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DISPENSE DI ANALISI MATEMATICA1

Paolo Ghirardato Massimo Marinacci Elena Vigna

14 ottobre 2015

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Appunti ad uso esclusivo degli studenti di Matematica per le Applicazioni Economiche e Finanziarie, corso
E, Facoltà di Economia, Università di Torino.
AVVISO IMPORTANTE.

Le presenti dispense NON sostituiscono i libri di testo e sono intese soltanto come
supporto nello studio dell’esame di Matematica per le Applicazioni Economiche e Fi-
nanziarie, corso E. Non sono pertanto sufficienti per la preparazione dell’esame.

Queste dispense sono in corso di stesura, si consiglia pertanto di scaricare sempre


la versione piu’ aggiornata.

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PARTE 1 GLI INSIEMI R E Rn .

1.1 Insiemi numerici

Gli insiemi numerici sono gli insiemi più conosciuti ed usati nell’Analisi Matematica.
Tutti hanno la nozione di numeri naturali, indicati con N, che sono i numeri si impara
da bambini quando si inizia a contare: N = {0, 1, 2, 3, ..., n, n + 1, ...}. Osserviamo che
N è un insieme chiuso rispetto all’operazione di addizione. Siano infatti n, m ∈ N.
Allora, n + m ∈ N. Non è invece chiuso rispetto all’operazione di sottrazione. Siano
infatti n, m ∈ N con n < m. Il numero n − m, essendo minore di 0, non appartiene
ai naturali. Per avere un insieme chiuso anche rispetto all’operazione di sottrazione,
dobbiamo estendere i naturali all’insieme dei numeri interi relativi.
I numeri interi relativi, indicati con Z, sono una estensione dei naturali, considerando gli
stessi ed i loro opposti: Z = {0, 1, −1, 2, −2, 3, −3, ..., n, −n, n + 1, −n − 1, ...}. Per tale
ragione, l’insieme degli interi relativi è chiuso rispetto alla operazione di addizione e di
sottrazione, laddove, come si è visto, i naturali sono chiusi solo rispetto all’operazione
di addizione. L’insieme dei numeri interi relativi è chiuso rispetto all’operazione di
moltiplicazione tra numeri. Infatti, siano w, z ∈ Z. Allora w · z ∈ Z. Tuttavia, esso
non è chiuso rispetto all’operazione di divisione tra numeri. Infatti, 1 ∈ Z e 2 ∈ Z
ma definendo a := 1/2 si ha a ∈
/ Z. Per avere un insieme chiuso anche rispetto
all’operazione di divisione, dobbiamo estendere i numeri interi relativi all’insieme dei
numeri razionali.
I numeri razionali, indicati con Q, sono i numeri del tipo:
{n }
Q= : n, m ∈ Z, m ̸= 0 .
m
E’ di immediata verifica che Q è chiuso rispetto alle operazioni di addizione, sottrazione,
moltiplicazione e divisione. Esso è perciò un campo 1 .
L’insieme dei numeri razionali, pur essendo un campo, non soddisfa alcune proprietà
che sono fondamentali nell’Analisi Matematica. Infatti, per esempio, non contiene
la maggior parte delle radici di numeri naturali. Come conseguenza, non soddisfa il
cosiddetto “assioma di completezza di Dedekind” (vedi prossima sezione). In altre
parole, in Q non tutti i sottoinsiemi limitati superiormente (inferiormente) possiedono
1 Si noti che quella data non è la definizione rigorosa di campo, ma riporta la principali proprietà che un campo deve
avere.

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estremo superiore (inferiore), caratteristica irrinunciabile nell’Analisi Matematica. Il
classico esempio di incompletezza di Q è dato dal seguente Teorema, che mostra che il

numero 2 (che è la lunghezza della diagonale del quadrato di lato 1) non appartiene
ai numeri razionali. A tal proposito si parla di inadeguatezza di Q nel misurare la
lunghezza dei segmenti. La celebre dimostrazione è la prima dimostrazione per assurdo
della storia della matematica.

Teorema 1 2 ∈ / Q.

Dimostrazione
√ √
Per assurdo sia 2 ∈ Q. Allora, 2 = m
n
per qualche m, n ∈ Z. Supponiamo inoltre
m
che n
sia già ridotta ai minimi termini (cioè che m e n siano coprimi tra loro). Allora,

m2
=2 ⇒ m2 = 2n2 . (1.1)
n2
Questo vuol dire che m2 è pari, e quindi m è pari (questo è dovuto al fatto, di facile
dimostrazione, che il quadrato di un numero dispari è dispari). Quindi,

m = 2k, con k ∈ Z. (1.2)

Allora, usando (1.1) e (1.2), si ha:

4k 2 = 2n2 ⇒ n2 = 2k 2 .

Allora, n2 è pari e quindi n è pari. Ma questo è assurdo perchè m è pari e m ed n sono



coprimi tra loro. Dunque, 2 ∈ / Q. 2


Il numero 2 è detto irrazionale e fa parte della più ampia classe di insiemi nu-
merici, che è quella dei numeri reali. La definizione/costruzione rigorosa dei numeri
reali è molto complessa, e non la riportiamo qui. Ci limitiamo a dire che i numeri

reali comprendono sia i numeri razionali sia i numeri irrazionali, di cui 2 è solo un

esempio. Altri esempi di numeri irrazionali sono π, e, 3... Da quanto descritto sopra,
si deducono le note inclusioni di insiemi numerici:

N ( Z ( Q ( R.

Pur non definendoli rigorosamente, sottolineiamo che i numeri reali soddisfano l’assio-
ma di completezza e quindi anche la fondamentale proprietà che ogni loro sottoinsieme

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limitato possiede estremo superiore ed estremo inferiore. Nella prossima sezione, da-
remo una definizione di numeri reali tramite gli assiomi che essi soddisfano (questo
risulta essere l’approccio più “soft” per definire i numeri reali).

1.2 L’insieme R: assiomi dei numeri reali

Assioma 1: R è chiuso rispetto a un’operazione binaria chiamata addizione che


associa ad ogni coppia x, y ∈ R il numero x + y ∈ R e soddisfa:

1. x + y = y + x ∀x, y ∈ R (commutatività )

2. (x + y) + z = x + (y + z) ∀x, y, z ∈ R (associatività )

3. ∃ 0 ∈ R t.c. ∀x ∈ R x + 0 = x (esistenza dell’elemento neutro)

4. ∀x ∈ R ∃y ∈ R t.c. x + y = 0 (y = −x) (esistenza dell’opposto)

Assioma 2: R è chiuso rispetto a un’operazione binaria chiamata prodotto che


associa ad ogni coppia x, y ∈ R il numero x · y ∈ R e soddisfa:

1. x · y = y · x ∀x, y ∈ R (commutatività )

2. (x · y) · z = x · (y · z) ∀x, y, z ∈ R (associatività )

3. ∃ 1 ∈ R t.c. ∀x ∈ R 1 · x = x · 1 = x (esistenza dell’elemento neutro)

4. ∀x ∈ R, x ̸= 0, ∃y ∈ R t.c. x · y = y · x = 1 (y = x1 ) (esistenza dell’inverso)

Vale poi la

5. (x + y) · z = x · z + y · z ∀x, y, z ∈ R (proprietà distributiva)

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Proposizione 1 Gli elementi neutri 0 e 1 sono unici.

Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che ∃0A , 0B ∈ R, 0A ̸= 0B , tali che:

∀x ∈ R x + 0A = x (·) e x + 0B = x (··)

Ma allora:

(··) commut. (·)


0A = 0A + 0B = 0B + 0A = 0B ⇒ 0A = 0B .

Supponiamo per assurdo che ∃1A , 1B ∈ R, 1A ̸= 1B , tali che:

∀x ∈ R x · 1A = x (·) e x · 1B = x (··)

Ma allora:

(··) commut. (·)


1A = 1A · 1B = 1B · 1A = 1B ⇒ 1A = 1B

Assioma 3: Su R è definita una relazione d’ordine, ≤ , che soddisfa:

1. x ≤ x ∀x ∈ R (riflessiva)

2. (x ≤ y) ∧ (y ≤ z) ⇒ x ≤ z ∀x, y, z ∈ R (transitiva)

3. (x ≤ y) ∧ (y ≤ x) ⇔ x = y ∀x, y ∈ R (antisimmetrica)

4. x ≤ y ⇒ x + z ≤ y + z ∀x, y, z ∈ R (additiva)

5. dati x, y ∈ R, vale una sola tra le tre possibilità : x < y, x > y, x = y


quindi ≤ dà un ordinamento completo (o totale), cioé tutti gli elementi di R
sono confrontabili.

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6. (x ≤ y) ∧ (z > 0) ⇒ x · z ≤ y · z

Proposizione 2 Q soddisfa A1, A2, A3.

Assioma 4: Assioma di completezza di Dedekind: per ogni coppia di sottoinsiemi di


R, A ⊆ R, B ⊆ R tali che x ≤ y ∀x ∈ A, ∀y ∈ B, ∃c ∈ R tale che x ≤ c ≤ y ∀x ∈
A, ∀y ∈ B (c viene detto elemento separatore).

Osservazione 3 L’elemento separatore c ∈ R ma non necessariamente è razionale,


cioè non è detto che c ∈ Q.

Osservazione 4 L’assioma di completezza ci dice che, preso un qualsiasi punto sulla


retta reale, individuato come ’elemento separatore’ di due sottoinsiemi possibilmente
contigui A e B, a questo punto viene associato un numero reale. Viceversa, a ogni
numero reale è associato un punto sulla retta reale. Questa biunivocità si ha solo per
i numeri reali e non per i razionali. Si dimostra infatti che esistono punti sulla retta
reale che non sono razionali (si veda, per esempio, il Teorema 1).

Esempio 5 Consideriamo

A = {x > 0 : x2 < 2} B = {x > 0 : x2 > 2} (1.3)


L’elemento separatore è c = 2.

Dimostrazione
Per l’assioma A4 ∃c ∈ R tale che x ≤ c ≤ y, ∀x ∈ A, ∀y ∈ B.

Per assurdo sia c < 2. Allora, per la densità dei razionali, ∃q ∈ Q tale che 0 < c <
√ √
q < 2. Allora q 2 < 2 ⇒ q ∈ A ⇒ assurdo perchè per ipotesi x ≤ c ∀x ∈ A ⇒ c ≥ 2.
√ √
Per assurdo sia c > 2. Allora ∃q ∈ Q tale che c > q > 2. Allora q 2 > 2 ⇒ q ∈ B ⇒

assurdo perchè per ipotesi c ≤ y ∀y ∈ B ⇒ c ≤ 2.
√ √ √
Siccome c ≥ 2 e c ≤ 2, per la proprietà antisimmetrica si ha c = 2.

Osservazione 6 Si osservi come nell’esempio appena visto l’elemento separatore ap-


partenga a R ma non a Q.

Proposizione 7 R soddisfa A1, A2, A3, A4.

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Il fatto che R soddisfi l’assioma 4 di completezza, si può anche esprimere dicendo
che R possiede la proprietà di continuità . Viceversa, per esplicitare il fatto che Q non
soddisfa tale assioma si dice che Q è discontinuo. Per capire il concetto di continuità
e discontinuità , si mettano in corrispondenza i punti della retta con i punti di Q.
E’ immediato vedere che, nonostante i punti di Q riempiano un’infinità (numerabi-
le!) di punti della retta, lasciano un’infinità di “buchi” in corrispondenza dei numeri
irrazionali. In altre parole, a ogni punto di Q corrisponde un punto sulla retta, ma

non viceversa (per esempio, il punto della retta 2 non possiede il corrispondente nei
numeri razionali).

Per indicare invece la proprietà di “addensamento” dei punti razionali all’interno dei
numeri reali si parla di proprietà di densità . E’ utile, a tal proposito, la seguente
definizione:

Definizione 8 Un insieme A ⊂ R è denso in R se per ogni coppia di numeri reali


r1 < r2 esiste a ∈ A tale che r1 < a < r2 .

Si può dimostrare il:

Teorema 2 Q è denso in R.

Osservazione 9 Il teorema 2 dice che tra due numeri reali ce n’è sempre uno razionale.
E’ vero anche il viceversa: si può dimostrare che tra due numeri razionali, esiste sempre
un numero reale irrazionale.

1.3 Cardinalità degli insiemi

Definizione 10 Un insieme A ⊂ R si dice finito se è vuoto oppure se esiste un numero


n ∈ N, n ≥ 1, tale che gli elementi di A possono essere messi in corrispondenza
biunivoca con i numeri {1, 2, 3, ..., n}.

Esempio 11 Sia dato l’insieme dei colori della bandiera italiana: C = {verde, bianco, rosso}.
C è un insieme finito. Infatti, il numero in questione è n = 3, e una possibile
corrispondenza binunivoca tra elemendi di C e {1, 2, 3} è

1 ↔ bianco 2 ↔ rosso 3 ↔ verde.

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Definizione 12 Due insiemi hanno la stessa cardinalità (o potenza) quando è pos-
sibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra i loro elementi.

Osservazione 13 Si deduce che se i due insiemi di R A e B sono finiti, essi hanno


la stessa cardinalità se e solo se hanno lo stesso numero di elementi.

Definizione 14 Un insieme A ⊂ R è infinito se non è finito.

Definizione 15 Un insieme A ⊂ R è numerabile (o infinito numerabile) se A è in-


finito e ha la stessa cardinalità di N, cioè i suoi elementi possono essere messi in
corrispondenza biunivoca con gli elementi di N.

Definizione 16 Un insieme A ⊂ R è al più numerabile se è finito o numerabile.

Vale il teorema:

Teorema 3 L’unione di insiemi numerabili è numerabile. Il prodotto cartesiano di


insiemi numerabili è numerabile.

Esempi 17 Si possono fare molti esempi di insiemi numerabili.

• N è numerabile. Di banale dimostrazione.

• Z è numerabile. Una possibile corrispondenza biunivoca tra Z e N è la seguente:

N: 0 1 2 3 4 5 6 7 ...
↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ...
Z: 0 1 -1 2 -2 3 -3 4 ...

• Q è numerabile. Per dimostrarlo, si costruisca una matrice infinita, dove

1. nella prima riga ci sono gli interi relativi (0,1,-1,2,-2,3...)(immaginandoli


come frazioni con denominatore pari a 1);
2. nella seconda riga ci sono le frazioni che al numeratore hanno gli interi relativi
e al denominatore hanno 2 (0, 1/2, −1/2, 2/2...)
3. nella terza riga ci sono le frazioni che hanno al numeratore gli interi relativi
e al denominatore hanno 3 (0, 1/3, −1/3, 2/3, ...)

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Osserviamo che la matrice infinita cosi’ costruita contiene (con infinite ripetizioni)
tutti i numeri razionali. Un possibile modo per toccare sequenzialmente tutti gli
elementi di Q della matrice infinita, è quello di partire dall’elemento in alto a
sinitra (lo 0) e spostarsi a destra di un posto (direzione E), poi in diagonale in
basso a sinistra (direzione SW), poi in basso di un posto (direzione S), poi in
diagonale in alto a destra (direzione NE) finchè si raggiunge la prima riga, da cui
si riparte in direzione E di un posto e poi in direzione SW finchè si raggiunge la
prima colonna, poi di nuovo in direzione S di un posto e ancora in direzione NE
finchè si raggiunge la prima riga. Si procede cosi’ all’infinito per toccare, prima o
poi, tutti gli elementi di Q. Gli elementi già contati precedentemente si saltano.
La corrispondenza binunivoca tra N e Q dettata da questa sequenza è :

N: 0 1 2 3 4 5 6 7 ...
↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ↕ ...
Q: 0 1 1
2
−1 2 − 12 1
3
1
4
...

Gli esempi elencati sopra danno luogo ad alcune riflessioni. Osserviamo che, nono-
stante evidentemente N ( Z, si ha che N e Z hanno la stessa cardinalità . Ancora
più sorprendente, forse, è scoprire che persino N e Q hanno la stessa cardinalità . Si
dimostra invece che l’insieme dei numeri reali non è numerabile.

Teorema 4 R non è numerabile.

In particolare, la cardinalità dei numeri naturali è minore della cardinalità dei numeri
reali, come è facile intuire. Per esprimere la (diversa e maggiore) cardinalità di R, si
dice che R ha la potenza del continuo. Si ha inoltre la definizione:

Definizione 18 Un insieme A ⊂ R ha la potenza del continuo se può essere messo in


corrispondenza biunivoca con R.

Esempio 19 L’intervallo (0, 1) ha la potenza del continuo. Infatti, non è difficile


mostrare che tutti i punti di (0, 1) possono essere messi in corrispondenza biunivoca
con i numeri reali.

Osservazione 20 L’esempio appena visto è tutto tranne che intuitivo. Infatti, l’in-
tervallo (0, 1) è evidentemente strettamente contenuto nel (ben) più ampio insieme dei

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numeri reali. Ciononostante, esso ha la stessa cardinalità dei numeri reali. Non solo,
(0, 1) è un insieme limitato, mentre N (ma anche Z, o Q) non lo è . Ciononostante,
la cardinalità di (0, 1) è (di gran lunga!) maggiore della cardinalità di N (e di Z, e di
Q).

Esempio 21 Sia I = (a, b), dove a, b ∈ R, a < b. I ha la potenza del continuo.

1.4 L’insieme Rn

Rn è il prodotto cartesiano di R con se stesso fatto n volte:

| × R {z
Rn = R × ... × R}, n ∈ N
n volte

Gli elementi di Rn , detti vettori di Rn o punti di Rn , sono punti con n componenti,


ciascuna delle quali è un numero reale:

x = (x1 , x2 , ...xn ), xi ∈ R, i = 1, 2, ...n

Su Rn si definisce la somma tra vettori:

x = (x1 , x2 , ...xn ), y = (y1 , y2 , ...yn )

La somma si fa componente per componente:

x + y = (x1 + y1 , x2 + y2 , ...xn + yn )

Si hanno assiomi simili a quelli che valgono su R:

Assioma 1n :

1. x + y = y + x ∀x, y ∈ Rn

2. (x + y) + z = x + (y + z) ∀x, y, z ∈ R

3. ∃0 = (0, 0, ...0) ∈ Rn : ∀x ∈ Rn x + 0 = x

4. ∀x ∈ Rn ∃y = −x ∈ Rn : x + y = x + (−x) = 0

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Prodotto per uno scalare
Dato x = (x1 , x2 , ...xn ) e α ∈ R definiamo il prodotto di x per lo scalare α come il
vettore:
α · x = αx = (αx1 , αx2 , ..., αxn ).

Assioma 2n :

1. α (β · x) = (α β) · x ∀α, β ∈ R, ∀x ∈ Rn

2. Se α = 1, 1 · x = x ∀x ∈ R

3. (α + β) · x = αx + βy ∀x ∈ Rn , ∀α, β ∈ R

4. α (x + y) = α x + α y ∀α ∈ R, ∀x, y ∈ Rn

Definizione 22 Dato un insieme X chiuso rispetto ad un’operazione di somma e


prodotto che soddisfano A1n e A2n , diciamo che X è uno spazio vettoriale.

Su Rn è definita una relazione d’ordine, ≤:

x ≤ y se (x1 ≤ y1 ) ∧ (x2 ≤ y2 ) ∧ ... (xn ≤ yn ) (più brevemente, xi ≤ yi i = 1, 2, ...n)

è un ordinamento parziale: se per esempio x = (x1 , x2 ), y = (y1 , y2 ) e x1 ≤ y1 ∧ x2 ≥ y2


e x ̸= y allora non si ha né x ≤ y né y ≤ x, cioé x e y non sono confrontabili.

Assioma 3n :

1. x ≤ x

2. (x ≤ y) ∧ (y ≤ z) ⇒ x ≤ z

3. (x ≤ y) ∧ (y ≤ x) ⇒ x = y

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4. x ≤ y ⇒ x + z = y + z

5. (x ≤ y) ∧ (α > 0) ⇒ α x ≤ α y

Notazione

• x < y se xi ≤ yi ∀i = 1, ..n e ∃j : xj < yi (oppure: x < y ⇔ (x ≤ y) ∧ (x ̸= y))

• x << y se xi < yi ∀i = 1, 2, ...n

Definizione 23 Dati m vettori z1 , z2 , ...zm ∈ Rn e m numeri reali α1 , α2 , ...αm ∈ R,


il vettore di Rn :

∑m
α1 z1 + α2 z2 + . . . + αm zm = i=0 α i zi

si dice combinazione lineare dei vettori z1 , z2 , ...zm .

Definizione 24 Dato uno spazio vettoriale X e un suo sottoinsieme S ⊆ X, S si dice


sottospazio vettoriale di X se αx + βy ∈ S, ∀x, y ∈ S, ∀α, β ∈ R
cioè S è sottospazio vettoriale se è chiuso rispetto alla combinazione lineare.

Esempi 25 Dato lo spazio vettoriale X e il sottoinsieme S ⊂ X, dire se S è un


sottospazio vettoriale.

• X = R2 S = {x ∈ R2 : x2 = 0}
S è sottospazio vettoriale
Infatti siano x, y ∈ S, x = (x1 , 0) y = (y1 , 0)
z = αx + βy = α(x1 , 0) + β (y1 , 0) = (α x1 , 0) + (β y1 , 0) = (α x1 + β y1 , 0) ∈ S.

• X = R2 S = {x ∈ R2 : x1 = x2 }
S è sottospazio vettoriale, infatti siano x, y ∈ S, x = (x1 , x2 ) = (x1 , x1 ) y =

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(y1 , y2 ) = (y1 , y1 )
αx+βy = α(x1 , x2 )+β(y1 , y2 ) = (αx1 , αx1 )+(βy1 , βy1 ) = (αx1 +βy1 , αx1 +βy1 ) ∈
S

• X = R2 S = {x ∈ R2 : x1 ≥ 0, x2 ≥ 0}
S non è un sottospazio vettoriale, infatti sia α = −1 e x ∈ S:
αx = −1x = (−x1 , −x2 ) ∈
/S

Definizione 26 Dati due vettori di Rn , x = (x1 , x2 , ...xn ) e y = (y1 , y2 , ...yn ), si


chiama prodotto interno (o prodotto scalare) tra x e y il numero reale

∑n
(x|y) = x1 y1 + x2 y2 + . . . + xn yn = i=1 xi yi

Proposizione 27 ∀α ∈ R, ∀x, y, z ∈ Rn , valgono le proprietà :

1. (x|y) = (y|x)

2. (x + y|z) = (x|z) + (y|z)

3. (αx|y) = α (x|y)
(Attenzione: (αx|αy) = α2 (x|y))

4. (x|x) ≥ 0 ∀x ∈ Rn

5. (x|x) = 0 ⇔ x = 0

Definizione 28 Due vettori x, y ∈ Rn si dicono ortogonali se (x|y) = 0

Esempi 29 Dati x e y, dire se sono ortogonali.

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• x = (x1 , x2 ) y = (−x2 , x1 ). x e y sono ortogonali, infatti: (x|y) = x1 (−x2 ) +
x2 x1 = 0

• x = (1, 0, 0) y = (0, 0, 1) Siccome (x|y) = 0 ⇒ x e y sono ortogonali


Se z = (z1 , z2 , 0), x e z non sono ortogonali, mentre y e z sono ortogonali.

Proposizione 30 Sia v ∈ Rn , v ̸= 0. Allora l’insieme S = {x ∈ Rn : (x|v) = 0} è


un sottospazio vettoriale di Rn

Dimostrazione
Siano x, y ∈ S. Allora x ∈ S ⇒ (x|v) = 0, y ∈ S ⇒ (y, v) = 0
Consideriamo αx + βy:
(αx + βy|v) = (αx|v) + (βy|v) = α(x|v) + β(y|v) = α · 0 + β · 0 = 0 ⇒ αx + βy ∈ S.

Esempio 31 Sottospazi vettoriali di R2 .

In R2 i sottoinsiemi del tipo S = {x ∈ R2 /(x|v) = 0} sono le rette per l’origine. Dato


v ̸= 0, S è la retta per l’origine perpendicolare a v. In realtà ogni retta per l’origine si
può scrivere come S = {x ∈ R2 /(x|v) = 0}. Infatti l’equazione della retta per l’origine
è :

x2 = mx1 ⇒ mx1 − x2 = 0 ⇒ mx1 + (−1)x2 = 0 (*)

Sia v = (m, −1): la (*) si può scrivere come (v|x) = 0, quindi:

{x ∈ R2 : x2 = mx1 } = {x ∈ R2 : (v|x) = 0}

Attenzione: v = (m, −1) non è l’unico vettore adatto a descrivere la retta conside-
rata. Tutti i vettori del tipo αv, con α ∈ R, α ̸= 0, soddisfano la condizione.

Proposizione 32 Sia v ∈ Rn , v ̸= 0. Sia q ∈ R, q ̸= 0. Allora l’insieme S = {x ∈


Rn : (x|v) = q} non è un sottospazio vettoriale.

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Dimostrazione
Siano x, y ∈ S, α, β ∈ R. Allora:

(αx + βy|v) = α(x|v) + β(y|v) = αq + βq = (α + β)q ̸= q

La proposizione poteva anche essere dimostrata osservando che 0 ∈


/ S. Infatti, se S è
un sottospazio vettoriale, allora 0 ∈ S.
Quindi se si ha un sottoinsieme S e 0 ∈
/ S, allora S non è un sottospazio vettoriale.
Attenzione: l’appartenenza di 0 a S non è invece condizione sufficiente per dire che
S è sottospazio vettoriale. Infatti, sia S = {x ∈ R2 /x2 = x21 } ⊂ R2 . Si vede subito
che 0 ∈ S ma è facile dimostrare (per esercizio, verificarlo) che S non è sottospazio
vettoriale.

Tornando a R2 , consideriamo una retta che non passa per l’origine: x2 = mx1 +q, q ̸= 0.
è facile vedere che S = {x ∈ R2 /x2 = mx1 + q} non è un sottospazio vettoriale. Infatti
0∈
/ S.

Inoltre possiamo riscrivere S nel modo che segue:

x2 = mx1 + q ⇒ −mx1 + x2 = q

Se v = (−m, 1), si ha S = {x ∈ R2 : (v|x) = q}


Quindi, per la proposizione numero 10, {x2 = mx1 + q} non è uno spazio vettoriale.

Esempio 33 Sottospazi vettoriali di R3 .

In R3 sottoinsiemi del tipo S = {x ∈ R3 : (x|v) = 0} = {x ∈ R3 : x1 v1 + x2 v2 + x3 v3 =


0} ⊆ R3 sono piani per l’origine e sono sottospazi vettoriali. Invece, i sottoinsiemi del
tipo S = {x ∈ R3 : (x|v) = q, q ̸= 0} = {x ∈ R3 : x1 v1 + x2 v2 + x3 v3 = q} sono piani
che non passano per l’origine e non sono sottospazi vettoriali.

1.5 Norma di vettori e distanze tra vettori in Rn

Notazione

La norma di un vettore x ∈ Rn si denota con ∥x∥.

15
Definizione 34 La norma di un vettore x = (x1 , x2 , ..., xn ) ∈ Rn e’:

∥x∥ := x1 2 + x2 2 + ... + xn 2

1.5.1 Casi particolari

La norma di un vettore x ∈ R e’ il suo valore assoluto (o modulo). Infatti:



∥x∥ = x2 = |x| ∀x ∈ R

(la seconda eguaglianza scende dal lemma A.4).

La norma di un vettore x = (x1 , x2 ) ∈ R2 e’:



∥x∥ = x1 2 + x2 2

La norma di un vettore x = (x1 , x2 , x3 ) ∈ R3 e’:



∥x∥ = x1 2 + x2 2 + x3 2

Proposizione 35 Valgono le seguenti proprietà per la norma di vettori di Rn :

1. ∥x∥ = 0 ⇔ x = 0

2. ∥αx∥ = |α|∥x∥ ∀α ∈ R

3. ∥x + y∥ ≤ ∥x∥ + ∥y∥

Dimostrazione

1. Se x = 0, allora ∥x∥ = 0 + 0 + ...0 = 0.
Viceversa, se ∥x∥ = 0, allora tutte le componenti di x devono essere nulle. Infatti,
0 = ∥x∥2 = x21 + x22 + ... + x2n . D’altra parte, x21 + x22 + ... + x2n ≥ 0 e quindi

0 = ∥x∥2 = x21 + x22 + ... + x2n ≥ 0

che implica x2i = 0 per ogni i = 1, 2, ...n (una somma di numeri positivi o nulli
puo’ essere nulla solo se tutti i numeri sono nulli).

16

2. ∥αx∥ = ∥(αx1 , αx2 , ..., αxn )∥ = α2 (x21 + x22 + ... + x2n ) =
√ √
= α2 x21 + x22 + ... + x2n = |α|∥x∥

3. si rimanda alla dimostrazione dell’Ambrosetti e Musu, pagg. 56-57.

Osservazione 36 Si puo’ facilmente dimostrare (applicando, quando occorre, il teo-


rema di Pitagora) che in R, R2 e R3 la norma di un vettore coincide con la distanza
del vettore stesso dall’origine.

Questa proprietà vale in generale in Rn (vedi Proposizione 40).

Esempi 37 Calcolare la norme dei vettori:

• In R:

1) x = 4 ∥x∥ = |x| = |4| = 4;


2) x = −4 ∥x∥ = |x| = | − 4| = 4

• In R2 :

√ √
3) x = (1, −1) ∥x∥ = 12 + (−1)2 = 2
√ √
4) x = 2(1, −1) + 3(−2, 1) = (−4, 1) ∥x∥ = (−4)2 + (1)2 = 17
√ √ √
5) x = (a, a2 ) ∥x∥ = a2 + (a2 )2 = a2 + a4 = |a| 1 + a2

• In R3 :

√ √
6) x = (0, 1, 2) ∥x∥ = 0 + (1)2 + (2)2 = 5
√ √
7) x = (a, 2a, −a) ∥x∥ = a2 + (2a)2 + (−a)2 = |a| 6

• In R4 :

√ √
8) x = (1, 0, −2, 2) ∥x∥ = (1)2 + 0 + (−2)2 + (2)2 = 9=3

17
Definizione 38 Si dice distanza tra due vettori di Rn , x = (x1 , x2 , ..., xn ) e y =
(y1 , y2 , ..., yn ), la quantità :
d(x, y) := ∥x − y∥

E’ possibile dimostrare la seguente proposizione per distanze tra vettori di Rn :

Proposizione 39 Valgono le seguenti proprietà per la distanza tra due vettori x e y


di Rn :

1. d(x, y) = 0 ⇔ x = y

2. d(x, y) = d(y, x)

3. d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) ∀z ∈ Rn

La dimostrazione è immediata, usando la Proposizione 35.

Proposizione 40 La distanza di un vettore x ∈ Rn dall’origine coincide con la sua


norma, cioè: d(x, 0) = ∥x∥.

Dimostrazione immediata, applicando le definizioni. Questa proposizione da’ una


giustificazione rigorosa di quanto gia’ osservato per R, R2 , R3 (Osservazione 36).

1.5.2 Casi particolari

La distanza tra due vettori (numeri) di R, x e y, e’

d(x, y) = |x − y|

La distanza tra due vettori di R2 , x = (x1 , x2 ) e y = (y1 , y2 ), e’



d(x, y) = (x1 − y1 )2 + (x2 − y2 )2

La distanza tra due vettori di R3 , x = (x1 , x2 , x3 ) e y = (y1 , y2 , y3 ), e’



d(x, y) = (x1 − y1 )2 + (x2 − y2 )2 + (x3 − y3 )2

18
Esempi 41 Calcolare le distanze tra le seguenti coppie di vettori:

• In R:

1) x = 1, y = 3 d(x, y) = d(1, 3) = |1 − 3| = | − 2| = 2;
2) x = − 13 , y = 1
3
d(x, y) = | − 31 − 13 | = | − 23 | = 2
3
3) x = a, y = a2
{
a − a2 0≤a≤1
d(x, y) = d(a, a2 ) = |a − a2 | =
−a + a2 a < 0, a > 1

• In R2 :

√ √ √
4) x = (1, −3), y = (3, −1) d(x, y) = (1 − 3)2 + (−3 − (−1))2 = 8 = 2 2
√ √√ √
5) x = ( 2, −10), y = (0, 2) d(x, y) = ( 2)2 + (−10 − 2)2 = 146
√ √
6) x = (a, b), y = (−a, b) d(x, y) = (a − (−a))2 + (b − b)2 = (2a)2 + 0 =

4a2 = 2|a|
√ √ √
7) x = (a, 0), y = (0, −a) d(x, y) = (a − 0)2 + (0 − (−a))2 = a2 + a2 = 2a2 =

|a| 2

• In R3 :

√ √
8) x = (1, 1, 0), y = (0, 1, 2) d(x, y) = (1 − 0)2 + (1 − 1)2 + (0 − 2)2 = 5
√ √
9) x = (0, a, 0), y = (1, 0, −a) d(x, y) = (0 − 1)2 + (a − 0)2 + (0 − (−a))2 = 12 + a2 + a2 =

= 1 + 2a2

• In R5 :

10) x = (1, 2, 3, −4, −5), y = (0, 1, 2, −3, 4)



d(x, y) = (1 − 0)2 + (2 − 1)2 + (3 − 2)2 + (−4 − (−3))2 + (−5 − 4)2 =
√ √
= 12 + 12 + 12 + 12 + (−9)2 = 85

19
1.6 Intorni sferici di vettori di Rn

Definizione 42 Si dice intorno sferico di centro x0 ∈ Rn e raggio r > 0, e si


denota con Br (x0 ), l’insieme:

Br (x0 ) = {x ∈ Rn / d(x, x0 ) < r} (1.4)

Proposizione 43 In R l’intorno sferico di centro x0 ∈ R e raggio r e’ l’intervallo


(x0 − r, x0 + r), cioè:

Br (x0 ) = (x0 − r, x0 + r)

Dimostrazione
Si ha:

{x ∈ R/d(x, x0 ) < r} = {x ∈ R/|x − x0 | < r} = {x ∈ R/ − r < x − x0 < r} =

= (x0 − r, x0 + r)

usando il fatto che |x| < a ⇔ −a < x < a (vedi lemma A.3).

Osservazione 44 Spesso, per indicare il raggio dell’intorno sferico in R si usa il sim-


bolo ϵ invece di r.

Esempi 45 Scrivere i seguenti intorni di punti di Rn :

• In R:

1) B2 (0) = (0 − 2, 0 + 2) = (−2, 2)
2) B3 (−1) = (−1 − 3, −1 + 3) = (−4, 2)
3) B 3 (1) = (1 − 32 , 1 + 32 ) = (− 12 , 25 )
2

4) B−1 (0) ⇒ impossibile, perche’ deve essere r > 0 (raggio strettamente positivo)
5) B0 (1) ⇒ impossibile, perche’ deve essere r > 0

20
• In R2 :


6) B3 ((0, 0)) = B3 (0) = {x ∈ R2 /d(x, 0) < 3} = {x ∈ R2 / x21 + x22 < 3} =
= {x ∈ R2 /x21 + x22 < 9}
7) B2 ((1, −1)) = {x ∈ R2 /d(x, (1, −1)) < 2} =

= {x ∈ R2 / (x1 − 1)2 + (x2 + 1)2 < 2} = {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + (x2 + 1)2 < 4}

• In R3 :

8) B1 ((1, 1, 1)) = {x ∈ R3 /d(x, (1, 1, 1)) < 1} =



= {x ∈ R3 / (x1 − 1)2 + (x2 − 1)2 + (x3 − 1)2 < 1} =
= {x ∈ R3 /(x1 − 1)2 + (x2 − 1)2 + (x3 − 1)2 < 1}
Il vettore ( 12 , 12 , 12 ) ∈ B1 ((1, 1, 1)). Infatti:
( 21 − 1)2 + ( 12 − 1)2 + ( 12 − 1)2 = 3
4
< 1.
Il vettore 0 = (0, 0, 0) ∈
/ B1 ((1, 1, 1)): verificarlo per esercizio.

• In R5 :

9) Dato x0 = (0, 1, −1, 0, −2), B2 (x0 ) = {x ∈ R5 /d(x, x0 )) < 2} =



= {x ∈ R5 / x21 + (x2 − 1)2 + (x3 + 1)2 + x24 + (x5 + 2)2 < 2} =
= {x ∈ R5 /x21 + (x2 − 1)2 + (x3 + 1)2 + x24 + (x5 + 2)2 < 4}
Il vettore 0 = (0, 0, 0, 0, 0) ∈
/ B2 (x0 ). Infatti:
0 + (0 − 1)2 + (0 + 1)2 + 0 + (0 + 2)2 = 6 > 4. (Equivalentemente, d(0, x0 ) =
√ √
0 + (0 − 1)2 + (0 + 1)2 + 0 + (0 + 2)2 = 6 > 2).
Il vettore (0, 0, 0, 0, −1) ∈ B2 (x0 ): verificarlo per esercizio.

1.7 Insiemi limitati, maggioranti, minoranti, estremo superio-


re ed estremo inferiore

Definizione 46 Un insieme E ⊂ Rn si dice limitato se esiste un intorno sferico


dell’origine che lo contiene, cioè se ∃r > 0 tale che E ⊂ Br (0).

21
Osservazione 47 Questo equivale a dire che E ⊂ Rn è limitato se ∃α > 0 tale che
∥x∥ ≤ α ∀x ∈ E. Come caso particolare, se n = 1, si ha che un insieme E ⊂ R è
limitato se ∃α ∈ R tale che −α < x < α ∀x ∈ E.

In R è possibile definire maggioranti, minoranti, estremo superiore ed estrmo inferiore


di un insieme.

Definizione 48 Dato un insieme E ⊂ R, si dice maggiorante di E un numero


M ∈ R, se esiste, tale che x ≤ M ∀x ∈ E, si dice minorante di E un numero
m ∈ R, se esiste, tale che x ≥ m ∀x ∈ E.

Osservazione 49 Osserviamo che se E possiede un maggiorante, ne possiede infiniti e


se possiede un minorante, ne possiede infiniti. Infatti, se M è maggiorante di E, anche
M + ϵ lo è , per ogni ϵ > 0. Analogamente, se m è minorante di E, anche m − ϵ lo è ,
per ogni ϵ > 0.

Si deduce dalla definizione di insieme limitato in R che E ⊂ R è limitato se (e solo se)


possiede sia un maggiorante sia un minorante.

Definizione 50 E ⊂ R si dice limitato superiormente se ha almeno un maggio-


rante, si dice limitato inferiormente se ha almeno un minorante.

Esempi 51

• A = [0, 1]
2 è un maggiorante di A, -10 è un minorante di A. A è limitato sia superiormente sia
inferiormente.
•A=N
0 è un minorante di A, A non ha maggioranti. N è limitato inferiormente ma non
superiormente.
•A=Z
Z non ha maggioranti e non ha minoranti, non è limitato né superiormente né inferior-
mente.

Definizione 52 Dato A ⊂ R limitato superiormente, si dice che α ∈ R è l’estremo


superiore di A e si scrive
α = sup A
se α è il più piccolo dei maggioranti di A, cioé se α ≤ α per ogni α maggiorante di A.

22
Definizione 53 Dato A ⊂ R limitato inferiormente, si dice che β ∈ R è l’estremo
inferiore di A e si scrive
β = inf A

se β è il più grande dei minoranti di A, cioé se β ≥ β per ogni β minorante di A.

Proposizione 54 Dato un insieme A ⊂ R, un punto M ∈ R è l’estremo superiore di


A se e solo se valgono le due proprietà :

1. M ≥ x per ogni x ∈ A (cioè M è un maggiorante di A);

2. per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A tale che x0 > M − ϵ (cioè M è il piu’ piccolo dei
maggioranti).

