞ ( 1 + x + x2 − 1 − x + x2 ) = ... = 1
√ √ √ √
( 3 1+x−1)( 3 (1+x)2 + 3 1+x+1)
√ √ 1+x−1√
3
1+x−1
10) limx→0 x
= limx→0 √ = limx→0 =
x( 3 (1+x)2 + 3 1+x+1) x( 3 (1+x)2 + 3 1+x+1)
103
= limx→0 √
3
1
√ = 1
3
( (1+x)2 + 3 1+x+1)
√
3 √
1+x− 3 1−x 2
11) limx→0 x
= ... = 3
√
12) limx→0 1+x−1
x2 −x
= ... = − 12
Sotto certe condizioni tecniche sulla funzione f e sulla funzione g (qui non specificate)
è possibile scambiare il segno di limite lim con quello di funzione, cioè lim f (g(x)) =
f (lim g(x)). In particolare è possibile fare tale scambio quando le funzioni f e g sono
104
funzioni elementari. Per esempio, se f è una funzione elementare, o se esiste il limite
di f (x) per x che tende a x0 , si ha:
2. limx→x0 f (x)2
= 12 se f (x) → 0 per x → x0
1−cos f (x)
( )f
1
3. limx→x0 1 + f (x) (x) = e se f (x) → ∞ per x → x0
( )f
4. limx→x0 1 + k
f (x)
(x) = ek se f (x) → ∞ per x → x0 , per k ̸= 0
ef (x)−1
5. limx→x0 f (x)
= 1 se f (x) → 0 per x → x0
105
Esercizi
1) limx→0 sin 5x
x
= 5 limx→0 sin 5x
5x
=5·1=5
x2
3) limx→0 sin x
= limx→0 x
sin x
·x=1·0=0
x
4) limx→0 (sin x)3
= +∞
5) limx→0 x−ln(1+3x)
3x
= limx→0 x
3x
− limx→0 ln(1+3x)
3x
= 1
3
− 1 = − 23
( x−1 )3x
6) limx→+∞ x+1
= ... = e−6
( ) ( )x 2 ( )2
x2 −4 x2 −4 4 x
7) limx→+∞ x2 ln x2
= limx→+∞ ln x2
= ln limx→+∞ 1 − x2
=
= ln e−4 = −4
( 3
)
8) limx→+∞ x3 ln 1 + x2
= ... = +∞
( )
log(1+3x) sin(2x2 ) sin(2x2 )
11) limx→0 x5 −7x3
= limx→0 log(1+3x)
3x
· 2x2
· 6
x2 −7
=1·1· 6
−7
= − 67
1−cos(x2 )
12) limx→0 x3
= ... = 0
sin
√ x
13) limx→0 x2
non esiste
1−cos x 1
14) limx→0 x2
= ... = 2
(x+1)7 −1
15) limx→0 7x
= ... = 1
106
√
3x3 +1−1 3
16) limx→0 x3
= ... = 2
√
1−cos x 1
17) limx→0 7x
= ... = 14
xx −x
18) limx→0+ 1+x2
= ... = 1
107
PARTE 4 CONTINUITA’
La definizione di continuità puo’ essere data anche per una funzione definita su un
insieme A qualsiasi. In tal caso, il punto x0 non deve essere un punto isolato di A, si
deve cioè avere x0 ∈ A\Ais .
A livello intuitivo, una funzione è continua se per disegnare il suo grafico “non si deve
mai staccare la penna dal foglio”. Questa semplice regola, tuttavia, non è sempre
1
valida. Per esempio, la funzione f (x) = x
, il cui dominio è R\{0}, è continua sul
suo dominio (infatti, 0 non appartiene a Dom(f )!) ma il suo grafico non puo’ essere
disegnato senza mai staccare la penna dal foglio.
108
1. x0 è una discontinuità eliminabile se limx→x0 f (x) = L ̸= f (x0 ), con L ∈ R;
2. x0 è una discontinuità non eliminabile se limx→x0 f (x) non esiste o esiste infinito.
Esempi 164
{
1 per x ̸= 0
1) f (x) =
0 per x = 0
La funzione è discontinua in x0 = 0, ed è una discontinuità eliminabile. Infatti
limx→0 f (x) = 1, ma f (0) = 0, si potrebbe quindi “eliminare” la discontinuità sempli-
cemente ponendo artificialmente f (0) = 1.
{
e− x
1
per x ̸= 0
2) f (x) =
0 per x = 0
La funzione è discontinua in x0 = 0, ed è una discontinuità non eliminabile. Infatti
limx→0− f (x) = +∞ e limx→0+ f (x) = 0, quindi il limite di f per x che tende a 0 non
esiste (limite destro e limite sinistro esistono ma sono diversi).
{
x+1 per x ≤ 1
3) f (x) =
x − 1 per x > 1
La funzione è discontinua in x0 = 1, ed è una discontinuità non eliminabile. Infatti
limx→1− f (x) = 1 e limx→1+ f (x) = 0, quindi il limite di f per x che tende a 1 non
esiste (limite destro e limite sinistro esistono ma sono diversi).
{
1
x2
per x ̸= 0
4) f (x) =
0 per x = 0
La funzione è discontinua in x0 = 0, ed è una discontinuità non eliminabile. Infatti
limx→0 f (x) = +∞, ma f (0) = 0, quindi, essendo il limite infinito, non è possibile
“eliminare” la discontinuità artificialmente.
109
salto di ampiezza 1).
Vediamo ora un esempio (classico) di funzione non continua in alcun punto del dominio.
Esempio 166
definita in R, è continua?
Bisogna trovare il valore di b (se esiste) per cui si abbia:
Si ha:
lim f (x) = 4 + b = f (2)
x→2−
lim f (x) = 0
x→2+
110
Esercizi
1) Dire per quale/i valore/i di b la funzione
{
−3x2 + 5 x ≤ 0
f (x) = √ √
x+1− 2x+1
x
+b x>0
definita in R, è continua.
11
(Soluzione: b = 2
.)
definita in R, è continua.
(Soluzione: b = − 12 .)
definita in R, è continua.
(Soluzione: b = 1728.)
Data una funzione f : [a, b] → R, cosa vuol dire che la funzione è continua su [a,b]?
Vuol dire che è continua in ogni punto x ∈ (a, b) secondo la definizione 161, e inoltre è
continua in a e in b, cioè
lim f (x) = f (a)
x→a+
e
lim f (x) = f (b)
x→b−
111
osservando che il limite per x che tende ad a è uguale al limite destro (se questo esi-
ste), e il limite per x che tende a b è uguale al limite sinistro (se questo esiste – vedi
osservazione 134).
Definizione 167 L’insieme delle funzioni continue su [a, b] si denota con C[a, b]. L’in-
sieme delle funzioni continue su A ⊂ R si denota con C(A).
Un fondamentale teorema, conseguenza diretta del teorema sull’algebra dei limiti, di-
ce che combinazione lineare, prodotto e quoziente di funzioni continue è ancora una
funzione continua.
2. f g è continua su A
f
3. g
è continua su A (se è lecito fare il quoziente)
Dimostrazione
Immediata, applicando il teorema sull’algebra dei limiti.
112
4.3.3 Teorema di esistenza degli zeri
Il teorema di esistenza degli zeri fa usa del concetto di estremo superiore, o sup, di un
insieme, che è riportato in Appendice. Si basa anche sul teorema di permanenza del
segno per le funzioni continue, qui riportato.
Dimostrazione
Supponiamo f (c) > 0. Siccome f è continua, si ha
Per il teorema di permanenza del segno per i limiti, si ha che esiste un intorno di c,
(c − δ, c + δ) tale che
Allora, siccome f (c) > 0, la tesi è dimostrata. Se f (c) < 0 la dimostrazione è identica.
Teorema 16 (Teorema di esistenza degli zeri) Sia f [a, b] → R continua. Se f (a)f (b) <
0, allora esiste c ∈ (a, b) tale che f (c) = 0.
Dimostrazione
Supponiamo (senza perdere generalità ) che sia f (a) < 0 e f (b) > 0. Sia
113
f (c) > 0, e per il teorema di permanenza del segno esiste un intorno I(c) = (c − δ, c + δ)
in cui la f è positiva: ∀x ∈ (c − δ, c + δ) si ha f (x) > 0. Ma allora preso ϵ = δ
2
non
esiste x0 ∈ A tale che x0 > c − ϵ e quindi c non è il sup A. Quindi non puo’ essere
f (c) > 0.