Dimostrazione
Dimostriamo il ”solo se”. Sia M = sup A. Vogliamo dimostrare che le proprietà 1.
e 2. sono soddisfatte. Per definizione M è un maggiorante di A, quindi M ≥ x per
ogni x ∈ A (punto 1.). Per il punto 2., sia dato ϵ > 0. Allora M − ϵ < M . Siccome
M è il piu’ piccolo dei maggioranti di A, M − ϵ non puo’ essere un maggiorante di A.
Quindi esiste x0 ∈ A tale che M − ϵ < x0 , quindi per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A tale che
x0 > M − ϵ.
Dimostriamo il ”se”. Sia M ∈ R tale che valgono 1. e 2. Vogliamo dimostrare che
M = sup A. Per il punto 1., M è un maggiorante di A. Dobbiamo dimostrare che è il
piú piccolo dei maggioranti di A. Per assurdo supponiamo che esista un maggiorante
di A, α, tale che α < M . Sia ϵ = M − α > 0. Ma allora, per il punto 2., esiste x0 ∈ A
tale che x0 > M − ϵ = M − (M − α) = α, quindi α non può essere un maggiorante di
A ⇒ M è il più piccolo dei maggioranti di A ⇒ M = sup A.

In modo del tutto analogo si dimostra la proposizione (dimostrarla per esercizio):

Proposizione 55 Dato un insieme A ⊂ R, un punto m ∈ R è l’estremo inferiore di


A se e solo se valgono le due proprietà :

1. m ≤ x per ogni x ∈ A (cioè m è un minorante di A);

2. per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A tale che x0 < m + ϵ (cioè m è il più grande dei
minoranti).

Esempi 56

23
• A = (a, b] ⇒ sup A = b; inf A = a.
• A = [a, b) ⇒ sup A = b; inf A = a.
• A = { n1 , n ∈ N} ⇒ sup A = 1; inf A = 0.
• A = {1 − n1 , n ∈ N} ⇒ sup A = 1; inf A = 0.

Vale inoltre la:

Proposizione 57 Se A ⊂ R è limitato superiormente, ha un solo estremo superiore.


Se A ⊂ R è limitato inferiormente, ha un solo estremo inferiore.

Osservazione 58 Se l’estremo superiore di A appartiene ad A, si chiama massimo di


A, se l’estremo inferiore di A appartiene ad A, si chiama minimo di A. Formaliziamo
nella definizione:

Definizione 59 Dato A ⊂ R, si dice massimo di A e si indica con max A, il punto


M ∈ A, se esiste, tale che
M ≥x ∀x ∈ A,

si dice minimo di A e si indica con min A, il punto m ∈ A, se esiste, tale che

m≤x ∀x ∈ A.

Il massimo di A, se esiste, è unico. Il minimo di A, se esiste, è unico.

Esempi 60

• A = (a, b] ⇒ max A = sup A = b; inf A = a; non esiste min A.


• A = [a, b) ⇒ sup A = b; non esiste max A; min A = inf A = a.
• A = { n1 , n ∈ N} ⇒ max A = sup A = 1; inf A = 0; non esiste min A.
• A = {1 − n1 , n ∈ N} ⇒ sup A = 1; non esiste max A; min A = inf A = 0.

1.8 Punti interni, esterni e di frontiera

Sia E ⊂ Rn , e sia x0 ∈ Rn .

Definizione 61 Il vettore x0 si dice punto interno ad E se esiste un suo intorno


sferico tutto contenuto in E, cioè se ∃r > 0 tale che Br (x0 ) ⊂ E.

24
Definizione 62 Il vettore x0 si dice punto esterno ad E se è interno a E C (dove
con E C si indica il complementare di E in Rn , cioè : E C = Rn \E).

Definizione 63 Il vettore x0 si dice punto di frontiera per E se non è nè interno


nè esterno ad E.

Proposizione 64 Dato E ⊂ Rn e x0 ∈ Rn , x0 e’ punto di frontiera per E se e solo


se ogni suo intorno sferico contiene sia punti di E sia punti di E C , cioe’ se e solo se
∀r > 0 si ha Br (x0 ) ∩ E ̸= ∅ e Br (x0 ) ∩ E C ̸= ∅.

La dimostrazione, immediata utilizzando le Definizioni 61, 62 e 63, e’ lasciata come


esercizio.

NOTAZIONE
Dato E ⊂ Rn :
• E i denota l’insieme dei punti interni di E;
• E e denota l’insieme dei punti esterni di E;
• ∂E denota l’insieme dei punti di frontiera di E. ∂E e’ anche detto frontiera o bordo
di E.

Osservazione 65 Si ricorda che, quando l’insieme E e’ particolarmente complicato,


e’ sempre possibile ricorrere alle leggi di De Morgan per calcolare il complementare di
E:
(A ∪ B)C = AC ∩ B C

per il complementare di una unione di insiemi, e

(A ∩ B)C = AC ∪ B C

per il complementare di una intersezione di insiemi. Si rammenta inoltre che valgono


le proprieta’ distributive per unioni e intersezioni di insiemi:

A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)

25
e
A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)

Esempi 66 Dato E ⊂ Rn , individuare punti interni, esterni e di frontiera di E, e il


complementare di E. Si consiglia sempre di disegnare gli insiemi, quando possibile.

• In R:

1) E = (a, b) ⇒ E C = (−∞, a] ∪ [b, +∞).


E i = (a, b) = E. Infatti, preso un qualsiasi x ∈ (a, b) e’ possibile prendere ϵ suffi-
cientemente piccolo, tale che Bϵ (x) ⊂ (a, b). Basta prendere ϵ = 1
2
min(b − x, x − a):
verificarlo per esercizio.
E e = (−∞, a) ∪ (b, +∞). Infatti, preso un qualsiasi x ∈ (−∞, a) e’ possibile prendere ϵ
sufficientemente piccolo tale che Bϵ (x) ⊂ (a, b)C . Basta prendere ϵ < a − x: verificarlo
per esercizio. Analoga dimostrazione per x ∈ (b, +∞).
∂E = {a, b}. Infatti, preso un qualsiasi intorno di a : (a − ϵ, a + ϵ), tale intorno contiene
sia punti di (a, b) sia punti di (a, b)C : tutti i punti x ∈ (a − ϵ, a) appartengono a (a, b)C ,
inoltre tutti i punti x ∈ (a, a + ϵ) ∩ (a, b) appartengono a (a, b). Analoga dimostrazione
per b.
Osserviamo che E C = E e ∪ ∂E.

2) E = [a, b) ⇒ E C = (−∞, a) ∪ [b, +∞).


Verificare per esercizio che:
E i = (a, b), E e = (−∞, a) ∪ (b, +∞), ∂E = {a, b}.

Osserviamo che (a, b) e [a, b) hanno gli stessi punti interni, esterni e di frontiera, ma
non sono gli stessi insiemi. Verificare, per esercizio, che anche (a, b] e [a, b] hanno gli
stessi punti interni, esterni e di frontiera di (a, b).

3) E = {x ∈ R/x > a} = (a, +∞) ⇒ E C = {x ∈ R/x ≤ a} = (−∞, a]


E i = (a, +∞) = E, E e = (−∞, a), ∂E = {a}.

26
Verificarlo per esercizio. Osserviamo che E C = E e ∪ ∂E.

4) E = R ⇒ E C = ∅
E i = R = E, E C = ∂E = ∅.

5) E = Q ⇒ E C = R\Q
E i = ∅, E e = ∅, ∂E = Q ∪ (R\Q) = R.
Tutti i punti di R sono di frontiera per Q. Infatti, preso un qualsiasi razionale q ∈ Q e
preso un suo intorno (q − ϵ, q + ϵ), infiniti numeri non razionali cadono in tale intorno
(vista la densita’ di Q in R, vedi Ambrosetti Musu pag. 27), e quindi non esistono
punti interni a Q. Analogamente, tutti i punti non razionali sono di frontiera e percio’
non esistono punti esterni a Q. Infatti, preso un qualsiasi punto irrazionale λ ∈ R\Q
e preso un suo intorno (λ − ϵ, λ + ϵ), infiniti numeri razionali cadono in tale intorno.
Quindi, ogni punto di R e’ di frontiera per Q.

6) E = (1, 3] ⇒ E C = (−∞, 1] ∪ (3, +∞)


E i = (1, 3), E e = (−∞, 1) ∪ (3, +∞), ∂E = {1, 3}

7) E = [0, 2) ∩ [1, 5]
Si verifica facilmente che e’ E = [1, 2). Calcolare E C , E i , E e , ∂E per esercizio.

8) E = {x ∈ R/1 < |x| < 2}.


Si verifica facilmente che e’:
E = (−2, −1) ∪ (1, 2) ⇒ E C = (−∞, −2] ∪ [−1, 1] ∪ [2, +∞)
E i = (−2, −1) ∪ (1, 2) = E, E e = (−∞, −2) ∪ (−1, 1) ∪ (2, +∞)
∂E = {−2, −1, 1, 2}.
Osserviamo che E C = E e ∪ ∂E.

9) E = N ⇒ E C = R\N.
E i = ∅, ∂E = E. Non esistono punti interni ad E e tutti i punti di E sono di frontiera
per E. Infatti, consideriamo n0 ∈ N, e un suo qualsiasi intorno (n0 − ϵ, n0 + ϵ), ϵ > 0.
In tale intorno cadono sia punti di N (n0 stesso appartiene a ogni suo intorno), sia
punti di R\N (tutti i punti x ∈ (n0 − 1, n0 + 1) ∩ (n0 − ϵ, n0 + ϵ), x ̸= n0 ).

27
E e = R\N = E C . Infatti, preso un qualsiasi numero non naturale x ∈ R\N, e’ possibi-
le costruire un suo intorno (x − ϵ, x + ϵ) che non contenga numeri naturali. Supponendo
che x ∈ (n0 , n0 + 1), e’ sufficiente prendere ϵ = 1
2
min(x − n0 , n0 + 1 − x) (verificarlo
per esercizio).

10) E = {x ∈ R/x2 + x < 2} Per esercizio, calcolare E, E C e verificare che:


E i = (−2, 1), E e = (−∞, −2) ∪ (1, +∞), ∂E = {−2, 1}

11) E = {x ∈ [0, 2π]/ sin x > 12 }. Si verifica che e’: E = ( π6 , 56 π).


Calcolare E C , E i , E e e ∂E per esercizio.

12) E = [0, 1] ∩ Q ⇒ E C = (R\[0, 1]) ∪ ([0, 1] ∩ R\Q).


Dimostrare, per esercizio, che:
E i = ∅, E e = (−∞, 0) ∪ (1, +∞), ∂E = [0, 1]
(vedere esempio 5 sopra).

13) E = (1, 3]\{2} ⇒ E C = (−∞, 1] ∪ (3, +∞) ∪ {2}


E i = (1, 2) ∪ (2, 3), E e = (−∞, 1) ∪ (3, +∞), ∂E = {1, 2, 3}.
Il punto 2 e’ di frontiera per E perche’ preso un suo qualsiasi intorno (2−ϵ, 2+ϵ) in esso
cadono sia punti di E (per esempio, tutti i punti x ∈ (1, 2) ∩ (2 − ϵ, 2), intervallo che e’
diverso dall’insieme vuoto, essendo ϵ > 0, e anche tutti i punti x ∈ (2, 3) ∩ (2, 2 + ϵ)),
sia punti di E C (infatti, 2 ∈ E C e appartiene a ogni suo intorno).

14) E = (0, 2) ∪ {3} ⇒ E C = (−∞, 0] ∪ [2, 3) ∪ (3, +∞).


Verificare per esercizio che:
E i = (0, 2), E e = (−∞, 0) ∪ (2, 3) ∪ (3, +∞), ∂E = {0, 2, 3}.

• In R2 :

15) E = Br (x0 ) ⇒ E C = {x ∈ R2 /d(x, x0 ) ≥ r}.


E e’ un intorno sferico di un vettore di R2 . Tutti i suoi punti sono interni. Infatti, preso
un qualsiasi punto x distante r′ < r da x0 , e quindi appartenente all’intorno sferico,
e’ possibile costruire un intorno sferico di x tutto contenuto in Br (x0 ): e’ sufficiente

28
prendere il raggio di tale intorno di x pari a 0 < ϵ < r − r′ , per avere Bϵ (x) ⊂ Br (x0 )
(infatti si puo’ facilmente dimostrare che per un qualsiasi punto y ∈ Bϵ (x) si ha
d(y, x0 ) ≤ d(y, x) + d(x, x0 ) < ϵ + r′ < r) (Vedi proposizione 39). Si ha quindi:
E i = Br (x0 ) = E, E e = {x ∈ R2 /d(x, x0 ) > r}, ∂E = {x ∈ R2 /d(x, x0 ) = r}.

16) E = {x ∈ R2 /1 < x21 + x22 ≤ 4} ⇒


E C = {x ∈ R2 /x21 + x22 ≤ 1} ∪ {x ∈ R2 /x21 + x22 > 4}
L’insieme E consiste nella corona circolare delimitata dalle circonferenze di centro ori-
gine e raggio 1 e 2 rispettivamente, con la circonferenza interna esclusa e quella esterna
inclusa. Si verifica che:
E i = {x ∈ R2 /1 < x21 + x22 < 4},
E e = {x ∈ R2 /x21 + x22 < 1} ∪ {x ∈ R2 /x21 + x22 > 4},
∂E = {x ∈ R2 /x21 + x22 = 1} ∪ {x ∈ R2 /x21 + x22 = 4}.

17) E = {x ∈ R2 /x1 = x2 } ⇒ E C = {x ∈ R2 /x1 ̸= x2 }


E i = ∅, E e = {x ∈ R2 /x1 ̸= x2 } = E C , ∂E = {x ∈ R2 /x1 = x2 } = E.
Nessun punto di E e’ interno ad E: infatti preso un qualsiasi vettore di E e un qualsiasi
suo intorno sferico e’ facile vedere che in tale intorno cadono punti di E C : ogni punto di
E e’ pertanto di frontiera per E. Viceversa, preso un qualsiasi punto di E C , e’ sempre
possibile costruire un suo intorno sferico tutto contenuto in E C .

18) E = {x ∈ R2 /x21 + x22 > 1} ∪ {x ∈ R/x1 x2 = 0} ⇒


E C = {x ∈ R2 /x21 + x22 ≤ 1, x1 x2 ̸= 0}
Verificare che:
E i = {x ∈ R2 /x21 + x22 > 1},
E e = {x ∈ R2 /x21 + x22 < 1, x1 x2 ̸= 0},
∂E = {x ∈ R2 /x21 + x22 = 1} ∪ {x ∈ R2 /x1 = 0, x2 ∈ [−1, 1]} ∪
∪ {x ∈ R2 /x2 = 0, x1 ∈ [−1, 1]}

19) E = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 ≤ 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 < 1} ∪ {(3, 1)} ⇒
E C = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 > 1} ∩ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 ≥ 1}\{(3, 1)}
Verificare che:
E i = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 < 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 < 1}

29
E e = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 > 1} ∩ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 > 1}\{(3, 1)}
∂E = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 = 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 = 1} ∪ {(3, 1)}

• In R3 :

20) E = {x ∈ R3 /x21 + x22 + x23 < 4} ⇒ E C = {x ∈ R3 /x21 + x22 + x23 ≥ 4}.


E’ facile verificare che E = B2 (0). Non e’ difficile dimostrare che tutti i punti di un
intorno sferico sono interni all’intorno (vedi esempio 15 sopra).Quindi:
E i = B2 (0) = E, E e = {x ∈ R3 /x21 + x22 + x23 > 4}, ∂E = {x ∈ R3 /x21 + x22 + x23 = 4}.

21) E = {x ∈ R3 /x1 = x2 = 0} ⇒ E C = {x ∈ R3 /x1 ̸= 0} ∪ {x ∈ R3 /x2 ̸= 0}.


Si puo’ facilmente dimostrare che E coincide con l’asse x3 . Una retta in R3 non ha
punti interni, in quanto ogni intorno sferico di punti sulla retta contiene anche punti
che non stanno sulla retta. Quindi: E i = ∅.
Ogni punto che sta in E C e’ esterno ad E: dato x ∈
/ E e’ possibile costruire un intorno
sferico con centro in x che non contenga punti dell’asse x3 . Quindi E e = E C .
E’ inoltre immediato verificare che ogni punto dell’asse x3 e’ punto di frontiera per E:
preso un vettore x che sta sull’asse x3 un qualsiasi suo intorno contiene sia punti che
stanno sull’asse x3 , sia punti che non stanno su tale asse. Quindi: ∂E = E.

22) E = {x ∈ R3 /x1 > 0, x2 ≥ 0, x3 > 0} ⇒


E C = {x ∈ R3 /x1 ≤ 0} ∪ {x ∈ R3 /x2 < 0} ∪ {x ∈ R3 /x3 ≤ 0}.
Si puo’ verificare che:
E i = {x ∈ R3 /x1 > 0, x2 > 0, x3 > 0},
E e = {x ∈ R3 /x1 < 0} ∪ {x ∈ R3 /x2 < 0} ∪ {x ∈ R3 /x3 < 0},
∂E = {x ∈ R3 /x1 = 0, x2 ≥ 0, x3 ≥ 0} ∪ {x ∈ R3 /x1 ≥ 0, x2 = 0, x3 ≥ 0} ∪
∪ {x ∈ R3 /x1 ≥ 0, x2 ≥ 0, x3 = 0}

23) E = {x ∈ R3 /x3 = 0} ⇒ E C = {x ∈ R3 /x3 ̸= 0}


L’insieme E coincide col piano x1 x2 . Non ci sono punti interni, perche’ ogni intor-
no sferico di punti del piano contiene anche punti che non stanno sul piano, quindi:
E i = ∅.
I punti esterni a E sono tutti i punti che non stanno in E: infatti dato x ∈ E C , e’

30
possibile costruire un suo intorno sferico che non contenga punti del piano x1 x2 , quindi:
Ee = EC .
Ogni punto di E e’ di frontiera: infatti ogni intorno sferico di punti di E contiene sia
punti di E, sia punti di E C , e non esistono altri punti di frontiera, perche’ i punti che
non stanno in E sono esterni ad E, quindi: ∂E = E.

1.9 Punti di accumulazione e punti isolati

Definizione 67 Dato A ⊂ Rn , un punto x0 ∈ Rn si dice punto di accumulazione


per A ⊂ Rn se ogni intorno sferico di x0 contiene un punto di A diverso da x0 , cioè
se ∀ϵ > 0 ⇒ (Bϵ (x0 )\{x0 }) ∩ A ̸= ∅.

Esempio 68 Sia A ⊂ R2 definito come:

A = B1 (0) ∪ {(1, 1)}.

E’ evidente (p.es. si disegni l’insieme A) che:

• ( 12 , 12 ) ∈ A ed è punto di accumulazione per A

• (1, 0) ∈
/ A ma è punto di accumulazione per A

• (1, 1) ∈ A ma non è punto di accumulazione per A.

Osservazione 69 Questo esempio significativo ci mostra i seguenti importanti fatti:

• Un punto di accumulazione per un insieme A puo’ appartenere all’insieme (p.es.


( 12 , 12 )) ma puo’ anche non appartenere all’insieme (p.es. (1, 0)).

• Non tutti i punti dell’insieme sono punti di accumulazione per l’insieme (p.es.
(1, 1)).

Osservazione 70 Tutti i punti interni ad un insieme A sono punti di accumulazione


per A.

Definizione 71 Un punto x0 ∈ Rn si dice punto isolato di A se:

1. x0 ∈ A;

31
2. x0 non è punto di accumulazione per A.

Osservazione 72 In altre parole, un punto x0 ∈ Rn è punto isolato di A se ∃ϵ > 0


tale che Bϵ (x0 ) ∩ A = {x0 }.

Proposizione 73 In virtu’ dell’osservazione 70, un punto isolato di A è necessaria-


mente un punto di frontiera di A.

Definizione 74 L’insieme dei punti di accumulazione per un insieme A si chiama


insieme derivato di A e si indica con A′ . Quindi

A′ = {x ∈ R/x punto di accumulazione per A}

Esempi 75 Dato A ⊂ Rn , trovare punti di accumulazione e punti isolati di A.

• A = (0, 1)
A′ = [0, 1]. A non ha punti isolati.
• A = {numeri pari tra 2 e 8} = {2, 4, 6, 8}
A′ = ∅. A è costituito da punti isolati e non esistono punti di accumulazione per A.
• A = (1, 3) ∪ {5}
A′ = [1, 3]. Il punto 5 ∈ A ed è punto isolato di A.
• A = [0.6]\{5}
A′ = [0, 6]. Osserviamo che 5 ∈
/ A ma è punto di accumulazione per A. Osserviamo
inoltre che 5 è punto isolato di AC .
• A = { n1 , n ∈ N}
A′ = {0}. L’unico punto di accumulazione per A è 0 e 0 ∈
/ A. Tutti i punti di A sono
punti isolati.
• A = Q ∩ [0, 1]
A′ = [0, 1]. Tutti i punti razionali e tutti i punti irrazionali di [0, 1] sono punti di
accumulazione per A (per la densità dei razionali nei reali).

1.10 Relazione tra punti interni/esterni/di frontiera e punti


di accumulazione/isolati

Dato A ⊂ Rn , che relazioni ci sono tra punti interni, esterni e di frontiera di A e punti
isolati e di accumulazione di A? Sappiamo che

Ai ∪ Ae ∪ ∂A = Rn

32
Vale lo stesso per A′ ∪ Ais ? La risposta è no (cioè non necessariamente), come vedremo
nel prossimo importante risultato per i punti esterni.

1.10.1 Punti esterni

Proposizione 76 Sia A ⊂ Rn e sia x0 punto esterno ad A. Allora x0 non è punto


isolato di A e non è punto di accumulazione per A.

Dimostrazione
x0 non può essere isolato perché, essendo esterno ad A, non appartiene ad A.
Inoltre, poiché x0 è esterno ad A, esiste uno suo intorno tutto contenuto in AC , cioè
esiste ϵ > 0 tale che Bϵ (x0 ) ⊂ AC . Allora si ha

Bϵ (x0 ) ∩ A = ∅

e quindi x0 non può essere punto di accumulazione (perchè la definizione di punto di


accumulazione non è soddisfatta per tale ϵ > 0). 2

L’immediata conseguenza della Proposizione 76 è che se x0 è punto di accumulazione


per A non può essere punto esterno ad A; se è punto isolato di A, non può essere punto
esterno ad A.

1.10.2 Punti interni

Per i punti interni vale il seguente intuitivo risultato:

Proposizione 77 Sia A ⊂ Rn e sia x0 punto interno ad A. Allora x0 è punto di


accumulazione per A.

Dimostrazione
Poiché x0 è punto interno ad A, esiste un suo intorno sferico tutto contenuto in A, cioè
esiste ϵ0 > 0 tale che Bϵ0 (x0 ) ⊂ A. Sia ora ϵ > 0 e sia 0 < δ ≤ min{ϵ, ϵ0 }. Poiché
δ ≤ ϵ, si ha
Bδ (x0 ) ⊂ Bϵ (x0 )

e poiché δ ≤ ϵ0 , si ha
Bδ (x0 ) ⊂ Bϵ0 (x0 ) ⊂ A.

33
Allora preso y ∈ Bδ (x0 ), y ̸= x0 , si ha

y ∈ Bϵ (x0 )\{x0 }

ed anche
( )
y ∈ Bϵ0 (x0 )\{x0 } ⊂ A.
Quindi
( )
y ∈ Bϵ (x0 )\{x0 } ∩ A
che implica
( )
Bϵ (x0 )\{x0 } ∩ A ̸= ∅.
Siccome questo vale per ogni ϵ > 0, si ha che x0 è punto di accumulazione per A. 2
Quindi ogni punto interno è di accumulazione. Chiaramente un punto interno non può
essere isolato perché un punto isolato non è di accumulazione per definizione. Veniamo
ai più delicati punti di frontiera.

1.10.3 Punti di frontiera

Prima di analizzare i punti di frontiera, vediamo la natura dei punti isolati.

Proposizione 78 Sia A ⊂ Rn e sia x0 punto isolato di A. Allora x0 è punto di


frontiera di A.

Dimostrazione
La proposizione si può dimostrare in due modi diversi.
Dimostrazione 1) Se x0 è punto isolato di A, per la Proposizione 76 non può essere
esterno. Se x0 è punto isolato di A, per la Proposizione 77 non può essere interno: se
fosse punto interno sarebbe punto di accumulazione e quindi non isolato. Allora deve
essere punto di frontiera.
Dimostrazione 2) Per dimostrare che x0 è punto di frontiera di A devo dimostrare
che ogni suo intorno contiene sia punti di A sia punti di AC . Poiché x0 è isolato, si ha
che x0 ∈ A. Siccome ogni intorno di x0 contiene x0 e quindi contiene un punto di A,si
ha che per ogni ϵ > 0 si ha
Bϵ (x0 ) ∩ A ̸= ∅.
Inoltre, poiché è isolato, esiste un suo intorno che interseca A solo nel punto stesso,
cioè esiste ϵ0 > 0 tale che
( )
Bϵ0 (x0 )\{x0 } ∩ A = ∅

34
cioè
Bϵ0 (x0 )\{x0 } ⊂ AC

Sia ϵ > 0 e sia 0 < δ ≤ min{ϵ, ϵ0 }. Allora, detto δ = min{ϵ, ϵ0 } si ha

Bδ (x0 )\{x0 } ⊂ Bϵ (x0 )\{x0 }

e
Bδ (x0 )\{x0 } ⊂ Bϵ (x0 )\{x0 } ⊂ AC

Quindi
y ∈ Bδ (x0 )\{x0 } ⇒ y ∈ Bϵ (x0 )\{x0 } ∩ AC

che implica
Bϵ (x0 ) ∩ AC ̸= ∅

Siccome questo vale per ogni ϵ > 0, si ha che x0 è punto di frontiera di A. 2

La Proposizione appena dimostrata ci dice che ogni punto isolato è di frontiera. Non
vale però il viceversa, ovviamente, come il significativo esempio 68 ha mostrato, dove
il punto (1, 0) è contemporaneamente di frontiera e di accumulazione. Chiaramente,
per definizione, un punto di accumulazione non può essere isolato e viceversa. Ma un
punto di frontiera può essere isolato oppure può essere di accumulazione. Si ha anzi il
seguente importante risultato:

Proposizione 79 Sia A ⊂ Rn e sia x0 punto di frontiera di A. Allora x0 è punto di


accumulazione per A se e solo se non è punto isolato di A.

Dimostrazione
⇒ “Solo se” Sia x0 punto di frontiera e punto di accumulazione per A. Allora non può
essere punto isolato di A perchè altrimenti non sarebbe punto di accumulazione per A.
⇐ “Se” Sia x0 punto di frontiera e punto non isolato di A. Devo dimostrare che è
punto di accumulazione per A. Distinguiamo i due casi: 1) x0 ∈ A; 2) x0 ∈
/ A.
1) Se x0 ∈ A, x0 deve per forza essere di accumulazione per A, altrimenti, per defini-
zione sarebbe punto isolato di A.
2) Supponiamo x0 ∈
/ A. Poiché per ipotesi x0 è punto di frontiera di A, ogni suo
intorno deve contenere punti di A e punti di AC . Allora, poiché x0 ∈
/ A, ogni intorno
di x0 contiene almeno un punto di A diverso da x0 . Allora, per definizione, x0 è punto
di accumulazione per A. 2

35
1.11 Aperti e chiusi di Rn

Definizione 80 Un insieme E ⊂ Rn si dice aperto se ogni suo punto e’ interno ad


E.

Definizione 81 Un insieme E ⊂ Rn si dice chiuso se il suo complementare E C e’


aperto.

E’ possibile dimostrare la seguente proposizione:

Proposizione 82 Un insieme E ⊂ Rn e’ chiuso se e solo se possiede la sua frontiera,


cioe’ se e solo se E = E i ∪ ∂E. Equivalentemente, E ⊂ Rn e’ chiuso se e solo se
∂E ⊂ E.

Dimostrazione
Per dimostrare che una bi-implicazione e’ valida, bisogna dimostrare le due implicazio-
ni separatamente.

Dim. di (⇒).
E e’ chiuso ⇒ ∀x ∈ ∂E, x ∈ E.
Supponiamo, per assurdo, che ∃x0 ∈ ∂E/x0 ∈
/ E. Allora x0 ∈ E C . Questo e’ assurdo,
perche’ E e’ chiuso e quindi E C e’ aperto, e non puo’ contenere punti di frontiera.

Dim. di (⇐).
∂E ⊂ E ⇒ E e’ chiuso.
Supponiamo, per assurdo, che E non e’ chiuso. Allora, E C non e’ aperto. Quindi esiste
almeno un punto di E C che non e’ interno a E C , e quindi E C deve contenere almeno
un punto di frontiera, cioe’ ∃x0 ∈ E C ∩ ∂E. Ma questo e’ assurdo, perche’ per ipotesi
∂E ⊂ E, e quindi E C ∩ ∂E = ∅.

Casi particolari: ∅ e Rn

Abbiamo visto prima (vedi esempio 4 sui punti interni ed esterni) che tutti i punti
di R sono punti interni, pertanto R e’ aperto. Analogamente, e’ immediato dimostrare

36
che tutti i vettori di Rn sono interni, quindi anche Rn e’ aperto. Applicando la defini-
zione 81, si ha pertanto che ∅ = (Rn )C e’ chiuso.

Esiste inoltre la seguente convenzione:

Convenzione
Per convenzione l’insieme vuoto, ∅, e’ aperto in Rn , ∀n.

Si ha quindi (applicando di nuovo la definizione 81) che Rn = (∅)C e’ anche chiu-


so, ∀n.

E’ possibile dimostrare la seguente:

Proposizione 83 Gli unici insiemi di Rn (n = 1, 2, ...) che siano contemporaneamente


aperti e chiusi sono Rn e ∅.

Osservazione 84 Un insieme E ⊂ Rn , E ̸= ∅, E ̸= Rn , puo’ essere aperto, chiuso


oppure ne’ aperto ne’ chiuso, ma non puo’ essere contemporaneamente aperto e chiuso.

E’ possibile dimostrare le seguenti importanti e utili proprieta’ di aperti e chiusi:

Proposizione 85 Siano A1 , A2 ⊂ Rn , aperti di Rn . Allora, gli insiemi A1 ∪ A2 e


A1 ∩ A2 sono aperti.

Dimostrazione
Dimostriamo che A1 ∪ A2 è aperto. Sia x0 ∈ A1 ∪ A2 . Supponiamo che x0 ∈ A1 .
Siccome A1 è aperto, esiste r > 0 tale che Br (x0 ) ⊂ A1 . Siccome A1 ⊂ (A1 ∪ A2 ), si
ha Br (x0 ) ⊂ (A1 ∪ A2 ). Se x0 ∈ A2 , si arriva alla stessa conclusione. Allora, per ogni
x0 ∈ A1 ∪ A2 , esiste r > 0 tale che Br (x0 ) ⊂ (A1 ∪ A2 ), cioè x0 è interno a A1 ∪ A2 ,
quindi A1 ∪ A2 è aperto.
Dimostriamo che A1 ∩ A2 è aperto. Sia x0 ∈ A1 ∩ A2 . Siccome x0 ∈ A1 e siccome A1
è aperto, esiste r1 > 0 tale che Br1 (x0 ) ⊂ A1 . Siccome x0 ∈ A2 e siccome A2 è aperto,
esiste r2 > 0 tale che Br2 (x0 ) ⊂ A2 . Sia r = min(r1 , r2 ). Siccome r ≤ r1 e r ≤ r2 , si

37
ha Br (x0 ) ⊂ Br1 (x0 ) ⊂ A1 e Br (x0 ) ⊂ Br2 (x0 ) ⊂ A2 , che implica Br (x0 ) ⊂ (A1 ∩ A2 ).
Quindi, per ogni x0 ∈ A1 ∩ A2 , esiste r > 0 tale che Br (x0 ) ⊂ (A1 ∩ A2 ), cioè x0 è
interno a A1 ∩ A2 , quindi A1 ∩ A2 è aperto.

Corollario 86 Siano C1 , C2 ⊂ Rn , chiusi di Rn . Allora, gli insiemi C1 ∪ C2 e C1 ∩ C2


sono chiusi.

Dimostrazione
Definiamo i complementari di C1 e C2 come A1 e A2 , cioè : A1 = (C1 )C e A2 = (C2 )C .
Siccome C1 e C2 sono chiusti, A1 e A2 sono aperti. Applicando le leggi di De Morgan,
si ha:
C1 ∪ C2 = (A1 )C ∪ (A2 )C = (A1 ∩ A2 )C

Siccome A1 e A2 sono aperti, anche A1 ∩ A2 a̧perto, cioè C1 ∪ C2 = (A1 ∩ A2 )C è chiuso.


Analogamente,
C1 ∩ C2 = (A1 )C ∩ (A2 )C = (A1 ∪ A2 )C

Siccome A1 e A2 sono aperti, anche A1 ∪ A2 a̧perto, cioè C1 ∩ C2 = (A1 ∪ A2 )C è chiuso.

Usando la proposizione (85) e il corollario (86) è facile dimostrare la seguente pro-


posizione:

Proposizione 87 Siano A1 , A2 , ..., An ⊂ Rn , aperti di Rn . Allora, gli insiemi ni=1 Ai

e ni=1 Ai sono aperti. Siano C1 , C2 , ..., Cn ⊂ Rn , chiusi di Rn . Allora, gli insiemi
∪n ∩n
i=1 Ci e i=1 Ci sono chiusi.

In altre parole, unioni e intersezioni finite di aperti (chiusi) sono aperti (chiusi). Per
quanto riguarda l’unione e intersezione infinita, si ha invece la seguente proposizione:

Proposizione 88 Siano {Ai }i∈N ⊂ Rn , aperti di Rn . Allora, l’insieme +∞ i=1 Ai è

aperto. Siano {Ci }i∈N ⊂ Rn , chiusi di Rn . Allora, l’insieme i=1 Ci è chiuso.
+∞

In altre parole, l’intersezione infinita di aperti non è necessariamente un insieme aperto,


e l’unione infinita di chiusi non è necessariamente un insieme chiuso, come mostra il
seguente esempio:

Esempio 89 Sia ( )
1 1
An = − , , .
n n n=1,2,3,....

38
Gli insiemi An sono aperti e inoltre si ha:

+∞
An = {0},
i=n

che non è un insieme aperto. Viceversa, sia


( ] [ )
1 1
Cn = (An ) = −∞, −
C
∪ , +∞ .
n n n=1,2,3,....

Gli insiemi Cn sono chiusi, e inoltre si ha



+∞
Cn = R\{0},
i=n

che non è un insieme chiuso.

Vale inoltre la seguente importante proposizione:

Proposizione 90 Ogni intorno sferico di punti di Rn , Br (x), e’ aperto.

Esempi 91 Considerare gli esempi visti prima nei punti interni, esterni e di frontiera
e stabilire se gli insiemi visti sono aperti, chiusi oppure ne’ aperti ne’ chiusi.

• In R:

1) E = (a, b) ⇒ E i = (a, b) = E.
E e’ aperto, poiche’ tutti i suoi punti sono interni. Quindi, E C = (−∞, a] ∪ [b, +∞) e’
chiuso (vedi def. 81). Verificare, per esercizio, che E C soddisfa la proprieta’ 82.

2) E = [a, b) ⇒ E i = (a, b). E non e’ aperto, perche’ i suoi punti non sono tutti
interni, a e’ di frontiera. Bisogna stabilire se E e’ chiuso. Il complementare di E,
E C = (−∞, a) ∪ [b, +∞) non e’ aperto, perche’ il punto b ∈ E C ed e’ di frontiera per
E C . Quindi, E non e’ chiuso, perche’ E C non e’ aperto.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.

3) E = {x ∈ R/x > a} = (a, +∞) ⇒ E i = (a, +∞) = E, quindi E e’ aperto. Il


suo complementare E C = {x ∈ R/x ≤ a} = (−∞, a] e’ chiuso. Verificare, per eserci-
zio, che E C soddisfa la proprieta’ 82.

39
4) E = R ⇒ E i = R
E e’ aperto e chiuso contemporaneamente (vedi 83).

5) E = Q ⇒ E i = ∅, quindi E non e’ aperto. Bisogna stabilire se e’ chiuso. Il


suo complementare e’ E C = R\Q e, come si e’ visto, tutti i punti di E C sono di fron-
tiera, quindi E C non e’ aperto. Quindi E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.

6) E = (1, 3] ⇒ E i = (1, 3), quindi E non e’ aperto. Bisogna stabilire se e’ chiu-


so. Il suo complementare, E C = (−∞, 1] ∪ (3, +∞) non e’ aperto perche’ contiene il
punto 1 che e’ di frontiera, quindi E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.

7) E = [0, 2) ∩ [1, 5] = [1, 2)


Verificare per esercizio che E non e’ ne’ aperto ne’ chiuso.

8) E = {x ∈ R/1 < |x| < 2} = (−2, −1) ∪ (1, 2) ⇒ E i = (−2, −1) ∪ (1, 2) = E,
quindi E e’ aperto. Il suo complementare, E C = (−∞, −2] ∪ [−1, 1] ∪ [2, +∞), e’
chiuso. Verificare, per esercizio, che E C soddisfa la Proposizione 82. Verificare, inoltre,
che soddisfa il corollario 86.

9) E = N ⇒ E i = ∅, quindi E non e’ aperto. Bisogna stabilire se e’ chiuso. Il


suo complementare e’ E C = R\N = E e . Tutti i punti di E C sono interni a E C , quindi
E C e’ aperto, e quindi E e’ chiuso. Infatti, N contiene tutta la sua frontiera (anzi,
coincide con la sua frontiera) e percio’ soddisfa la proprieta’ 82.

10) E = {x ∈ R/x2 + x < 2}. Per esercizio, verificare che E e’ aperto.

11) E = {x ∈ [0, 2π]/ sin x > 12 }. Per esercizio, verificare che E e’ aperto.

12) E = [0, 1] ∩ Q ⇒ E i = ∅, quindi E non e’ aperto. Bisogna stabilire se e’ chiuso.


Il suo complementare e’ E C = (−∞, 0) ∪ (1, +∞) ∪ ([0, 1] ∩ R\Q) e non possiede solo

40
punti interni, perche’ i punti di ([0, 1] ∩ R\Q) sono punti di frontiera, quindi E C non
e’ aperto. Quindi, E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.

13) E = (1, 3]\{2} ⇒ E i = (1, 2) ∪ (2, 3), quindi E non e’ aperto. Il suo comple-
mentare e’ E C = (−∞, 1] ∪ (3, +∞) ∪ {2} che non e’ aperto perche’ contiene i punti
di frontiera 1 e 2. Quindi E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.
Verificare che l’insieme E = (1, 3)\{2} e’ aperto e soddisfa la Proposizione 85.

14) E = (0, 2) ∪ {3} ⇒ E i = (0, 2), quindi E non e’ aperto (contiene il punto di
frontiera 3). Il suo complementare e’E C = (−∞, 0] ∪ [2, 3) ∪ (3, +∞), che non e’ aperto
perche’ contiene i punti di frontiera 0 e 2. Quindi E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.

• In R2 :

15) E = Br (x0 ) ⇒ E i = Br (x0 ) = E, quindi E e’ aperto. Il suo complementare


E C = {x ∈ R2 /d(x, x0 ) ≥ r} e’ chiuso. E’ un caso particolare (con n = 2) della
Proposizione 90.

16) E = {x ∈ R2 /1 < x21 + x22 ≤ 4} ⇒ E i = {x ∈ R2 /1 < x21 + x22 < 4}, quindi
E non e’ aperto. Vediamo se e’ chiuso. Il suo complementare e’
E C = {x ∈ R2 /x21 + x22 ≤ 1} ∪ {x ∈ R2 /x21 + x22 > 4}, che non e’ aperto, in quanto
contiene i punti della circonferenza {x ∈ R2 /x21 + x22 = 1}, che sono di frontiera, quindi
E C non e’ aperto e E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.

17) E = {x ∈ R2 /x1 = x2 } ⇒ E i = ∅, quindi E non e’ aperto. Il suo comple-


mentare e’E C = {x ∈ R2 /x1 ̸= x2 } = E e , ed e’ aperto, in quanto contiene solo punti
interni. Quindi, E e’ chiuso (verificare che soddisfa la Proposizione 82).

18) E = {x ∈ R2 /x21 + x22 > 1} ∪ {x ∈ R/x1 x2 = 0} ⇒ E i = {x ∈ R2 /x21 + x22 > 1},

41
quindi E non e’ aperto. Il suo complementare e’E C = {x ∈ R2 /x21 + x22 ≤ 1, x1 x2 ̸= 0},
che non e’ aperto, in quanto contiene i punti della circonferenza {x ∈ R2 /x21 + x22 = 1},
che sono di frontiera, quindi E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.

19) E = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 ≤ 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 < 1} ∪ {(3, 1)} ⇒
E i = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 < 1} ∪ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 < 1}, quindi E non e’
aperto.
Il suo complementare e’
E C = {x ∈ R2 /(x1 + 1)2 + x22 > 1} ∩ {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 ≥ 1}\{(3, 1)}. E C non e’
aperto, in quanto contiene i punti di frontiera {x ∈ R2 /(x1 − 1)2 + x22 = 1}, quindi E
non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.

• In R3 :

20) E = {x ∈ R3 /x21 + x22 + x23 < 4} = B2 (0) ⇒ E i = B2 (0) = E, quindi E e’


aperto. Questo e’ un caso particolare, n = 3, della Proposizione 90.
Il suo complementare E C = {x ∈ R3 /x21 + x22 + x23 ≥ 4} e’ chiuso.

21) E = {x ∈ R3 /x1 = x2 = 0} ⇒ E i = ∅, quindi E non e’ aperto. Il suo com-


plementare e’ E C = {x ∈ R3 /x1 ̸= 0} ∪ {x ∈ R3 /x2 ̸= 0}. I punti di E C sono tutti
interni (infatti, E e = E C ) e quindi e’ aperto. Osserviamo che, in particolare, E C e’
l’unione di due aperti. Quindi E e’ chiuso. Osserviamo che, coerentemente con la
Proposizione 82, E contiene la sua frontiera (anzi, si ha ∂E = E, cioe’ E coincide con
la sua frontiera).

22) E = {x ∈ R3 /x1 > 0, x2 ≥ 0, x3 > 0} ⇒ E i = {x ∈ R3 /x1 > 0, x2 > 0, x3 > 0},


E non e’ aperto, in quanto contiene i punti del tipo (x1 , 0, x3 ), con x1 > 0, x3 > 0, che
sono punti di frontiera (cioe’, E contiene una parte del piano x1 x3 , che e’ di frontiera
per l’insieme).
Il suo complementare e’ E C = {x ∈ R3 /x1 ≤ 0}∪{x ∈ R3 /x2 < 0}∪{x ∈ R3 /x3 ≤ 0}.
Si puo’ facilmente dimostrare che anche E C non e’ aperto. Infatti contiene, per esem-

42
pio, i punti del tipo (0, x2 , x3 ), con x2 > 0, x3 > 0, che sono punti di frontiera (infatti,
ogni intorno sferico centrato in un punto (0, x2 , x3 ), x2 > 0, x3 > 0, contiene punti di
E). Quindi E C non e’ aperto e E non e’ chiuso.
In definitiva, E non e’ ne’ aperto, ne’ chiuso.

23) E = {x ∈ R3 /x3 = 0} ⇒ E i = ∅, quindi E non e’ aperto. Bisogna stabilire


se e’ chiuso. Il suo complementare e’ E C = {x ∈ R3 /x3 ̸= 0}, che e’ aperto. Infatti,
E e = E C , cioe’ tutti i punti di E C sono interni a E C .
Quindi, E C e’ aperto e E e’ chiuso.
Anche intuitivamente e’ facile da vedere: l’insieme E coincide col piano x1 x2 ed e’
possibile dimostrare che ogni piano e’ chiuso in R3 . Osserviamo che la Proposizione
82 e’ soddisfatta: infatti ∂E = E.

43
PARTE 2 LE FUNZIONI

2.1 Le funzioni: prime definizioni

Definizione 92 Dati due insiemi non vuoti, A e B, si dice funzione (o applicazione,


o corrispondenza) da A in B una legge che a ogni elemento x ∈ A associa uno e un
solo elemento y ∈ B. In simboli, una funzione si rappresenta nel seguente modo:

f :A→B

Osservazione 93 Si noti che una funzione associa a ogni elemento x di A UNO E


UN SOLO elemento y di B. Le applicazioni tra insiemi che a un elemento di un in-
sieme associano, per esempio, due o piu’ elementi, non sono perciò considerate funzioni.

In questo corso, considereremo solo funzioni numeriche, cioe’ funzioni in cui A è un


sottoinsieme di Rn e B è un sottoinsieme di R, ossia

f : A ⊂ Rn → B ⊂ R

Una forma piu’ generale di funzioni sono quelle in cui B è un sottoinsieme di Rm , ma


noi ci limiteremo a considerare il caso m = 1.

Nel caso di funzioni numeriche, la definizione 92 assume la seguente forma:

Definizione 94 Dati due sottoinsiemi A ⊂ Rn e B ⊂ R, si dice funzione (o applica-


zione, o corrispondenza) da A in B e si indica con

f : A ⊂ Rn → B ⊂ R

una legge che a ogni elemento x = (x1 , x2 , ..., xn ) ∈ A associa uno e un solo elemento
y ∈ B. Si scrive anche: y = f (x) = f (x1 , x2 , ..., xn ).

Nel caso particolare di n = 1, si hanno le funzioni reali di variabile reale:

f :A⊂R→B⊂R

44
che a ogni elemento x ∈ A associano un elemento y ∈ B, secondo la regola: y = f (x).

Esempi 95 Dire se le seguenti corrispondenze tra sottoinsiemi di Rn e sottoinsiemi


di R sono o no funzioni.

1) A = B = R, f : R → R, f (x) = x2 .
La relazione f e’ una funzione. Infatti, a ogni elemento x ∈ R associa uno e un solo
elemento di R: il suo quadrato.

√ √
2) A = R+ , B = R, f : R+ → R, f (x) = {− x, + x}.
La relazione f non e’ una funzione. Infatti, a ogni elemento x ∈ R+ associa due ele-
√ √
menti di R: + x e − x, per essere una funzione dovrebbe associare uno e un solo
elemento.


3) A = R+ , B = R, f : R+ → R, f (x) = x.
La relazione f e’ una funzione. Infatti, a ogni elemento x ∈ R+ associa un solo ele-

mento di R: x (che, ricordiamolo, e’ considerato col segno +).

4) A = B = R, f : R → R, f (x) = 10.
La relazione f e’ una funzione. Infatti, a ogni elemento x di R associa un solo elemento
di R (sempre lo stesso: il punto y = 10).

5) A = R2 , B = R, f : R2 → R, f (x1 , x2 ) = x21 − x22 .


f e’ una funzione. Infatti, a ogni x ∈ R2 associa un solo elemento di R.

6) A = R5 , B = R, f : R5 → R, f (x1 , x2 , x3 , x4 , x5 ) = ∥x∥ − 3x1 x2 .


f e’ una funzione. Infatti, a ogni x ∈ R5 associa un solo elemento di R.

Per visualizzare una funzione reale di variabile reale, e’ spesso opportuno ricorrere al
grafico della funzione y = f (x), che esprime graficamente come varia il valore di y al
variare di x. E’ possibile usare il grafico della funzione anche nel caso di funzioni da
R2 in R. Per funzioni da Rn in R con n ≥ 3, non e’ possibile disegnare il grafico di

45
funzione, che quindi perde gran parte della sua utilita’ immediata.

Definizione 96 Data una funzione f : A ⊂ Rn → B ⊂ R, il grafico della funzione f ,


indicato con Graf (f ), e’ il sottoinsieme di Rn × R = Rn+1 costituito dalle coppie

Graf (f ) = {(x, f (x)) ∈ Rn+1 /x ∈ A} =

= {(x1 , x2 , ..., xn , f (x1 , x2 , ..., xn )) ∈ Rn+1 /(x1 , x2 , ..., xn ) ∈ A}

2.1.1 Caso particolare: funzioni reali di variabile reale

Per funzioni reali di variabile reale,

f :A⊂R→B⊂R

il grafico di f è
Graf (f ) = {(x, f (x)) ∈ R2 , x ∈ A}

Osservazione 97

Ogni retta x = a, con a ∈ A (retta parallela all’asse y), tocca il grafico di f in uno e
un solo punto: nel punto (a, f (a)). Questa e’ una conseguenza immediata del fatto che
f e’ una funzione (dimostrare, per esercizio, che se la retta x = a incontra il grafico di
f in due o piu’ punti, allora f non e’ una funzione).

2.1.2 Caso particolare: funzioni da R2 in R e curve di livello

Per funzioni
f : A ⊂ R2 → B ⊂ R

il grafico di f è
Graf (f ) = {(x, f (x)) ∈ R3 , x ∈ A}

In questo caso il grafico di f è ancora possibile da disegnare, ma il modo migliore


di capire come è fatto consiste nello studiare le curve di livello di f . Queste sono le
intersezioni di Graf (f ) con piani orizzontali del tipo x3 = c: al variare di c ∈ R si può

46
capire come evolve la superficie Graf (f ) in R3 e rappresentarla. In particolare, si ha
la seguente definizione:

Definizione 98 Sia f : R2 → R una funzione. Si chiamano curve di livello di f


gli insiemi del tipo
Sc (f ) = {x ∈ Rs : f (x1 , x2 ) = c}
con c ∈ R.

In altre parole, la curva di livello Sc (f ) è l’insieme dei punti di R2 su cui f assume il


valore costante c. Laddove la funzione f risulti ovvia, scriveremo Sc in luogo di Sc (f ).

Esempi 99 Data la funzione f : R2 → R, scrivere e disegnare le curve di livello di f


al variare di c ∈ R.

• f (x1 , x2 ) = x21 + x22


Se c < 0, Sc = ∅ perché x21 + x22 ≥ 0.
Se c = 0, S0 = 0 = (0, 0).
Se c > 0, Sc = {x ∈ R2 : x21 + x22 = c} cioé la curva di livello è una circonferenza

di centro l’origine e raggio c.

• f (x1 , x2 ) = x21 − x22


Se c < 0, Sc = {x ∈ R2 : x21 − x22 = c} cioé è l’iperbole con asintoti le rette x2 = x1

e x2 = −x1 che interseca l’asse x2 in ± c.
Se c = 0, S0 = {x2 = x1 } ∪ {x2 = −x1 }, cioé sono le due bisettrici.
Se c > 0, Sc = {x ∈ R2 : x21 − x22 = c} cioé è l’iperbole con asintoti le rette x2 = x1

e x2 = −x1 che interseca l’asse x1 in ± c.

• f (x1 , x2 ) = x1 x2
Se c < 0, Sc = {x ∈ R2 : x1 x2 = c} cioé è l’iperbole equilatera con asintoti gli assi
il cui grafico sta nel secondo e quarto quadrante.
Se c = 0, S0 = {x1 = 0} ∪ {x2 = 0}, cioé sono i due assi.
Se c > 0, Sc = {x ∈ R2 : x1 x2 = c} cioé è l’iperbole equilatera con asintoti gli assi
il cui grafico sta nel primo e terzo quadrante.

È evidente che ogni punto x0 = (x01 , x02 ) del dominio di f appartiene ad una e una sola
curva di livello: essa è Sc0 (f ), dove c0 è tale che f (x0 ) = f (x01 , x02 ) = c0 . Volendo sapere

47
a quale specifica curva di livello appartiene un determinato punto di R2 , si segue la
semplice procedura illustrata dal seguente esempio:

Esempio 100 Data la funzione f : R2 → R definita da f (x1 , x2 ) = 6x1 + x2 − 8,


trovare la curva di livello di f passante per il punto (2, 4).

Per prima cosa, dobbiamo calcolare quale valore assume f nel punto desiderato: si ha
f (2, 4) = 8. Si tratta quindi di calcolare S8 . Si ha: S8 = {(x1 , x2 ) ∈ R2 : 6x1 + x2 − 8 =
8} = {(x1 , x2 ) ∈ R2 : 6x1 + x2 = 16} sono cioé i punti della retta di equazione
x2 = −6x1 + 16.

2.2 Dominio, codominio, immmagine, suriettività, iniettività

Definizione 101 Data una funzione f : A ⊂ Rn → B ⊂ R, il sottoinsieme A e’


detto dominio (o insieme di definizione) della funzione f . Il sottoinsieme B e’ detto
codominio della funzione f . Il dominio di f si indica con Dom(f ). Il codominio di
f si indica con Codom(f ).

D’ora in poi, per comodità , si prenderà B = R. Segue che il codominio delle funzioni
considerate sarà sempre R.

Definizione 102 Data una funzione

f : A ⊂ Rn → R

si dice immagine di f e si indica con Im(f ), il sottoinsieme di punti y del codominio


R tali che esiste almeno un elemento x nel dominio tale che sia y = f (x). In simboli:

Im(f ) = {y ∈ R / ∃x ∈ A tale che y = f (x)}

L’elemento y tale che y = f (x) è detto immagine di x mediante f e l’elemento x ∈ A


tale che y = f (x) è detto controimmagine di y mediante f .

48
In altre parole, l’immagine di f è l’insieme dei punti del codominio che hanno almeno
una controimmagine in A, o, intuitivamente, l’insieme di punti del codominio che ven-
gono “colpiti“ da punti del dominio tramite la funzione f .

L’immagine di una funzione puo’ coincidere col suo codominio, R, oppure essere un
sottoinsieme strettamente contenuto in R. Quando l’immagine coincide col codominio
si ha una funzione suriettiva. Si ha quindi la seguente definizione:

Definizione 103 Una funzione f : A ⊂ Rn → R si dice suriettiva se Im(f ) = R,


cioè se:
∀y ∈ R ∃x ∈ A tale che y = f (x)

Osservazione 104 Nell’Ambrosetti e Musu (pag. 80), l’immagine e il codominio di


una funzione coincidono per definizione (coerentemente con tale definizione ogni funzio-
ne sarebbe suriettiva). Tuttavia, di solito immagine e codominio vengono considerati
come insiemi distinti (possibilmente, ma non necessariamente, coincidenti) e quindi noi
ci adeguiamo all’uso prevalente.

Vediamo alcuni esempi per calcolare l’immagine di una funzione e studiarne la suriet-
tività .

Esempi 105 Trovare l’immagine di f e dire se è suriettiva o no:

1) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = x2 .
0 ( R (dove, con R0 si intende: R0 = {x ∈ R/x ≥ 0}).
L’immagine di f è Im(f ) = R+ + +

Quindi f non è suriettiva.


Intuitivamente, non ogni elemento di R ha una controimmagine, infatti tutti gli elemen-
ti y ∈ R, y < 0 non posseggono controimmagine in R: non esiste alcun numero reale il
cui quadrato sia un numero negativo. Lo stesso vale per ogni funzione y = f (x) = xn ,
con n pari.
Notare che invece il numero 0 ∈ Im(f ): qual è la sua controimmagine?

49
2) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = x3 .
L’immagine di f è Im(f ) = R = R, quindi f è suriettiva.
Infatti, preso un qualsiasi elemento y ∈ R, y ha una controimmagine in R: la sua
controimmagine è quel numero il cui cubo è y stesso, cioè la controimmagine di y è

x = 3 y.
Lo stesso vale per ogni funzione y = f (x) = xn , con n dispari, e in tal caso, la contro-

immagine di y è x = n y.

3) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = −9.
L’immagine di f è Im(f ) = {−9} ( R, quindi f non è suriettiva. Infatti, preso un
qualsiasi elemento y ̸= −9, @ x ∈ R/f (x) = y.

4) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = sin x.
L’immagine di f è Im(f ) = [−1, 1] ( R, quindi f non è suriettiva. Lo stesso vale per
la funzione y = f (x) = cos x.

5) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = |x|.
0 ( R, quindi f non è suriettiva.
L’immagine di f è Im(f ) = R+

6) f : A ⊂ R → R, A = R\{0}, f (x) = x1 .
L’immagine di f è Im(f ) = R\{0} ( R, quindi f non è suriettiva.

√ 1
7) f : A ⊂ R → R, A = R+
0 , f (x) = x = x2 .
0 ( R, quindi f non è suriettiva.
L’immagine di f è Im(f ) = R+

Una caratteristica delle funzioni ancora piu’ importante della suriettività è l’iniettivi-
ta’. Intuitivamente, una funzione è iniettiva se ogni elemento dell’immagine di f ha
una sola controimmagine e non piu’ d’una (sappiamo già dalla definizione 102 che ogni
elemento dell’immagine di f ha almeno una controimmagine: se vale l’inieittività ogni
elemento di Im(f ) ha una e una sola controimmagine). In altre parole, se elementi
diversi del dominio vanno in punti diversi dell’immagine.

50
Definizione 106 Data una funzione f : A ⊂ Rn → R la funzione si dice iniettiva se

x ̸= y ⇒ f (x) ̸= f (y) ∀ x, y ∈ A.

Si ha il seguente lemma, che caratterizza le funzioni iniettive:

Lemma 107 Data una funzione f : A ⊂ Rn → R, f è iniettiva se e solo se

f (x) = f (y) ⇒ x = y ∀ x, y ∈ A.

Dimostrazione
Dim. di (⇒).
f è iniettiva ⇒ (∀ x, y ∈ A t.c. f (x) = f (y) ⇒ x = y).
Supponiamo per assurdo che la tesi da dimostrare non sia vera. Allora, esistono
due elementi x, y ∈ A tali che f (x) = f (y) e x ̸= y. Quindi, non è vero che
∀ x, y ∈ A, x ̸= y ⇒ f (x) ̸= f (y), quindi f non è iniettiva, ma questo è as-
surdo (f è iniettiva per ipotesi).
Dim. di (⇐).
(∀ x, y ∈ A t.c. f (x) = f (y) ⇒ x = y) ⇒ f è iniettiva.
Di nuovo, lo dimostriamo per assurdo. Supponiamo che f non sia iniettiva. Allora,
negando la Definizione 106, si ha che ∃ x, y ∈ A, x ̸= y tali che f (x) = f (y). Ma
per ipotesi, due elementi con la stessa immagine devono coincidere, cioè x = y, quindi
siamo arrivati a un assurdo.

Osservazione 108 In molti testi, il Lemma 107 viene dato come definizione di iniet-
tività di una funzione.

Definizione 109 Una funzione f : A ⊂ Rn → R si dice biiettiva se è sia iniettiva sia


suriettiva.

51
Ovviamente, se una funzione è biiettiva, ogni elemento y ∈ R ha un’unica controim-
magine nel dominio di f , cioè ∀y0 ∈ R, ∃x0 ∈ A t.c. y0 = f (x0 ).

Osservazione 110 Per funzioni reali di variabile reale esistono utili relazioni tra
la suriettività , l’iniettività o la biiettività di una funzione e il suo grafico. Sia
f : A ⊂ R → R una funzione e sia Graf (f ) il suo grafico.
Se f è suriettiva, ogni retta (orizzontale) del tipo y = k, con k ∈ R, incontra Graf (f )
in almeno un punto x0 (e in tal caso si ha f (x0 ) = k).
Se f è iniettiva, ogni retta (orizzontale) del tipo y = k, con k ∈ R, incontra Graf (f )
in non piu’ di un punto. Se, inoltre, k ∈ Im(f ), la retta y = k incontra il grafico di f
in uno e un solo punto x0 (tale che k = f (x0 )).
Se f è biiettiva, ogni retta (orizzontale) del tipo y = k, con k ∈ R, incontra Graf (f )
in uno e un solo punto (tale che k = f (x0 )).

Esempi 111 Stabilire se le funzioni negli esempi 105 sono iniettive e biiettive, giusti-
ficando.

1) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = x2 .
Ogni elemento di Im(f ) ha due controimmagini (tranne 0, perche’ ?). Infatti, da-
√ √
to y ∈ R+ 0 , sia il punto − y sia il punto y hanno y come immagine (infatti,
√ 2 √ 2
(− y) = |y| = y, e ( y) = |y| = y).
√ √
Alternativamente, dati x1 = − y e x2 = y, si ha x1 ̸= x2 (se y ̸= 0), ma
f (x1 ) = f (x2 ) = y.
Quindi, f non è iniettiva e non è biiettiva.
La stessa conclusione vale per ogni funzione y = f (x) = xn , con n pari (dimostrazione
analoga).

2) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = x3 .

Ogni elemento y ∈ R ha una sola controimmagine in R, pari a x = 3 y.

Quindi, f è iniettiva. E’ inoltre biiettiva.


Lo stesso vale per ogni funzione y = f (x) = xn , con n dispari.

52
3) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = −9.
Tutti i punti x ∈ R hanno la stessa immagine, f (x) = −9, ∀x ∈ R: elementi diversi
del dominio hanno la stessa immagine nel codominio.
Quindi, f non è iniettiva e non è biiettiva.

4) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = sin x.
E’ facile verificare che elementi diversi del dominio hanno la stessa immagine. Con-
sideriamo, per esempio, x = 0, y = π. Si ha x ̸= y, ma f (x) = f (0) = sin 0 = 0 e
f (y) = f (π) = sin π = 0, cioè f (x) = f (y).
Quindi, f non è iniettiva e non è biiettiva.
Lo stesso vale per la funzione y = f (x) = cos x (per esercizio, trovare due punti x e y
di R tali che si abbia x ̸= y e f (x) = f (y)).

5) f : A ⊂ R → R, A = R, f (x) = |x|.
Come nell’esempio 1), anche qui elementi diversi del dominio vanno nello stesso ele-
mento del codominio, e anche qui ogni elemento dell’immagine ha due controimmagini
(tranne 0, che ne ha una sola, quale?). Infatti, preso un qualsiasi y ∈ R+
0 , sia x = y

sia x = −y hanno y come controimmagine.


Quindi, f non è iniettiva e non è biiettiva.

6) f : A ⊂ R → R, A = R\{0}, f (x) = x1 .
Ogni elemento y ∈ R\{0} = Im(f ) ha un’unica controimmagine in A. Infatti, dato
y ̸= 0, la sua controimmagine è x = y1 .
E’ possibile inoltre dimostrare che elementi diversi del dominio vanno in elementi di-
versi del codominio. Infatti, siano x1 , x2 ∈ A, x1 ̸= x2 . Si ha: f (x1 ) = 1
x1
̸= 1
x2
= f (x2 ).
Alternativamente, è possibile dimostrare che se due elementi hanno la stessa imma-
gine in Im(f ), allora i due elementi devono coincidere in A. Infatti, siano x1 , x2 ∈
1 1
A t.c. f (x1 ) = f (x2 ), cioè x1
= x2
. Allora, moltiplicando entrambi i termini per
x1 x2 , si ha: x1 = x2 .
Quindi, f è iniettiva. Tuttavia non è biiettiva, in quanto non è suriettiva.

√ 1
7) f : A ⊂ R → R, A = R+
0 , f (x) = x = x2 .

53
Presi due elementi diversi del dominio di f , essi hanno immagini diverse. Infatti, siano
√ √
siano x1 , x2 ∈ R+
0 , x1 ̸= x2 . Le loro immagini sono f (x1 ) = x1 ̸= x2 = f (x2 ).
Quindi f è iniettiva. Tuttavia non è biiettiva, in quanto non è suriettiva.

2.3 Funzioni pari e dispari, funzioni periodiche

Definizione 112 Una funzione f : A ⊂ Rn → R si dice pari se f (−x) = f (x) per


ogni x ∈ A, mentre si dice dispari se f (−x) = −f (x) per ogni x ∈ A.

E’ facile verificare che una funzione pari ha il grafico simmetrico rispetto all’asse delle
ordinate, e una funzione dispari ha il grafico simmetrico rispetto all’origine. Ovvia-
mente, una funzione puo’ essere pari, dispari oppure nè pari nè dispari.

Definizione 113 Una funzione f : A ⊂ R → R si dice periodica (di periodo p ̸= 0)


se f (x + kp) = f (x) ∀k ∈ Z.

Esempi fondamentali di funzioni che hanno una certa parità o periodicità , tra le fun-
zioni reali di variabile reale, sono i seguenti:

Esempi 114 La funzione f : R → R, f (x) = xn per n pari è pari. La funzione


f : R → R, f (x) = xn per n dispari è dispari. Vedere Ambrosetti e Musu, pagg. 101–
102.
Le funzioni trigonometriche f (x) = sin x e f (x) = cos x sono periodiche di periodo
p = 2π. Infatti: sin(x + k2π) = sin(x) ∀k ∈ Z e cos(x + k2π) = cos(x) ∀k ∈ Z.
Inoltre, f (x) = sin x è una funzione dispari, in quanto sin(−x) = − sin x, e f (x) =
cos x è una funzione pari, in quanto cos(−x) = cos x. Si veda p.es. Ambrosetti e Musu
pagg. 104–106 per una dimostrazione.

54
Esempi 115 Dire se le seguenti funzioni f : R → R sono pari, dispari o nè pari nè
dispari:

1) f (x) = x2 + 1
Per vedere se f sia pari o dispari, si calcola f (−x) e si verifica se è uguale a f (x) (in
tal caso, la funzione è pari), a −f (x) (in tal caso, la funzione è dispari), oppure nè a
f (x) nè a −f (x) (in tal caso, la funzione non è nè pari nè dispari).
Si ha: f (−x) = (−x)2 + 1 = x2 + 1 = f (x), quindi la funzione è pari.

x3 −x
2) f (x) = x2 +1
(−x)3 −(−x) −x3 +x
si ha: f (−x) = (−x)2 +1
= x2 +1
= −f (x), quindi la funzione è dispari.

3) f (x) = sin x2
Si ha: f (−x) = sin(−x)2 = sin x2 = f (x), quindi la funzione è pari.

4) f (x) = sin x
Si ha: f (−x) = sin(−x) = − sin x = −f (x), quindi la funzione è dispari.

5) f (x) = cos 3x
Si ha: f (−x) = cos(3(−x)) = cos(−3x) = cos 3x = f (x), quindi la funzione è pari.

6) f (x) = x ln(cos x).


Si ha: f (−x) = −x ln(cos(−x)) = −x ln(cos x) = −f (x), quindi la funzione è dispari.

2x +2−x
7) f (x) = 3
.
−x −(−x) 2x +2−x
Si ha: f (−x) = 2 +23 = 3
= f (x), quindi la funzione è pari.
2x −2−x
Verificare che invece f (x) = 3
è dispari.

1−x
8) f (x) = ln 1+x = ln(1 − x) − ln(1 + x).
Si ha: f (−x) = ln 1−(−x)
1+(−x)
= ln 1+x
1−x
= ln(1 + x) − ln(1 − x) = −f (x), quindi la funzione
è dispari.

sin x
9) f (x) = x
.
sin(−x) − sin x sin x
Si ha: f (−x) = (−x)
= −x
= x
= f (x), quindi la funzione è pari.

55
sin x
10) f (x) = x−2
.
− sin x
Si ha: f (−x) = sin(−x)
(−x)−2
= −x−2
= sin x
x+2
. f (−x) non è nè pari a f (x) nè a −f (x), quindi
la funzione non è nè pari nè dispari.

3x −1
11) f (x) = 3x +1
.
−x 1
−1
Si ha: f (−x) = 33−x −1+1
= 3x
1
+1
= 1−3x
1+3x
= −f (x), quindi la funzione è dispari.
3x

x
12) f (x) = 2x −1
.
−x
Si ha: f (−x) = 2−x −1
. f (−x) non è nè pari a f (x) nè a −f (x), quindi la funzione non
è nè pari nè dispari.

2.4 Funzioni elementari

Alcune funzioni “elementari“ sono largamente discusse nell’Ambrosetti e Musu (vedi


pag. 96 e seguenti). Qui richiamiamo solo alcune caratteristiche fondamentali, si ri-
manda al libro di testo per uno studio approfondito, compreso il grafico di tali funzioni.

1) La funzione y = f (x) = xn con n ∈ N è detta funzione potenza. Il dominio è


Dom(f ) = R per ogni n, l’immagine cambia, a seconda che n sia pari o dispari. Tutte
le funzioni potenza hanno il grafico che passa dal punto (1,1), infatti 1n = 1.
n ∈ N pari.
L’immagine è Im(f ) = R+
0 . f non è iniettiva, nè suriettiva. Inoltre, f è una funzione

pari (vedi sopra, Esempi 114).


n ∈ N dispari.
L’immagine è Im(f ) = R. f è sia suriettiva sia iniettiva, quindi è biiettiva. Inoltre, f
è una funzione dispari (vedi sopra, Esempi 114).

1 √
2) y = f (x) = x n = n
x, con n ∈ N. Il grafico passa dal punto (1, 1). Dominio
e immagine cambiano, a seconda che n sia pari o dispari.
n ∈ N pari.
Il dominio è Dom(f ) = R+ +
0 , l’immagine è Im(f ) = R0 . f è iniettiva, e non è surietti-

va. Inoltre, f non è pari nè dispari.

56
n ∈ N dispari.
Il dominio è Dom(f ) = R, l’immagine è Im(f ) = R. f è iniettiva e suriettiva, quindi
è biiettiva. Inoltre, f è dispari.

3) f (x) = x−n = 1
xn
, con n ∈ N.
Valgono tutte le cose dette per xn , con esclusione del punto 0 dal dominio e dall’im-
magine (e con la differenza che non si ha suriettività per n dispari). Il dominio è
Dom(f ) = R\{0} per ogni n. Il grafico passa dal punto (1, 1).
n ∈ N pari.
L’immagine è Im(f ) = R+ . f non è iniettiva, nè suriettiva. Inoltre, f è una funzione
pari.
n ∈ N dispari.
L’immagine è Im(f ) = R\{0}. f è iniettiva, ma non è suriettiva (perchè 0 non appar-
tiene a Im(f )). Inoltre, f è una funzione dispari.

4)f (x) = x− n = ( x1 ) n = ( √
1 1
n x ), con n ∈ N.
1

1 √
Valgono tutte le cose dette per x n = n x, con esclusione del punto 0 dal dominio e
dall’immagine (e con la differenza che non si ha suriettività per n dispari). Il grafico
passa dal punto (1, 1).
n ∈ N pari.
Il dominio è Dom(f ) = R+ = {x > 0}. L’immagine è Im(f ) = R+ = {x > 0}. f è
iniettiva, e non è suriettiva. Inoltre, f non è pari nè dispari.
n ∈ N dispari.
Il dominio è Dom(f ) = R\{0} = {x ̸= 0}. L’immagine è Im(f ) = R\{0} = {x ̸= 0}.
f è iniettiva ma non è suriettiva. Inoltre, f è dispari.

5) y = f (x) = ax con a > 0, a ̸= 1. Si chiama funzione esponenziale.


Il dominio è Dom(f ) = R, l’immagine è Im(f ) = R+ = {y > 0}. f è iniettiva ma non
è suriettiva. Non è nè pari nè dispari. Il grafico passa dai punti (0, 1) e (1, a) (infatti,
a0 = 1 e a1 = a). L’andamento del grafico cambia a seconda che a sia maggiore o
minore di 1. Con a > 1 si ha un andamento “crescente” del grafico, con a < 1 si ha
un andamento “decrescente” (per una maggiore rigorosità nella definizione delle parole
crescente e decrescente, si rimanda alla sezione sulla differenziabilità ).

57
Esempio particolare e di fondamentale importanza di funzione esponenziale è quello in
cui la base a è il numero e (dove e = 2.718...).

6) y = f (x) = loga (x) con a > 0, a ̸= 1. Si chiama funzione logaritmo.


Il dominio è Dom(f ) = R+ = {x > 0}, l’immagine è Im(f ) = R. f è iniettiva e suriet-
tiva, quindi è biiettiva. Non è nè pari nè dispari. Il grafico passa dai punti (1, 0) e (a, 1)
(infatti, loga (1) = 0 e loga (a) = 1). L’andamento del grafico cambia a seconda che a
sia maggiore o minore di 1. Con a > 1 si ha un andamento “crescente” del grafico, con
a < 1 si ha un andamento “decrescente” (per una maggiore rigorosità nella definizione
delle parole crescente e decrescente, si rimanda alla sezione sulla differenziabilità ).
Esempio particolare e di fondamentale importanza di funzione logaritmo è quello in
cui la base a è il numero e (dove e = 2.718...). In tal caso, il loge (x) si denota anche
con ln x e viene detto “logaritmo naturale” di x. D’ora in poi, in tutti i casi in cui la
base del logaritmo non verrà indicata esplicitamente, si intenderà base e (anche se la
scrittura sarà del tipo lg x o log x).

7) y = f (x) = sin x e y = f (x) = cos x.


Per entrambe le funzioni, il dominio è Dom(f ) = R, l’immagine è Im(f ) = [−1, 1].
Sono funzioni periodiche di periodo 2π. Non sono nè iniettive nè suriettive. Il sin x è
una funzione dispari, il cos x è una funzione pari (vedere anche Esempi 114).

8) y = f (x) = |x|. Si chiama funzione valore assoluto (vedere anche appendice).


0 = {y ≥ 0}. f non è nè iniettiva
Il dominio è Dom(f ) = R, l’immagine è Im(f ) = R+
nè suriettiva. E’ una funzione pari.

2.5 Grafico di trasformazioni di funzioni

Data una certa funzione f : A ⊂ R → R e dato il suo grafico, è possibile, in alcuni


casi, ricavare il grafico di una trasformazione (o traslazione) di f , adottando opportune
regole, riportate qui di seguito e illustrate da un grafico.

58
1) Grafico di |f (x)|.
Si ribalta sopra l’asse delle ascisse la parte di grafico che sta sotto tale asse.

2) Grafico di f (|x|).
Si ribalta a sinistra dell’asse delle ordinate la parte di grafico che sta a destra di tale
asse (cancellando la parte di grafico che nella f originaria sta a sinistra dell’asse delle
ordinate, cioè la parte di grafico corrispondente a {x < 0}).

3) Grafico di f (x) + k, con k > 0.


Si trasla il grafico in alto di k. (Se k < 0 lo si trasla in basso).

4) Grafico di f (x − l), con l > 0.


Si trasla il grafico a destra di l. (Se l < 0 lo si trasla a sinistra).

5) Grafico di −f (x).
Si ribalta il grafico rispetto all’asse delle ascisse.

6) Grafico di f (−x).
Si ribalta il grafico rispetto all’asse delle ordinate.

59
Esempi 116 Disegnare i grafici delle seguenti funzioni:

1) y = f (x) = |1 + lg x| 2) y = f (x) = | lg(1 + x)|


3) y = f (x) = lg |x| 4) y = f (x) = |1 + lg x|
5) y = f (x) = 1
|x−2|
6) y = f (x) = lg(2x − 1)
7) y = f (x) = |e − 1|
x
8) y = f (x) = e−|x| + 1
9) y = f (x) = 4 − x4 10) y = f (x) = |x3 | + 2
√ √
11) y = f (x) = |x + 2| 12) y = f (x) = 1 − x + 1
13) y = f (x) = |x − 5| 14) y = f (x) = |x| + 3
15) y = f (x) = |x + 2| 16) y = f (x) = (x + 7)2
17) y = f (x) = (x − 1)2 18) y = f (x) = (x + 3)4
19) y = f (x) = 5x+1 20) y = f (x) = 5x + 1
√ √
21) y = f (x) = x + 1 22) y = f (x) = x + 1

60

23) y = f (x) = x−4 24) y = f (x) = lg 1 (x + 1)
3

2.6 Dominio di funzione

Ci sono sostanzialmente tre regole da seguire quando si deve calcolare il dominio di


una funzione f : A ⊂ Rn → R.

1. ogni denominatore di una frazione deve essere diverso da zero;

2. ogni radice di indice pari deve avere radicando non negativo;

3. ogni logaritmo deve avere argomento strettamente maggiore di zero.

Queste regole, nel caso di una funzione f : A ⊂ R → R si traducono come segue:

1. se x compare al denominatore di una frazione, occorre porre il denominatore


diverso da zero; es. f (x) = 1
x−6
⇒ x ̸= 6;

2. se x compare sotto il segno di una radice di indice pari, bisogna richiedere che il

radicando sia non negativo; es. f (x) = x + 2 ⇒ x ≥ −2;

3. se x compare nell’argomento di un logaritmo, bisogna porre l’argomento del lo-


garitmo maggiore strettamente di zero; es. f (x) = log(1 − x2 ) ⇒ 1 − x2 > 0 ⇒
−1 < x < 1.

Esempi 117 Data una funzione f : Dom(f ) ⊂ R → R, determinarne il dominio.



1) f (x) = ln x2 − 3
{
x2 − 3 ≥ 0 √ √
√ ⇒ x2 − 3 > 0 ⇒ Dom(f ) = {x < − 3} ∪ {x > 3}
x −3>0
2


x2 −3
√ √
2) f (x) = e ⇒ x2 − 3 ≥ 0 ⇒ Dom(f ) = {x ≤ − 3} ∪ {x ≥ 3}


3) f (x) = log x2 + 3 ⇒ x2 + 3 > 0 ⇒ Dom(f ) = R


4) f (x) = log 3
x2 + 5 ⇒ x2 + 5 > 0 ⇒ Dom(f ) = R

61

5) f (x) = ln(x2 − 3)
{ {
x2 − 3 > 0 x2 − 3 > 0
√ ⇒ ⇒ Dom(f ) = {x ≤ 2} ∪ {x ≥ 2}
ln( x2 − 3) ≥ 0 x2 − 3 ≥ 1

log( x2 −3)
6) f (x) = |x2 −4|



 2
−3≥0
 x
√ √ √
x2 − 3 > 0 ⇒ Dom(f ) = ((−∞, − 3) ∪ ( 3, +∞))\{−2, 2}


 x2 − 4 ̸= 0

7) f (x) = 1
x
+ 1
x−1
⇒ Dom(f ) = (−∞, 0) ∪ (0, 1) ∪ (1, +∞)


1
8) f (x) = x−1
{
x − 1 ̸= 0
⇒ Dom(f ) = {x > 1}
1
x−1
≥0

9)
 f (x) = x(x − 1)(x − 2)(x + 3)

 x≥0



 x−1≥0
⇒ Dom(f ) = {x ≤ −3} ∪ {0 ≤ x ≤ 1} ∪ {x ≥ 2}

 x−2≥0



 x+3≥0
√ √
10) f (x) = 1 − x2 − 4 ⇒ Dom(f ) = {x ≤ −2} ∪ {x ≥ 2}
3

11) f (x) = loga (logb (x)) con a > 0, b > 1


{ {
x>0 x>0
⇒ ⇒ Dom(f ) = {x > 1}
logb (x) > 0 x>1

Esempi 118 Data una funzione f : Dom(f ) ⊂ Rn → R, determinarne il dominio.