Supponiamo che sia f (c) < 0. Allora, per il teorema di permanenza del segno esiste
un intorno I(c) = (c − δ, c + δ) in cui la f è negativa: ∀x ∈ (c − δ, c + δ) si ha f (x) < 0.
Ma allora c non è un maggiorante di A, in quanto il punto c + δ
2
∈ A ed è c + δ
2
> c.
Quindi c non è il sup A. Quindi non puo’ essere f (c) < 0.
In definitiva, deve essere f (c) = 0.
Allora, f assume tutti i valori compresi tra m e M . Cioè , dato z ∈ (m, M ), esiste
c ∈ (a, b) tale che
f (c) = z.
Dimostrazione
Sia z ∈ (m, M ). Siccome z > m, z non è minorante di Im(f ). Siccome z < M , non
è maggiorante di Im(f ). Quindi esistono x1 , x2 ∈ (a, b) tali che f (x1 ) < z < f (x2 ).
Definiamo la funzione
g(x) = f (x) − z.
Allora g definita su (x1 , x2 ) soddisfa le ipotesi del teorema di esistenza degli zeri e
quindi esiste c ∈ (x1 , x2 ) ⊂ (a, b) tale che
g(c) = 0.
114
Questo equivale a dire che esiste c ∈ (a, b) tale che
f (c) = z.
Questo è il caso in cui f continua sia definita su un intervallo chiuso e limitato [a, b]. In
questo caso si può applicare l’importante teorema di Weierstrass 26 che prova che sotto
certe ipotesi il sup e l’inf dell’insieme immagine sono rispettivamente il max e il min.
Tale centrale Teorema è presentato nel capitolo sull’Ottimizzazione. Si invita pertanto
lo studente a leggere la sezione 6.1 nel capitolo sull’Ottimizzazione e il Teorema di
Weierstrass, prima di studiare il prossimo teorema.
Nel caso di dominio di Dom(f ) = [a, b], il teorema dei valori intermedi diventa l’im-
portante:
Allora, f assume tutti i valori compresi tra m e M . Cioè , dato z ∈ [m, M ], esiste
c ∈ [a, b] tale che
f (c) = z.
Dimostrazione
Poichè f è continua su un chiuso limitato, per il teorema di Weierstrass esistono
115
Sia m < M (altrimenti l’enunciato del teorema diventa banale). Sia z ∈ [m, M ]. Se
z = m si ha c = x1 , se z = M si ha c = x2 . Sia allora z ∈ (m, M ). Senza perdere
generalità supponiamo sia x1 < x2 . Definiamo la funzione
g(x) = f (x) − z.
Allora g definita su [x1 , x2 ] soddisfa le ipotesi del teorema di esistenza degli zeri e quindi
esiste c ∈ [x1 , x2 ] ⊂ [a, b] tale che
g(c) = 0.
f (c) = z.
Osservazione 169 Il teorema di Darboux dei valori intermedi ci permette di dire che
per le funzioni continue l’immagine di un intervallo chiuso e limitato è a sua volta un
intervallo chiuso e limitato, che ha come estremi min[a,b] f (x) e max[a,b] f (x). In altre
parole, se f : [a, b] → R è continua, allora, detti
si ha
Im(f ) = f ([a, b]) = [m, M ].
116
PARTE 5 DERIVABILITA’
Considerando il grafico di f e i due punti del grafico (x0 , f (x0 )) e (x0 + h, f (x0 + h)),
∆f
con considerazioni trigonometriche è facile vedere che il rapporto incrementale h
è la
tangente dell’angolo α formato dalla retta che collega i due punti e la retta orizzontale
(lo si puo’ vedere considerando la retta orizzontale che passa dal punto (x0 , f (x0 )) e il
triangolo rettangolo formato dai due punti menzionati e dal punto (x0 + h, f (x0 ))).
117
f (x0 + h) − f (x0 ) ∆f
lim = lim =L
h→0 h h→0 h
con L ∈ R, allora si dice che la funzione è derivabile in x0 e il valore del limite L è
detto derivata prima di f in x0 . La derivata prima di f in x0 si indica con f ′ (x0 )
oppure con Df (x0 ) oppure con df
|
dx x=x0
.
Esempio 172
Data una certa funzione, potrebbe non esistere la derivata prima della funzione in un
punto, ma potrebbe esistere il limite del rapporto incrementale destro e il limite del
rapporto incrementale sinistro. In tal caso (analogamente a quanto già visto per limite
destro e sinistro) si parla di derivata destra e derivata sinistra.
f (x0 + h) − f (x0 ) ∆f
lim+ = lim+ =L
h→0 h h→0 h
118
con L ∈ R, allora si dice che la funzione è derivabile a destra in x0 e il valore del
limite L è detto derivata destra di f in x0 . La derivata destra di f in x0 si indica con
f+′ (x0 ) o con D+ f (x0 ).
Esempio 174
119
1. f (x) = c ⇒ f ′ (x) = 0
Che legame c’è tra una funzione derivabile e una funzione continua? La risposta di-
pende da dove è definita la funzione, se è definita su sottoinsiemi di R oppure su
sottoinsiemi di Rn con n > 2. Qui consideriamo solo funzioni definite su sottoinsiemi
di R, e menzioniamo appena il fatto che la risposta non è la stessa per funzioni definite
su Rn con n > 2. Per funzioni definite su R (o suoi sottoinsiemi), derivabilità inmplica
continuità ma non vale il viceversa. Esiste l’importante teorema:
Dimostrazione
Bisogna dimostrare che
lim f (x) = f (x0 )
x→x0
Siccome f è derivabile in R, esiste finito e pari a f ′ (x0 ) il limite del rapporto incre-
mentale:
f (x0 + h) − f (x0 )
lim = f ′ (x0 )
h→0 h
Riscriviamo il limite ponendo x = x0 + h e quindi h = x − x0 , e osservando che per h
che tende a 0 si ha che x tende a x0 :
f (x) − f (x0 )
lim = f ′ (x0 )
x→x0 x − x0
Si ha quindi:
f (x) − f (x0 )
lim (f (x) − f (x0 )) = lim (x − x0 ) =
x→x0 x→x0 x − x0
120
f (x) − f (x0 )
= lim lim (x − x0 ) = f ′ (x0 ) lim (x − x0 ) = f ′ (x0 ) · 0 = 0
x→x0 x − x0 x→x0 x→x0
dove l’ultima eguaglianza deriva dal fatto che f ′ (x0 ) esiste ed è finito. Si è percio’
dimostrato che
lim (f (x) − f (x0 )) = 0
x→x0
0 = lim (f (x) − f (x0 )) = lim f (x) − lim f (x0 ) = lim f (x) − f (x0 )
x→x0 x→x0 x→x0 x→x0
cioè
lim f (x) = f (x0 )
x→x0
Osservazione 175 Abbiamo visto che se una funzione derivabile, essa è continua, ma
non vale il viceversa. Infatti, per esempio f (x) = |x| in x0 = 0 è continua ma non
derivabile (vedi esempio 174).
Terminologia
Date due funzioni f e g, somma prodotto e quoziente si denotano nel seguente sintetico
modo:
( )
f f (x)
(f + g)(x) = f (x) + g(x); (f g)(x) = f (x)g(x); (x) = .
g g(x)
121
( )′
f f ′ (x)g(x)−f (x)g ′ (x)
3. g
(x) = (g(x))2
(assumendo che in un intorno di x, g sia diversa da
0).
Dimostrazione
Qui si è usato il fatto (vedi teorema 20) che una funzione derivabile è anche
continua e percio’ g(x + h) tende a g(x) per h che tende a 0.
( )′
g ′ (x)
3. Si dimostra che g1 (x) = − (g(x)) 2 e poi si applica la regola della derivata di
( )′ 1
− g(x)
1
1 ( g1 )(x+h)−( g1 )(x)) g(x+h) g(x)−g(x+h)
(x) = limh→0 = limh→0 = limh→0 =
g h
(
h
)
hg(x+h)g(x)
′
−(g(x+h)−g(x))
= 1
g(x)
limh→0 1
g(x+h)
limh→0 h
= 1
(g(x))2
− limh→0 g(x+h)−g(x)
h
= − (g(x))
g (x)
2
Si ha ora:
( )′ ( )′ ( ) ( )′
f ′ (x) f (x)g ′ (x)
f
g
(x) = f · g1 (x) = f ′ (x) g1 (x) + f (x) g1 (x) = g(x)
− (g(x))2
=
(basta considerare le costanti α e β come due funzioni, applicare la derivata del pro-
dotto di funzioni e ricordare che la derivata di una costante è 0).