1) f (x1 , x2 ) = 1
1+x1 +x2
⇒ 1 + x1 + x2 ̸= 0 ⇒ Dom(f ) = {x ∈ R2 : x2 ̸= −1 − x1 }

2) f (x1 , x2 ) = 1
x1
+ 1
x2
⇒ x1 ̸= 0 e x2 ̸= 0 ⇒ Dom(f ) = {x ∈ R2 : x1 ̸= 0, x2 ̸= 0}

62
3) f (x) = 1
x1 +x2 +x3
⇒ x1 + x2 + x3 ̸= 0 ⇒ Dom(f ) = {x ∈ R3 : x3 ̸= −x1 − x2 }

4) f (x) = 1
x1 x2 x3
⇒ x1 ̸= 0 e x2 ̸= 0 e x3 ̸= 0 ⇒
Dom(f ) = {x ∈ R3 : x1 ̸= 0, x2 ̸= 0, x3 ̸= 0}


5) f (x) = ∥x∥2 − 1 con x ∈ R3
⇒ ∥x∥2 − 1 ≥ 0 ⇒ Dom(f ) = {x ∈ R3 : x21 + x22 + x23 ≥ 1}


6) f (x) = 1 − ∥x∥2 con x ∈ R3 ⇒ 1 − ∥x∥2 ≥ 0
⇒ Dom(f ) = {x ∈ R3 : x21 + x22 + x23 ≤ 1} = B1 (0) ∪ {x ∈ R3 : d(x, 0) = 1}


7) f (x) = ln( 1 − ∥x∥2 ) con x ∈ R3 ⇒ 1 − ∥x∥2 > 0
⇒ Dom(f ) = {x ∈ R3 : x21 + x22 + x23 < 1} = B1 (0)

x1 x22
8) f (x1 , x2 ) = x1 −ln x2
{ {
x2 > 0 x2 > 0
⇒ ⇒ Dom(f ) = {(x1 , x2 ) ∈ R2 : x2 > 0, x2 ̸= ex1 }
x1 − ln x2 ̸= 0 x2 ̸= e
x1

√  x2 + x2 ̸= 0
1 2
9) f (x1 , x2 ) = 1+ 4x1 x2

 x1 +4x2 1 x22+x2 ≥ 0
2 2
x21 +x22
x1 +x2
√ √
⇒ Dom(f ) = ({x1 ≤ −2x2 − 3|x2 |, } ∪ {x1 ≥ −2x2 + 3|x2 |})\{(0, 0)}


10) f (x, y) = xy(xy − 1) ⇒ xy(xy − 1) ≥ 0
{ {
xy ≥ 0 xy ≤ 0
o ⇒ xy ≥ 1 o xy ≤ 0
xy − 1 ≥ 0 xy − 1 ≤ 0

⇒ Dom(f ) = {y ≥ x1 , x > 0} ∪ {y ≤ x1 , x < 0} ∪ {y ≥ 0, x ≤ 0} ∪ {y ≤ 0, x ≥ 0}

2.7 Funzione composta

Definizione 119 Siano date due funzioni, g : B ⊂ R → R e f : A ⊂ R → R. Se


Im(g) ⊂ Dom(f ) = A, risulta definita una funzione su B a valori in R, detta funzione
composta di f e g, e indicata con f ◦ g, definita nel seguente modo:

(f ◦ g)(x) = f (g(x))

63
Si ha quindi:

f ◦ g : B ⊂ R → Im(g) ⊂ A ⊂ R → R

x → g(x) → f (g(x))

La funzione composta f ◦ g si legge “f composto g“.

E’ chiaro come la funzione composta sia definita su tutti gli elementi del dominio B
di g se e solo se tutti gli elementi dell’immagine di g appartengono al dominio A di f .
Infatti, se esiste un elemento x ∈ B la cui immagine g(x) ∈
/ A, tale elemento non ha
immagine in R tramite f (in quanto, in tal caso, non è possibile applicare la funzione
f a g(x)) e quindi c’è un elemento di B che non ha una immagine in R tramite f ◦ g,
contro la definizione stessa di funzione definita su B.
Viceversa, se tutti gli elementi di Im(g) appartengono al Dom(f ), ogni elemento x ∈ B
va a finire in un unico elemento g(x) ∈ Dom(f ) (per definizione di funzione, applicata
a g) e g(x) va a finire in un unico elemento f (g(x)) ∈ R (per definizione di funzione,
applicata a f ), e quindi ogni elemento x di B va a finire in un unico elemento f (g(x))
di R mediante f ◦ g, e quindi f ◦ g è una funzione.

Tuttavia, se risulta Im(g) * Dom(f ) (se cioè l’immagine di g risulta non contenu-
ta nel dominio di f ), f ◦ g puo’ essere definita su un dominio piu’ ristretto di B,
escludendo gli elementi di B la cui immagine mediante g va a finire fuori da Dom(f ).

Esempi 120 Date le funzioni f e g, trovarne dominio e immagine; scrivere f ◦ g e


g ◦ f e trovarne dominio e immagine.

1) f (x) = sin x, g(x) = 3
x
Dom(f ) = R, Dom(g) = R, Im(f ) = [−1, 1], Im(g) = R.

(f ◦ g)(x) = f (g(x)) = sin( 3 x).
Si ha: Dom(f ◦ g) = R = Dom(g) (infatti, Im(g) ⊂ Dom(f )). Im(f ◦ g) = [−1, 1].

(g ◦ f )(x) = g(f (x)) = 3 sin x.
Si ha: Dom(g ◦ f ) = R = Dom(f ) (infatti, Im(f ) ⊂ Dom(g)). Im(g ◦ f ) = [−1, 1].


2) f (x) = cos x, g(x) = x+2

64
Dom(f ) = R, Dom(g) = [−2, +∞), Im(f ) = [−1, 1], Im(g) = R+
0.

(f ◦ g)(x) = f (g(x)) = cos( x + 2).
Si ha: Dom(f ◦ g) = [−2, +∞) = Dom(g) (infatti, Im(g) ⊂ Dom(f )). Im(f ◦ g) =
[−1, 1].

(g ◦ f )(x) = g(f (x)) = cos x + 2.

Si ha: Dom(g ◦ f ) = R = Dom(f ) (infatti, Im(f ) ⊂ Dom(g)). Im(g ◦ f ) = [1, 3].

2.8 Funzione inversa

Per capire cosa è la funzione inversa, consideriamo un esempio molto semplice. Sia
A un insieme con due elementi: A = {a1 , a2 } e sia B un insieme con due elementi:
B = {b1 , b2 }. Sia f una funzione da A in B, f : A → B tale che f (a1 ) = b1 , f (a2 ) = b2 .
Cioè :
f :A→B
a1 → b1
a2 → b2
Consideriamo ora la relazione che associa ad ogni elemento di B la controimmagine (o
le controimmagini) in A mediante f , e la chiamiamo f −1 :

f −1 : B → A
b1 → a1
b2 → a2
La relazione f −1 è in realta’ una funzione, infatti associa ad ogni elemento di B uno
e un solo elemento di A. Osserviamo inoltre che f è una funzione iniettiva: infatti
elementi diversi di A vanno in elementi diversi di B. In questo caso, possiamo dire
che la funzione inversa esiste ed è la funzione f −1 : B → A, tale che f −1 (b1 ) = a1 e
f −1 (b2 ) = a2 .

Consideriamo ora un altro esempio, simile al precedente. Sia A un insieme con tre
elementi: A = {a1 , a2 , a3 } e sia B un insieme con due elementi: B = {b1 , b2 }. Sia f
una funzione da A in B, f : A → B tale che f (a1 ) = b1 , f (a2 ) = b2 , f (a3 ) = b2 . Cioè :

65
f :A→B
a1 → b1
a2 → b2
a3 → b2
Consideriamo ora la relazione che associa ad ogni elemento di B la controimmagine (o
le controimmagini) in A mediante f , e la chiamiamo f −1 :

f −1 : B → A
b1 → a1
b2 → {a2 , a3 }

Chiaramente, la relazione f −1 non è una funzione, in quanto all’elemento b2 ∈ B


associa due elementi a2 e a3 di A. Quindi, in questo caso, non esiste la funzione inversa
della funzione f . Osserviamo che la funzione f non è iniettiva, in quanto due elementi
diversi a2 e a3 vanno nello stesso elemento b2 di B. Osserviamo inoltre che è proprio
la mancanza di iniettivita’ della funzione f a impedirci di avere la funzione inversa (a
far si’ che la relazione inversa non sia una funzione). Come vedremo, l’iniettività della
funzione f è un requisito fondamentale (ed è anzi l’unico requisito) per l’esistenza della
funzione inversa. Infatti, data una funzione generica

f : X → f (X)

x→y

affinchè la relazione inversa


f −1 : f (X) → X

y→x

che associa ad ogni elemento dell’immagine di f la/e sua/e controimmagine/i sia una
funzione, essa deve associare ad ogni elemento di Im(f ) uno e un solo elemento di X,
cioè ogni elemento di Im(f ) deve avere una sola controimmagine, cioè f deve essere
iniettiva.

66
Definizione 121 Sia f : A ⊂ R → R una funzione. Se f è iniettiva, si dice che f è
invertibile in A, e si chiama funzione inversa di f la funzione f −1 che ad ogni
elemento y dell’immagine di f associa la sua controimmagine x ∈ A, cioè la funzione

f −1 : Im(f ) → A

cosi’ definita:
f −1 (y) = x ⇔ f (x) = y

Si ha inoltre:
(f ◦ f −1 )(x) = x

e
(f −1 ◦ f )(x) = x

cioè componendo una funzione con la sua inversa (e viceversa) si ottiene la funzione
identità I(x) = x, e si scrive anche

f ◦ f −1 = f −1 ◦ f = I

Esempi 122 Data la funzione f , dire se è iniettiva, se è invertibile, e, in caso affer-


mativo, trovare la funzione inversa. Quando la funzione inversa esiste, verificare che
(f ◦ f −1 )(x) = x e (f −1 ◦ f )(x) = x.

1) f : R → R, f (x) = 3
x
f è iniettiva e quindi è invertibile. Si ha: Im(f ) = R = Dom(f ).
Per trovare la funzione inversa si deve ricavare la variabile x come funzione della varia-

bile y. Da y = f (x) = 3 x si ricava x = y 3 (elevando al cubo). Quindi f −1 manda un
generico elemento y nella sua controimmagine x = y 3 , cioè f −1 (y) = y 3 , e vedendola
come funzione di x, si ha f −1 (x) = x3 .
La funzione inversa è : f −1 : R → R, f −1 (x) = x3 .

Si ha: (f −1 ◦ f )(x) = f −1 (f (x)) = (f (x))3 = ( 3 x)3 = x.

67
√ √
E si ha: (f ◦ f −1 )(x) = f (f −1 (x)) = f −1 (x) = x3 = x.
3 3

2) f : R → R, f (x) = x2 . Si ha Im(f ) = R+
0 e Dom(f ) = R.

f non è iniettiva (ogni elemento dell’immagine y ∈ R+0 ha due controimmagini nel


√ √
dominio R, pari a x e − x) e quindi non è invertibile.


0 → R0 , f (x) =
3) f : R+ +
x. Qui si ha Im(f ) = R+ +
0 e Dom(f ) = R0 .

f è iniettiva e quindi è invertibile.



Da y = f (x) = x si ricava x = y 2 (elevando al quadrato). Quindi f −1 manda un
generico elemento y nella sua controimmagine x = y 2 , cioè f −1 (y) = y 2 , e vedendola
come funzione di x, si ha f −1 (x) = x2 .
La funzione inversa è : f −1 : R+ 0 → R0 , f
+ −1
(x) = x2 .

Si ha: (f −1 ◦ f )(x) = f −1 (f (x)) = (f (x))2 = ( x)2 = |x| = x (perchè x ≥ 0).
√ √
E si ha: (f ◦ f −1 )(x) = f (f −1 (x)) = f −1 (x) = x2 = |x| = x.

4) f : R → R, f (x) = xn con n dispari.


f è iniettiva e quindi è invertibile. Si ha: Im(f ) = R = Dom(f ).
Per trovare la funzione inversa si deve ricavare la variabile x come funzione della varia-

bile y. Da y = f (x) = xn si ricava x = n y (estraendo la radice n-esima). Quindi f −1
√ √
manda un generico elemento y nella sua controimmagine x = n y, cioè f −1 (y) = n y,

e vedendola come funzione di x, si ha f −1 (x) = n x.

La funzione inversa è : f −1 : R → R, f −1 (x) = n x.
Per esercizio, verificare che (f ◦ f −1 )(x) = x e (f −1 ◦ f )(x) = x.

5) f : R → R+ , f (x) = ex .
f è iniettiva e quindi è invertibile. Si ha: Im(f ) = R+ , Dom(f ) = R.
Per trovare la funzione inversa si deve ricavare la variabile x come funzione della varia-
bile y. Da y = f (x) = ex si ricava x = ln y (applicando il logaritmo naturale a destra
e a sinistra). Quindi f −1 manda un generico elemento y nella sua controimmagine
x = ln y, cioè f −1 (y) = ln y, e vedendola come funzione di x, si ha f −1 (x) = ln x.
La funzione inversa è : f −1 : R+ → R, f −1 (x) = ln x.
Si ha: (f −1 ◦ f )(x) = f −1 (f (x)) = ln(f (x)) = ln(ex ) = x (osserviamo che ex > 0).
−1 (x)
E si ha: (f ◦ f −1 )(x) = f (f −1 (x)) = ef = eln x = x.

68
6) f : R+ → R, f (x) = ln x.
f è iniettiva e quindi è invertibile. Si ha: Im(f ) = R, Dom(f ) = R+ .
Per trovare la funzione inversa si deve ricavare la variabile x come funzione della va-
riabile y. Da y = f (x) = ln x si ricava x = ey (applicando l’esponenziale a destra e a
sinistra). Quindi f −1 manda un generico elemento y nella sua controimmagine x = ey ,
cioè f −1 (y) = ey , e vedendola come funzione di x, si ha f −1 (x) = ex .
La funzione inversa è : f −1 : R → R+ , f −1 (x) = ex .
Per esercizio, verificare che (f ◦ f −1 )(x) = x e (f −1 ◦ f )(x) = x.

69
PARTE 3 I LIMITI

3.1 I limiti: alcuni esempi introduttivi

Il concetto di limite nasce per formalizzare rigorosamente il concetto di “come si com-


porta una funzione vicino a un certo punto x0 ”. Vediamo alcuni esempi che aiutano a
capire che cos’è il limite di una funzione per x che tende a un punto, e rimandiamo a
dopo la formalizzazione rigorosa.

Esempio 123
sin x
Sia data la funzione y = f (x) = x
, Dom(f ) = R\{0}. Come si comporta f av-
vicinandosi al punto x0 = 0? E’ sempre possibile studiare il comportamento di f
nell’intorno di 0 andando a prendere valori sempre piu’ vicini a 0 e vedendo che valori
assume la funzione in tali punti.

x -1 -0.5 -0.2 -0.1 -0.01 -0.001 0.001 0.01 0.1 0.2 0.5 1
sin x
x
0.84 0.9588 0.993 0.998 0.99998 0.9999999 0.9999999 0.99998 0.998 0.993 0.9588 0.84

Andando avanti con i valori, si puo’ verificare che per valori di x “sempre piu’ vicini”
sin x
a x0 = 0 si hanno valori di f (x) = x
“sempre piu’ vicini” al valore l = 1.

sin x
In questo caso si dice che “il limite di x
per x che tende a 0 è 1”, e si scrive:
sin x
lim =1
x→0 x

Osserviamo che il punto verso il quale si fa il limite, x0 = 0, non appartiene al dominio


della funzione f , ma il limite della funzione per x che tende a tale punto esiste.

Esempio 124

Sia data la funzione


{
x x≤1
y = f (x) =
1 x>1

70
Dom(f ) = R. Come si comporta f avvicinandosi al punto x0 = 1? Studiamo il com-
portamento di f nell’intorno di 1 andando a prendere valori sempre piu’ vicini a 1 e
vedendo che valori assume la funzione in tali punti.

x 0.9 0.95 0.98 0.99 0.999 0.9999 1.0001 1.001 1.01 1.02 1.05 1.1
f (x) 0.9 0.95 0.98 0.99 0.999 0.9999 1 1 1 1 1 1

Andando avanti con i valori, si puo’ verificare che per valori di x “sempre piu’ vicini”
a x0 = 1 si hanno valori di f (x) “sempre piu’ vicini” al valore l = 1.

In questo caso si dice che “il limite di f (x) per x che tende a 1 è 1”, e si scrive:

lim f (x) = 1
x→1

Osserviamo che in questo caso il valore che la funzione assume nel punto 1 è f (1) = 1,
e quindi si ha che il valore del limite è uguale al valore della funzione.

Esempio 125

Sia data la funzione





 x x<1
y = f (x) = 2 x=1


 1 x>1

La funzione è quasi uguale al quella dell’esempio precedente, tranne per il fatto che
nel punto x = 1 la funzione “salta” al valore 2 (si ha infatti f (1) = 2). Andando a
studiare per valori il comportamento di f nell’intorno di x0 = 1, si costruisce la stessa
tabellina di valori di prima (perchè la funzione a sinistra e a destra di 1 è identica a
quella dell’esempio precedente), e quindi da li’ si deduce che anche in questo caso si ha

lim f (x) = 1
x→1

71
Osserviamo che stavolta il valore che la funzione assume nel punto 1 è f (1) = 2, e
quindi si ha che stavolta il valore del limite non è uguale al valore della funzione.

Finora ci si è avvicinati al punto in questione sia da destra sia da sinistra. Supponiamo


ora di avvicinarci solo da destra o solo da sinistra.

Esempio 126

Consideriamo la funzione:
1
y = f (x) =
x−2
Si ha: Dom(f ) = R\{2}. Andiamo a vedere cosa accade per valori prossimi a x0 = 2
da destra. “Avvicinarci al punto x0 = 2 da destra” vuol dire avvicinarsi considerando
valori x > 2.

x 2.0001 2.001 2.01 2.05 2.1 2.2 2.5


f (x) 10000 1000 100 20 10 5 2

Per valori “sempre piu’ vicini” a 2 da destra la funzione assume valori “sempre più
grandi”. In questo caso si dice che “la funzione f tende a piu’ infinito” per x che tende
a 2 da destra e si scrive:
lim f (x) = +∞
x→2+

Vediamo cosa accade per valori prossimi a x0 = 2 da sinistra. “Avvicinarci al punto


x0 = 2 da sinistra” vuol dire avvicinarsi considerando valori x < 2.

x 1.5 1.8 1.9 1.95 1.99 1.999 1.9999


f (x) -2 -5 -10 -20 -100 -1000 -10000

Per valori “sempre piu’ vicini” a 2 da sinistra la funzione assume “valori negativi sempre
più grandi in valore assoluto”. In questo caso si dice che “la funzione f tende a meno

72
infinito” per x che tende a 2 da sinistra e si scrive:

lim f (x) = −∞
x→2−

Osserviamo che
lim f (x) ̸= lim− f (x)
x→2+ x→2

cioè limite destro e sinistro esistono, ma sono diversi tra loro. In questo caso, vedremo
che il limite di f (x) per x che tende a 2 non esiste, in quanto i limiti destro e sinistro
sono diversi tra loro (e diremo quindi che non esiste il limite “globale” o “bilaterale”).

Sempre in questo esempio, cosa succede se come x0 consideriamo +∞? Vuol dire con-
siderare valori molto grandi di x. Si ha la seguente tabellina di valori:

x 100 1000 10000 100000 1000000


f (x) 0.0102 0.001002 0.0001 0.00001 0.000001

Per valori “sempre piu’ grandi” di x la funzione assume valori “sempre piu’ vicini a 0”.
Si dice che “la funzione tende a 0 per x che tende a piu’ infinito” e si scrive:

lim f (x) = 0
x→+∞

Osserviamo inoltre che la funzione assume valori prossimi a 0 ma sempre strettamente


positivi, cioè f si avvicina a 0 “da sopra”, e si puo’ anche scrivere:

lim f (x) = 0+
x→+∞

(0+ significa prossimo a 0 e strettamente > 0).

Cosa succede se come x0 consideriamo −∞? Vuol dire considerare valori di x negativi
e molto grandi in valore assoluto. Si ha la seguente tabellina di valori:

73
x -100 -1000 -10000 -100000 -1000000
f (x) -0.0098 -0.000998 -0.0001 -0.00001 -0.000001

Per valori di x “minori di 0 e sempre piu’ grandi in valore assoluto”, la funzione assume
valori “sempre piu’ vicini a 0”. Si dice che “la funzione tende a 0 per x che tende a
meno infinito” e si scrive:
lim f (x) = 0
x→−∞

Osserviamo inoltre che la funzione assume valori prossimi a 0 ma sempre strettamente


negativi, cioè f si avvicina a 0 “da sotto”, e si puo’ anche scrivere:

lim f (x) = 0−
x→−∞

(0− significa prossimo a 0 e strettamente < 0).

Esempio 127

Consideriamo di nuovo la funzione dell’esempio 125





 x x<1
y = f (x) = 2 x=1


 1 x>1

“Avvicinarci al punto x0 = 1 da destra” vuol dire avvicinarsi considerando valori


x > 1. La tabellina dei valori è :

x 1.0001 1.001 1.01 1.02 1.05 1.1


f (x) 1 1 1 1 1 1

Per valori (strettamente) maggiori di x0 = 1 e sempre piu’ vicini a 1 da destra, la


funzione assume valori sempre piu’ vicini a 1 (anzi, coincidenti con 1). Si dice che “il

74
limite di f per x che tende a 1 da destra è 1” e si scrive:

lim f (x) = 1
x→1+

Si dice anche che il “limite destro” di f per x che tende a 1 è 1.

Analogamente, “avvicinarci al punto x0 = 1 da sinistra” vuol dire avvicinarsi con-


siderando valori x < 1. La tabellina dei valori è :

x 0.9 0.95 0.98 0.99 0.999 0.9999


f (x) 0.9 0.95 0.98 0.99 0.999 0.9999

Per valori (strettamente) minori di x0 = 1 e sempre piu’ vicini a 1 da sinistra, la


funzione assume valori sempre piu’ vicini a 1. Si dice che “il limite di f per x che tende
a 1 da sinistra è 1” e si scrive:
lim f (x) = 1
x→1−

Si dice anche che il “limite sinistro” di f per x che tende a 1 è 1.

Poichè in questo esempio si ha:

lim f (x) = lim+ f (x) = 1


x→1− x→1

si puo’ dimostrare (vedi teorema 5) che il limite esiste e coincide col valore comune di
limite destro e limite sinistro, cioè

lim f (x) = lim− f (x) = lim+ f (x) = 1


x→1 x→1 x→1

In generale, la scrittura
lim f (x) = L
x→x0

significa che avvicinandosi a x0 sia da destra sia da sinistra la funzione si avvicina


sempre di piu’ a L, cioè
lim f (x) = lim− f (x) = L.
x→x+
0 x→x0

75
3.2 Prime definizioni di limite

Come formalizziamo le espressioni usate negli esempi del tipo “per valori sempre piu’
vicini a...”, “la funzione si avvicina sempre piu’ a...”, “la funzione tende a...”? Si for-
malizzano con il concetto di limite.

Consideriamo una funzione f : R → R (come vedremo, il concetto di limite si puo’ ge-


neralizzare a funzioni definite su Rn , ma lo faremo dopo), e consideriamo il suo grafico.
Vediamo dal grafico che per valori “sempre piu’ vicini” a x0 la funzione assume valori
“sempre piu’ vicini” a L. Detto in altri termini, si è in grado di avvicinarsi “quanto si
vuole” al valore L avvicinandosi “abbastanza” a x0 , cioè se si prende un intorno I(L)
di L si è in grado di trovare un intorno U (x0 ) di x0 tale che tutti i punti dell’intorno
di x0 , escluso x0 , vanno a finire tramite f in punti dell’intorno di L scelto. Se questa
proprietà vale per qualsiasi intorno I(L) di L scelto, allora si ha che il limite di f (x)
per x che tende a x0 è L.

Definizione 128 (definizione con gli intorni)


Sia f : A ⊂ R → R, A aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A, e sia L ∈ R. Si ha:

lim f (x) = L
x→x0

se per ogni intorno I(L) di L esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che ∀x ∈ U (x0 )∩A, x ̸=
x0 , si ha: f (x) ∈ I(L).

La scrittura limx→x0 f (x) = L si legge “il limite di f (x) per x che tende a x0 è L”.

Come si esplicita la nozione di intorno di L e x0 ? Siccome L ∈ R (l’estensione al caso


L = ±∞ verrà analizzata piu’ avanti), un intorno di L è semplicemente un intervallo
del tipo: I(L) = (L − ϵ, L + ϵ). Stessa cosa vale per x0 : un intorno di x0 è un intervallo

76
del tipo U (x0 ) = (x0 − δ, x0 + δ). Quindi, considerando che dare un intorno di un punto
significa dare un raggio dell’intorno (ogni intorno di un certo punto è identificato in
modo univoco dal suo raggio), la definizione data con gli intorni si puo’ riscrivere nel
seguente modo:

∀I(L) diventa ∀ϵ > 0


∃U (x0 ) diventa ∃δ > 0
∀x ∈ U (x0 ) ∩ A, x ̸= x0 diventa ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A, x ̸= x0
f (x) ∈ I(L) diventa f (x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ).

Osserviamo che l’appartenenza di x a un intorno di x0 e l’appartenenza di f (x) a un in-


torno di L si possono riscrivere in termini di distanza di x da x0 e di f (x) da L. Quindi:

∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A, x ̸= x0 diventa ∀x ∈ A, 0 < |x − x0 | < δ


f (x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ) diventa |f (x) − L| < ϵ.

Si ottiene quindi la definizione “ϵ − δ“ di limite:

Definizione 129 (definizione “ϵ − δ“)


Sia f : A ⊂ R → R, A aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A, e sia l ∈ R. Si ha:

lim f (x) = L
x→x0

se ∀ϵ > 0 ∃δϵ > 0 t.c. ∀x ∈ A 0 < |x − x0 | < δϵ ⇒ |f (x) − L| < ϵ.

In sostanza, si sta dicendo che dato un raggio arbitrariamente piccolo ϵ > 0, e quin-
di un intorno arbitrariamente piccolo di L, si puo’ trovare un raggio sufficientemente
piccolo δϵ > 0, e quindi un intorno sufficientemente piccolo di x0 , tale che tutti i punti
x che cadono nell’intorno (x0 − δϵ , x0 + δϵ ) di x0 , tolto il punto x0 stesso, andranno in
punti f (x) che distano meno di ϵ da L, cioè andranno in punti f (x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ).
L’intorno di x0 trovato dipende ovviamente dalla scelta dell’intorno di L, e questo si
esplicita scrivendo δϵ (che significa “δ dipende da ϵ“), con un raggio δ > 0 tanto piu’
piccolo quanto piu’ piccolo si sceglie il raggio ϵ. Per brevità di notazione, nel seguito
ometteremo il pedice ϵ al raggio δ e al posto di δϵ > 0 scriveremo semplicemente δ > 0.

77
Osservazione 130 (importante)
Sia data una funzione f : R → R e sia

lim f (x) = L.
x→x0

Se dato un certo raggio ϵ0 > 0 si ha che δ0 > 0 è un raggio tale che

x ∈ (x0 − δ0 , x0 + δ0 ), x ̸= x0 ⇒ |f (x) − L| < ϵ

allora anche per qualsiasi raggio 0 < δ ≤ δ0 si ha

x ∈ (x0 − δ, x0 + δ), x ̸= x0 ⇒ |f (x) − L| < ϵ

Infatti, se x appartiene all’intorno (x0 − δ, x0 + δ), allora appartiene anche all’intorno


(x0 − δ0 , x0 + δ0 ), poichè (x0 − δ, x0 + δ) ⊂ (x0 − δ0 , x0 + δ0 ).

Questa osservazione molto importante sarà usata diverse volte nel corso delle dimo-
strazioni dei teoremi sui limiti.

3.3 Limite destro e limite sinistro, limite globale (o bilaterale)

A volte non esiste il limite di una funzione per x che tende a un certo punto x0 , ma
puo’ esistere il limite destro o il limite sinistro (vedere esempio 126, nel caso di x0 = 2).

Definizione 131 Sia f : A ⊂ R → R. Si dice che f ha limite L per x che tende a x0


da destra e si scrive:
lim f (x) = L
x→x+
0

se ∀ϵ > 0 ∃δ > 0 t.c ∀x ∈ (x0 , x0 + δ) ∩ A ⇒ f (x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ).

Si dice anche che il limite destro di f per x che tende a x0 è L.

Analogamente, si puo’ definire il limite sinistro di una funzione:

Definizione 132 Sia f : A ⊂ R → R. Si dice che f ha limite L per x che tende a x0


da sinistra e si scrive:
lim f (x) = L
x→x−
0

78
se ∀ϵ > 0 ∃δ > 0 t.c ∀x ∈ (x0 − δ, x0 ) ∩ A ⇒ f (x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ).

Si dice anche che il limite sinistro di f per x che tende a x0 è L.

Esiste un teorema che dice che se f ammette limite destro e sinistro in un punto e
i due limiti coincidono, allora esiste il limite in tale punto ed è pari al valore comune
di limite destro e sinistro (e vale anche il viceversa).

Teorema 5 Sia f : A ⊂ R → R, A aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A. Si ha

lim f (x) = lim+ f (x) = L


x→x−
0 x→x0

se e solo se
lim f (x) = L.
x→x0

Dimostrazione
Dimostriamo il teorema per L ∈ R, è possibile estendere il risultato anche per L = ±∞.
Dim. di (⇒).
Bisogna dimostrare che se limx→x−0 f (x) = limx→x+0 f (x) = L allora limx→x0 f (x) = L.
Poichè limx→x+0 f (x) = L, dato un ϵ > 0 arbitrario, è possibile trovare un δ1 > 0 tale
che ∀x ∈ (x0 , x0 + δ1 ) ∩ A si abbia: |f (x) − L| < ϵ.
Poichè limx→x−0 f (x) = L, dato lo stesso ϵ > 0 considerato prima, è possibile trovare
un δ2 > 0 tale che ∀x ∈ (x0 − δ2 , x0 ) ∩ A si abbia: |f (x) − L| < ϵ.
Sia δ = min(δ1 , δ2 ). Allora si ha (vedi osservazione 130):

∀x ∈ (x0 , x0 + δ) ∩ A ⇒ |f (x) − L| < ϵ

e
∀x ∈ (x0 − δ, x0 ) ∩ A ⇒ |f (x) − L| < ϵ

cioè
∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A, x ̸= x0 , ⇒ |f (x) − L| < ϵ

Quindi,
lim f (x) = L.
x→x0

79
Dim. di (⇐).
Bisogna dimostrare che se limx→x0 f (x) = L allora limx→x−0 f (x) = limx→x+0 f (x) = L.
Poichè limx→x0 f (x) = L, dato ϵ > 0 arbitrario, esiste δ > 0 tale che ∀x ∈ (x0 − δ, x0 +
δ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ |f (x) − L| < ϵ. Ma quindi, dato ϵ > 0 arbitrario, esiste δ > 0 tale che
∀x ∈ (x0 , x0 + δ) ∩ A ⇒ |f (x) − L| < ϵ, cioè limx→x+0 f (x) = L. E dato ϵ > 0 arbitrario,
esiste δ > 0 tale che ∀x ∈ (x0 − δ, x0 ) ∩ A ⇒ |f (x) − L| < ϵ, cioè limx→x−0 f (x) = L.

Per distinguere il limite per x che tende a x0 dai limiti destro e sinistro, si parlerà
di limite globale o bilaterale quando entrambi i limiti destro e sinistro esistono e
coincidono.

Osservazione 133

Abbiamo visto che il punto x0 verso cui si puo’ fare il limite deve appartenere a A ∪ ∂A.
Poichè il dominio della funzione è A, con A aperto, si deduce che il limite si puo’ fare
anche verso punti in cui la funzione f non è definita (tali sono tutti i punti della
frontiera di A). Un esempio visto è l’esempio 126, per x0 = 2. La cosa importante nel
fare il limite è che ci si possa avvicinare a x0 quanto si vuole con punti del dominio di
f , cioè con intorni sempre piu’ piccoli di x0 che contengano punti di Dom(f ), e questo,
siccome A è aperto, si puo’ fare sia con punti interni di A sia con punti di frontiera di
A. Piu’ avanti vedremo come definire i limiti anche per funzioni definite su insiemi A
non necessariamente aperti: in tal caso, il requisito tecnico x0 ∈ A ∪ ∂A non sarà piu’
sufficiente.

Osservazione 134

Nei punti x0 ∈ A, con A aperto, che sono quindi punti interni ad A, il limite esiste
se esiste il limite globale (è infatti possibile avvicinarsi sia da destra sia da sinistra).
Tuttavia se x0 ∈ ∂A, il limite da destra o da sinistra potrebbe non esistere perchè
potrebbe non essere possibile costruire intorni destri o sinistri di x0 con punti del
Dom(f ). Per esempio, data f : (1, 2) → R, se x0 = 1 il limite sinistro non puo’
esistere, in quanto tutti i punti a sinistra di 1 non stanno nel dominio di f (cioè ogni
intorno sinistro di 1 ha intersezione vuota con A = Dom(f )), e non puo’ che esserci

80
(se esiste) il limite per x che tende a 1 da destra. Analogamente, se x0 = 2 il limite
destro non puo’ esistere, in quanto tutti i punti a destra di 2 non stanno nel dominio
di f (ogni intorno destro di 2 ha intersezione vuota con A = Dom(f )) e non puo’ che
esserci (se esiste) il limite per x che tende a 2 da sinistra. Pertanto, in casi particolari
come questo si dice che il limite esiste se esiste il limite destro (per x0 = 1) oppure il
limite sinistro (per x0 = 2).

3.4 Retta reale estesa

Finora quando si sono date le definizioni di limite, si è sempre implicitamente supposto


l ∈ R e x0 ∈ R . In realtà , il valore del limite puo’ essere ±∞ e si parla anche di limite
per x che tende a ±∞ (vedi esempio 126). E’ quindi necessario considerare un nuovo
spazio, definito “retta reale estesa”, che include oltre ai reali, anche gli elementi ±∞,
ed è necessario considerarne le regole di calcolo e la topologia (in termini di intorni).

Definizione 135 Si chiama “retta reale estesa” e si indica con R l’insieme dei numeri
reali e di −∞ e di +∞:
R := R ∪ {−∞, +∞}

3.4.1 Regole di calcolo

Si hanno le seguenti regole di calcolo con ±∞ (per i numeri reali valgono le solite
regole):

1. somma con un numero reale: ∀a ∈ R ⇒ a + ∞ = +∞, a − ∞ = −∞

2. somma tra infiniti dello stesso segno: +∞ + ∞ = +∞, −∞ − ∞ = −∞

3. prodotto con un numero reale diverso da 0: ∀a ̸= 0 ⇒


se a > 0 a · (+∞) = +∞, a · (−∞) = −∞,
se a < 0 a · (+∞) = −∞, a · (−∞) = +∞
4. prodotto tra infiniti:
(+∞) · (+∞) = (−∞) · (−∞) = +∞
(+∞) · (−∞) = (−∞) · (+∞) = −∞

5. quoziente: ∀a ∈ R ⇒ a
+∞
= a
−∞
=0

81
 di numero reale (con base > 0): ∀a > 0 ⇒
6. potenza

 a+∞ = +∞ se a > 1



 a+∞ = 0

se a < 1
a =

 a−∞ = 0 se a > 1



 a−∞ = +∞ se a < 1

7. potenza tra infiniti (con base > 0):


{
(+∞)+∞ = +∞
(+∞)∞ =
(+∞)−∞ = 0

3.4.2 Intorni di infinito

Definizione 136 Un intorno di +∞ è una semiretta del tipo (K, +∞), con K ∈ R.
Un intorno di −∞ è una semiretta del tipo (−∞, K), con K ∈ R.

Osservazione 137 Osserviamo che non solo le semirette del tipo descritto nella defi-
nizione 136 sono intorni di ±∞, ma anche la retta reale R è un intorno sia di +∞
sia di −∞.

Osservazione 138

Siccome in entrambe le definizioni K ∈ R, e siccome la scelta di K dà la misura del


“raggio” dell’intorno di infinito, è lecito aspettarsi che un intorno “stretto” di +∞ sia
dato da un K molto grande e positivo. Analogamente, ci si aspetta che un intorno
“stretto” di −∞ sia dato da un K molto grande (in valore assoluto) e negativo. Per
questo motivo, da questo momento in poi, per intorno di +∞ considereremo una semi-
retta del tipo (K, +∞), con K > 0 molto grande, e per intorno di −∞ considereremo
una semiretta del tipo (−∞, −K), con K > 0 molto grande (è equivalente a considera-
re un raggio ϵ o δ molto piccolo per dare l’idea di intorno di l o di x0 “stretto” attorno
al centro).

3.5 Definizione di limite considerando gli infiniti

Siamo ora in grado di dare la definizione di limite quando L = ±∞ e quando x0 = ±∞.


Iniziamo dall’intuizione. Dire che f tende a L = +∞ quando x tende a x0 , vuol dire
che quando x si avvicina a x0 la f è sempre piu’ grande, cioè assume valori sempre piu’

82
grandi. In altri termini, f puo’ essere resa “grande a piacere” avvicinandosi “quanto
basta” a x0 . Cioè, scelto un numero reale M arbitrariamente grande, la f puo’ essere
resa piu’ grande di M avvicinandosi abbastanza a x0 , cioè per tutti gli x in un intorno
sufficientemente piccolo di x0 .

Definizione 139 Sia f : A ⊂ R → R, A aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A. Si ha

lim f (x) = +∞
x→x0

se ∀M > 0 ∃δ > 0 t.c. ∀x ∈ A, 0 < |x − x0 | < δ ⇒ f (x) > M.

Osserviamo che dando la definizione con gli intorni, otteniamo la stessa definizione.
Infatti, si ha:

Definizione 140 Sia f : A ⊂ R → R, A aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A. Si ha

lim f (x) = +∞
x→x0

se per ogni intorno di +∞, I(+∞), esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che ∀x ∈ U (x0 )∩
A, x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈ I(+∞).

Considerando che un intorno di +∞ è una semiretta del tipo (M, +∞), con M > 0
(vedi osservazione 138), dire f (x) ∈ (M, +∞) equivale a dire f (x) > M e si vede quindi
come le due definizioni coincidano.

La definizione per L = −∞ è analoga, considerando come intorno di −∞ la semiretta


I(−∞) = (−∞, −M ) con M > 0 grande a piacere.

Definizione 141 Sia f : A ⊂ R → R, A aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A. Si ha

lim f (x) = −∞
x→x0

se ∀M > 0 ∃δ > 0 t.c. ∀x ∈ A, 0 < |x − x0 | < δ ⇒ f (x) < −M.

Consideriamo ora il caso in cui si ha x0 = ±∞. Dire che f tende a L ∈ R per x → x0


vuol dire che man mano che si sceglie il valore x sempre piu’ grande, la funzione “si
stabilizza” attorno al valore L, cioè vuol dire che per ogni intorno I(L) = (L − ϵ, L + ϵ)
si puo’ scegliere un valore V cosi’ grande che per ogni x maggiore di tale valore V la
f (x) cade nell’intorno scelto I(L).

83
Definizione 142 Sia f : R → R. Si ha

lim f (x) = L
x→+∞

con L ∈ R, se ∀ϵ > 0 ∃V > 0 t.c. ∀x > V ⇒ |f (x) − L| < ϵ.