122
Forniti delle regole di derivazione viste al teorema 21 e considerando le derivate delle
funzioni elementari, è possibile calcolare la derivata di molte funzioni.
1) h(x) = 7x
Si puo’ vedere h come h(x) = fg(x)
. (x)
, con f (x) = 7x e g(x) = 3x − 2. La
3x−2
( )′ ′ g′
derivata di un quoziente è fg = f g−f
g2
, quindi restano da calcolare f ′ (x) e g ′ (x). Si
ha f ′ (x) = 7 e g ′ (x) = 3. Quindi h′ (x) = 7(3x−2)−3(7x)
(3x−2)2
= − (3x−2)
14
2
2) h(x) = (2x2 + 9)ex . Si puo’ vedere h come h(x) = f (x)g(x), con f (x) = (2x2 + 9) e
g(x) = ex . La derivata di un prodotto è (f g)′ = f ′ g + f g ′ , quindi restano da calcolare
f ′ (x) e g ′ (x). Si ha f ′ (x) = 4x e g ′ (x) = ex . Quindi h′ (x) = 4xex + (2x2 + 9)ex =
= ex (2x2 + 4x + 9)
√3
3) h(x) = 5 4.
x
Si puo’ vedere h come un quoziente, ma è piu’ facile scriverlo nel
seguente modo: 3x− 5 . Quindi h′ (x) = − 54 3x− 5 = − 5 √
4 12 9
5 9
x
Esempi importanti
Gran parte delle derivate di funzioni composte si possono ricondurre ai seguenti casi:
123
Esempi 177 Data la funzione h(x), calcolare h′ (x).
1) h(x) = (1 − cos x)esin x = f (x)g(x) con f (x) = (1 − cos x) e g(x) = esin x . Si ha:
h′ = f ′ g + g ′ f . Calcoliamo f ′ e g ′ . f ′ (x) = sin x, g ′ (x) = esin x (sin x)′ = esin x cos x
(applicando la (2) sopra). Quindi h′ (x) = esin x (sin x + cos x − (cos x)2 )
3 −9 3 −9
. Si ha: f ′ (x) = ex
3 −9 3 −9
2) h(x) = ln(1+ex ) = ln(f (x)), dove f (x) = 1+ex (ex )′ =
3
3 −9 3x2 ex −9
ex 3x2 . Quindi: h′ (x) = 1+ex3 −9
=
3) h(x) = x sin x + e1−x = f (x)g(x) + em(x) con f (x) = x, g(x) = sin x, m(x) = 1 − x2 .
2
√
3x2 + 12 = (3x2 + 12) 2 = f (x) 2 . Si ha: h(x)′ = f (x) 2 −1 f ′ (x)
1 1 1 1
4) h(x) = 2
=
√
1 − 12 √ 3x ′ ′ √6 6
2
(3x2 + 12) (6x) = 3x2 +12
. Calcolare h (2). Si ha: h (2) = 24
= 2
.
( x+2 ) f′
5) h(x) = ln x−1
= ln f (x), con f (x) = x+2
x−1
. Si ha: h′ = f
, e bisogna calcolare
−3 −3 x−1 −3
f ′ . Si ha: f ′ (x) = 1(x−1)−1(x+2)
(x−1)2
= (x−1)2
, quindi h′ (x) = (x−1)2 x+2
= (x−1)(x+2) .
ln(x+2)
f (x)
6) h(x) = xg(x)
=
con f (x) = ln(x + 2) e g(x) = x. Applicando la derivata di
′ ′
g′
quoziente si ha: h′ = f g−f g2
e bisogna calcolare f ′ e g ′ . f ′ (x) = (x+2)
x+2
1
= x+2 , g ′ (x) = 1.
x
−ln(x+2)
Si ha quindi: h′ (x) = x+2 x2 .
√ √ 1
7) h(x) = e2x 1 − 4x = f (x)g(x) con f (x) = e2x e g(x) = 1 − 4x = (1 − 4x) 2 .
−2
Si ha: h′ = f ′ g + g ′ f . Si ha: f ′ (x) = 2e2x e g ′ (x) = 21 (1 − 4x)− 2 (−4) = √1−4x
1
, quin-
√ √
di: h′ (x) = 2e2x 1 − 4x − √2e ). Calcolare h′ (0). Si ha:
2x
1−4x
= 2e2x ( 1 − 4x − √1−4x 1
h′ (0) = 2(1 − 1) = 0.
1
f ′ g−g ′ f
con f (x) = e x e g(x) = x − 2. Si ha h′ =
ex f (x) 1
8) h(x) = x−2
= g(x) g2
e bisogna
calcolare f ′ e g ′ . Si ha: f (x) = em(x) , quindi f ′ (x) = em(x) m′ (x) = e x ( x )′ = − x12 e x e
1 1 1
1 1
− e (x−2)−e− x
1 x 1
−e x (x−2+x2 )
1
−e x (x+2)(x−1)
g ′ (x) = 1. Percio’ si ha: h′ (x) = x2
(x−2)2
= x2 (x−2)2
= x2 (x−2)2
.
124
√ √
10) h(x) = 1−x
x
⇒ h′ (x) = − 2x12 x
1−x
sin x
−cos x ln x
14) h(x) = 2 − sin x
ln x
⇒ h′ (x) = x
(ln x)2
Cosa vuol dire che f è differenziabile in un punto interno al dominio? Vuol dire che
se l’incremento della variabile indipendente h è abbastanza piccolo, l’incremento della
funzione ∆f = f (x0 + h) − f (x0 ) puo’ essere “approssimato abbastanza bene” dalla
quantità ah. Infatti, ∆f − ah → 0 per h → 0 (osserviamo infatti che se la frazione
∆f −ah
h
→ 0 per h → 0 il numeratore deve per forza tendere a 0 per h → 0, e tende a
0 piu’ velocemente di h). Per valori grandi di h l’approssimazione di ∆f ∼ ah non va
bene, funziona solo per valori piccoli di h.
125
Definizione 180 La funzione da R in R che associa ad ogni h ∈ R la quantità ah
che compare nella definizione di differenziabilità viene chiamata differenziale di f in
x0 e viene indicata con df (x0 ) (o semplicemente df ). In altre parole, il differenziale di
f in x0 è la funzione df (x0 ) : R → R data da df (x0 ) = ah.
Dimostrazione
Dim. di (⇒)
Dimostriamo che se f è differenziabile in x0 allora è derivabile in x0 .
f differenziabile in x0 ⇒ ∃a ∈ R tale che limh→0 f (x0 +h)−f h
(x0 )−ah
= 0. Allora:
( )
f (x0 + h) − f (x0 ) − ah f (x0 + h) − f (x0 ) ah
0 = lim = lim − =
h→0 h h→0 h h
f (x0 + h) − f (x0 ) ah f (x0 + h) − f (x0 )
= lim − lim = lim −a
h→0 h h→0 h h→0 h
cioè
f (x0 + h) − f (x0 )
lim = a ∈ R,
h→0 h
cioè f è derivabile in x0 e si ha f ′ (x0 ) = a.
Dim. di (⇐)
Dimostriamo che se f è derivabile in x0 allora è differenziabile in x0 .
f derivabile in x0 ⇒ limh→0 f (x0 +h)−f (x0 )
h
= f ′ (x0 ), con f ′ (x0 ) ∈ R. Allora:
126
cioè esiste a ∈ R tale che
f (x0 + h) − f (x0 ) − ah
lim =0
h→0 h
con a = f ′ (x0 ).
o anche:
∆f = f (x0 + h) − f (x0 ) = f ′ (x0 )h + o(h)
o anche
f (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 )
L’importanza di tale approssimazione sta nel fatto che la funzione f puo’ essere di
per se’ molto complicata ma, sotto certe condizioni, puo’ essere approssimata da una
semplice retta. Non solo, sotto certe condizioni che vedremo, la funzione (o l’incremen-
to della funzione) puo’ essere approssimato ancora meglio da un polinomio di grado
n in x, il cosiddetto polinomio di Taylor (vedremo che il differenziale risulta essere il
polinomio di Taylor con n = 1). Per introdurre il polinomio di Taylor, occorre prima
introdurre le derivate di ordine superiore al primo.
127
5.5 Derivate di ordine superiore
f′ : B ⊂ R → R
f ′ : x → f ′ (x)
f ′′ : C ⊂ R → R
f ′′ : x → f ′′ (x)
Notazione
Esempi 181 Data f (x), calcolare, se esistono, f ′ (x), f ′′ (x) e f ′′′ (x).
3) f (x) = xex ; f ′ (x) = ex + xex , f ′′ (x) = 2ex + xex , f ′′′ (x) = 3ex + xex .
128
ex (x−2) ex (x2 −4x+6) ex (x3 −6x2 +18x−24
5) f (x) = ex
3x2
; f ′ (x) = 3x3
, f ′′ (x) = 3x4
, f ′′′ (x) = 3x5
).
129
∑n f (k) (x0 )
f (x) − k=0 k!
(x − x0 )k o((x − x0 )n )
lim = lim =0
x→x0 (x − x0 )n x→x0 (x − x0 )n
Osservazione 182
Esempi 183
130
= −2 − 5(x − 1) − 3(x − 1)2 + (x − 1)3 + o((x − 1)3 )
2) Scrivere la formula di Taylor arrestata al II ordine di f (x) = ln(x3 +1)−3 sin x+40x2
in x0 = 0, indicando il resto.
Applicando la (5.2) si ha:
f (x) = f (0) + f ′ (0)x + 12 f ′′ (0)x2 + o(x2 ).
f (x) = ln(x3 + 1) − 3 sin x + 40x2 ⇒ f (0) = 0 − 0 + 0 = 0
f ′ (x) = 3x2
x3 +1
− 3 cos x + 80x ⇒ f ′ (0) = 0 − 3 + 0 = −3
f ′′ (x) = −3x + 3 sin x + 80 ⇒ f ′′ (0)
4 +6x
(x3 +1)2
= 80
Quindi:
f (x) = −3x + 40x2 + o(x2 )
131
PARTE 6 OTTIMIZZAZIONE ELEMENTARE
f :R→R
(6.1)
f (x) = x
132
non possiede massimi e minimi su R, la funzione
f : [0, 1] → R
(6.2)
f (x) = x
possiede massimo M = 1 e minimo m = 0 su [0, 1].
E’ chiaro che se x0 punto di massimo, allora f (x0 ) ≥ f (x) per ogni x ∈ A. Ana-
logamente, se x0 punto di minimo, allora f (x0 ) ≥ f (x) per ogni x ∈ A. Questo si
formalizza parlando di punto di massimo (minimo) globale, nel senso che la disugua-
glianza vale per tutti i punti x del dominio.
Formalizzando, le definizioni di massimo e minimo di funzione sono:
f (x0 ) ≥ f (x) ∀x ∈ A;
f (x0 ) ≤ f (x) ∀x ∈ A.
Il teorema, enunciato per funzioni definite su R, vale in realtà anche per funzioni
definite su Rn , modificando in modo opportuno il concetto di intervallo chiuso e limitato
[a, b]:
133
Il Teorema di Weierstrass è largamente usato nelle dimostrazioni dell’Analisi matema-
tica. Una prima applicazione è la riscrittura del teorema dei valori intermedi per una
funzione f continua definita su un intervallo chiuso e limitato [a, b] che abbiamo visto
nel capitolo sulle funzioni continue.
Le definizioni 184 e 185 hanno i segni di disuguaglianza debole, ammettono cioè che
vi siano punti di A o dell’intorno U (x0 ) ∩ A in cui la funzione assuma lo stesso valore
massimo o minimo. Se tale possibilità viene esclusa, se cioè il massimo o minimo è
unico (almeno in un suo intorno), si hanno i punti di massimo o minimo “forti” o
“stretti”. Le definizioni sono quasi uguali a quelle date, l’unica cosa che cambia è che
si hanno disuguaglianze strette e si deve porre x ̸= x0 (poichè è evidente che non si
puo’ avere f (x0 ) > f (x0 ) o f (x0 ) < f (x0 )).
134
x0 è punto di minimo forte assoluto per f su A se
E’ del tutto evidente che se x0 è massimo (minimo) globale, allora è anche massimo
(minimo) locale. Vale il viceversa? Ovviamente in generale no, un massimo (minimo)
locale può non essere massimo (minimo) globale.
Osserviamo inoltre che nella Matematica Applicata, e specialmente nell’Economia, la
nozione di massimo (minimo) locale è di scarsa utilità . Infatti, l’individuo che voglia
massimizzare (minimizzare) la sua funzione obiettivo (sia essa la sua funzione utilità , la
sua funzione profitto, la sua funzione costo ecc.) è tipicamente interessato a trovare un
massimo (minimo) globale, e non si accontenterà di un massimo (minimo) locale. Ci si
può dunque chiedere, al di là dell’importanza teorica, quale possa essere l’importanza
applicativa del massimo (minimo) locale. Si può parzialmente rispondere a questa
domanda osservando che per un’importantissima e centrale classe di funzioni le due
nozioni globale e locale coincidono. Si tratta delle funzioni concave e convesse. Vediamo
i seguenti fondamentali risultati, di cui omettiamo la dimostrazione.
Si noti che nelle Proposizioni 187 e 188 non si è parlato di regolarità della funzio-
ne f : tali risultati valgono indipendentemente dal livello di regolarità di f . In altre
135
parole, tali risultati sono validi per qualsiasi funzione concava o convessa: in partico-
lare, f potrebbe essere non derivabile e addirittura non continua su A.
Tuttavia, su intervalli aperti la concavità e la convessità implicano la continuità , come
mostra il seguente teorema, che non dimostriamo.
La richiesta di derivabilità è invece indispensabile nei teoremi che seguono, che danno
condizioni necessrie e sufficienti di I e II ordine per la ricerca di massimi e minimi locali
interni.
∆f f (x0 + h) − f (x0 )
= ≥0
h h
perchè h < 0 e f (x0 ) ≥ f (x0 + h), cioè il rapporto incrementale ∆f
h
≥ 0 a sinistra di
x0 .
∆f
Consideriamo h
nell’intorno destro (x0 , x0 + δ):
∆f f (x0 + h) − f (x0 )
= ≤0
h h
136
perchè h > 0 e f (x0 ) ≥ f (x0 + h), cioè il rapporto incrementale ∆f
h
≤ 0 a destra di x0 .
f ′ (x0 ) = 0
Dimostrazione
Dimostriamo il teorema per x0 punto di massimo (dimostrazione analoga per x0 punto
di minimo).
Siccome f è derivabile in x0 , si ha:
∆f ∆f ∆f
f ′ (x0 ) = lim = lim+ = lim−
h→0 h h→0 h h→0 h
Consideriamo ∆f
h
per h → 0+ . Si ha:
∆f
≤0 per h>0
h
(vedi analisi precedente).
Per il teorema di permanenza del segno (teorema 8) deve essere
∆f
lim+ ≤0
h→0 h
∆f ∆f
(se fosse limh→0+ h
> 0 esisterebbe un intorno destro di x0 in cui h
> 0).
Analogamente, consideriamo ∆f
h
per h → 0− . Si ha:
∆f
≥0 per h<0
h
(vedi analisi precedente).
Per il teorema di permanenza del segno deve essere
∆f
lim− ≥ 0.
h→0 h
137
Quindi si ha:
∆f ∆f
0 ≤ lim− = f ′ (x0 ) = lim+ ≤0
h→0 h h→0 h
Questo implica:
f ′ (x0 ) = 0
Osservazione 191 Il teorema non è applicabile alle funzioni che, pur avendo punti
interni che sono punti di massimo o minimo, non sono derivabili in tali punti. Esempio
classico è la funzione f : R → R, f (x) = |x|: in x0 = 0 si ha un punto di minimo
globale, ma f non è derivabile in x0 = 0, e percio’ non si puo’ avere f ′ (x0 ) = 0.
Prima di proseguire con le condizioni sufficienti del secondo ordine per trovare punti
di massimo e minimo locale, è necessario fermarsi e illustrare i principali teoremi del
calcolo differenziale, che sono una immediata conseguenza del teorema di Fermat.