Se x0 = −∞, si avrà un’analoga definizione, considerando valori di x negativi e sempre


piu’ grandi in valore assoluto. Cioè :

Definizione 143 Sia f : R → R. Si ha

lim f (x) = L
x→−∞

con L ∈ R, se ∀ϵ > 0 ∃V > 0 t.c. ∀x < −V ⇒ |f (x) − L| < ϵ.

Combinando L = ±∞ e x0 = ±∞ si hanno le definizioni:

lim f (x) = +∞ se ∀M > 0 ∃V > 0 t.c. ∀x > V ⇒ f (x) > M


x→+∞

lim f (x) = −∞ se ∀M > 0 ∃V > 0 t.c. ∀x > V ⇒ f (x) < −M


x→+∞

lim f (x) = +∞ se ∀M > 0 ∃V > 0 t.c. ∀x < −V ⇒ f (x) > M


x→−∞

lim f (x) = −∞ se ∀M > 0 ∃V > 0 t.c. ∀x < −V ⇒ f (x) < −M


x→−∞

Per facilitare la memorizzazione e la comprensione, si è deciso di considerare un raggio


dato da M > 0 nel caso dell’intorno di L = ∞ e un raggio dato da V > 0 nel caso
dell’intorno di x0 = ∞. Si osservi come il raggio K = M, V sia sempre positivo (vedi
osservazione 138) e come si ponga ... > K quando si è in un intorno di +∞ e ... < −K
quando si è in un intorno di −∞.

Tutte le definizioni date finora si possono sintetizzare in un’unica definizione generale


che ingloba tutti i casi. Tale definizione è necessariamente data con gli intorni, in
quanto intorni di punti di R differiscono da intorni di punti di R.

84
Definizione 144 Sia f : R → R, e siano x0 ∈ R e L ∈ R. Si ha:

lim f (x) = L
x→x0

se per ogni intorno I(L) di l esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che ∀x ∈ U (x0 ), x ̸=
x0 ⇒ f (x) ∈ I(L).

3.6 Estensione a Rn

La definizione di limite data con gli intorni per funzioni da Rn in R è formalmente


identica a quella per funzioni da R in R, con la differenza che un intorno del punto x0
verso cui si fa il limite è ora un intorno sferico in Rn e non un intervallo aperto della
retta reale.

Definizione 145 (intorni)


Sia f : A ⊂ Rn → R, A aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A e L ∈ R. Si ha:

lim f (x) = L
x→x0

se per ogni intorno I(L) di L esiste un intorno Bδ (x0 ) di x0 tale che

∀x ∈ Bδ (x0 ), x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈ I(L)

La definizione data con le distanze (cioè i raggi degli intorni) ϵ e δ tiene conto del fatto
che la distanza in Rn è data dalla norma della differenza di vettori (si osservi come
nella definizione che segue si è posto L ∈ R):

Definizione 146 (ϵ − δ)
Sia f : A ⊂ Rn → R, A aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A e L ∈ R. Si ha:

lim f (x) = L
x→x0

se ∀ϵ > 0 ∃δ > 0 t.c. ∀x ∈ A, 0 < ∥x − x0 ∥ < δ ⇒ |f (x) − L| < ϵ.

Per esercizio, scrivere le definizioni (ϵ − δ) di limx→x0 f (x) = ±∞.

85
3.7 Estensione a insiemi di esistenza non aperti

Finora si è sempre definita la funzione f su insiemi A aperti (o su R, che è aperto)


e si è considerato x0 ∈ A ∪ ∂A. Ovviamente, una funzione puo’ essere definita su un
qualsiasi insieme, aperto o chiuso o nè aperto nè chiuso. Il problema che potrebbe
nascere se il dominio di A è un insieme qualsiasi, è che, se non si applica opportuna
cautela nella scelta del punto verso cui si fa il limite, si potrebbe scegliere un punto x0
“sbagliato”. Infatti, se si definisce la funzione su A generico, il punto x0 verso cui si fa
il limite non puo’ essere un qualsiasi punto x0 ∈ A ∪ ∂A.

A titolo esemplificativo, consideriamo l’insieme: A = (0, 1) ∪ {2} e consideriamo


f : A → R. Si ha: A ∪ ∂A = [0, 1] ∪ {2}. Se si disegna l’insieme A, si vede subi-
to che il punto 2 è “staccato” o “isolato” dagli altri punti di A. Supponiamo di voler
fare il limite di f verso x0 = 2. Questa operazione risulta priva di senso, in quanto non
è possibile “avvicinarsi” al punto 2 con punti del dominio A: infatti prendendo intorni
di 2 sufficientemente piccoli (δ < 1), l’intersezione di tali intorni con A, escludendo il
punto 2 stesso, risulta vuota, e quindi non risulta possibile la definizione di limite (vedi
anche l’osservazione 134). In questo esempio, quindi, si ha che il punto 2 ∈ A ∪ ∂A,
ma non si puo’ fare il limite per x → 2.

In sostanza, il requisito fondamentale di un punto x0 verso cui si fa il limite è che


sia possibile avvicinarsi quanto si vuole a tale punto con punti del dominio della fun-
zione, cioè non deve esistere un intorno del punto in cui non cadono punti del dominio
diversi dal punto stesso. Questa richiesta viene formalizzata con il concetto di “punto
isolato”.

Definizione 147 Dato un insieme A ⊂ Rn , un punto x0 ∈ Rn si dice punto isolato


di A se valgono le due proprietà :
i) x0 ∈ A;
ii) esiste un intorno di x0 in cui non cadono punti di A al di fuori di x0 stesso; cioè
∃Bδ (x0 ) t.c. (Bδ (x0 )\{x0 }) ∩ A = ∅.

Il secondo requisito si puo’ anche esprimere dicendo che esiste un intorno di x0 la cui
intersezione con A è data dal solo punto x0 , cioè : Bδ (x0 ) ∩ A = {x0 }.

86
Osservazione 148 Un punto isolato di A se non appartenesse ad A sarebbe un punto
esterno ad A (infatti, esiste un suo intorno tutto contenuto in AC , escluso il punto
stesso).

E’ ora chiaro come il punto x0 = 2 dell’insieme A descritto prima sia un punto isolato
di A. Il limite si puo’ fare per qualsiasi punto che non sia isolato. Definiamo quindi
l’insieme dei punti isolati di un insieme A:

Definizione 149 Denotiamo con Ais l’insieme dei punti isolati di un insieme A ⊂ Rn :

Ais := {x ∈ A ⊂ Rn t.c. x punto isolato di A} ⊂ A

Lemma 150 Dato un insieme A ⊂ Rn , si ha: Ais ⊂ ∂A.

La dimostrazione è immediata, osservando che per definizione un punto isolato non


puo’ essere punto interno all’insieme, e quindi deve necessariamente appartenere alla
sua frontiera.

Per definire il limite di una funzione definita su un insieme qualsiasi sarà sufficiente
evitare che x0 sia un punto isolato:

Definizione 151 Sia f : A ⊂ Rn → R, x0 ∈ (A ∪ ∂A)\Ais e L ∈ R. Si ha:

lim f (x) = L
x→x0

se per ogni intorno I(L) di L esiste un intorno Bδ (x0 ) di x0 tale che ∀x ∈ Bδ (x0 ), x ̸=
x0 ⇒ f (x) ∈ I(L).

Osserviamo che la definizione è quasi identica alla definizione 161, con la differenza che
si è tolta l’ipotesi “A aperto” e si è aggiunta l’ipotesi “x0 punto non isolato”. Questo
è facilmente spiegabile: se A è aperto, l’ipotesi x0 ∈
/ Ais non è necessaria, perchè è au-
tomaticamente soddisfatta: un insieme aperto A non puo’ avere punti isolati (perchè
tutti i punti sono interni, e i punti isolati sono punti di frontiera dell’insieme: vedi
lemma 150). Un insieme A che non sia aperto puo’ invece avere punti isolati.

87
3.8 Teoremi sui limiti

Raccogliamo qui una serie di teoremi sui limiti, che risulteranno di grande utilità e
applicazione. Per semplicità di dimostrazione, i teoremi saranno enunciati e dimostrati
per funzioni da R in R. Occorre tuttavia sapere che i risultati sono validi anche per
funzioni da Rn in R.

3.8.1 Teorema di unicità del limite

Teorema 6 (Teorema di unicità del limite) Sia f : A ⊂ R → R, A aperto, sia


x0 ∈ A ∪ ∂A\Ais e sia L ∈ R. Se

lim f (x) = L
x→x0

allora tale limite è unico.

Dimostrazione
Per assurdo supponiamo che esistano due limiti diversi tra loro L1 ̸= L2 . Si assume
cioè che:
lim f (x) = L1
x→x0

e
lim f (x) = L2
x→x0

con L1 ̸= L2 . Allora, esistono due intorni di L1 e di L2 distinti tra loro: ∃ϵ1 > 0 e
∃ϵ2 > 0 tali che (L1 − ϵ1 , L1 + ϵ1 ) ∩ (L2 − ϵ2 , L2 + ϵ2 ) = ∅ (è sufficiente prendere p.es.
|L1 −L2 |
ϵ1 = ϵ2 = 4
> 0).
Poichè per ipotesi limx→x0 f (x) = L1 , dato il raggio ϵ1 > 0 si puo’ trovare un raggio
δ1 > 0 tale che per x ∈ (x0 − δ1 , x0 + δ1 ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈ (L1 − ϵ1 , L1 + ϵ1 ) (•).
Analogamente, poichè per ipotesi limx→x0 f (x) = L2 , dato il raggio ϵ2 > 0 si puo’
trovare un raggio δ2 > 0 tale che per x ∈ (x0 − δ2 , x0 + δ2 ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈
(L2 − ϵ2 , L2 + ϵ2 ) (••).
Preso il piu’ piccolo dei due raggi δ = min(δ1 , δ2 ) si ha che l’intorno di x0 con raggio δ
è contenuto nei due intorni dati prima, cioè in (x0 − δ, x0 + δ) le proprietà (•) e (••)
valgono entrambe (vedi osservazione 130):

∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ), x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈ (L1 − ϵ1 , L1 + ϵ1 ) e f (x) ∈ (L2 − ϵ2 , L2 + ϵ2 )

88
cioè :

∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ), x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈ (L1 − ϵ1 , L1 + ϵ1 ) ∩ (L2 − ϵ2 , L2 + ϵ2 )

ma questo è assurdo, in quanto per ipotesi si ha che

(L1 − ϵ1 , L1 + ϵ1 ) ∩ (L2 − ϵ2 , L2 + ϵ2 ) = ∅.

Quindi, il limite è unico.

3.8.2 Teorema del confronto

Teorema 7 (Teorema del confronto) Date tre funzioni f, g, h : A ⊂ R → R, A


aperto, x0 ∈ A ∪ ∂A, se

f (x) ≤ g(x) ≤ h(x) ∀x ∈ A

e se
lim f (x) = L e lim h(x) = L
x→x0 x→x0

allora
lim g(x) = L
x→x0

Dimostrazione
Preso ϵ > 0 arbitrario, si deve dimostrare che ∃δ > 0 tale che ∀x ∈ (x0 −δ, x0 +δ)∩A, x ̸=
x0 si ha g(x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ).
Siccome limx→x0 f (x) = L, dato ϵ > 0 esiste δ1 > 0 tale che

∀x ∈ (x0 − δ1 , x0 + δ1 ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ L − ϵ < f (x) < L + ϵ (∗)

Siccome limx→x0 h(x) = L, dato ϵ > 0 esiste δ2 > 0 tale che

∀x ∈ (x0 − δ2 , x0 + δ2 ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ L − ϵ < h(x) < L + ϵ (∗∗)

Allora, preso δ = min(δ1 , δ2 ) si ha che in (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A valgono sia (∗) sia (∗∗).
Inoltre si ha f (x) ≤ g(x) ≤ h(x) in (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A. Quindi ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A
si ha:
L − ϵ < f (x) ≤ g(x) ≤ h(x) < L + ϵ

89
cioè
g(x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ) ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ)

e quindi, essendo ϵ arbitrario, si ha:

lim g(x) = L
x→x0

3.8.3 Teorema di permanenza del segno

Questo teorema, molto importante nella teoria dei limiti, dice che se una funzione tende
a un limite L ̸= 0 per x → x0 , allora esiste un intorno di x0 in cui la funzione assume
valori diversi da 0 e dello stesso segno del limite verso cui tende. Questo risultato
è molto intuitivo: se L ̸= 0 è sempre possibile considerare un intorno di L che non
contenga lo 0 e scegliere quello come intorno I(L) nella definizione di limite, trovando
il corrispondente intorno di x0 .

Teorema 8 (Teorema di permanenza del segno) Sia f : A ⊂ R → R, A aperto,


x0 ∈ A ∪ ∂A. Se limx→x0 f (x) = L ̸= 0, allora esiste un intorno di x0 , U (x0 ) tale che
f (x) ha lo stesso segno di L per ogni x ∈ U (x0 ) ∩ A, x ̸= x0 .

Dimostrazione
L
Sia L > 0. Scegliamo ϵ = 2
> 0. Siccome limx→x0 f (x) = L, esiste un intorno di x0
U (x0 ) = (x0 − δ, x0 + δ) tale che
( ) ( )
L L L 3
∀x ∈ U (x0 ) ∩ A, x ̸= x0 ⇒ f (x) ∈ (L − ϵ, L + ϵ) = L − , L + = , L
2 2 2 2
cioè
L 3
0< < f (x) < L.
2 2
Cioè f (x) > 0 per ogni x ∈ U (x0 ) ∩ A, x ̸= x0 .
La dimostrazione per L < 0 è analoga ed è lasciata per esercizio.

3.8.4 Algebra dei limiti

Prima di dimostrare gli importanti teoremi sull’algebra dei limiti, è opportuno fare una
ulteriore osservazione, che aiuta a capire meglio alcuni passaggi delle dimostrazioni.

90
Osservazione 152 L’osservazione (molto importante) è divisa in due parti, speculari.

(I) Nella definizione di limite il valore di ϵ > 0 è arbitrario. Quindi, anzichè dare la
ϵ
definizione con ϵ > 0 è possibile darla anche con 2
> 0 o con kϵ > 0 (con k > 0).
Cioè , se limx→x0 f (x) = l allora non solo è vero che ∀ϵ > 0 ∃δ > 0. t.c...... < ϵ,
ma anche ∀ϵ/2 > 0 ∃δ > 0 t.c..... < ϵ/2 e anche ∀kϵ > 0 ∃δ > 0 t.c..... < kϵ (con
k > 0). E’ altresi’ vero che ∀ϵ > 0 ∃δ > 0 t.c..... < kϵ con k dato, k > 0, proprio per
l’arbitrarietà della vicinanza di f (x) da L.
(II) Viceversa, se si riesce a dimostrare che ∀ϵ > 0 ∃δ > 0 t.c..... < kϵ con k dato,
k > 0, allora si è dimostrato che limx→x0 f (x) = L, perchè si è dimostrato che si riesce
a rendere piccola a piacere la distanza |f (x) − L|. Infatti, la presenza dell’elemento
k > 0 dato non disturba l’arbitrarietà della distanza |f (x) − L|, in quanto è l’elemento
ϵ a permettere di rendere arbitrariamente piccola tale distanza.

Siamo ora in grado di dimostrare l’importante teorema dell’algebra dei limiti.

Teorema 9 (Algebra dei limiti.) Siano f e g due funzioni tali che

lim f (x) = L
x→x0

lim g(x) = M
x→x0

Allora:

1. Il limite della somma è uguale alla somma dei limiti:

lim (f (x) + g(x)) = L + M


x→x0

2. Il limite del prodotto è uguale al prodotto dei limiti:

lim (f (x) · g(x)) = L · M


x→x0

3. Il limite del quoziente è uguale al quoziente dei limiti:


f (x) L
se M ̸= 0, lim = (•)
x→x0 g(x) M
Dimostrazione
Dimostriamo il teorema per L, M ∈ R. Il teorema vale in generale anche per L, M ∈ R
(con l’avvertenza che non in tutti i casi le scritture L + M , L · M e L
M
hanno un senso,
come si vedrà piu’ avanti nella sezione sulle forme di indecisione).

91
1. Si deve dimostrare che preso ϵ > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni x con 0 <
|x − x0 | < δ si abbia: |f (x) + g(x) − L − M | < ϵ.
ϵ
Siccome limx→x0 f (x) = L, preso 2
> 0 esiste δ1 > 0 tale che per ogni x con
0 < |x − x0 | < δ1 si ha: |f (x) − L| < 2ϵ .
ϵ
Siccome limx→x0 g(x) = M , preso 2
> 0 esiste δ2 > 0 tale che per ogni x con
0 < |x − x0 | < δ2 si ha: |g(x) − M | < 2ϵ .
Ma allora, preso δ = min(δ1 , δ2 ), si ha che nell’intorno di x0 : (x0 −δ, x0 +δ), x ̸= x0 ,
valgono entrambe (vedere osservazione 130): |f (x) − L| < ϵ
2
e |g(x) − M | < 2ϵ .
Quindi, per x ∈ (x0 − δ, x0 + δ), x ̸= x0 , si ha:
ϵ ϵ
|f (x)+g(x)−L−M | = |f (x)−L+g(x)−M | ≤ |f (x)−L|+|g(x)−M | < + =ϵ
2 2
dove la prima disuguaglianza è dovuta alla disuguaglianza triangolare (vedere Ap-
pendice A.2).

2. Prima di iniziare, osserviamo che siccome limx→x0 g(x) = M , in un intorno suffi-


cientemente piccolo U (x0 ) di x0 si ha che |g(x)| < (|M | + 1). Infatti, scegliendo
ϵ = 1, in un intorno abbastanza piccolo di x0 si ha |g(x) − M | < 1 e quindi:
|g(x)| = |g(x) − M + M | ≤ |g(x) − M | + |M | < 1 + |M |. (⋆)
Inoltre, dato ϵ arbitrario, in un intorno sufficientemente piccolo di x0 , V (x0 ), si
ha che |f (x) − L| < ϵ e |g(x) − M | < ϵ. (⋄)
Dimostriamo ora che si puo’ rendere piccola a piacere la distanza |f (x)g(x)−LM |.
In un intorno Z(x0 ) ⊂ (U (x0 ) ∩ V (x0 )) valgono le (⋆) e (⋄), e, applicando di nuovo
la disuguaglianza triangolare A.2, si ha:

|f (x)g(x)−LM | = |f (x)g(x)−Lg(x)+Lg(x)−LM | = |g(x)(f (x)−L)+L(g(x)−M )| ≤

≤ |g(x)(f (x) − L)| + |L(g(x) − M )| = |g(x)||f (x) − L| + |L||g(x) − M | <


< (|M | + 1)ϵ + |L|ϵ = ϵ(|M | + 1 + |L|)
Cioè, in un intorno abbastanza piccolo Z(x0 ) di x0 si ha:

|f (x)g(x) − LM | < ϵ(|M | + 1 + |L|) cioe’ |f (x)g(x) − LM | < kϵ

con k = (|M | + 1 + |L|) > 0. Quindi, in virtu’ dell’osservazione 152 (II), si ha:

lim (f (x) · g(x)) = L · M.


x→x0

92
3. Osserviamo innanzitutto che siccome M ̸= 0, esiste un intorno sufficientemente
piccolo U (x0 ) di x0 in cui la funzione g(x) assume lo stesso segno di M , quindi
non si annulla mai (per il teorema di permanenza del segno).
Per dimostrare la (•), è sufficiente dimostrare che
1 1
lim =
x→x0 g(x) M
Infatti, dimostrato questo, la (•) diventa immediata come caso particolare della
f (x) 1
2), vedendo g(x)
come il prodotto delle funzioni f (x) e g(x)
.
Supponiamo che sia M > 0 (se M < 0 la dimostrazione è analoga). Allora, esiste
un intorno V (x0 ) in cui si ha − M2 < g(x) − M < M
2
, cioè M
2
< g(x) < 3M
2
, cioè
1
g(x)
< 2
M
, e quindi | g(x)
1
| < | M2 |.
Ora, mostriamo che si puo’ rendere piccola a piacere la distanza | g(x)
1
− 1
M
|. Ri-
cordiamo che preso ϵ > 0, in un intorno sufficientemente piccolo di x0 , W (x0 ), si
ha |M − g(x)| < ϵ. Quindi in un intorno Z(x0 ) ⊂ (U (x0 ) ∩ V (x0 ) ∩ W (x0 )) si ha:
1 1 M − g(x) |M − g(x)| ϵ ϵ 2 2
− = = < < = 2ϵ
g(x) M M g(x) |M g(x)| |M ||g(x)| |M | M M
cioè in un intorno sufficientemente piccolo di x0 si ha:
1 1
− < kϵ
g(x) M
2
con k = M2
> 0. Quindi, in virtu’ dell’osservazione 152 (II), si ha:
1 1
lim =
x→x0 g(x) M
e quindi
f (x) L
lim = .
x→x0 g(x) M

93
3.9 Calcolo di limiti

3.9.1 Limiti di funzioni elementari

Conoscendo il valore del limite per le funzioni elementari è possibile calcolare il limite
di limiti piu’ complessi, applicando le regole date dal Teorema 9. Dimostriamo ora due
limiti fondamentali:

Teorema 10 Valgono i seguenti limiti elementari:

1. limx→x0 (c) = c

2. limx→x0 (x) = x0

Dimostrazione

1. Si ha limx→x0 (c) = c se dato ϵ > 0 è possibile trovare δ > 0 tale che per ogni
x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si abbia |f (x) − c| < ϵ. Ma questo vale per qualsiasi numero
reale δ > 0. Infatti dato un qualsiasi raggio δ > 0, per x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si
ha f (x) = c (poichè f (x) = c ∀x ∈ R), quindi |f (x) − c| = |c − c| = 0 < ϵ, per
qualsiasi raggio ϵ.

2. Si ha limx→x0 (x) = x0 se dato ϵ > 0 è possibile trovare δ > 0 tale che per ogni
x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si abbia |f (x) − x0 | < ϵ. Affinchè questo valga, è sufficiente
prendere δ = ϵ. Infatti, per x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) si ha f (x) = x (poichè f (x) = x
∀x ∈ R), quindi |f (x) − x0 | = |x − x0 | < δ = ϵ.

Da questi due limiti elementari è immediato dimostrare che (farlo per esercizio):

lim (xn ) = xn0


x→x0

e che quindi, dato un polinomio in x, φ(x) = a0 + a1 x + a2 x2 + ... + an xn , il limite del


polinomio per x che tende a un punto x0 è pari al valore del polinomio in tale punto:

lim φ(x) = φ(x0 ) = a0 + a1 x0 + a2 x20 + ... + an xn0 .


x→x0

Si puo’ inoltre dimostrare che:

1. limx→x0 f (x) = f (x0 ) per f (x) = ax , loga x, sin x, cos x ∀x0 ∈ R

2. limx→+∞ ax = +∞ e limx→−∞ ax = 0 ∀a > 1

3. limx→+∞ ax = 0 e limx→−∞ ax = +∞ ∀a < 1

94
4. limx→+∞ loga x = +∞ e limx→0+ loga x = −∞ ∀a > 1

5. limx→+∞ loga x = −∞ e limx→0+ loga x = +∞ ∀a < 1

6. limx→±∞ sin x non esiste

7. limx→±∞ cos x non esiste

Si ha inoltre che, se limx→x0 f (x) = 0, per una qualche funzione f (x), e a ̸= 0




 +∞ se a > 0 e limx→x0 f (x) = 0+



 +∞ se a < 0 e lim −
a x→x0 f (x) = 0
lim =∞=
x→x0 f (x) 
 −∞ se a > 0 e limx→x0 f (x) = 0−



 −∞ se a < 0 e lim f (x) = 0+
x→x0

3.9.2 Forme indeterminate

Ci sono casi in cui applicare le regole dell’algebra dei limiti non è sufficiente per de-
terminare il valore del limite. Questi casi particolari sono detti forme indeterminate o
forme di indecisione. Esse sono:

1. se si ha limx→x0 f (x) = +∞ e limx→x0 g(x) = −∞ non è possibile applicare la


regola della somma di limiti al limite limx→x0 (f (x) + g(x)). Infatti, consideriamo
tre esempi, con x0 = +∞: (i) f1 (x) = x2 , g1 (x) = −x: qui si ha

lim (f1 (x) + g1 (x)) = lim x(x − 1) = +∞


x→+∞ x→+∞

(ii) f2 (x) = x, g2 (x) = −x2 : qui si ha

lim (f2 (x) + g2 (x)) = lim x(1 − x) = −∞


x→+∞ x→+∞

(iii) f3 (x) = x, g3 (x) = −x + 1: qui si ha

lim (f3 (x) + g3 (x)) = lim x − x + 1 = 1


x→+∞ x→+∞

Non è pertanto possibile stabilire a priori, usando la regola della somma dei limiti,
il valore del limite e si ha la forma di indeterminazione +∞ − ∞ (oppure −∞ + ∞
per limx→x0 (g(x) + f (x)).

2. se si ha limx→x0 f (x) = ∞ e limx→x0 g(x) = ∞ non è possibile applicare la regola


f (x)
del quoziente di limiti al limite limx→x0 g(x)
. Infatti, consideriamo tre esempi, con
f1 (x)
x0 = +∞: (i) f1 (x) = x2 , g1 (x) = x: qui si ha limx→+∞ g1 (x)
= +∞; (ii) f2 (x) =

95
f2 (x)
x, g2 (x) = x2 : qui si ha limx→+∞ g2 (x)
= 0; (iii) f3 (x) = 2x, g3 (x) = x: qui si ha
f3 (x)
limx→+∞ g3 (x)
= 2. Non è pertanto possibile stabilire a priori, usando la regola del

quoziente dei limiti, il valore del limite e si ha la forma di indeterminazione ∞
.

3. se si ha limx→x0 f (x) = 0 e limx→x0 g(x) = 0 non è possibile applicare la regola


f (x)
del quoziente di limiti al limite limx→x0 g(x)
. Infatti, consideriamo tre esempi,
2 f1 (x)
con x0 = 0: (i) f1 (x) = x , g1 (x) = x: qui si ha limx→0 g1 (x)
= 0; (ii) f2 (x) =
f2 (x)
x, g2 (x) = x3 : qui si ha limx→0 g2 (x)
= +∞; (iii) f3 (x) = 2x, g3 (x) = x: qui si ha
f3 (x)
limx→0 g3 (x)
= 2. Non è pertanto possibile stabilire a priori, usando la regola del
quoziente dei limiti, il valore del limite e si ha la forma di indeterminazione 00 .

4. se si ha limx→x0 f (x) = ∞ e limx→x0 g(x) = 0 non è possibile applicare la regola


del prodotto di limiti al limite limx→x0 f (x)g(x). Infatti, consideriamo tre esem-
1
pi, con x0 = 0: (i) f1 (x) = x3
, g1 (x) = x: qui si ha limx→0 f1 (x)g1 (x) = +∞; (ii)
1
f2 (x) = x2
, g2 (x) = x3 : qui si ha limx→0 f2 (x)g2 (x) = 0; (iii) f3 (x) = x1 , g3 (x) = 2x:
qui si ha limx→0 f3 (x)g3 (x) = 2. Non è pertanto possibile stabilire a priori, usando
la regola del prodotto dei limiti, il valore del limite e si ha la forma di indetermi-
nazione ∞ · 0 (oppure 0 · ∞ per limx→x0 g(x)f (x)).

Altre forme indeterminate sono: 1∞ , 00 , (+∞)0 (con l’avvertenza che si sottintende


0 = 0+ ).

Riassumendo, le forme indeterminate sono:


∞ 0
+∞ − ∞, −∞ + ∞, , , ∞ · 0, 0 · ∞, 1∞ , 00 , (+∞)0 .
∞ 0
Quando si incontrano limiti che si riconducono a una di queste forme, è necessario
risolverli ricorrendo a metodi diversi da quelli visti finora. In particolare, vedremo i
seguenti metodi per (tentare di) risolvere le forme indeterminate:

1. infiniti, infinitesimi e loro confronto;

2. manipolazioni algebriche;

3. limiti notevoli.

96
3.9.3 Infiniti, infinitesimi e loro confronto

Infiniti

Data una funzione f , se si ha:


lim f (x) = ∞
x→x0

si dice che f è un infinito per x che tende a x0 . Siano f e g due infiniti per x che
tende a x0 . Per confrontarli, bisogna fare il limite del loro rapporto, che è ovviamente

una forma indeterminata del tipo ∞
. Si hanno quattro possibilità :

1. se limx→x0 f (x)
g(x)
= ∞, allora si dice che f è un infinito di ordine superiore a g;
f (x)
2. se limx→x0 g(x)
= 0, allora si dice che f è un infinito di ordine inferiore a g;

3. se limx→x0 f (x)
g(x)
= k ̸= 0, allora si dice che f e g sono infiniti dello stesso ordine;
f (x)
4. se limx→x0 g(x)
non esiste, allora si dice che f e g sono infiniti non confrontabili.


Osserviamo che se ∞
tende a ∞, vuol dire che “prevale” l’infinito del numeratore, cioè

f , e quindi f è “piu’ forte”, o di ordine superiore; se invece ∞
tende a 0, vuol dire che
“prevale” l’infinito del denominatore, cioè g, e quindi f è “piu’ debole”, o di ordine

inferiore; se ∞
tende a un limite finito diverso da 0, vuol dire che nessuno dei due
infiniti prevale sull’altro, cioè i due infiniti sono dello stesso ordine.

Esempi 153 Date f e g, infiniti per x che tende a x0 , fare il loro confronto.

1) f (x) = x2 , g(x) = x3 , x0 = +∞. E’ immediato vedere che f e g sono due infiniti per
f (x) x2 1
x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
= limx→x0 x3
= limx→+∞ x
= 0, quindi x2 è infinito
di ordine inferiore a x3 per x → +∞. In generale, xm è infinito di ordine inferiore a xn
per x → +∞ per ogni m < n.

2) f (x) = 1
x4
, g(x) = 1
x3
, x0 = 0− . E’ immediato vedere che f e g sono due infini-
ti per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 f (x)
g(x)
= limx→x0 1 3
x4
x = limx→0− 1
x
= −∞, quindi
1
x4
è infinito di ordine superiore a 1
x3
per x → 0− . In generale, 1
xm
è infinito di ordine
superiore a 1
xn
per x → 0− (e anche per x0 = 0+ e 0) per ogni m > n.

3) f (x) = 2 + x2 , g(x) = 3x2 , x0 = −∞. E’ immediato vedere che f e g sono due

97
2+x2
infiniti per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 f (x)
g(x)
= limx→−∞ 3x2
= 1
3
̸= 0, quindi 2 + x2
è infinito dello stesso ordine di 3x2 per x → −∞. In generale, α + βxm è infinito dello
stesso ordine di γ + δxm per x → ±∞ per ogni m > 0.

4) f (x) = x(2 + sin x), g(x) = 2x, x0 = +∞. E’ facile vedere (usando il teorema
f (x)
del confronto) che f e g sono due infiniti per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
=
limx→x0 2+sin
2
x
= 1 + limx→+∞ sin x che non esiste, quindi x(2 + sin x) e 2x sono infiniti
non confrontabili per x → +∞.

Infiniti e loro confronto

Vale il seguente utile teorema:

Teorema 11 Se f = f1 + f2 e g = g1 + g2 , con f2 infinito di ordine inferiore a f1 e g2


infinito di ordine inferiore a g1 per x → x0 , allora
f (x) f1 (x) + f2 (x) f1 (x)
lim = lim = lim
x→x0 g(x) x→x 0 g1 (x) + g2 (x) x→x 0 g1 (x)

se questo limite esiste. In altre parole, nel calcolo dei limiti di infiniti, gli infiniti di
ordine inferiore si possono trascurare.

Dimostrazione
Si ha: ( f2 (x) )
f1 (x) + f2 (x) f1 (x) 1 + f1 (x)
lim = lim · g2 (x)
x→x0 g1 (x) + g2 (x) x→x0 g1 (x) 1 +
g1 (x)

Osserviamo che, poichè f2 è infinito di ordine inferiore a f1 e g2 è infinito di ordine


inferiore a g1 , si ha
f2 (x) g2 (x)
→0 e → 0,
f1 (x) g1 (x)
che implica
f2 (x) g2 (x)
1+ →1 e 1+ → 1.
f1 (x) g1 (x)
Quindi ( )
f2 (x) f2 (x)
1+ limx→x0 1 + f1 (x)
lim
f1 (x)
g2 (x)
= ( ) =1
x→x0 1+ g2 (x)
g1 (x) limx→x0 1 + g1 (x)

98
f1 (x)
Allora, se esiste il limite limx→x0 g1 (x)
, si ha
( f2 (x) ) ( ) ( )
f1 (x) + f2 (x) f1 (x) 1 + f1 (x) f1 (x) 1 + ff21 (x)
(x)
lim = lim · g2 (x)
= lim · lim
x→x0 g1 (x) + g2 (x) x→x0 g1 (x) 1 +
g1 (x)
x→x0 g1 (x) x→x0 1 + gg21 (x)
(x)
( )
f1 (x) f1 (x)
= lim · 1 = lim (3.1)
x→x0 g1 (x) x→x0 g1 (x)

che era quanto si intendeva dimostrare.

Infinitesimi

Data una funzione f , se si ha:


lim f (x) = 0
x→x0

si dice che f è un infinitesimo per x che tende a x0 . Siano f e g due infinitesimi


per x che tende a x0 . Per confrontarli, bisogna fare il limite del loro rapporto, che è
ovviamente una forma indeterminata del tipo 00 . Si hanno quattro possibilità :

1. se limx→x0 f (x)
g(x)
= ∞, allora si dice che f è un infinitesimo di ordine inferiore a g;
f (x)
2. se limx→x0 g(x)
= 0, allora si dice che f è un infinitesimo di ordine superiore a g;

3. se limx→x0 f (x)
g(x)
= k ̸= 0, allora si dice che f e g sono infinitesimi dello stesso
ordine;
f (x)
4. se limx→x0 g(x)
non esiste, allora si dice che f e g sono infinitesimi non confrontabili.

Osserviamo che se 0
0
tende a ∞, vuol dire che “prevale” l’infinito del denominatore,
0
cioè g, e quindi f è “piu’ debole”, o di ordine inferiore; se invece 0
tende a 0, vuol dire
che “prevale” l’infinito del numeratore, cioè f , e quindi f è “piu’ forte”, o di ordine
0
superiore; se 0
tende a un limite finito diverso da 0, vuol dire che nessuno dei due
infinitesimi prevale sull’altro, cioè i due infinitesimi sono dello stesso ordine.

Esempi 154 Date f e g, infinitesimi per x che tende a x0 , fare il loro confronto.

1) f (x) = x2 , g(x) = x3 , x0 = 0+ . E’ immediato vedere che f e g sono due infinitesimi


f (x) x2 1
per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
= limx→x0 x3
= limx→0+ x
= +∞, quindi x2
è infinitesimo di ordine inferiore a x per x → 0+ . In generale, x
3 m
è infinitesimo di
ordine inferiore a xn per x → 0 per ogni m < n.

99
2) f (x) = 1
x4
, g(x) = 1
x3
, x0 = −∞. E’ immediato vedere che f e g sono due infi-
f (x)
nitesimi per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
= limx→x0 x14 x3 = limx→−∞ 1
x
= 0,
quindi 1
x4
è infinitesimo di ordine superiore a 1
x3
per x → −∞. In generale, 1
xm
è infi-
nitesimo di ordine superiore a 1
xn
per x → −∞ (e anche per x0 = +∞) per ogni m > n.

3) f (x) = 7x7 , g(x) = 3x7 + x8 , x0 = 0. E’ immediato vedere che f e g sono due


f (x) 7x7 x7 (7)
infinitesimi per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
= limx→0 3x7 +x8
= limx→0 x7 (3+x)
=
limx→0 7
3+x
= 7
3
̸= 0, quindi 7x7 è infinitesimo dello stesso ordine di 3x7 + x8 per x → 0.

3 cos x+2
4) f (x) = x3
, g(x) = x3
, x0 = +∞. E’ facile vedere (usando il teorema del
f (x)
confronto) che f e g sono due infinitesimi per x che tende a x0 . Si ha limx→x0 g(x)
=
3x3 3 3 cos x+2
limx→x0 x3 (cos x+2)
= limx→+∞ cos x+2
che non esiste, quindi x3
e x3
sono infinitesimi
non confrontabili per x → +∞.

Infinitesimi e loro confronto

Vale il seguente utile teorema:

Teorema 12 Se f = f1 + f2 e g = g1 + g2 , con f2 infinitesimo di ordine superiore a


f1 e g2 infinitesimo di ordine superiore a g1 per x → x0 , allora
f (x) f1 (x) + f2 (x) f1 (x)
lim = lim = lim
x→x0 g(x) x→x0 g1 (x) + g2 (x) x→x0 g1 (x)
se questo limite esiste. In altre parole, nel calcolo dei limiti di infinitesimi, gli infinite-
simi di ordine superiore si possono trascurare.

Dimostrazione
Si ha: ( f2 (x) )
f1 (x) + f2 (x) f1 (x) 1 + f1 (x)
lim = lim · g2 (x)
x→x0 g1 (x) + g2 (x) x→x0 g1 (x) 1 +
g1 (x)

Osserviamo che, poichè f2 è infinitesimo di ordine superiore a f1 e g2 è infinitesimo di


ordine superiore a g1 , si ha
f2 (x) g2 (x)
→0 e → 0,
f1 (x) g1 (x)
che implica
f2 (x) g2 (x)
1+ →1 e 1+ → 1.
f1 (x) g1 (x)

100
Quindi ( )
f2 (x) f2 (x)
1+ f1 (x)
limx→x0 1 + f1 (x)
lim g2 (x)
= ( ) =1
x→x0 1+ g2 (x)
g1 (x) limx→x0 1 + g1 (x)

f1 (x)
Allora, se esiste il limite limx→x0 g1 (x)
, si ha
( f2 (x) ) ( ) ( )
f1 (x) + f2 (x) f1 (x) 1 + f1 (x) f1 (x) 1 + ff21 (x)
(x)
lim = lim · g2 (x)
= lim · lim g2 (x)
x→x0 g1 (x) + g2 (x) x→x0 g1 (x) 1 + x→x0 g1 (x) x→x0 1 + g1 (x)
g1 (x)
( )
f1 (x) f1 (x)
= lim · 1 = lim (3.2)
x→x0 g1 (x) x→x 0 g1 (x)

che era quanto si intendeva dimostrare.

Osserviamo che per infiniti e infinitesimi valgono regole in un certo senso “opposte”: nel
confronto di infiniti si trascurano quelli di ordine inferiore, nel confronto tra infinitesimi
si trascurano quelli di ordine superiore. Questo si puo’ facilmente capire, pensando che
nel confronto tra infiniti si considerano solo i piu’ “grandi”, cioè quelli che vanno a
infinito piu’ velocemente e si trascurano quelli che vanno a infinito piu’ lentamente, che
sono gli infiniti di ordine inferiore. Anche nel confronto tra infinitesimi si considerano
quelli piu’ “grandi”, cioè si trascurano quelli che vanno a 0 piu’ velocemente, che sono
gli infinitesimi di ordine superiore.

“o” piccolo

Nell’analisi matematica e nella matematica applicata rivestono grande importanza i


confronti tra funzioni nell’intorno di un certo punto (lo si vedrà meglio piu’ avanti con
il concetto di differenziale e lo sviluppo in polinomio di Taylor). Per questa ragione, si
riporta qui una definizione largamente usata nell’esprimere tali confronti.

Definizione 155 Date due funzioni f e g, definite nell’intorno di un certo punto x0


(tranne al piu’ il punto x0 stesso), se si ha:
f (x)
lim =0
x→x0 g(x)
si dice che f è un “o piccolo” di g per x che tende a x0 , e si scrive:

f (x) = o(g(x)) per x → x0 .