138
6.3 Teoremi fondamentali sul calcolo differenziale
Teorema 29 (Rolle) Sia f : [a, b] → R continua su [a, b] e derivabile su (a, b). Sia
f (a) = f (b). Allora esiste c ∈ (a, b) tale che f ′ (c) = 0.
Dimostrazione
Per il teorema di Weierstrass, esistono x0 , x1 ∈ [a, b] tali che f (x0 ) = m = minx∈[a,b] f (x)
e f (x1 ) = M = maxx∈[a,b] f (x).
Se m = M allora f è costante f (x) = c(= m = M ) e quindi f ′ (x) = 0 per ogni
x ∈ (a, b).
Se m < M , allora almeno uno tra x0 e x1 è interno ad [a, b] (non possono essere
entrambi di frontiera perchè f (a) = f (b) e invece si ha m = f (x0 ) < f (x1 ) = M ). Sia
x0 interno ad [a, b], allora x0 ∈ (a, b) e x0 punto di minimo locale. Allora per il teorema
28 si ha f ′ (x0 ) = 0 e quindi c = x0 . Stessa cosa se fosse x1 a essere interno: in questo
caso si avrebbe c = x1 .
Teorema 30 (di Lagrange, o del Valor Medio del Calcolo Differenziale) Sia f :
[a, b] → R continua su [a, b] e derivabile su (a, b). Allora esiste c ∈ (a, b) tale che
f (b) − f (a)
f ′ (c) =
b−a
f (b)−f (a)
Prima di dimostrare il teorema facciamo qualche osservazione. La quantità b−a
è il
′
coefficiente angolare della retta che passa dai punti (a, f (a)), (b, f (b)), mentre f (c) è il
coefficiente angolare della retta tangente al grafico di f nel punto (c, f (c)). Il teorema
afferma che sotto certe ipotesi (molto meno forti di quelle del teorema di Rolle, perchè
queste sono solo ipotesi di continuità e derivabilità della funzione, mentre in Rolle si
richiede che il valore agli estremi dell’intervallo sia uguale) esiste un punto c ∈ (a, b)
tale che la retta passante da (c, f (c)) tangente al grafico di f è parallela alla retta
passante per gli estremi dell’intervallo.
Prima di dimostrare il teorema, scriviamo l’equazione della retta passante dai pun-
ti (a, f (a)) e (b, f (b)): essa è y = f (a) + f (b)−f (a)
b−a
(x − a). Osserviamo inoltre che il
grafico di f tocca la retta almeno nei due punti (a, f (a)) e (b, f (b)).
139
Dimostrazione del teorema di Lagrange
Consideriamo la funzione G che dà la differenza tra f e la retta passante per i punti
(a, f (a)) e (b, f (b)). L’equazione di G è :
( )
f (b) − f (a)
G(x) = f (x) − f (a) + (x − a)
b−a
G è continua su [a, b] e derivabile su (a, b) (poichè lo è f ). Inoltre G(a) = 0 e G(b) = 0
(ricordiamo l’osservazione precedente la dimostrazione del teorema). Allora le ipotesi
del teorema di Rolle sono verificate per la funzione G e percio’ esiste un punto c ∈ (a, b)
tale che G′ (c) = 0.
Ma
f (b) − f (a)
G′ (x) = f ′ (x) −
b−a
quindi
f (b) − f (a)
0 = f ′ (c) −
b−a
cioè esiste c ∈ (a, b) tale che:
f (b) − f (a)
f ′ (c) =
b−a
2
Provvisti del pontente teorema di Lagrange (di vastissima applicabilità ) possiamo ora
continuare con funzioni crescenti e decrescenti che sono strumentali per le condizioni
del II ordine.
140
Definizione 192 Una funzione f : A ⊂ R → R si dice crescente in A se:
Ovviamente si ha:
Esempi 193
141
6.4.1 Relazione tra funzioni crescenti e decrescenti e derivata prima
Che rapporto c’è tra la proprietà di crescenza o decrescenza di una funzione e il com-
portamento del rapporto incrementale, o della derivata prima (quando esiste)? La
risposta è fornita dal seguente intuitivo teorema:
Dimostrazione
Dimostriamo che se f ′ (x) > 0 allora f è strettamente crescente (la dimostrazione di:
f ′ (x) < 0 ⇒ f strettamente decrescente, è analoga). Presi due punti x1 , x2 ∈ A, x1 <
x2 , restringiamo la funzione f all’intervallo chiuso [x1 , x2 ]. Le ipotesi del teorema di La-
grange sono soddisfatte su [x1 , x2 ], quindi esiste c ∈ [x1 , x2 ] tale che f ′ (c) = f (x2 )−f (x1 )
x2 −x1
.
Per ipotesi si ha f ′ (c) > 0, e questo implica f (x1 ) < f (x2 ), poichè x1 < x2 . Siccome
questo vale per qualsiasi coppia di punti x1 , x2 ∈ A, si ha che f è strettamente crescente.
Osserviamo che qui siamo in presenza di una condizione sufficiente affinchè la fun-
zione sia strettamente crescente, ma non necessaria. Infatti, f (x) = x3 è strettamente
crescente su R, ma, come si è visto (vedi osservazione 189), si ha f ′ (0) = 0, cioè non
è vero che f strettamente crescente su A ⇒ f ′ (x) > 0 per ogni x ∈ A.
Tuttavia, si dimostra che, allentando le disuguaglianze, si ottiene una condizione ne-
cessaria e sufficiente che lega il segno della derivata prima con la crescenza o decrescenza
di una funzione.
142
Concludiamo con un’importante caratterizzazione delle funzioni costanti:
Dimostrazione
Dim. di (⇒). Ovvia.
Dim. di (⇐). Sia x ∈ [a, b]. Applicando il teorema di Lagrange sull’intervallo [a, x],
esiste c ∈ (a, x) tale che f ′ (c) = f (x)−f (a)
x−a
. Poichè f ′ (x) = 0 in [a, b], si ha f ′ (c) = 0
cioè f (x) = f (a). Ma siccome il punto x è arbitrario, si ha che f (x) = f (a) per ogni
x ∈ [a, b], cioè f è costante su [a, b].
Per individuare massimi e minimi di funzioni, si sono viste le condizioni del primo
ordine, che sono condizioni necessarie. Vediamo ora le condizioni del secondo ordine,
che sono condizioni sufficienti.
Per individuare punti di massimo e minimo locale per una funzione f la procedura
consta di due parti:
143
1. selezione dei candidati, ossia risoluzione dell’equazione f ′ (x) = 0. I punti che
annullano f ′ sono detti “candidati” a essere punti di massimo o minimo ;
2. verifica dei candidati, ossia sostituzione dei candidati di cui al punto (1) nella
derivata seconda f ′′ (x): se è positiva, si ha un punto di minimo, se è negativa, un
punto di massimo (vedi teorema 34).
Nella maggior parte dei casi, la procedura appena esposta ha successo. Quando in (2)
si ha f ′′ (x) = 0, abbiamo una situazione ambigua, come dimostrano i seguenti esempi:
f (x) = x4 e f (x) = x3 . In questo caso, risulta necessario adottare una procedura piu’
raffinata, che coinvolge il calcolo delle derivate di ordine superiore:
Allora:
Per esempio, nel caso di f (x) = x4 si ha f ′ (0) = f ′′ (0) = f ′′′ (0) = 0, f iv (0) > 0,
quindi 0 è un punto di minimo. Nel caso di f (x) = x3 si ha f ′ (0) = f ′′ (0) = 0 e
f ′′′ (0) > 0, quindi 0 non è nè punto di minimo nè punto di massimo.
144
se f ′ è negativa a sinistra di x0 e positiva a destra di x0 si ha un punto di minimo; se vi-
ceversa f ′ è positiva a sinistra di x0 e negativa a destra di x0 si ha un punto di massimo.
2) f (x) = x2 e−2x .
Sol.: (0, 0) è un minimo locale, (1, e−2 ) è un massimo locale.
145
PARTE 7 INTEGRALI
Definizione 196 Consideriamo due partizioni π1 and π2 di [a, b]. π2 è detta più fine
di π1 se π1 ⊂ π2 , cioè se π2 contiene lo stesso numero di punti di π1 e almeno un punto
in più .
Sia π = π(x0 , x1 , ...xn ) una partizione di [a, b]. Per ogni i = 1, 2, ...n, sia
Indichiamo la lunghezza del singolo intervallo con ∆xi , cioè ∆xi = xi − xi−1 .
146
Osservazione 199 Il significato geometrico di I(f, π) e S(f, π) è immediato guardan-
do il grafico. Infatti, si può notare che la partizione π divide l’area F in n rettangoli
inferiori (dove il imo ha base uguale a ∆xi e altezza uguale a mi ) e n rettangolari
superiori (il imo ha base uguale a ∆xi e altezza uguale a Mi . Chiaramente, I(f, π) è
la somma delle aree degli n rettangoli inferiori, mentre S(f, π) è la somma delle aree
degli n rettangoli superiori.
Perciò :
m∆xi ≤ mi ∆xi ≤ Mi ∆xi ≤ M ∆xi ,
∑
n ∑
n ∑n ∑
n
m∆xi ≤ mi ∆xi ≤ Mi ∆xi ≤ M ∆xi ,
i=1 i=1 i=1 i=1
che implica
m(b − a) ≤ I(f, π) ≤ S(f, π) ≤ M (b − a)
Osservazione 201 Il Teorema 200 mostra il fatto intuitivo che con partizioni più fini
l’area della regione sotto f è approssimata meglio sia dalle somme superiori sia dalle
somme inferiori.
147
Abbiamo appena visto che supπ∈Π I(f, π) ≤ inf π∈Π S(f, π). Quindi si ha supπ∈Π I(f, π) <
inf π∈Π S(f, π) oppure supπ∈Π I(f, π) = inf π∈Π S(f, π). Nel primo caso, la funzione non
è integrabile, nel secondo la funzione è integrabile. Questo è formalizzato dalla seguente
definizione.
L’insieme di funzioni limitate che sono integrabili nel senso di Riemann sull’intervallo
I = [a, b] è indicato con R([a, b]) o con R(I). Vale la pena sottolineare che R([a, b]) non
è l’insieme vuoto ma non coincide con l’insieme di funzioni limitate su [a, b]. Infatti, ci
sono esempi di funzioni limitate che sono integrabili nel senso di Riemann e funzioni
limitate che non sono integrabili nel senso di Riemann. Queste sono illustrate negli
esempi seguenti.
Esempio 204 Ogni costante c ∈ R è integrabile nel senso di Riemann su ogni inter-
vallo [a, b] ⊂ R. In più ,
∫ b
cdx = c(b − a).
a
Infatti, per ogni partizione π si ha mi = c = Mi per ogni i. Perciò per ogni partizione
π si ha
∑
n ∑
n
I(f, π) = mi ∆xi = c ∆xi = c(b − a),
i=0 i=0
e
∑
n ∑
n
S(f, π) = Mi ∆xi = c ∆xi = c(b − a).
i=0 i=0
148
Quindi, ∫ b
sup I(f, π) = inf S(f, π) = c(b − a) = cdx.
π∈Π π∈Π a
Data la densità dei Q nei R, è facile vedere che per ogni partizione π e per ogni i, si
ha mi = 0 e Mi = 1. Quindi,
∑
n
I(f, π) = mi ∆xi = 0,
i=0
e
∑
n ∑
n
S(f, π) = Mi ∆xi = ∆xi = (b − a).
i=0 i=0
Perciò
sup I(f, π) = 0
π∈Π
e
inf S(f, π) = b − a.
π∈Π
L’idea alla base delle funzioni integrabili è che sia sempre possibile migliorare la par-
tizione in modo tale che le somme inferiori e le somme superiori possano avvicinarsi
quanto desiderato. Questa è una caratteristica che chiaramente la funzione di Dirichlet
non ha (vedi esempio 205). Questa proprietà viene formalizzata nel seguente teorema.
Theorem 206 Una funzione limitata f : [a, b] → R appartiene a R([a, b]) se e solo se
per ogni ϵ > 0 è possibile trovare una partizione π ϵ t.c.
Dimostrazione
(⇒)
Assumiamo che f ∈ R([a, b]). Allora, sia I(f ) = supπ∈Π I(f, π) = inf π∈Π S(f, π).
149
Per la definizione di inf, dato ϵ > 0 esiste una partizione π1ϵ tale che S(f, π1ϵ ) < I(f )+ 2ϵ .
Analogamente, per la definizione di sup, dato ϵ > 0 esiste una partizione π2ϵ tale che
I(f, π2ϵ ) > I(f ) − 2ϵ .
Consideriamo la partizione π ϵ = π1ϵ ∪ π2ϵ . Allora,
(⇐)
Per ogni ϵ > 0 si ha:
Definizione 208 Si consideri una partizione π di [a, b] e per ogni intervallo (xi , xi−1 ),
si consideri un punto arbitrario µi t.c.
mi ≤ µi ≤ Mi .
Le somme
∑
n
σ(f, π) = µi ∆i
i=1
sono dette somme integrali alla Riemann.
Osservazione 209 Si notino due cose. Primo, per ogni i il punto µi è arbitrario,
l’unica restrizione è mi ≤ µi ≤ Mi . Secondo, il punto µi non deve necessariamente
essere l’immagine di un punto in [a, b]. In altre parole, potrebbe non esistere alcun
ti ∈ [a, b] t.c. f (ti ) = µi , perchè la continuità di f non è un’ipotesi.
150
Definizione 210 Si dice che il numero l ∈ R è il limite di σ(f, π) for |π| → 0 and we
write
lim σ(f, π) = l
|π|→0
se ∀ϵ > 0, ∃δ > 0 t.c. per ogni partizione π t.c. |π| < δ e per ogni scelta di numeri
arbitrari µi si ha
|σ(f, π) − l| < ϵ.
Theorem 211 Una funzione limitata f : [a, b] → R appartiene a R([a, b]) se e solo se
il limite
lim σ(f, π)
|π|→0
Una domanda rilevante che sorge è : Quali sono le funzioni integrabili? Una risposta
parziale è data dall’elenco di alcune classi di funzioni integrabili. Classi importanti di
funzioni integrabili sono
• funzioni continue;
In ciò che segue, proveremo l’integrabilità solo della seconda delle tre classi elencate
sopra.
151
Dimostrazione
Senza perdita di generalità , sia f crescente. Allora, per ogni i:
I : R([a, b]) → R
(7.2)
f I(f )
1. Additività e omogeneità
2. Monotonicità
152
e quindi
0 ≤ lim σ(h, π) = I(h).
|π|→0
Si consideri la funzione h = f − g ≥ 0. Allora
3. Valore assoluto
Osservazione 214 Finora abbiamo sempre ipotizzato a < b. Qual è il significato del-
∫b
l’integrale a f (x)dx se a > b o a = b? Consideriamo questi due casi.
Se a > b, definiamo: ∫ ∫
b a
f (x)dx = − f (x)dx.
a b
Se a = b ∫ a
f (x)dx = 0.
a
E’ importante osservare che tutte le proprietà viste finora valgono quando a ≥ b.
Ci sono due teoremi rilevanti che valgono per gli integrali che sono usati frequentemente
nel calcolo. Il primo è il Teorema del Valor Medio del Calcolo Integrale (o Teorema
della media integrale), che vedremo ora.
153
Theorem 215 [Teorema del Valor Medio del Calcolo Integrale]
Sia f ∈ R([a, b]). Se m = inf [a,b] f e M = sup[a,b] f , allora esiste λ ∈ [m, M ] tale che
∫b
a
f (x)dx
λ= . (7.4)
b−a
Inoltre, se f è continua su [a, b], allora ∃c ∈ [a, b] tale che:
∫b
f (x)dx
f (c) = λ = a , (7.5)
b−a
cioè esiste c ∈ (a, b) tale che
∫ b
f (x)dx = f (c)(b − a).
a
Dimostrazione
Per la monotonia dell’operatore integrale, abbiamo
quindi ∫ b
m(b − a) ≤ f (x)dx ≤ M (b − a).
a
Dividendo per b − a > 0 si ha
∫b
f (x)dx
m≤ a
≤M
b−a
e, ponendo ∫b
a
f (x)dx
λ=
b−a
si ottiene la tesi.
154
Osservazione 216 Il nome del Teorema 215 è legato alla proprietà (7.5) nel caso di
continuità di f , ed è dovuto al fatto che in quel caso la proprietà (7.5) può essere
riscritta come: Esiste c ∈ [a, b] t.c.