101
Osservazione 156

Se f è un infinito di ordine inferiore a g, allora f = o(g), se f è un infinitesimo di


ordine superiore a g, allora f = o(g).

Proposizione 157 (Confronto tra esponenziale, polinomio e logaritmo) .


ax è un infinito di ordine superiore a xn per x → +∞, per ogni a > 1 e ogni n > 0.
xn è un infinito di ordine superiore a loga x per x → +∞ per ogni a > 1 e ogni n > 0.

Corollario 158 La proposizione 157 consente di dire che ax è un infinito di ordine


superiore a logb x, per ogni a, b > 1 per x → +∞.

Osservazione 159

In altri termini, si ha:

loga x = o(xn ), loga x = o(bx ), xn = o(cx ) ∀a, b, c > 1 ∀n > 0

Esercizi

√ 1
x+ 3 x+4x3
= limx→0+ x− 6 = limx→0+
x3 1 1
1) limx→0+ 2
√ = limx→0+ 1

6x = +∞
2x + x+3x x2

√ 1
x4 +2x3 −6 x −6x 2
2) limx→0+ 3
√ = limx→0+ 1 =2
x +2x−3 x −3x 2

√ √
3 1 2
2 x+5 x2 +x 2x 2 +5x 3 +x x
3) limx→+∞ √ = limx→+∞ 3 = limx→+∞ 3 = limx→+∞ √1 =0
3
3+ x +3x 3+x 2 +3x x2 x

3x −x10 −x15 3x
( 3 )x
4) limx→+∞ 1−ex +xe
= limx→+∞ −ex
= − limx→+∞ e
= −∞

e2x −x 3
√ +x
18
5) limx→+∞ e3x − x−x16
=0

x100 +ln x+2x


( 2 )x
6) limx→+∞ 3ex +sin x
= 13 limx→+∞ e
=0

(ln x)150 −sin x


( ln x
)150
7) limx→+∞ √
3 x+cos x = limx→+∞ =0
x1/450

√ ( )
8) limx→+∞ (2x + 3x2 − 3
x) = limx→+∞ x2 x2 + 3 − 1
5 = limx→+∞ (3x2 ) = +∞
x3

102
3.9.4 Manipolazioni algebriche

Richiamo
Si richiamano i seguenti prodotti notevoli, che sono di grande utilità nella soluzione di
molti limiti.

a2 − b2 = (a − b)(a + b) (3.3)
a3 − b3 = (a − b)(a2 + ab + b2 ) (3.4)

Nelle manipolazioni algebriche, si usano le equazioni 3.3 e 3.4 per razionalizzare il nu-
meratore o il denominatore di una forma indeterminata.

Esercizi
1) limx→5 5−x
x2 −25
= limx→5 5−x
(x−5)(x+5)
= − limx→5 1
x+5
= − 10
1

√ √ √ √ √ √
( x2 +3− x2 +7)( x2 +3+ x2 +7)
2) limx→+∞ ( x2 + 3 − x2 + 7) = limx→+∞ √ √
( x2 +3+ x2 +7)
=
(x2 +3)−(x2 +7) −4√
= limx→+∞ (√ √
x2 +3+ x2 +7)
= √
limx→+∞ ( x2 +3+ x2 +7) = 0

√ √
3) limx→+∞ ( x3 + 2x + 12 − x3 + 6) = ... = 0

√ √ √ √
√ √ √ √
x( x+1− x)( x+1+ x)

x(x+1−x)
4) limx→+∞ x( x + 1− x) = limx→+∞ √ √ = limx→+∞ √ √ =
√ √ ( x+1+ x) ( x+1+ x)
= x
limx→+∞ (√x+1+ √
x)
= limx→+∞ √ √ 1 x
= 12
x( 1+ x +1)


5) limx→0 1− 1+x2
x2
= ... = − 12

x−3
√ 4
6) limx→3 x−1− x+1
= ... = 3


7) limx→+∞ ( x2 + 1 − x) = ... = 0

√ √
8) limx→+∞ ( 1 + x + x2 − 1 − x + x2 ) = ... = 1

x3 −1 (x−1)(x2 +x+1) x2 +x+1 3


9) limx→1 x2 −1
= limx→1 (x+1)(x−1)
= limx→1 x+1
= 2

√ √ √ √
( 3 1+x−1)( 3 (1+x)2 + 3 1+x+1)
√ √ 1+x−1√
3
1+x−1
10) limx→0 x
= limx→0 √ = limx→0 =
x( 3 (1+x)2 + 3 1+x+1) x( 3 (1+x)2 + 3 1+x+1)

103
= limx→0 √
3
1
√ = 1
3
( (1+x)2 + 3 1+x+1)


3 √
1+x− 3 1−x 2
11) limx→0 x
= ... = 3


12) limx→0 1+x−1
x2 −x
= ... = − 12

3.9.5 Limiti notevoli

Valgono i seguenti limiti notevoli:


sin x
1. limx→0 x
=1
1−cos x
2. limx→0 x2
= 12
( )x
3. limx→∞ 1 + x1 = e
( )x
4. limx→∞ 1 + xk = ek per k ̸= 0
ax −1 ex −1
5. limx→0 x
= ln a; nel caso a = e, si ha: limx→0 x
=1
loga (1+x) 1 ln(1+x)
6. limx→0 x
= ln a
nel caso a = e, si ha: limx→0 x
=1
(1+x)α −1
7. limx→0 x


8. limx→+∞ ax
= 0 per ogni α > 0, a > 1 (vedi la proposizione 157)
loga x
9. limx→+∞ xα
= 0 per ogni α > 0, a > 1 (vedi la proposizione 157)

10. limx→0+ x loga x = 0 per ogni a > 1.

Osservazione 160 (importante)

Sotto certe condizioni tecniche sulla funzione f e sulla funzione g (qui non specificate)
è possibile scambiare il segno di limite lim con quello di funzione, cioè lim f (g(x)) =
f (lim g(x)). In particolare è possibile fare tale scambio quando le funzioni f e g sono

104
funzioni elementari. Per esempio, se f è una funzione elementare, o se esiste il limite
di f (x) per x che tende a x0 , si ha:

lim log(f (x)) = log lim f (x)


x→x0 x→x0

lim ef (x) = elimx→x0 f (x)


x→x0

lim sin(f (x)) = sin lim f (x)


x→x0 x→x0

lim (f (x)) = ( lim f (x))n


n
x→x0 x→x0

Queste e altre sostituzioni verranno utilizzate nel seguito.

In particolare, se f è una funzione tale che f (x) → 0 per x → x0 , allora il primo


limite notevole vale anche con f (x) al posto di x:
sin f (x)
lim =1 se f (x) → 0 per x → x0
x→x0 f (x)
Analogamente, si possono riscrivere tutti i limiti notevoli sostituendo a x la funzione
f (x), assunto che f (x) → 0, ∞ (valore che dipende dal limite in questione) per x → x0 .

Limiti notevoli riscritti:

1. limx→x0 sin f (x)


f (x)
= 1 se f (x) → 0 per x → x0

2. limx→x0 f (x)2
= 12 se f (x) → 0 per x → x0
1−cos f (x)

( )f
1
3. limx→x0 1 + f (x) (x) = e se f (x) → ∞ per x → x0
( )f
4. limx→x0 1 + k
f (x)
(x) = ek se f (x) → ∞ per x → x0 , per k ̸= 0
ef (x)−1
5. limx→x0 f (x)
= 1 se f (x) → 0 per x → x0

6. limx→x0 ln(1+f (x))


f (x)
= 1 se f (x) → 0 per x → x0
(1+f (x))α −1
7. limx→x0 f (x)
= α se f (x) → 0 per x → x0
f (x)α
8. limx→x0 af (x)
= 0 per ogni α > 0, a > 1 se f (x) → +∞ per x → x0

9. limx→x0 loga f (x)


f (x)α
= 0 per ogni α > 0, a > 1 se f (x) → +∞ per x → x0

10. limx→x0 f (x) ln f (x) = 0 per ogni a > 1 se f (x) → 0+ per x → x0 .

105
Esercizi
1) limx→0 sin 5x
x
= 5 limx→0 sin 5x
5x
=5·1=5

2) limx→0 sin 3x sin 7x


9x2
= limx→0 sin 3x
3x
· sin 7x
7x
· 21
9
=1·1· 7
3
= 7
3

x2
3) limx→0 sin x
= limx→0 x
sin x
·x=1·0=0

x
4) limx→0 (sin x)3
= +∞

5) limx→0 x−ln(1+3x)
3x
= limx→0 x
3x
− limx→0 ln(1+3x)
3x
= 1
3
− 1 = − 23

( x−1 )3x
6) limx→+∞ x+1
= ... = e−6

( ) ( )x 2 ( )2
x2 −4 x2 −4 4 x
7) limx→+∞ x2 ln x2
= limx→+∞ ln x2
= ln limx→+∞ 1 − x2
=
= ln e−4 = −4

( 3
)
8) limx→+∞ x3 ln 1 + x2
= ... = +∞

9) limx→−∞ (x4 − 7)ex ; sostituendo t = −x, si ha: limt→+∞ (t4 − 7)e−t = 0

10) limx→0+ x(ln(3x + x2 ) = limx→0+ x(ln x + ln(3 + x)) =


= limx→0+ x ln x + limx→0+ x ln(3 + x) = 0 + 0 = 0

( )
log(1+3x) sin(2x2 ) sin(2x2 )
11) limx→0 x5 −7x3
= limx→0 log(1+3x)
3x
· 2x2
· 6
x2 −7
=1·1· 6
−7
= − 67

1−cos(x2 )
12) limx→0 x3
= ... = 0

sin
√ x
13) limx→0 x2
non esiste

1−cos x 1
14) limx→0 x2
= ... = 2

(x+1)7 −1
15) limx→0 7x
= ... = 1

106

3x3 +1−1 3
16) limx→0 x3
= ... = 2


1−cos x 1
17) limx→0 7x
= ... = 14

xx −x
18) limx→0+ 1+x2
= ... = 1

107
PARTE 4 CONTINUITA’

4.1 Continuità: prime definizioni

Definizione 161 Sia f : A ⊂ R → R, A aperto e x0 ∈ A. f si dice continua in x0


se
lim f (x) = f (x0 )
x→x0

In altre parole, f è continua in x0 se ∀ϵ > 0 ∃δ > 0 tale che ∀x ∈ (x0 − δ, x0 + δ) ∩ A


si ha |f (x) − f (x0 )| < ϵ.

La definizione di continuità puo’ essere data anche per una funzione definita su un
insieme A qualsiasi. In tal caso, il punto x0 non deve essere un punto isolato di A, si
deve cioè avere x0 ∈ A\Ais .

Osservazione 162 Osserviamo che la definizione è molto simile a quella di limite. La


differenza con la definizione di limite è che qui si ha L = f (x0 ) e non si ha piu’ la
richiesta x ̸= x0 . Infatti il requisito fondamentale per la continuità in un punto è che la
funzione sia definita in quel punto. Se una funzione non è definita in un certo punto,
non si puo’ parlare di continuità (o discontinuità ) in tale punto.

Definizione 163 Sia f : A ⊂ R → R. f si dice continua su A se è continua in ogni


punto di A.

A livello intuitivo, una funzione è continua se per disegnare il suo grafico “non si deve
mai staccare la penna dal foglio”. Questa semplice regola, tuttavia, non è sempre
1
valida. Per esempio, la funzione f (x) = x
, il cui dominio è R\{0}, è continua sul
suo dominio (infatti, 0 non appartiene a Dom(f )!) ma il suo grafico non puo’ essere
disegnato senza mai staccare la penna dal foglio.

4.2 Punti di discontinuità

Se f non è continua in un punto x0 ∈ A, allora è discontinua in x0 . Si hanno due tipi


di discontinuità :

108
1. x0 è una discontinuità eliminabile se limx→x0 f (x) = L ̸= f (x0 ), con L ∈ R;

2. x0 è una discontinuità non eliminabile se limx→x0 f (x) non esiste o esiste infinito.

Esempi 164
{
1 per x ̸= 0
1) f (x) =
0 per x = 0
La funzione è discontinua in x0 = 0, ed è una discontinuità eliminabile. Infatti
limx→0 f (x) = 1, ma f (0) = 0, si potrebbe quindi “eliminare” la discontinuità sempli-
cemente ponendo artificialmente f (0) = 1.
{
e− x
1
per x ̸= 0
2) f (x) =
0 per x = 0
La funzione è discontinua in x0 = 0, ed è una discontinuità non eliminabile. Infatti
limx→0− f (x) = +∞ e limx→0+ f (x) = 0, quindi il limite di f per x che tende a 0 non
esiste (limite destro e limite sinistro esistono ma sono diversi).
{
x+1 per x ≤ 1
3) f (x) =
x − 1 per x > 1
La funzione è discontinua in x0 = 1, ed è una discontinuità non eliminabile. Infatti
limx→1− f (x) = 1 e limx→1+ f (x) = 0, quindi il limite di f per x che tende a 1 non
esiste (limite destro e limite sinistro esistono ma sono diversi).
{
1
x2
per x ̸= 0
4) f (x) =
0 per x = 0
La funzione è discontinua in x0 = 0, ed è una discontinuità non eliminabile. Infatti
limx→0 f (x) = +∞, ma f (0) = 0, quindi, essendo il limite infinito, non è possibile
“eliminare” la discontinuità artificialmente.

Osserviamo che le funzioni e− x e


1 1
x2
di per sè sono continue nel loro dominio (R\{0}):
infatti 0 non appartiene al dominio e non è dunque un punto di discontinuità (ne-
gli esempi 2) e 4) visti sopra, 0 diventa un punto di discontinuità in quanto è stato
“aggiunto” al dominio, definendo la funzione anche in 0). Invece la funzione definita
nell’esempio 3) è un tipico esempio di funzione con “salto” (la definizione di salto di-
venta evidente disegnando il grafico di f e vedendo che in x = 1 il grafico presenta un

109
salto di ampiezza 1).

Vediamo ora un esempio (classico) di funzione non continua in alcun punto del dominio.

Esempio 165 La funzione di Dirichlet.

Sia data la funzione: {


1 x∈Q
y = f (x) =
0 x∈
/Q
Questa funzione, definita su R, non ammette limite in alcun punto di R. Infatti, per
assurdo sia q ∈ Q e sia limx→q f (x) = L. Allora per 0 < ϵ < 1
2
esiste δ > 0 tale che
per x ∈ (q − δ, q + δ), x ̸= q ⇒ |f (x) − L| < ϵ < 12 . Ma, vista la densità di Q in R,
in ogni intorno di q esistono sia punti razionali, che vanno in 1 tramite f , sia punti
1
irrazionali, che vanno in 0 tramite f . Allora L dista meno di 2
sia da 1 sia da 0, che è
assurdo. Quindi, non puo’ essere limx→q f (x) = L e non esiste il limite di f per alcun
punto razionale. Analoga dimostrazione per un punto λ ∈ R\Q.
Siccome il limite non esiste in alcun punto del dominio, la funzione non è continua in
alcun punto del dominio (si puo’ immaginare il grafico della funzione come un grafico
con infiniti salti tra 0 e 1).

Esempio 166

Per quali valori di b la funzione


{
2x + b x≤2
f (x) =
−x2 + 4 x>2

definita in R, è continua?
Bisogna trovare il valore di b (se esiste) per cui si abbia:

lim f (x) = lim+ f (x) = f (2)


x→2− x→2

Si ha:
lim f (x) = 4 + b = f (2)
x→2−

lim f (x) = 0
x→2+

Quindi f è continua in x = 2 (e quindi in tutto il suo dominio) se e solo se 4 + b = 0,


se e solo se b = −4.

110
Esercizi
1) Dire per quale/i valore/i di b la funzione
{
−3x2 + 5 x ≤ 0
f (x) = √ √
x+1− 2x+1
x
+b x>0

definita in R, è continua.
11
(Soluzione: b = 2
.)

2) Dire per quale/i valore/i di b la funzione


{ 2
1−cos x
x3
−1 x<0
f (x) =
3
3x + 2b x≥0

definita in R, è continua.
(Soluzione: b = − 12 .)

3) Dire per quale/i valore/i di b la funzione


{ 1
6x − b 3 x≤2
f (x) =
−x2 + 4 x>2

definita in R, è continua.
(Soluzione: b = 1728.)

4.3 Teoremi sulla continuità

4.3.1 Funzioni continue su un intervallo chiuso [a,b]

Data una funzione f : [a, b] → R, cosa vuol dire che la funzione è continua su [a,b]?
Vuol dire che è continua in ogni punto x ∈ (a, b) secondo la definizione 161, e inoltre è
continua in a e in b, cioè
lim f (x) = f (a)
x→a+

e
lim f (x) = f (b)
x→b−

111
osservando che il limite per x che tende ad a è uguale al limite destro (se questo esi-
ste), e il limite per x che tende a b è uguale al limite sinistro (se questo esiste – vedi
osservazione 134).

Definizione 167 L’insieme delle funzioni continue su [a, b] si denota con C[a, b]. L’in-
sieme delle funzioni continue su A ⊂ R si denota con C(A).

4.3.2 Somma, prodotto, quoziente, composizione di funzioni continue

Un fondamentale teorema, conseguenza diretta del teorema sull’algebra dei limiti, di-
ce che combinazione lineare, prodotto e quoziente di funzioni continue è ancora una
funzione continua.

Teorema 13 Siano f, g funzioni continue su A ⊂ R (cioè f, g ∈ C(A)). Allora

1. αf + βg è continua su A per ogni α, β ∈ R

2. f g è continua su A
f
3. g
è continua su A (se è lecito fare il quoziente)

Dimostrazione
Immediata, applicando il teorema sull’algebra dei limiti.

Anche la funzione composta di funzioni continue è continua, come mostra il seguente


teorema (di cui omettiamo la dimostrazione).

Teorema 14 Siano f e g due funzioni idonee a definire la funzione composta f ◦ g


e sia x0 ∈ Dom(g) tale che g(x0 ) = y0 . Se g è continua in x0 e f è continua in
y0 = g(x0 ), allora f ◦ g è continua in x0 .

Proposizione 168 Le funzioni elementari sono continue nel loro dominio.

I teoremi 13, 14 e la proposizione 168 ci consentono di dire che la somma, il prodotto,


il quoziente e la composizione di funzioni elementari è ancora una funzione continua
nel suo dominio.

112
4.3.3 Teorema di esistenza degli zeri

Il teorema di esistenza degli zeri fa usa del concetto di estremo superiore, o sup, di un
insieme, che è riportato in Appendice. Si basa anche sul teorema di permanenza del
segno per le funzioni continue, qui riportato.

Teorema 15 (Teorema di permanenza del segno) Sia f [a, b] → R continua. Sia


c ∈ (a, b) tale che f (c) > 0. Allora, esiste δ > 0 tale che

f (x) > 0 ∀x ∈ (c − δ, c + δ) ∩ (a, b).

Analogamente, se f (c) < 0,esiste δ > 0 tale che

f (x) < 0 ∀x ∈ (c − δ, c + δ) ∩ (a, b).

In altre parole, se f (c) ̸= 0, esiste un intorno di c, (c − δ, c + δ) dove f assume lo stesso


segno di f (c).

Dimostrazione
Supponiamo f (c) > 0. Siccome f è continua, si ha

lim f (x) = f (c) > 0.


x→c

Per il teorema di permanenza del segno per i limiti, si ha che esiste un intorno di c,
(c − δ, c + δ) tale che

f (x) > 0 ∀x ∈ (c − δ, c + δ) ∩ (a, b), x ̸= c.

Allora, siccome f (c) > 0, la tesi è dimostrata. Se f (c) < 0 la dimostrazione è identica.

Teorema 16 (Teorema di esistenza degli zeri) Sia f [a, b] → R continua. Se f (a)f (b) <
0, allora esiste c ∈ (a, b) tale che f (c) = 0.

Dimostrazione
Supponiamo (senza perdere generalità ) che sia f (a) < 0 e f (b) > 0. Sia

c := sup{x ∈ (a, b) t.c. f (x) < 0} = sup A

con A = {x ∈ (a, b) t.c. f (x) < 0}.


Allora si puo’ facilmente dimostrare che f (c) = 0.
Supponiamo, per assurdo, che sia f (c) > 0. Siccome f è continua, si ha limx→c f (x) =

113
f (c) > 0, e per il teorema di permanenza del segno esiste un intorno I(c) = (c − δ, c + δ)
in cui la f è positiva: ∀x ∈ (c − δ, c + δ) si ha f (x) > 0. Ma allora preso ϵ = δ
2
non
esiste x0 ∈ A tale che x0 > c − ϵ e quindi c non è il sup A. Quindi non puo’ essere
f (c) > 0.
Supponiamo che sia f (c) < 0. Allora, per il teorema di permanenza del segno esiste
un intorno I(c) = (c − δ, c + δ) in cui la f è negativa: ∀x ∈ (c − δ, c + δ) si ha f (x) < 0.
Ma allora c non è un maggiorante di A, in quanto il punto c + δ
2
∈ A ed è c + δ
2
> c.
Quindi c non è il sup A. Quindi non puo’ essere f (c) < 0.
In definitiva, deve essere f (c) = 0.

4.3.4 Teorema dei valori intermedi

Un teorema fondamentale che caratterizza le funzioni continue è che se una funzione è


definita su un intervallo, assume tutti i valori compresi tra il più piccolo e il più grande.
Questo teorema si rivela essenziale per dimostrare il teorema fondamentale del calcolo
integrale.

Teorema 17 (Teorema dei valori intermedi) Sia f (a, b) → R continua, e siano

m = inf f (x) = inf Im(f ) e M = sup f (x) = sup Im(f ).


x∈(a,b) x∈(a,b)

Allora, f assume tutti i valori compresi tra m e M . Cioè , dato z ∈ (m, M ), esiste
c ∈ (a, b) tale che
f (c) = z.

Dimostrazione
Sia z ∈ (m, M ). Siccome z > m, z non è minorante di Im(f ). Siccome z < M , non
è maggiorante di Im(f ). Quindi esistono x1 , x2 ∈ (a, b) tali che f (x1 ) < z < f (x2 ).
Definiamo la funzione
g(x) = f (x) − z.

La funzione g è continua su (a, b) poichè lo è f . Inoltre,

g(x1 ) = f (x1 ) − z < 0 e g(x2 ) = f (x2 ) − z > 0.

Allora g definita su (x1 , x2 ) soddisfa le ipotesi del teorema di esistenza degli zeri e
quindi esiste c ∈ (x1 , x2 ) ⊂ (a, b) tale che

g(c) = 0.

114
Questo equivale a dire che esiste c ∈ (a, b) tale che

f (c) = z.

Nell’importantissimo caso in cui l’estremo inferiore e superiore dell’immagine di


f siano, rispettivamente, il minimo e il massimo dell’immagine di f , l’enunciato del
teorema dei valori intermedi diventa

per ogni z ∈ [m, M ], esiste c ∈ (a, b) tale che f (c) = z.

Questo è il caso in cui f continua sia definita su un intervallo chiuso e limitato [a, b]. In
questo caso si può applicare l’importante teorema di Weierstrass 26 che prova che sotto
certe ipotesi il sup e l’inf dell’insieme immagine sono rispettivamente il max e il min.
Tale centrale Teorema è presentato nel capitolo sull’Ottimizzazione. Si invita pertanto
lo studente a leggere la sezione 6.1 nel capitolo sull’Ottimizzazione e il Teorema di
Weierstrass, prima di studiare il prossimo teorema.

Nel caso di dominio di Dom(f ) = [a, b], il teorema dei valori intermedi diventa l’im-
portante:

Teorema 18 (Teorema di Darboux dei valori intermedi) Sia f : [a, b] → R con-


tinua, e siano

m = min f (x) = min Im(f ) e M = max f (x) = max Im(f ).


x∈(a,b) x∈(a,b)

Allora, f assume tutti i valori compresi tra m e M . Cioè , dato z ∈ [m, M ], esiste
c ∈ [a, b] tale che
f (c) = z.

Dimostrazione
Poichè f è continua su un chiuso limitato, per il teorema di Weierstrass esistono

m = min f (x) = min Im(f ) e M = max f (x) = max Im(f )


x∈(a,b) x∈(a,b)

cioè esistono x1 , x2 ∈ [a, b] tali che

f (x1 ) = m = min Im(f ), f (x2 ) = M = max Im(f ).

115
Sia m < M (altrimenti l’enunciato del teorema diventa banale). Sia z ∈ [m, M ]. Se
z = m si ha c = x1 , se z = M si ha c = x2 . Sia allora z ∈ (m, M ). Senza perdere
generalità supponiamo sia x1 < x2 . Definiamo la funzione

g(x) = f (x) − z.

La funzione g è continua su [a, b] poichè lo è f . Inoltre,

g(x1 ) = f (x1 ) − z = m − z < 0 e g(x2 ) = f (x2 ) − z = M − z > 0.

Allora g definita su [x1 , x2 ] soddisfa le ipotesi del teorema di esistenza degli zeri e quindi
esiste c ∈ [x1 , x2 ] ⊂ [a, b] tale che
g(c) = 0.

Questo equivale a dire che esiste c ∈ [a, b] tale che

f (c) = z.

Questo conclude la dimostrazione. 2

Osservazione 169 Il teorema di Darboux dei valori intermedi ci permette di dire che
per le funzioni continue l’immagine di un intervallo chiuso e limitato è a sua volta un
intervallo chiuso e limitato, che ha come estremi min[a,b] f (x) e max[a,b] f (x). In altre
parole, se f : [a, b] → R è continua, allora, detti

m = min f (x), M = max f (x),


[a,b] [a,b]

si ha
Im(f ) = f ([a, b]) = [m, M ].

116
PARTE 5 DERIVABILITA’

5.1 Derivata: prime definizioni

Consideriamo una funzione f : A ⊂ R → R, A aperto, e un punto x0 ∈ A (oppure


A insieme qualsiasi e x0 punto interno ad A). Al centro dell’analisi matematica sta il
concetto di “variazione” del valore di una funzione al variare del valore della variabile
indipendente, cioè come varia f nel passare dal punto x0 a un generico punto x0 + h.
Cio’ che interessa maggiormente non è la variazione assoluta del valore di f , f (x0 +h)−
f (x0 ), ma la variazione relativa, cioè la variazione di f rapportata alla variazione della
f (x0 +h)−f (x0 )
variabile indipendente, cioè il rapporto h
. Quest’ultimo rapporto, che gioca
un ruolo fondamentale nell’analisi matematica, si chiama “rapporto incrementale” della
funzione.

Definizione 170 Data f : A ⊂ R → R, A aperto e x0 ∈ A, si dice rapporto


incrementale di f a partire dal punto x0 , la quantità:
f (x0 + h) − f (x0 ) ∆f
=
h h

Interpretazione geometrica del rapporto incrementale

Considerando il grafico di f e i due punti del grafico (x0 , f (x0 )) e (x0 + h, f (x0 + h)),
∆f
con considerazioni trigonometriche è facile vedere che il rapporto incrementale h
è la
tangente dell’angolo α formato dalla retta che collega i due punti e la retta orizzontale
(lo si puo’ vedere considerando la retta orizzontale che passa dal punto (x0 , f (x0 )) e il
triangolo rettangolo formato dai due punti menzionati e dal punto (x0 + h, f (x0 ))).

Facendo tendere a 0 l’incremento h della variabile indipendente, il limite del rapporto


incrementale (se esiste) esprime la variazione della funzione per un incremento infini-
tesimo, cioè la sensibilità della funzione a una variazione infinitesima della variabile
indipendente, partendo dal valore iniziale x0 . Questo limite è molto importante nelle
applicazioni, e, se esiste, è detto “derivata prima” della funzione in x0 .

Definizione 171 Data f : A ⊂ R → R, A aperto e x0 ∈ A, se esiste finito il limite


del rapporto incrementale della funzione in x0 , se cioè si ha:

117
f (x0 + h) − f (x0 ) ∆f
lim = lim =L
h→0 h h→0 h
con L ∈ R, allora si dice che la funzione è derivabile in x0 e il valore del limite L è
detto derivata prima di f in x0 . La derivata prima di f in x0 si indica con f ′ (x0 )
oppure con Df (x0 ) oppure con df
|
dx x=x0
.

Interpretazione geometrica della derivata prima

Analogamente a quanto visto prima per l’interpretazione geometrica della derivata


prima, analizzando il grafico della funzione f e osservando il comportamento della
retta che congiunge i punti (x0 , f (x0 )) e (x0 + h, f (x0 + h)), si vede che al tendere di h
a 0 la retta tende alla retta tangente al grafico di f nel punto (x0 , f (x0 )). Si ha quindi
che la derivata prima della funzione in un punto è la tangente dell’angolo α compreso
tra la retta tangente al grafico nel punto (x0 , f (x0 )) e la retta orizzontale. In altre
parole, la derivata prima è il coefficiente angolare della retta tangente al grafico in x0 ,
o la pendenza di tale retta.

Esempio 172

Consideriamo f (x) = x e x0 ∈ R. Calcoliamo la derivata prima (se esiste) in x0 :


f (x0 + h) − f (x0 ) (x0 + h) − (x0 ) h
lim = lim = lim = 1
h→0 h h→0 h h→0 h
La derivata prima di f (x) = x in x0 ∈ R è f ′ (x0 ) = 1 (osserviamo che in effetti la retta
tangente al grafico di f è la retta stessa y = x e il suo coefficiente angolare è 1).

5.1.1 Derivata destra e sinistra

Data una certa funzione, potrebbe non esistere la derivata prima della funzione in un
punto, ma potrebbe esistere il limite del rapporto incrementale destro e il limite del
rapporto incrementale sinistro. In tal caso (analogamente a quanto già visto per limite
destro e sinistro) si parla di derivata destra e derivata sinistra.

Definizione 173 Data f : A ⊂ R → R, A aperto e x0 ∈ A, se esiste finito il limite


destro del rapporto incrementale della funzione in x0 , se cioè si ha:

f (x0 + h) − f (x0 ) ∆f
lim+ = lim+ =L
h→0 h h→0 h

118
con L ∈ R, allora si dice che la funzione è derivabile a destra in x0 e il valore del
limite L è detto derivata destra di f in x0 . La derivata destra di f in x0 si indica con
f+′ (x0 ) o con D+ f (x0 ).

Facendo tendere h a 0− , si ha un’analoga definizione per la derivata sinistra di f in x0 ,


che si indica con f−′ (x0 ) o con D− f (x0 ).

Usando la definizione di derivata è facilmente dimostrabile il teorema:

Teorema 19 Data f : A ⊂ R → R, A aperto e x0 ∈ A. La funzione è derivabile in


x0 ∈ A se e solo se esistono la derivata destra e sinistra di f in x0 e coincidono, e in
tal caso si ha:
D− f (x0 ) = D+ f (x0 ) = Df (x0 )

Esempio 174

Consideriamo f (x) = |x|. Calcoliamo derivata destra e sinistra di f in x0 = 0. La


funzione è {
x x≥0
f (x) =
−x x<0
La derivata destra è
f (x0 + h) − f (x0 ) (h) − (0) h
D+ f (x0 ) = lim+ = lim+ = lim+ = 1
h→0 h h→0 h h→0 h

(osserviamo che in effetti la retta tangente al grafico di f a destra di 0 è la retta y = x


e il suo coefficiente angolare è 1).
La derivata sinistra è
f (x0 + h) − f (x0 ) (−h) − (0) −h
D− f (x0 ) = lim− = lim− = lim− = −1
h→0 h h→0 h h→0 h
(osserviamo che in effetti la retta tangente al grafico di f a sinistra di 0 è la retta
y = −x e il suo coefficiente angolare è −1).
La derivata destra e sinistra sono diverse e, in seguito al teorema visto, la funzione non
è derivabile in x0 = 0.

5.1.2 Derivate di funzioni elementari

E’ possibile dimostrare che le derivate delle funzioni elementari sono:

119
1. f (x) = c ⇒ f ′ (x) = 0

2. f (x) = xα ⇒ f ′ (x) = (xα )′ = αxα−1

3. f (x) = ax ⇒ f ′ (x) = (ax )′ = ax ln a, per a = e, (ex )′ = ex

4. f (x) = loga x ⇒ f ′ (x) = (loga x)′ = 1


x ln a
, per a = e, (ln x)′ = 1
x

5. f (x) = sin x ⇒ f ′ (x) = (sin x)′ = cos x

6. f (x) = cos x ⇒ f ′ (x) = (cos x)′ = − sin x

5.2 Derivabilità e continuità

Che legame c’è tra una funzione derivabile e una funzione continua? La risposta di-
pende da dove è definita la funzione, se è definita su sottoinsiemi di R oppure su
sottoinsiemi di Rn con n > 2. Qui consideriamo solo funzioni definite su sottoinsiemi
di R, e menzioniamo appena il fatto che la risposta non è la stessa per funzioni definite
su Rn con n > 2. Per funzioni definite su R (o suoi sottoinsiemi), derivabilità inmplica
continuità ma non vale il viceversa. Esiste l’importante teorema:

Teorema 20 Sia f : A ⊂ R → R, e sia x0 ∈ A. Se f è derivabile in x0 , allora è


continua in x0 .

Dimostrazione
Bisogna dimostrare che
lim f (x) = f (x0 )
x→x0

Siccome f è derivabile in R, esiste finito e pari a f ′ (x0 ) il limite del rapporto incre-
mentale:
f (x0 + h) − f (x0 )
lim = f ′ (x0 )
h→0 h
Riscriviamo il limite ponendo x = x0 + h e quindi h = x − x0 , e osservando che per h
che tende a 0 si ha che x tende a x0 :
f (x) − f (x0 )
lim = f ′ (x0 )
x→x0 x − x0
Si ha quindi:
f (x) − f (x0 )
lim (f (x) − f (x0 )) = lim (x − x0 ) =
x→x0 x→x0 x − x0

120
f (x) − f (x0 )
= lim lim (x − x0 ) = f ′ (x0 ) lim (x − x0 ) = f ′ (x0 ) · 0 = 0
x→x0 x − x0 x→x0 x→x0

dove l’ultima eguaglianza deriva dal fatto che f ′ (x0 ) esiste ed è finito. Si è percio’
dimostrato che
lim (f (x) − f (x0 )) = 0
x→x0

D’altra parte si ha:

0 = lim (f (x) − f (x0 )) = lim f (x) − lim f (x0 ) = lim f (x) − f (x0 )
x→x0 x→x0 x→x0 x→x0

cioè
lim f (x) = f (x0 )
x→x0

Osservazione 175 Abbiamo visto che se una funzione derivabile, essa è continua, ma
non vale il viceversa. Infatti, per esempio f (x) = |x| in x0 = 0 è continua ma non
derivabile (vedi esempio 174).

5.3 Regole di derivazione

Se si conosce la derivata di due funzioni in un punto, è possibile calcolare la derivata


della somma, del prodotto e del quoziente di funzioni applicando opportune regole.

Terminologia

Date due funzioni f e g, somma prodotto e quoziente si denotano nel seguente sintetico
modo:
( )
f f (x)
(f + g)(x) = f (x) + g(x); (f g)(x) = f (x)g(x); (x) = .
g g(x)

Teorema 21 (Regole di derivazione) Siano f e g due funzioni derivabili in x. Al-


f
lora lo sono f + g, f g e g
e si ha:

1. (f + g)′ (x) = f ′ (x) + g ′ (x)

2. (f g)′ (x) = f ′ (x)g(x) + f (x)g ′ (x)

121
( )′
f f ′ (x)g(x)−f (x)g ′ (x)
3. g
(x) = (g(x))2
(assumendo che in un intorno di x, g sia diversa da
0).

Dimostrazione

1. (f + g)′ (x) = limh→0 (f +g)(x+h)−(f +g)(x)


h
= limh→0 f (x+h)+g(x+h)−f
h
(x)−g(x)
=
f (x+h)−f (x)+g(x+h)−g(x) f (x+h)−f (x) g(x+h)−g(x)
= limh→0 h
= limh→0 h
+ limh→0 h
=
′ ′
= f (x) + g (x)

2. (f g)′ (x) = limh→0 (f g)(x+h)−(f g)(x)


h
= limh→0 f (x+h)g(x+h)−f
h
(x)g(x)
=
f (x+h)g(x+h)−f (x)g(x+h)+f (x)g(x+h)−f (x)g(x)
= limh→0 h
=
= limh→0 g(x + h) f (x+h)−fh
(x)
+ limh→0 f (x) g(x+h)−g(x)
h
=
= limh→0 g(x + h) limh→0 f (x+h)−f h
(x)
+ f (x) limh→0 g(x+h)−g(x)
h
=
= g(x)f ′ (x) + f (x)g (x). ′

Qui si è usato il fatto (vedi teorema 20) che una funzione derivabile è anche
continua e percio’ g(x + h) tende a g(x) per h che tende a 0.
( )′
g ′ (x)
3. Si dimostra che g1 (x) = − (g(x)) 2 e poi si applica la regola della derivata di

prodotto di funzioni (punto 2 sopra) al prodotto di funzioni f · 1


g
= fg .

( )′ 1
− g(x)
1
1 ( g1 )(x+h)−( g1 )(x)) g(x+h) g(x)−g(x+h)
(x) = limh→0 = limh→0 = limh→0 =
g h
(
h
)
hg(x+h)g(x)

−(g(x+h)−g(x))
= 1
g(x)
limh→0 1
g(x+h)
limh→0 h
= 1
(g(x))2
− limh→0 g(x+h)−g(x)
h
= − (g(x))
g (x)
2

Si ha ora:

( )′ ( )′ ( ) ( )′
f ′ (x) f (x)g ′ (x)
f
g
(x) = f · g1 (x) = f ′ (x) g1 (x) + f (x) g1 (x) = g(x)
− (g(x))2
=

f ′ (x)g(x)−f (x)g ′ (x)


= (g(x))2
.

Dal teorema si deduce che anche αf + βg (con α, β ∈ R) è derivabile, e si ha:

(αf + βg)′ (x) = αf ′ (x) + βg ′ (x)

(basta considerare le costanti α e β come due funzioni, applicare la derivata del pro-
dotto di funzioni e ricordare che la derivata di una costante è 0).

122
Forniti delle regole di derivazione viste al teorema 21 e considerando le derivate delle
funzioni elementari, è possibile calcolare la derivata di molte funzioni.

Esempi 176 Data la funzione h(x), calcolare h′ (x).