∫ b
f (c)(b − a) = f (x)dx.
a
L’area della regione sotto f e delimitata da a e b è uguale a quella del rettangolo con
base b − a e altezza f (c). Perciò , f (c) può essere interpretata come l’altezza media di
f in [a, b].
Il secondo importante teorema che vale per gli integrali è il Teorema Fondamentale del
Calcolo Integrale, che vedremo in questa sezione. Abbiamo bisogno di introdurre del
materiale preliminare.
F (x) è detto funzione integrale di f . Chiaramente, F è una funzione che associa a ogni
punto x ∈ [a, b] l’integrale di f in [c, x] ⊂ [a, b]:
F : [a, b] → R
∫x (7.7)
x c
f (t)dt
Osservazione 217 Il limite inferiore c può essere un qualsiasi punto fissato di [a, b].
Si noti che la funzione integrale definita con un limite inferiore c1 si differenzia da
quella con limite inferiore c2 per una costante. Infatti,
∫ x ∫ c1 ∫ x
Fc2 (x) = f (t)dt = f (t)dt + f (t)dt = Fc1 (x) − Fc1 (c2 ),
c2 c2 c1
155
dove Fc1 (c2 ) ∈ R.
Osservazione 218 E’ immediato vedere che l’integrale definito può essere trovato
come la differenza tra due funzioni integrali. Infatti,
∫ b ∫ c ∫ b ∫ a ∫ b
f (t)dt = f (t)dt + f (t)dt = − f (t)dt + f (t)dt = F (b) − F (a).
a a c c c
P ′ (x) = f (x) ∀x ∈ I.
E’ chiaro che due qualsiasi primitive di una funzione differiscono solo per una costante.
Questo è formalizzato dal seguente teorema.
Theorem 220 Sia P (x) una primitiva di f (x) su I ⊂ R. Allora, P1 (x) è un’altra
primitiva di f (x) se e solo se può essere riscritta nella forma:
P1 (x) = P (x) + k,
dove k ∈ R.
Dimostrazione
(⇐)
Sia P1 (x) = P (x) + k. Allora,
156
Questo significa che G(x) = k con k ∈ R su I, che è la tesi.2
Osservazione 221 Il Teorema 220 mostra che se viene individuata una primitiva P
di una funzione f , vengono fornite tutte le primitive di f : esse si possono indicare
come {P + k}k∈R . Tale importante famiglia di funzioni ha un nome.
Vale la pena ricordare che non c’è concordanza in letteratura relativamente al teorema
che prende il nome di “Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale”. Perchè ci sono
una serie di teoremi che legano differenziazione e integrazione e dimostrano diverse
proprietà . Alcuni testi danno il nome a un teorema che è considerato un corollario o
una proprietà in altri testi e viceversa. Nel nostro libro diamo due teoremi fondamentali
del calcolo integrale. Il primo ha ipotesi più deboli (f integrabile), il secondo ha ipotesi
più restrittive (f continua). Poichè il secondo è di gran lunga il più importante e
conosciuto partiamo da quello.
Dimostrazione
Sia x ∈ [a, b] e si consideri h ∈ R t.c. x + h ∈ [a, b]. Allora, usando il Teorema del
Valor Medio (Teorema 215),
∫ x+h ∫x ∫ x+h
F (x + h) − F (x) c
f (t)dt − c f (t)dt f (t)dt
= = x = f (x + ξh)
h h h
dove ξ ∈ [0, 1]. Allora h → 0, x + ξh → x. Allora, la continuità di f implica che
f (x + ξh) → f (x). Cioè :
F (x + h) − F (x)
lim = f (x),
h→0 h
cioè , F (x) è differenziabile in [a, b] e F ′ (x) = f (x). 2
157
Osservazione 224 Il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale mostra che la fun-
∫x
zione integrale F (x) = c f (t)dt è una primitiva di f (x). Per il Teorema 220 e l’os-
servazione 221, possiamo affermare che sotto l’ipotesi di continuità di f la funzione
integrale di f fornisce tutta la famiglia di primitive di f . Per questa ragione, all’in-
sieme di primitive di una funzione si da’ il nome di integrale indefinito di f , come
abbiamo visto nella definizione 222.
Dimostrazione
E’ ovvia, dati i Teoremi 227 e 220. Osserviamo che il limite inferiore può essere scelto
uguale ad a senza perdita di generalità , poichè la differenza tra due funzioni integrali
con limite inferiore diverso è una costante, che può essere inglobata in k (vedere osser-
vazione 217).2
Theorem 226 Sia f continua su [a, b] e sia F una funzione primitiva di f . Allora:
∫ b
f (x)dx = F (b) − F (a).
a
Dimostrazione
Per il Corollario 225, esiste k ∈ R tale che
∫ x
F (x) = f (t)dt + k
a
Se x = b: ∫ b
F (b) − F (a) = f (t)dt.
a
1 Molti testi considerano questo il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale.
2 Molti testi considerano questo il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale.
158
2
Quest’ultimo risultato in realtà vale anche senza continuità di f , e questo è il contenuto
del primo teorema fondamentale del calcolo integrale (la cui dimostrazione si basa sul
teorema di Lagrange).
cioè
I(f, π) ≤ P (b) − P (a) ≤ S(f, π)
Questo vale per ogni partizione π di [a, b], quindi
159
Mentre la differenziabilità della funzione integrale richiede la continuità della funzione
integranda, poichè ci sono funzioni che sono integrabili ma non continue che generano
una funzione integranda non differenziabile, la continuità della funzione integrale non
necessita della continuità di f , come il seguente teorema mostra.
Theorem 228 (No dim.) La funzione integrale F (x) di una funzione limitata f ∈
R([a, b]) è continua su I = [a, b].
Osservazione 229 Per via del legame tra differenziazione e integrazione evidenziato
dal Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale, si potrebbe essere tentati di vedere
l’operazione di integrazione come l’inversa dell’operazione di differenziazione. Questo
non è completamente corretto, poichè data una funzione f la sua funzione integrale
F è una famiglia di funzioni. Manca quindi la proprietà di iniettività dell’operatore
di derivabilità , necessario per parlare propriamente di operatore inverso. Tuttavia,
vedere l’integrale come l’inverso della derivata aiuta sotto l’aspetto applicativo, e, con
le dovute cautele non è del tutto sbagliato. Per questa ragione in ciò che segue faremo
ampio uso di questo legame tra integrale e derivata per trovare gli integrali elementari.
160
7.7 Integrali elementari
Tabella 1.
Usando le proprietà dell’operatore integrale e la Tabella 1 sopra, è possibile calcola-
re l’integrale di molte funzioni elementari. Per esempio, i polinomi sono facilmente
integrabili, come mostra il seguente esempio.
Esempio 230 Calcolare la funzione primitiva F (x) della funzione f (x) ∈ R(I) con
I∈R
161
• calcolare la differenza F (b) − F (a)
∫b
Osserviamo che ci sono molti modi “tipici” di scrivere l’integrale definito a
f (x)dx,
una volta che si conosce la primitiva F (x):
∫ b
f (x)dx = [F (x)]ba = F (x) b
a = F (b) − F (a)
a
per indicare che una volta che si è trovata la funzione primitiva, F (x) il prossimo passo
consiste nel calcolarla in x = b e in x = a e nel calcolare la differenza.
L’esercizio seguente può aiutare ad acquistare familiarità con gli integrali elementari e
con la procedura descritta sopra.
Per una funzione generica f che non è elencata nella Tabella 1 l’operazione di integra-
zione può risultare difficile, se non impossibile. Ci sono delle metodologie di integra-
zione che possono essere usate di volta in volta per affrontare la difficile operazione di
integrazione.
162
7.8 Regole di integrazione: Metodo di sostituzione
φ : [α, β] → [a, b]
(7.9)
t x
differenziabile in [α, β] e tale che φ([α, β]) = [a, b], cioè preso ogni x ∈ [a, b], esiste
t ∈ [α, β] tale che φ(t) = x. Preso un intervallo chiuso e limitato [c, d] ⊆ [a, b] esiste
γ, δ ∈ [α, β] t.c.
φ(γ) = c and φ(δ) = d. (7.10)
che significa che (F ◦ φ)(t) è una primitiva di f (φ(t))φ′ (t). Usiamo questo fatto
nell’intervallo [γ, δ] per ottenere:
∫ δ
(F ◦ φ)(δ) − (F ◦ φ)(γ) = f (φ(t))φ′ (t)dt. (7.13)
γ
163
Osservazione 232 Si noti che nella formula (7.15), si può vedere una sostituzione
formale nell’integrale di x con φ(t) e dell’incremento dx con il corrispondente incre-
mento φ′ (t)dt. Anche gli estremi cambiano perchè chiaramente se la variabile x varia
in [c, d], la corrispondente variabile t varia in [φ−1 (c), φ−1 (d)].
Esempi 233
∫ φ(x)a+1
1. φ(x)a φ′ (x)dx = a+1
if a ̸= −1
∫ φ′ (x)
2. φ(x)
dx = ln |φ(x)|
∫
3. sin(φ(x))φ′ (x)dx = − cos(φ(x))
∫
4. cos(φ(x))φ′ (x)dx = sin(φ(x))
∫
5. eφ(x) φ′ (x)dx = eφ(x)
Esempi 234
∫
1. sin4 x cos xdx = 15 sin5 x + k
∫ ∫ sin x ∫ sin x
2. tan xdx = cos x
dx = − −cos x
dx = − ln |cosx| + k
∫
3. ex sin ex dx = − cos ex + k
164
∫ 2 1
∫ 2 2
4. xex dx = 2
2xex dx = 21 ex + k
∫ 1
∫
5. e4x dx = 4
4e4x dx = e4x + k
Osservazione 236 Il metodo di sostituzione a volte può essere usato anche quando la
funzione integranda è una funzione composta di due funzioni elementari, f (ϕ(x)), e la
derivata della funzione interna ϕ, ϕ′ (x) può non apparire nell’integrale. In questo caso,
una volta essere stato trasformato con la sostituzione l’integrale può essere risolto con
altri metodi, per esempio per parti. Presenteremo alcuni esempi dopo.
Questo metodo è basato sulla regola di differenziazione del prodotto di funzioni. Infatti,
richiamiamo che se f e g sono definite e derivabili su I ⊂ R, allora
165
Questo significa che f g è una primitiva di f ′ g + f g ′ . Questo implica che se f e g sono
differenziabili: ∫
(f g)(x) = (f ′ g + f g ′ )(x)dx
cioè ∫ ∫
′
f (x)g(x) = f (x)g(x)dx + f (x)g ′ (x)dx.
Questo porta a ∫ ∫
′
f (x)g (x)dx = f (x)g(x) − f ′ (x)g(x)dx. (7.16)
166
Qui si prende f (x) = x and g ′ (x) = ex . Cosı̀ che
f (x) = x g ′ (x) = ex
f ′ (x) = 1 g(x) = ex
L’applicazione di (7.16) porta
∫ ∫
xe dx = xe − 1 · ex dx = xex − ex = ex (x − 1).
x x
che significa ∫ √ √
2 1 − x2 dx = x 1 − x2 + arcsin x
cioè ∫ √
1( √ )
1 − x dx =
2 x 1 − x + arcsin x .
2
2
Esempio 240 Calcolare ∫
x sin xdx.
167
L’applicazione di (7.16) porta
∫ ∫
x sin xdx = −x cos x + 1 · cos xdx = −x cos x + sin x.
che implica ∫ ∫ 2
x2 x
x sin xdx = sin x − cos xdx.
2 2
La procedura ha persino peggiorato l’integrale da risolvere piuttosto che migliorarlo.
Perciò , bisogna fare molta attenzione alla scelta di f and g. Questo esempio mostra
che se si deve calcolare ∫
xn h(x)dx
dove h è una funzione il cui integrale immediato non “peggiora” (p.es. h(x) = sin x, cos x, ex ),
una buona scelta è di porre f (x) = xn e g(x) = h(x). Infatti, derivando f (x) n volte,
il polinomio scompare e rimane solo g(x) or g ′ (x), immediatamente integrabili. Questa
scelta appropriata è stata fatta nell’esempio (238).
168
∫
9. arctan xdx
∫
10. xe3x dx
∫
11. (x2 + 3x − 1)ex dx
∫
12. ex (sin x)2 dx
Richiamando l’osservazione 236, possiamo prima operare una sostituzione, e poi inte-
√
grare per parti. Infatti, poniamo u = ϕ(x) = x. Poi, du = 2√1 x dx e siccome x = u2 ,
abbiamo ∫ ∫
4 √ 2
x
e dx = eu 2udu.
1 1
Questo può a sua volta essere integrato per parti, per ottenere
∫ 2
eu 2udu = 2e2 .
1
Un altro metodo che può essere usato se la funzione integranda è una funzione razionale,
cioè può essere espressa come:
P (x)
f (x) = (7.17)
Q(x)
dove P (x) e Q(x) sono funzioni polinomiali. Infatti, in alcuni casi è possibile riscrivere
(7.17) nella somma di frazioni più semplici:
P (x) A B C Z
= + + + ...
Q(x) x−a x−b x−c x−z
dove a, b, c, ..., z sono radici di Q(x). Dopo la trasformazione evidentemente l’integrale
originale può essere calcolato immediatamente.
169
Il primo termine di (7.18) è uguale a
A(x + 2) + B(x + 1) x(A + B) + (2A + B)
= (7.19)
(x + 1)(x + 2) (x + 1)(x + 2)
(7.18) e (7.19) sono uguali se e solo se A se B soddisfano il seguente sistema:
{
A+B =1
(7.20)
2A + B = −1
Quindi,
A = −2 B=3
e ∫ ∫ ( )
x−1 −2 3
dx = + dx = −2 ln |x + 1| + 3 ln |x + 2|
x2 + 3x + 2 x+1 x+2
Quando ci sono radici multiple, la situazione è differente, come il seguente esempio
mostra.
Quindi,
A = −1 B=1 C=1
e ∫ ∫ ( )
1 −1 1 1 1
dx = + 2+ dx = − ln |x| − + ln |x + 1|
x2 (x + 1) x x x+1 x
Esercizi 246 Calcolare i seguenti integrali di funzioni razionali.
∫ 3x+2
1. x(x2 −1)
dx
∫ x2 −2
2. x(x2 −x−2)
dx
170
∫ 1
3. x2 −x
dx
∫ 1
4. x(x+2)
dx
∫ x
5. (x−3)(x+1)
dx
∫ x2 +2
6. x3 −4x
dx
∫ 2x−1
7. 2x2 +x
dx
∫ 1
8. x2 −4
dx
171
Appendice A
Si noti che |x| ≥ 0. Inoltre, come riportato nell’Ambrosetti e Musu (pagina 28 e pagina
32), il valore assoluto ha le seguenti proprietà :
Lemma 1 Si ha:
|x| = 0 ⇔ x = 0 (A.1)
|x + y| ≤ |x| + |y| (A.2)
Lemma 2 Si ha:
|x| < c ⇔ −c < x < c (A.3)
Lemma 3 Si ha:
√
x2 = |x| (A.4)
Definizione
Dato un insieme A ⊂ R, un punto M ∈ R si dice maggiorante di A se M ≥ x per
ogni x ∈ A.
Definizione
Dato un insieme A ⊂ R, un punto M ∈ R si dice estremo superiore di A, e si indica
con M = sup A se è il piu’ piccolo dei maggioranti di A.
172
Si puo’ inoltre dimostrare la seguente proposizione, che caratterizza l’estremo supe-
riore di un insieme.
Proposizione
Dato un insieme A ⊂ R, un punto M ∈ R è l’estremo superiore di A se e solo se
valgono le due proprietà :
2. per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A tale che x0 > M − ϵ (cioè M è il piu’ piccolo dei
maggioranti).
Dimostrazione
Limitiamoci a dimostrare il ”solo se”. Sia M = sup A. Vogliamo dimostrare che le
proprietà 1. e 2. sono soddisfatte. Per definizione M è un maggiorante di A, quindi
M ≥ x per ogni x ∈ A (punto 1.). Per il punto 2., sia dato ϵ > 0. Allora M − ϵ < M .
Siccome M è il piu’ piccolo dei maggioranti di A, M −ϵ non puo’ essere un maggiorante
di A. Quindi esiste x0 ∈ A tale che M − ϵ < x0 , quindi per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A
tale che x0 > M − ϵ.
173