1) h(x) = 7x
Si puo’ vedere h come h(x) = fg(x)
. (x)
, con f (x) = 7x e g(x) = 3x − 2. La
3x−2
( )′ ′ g′
derivata di un quoziente è fg = f g−f
g2
, quindi restano da calcolare f ′ (x) e g ′ (x). Si
ha f ′ (x) = 7 e g ′ (x) = 3. Quindi h′ (x) = 7(3x−2)−3(7x)
(3x−2)2
= − (3x−2)
14
2

2) h(x) = (2x2 + 9)ex . Si puo’ vedere h come h(x) = f (x)g(x), con f (x) = (2x2 + 9) e
g(x) = ex . La derivata di un prodotto è (f g)′ = f ′ g + f g ′ , quindi restano da calcolare
f ′ (x) e g ′ (x). Si ha f ′ (x) = 4x e g ′ (x) = ex . Quindi h′ (x) = 4xex + (2x2 + 9)ex =
= ex (2x2 + 4x + 9)

√3
3) h(x) = 5 4.
x
Si puo’ vedere h come un quoziente, ma è piu’ facile scriverlo nel
seguente modo: 3x− 5 . Quindi h′ (x) = − 54 3x− 5 = − 5 √
4 12 9
5 9
x

5.3.1 Derivata di funzione composta

Per la derivata di funzione composta vale la seguente regola:

Teorema 22 Se g è derivabile in x e f è derivabile in g(x), allora f ◦ g è derivabile


in x e si ha:
(f ◦ g)′ (x) = f ′ (g(x))g ′ (x)

Esempi importanti
Gran parte delle derivate di funzioni composte si possono ricondurre ai seguenti casi:

1. D(xα ) = αxα−1 ⇒ D(f (x)α ) = αf (x)α−1 f ′ (x)

2. D(ex ) = ex ⇒ D(ef (x) ) = ef (x) f ′ (x)


f ′ (x)
3. D(ln x) = 1
x
⇒ D(ln(f (x))) = 1
f (x)
f ′ (x) = f (x)

4. D(sin x) = cos x ⇒ D(sin f (x)) = cos f (x)f ′ (x)

5. D(cos x) = − sin x ⇒ D(cos f (x)) = − sin f (x)f ′ (x)

123
Esempi 177 Data la funzione h(x), calcolare h′ (x).

1) h(x) = (1 − cos x)esin x = f (x)g(x) con f (x) = (1 − cos x) e g(x) = esin x . Si ha:
h′ = f ′ g + g ′ f . Calcoliamo f ′ e g ′ . f ′ (x) = sin x, g ′ (x) = esin x (sin x)′ = esin x cos x
(applicando la (2) sopra). Quindi h′ (x) = esin x (sin x + cos x − (cos x)2 )

3 −9 3 −9
. Si ha: f ′ (x) = ex
3 −9 3 −9
2) h(x) = ln(1+ex ) = ln(f (x)), dove f (x) = 1+ex (ex )′ =
3
3 −9 3x2 ex −9
ex 3x2 . Quindi: h′ (x) = 1+ex3 −9
=

3) h(x) = x sin x + e1−x = f (x)g(x) + em(x) con f (x) = x, g(x) = sin x, m(x) = 1 − x2 .
2

Si ha: h′ = f ′ g + g ′ f + m′ em e bisogna calcolare f ′ , g ′ e m′ . Si ha: f ′ (x) = 1, g ′ (x) =


cos x, m′ (x) = e1−x (−2x), quindi: h′ (x) = sin x + x cos x − 2xe1−x .
2 2


3x2 + 12 = (3x2 + 12) 2 = f (x) 2 . Si ha: h(x)′ = f (x) 2 −1 f ′ (x)
1 1 1 1
4) h(x) = 2
=

1 − 12 √ 3x ′ ′ √6 6
2
(3x2 + 12) (6x) = 3x2 +12
. Calcolare h (2). Si ha: h (2) = 24
= 2
.

( x+2 ) f′
5) h(x) = ln x−1
= ln f (x), con f (x) = x+2
x−1
. Si ha: h′ = f
, e bisogna calcolare
−3 −3 x−1 −3
f ′ . Si ha: f ′ (x) = 1(x−1)−1(x+2)
(x−1)2
= (x−1)2
, quindi h′ (x) = (x−1)2 x+2
= (x−1)(x+2) .

ln(x+2)
f (x)
6) h(x) = xg(x)
=
con f (x) = ln(x + 2) e g(x) = x. Applicando la derivata di
′ ′
g′
quoziente si ha: h′ = f g−f g2
e bisogna calcolare f ′ e g ′ . f ′ (x) = (x+2)
x+2
1
= x+2 , g ′ (x) = 1.
x
−ln(x+2)
Si ha quindi: h′ (x) = x+2 x2 .

√ √ 1
7) h(x) = e2x 1 − 4x = f (x)g(x) con f (x) = e2x e g(x) = 1 − 4x = (1 − 4x) 2 .
−2
Si ha: h′ = f ′ g + g ′ f . Si ha: f ′ (x) = 2e2x e g ′ (x) = 21 (1 − 4x)− 2 (−4) = √1−4x
1
, quin-
√ √
di: h′ (x) = 2e2x 1 − 4x − √2e ). Calcolare h′ (0). Si ha:
2x

1−4x
= 2e2x ( 1 − 4x − √1−4x 1

h′ (0) = 2(1 − 1) = 0.

1
f ′ g−g ′ f
con f (x) = e x e g(x) = x − 2. Si ha h′ =
ex f (x) 1
8) h(x) = x−2
= g(x) g2
e bisogna
calcolare f ′ e g ′ . Si ha: f (x) = em(x) , quindi f ′ (x) = em(x) m′ (x) = e x ( x )′ = − x12 e x e
1 1 1

1 1
− e (x−2)−e− x
1 x 1
−e x (x−2+x2 )
1
−e x (x+2)(x−1)
g ′ (x) = 1. Percio’ si ha: h′ (x) = x2
(x−2)2
= x2 (x−2)2
= x2 (x−2)2
.

9) h(x) = sin 3x cos x ⇒ h′ (x) = 3 cos 3x cos x − sin 3x sin x

124
√ √
10) h(x) = 1−x
x
⇒ h′ (x) = − 2x12 x
1−x

11) h(x) = xesin x ⇒ h′ (x) = esin x (1 + x cos x)

12) h(x) = 5 ln(sin x) ⇒ h′ (x) = 5 cos x


sin x

13) h(x) = − cos x


sin x
+ 4 ⇒ h′ (x) = 1
(sin x)2

sin x
−cos x ln x
14) h(x) = 2 − sin x
ln x
⇒ h′ (x) = x
(ln x)2

5.4 Differenziabilità e differenziale

Definizione 178 Sia f : A ⊂ R → R e x0 ∈ A, punto interno ad A. Si dice che f è


differenziabile in x0 se esiste un numero a ∈ R tale che :
f (x0 + h) − f (x0 ) − ah
lim =0
h→0 h

Osservazione 179 Ricordando la definizione di “o piccolo” (vedi definizione 155), si


vede che f è differenziabile in x0 se f (x0 + h) − f (x0 ) − ah = o(h) per h → 0, ossia
se f (x0 + h) = f (x0 ) + ah + o(h) (molti testi adottano questa come definizione di
differenziabilità in un punto).

Cosa vuol dire che f è differenziabile in un punto interno al dominio? Vuol dire che
se l’incremento della variabile indipendente h è abbastanza piccolo, l’incremento della
funzione ∆f = f (x0 + h) − f (x0 ) puo’ essere “approssimato abbastanza bene” dalla
quantità ah. Infatti, ∆f − ah → 0 per h → 0 (osserviamo infatti che se la frazione
∆f −ah
h
→ 0 per h → 0 il numeratore deve per forza tendere a 0 per h → 0, e tende a
0 piu’ velocemente di h). Per valori grandi di h l’approssimazione di ∆f ∼ ah non va
bene, funziona solo per valori piccoli di h.

125
Definizione 180 La funzione da R in R che associa ad ogni h ∈ R la quantità ah
che compare nella definizione di differenziabilità viene chiamata differenziale di f in
x0 e viene indicata con df (x0 ) (o semplicemente df ). In altre parole, il differenziale di
f in x0 è la funzione df (x0 ) : R → R data da df (x0 ) = ah.

Che relazione c’è tra derivabilità e differenziabilità ? Per funzioni da Rn in R con


n > 1, il concetto di differenziabilità è piu’ forte di quello di derivabilità, ma non è
questa la sede per approfondire questa affermazione. Invece, per funzioni da R in R
differenziabilità e derivabilità sono equivalenti. Si ha dunque il seguente importante
teorema:

Teorema 23 Sia f : A ⊂ R → R e x0 ∈ A, punto interno ad A. Si ha che f è


differenziabile in x0 se e solo se f è derivabile in x0 . In tal caso, a = f ′ (x0 ).

Dimostrazione
Dim. di (⇒)
Dimostriamo che se f è differenziabile in x0 allora è derivabile in x0 .
f differenziabile in x0 ⇒ ∃a ∈ R tale che limh→0 f (x0 +h)−f h
(x0 )−ah
= 0. Allora:
( )
f (x0 + h) − f (x0 ) − ah f (x0 + h) − f (x0 ) ah
0 = lim = lim − =
h→0 h h→0 h h
f (x0 + h) − f (x0 ) ah f (x0 + h) − f (x0 )
= lim − lim = lim −a
h→0 h h→0 h h→0 h
cioè
f (x0 + h) − f (x0 )
lim = a ∈ R,
h→0 h
cioè f è derivabile in x0 e si ha f ′ (x0 ) = a.

Dim. di (⇐)
Dimostriamo che se f è derivabile in x0 allora è differenziabile in x0 .
f derivabile in x0 ⇒ limh→0 f (x0 +h)−f (x0 )
h
= f ′ (x0 ), con f ′ (x0 ) ∈ R. Allora:

f (x0 + h) − f (x0 ) f (x0 + h) − f (x0 ) f ′ (x0 )h


0 = lim − f ′ (x0 ) = lim − lim =
h→0 h h→0 h h→0 h
( )
f (x0 + h) − f (x0 ) f ′ (x0 )h f (x0 + h) − f (x0 ) − f ′ (x0 )h
= lim − = lim
h→0 h h h→0 h

126
cioè esiste a ∈ R tale che
f (x0 + h) − f (x0 ) − ah
lim =0
h→0 h
con a = f ′ (x0 ).

5.4.1 Importanza del differenziale come strumento di approssimazione

Per il teorema 23, si ha:


df (x0 ) = f ′ (x0 )h ∀h∈R

Richiamando il concetto di approssimazione di incremento ∆f con df (x0 ) si puo’


scrivere:
∆f (x0 ) ∼ f ′ (x0 )h

o anche:
∆f = f (x0 + h) − f (x0 ) = f ′ (x0 )h + o(h)

Da quest’ultima equazione, si vede come l’incremento ∆f = f (x0 + h) − f (x0 ) possa


essere approssimato abbastanza bene, per h “piccolo”, da una funzione lineare in h.
Sostituendo il punto x0 + h con un generico punto x, e l’incremento h con x − x0 , si ha:

∆f = f (x) − f (x0 ) = f ′ (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 )

o anche
f (x) = f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) + o(x − x0 )

e si vede quindi che la funzione stessa, in un intorno abbastanza piccolo di x0 , possa


essere approssimata dalla retta f (x0 ) + f ′ (x0 )(x − x0 ) (la differenza essendo un “o pic-
colo” di x − x0 , cioè andando a 0 per x che tende a x0 ).

L’importanza di tale approssimazione sta nel fatto che la funzione f puo’ essere di
per se’ molto complicata ma, sotto certe condizioni, puo’ essere approssimata da una
semplice retta. Non solo, sotto certe condizioni che vedremo, la funzione (o l’incremen-
to della funzione) puo’ essere approssimato ancora meglio da un polinomio di grado
n in x, il cosiddetto polinomio di Taylor (vedremo che il differenziale risulta essere il
polinomio di Taylor con n = 1). Per introdurre il polinomio di Taylor, occorre prima
introdurre le derivate di ordine superiore al primo.

127
5.5 Derivate di ordine superiore

Data f : A ⊂ R → R, se f è derivabile in ogni x ∈ B ⊂ A, allora la relazione che


a ogni x di B associa il valore della derivata prima di f in x risulta essa stessa una
funzione da B in R e si denota con f ′ :

f′ : B ⊂ R → R
f ′ : x → f ′ (x)

Se la funzione f ′ si puo’ derivare e se la sua derivata esiste su C ⊂ B, allora risulta


definita un’altra funzione che associa a ogni x di C il valore della derivata seconda di
f in x, detta derivata seconda di f e denotata con f ′′ .

f ′′ : C ⊂ R → R
f ′′ : x → f ′′ (x)

Iterando il procedimento di derivazione, si possono ottenere le funzioni derivate di f


di ordine n ≥ 1, che si indica con f (n) .

Notazione

Ci sono vari modi per denotare la derivata seconda:


d2 f
f ′′ = (f ′ )′ o D2 (f ) = D(D(f )) o dx2
df 2
= ( dx ) = d df
( ).
dx dx
Analogamente, la derivata di ordine n si denota con
dn f d dn−1 f
f (n) = (f (n−1) )′ o Dn (f ) = D(Dn−1 (f )) o dxn
df n
= ( dx ) = (
dx dxn−1
).

Esempi 181 Data f (x), calcolare, se esistono, f ′ (x), f ′′ (x) e f ′′′ (x).

1) f (x) = ln x; f ′ (x) = x1 , f ′′ (x) = − x12 , f ′′′ (x) = 2


x3
.

2) f (x) = e7x ; f ′ (x) = 7e7x , f ′′ (x) = 49e7x , f ′′′ (x) = 336e7x .

3) f (x) = xex ; f ′ (x) = ex + xex , f ′′ (x) = 2ex + xex , f ′′′ (x) = 3ex + xex .

4) f (x) = 8x5 − 3x3 + x + 2; f ′ (x) = 40x4 − 9x2 + 1, f ′′ (x) = 160x3 − 18x,


f ′′′ (x) = 480x2 − 18.

128
ex (x−2) ex (x2 −4x+6) ex (x3 −6x2 +18x−24
5) f (x) = ex
3x2
; f ′ (x) = 3x3
, f ′′ (x) = 3x4
, f ′′′ (x) = 3x5
).

5.6 Polinomio di Taylor

Supponiamo che una funzione f : A → R in un intorno di un punto x0 ∈ A, punto inter-


no, sia dotata di derivate successive fino all’ordine n−1 e in x0 sia dotata della derivata
di ordine n, cioè supponiamo che esistano f ′ (x), f ′′ (x), ..., f (n−1) (x) in un intorno U (x0 )
di x0 e che inoltre esista f (n) (x0 ). Allora nell’intorno U (x0 ) di x0 è possibile approssi-
mare la funzione (e quindi anche l’incremento della funzione ∆f = f (x0 + h) − f (x0 ))
tramite un polinomio di ordine n.

Teorema 24 Sia f derivabile n − 1 volte in un intorno U (x0 ) di x0 e sia derivabile


n volte in x0 . Allora per ogni punto x = x0 + h ∈ U (x0 ) vale il seguente sviluppo in
formula di Taylor:

n
f (k) (x0 )
f (x0 + h) = hk + o(hn ) (5.1)
k=0
k!
∑n f (k) (x0 ) k
(dove si intende f (0) (x0 ) = f (x0 ) ). Il polinomio k=0 k!
h è detto polinomio
di Taylor di grado n o “arrestato all’odine n” e la formula 5.1 è detta formula di
Taylor.

(Ricordiamo che è n! = 1 · 2 · 3 · ..... · (n − 1) · n).

E’ usuale sostituire il punto x0 +h con il punto x e l’incremento h con x−x0 . Riscriven-


do la formula di Taylor con tale sostituzione si ha l’equivalente (e forse piu’ utilizzata)
formulazione:

n
f (k) (x0 )
f (x) = (x − x0 )k + o((x − x0 )n ) (5.2)
k=0
k!
Osserviamo che il polinomio di Taylor nella forma data dalla formula 5.2 è un polino-
mio in x di ordine n. E’ inoltre facile vedere che in un intorno di x0 , cioè per x che
tende a x0 , la funzione è approssimabile mediante un polinomio in x di ordine n (che
è il polinomio di Taylor). Infatti, la differenza tra f (x) e il polinomio di Taylor è un
infinitesimo per x → x0 e va a 0 piu’ velocemente di (x − x0 )n :

129
∑n f (k) (x0 )
f (x) − k=0 k!
(x − x0 )k o((x − x0 )n )
lim = lim =0
x→x0 (x − x0 )n x→x0 (x − x0 )n

L’importanza del polinomio di Taylor è evidente: piu’ ci si avvicina a x0 e migliore


è l’approssimazione di f con un semplice polinomio (in quanto la distanza tra le due
funzioni va a 0 molto rapidamente). Questo risulta di grande utilità applicativa, in
quanto permette sotto certe condizioni di approssimare funzioni complesse con semplici
polinomi. Naturalmente vi è un ovvio trade-off tra la bontà dell’approssimazione e la
semplicità dell’approssimante. Infatti, tanto piu’ alto è il grado, tanto piu’ complicato
il polinomio di Taylor (partendo da n = 1 con una semplice retta, si va al crescere di n
verso polinomi sempre piu’ complicati); d’altra parte migliore diventa via via anche la
qualita’ dell’approssimazione, quando si aumenta il grado del polinomio. Questo trade-
off si risolve a seconda dell’applicazione che si ha in mente, scegliendo un opportuno
grado di approssimazione.

Osservazione 182

Osserviamo che l’approssimazione dell’incremento della funzione nell’intorno del punto


x0 assume la seguente forma:
1 ′′ 1
∆f = f (x0 + h) − f (x0 ) = f ′ (x0 )h + f (x0 )h2 + ... + f (n) (x0 )hn + o(hn )
2! n!
e se si sceglie n = 1 si ottiene esattamente l’approssimazione del differenziale già vista.

Esempi 183

1) Scrivere la formula di Taylor arrestata al III ordine di f (x) = x4 − 3x3 in x0 = 1,


indicando il resto.
Applicando la (5.2) si ha:
f (x) = f (1) + f ′ (1)(x − 1) + 21 f ′′ (1)(x − 1)2 + 3!1 f ′′′ (1)(x − 1)3 + o((x − 1)3 ).
f (x) = x4 − 3x3 ⇒ f (1) = 1 − 3 = −2
f ′ (x) = 4x3 − 9x2 ⇒ f ′ (1) = 4 − 9 = −5
f ′′ (x) = 12x2 − 18x ⇒ f ′′ (1) = 12 − 18 = −6
f ′′′ (x) = 24x − 18 ⇒ f ′′′ (1) = 24 − 18 = 6
Quindi:
f (x) = −2 + (−5)(x − 1) + 12 (−6)(x − 1)2 + 61 6(x − 1)3 + o((x − 1)3 ) =

130
= −2 − 5(x − 1) − 3(x − 1)2 + (x − 1)3 + o((x − 1)3 )

2) Scrivere la formula di Taylor arrestata al II ordine di f (x) = ln(x3 +1)−3 sin x+40x2
in x0 = 0, indicando il resto.
Applicando la (5.2) si ha:
f (x) = f (0) + f ′ (0)x + 12 f ′′ (0)x2 + o(x2 ).
f (x) = ln(x3 + 1) − 3 sin x + 40x2 ⇒ f (0) = 0 − 0 + 0 = 0
f ′ (x) = 3x2
x3 +1
− 3 cos x + 80x ⇒ f ′ (0) = 0 − 3 + 0 = −3
f ′′ (x) = −3x + 3 sin x + 80 ⇒ f ′′ (0)
4 +6x
(x3 +1)2
= 80
Quindi:
f (x) = −3x + 40x2 + o(x2 )

3) Scrivere la formula di Taylor arrestata al III ordine di f (x) = e−x (ln(1 + x) − 1) + 1


in x0 = 3, indicando il resto.
Si ottiene:
f (x) = ln 4−1
e3
+1+ 5−4 ln 4
4e3
(x − 3) + 16 ln 4−25
32e3
(x − 3)2 + 63−32 ln 4
192e3
(x − 3)3 + o((x − 3)3 )

131
PARTE 6 OTTIMIZZAZIONE ELEMENTARE

6.1 Definizioni di massimo e minimo di funzione

Data una funzione f : A ⊂ R → R uno dei principali problemi della Matematica


(applicata e non) consite nel trovare, se esistono, il massimo e il minimo della funzione
su A. In cosa consistono il massimo e e il minimo di f su A? Ricordiamo che l’insieme
Immagine di f , Imf , è un sottoinsieme di R, e quindi potrebbe possedere massimo e
minimo. In tal caso, il valore massimo di Imf è il massimo di f su A e il valore minimo
di Imf è il minimo di f su A. In altre parole, il massimo di f su A, se esiste, è quel
valore M ∈ R tale che

M = max Im(f ) = max f (A) = max f (x).


x∈A

Analogamente, il minimo di f su A è , se esiste, il minimo dell’insieme immagine di f ,


Im(f ). In altre parole, il minimo di f su A, se esiste, è quel valore m ∈ R tale che

m = min Im(f ) = min f (A) = min f (x).


x∈A

Se f possiede massimo M su A, un punto di massimo è definito come un punto x0 ∈ A


tale che f (x0 ) = M . Analogamente, Se f possiede minimo m su A, un punto di minimo
è definito come un punto x0 ∈ A tale che f (x0 ) = m.

Chiaramente, se esiste, il massimo di f su A è unico, e, se esiste, il minimo di f


su A è unico. Viceversa, il punto di massimo e il punto di minimo non devono necessa-
riamente essere unici, anzi in generale non lo sono. Si prenda per esempio f : R → R
definita da f (x) = sin x. Poichè Imf = [−1, 1], l’unico massimo di f su R è M = 1 e
l’unico minimo di f su R è m = −1. Tuttavia ci sono infiniti punti di massimo (tutti
punti del tipo x = π
2
+ 2kπ con k ∈ Z) e infiniti punti di minimo (tutti punti del tipo
x = − π2 + 2kπ con k ∈ Z).

E’ altresi’ rilevante il dominio di definizione della funzione f per l’individuazione di


massimi e minimi. Infatti mentre la funzione

f :R→R
(6.1)
f (x) = x

132
non possiede massimi e minimi su R, la funzione

f : [0, 1] → R
(6.2)
f (x) = x
possiede massimo M = 1 e minimo m = 0 su [0, 1].

E’ chiaro che se x0 punto di massimo, allora f (x0 ) ≥ f (x) per ogni x ∈ A. Ana-
logamente, se x0 punto di minimo, allora f (x0 ) ≥ f (x) per ogni x ∈ A. Questo si
formalizza parlando di punto di massimo (minimo) globale, nel senso che la disugua-
glianza vale per tutti i punti x del dominio.
Formalizzando, le definizioni di massimo e minimo di funzione sono:

Definizione 184 Data f : A ⊂ R → R, il punto x0 ∈ A si dice punto di massimo


globale (o assoluto) per f su A se:

f (x0 ) ≥ f (x) ∀x ∈ A;

si dice punto di minimo globale (o assoluto) per f su A se:

f (x0 ) ≤ f (x) ∀x ∈ A.

Non tutte le funzioni su un certo dominio posseggono massimo o minimo globale.


Data una funzione è spesso utile sapere se tale funzione possiede massimo o minimo.
Il teorema di Weierstrass, centrale nell’Analisi Matematica, fornisce una condizione
sufficiente per l’esistenza di massimo e minimo di una funzione.

Teorema 25 (Weierstrass) Sia f : [a, b] → R funzione continua su [a, b]. Allora f


ammette massimo e minimo su [a, b], cioè esistono x0 , x1 ∈ [a, b] tali che

f (x0 ) = min f (x) e f (x1 ) = max f (x).


x∈[a,b] x∈[a,b]

Il teorema, enunciato per funzioni definite su R, vale in realtà anche per funzioni
definite su Rn , modificando in modo opportuno il concetto di intervallo chiuso e limitato
[a, b]:

Teorema 26 (Weierstrass) Sia f : C ⊂ Rn → R funzione continua su C, dove C è


chiuso e limitatano (cioè compatto). Allora f ammette massimo e minimo su C, cioè
esistono x0 , x1 ∈ C tali che

f (x0 ) = min f (x) e f (x1 ) = max f (x).


x∈C x∈C

133
Il Teorema di Weierstrass è largamente usato nelle dimostrazioni dell’Analisi matema-
tica. Una prima applicazione è la riscrittura del teorema dei valori intermedi per una
funzione f continua definita su un intervallo chiuso e limitato [a, b] che abbiamo visto
nel capitolo sulle funzioni continue.

Il Teorema di Weierstrass indica l’esistenza di massimi e minimi, ma non fornisce


alcuna metodologia per la ricerca degli stessi. In generale la ricerca di massimi (mini-
mi) globali può presentare difficoltà . Se si indebolisce la nozione di massimo e minimo
globale, e si ipotizza che la proprietà valga solo a livello locale, si possono avere me-
todologie di ricerca di massimi e minimi. Si introducono quindi i massimi e minimi
locali come segue. L’aggettivo “globale” o “assoluto” della definizione 184 implica che
la proprietà di massimo o minimo vale in tutto il dominio di f . Se invece la proprietà
di massimo o minimo vale soltanto a livello “locale”, cioè in un intorno del punto x0
si ha la definizione di massimo o minimo locale o relativo (che non è però il massimo
–minimo– di funzione definito come massimo –minimo– dell’insieme immagine):

Definizione 185 Data f : A ⊂ R → R, il punto x0 ∈ A si dice punto di massimo


locale (o relativo) per f su A se esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che:

f (x0 ) ≥ f (x) ∀x ∈ U (x0 ) ∩ A;

si dice punto di minimo locale (o relativo) per f su A se esiste un intorno U (x0 )


di x0 tale che:
f (x0 ) ≤ f (x) ∀x ∈ U (x0 ) ∩ A.

Le definizioni 184 e 185 hanno i segni di disuguaglianza debole, ammettono cioè che
vi siano punti di A o dell’intorno U (x0 ) ∩ A in cui la funzione assuma lo stesso valore
massimo o minimo. Se tale possibilità viene esclusa, se cioè il massimo o minimo è
unico (almeno in un suo intorno), si hanno i punti di massimo o minimo “forti” o
“stretti”. Le definizioni sono quasi uguali a quelle date, l’unica cosa che cambia è che
si hanno disuguaglianze strette e si deve porre x ̸= x0 (poichè è evidente che non si
puo’ avere f (x0 ) > f (x0 ) o f (x0 ) < f (x0 )).

Definizione 186 Data f : A → R, si ha:


x0 è punto di massimo forte assoluto per f su A se

f (x0 ) > f (x) ∀x ∈ A, x ̸= x0

134
x0 è punto di minimo forte assoluto per f su A se

f (x0 ) < f (x) ∀x ∈ A, x ̸= x0

x0 è punto di massimo forte relativo per f su A se esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale


che
f (x0 ) > f (x) ∀x ∈ U (x0 ) ∩ A, x ̸= x0

x0 è punto di minimo forte relativo per f su A se esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale


che
f (x0 ) < f (x) ∀x ∈ U (x0 ) ∩ A, x ̸= x0

E’ del tutto evidente che se x0 è massimo (minimo) globale, allora è anche massimo
(minimo) locale. Vale il viceversa? Ovviamente in generale no, un massimo (minimo)
locale può non essere massimo (minimo) globale.
Osserviamo inoltre che nella Matematica Applicata, e specialmente nell’Economia, la
nozione di massimo (minimo) locale è di scarsa utilità . Infatti, l’individuo che voglia
massimizzare (minimizzare) la sua funzione obiettivo (sia essa la sua funzione utilità , la
sua funzione profitto, la sua funzione costo ecc.) è tipicamente interessato a trovare un
massimo (minimo) globale, e non si accontenterà di un massimo (minimo) locale. Ci si
può dunque chiedere, al di là dell’importanza teorica, quale possa essere l’importanza
applicativa del massimo (minimo) locale. Si può parzialmente rispondere a questa
domanda osservando che per un’importantissima e centrale classe di funzioni le due
nozioni globale e locale coincidono. Si tratta delle funzioni concave e convesse. Vediamo
i seguenti fondamentali risultati, di cui omettiamo la dimostrazione.

Proposizione 187 Sia f : A ⊂ Rn → R concava e sia x0 ∈ A punto di massimo


locale per f su A. Allora x0 è punto di massimo globale su A.

Proposizione 188 Sia f : A ⊂ Rn → R convessa e sia x0 ∈ A punto di minimo


locale per f su A. Allora x0 è punto di minimo globale su A.

Le Proposizioni 187 e 188 hanno una notevole conseguenza applicativa. Se si massimiz-


za (minimizza) una funzione concava (convessa) sarà sufficiente andare alla ricerca di
un massimo (minimo) locale per avere la garanzia di trovare il massimo (minimo) locale.

Si noti che nelle Proposizioni 187 e 188 non si è parlato di regolarità della funzio-
ne f : tali risultati valgono indipendentemente dal livello di regolarità di f . In altre

135
parole, tali risultati sono validi per qualsiasi funzione concava o convessa: in partico-
lare, f potrebbe essere non derivabile e addirittura non continua su A.
Tuttavia, su intervalli aperti la concavità e la convessità implicano la continuità , come
mostra il seguente teorema, che non dimostriamo.

Teorema 27 Sia f : (a, b) → R concava (o convessa) su (a, b). Allora f è continua


su (a, b).

La richiesta di derivabilità è invece indispensabile nei teoremi che seguono, che danno
condizioni necessrie e sufficienti di I e II ordine per la ricerca di massimi e minimi locali
interni.

6.2 Condizioni del primo ordine

Il teorema di Weierstrass dice che se una funzione è continua su un intervallo chiuso e


limitato, allora possiede massimo e minimo, ma non specifica come trovarli. Esistono
dei teoremi che forniscono metodologie utili per calcolare massimi e minimi di funzioni.
Prima di enunciarli e dimostrarli, è opportuno studiare il comportamento del rapporto
incrementale nell’intorno di un punto di massimo o minimo.

6.2.1 Studio del rapporto incrementale intorno a un punto di massimo o


minimo locale

Data f : A ⊂ R → R e x0 ∈ A punto interno. Supponiamo che x0 sia un punto


di massimo locale. Allora esiste un intorno U (x0 ) = (x0 − δ, x0 + δ) di x0 tale che
f (x0 ) ≥ f (x) per ogni x ∈ U (x0 ). Analizziamo il rapporto incrementale nell’intorno
U (x0 ).
Consideriamo ∆f
h
nell’intorno sinistro (x0 − δ, x0 ):

∆f f (x0 + h) − f (x0 )
= ≥0
h h
perchè h < 0 e f (x0 ) ≥ f (x0 + h), cioè il rapporto incrementale ∆f
h
≥ 0 a sinistra di
x0 .
∆f
Consideriamo h
nell’intorno destro (x0 , x0 + δ):

∆f f (x0 + h) − f (x0 )
= ≤0
h h

136
perchè h > 0 e f (x0 ) ≥ f (x0 + h), cioè il rapporto incrementale ∆f
h
≤ 0 a destra di x0 .

In modo analogo, si puo’ dimostrare che a sinistra di un punto di minimo locale si


ha ∆f
h
≤ 0 e a destra ∆f
h
≥ 0.

Basandoci su questa analisi, siamo ora in grado di enunciare e dimostrare il teore-


ma che fornisce una condizione necessaria affinchè si abbia un punto di massimo o
minimo locale.

Teorema 28 (Fermat) Sia f : A ⊂ R, x0 punto interno ad A e f sia derivabile in


x0 . Se f ammette massimo o minimo locale in x0 si ha:

f ′ (x0 ) = 0

Dimostrazione
Dimostriamo il teorema per x0 punto di massimo (dimostrazione analoga per x0 punto
di minimo).
Siccome f è derivabile in x0 , si ha:
∆f ∆f ∆f
f ′ (x0 ) = lim = lim+ = lim−
h→0 h h→0 h h→0 h

Consideriamo ∆f
h
per h → 0+ . Si ha:
∆f
≤0 per h>0
h
(vedi analisi precedente).
Per il teorema di permanenza del segno (teorema 8) deve essere
∆f
lim+ ≤0
h→0 h
∆f ∆f
(se fosse limh→0+ h
> 0 esisterebbe un intorno destro di x0 in cui h
> 0).

Analogamente, consideriamo ∆f
h
per h → 0− . Si ha:
∆f
≥0 per h<0
h
(vedi analisi precedente).
Per il teorema di permanenza del segno deve essere
∆f
lim− ≥ 0.
h→0 h

137
Quindi si ha:
∆f ∆f
0 ≤ lim− = f ′ (x0 ) = lim+ ≤0
h→0 h h→0 h
Questo implica:
f ′ (x0 ) = 0

Osservazione 189 Il teorema visto fornisce una condizione necessaria affinchè un


punto interno x0 sia di massimo o minimo relativo, non una condizione sufficiente. In
altre parole, se x0 è punto interno:

x0 punto di massimo (o minimo) ⇒ f ′ (x0 ) = 0

ma non vale il viceversa. Un classico esempio è dato dalla funzione f (x) = x3 : in


x0 = 0 si ha f ′ (0) = 0 ma x0 = 0 non è nè punto di massimo nè punto di minimo.

Osservazione 190 L’ipotesi x0 punto interno ad A è fondamentale perchè il teorema


sia vero. Infatti, se x0 è punto di massimo o minimo ed è un punto di frontiera per A
non è necessariamente vero che f ′ (x0 ) = 0 (cioè , potrebbe esserlo ma potrebbe anche
non esserlo). Consideriamo per esempio f : [0, 1] → R, f (x) = x. Il punto di frontiera
x0 = 0 è un punto di minimo della funzione f su [0, 1], ma f ′ (0) = 1 ̸= 0. Stesso
discorso per x1 = 1, punto di massimo e tale che f ′ (1) = 1 ̸= 0.

Osservazione 191 Il teorema non è applicabile alle funzioni che, pur avendo punti
interni che sono punti di massimo o minimo, non sono derivabili in tali punti. Esempio
classico è la funzione f : R → R, f (x) = |x|: in x0 = 0 si ha un punto di minimo
globale, ma f non è derivabile in x0 = 0, e percio’ non si puo’ avere f ′ (x0 ) = 0.

Prima di proseguire con le condizioni sufficienti del secondo ordine per trovare punti
di massimo e minimo locale, è necessario fermarsi e illustrare i principali teoremi del
calcolo differenziale, che sono una immediata conseguenza del teorema di Fermat.

138
6.3 Teoremi fondamentali sul calcolo differenziale

Raccogliamo in questa sezione due importanti teoremi sul calcolo differenziale: il


teorema di Rolle e l’importantissimo teorema di Lagrange.

Teorema 29 (Rolle) Sia f : [a, b] → R continua su [a, b] e derivabile su (a, b). Sia
f (a) = f (b). Allora esiste c ∈ (a, b) tale che f ′ (c) = 0.

Dimostrazione
Per il teorema di Weierstrass, esistono x0 , x1 ∈ [a, b] tali che f (x0 ) = m = minx∈[a,b] f (x)
e f (x1 ) = M = maxx∈[a,b] f (x).
Se m = M allora f è costante f (x) = c(= m = M ) e quindi f ′ (x) = 0 per ogni
x ∈ (a, b).
Se m < M , allora almeno uno tra x0 e x1 è interno ad [a, b] (non possono essere
entrambi di frontiera perchè f (a) = f (b) e invece si ha m = f (x0 ) < f (x1 ) = M ). Sia
x0 interno ad [a, b], allora x0 ∈ (a, b) e x0 punto di minimo locale. Allora per il teorema
28 si ha f ′ (x0 ) = 0 e quindi c = x0 . Stessa cosa se fosse x1 a essere interno: in questo
caso si avrebbe c = x1 .

Teorema 30 (di Lagrange, o del Valor Medio del Calcolo Differenziale) Sia f :
[a, b] → R continua su [a, b] e derivabile su (a, b). Allora esiste c ∈ (a, b) tale che
f (b) − f (a)
f ′ (c) =
b−a
f (b)−f (a)
Prima di dimostrare il teorema facciamo qualche osservazione. La quantità b−a
è il

coefficiente angolare della retta che passa dai punti (a, f (a)), (b, f (b)), mentre f (c) è il
coefficiente angolare della retta tangente al grafico di f nel punto (c, f (c)). Il teorema
afferma che sotto certe ipotesi (molto meno forti di quelle del teorema di Rolle, perchè
queste sono solo ipotesi di continuità e derivabilità della funzione, mentre in Rolle si
richiede che il valore agli estremi dell’intervallo sia uguale) esiste un punto c ∈ (a, b)
tale che la retta passante da (c, f (c)) tangente al grafico di f è parallela alla retta
passante per gli estremi dell’intervallo.

Prima di dimostrare il teorema, scriviamo l’equazione della retta passante dai pun-
ti (a, f (a)) e (b, f (b)): essa è y = f (a) + f (b)−f (a)
b−a
(x − a). Osserviamo inoltre che il
grafico di f tocca la retta almeno nei due punti (a, f (a)) e (b, f (b)).

139
Dimostrazione del teorema di Lagrange
Consideriamo la funzione G che dà la differenza tra f e la retta passante per i punti
(a, f (a)) e (b, f (b)). L’equazione di G è :
( )
f (b) − f (a)
G(x) = f (x) − f (a) + (x − a)
b−a
G è continua su [a, b] e derivabile su (a, b) (poichè lo è f ). Inoltre G(a) = 0 e G(b) = 0
(ricordiamo l’osservazione precedente la dimostrazione del teorema). Allora le ipotesi
del teorema di Rolle sono verificate per la funzione G e percio’ esiste un punto c ∈ (a, b)
tale che G′ (c) = 0.
Ma
f (b) − f (a)
G′ (x) = f ′ (x) −
b−a
quindi
f (b) − f (a)
0 = f ′ (c) −
b−a
cioè esiste c ∈ (a, b) tale che:
f (b) − f (a)
f ′ (c) =
b−a
2

Provvisti del pontente teorema di Lagrange (di vastissima applicabilità ) possiamo ora
continuare con funzioni crescenti e decrescenti che sono strumentali per le condizioni
del II ordine.

6.4 Funzioni crescenti e decrescenti

Il concetto di funzione crescente e funzione decrescente è molto intuitivo, osservando


il comportamento del grafico della funzione. Se man mano che x aumenta si ha che
aumenta anche il valore di f (x) si ha una funzione crescente, se man mano che x
aumenta si ha che il valore di f (x) diminuisce si ha una funzione decrescente. Per
esempio, f (x) = x è una funzione crescente, e cosi’ sono f (x) = ex e f (x) = ln x. La
funzione f (x) = x2 è decrescente a sinistra dell’origine e crescente a destra dell’origine.
L’idea si formalizza con le seguenti definizioni:

140
Definizione 192 Una funzione f : A ⊂ R → R si dice crescente in A se:

x1 , x2 ∈ A, x1 < x2 ⇒ f (x1 ) ≤ f (x2 )

Una funzione f : A ⊂ R → R si dice decrescente in A se:

x1 , x2 ∈ A, x1 < x2 ⇒ f (x1 ) ≥ f (x2 )

Se si considerano disuguaglianze strette, si hanno funzioni strettamente crescenti o


strettamente decrescenti: f si dice strettamente crescente se:

x1 < x2 ⇒ f (x1 ) < f (x2 );

si dice strettamente decrescente se:

x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ).

Ovviamente si ha:

strettamente crescente ⇒ crescente


strettamente decrescente ⇒ decrescente

ma non vale il viceversa.

Esempi 193

1) f (x) = x è strettamente crescente, e quindi crescente;

2) f (x) = x3 è strettamente crescente, e quindi crescente;

3) f (x) = ex è strettamente crescente, e quindi crescente;




 x x≤1

4) f (x) = 1 1 < x < 2 è crescente su R ma non strettamente crescente.


 x−1 x≥2

5) f (x) = c, con c ∈ R è crescente, ma non strettamente crescente; è inoltre de-


crescente ma non strettamente decrescente.

6) f (x) = loga x con a < 1 è strettamente decrescente.

141
6.4.1 Relazione tra funzioni crescenti e decrescenti e derivata prima

Che rapporto c’è tra la proprietà di crescenza o decrescenza di una funzione e il com-
portamento del rapporto incrementale, o della derivata prima (quando esiste)? La
risposta è fornita dal seguente intuitivo teorema:

Teorema 31 Sia f : A ⊂ R → R derivabile in A.


Se f ′ (x) > 0 per ogni x ∈ A allora f è strettamente crescente su A.
Se f ′ (x) < 0 per ogni x ∈ A allora f è strettamente decrescente su A.

Dimostrazione
Dimostriamo che se f ′ (x) > 0 allora f è strettamente crescente (la dimostrazione di:
f ′ (x) < 0 ⇒ f strettamente decrescente, è analoga). Presi due punti x1 , x2 ∈ A, x1 <
x2 , restringiamo la funzione f all’intervallo chiuso [x1 , x2 ]. Le ipotesi del teorema di La-
grange sono soddisfatte su [x1 , x2 ], quindi esiste c ∈ [x1 , x2 ] tale che f ′ (c) = f (x2 )−f (x1 )
x2 −x1
.
Per ipotesi si ha f ′ (c) > 0, e questo implica f (x1 ) < f (x2 ), poichè x1 < x2 . Siccome
questo vale per qualsiasi coppia di punti x1 , x2 ∈ A, si ha che f è strettamente crescente.

Osserviamo che qui siamo in presenza di una condizione sufficiente affinchè la fun-
zione sia strettamente crescente, ma non necessaria. Infatti, f (x) = x3 è strettamente
crescente su R, ma, come si è visto (vedi osservazione 189), si ha f ′ (0) = 0, cioè non
è vero che f strettamente crescente su A ⇒ f ′ (x) > 0 per ogni x ∈ A.
Tuttavia, si dimostra che, allentando le disuguaglianze, si ottiene una condizione ne-
cessaria e sufficiente che lega il segno della derivata prima con la crescenza o decrescenza
di una funzione.

Teorema 32 Sia f : A ⊂ R → R derivabile in A.


(1) f ′ (x) ≥ 0 ⇔ f crescente su A
(2) f ′ (x) ≤ 0 ⇔ f decrescente su A

Dimostrazione Dimostriamo la (1) (la (2) è analoga).


Dim. di (⇒).
E’ uguale alla dimostrazione del teorema 31, allentando le disuguaglianze.
Dim. di (⇐).
Bisogna dimostrare che se f è crescente, allora f ′ (x) ≥ 0. Se fosse f ′ (x) < 0, per il
teorema 31 si avrebbe f strettamente decrescente, assurdo. Quindi, f ′ (x) ≥ 0.

142
Concludiamo con un’importante caratterizzazione delle funzioni costanti:

Teorema 33 Sia f : [a, b] → R, continua su [a, b] derivabile su (a, b).


f è costante su [a, b] ⇔ f ′ (x) = 0 ∀x ∈ (a, b)

Dimostrazione
Dim. di (⇒). Ovvia.
Dim. di (⇐). Sia x ∈ [a, b]. Applicando il teorema di Lagrange sull’intervallo [a, x],
esiste c ∈ (a, x) tale che f ′ (c) = f (x)−f (a)
x−a
. Poichè f ′ (x) = 0 in [a, b], si ha f ′ (c) = 0
cioè f (x) = f (a). Ma siccome il punto x è arbitrario, si ha che f (x) = f (a) per ogni
x ∈ [a, b], cioè f è costante su [a, b].

6.5 Condizioni del secondo ordine

Per individuare massimi e minimi di funzioni, si sono viste le condizioni del primo
ordine, che sono condizioni necessarie. Vediamo ora le condizioni del secondo ordine,
che sono condizioni sufficienti.

Teorema 34 Sia f : A ⊂ R → R, x0 ∈ A punto interno, f derivabile due volte in A


e sia f ′ (x0 ) = 0. Se:
(1) f ′′ (x0 ) > 0 ⇒ x0 è un punto di minimo locale forte per f su A;
(2) f ′′ (x0 ) < 0 ⇒ x0 è un punto di massimo locale forte per f su A.

Dimostrazione Dimostriamo la (1) (la (2) è analoga).


Se f ′′ (x0 ) > 0, per il teorema di permanenza del segno esiste un intorno U (x0 ) in cui
f ′′ (x) > 0. Siccome f ′′ = (f ′ )′ , applicando il teorema 31, si ha che f ′ è strettamente
crescente in un intorno di x0 . Quindi, siccome si ha per ipotesi che f ′ (x0 ) = 0, deve
essere f ′ (x) < 0 in un intorno sinistro di x0 e f ′ (x) > 0 in un intorno destro di x0 .
Quindi (applicando di nuovo il teorema 31) si ha che f è strettamente decrescente in
un intorno sinistro di x0 e strettamente crescente in un intorno destro di x0 . Questo
implica che in x0 c’è un minimo locale forte.

6.5.1 Individuare punti di massimo e minimo: procedura

Per individuare punti di massimo e minimo locale per una funzione f la procedura
consta di due parti:

143
1. selezione dei candidati, ossia risoluzione dell’equazione f ′ (x) = 0. I punti che
annullano f ′ sono detti “candidati” a essere punti di massimo o minimo ;

2. verifica dei candidati, ossia sostituzione dei candidati di cui al punto (1) nella
derivata seconda f ′′ (x): se è positiva, si ha un punto di minimo, se è negativa, un
punto di massimo (vedi teorema 34).

Nella maggior parte dei casi, la procedura appena esposta ha successo. Quando in (2)
si ha f ′′ (x) = 0, abbiamo una situazione ambigua, come dimostrano i seguenti esempi:
f (x) = x4 e f (x) = x3 . In questo caso, risulta necessario adottare una procedura piu’
raffinata, che coinvolge il calcolo delle derivate di ordine superiore:

Teorema 35 Sia f ∈ C ∞ (A) e sia x0 ∈ A un punto tale che

f ′ (x0 ) = f ′′ (x0 ) = ... = f (n−1) (x0 ) = 0 f (n) (x0 ) ̸= 0

Allora:

se n è dispari, non si ha nè un massimo nè un minimo

se n è pari, si ha un massimo se f (n) (x0 ) < 0, un minimo se f (n) (x0 ) > 0

La dimostrazione di questo teorema (omessa) utilizza la formula di Taylor.

L’applicazione del teorema 35 consiste nella seguente procedura: avendo trovato la


derivata prima e seconda pari a 0 nel punto x0 , si va avanti a derivare f e a calcolare
le derivate di ordine successivo in x0 finchè si trova una derivata diversa da 0: se si
ha f ′ (x0 ) = ... = f (n−1) (x0 ) = 0 e f (n) (x0 ) ̸= 0 allora se n è dispari non si ha nè un
massimo nè un minimo, se n è pari si ha un massimo se f (n) (x0 ) < 0, un minimo se
f (n) (x0 ) > 0.

Per esempio, nel caso di f (x) = x4 si ha f ′ (0) = f ′′ (0) = f ′′′ (0) = 0, f iv (0) > 0,
quindi 0 è un punto di minimo. Nel caso di f (x) = x3 si ha f ′ (0) = f ′′ (0) = 0 e
f ′′′ (0) > 0, quindi 0 non è nè punto di minimo nè punto di massimo.

Una procedura alternativa per valutare se un x0 punto candidato è punto di massi-


mo o di minimo è la seguente. Si studia il segno della derivata prima nell’intorno di x0 :

144
se f ′ è negativa a sinistra di x0 e positiva a destra di x0 si ha un punto di minimo; se vi-
ceversa f ′ è positiva a sinistra di x0 e negativa a destra di x0 si ha un punto di massimo.

Esempi 194 Data f (x) trovare massimi e minimi di f .

1) f (x) = 10x3 (x − 1)2 .


Si ha: f ′ (x) = 10x2 (x − 1)(5x − 3). I punti che annullano f ′ sono x = 0, x = 1, x = 35 .
Studiando il segno di f ′ si vede che f ′ (x) ≥ 0 per x ≤ 3
5
e per x ≥ 1, quindi 3
5
è un
punto di massimo e 1 è un punto di minimo. Il risultato è confermato calcolando la
derivata seconda: si ha f ′′ (x) = 20(10x3 − 12x2 + 3x) e quindi f ′′ ( 35 ) = − 180
25
<0e
f ′′ (1) = 20 > 0.
Il punto ( 53 , f ( 35 )) = ( 35 , 216
625
) è un massimo locale, il punto (1, f (1)) = (1, 0) è un minimo
locale.

2) f (x) = x2 e−2x .
Sol.: (0, 0) è un minimo locale, (1, e−2 ) è un massimo locale.

3) f (x) = 3x3 − 4x.


Sol.: (− 32 , 16
9
) è un massimo locale, ( 23 , − 16
9
) è un minimo locale.

145
PARTE 7 INTEGRALI

7.1 L’integrale come limite di somme di aree

Consideriamo la seguente definizione:

Definizione 195 Sia [a, b] ⊂ R un intervallo chiuso e limitato. Un insieme finito di


punti dell’intervallo {xi }i=0,1,...,n tale che: a = x0 < x1 < ... < xn = b, si dice una
suddivisione o partizione di [a, b] ed è indicata con π(x0 , x1 , ...xn ) o semplicemente con
π.

Definizione 196 Consideriamo due partizioni π1 and π2 di [a, b]. π2 è detta più fine
di π1 se π1 ⊂ π2 , cioè se π2 contiene lo stesso numero di punti di π1 e almeno un punto
in più .

Osservazione 197 Chiaramente, date due partizioni π1 e π2 , la partizione π3 = π1 ∪π2


è più fine sia di π1 sia di π2 .

Consideriamo una funzione f : [a, b] → R, limitata. Siano m e M l’estremo inferiore e


l’estremo superiore di f su [a, b], cioè

m = inf f (x) e M = sup f (x).


x∈[a,b] x∈[a,b]

Sia π = π(x0 , x1 , ...xn ) una partizione di [a, b]. Per ogni i = 1, 2, ...n, sia

mi = inf f (x) and Mi = sup f (x).


x∈[xi−1 ,xi ] x∈[xi−1 ,xi ]

Indichiamo la lunghezza del singolo intervallo con ∆xi , cioè ∆xi = xi − xi−1 .

Definizione 198 Chiameremo somma inferiore di f relativa alla partizione π la se-


guente somma finita:

n
I = I(f, π) = mi ∆xi
i=1

Chiameremo somma superiore di f relativa alla partizione π la seguente somma finita:



n
S = S(f, π) = Mi ∆xi
i=1

146
Osservazione 199 Il significato geometrico di I(f, π) e S(f, π) è immediato guardan-
do il grafico. Infatti, si può notare che la partizione π divide l’area F in n rettangoli
inferiori (dove il imo ha base uguale a ∆xi e altezza uguale a mi ) e n rettangolari
superiori (il imo ha base uguale a ∆xi e altezza uguale a Mi . Chiaramente, I(f, π) è
la somma delle aree degli n rettangoli inferiori, mentre S(f, π) è la somma delle aree
degli n rettangoli superiori.

Osserviamo che per ogni i,


m ≤ mi ≤ Mi ≤ M.

Perciò :
m∆xi ≤ mi ∆xi ≤ Mi ∆xi ≤ M ∆xi ,

n ∑
n ∑n ∑
n
m∆xi ≤ mi ∆xi ≤ Mi ∆xi ≤ M ∆xi ,
i=1 i=1 i=1 i=1

che implica
m(b − a) ≤ I(f, π) ≤ S(f, π) ≤ M (b − a)

per ogni partizione π. Le due quantità

sup I(f, π) and inf S(f, π)


π∈Π π∈Π

dove Π è l’insieme di tutte le partizioni π di [a, b], esistono e sono finite.

Theorem 200 (No dim.)


Se π1 e π2 sono partizioni di [a, b] t.c. π1 ⊂ π2 , allora per una funzione limitata
f : [a, b] → R:
I(f, π1 ) ≤ I(f, π2 ) e S(f, π2 ) ≤ S(f, π1 )

Osservazione 201 Il Teorema 200 mostra il fatto intuitivo che con partizioni più fini
l’area della regione sotto f è approssimata meglio sia dalle somme superiori sia dalle
somme inferiori.

Corollario 202 Valgono i seguenti risultati:

1. Date due qualsiasi partizioni π1 e π2 , I(f, π1 ) ≤ S(f, π2 )

2. supD s(D, f ) ≤ inf D S(D, f ).

147
Abbiamo appena visto che supπ∈Π I(f, π) ≤ inf π∈Π S(f, π). Quindi si ha supπ∈Π I(f, π) <
inf π∈Π S(f, π) oppure supπ∈Π I(f, π) = inf π∈Π S(f, π). Nel primo caso, la funzione non
è integrabile, nel secondo la funzione è integrabile. Questo è formalizzato dalla seguente
definizione.

Definizione 203 Una funzione f : [a, b] → R è integrabile nel senso di Riemann se

sup I(f, π) = inf S(f, π) = l.


π∈Π π∈Π

Il valore comune l è chiamato integrale definito di Riemann di f in I = [a, b] ed è


indicato con ∫ b
f (x)dx.
a
L’intervallo I = [a, b] è detto dominio di integrazione. La funzione f è detta funzione
integranda.

Altri modi possibili di indicare l’integrale sono:


∫ ∫ b
f (x)dx or f or I(I, f ).
I a

In ciò che segue, indicheremo talvolta l’integrale semplicemente con I(f ).

L’insieme di funzioni limitate che sono integrabili nel senso di Riemann sull’intervallo
I = [a, b] è indicato con R([a, b]) o con R(I). Vale la pena sottolineare che R([a, b]) non
è l’insieme vuoto ma non coincide con l’insieme di funzioni limitate su [a, b]. Infatti, ci
sono esempi di funzioni limitate che sono integrabili nel senso di Riemann e funzioni
limitate che non sono integrabili nel senso di Riemann. Queste sono illustrate negli
esempi seguenti.

Esempio 204 Ogni costante c ∈ R è integrabile nel senso di Riemann su ogni inter-
vallo [a, b] ⊂ R. In più ,
∫ b
cdx = c(b − a).
a
Infatti, per ogni partizione π si ha mi = c = Mi per ogni i. Perciò per ogni partizione
π si ha

n ∑
n
I(f, π) = mi ∆xi = c ∆xi = c(b − a),
i=0 i=0
e

n ∑
n
S(f, π) = Mi ∆xi = c ∆xi = c(b − a).
i=0 i=0

148
Quindi, ∫ b
sup I(f, π) = inf S(f, π) = c(b − a) = cdx.
π∈Π π∈Π a

Esempio 205 Sia f : [a, b] → R la funzione di Dirichlet, definita come


{
0 se x ∈
/Q
f (x) = (7.1)
1 se x ∈ Q.

Data la densità dei Q nei R, è facile vedere che per ogni partizione π e per ogni i, si
ha mi = 0 e Mi = 1. Quindi,

n
I(f, π) = mi ∆xi = 0,
i=0

e

n ∑
n
S(f, π) = Mi ∆xi = ∆xi = (b − a).
i=0 i=0

Perciò
sup I(f, π) = 0
π∈Π
e
inf S(f, π) = b − a.
π∈Π

Siccome 0 ̸= b − a, f non è integrabile nel senso di Riemann su [a, b].

7.2 Caratterizzazione delle funzioni integrabili

L’idea alla base delle funzioni integrabili è che sia sempre possibile migliorare la par-
tizione in modo tale che le somme inferiori e le somme superiori possano avvicinarsi
quanto desiderato. Questa è una caratteristica che chiaramente la funzione di Dirichlet
non ha (vedi esempio 205). Questa proprietà viene formalizzata nel seguente teorema.

Theorem 206 Una funzione limitata f : [a, b] → R appartiene a R([a, b]) se e solo se
per ogni ϵ > 0 è possibile trovare una partizione π ϵ t.c.

S(π ϵ , f ) − s(π ϵ , f ) < ϵ.

Dimostrazione
(⇒)
Assumiamo che f ∈ R([a, b]). Allora, sia I(f ) = supπ∈Π I(f, π) = inf π∈Π S(f, π).

149
Per la definizione di inf, dato ϵ > 0 esiste una partizione π1ϵ tale che S(f, π1ϵ ) < I(f )+ 2ϵ .
Analogamente, per la definizione di sup, dato ϵ > 0 esiste una partizione π2ϵ tale che
I(f, π2ϵ ) > I(f ) − 2ϵ .
Consideriamo la partizione π ϵ = π1ϵ ∪ π2ϵ . Allora,

S(f, π ϵ ) − I(f, π ϵ ) ≤ S(f, π1ϵ ) − I(f, π2ϵ ) < ϵ.

(⇐)
Per ogni ϵ > 0 si ha:

0 ≤ inf S(f, π) − sup I(f, π) ≤ S(f, π ϵ ) − I(f, π ϵ ) < ϵ.


π∈Π π∈Π

Data l’arbitrarietà di ϵ > 0, si ha

sup I(f, π) = inf S(f, π)


π∈Π π∈Π

che significa che f ∈ R([a, b]). 2

Definizione 207 Si consideri la partizione π di [a, b]. La quantità positiva

0 < |π| = max (xi − xi−1 )


1≤i≤n

è detta ampiezza della partizione π.

Definizione 208 Si consideri una partizione π di [a, b] e per ogni intervallo (xi , xi−1 ),
si consideri un punto arbitrario µi t.c.

mi ≤ µi ≤ Mi .

Le somme

n
σ(f, π) = µi ∆i
i=1
sono dette somme integrali alla Riemann.

Osservazione 209 Si notino due cose. Primo, per ogni i il punto µi è arbitrario,
l’unica restrizione è mi ≤ µi ≤ Mi . Secondo, il punto µi non deve necessariamente
essere l’immagine di un punto in [a, b]. In altre parole, potrebbe non esistere alcun
ti ∈ [a, b] t.c. f (ti ) = µi , perchè la continuità di f non è un’ipotesi.

Per la definizione e l’osservazione, si ha

I(f, π) ≤ σ(f, π) ≤ S(f, π).

150
Definizione 210 Si dice che il numero l ∈ R è il limite di σ(f, π) for |π| → 0 and we
write
lim σ(f, π) = l
|π|→0

se ∀ϵ > 0, ∃δ > 0 t.c. per ogni partizione π t.c. |π| < δ e per ogni scelta di numeri
arbitrari µi si ha
|σ(f, π) − l| < ϵ.

La caratteristica di integrabilità di una funzione f può essere data con le somme di


Riemann in un modo equivalente, illustrato dal seguente teorema, di cui omettiamo la
dimostrazione.

Theorem 211 Una funzione limitata f : [a, b] → R appartiene a R([a, b]) se e solo se
il limite
lim σ(f, π)
|π|→0

esiste ed è finito. In questo caso, si ha:


∫ b
lim σ(f, π) = f (x)dx.
|π|→0 a

7.3 Classi di funzioni integrabili

Una domanda rilevante che sorge è : Quali sono le funzioni integrabili? Una risposta
parziale è data dall’elenco di alcune classi di funzioni integrabili. Classi importanti di
funzioni integrabili sono

• funzioni continue;

• funzioni monotone e limitate;

• funzioni limitate con un numero finito di discontinuità .

In ciò che segue, proveremo l’integrabilità solo della seconda delle tre classi elencate
sopra.

Theorem 212 (No dim.)


Ogni funzione f : [a, b] → R continua è integrabile. In altre parole, C 0 ([a, b]) ⊂
R([a, b]).

Theorem 213 Sia f : [a, b] → R limitata e monotona. Allora, f è integrabile.

151
Dimostrazione
Senza perdita di generalità , sia f crescente. Allora, per ogni i:

mi = f (xi−1 ) and Mi = f (xi ).

Dato ϵ > 0, si consideri δ = ϵ


f (b)−f (a)
e una qualsiasi partizione π tale che |π| < δ.
Allora,

n ∑
n
ϵ ∑n
S(f, π)−I(f, π) = (f (xi )−f (xi−1 ))∆xi ≤ |π| (f (xi )−f (xi−1 )) < (f (xi )−f (xi−1 )) = ϵ.
i=1 i=1
f (b) − f (a) i=1

Perciò , grazie al Teorema 206, f è integrabile. 2

7.4 Proprietà dell’integrale

L’operazione di integrazione di funzioni definite e integrabili su un certo intervallo


[a, b] ⊂ R può essere considerata come un operatore funzionale I, che associa a ogni
funzione f ∈ R([a, b]) il numero reale I(f ).

I : R([a, b]) → R
(7.2)
f I(f )

L’operatore I soddisfa le seguenti proprietà :

1. Additività e omogeneità

1. Se f, g ∈ R([a, b]) ⇒ f + g ∈ R([a, b]), e I(f + g) = I(f ) + I(g).

2. Dato α ∈ R ⇒ αf ∈ R([a, b]) e I(αf ) = αI(f ).

Le due proprietà mostrate sopra indicano che I è un operatore lineare.

2. Monotonicità

Se f, g ∈ R([a, b]) andf ≥ g ⇒ I(f ) ≥ I(g).


Dimostrazione
Sia h ∈ R([a, b]) e h ≥ 0. Allora, per ogni partizione π, 0 ≤ mi ≤ µi ≤ Mi per ogni
i = 1, 2, ...n. Questo implica che

0 ≤ I(h, π) ≤ σ(h, π) ≤ S(h, π)

152
e quindi
0 ≤ lim σ(h, π) = I(h).
|π|→0
Si consideri la funzione h = f − g ≥ 0. Allora

0 ≤ I(f − g) = I(f ) − I(g)

per la linearità dell’operatore integrale. Quindi si ha la tesi. 2

3. Valore assoluto

Se f ∈ R([a, b]) ⇒ |f | ∈ R([a, b]) e |I(f )| ≤ I(|f |).


Inoltre, se M = sup[a,b] |f |, allora |I(f )| ≤ M (b − a).

4. Additività relativamente all’intervallo di integrazione

Sia f ∈ R([a, b]) e sia c ∈ [a, b]. Allora, f ∈ R(a, c) e f ∈ R(c, b) e


∫ b ∫ c ∫ b
f (x)dx = f (x)dx + f (x)dx. (7.3)
a a c
Viceversa, se f ∈ R(a, c) e f ∈ R(c, b), allora f ∈ R([a, b]) e (7.3) vale.

Osservazione 214 Finora abbiamo sempre ipotizzato a < b. Qual è il significato del-
∫b
l’integrale a f (x)dx se a > b o a = b? Consideriamo questi due casi.

Se a > b, definiamo: ∫ ∫
b a
f (x)dx = − f (x)dx.
a b
Se a = b ∫ a
f (x)dx = 0.
a
E’ importante osservare che tutte le proprietà viste finora valgono quando a ≥ b.

7.5 Il Teorema del Valore Medio del Calcolo Integrale (o Teo-


rema della media integrale)

Ci sono due teoremi rilevanti che valgono per gli integrali che sono usati frequentemente
nel calcolo. Il primo è il Teorema del Valor Medio del Calcolo Integrale (o Teorema
della media integrale), che vedremo ora.

153
Theorem 215 [Teorema del Valor Medio del Calcolo Integrale]
Sia f ∈ R([a, b]). Se m = inf [a,b] f e M = sup[a,b] f , allora esiste λ ∈ [m, M ] tale che
∫b
a
f (x)dx
λ= . (7.4)
b−a
Inoltre, se f è continua su [a, b], allora ∃c ∈ [a, b] tale che:
∫b
f (x)dx
f (c) = λ = a , (7.5)
b−a
cioè esiste c ∈ (a, b) tale che
∫ b
f (x)dx = f (c)(b − a).
a

Dimostrazione
Per la monotonia dell’operatore integrale, abbiamo

m ≤ f ≤ M ⇒ I(m) ≤ I(f ) ≤ I(M )

quindi ∫ b
m(b − a) ≤ f (x)dx ≤ M (b − a).
a
Dividendo per b − a > 0 si ha
∫b
f (x)dx
m≤ a
≤M
b−a
e, ponendo ∫b
a
f (x)dx
λ=
b−a
si ottiene la tesi.

Se f è continua, allora m = min[a,b] f e M = max[a,b] f e, per il teorema dei valori


intermedi, f assume tutti i valori in [m, M ]. Quindi, siccome
∫b
f (x)dx
m≤λ= a ≤ M,
b−a
esiste c ∈ [a, b] t.c.
∫b
a
f (x)dx
f (c) = λ = .
b−a
2

154
Osservazione 216 Il nome del Teorema 215 è legato alla proprietà (7.5) nel caso di
continuità di f , ed è dovuto al fatto che in quel caso la proprietà (7.5) può essere
riscritta come: Esiste c ∈ [a, b] t.c.
∫ b
f (c)(b − a) = f (x)dx.
a

L’area della regione sotto f e delimitata da a e b è uguale a quella del rettangolo con
base b − a e altezza f (c). Perciò , f (c) può essere interpretata come l’altezza media di
f in [a, b].

7.6 Il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale

Il secondo importante teorema che vale per gli integrali è il Teorema Fondamentale del
Calcolo Integrale, che vedremo in questa sezione. Abbiamo bisogno di introdurre del
materiale preliminare.

7.6.1 La funzione integrale

Finora, l’integrale di f è stato definito su un intervallo dato [a, b] di R. Per questa


ragione, l’integrale di f su [a, b]
∫ b
f (x)dx
a
è detto l’integrale definito di f su [a, b]. Usando l’integrabilità di f sui sotto-intervalli,
sappiamo che se f ∈ R([a, b]), allora f ∈ R(c, x) per ogni c ∈ [a, b] e per ogni x ∈ [a, b].
Quindi, data una funzione f ∈ R([a, b]) e dato c ∈ [a, b], definiamo
∫ x
F (x) = f (t)dt (7.6)
c

F (x) è detto funzione integrale di f . Chiaramente, F è una funzione che associa a ogni
punto x ∈ [a, b] l’integrale di f in [c, x] ⊂ [a, b]:

F : [a, b] → R
∫x (7.7)
x c
f (t)dt
Osservazione 217 Il limite inferiore c può essere un qualsiasi punto fissato di [a, b].
Si noti che la funzione integrale definita con un limite inferiore c1 si differenzia da
quella con limite inferiore c2 per una costante. Infatti,
∫ x ∫ c1 ∫ x
Fc2 (x) = f (t)dt = f (t)dt + f (t)dt = Fc1 (x) − Fc1 (c2 ),
c2 c2 c1

155
dove Fc1 (c2 ) ∈ R.

Osservazione 218 E’ immediato vedere che l’integrale definito può essere trovato
come la differenza tra due funzioni integrali. Infatti,
∫ b ∫ c ∫ b ∫ a ∫ b
f (t)dt = f (t)dt + f (t)dt = − f (t)dt + f (t)dt = F (b) − F (a).
a a c c c

7.6.2 Funzione primitiva P di una funzione f

Definizione 219 Una funzione P (x) definita e differenziabile su I = [a, b] ⊂ R è detta


una funzione primitiva di f (x) se

P ′ (x) = f (x) ∀x ∈ I.

E’ chiaro che due qualsiasi primitive di una funzione differiscono solo per una costante.
Questo è formalizzato dal seguente teorema.

Theorem 220 Sia P (x) una primitiva di f (x) su I ⊂ R. Allora, P1 (x) è un’altra
primitiva di f (x) se e solo se può essere riscritta nella forma:

P1 (x) = P (x) + k,

dove k ∈ R.

Dimostrazione
(⇐)
Sia P1 (x) = P (x) + k. Allora,

P1′ (x) = P ′ (x) + 0 = f (x)

e quindi P1 (x) è una primitiva di f .


(⇒)
Sia P1 (x) una primitiva di f . Sia G(x) = P (x) − P1 (x). G(x) è chiaramente differen-
ziabile su I e
G′ (x) = f (x) − f (x) = 0 ∀x ∈ I.

Sia x + h ∈ I. Per il Teorema di Lagrange, ∃ξ ∈ [0, 1] t.c.

G(x + h) − G(x) = hG′ (x + ξh).

Il fatto che G′ (x) = 0 ∀x ∈ I implica che

G(x + h) = G(x) for all x ∈ I.

156
Questo significa che G(x) = k con k ∈ R su I, che è la tesi.2

Osservazione 221 Il Teorema 220 mostra che se viene individuata una primitiva P
di una funzione f , vengono fornite tutte le primitive di f : esse si possono indicare
come {P + k}k∈R . Tale importante famiglia di funzioni ha un nome.

Definizione 222 L’insieme di tutte le funzioni primitive di una data funzione f è


detto integrale indefinito di f e si indica con

f (x)dx

7.6.3 Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale

Vale la pena ricordare che non c’è concordanza in letteratura relativamente al teorema
che prende il nome di “Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale”. Perchè ci sono
una serie di teoremi che legano differenziazione e integrazione e dimostrano diverse
proprietà . Alcuni testi danno il nome a un teorema che è considerato un corollario o
una proprietà in altri testi e viceversa. Nel nostro libro diamo due teoremi fondamentali
del calcolo integrale. Il primo ha ipotesi più deboli (f integrabile), il secondo ha ipotesi
più restrittive (f continua). Poichè il secondo è di gran lunga il più importante e
conosciuto partiamo da quello.

Theorem 223 (Secondo Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale) Sia f


una funzione continua definita su [a, b], e c ∈ [a, b]. Allora, la funzione integrale
∫x
F (x) = c f (t)dt è differenziabile su [a, b] e

F ′ (x) = f (x) ∀x ∈ [a, b].

Dimostrazione
Sia x ∈ [a, b] e si consideri h ∈ R t.c. x + h ∈ [a, b]. Allora, usando il Teorema del
Valor Medio (Teorema 215),
∫ x+h ∫x ∫ x+h
F (x + h) − F (x) c
f (t)dt − c f (t)dt f (t)dt
= = x = f (x + ξh)
h h h
dove ξ ∈ [0, 1]. Allora h → 0, x + ξh → x. Allora, la continuità di f implica che
f (x + ξh) → f (x). Cioè :
F (x + h) − F (x)
lim = f (x),
h→0 h
cioè , F (x) è differenziabile in [a, b] e F ′ (x) = f (x). 2

157
Osservazione 224 Il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale mostra che la fun-
∫x
zione integrale F (x) = c f (t)dt è una primitiva di f (x). Per il Teorema 220 e l’os-
servazione 221, possiamo affermare che sotto l’ipotesi di continuità di f la funzione
integrale di f fornisce tutta la famiglia di primitive di f . Per questa ragione, all’in-
sieme di primitive di una funzione si da’ il nome di integrale indefinito di f , come
abbiamo visto nella definizione 222.

Il seguente corollario1 , che caratterizza l’integrale indefinito di funzioni continue,


può essere dimostrato facilmente.

Corollario 225 Se f è continua su [a, b], allora l’integrale indefinito di f è dato da


∫ ∫ x
f (x)dx = f (t)dt + k with k ∈ R.
a

Dimostrazione
E’ ovvia, dati i Teoremi 227 e 220. Osserviamo che il limite inferiore può essere scelto
uguale ad a senza perdita di generalità , poichè la differenza tra due funzioni integrali
con limite inferiore diverso è una costante, che può essere inglobata in k (vedere osser-
vazione 217).2

Il seguente teorema2 lega l’integrale definito alla funzione integrale.

Theorem 226 Sia f continua su [a, b] e sia F una funzione primitiva di f . Allora:
∫ b
f (x)dx = F (b) − F (a).
a

Dimostrazione
Per il Corollario 225, esiste k ∈ R tale che
∫ x
F (x) = f (t)dt + k
a

Sia x = a. Allora, k = F (a). Quindi,


∫ x
F (x) = f (t)dt + F (a).
a

Se x = b: ∫ b
F (b) − F (a) = f (t)dt.
a
1 Molti testi considerano questo il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale.
2 Molti testi considerano questo il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale.

158
2
Quest’ultimo risultato in realtà vale anche senza continuità di f , e questo è il contenuto
del primo teorema fondamentale del calcolo integrale (la cui dimostrazione si basa sul
teorema di Lagrange).

Theorem 227 (Primo Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale) Sia f :


[a, b] → R una funzione limitata e integrabile [a, b] e sia P una sua primitiva qualunque.
Allora, ∫ b
f (x)dx = P (b) − P (a).
a
Dimostrazione
Sia π = {x0 , x1 , ..., xn } una partizione di [a, b]. Si ha

P (b) − P (a) = P (xn ) − P (x0 ) =


= P (xn ) − P (xn−1 ) + P (xn−1 ) − P (xn−2 ) + ... + P (x2 ) − P (x1 ) + P (x1 ) − P (x0 )

n
= (P (xi ) − P (xi−1 )) (7.8)
i=1

In ogni intervallino [xi−1 , xi ] P è differenziabile, e possiamo applicare il teorema di


Lagrange. Quindi per ogni i = 1, 2, ...n esiste zi ∈ [xi−1 , xi ] tale che

P (xi ) − P (xi−1 ) = P ′ (zi )∆xi

Poichè P è una primitiva di f si ha P ′ (zi ) = f (zi ) e quindi



n ∑
n
P (b) − P (a) = (P (xi ) − P (xi−1 )) = f (zi )∆xi ∆xi
i=1 i=1

per qualche zi ∈ [xi−1 , xi ]. Poichè mi ≤ f (zi ) ≤ Mi , si ha



n ∑
n ∑
n
mi ∆xi ≤ f (zi )∆xi ≤ Mi ∆xi
i=1 i=1 i=1

cioè
I(f, π) ≤ P (b) − P (a) ≤ S(f, π)
Questo vale per ogni partizione π di [a, b], quindi

sup I(f, π) ≤ P (b) − P (a) ≤ inf S(f, π)


π∈Π π∈Π

ed essendo f integrabile si ha la tesi. 2

159
Mentre la differenziabilità della funzione integrale richiede la continuità della funzione
integranda, poichè ci sono funzioni che sono integrabili ma non continue che generano
una funzione integranda non differenziabile, la continuità della funzione integrale non
necessita della continuità di f , come il seguente teorema mostra.

Theorem 228 (No dim.) La funzione integrale F (x) di una funzione limitata f ∈
R([a, b]) è continua su I = [a, b].

Osservazione 229 Per via del legame tra differenziazione e integrazione evidenziato
dal Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale, si potrebbe essere tentati di vedere
l’operazione di integrazione come l’inversa dell’operazione di differenziazione. Questo
non è completamente corretto, poichè data una funzione f la sua funzione integrale
F è una famiglia di funzioni. Manca quindi la proprietà di iniettività dell’operatore
di derivabilità , necessario per parlare propriamente di operatore inverso. Tuttavia,
vedere l’integrale come l’inverso della derivata aiuta sotto l’aspetto applicativo, e, con
le dovute cautele non è del tutto sbagliato. Per questa ragione in ciò che segue faremo
ampio uso di questo legame tra integrale e derivata per trovare gli integrali elementari.

160
7.7 Integrali elementari

La tabella seguente riporta la famiglia delle funzioni primitive di funzioni elementari


date.

Funzione f (x) Famiglia di primitive F (x)


xa+1
xa , a ̸= −1 a+1
+ k, a ̸= −1
1
x
ln |x|+k
x
e ex + k
ax
ax ln a
+k
sin x − cos x + k
cos x sin x + k
1
(cos x)2
tan x + k
1
(sin x)2
− cot x + k
1
1+x2
arctan x
√ 1 arcsin x
1−x2

Tabella 1.
Usando le proprietà dell’operatore integrale e la Tabella 1 sopra, è possibile calcola-
re l’integrale di molte funzioni elementari. Per esempio, i polinomi sono facilmente
integrabili, come mostra il seguente esempio.

Esempio 230 Calcolare la funzione primitiva F (x) della funzione f (x) ∈ R(I) con
I∈R

f (x) = an xn + an−1 xn−1 + ... + a1 x + a0 with a0 , a1 , ...an ∈ R

Applicando molte volte la proprietà di linearità e il primo dei risultati mostrati in


tabella 1, si ottiene:
xn+1 xn x2
F (x) = an + an−1 + ...a1 + a0 x + k.
n+1 n 2

7.7.1 Integrali definiti


∫b
Si noti che se si deve calcolare l’integrale definito a
f (x)dx, la procedura è la seguente:
• calcolare in qualche modo l’integrale indefinito, cioè la funzione primitiva F (x) =

f (x)dx

161
• calcolare la differenza F (b) − F (a)
∫b
Osserviamo che ci sono molti modi “tipici” di scrivere l’integrale definito a
f (x)dx,
una volta che si conosce la primitiva F (x):
∫ b
f (x)dx = [F (x)]ba = F (x) b
a = F (b) − F (a)
a

per indicare che una volta che si è trovata la funzione primitiva, F (x) il prossimo passo
consiste nel calcolarla in x = b e in x = a e nel calcolare la differenza.

L’esercizio seguente può aiutare ad acquistare familiarità con gli integrali elementari e
con la procedura descritta sopra.

Esercizi 231 Calcolare i seguenti elementari integrali definiti.


∫1√ 2
1. 0
xdx 3
∫1 x
2. −1 e dx e − 1e
∫ π/2
3. 0 cos xdx 1
∫ 1 dx π
4. 0 1+x 2 4
∫ 1 dx π
5. 0 √1−x2 2
∫1 2
6. 0 (x − 3x)dx − 7
6
∫1√ 4 4
7. 0 x3 7
∫ −1
8. −2 dx x
− ln 2
∫2
9. 1 dx
x3
dx 3
8
∫1( )
10. 02 x − √1−x
1
2 dx 1
8
− π
6

Per una funzione generica f che non è elencata nella Tabella 1 l’operazione di integra-
zione può risultare difficile, se non impossibile. Ci sono delle metodologie di integra-
zione che possono essere usate di volta in volta per affrontare la difficile operazione di
integrazione.

162
7.8 Regole di integrazione: Metodo di sostituzione

Prima di illustrare il metodo di sostituzione, è conveniente richiamare la derivata di


funzione composta. Sia
f : [a, b] → R

una funzione integrabile e sia F (x) la sua primitiva. Sia

φ : [α, β] → [a, b]
(7.9)
t x

differenziabile in [α, β] e tale che φ([α, β]) = [a, b], cioè preso ogni x ∈ [a, b], esiste
t ∈ [α, β] tale che φ(t) = x. Preso un intervallo chiuso e limitato [c, d] ⊆ [a, b] esiste
γ, δ ∈ [α, β] t.c.
φ(γ) = c and φ(δ) = d. (7.10)

Siccome F è una primitiva di f , allora


∫ d
F (d) − F (c) = f (x)dx. (7.11)
c

Deriviamo la funzione composta (F ◦ φ)(t):

(F ◦ φ)′ (t) = F ′ (φ(t))φ′ (t) = f (φ(t))φ′ (t) (7.12)

che significa che (F ◦ φ)(t) è una primitiva di f (φ(t))φ′ (t). Usiamo questo fatto
nell’intervallo [γ, δ] per ottenere:
∫ δ
(F ◦ φ)(δ) − (F ◦ φ)(γ) = f (φ(t))φ′ (t)dt. (7.13)
γ

Usando (7.10), (7.11) e (7.13) otteniamo:


∫ d ∫ δ
f (x)dx = f (φ(t))φ′ (t)dt. (7.14)
c γ

Si noti che la monotonicità di φ non è un’ipotesi, quindi γ e δ possono in generale


essere non uniche. Tuttavia, se φ è anche monotona in [α, β], allora φ possiede una
funzione inversa e (7.14) può essere riscritta come
∫ d ∫ φ−1 (d)
f (x)dx = f (φ(t))φ′ (t)dt. (7.15)
c φ−1 (c)

Nelle applicazioni pratiche che vedremo, la monotonia di φ sarà tipicamente soddisfatta,


e quindi la formula principale che verrà usata sarà la (7.15).

163
Osservazione 232 Si noti che nella formula (7.15), si può vedere una sostituzione
formale nell’integrale di x con φ(t) e dell’incremento dx con il corrispondente incre-
mento φ′ (t)dt. Anche gli estremi cambiano perchè chiaramente se la variabile x varia
in [c, d], la corrispondente variabile t varia in [φ−1 (c), φ−1 (d)].

7.8.1 Metodo di sostituzione: Come usarlo

Il metodo di sostituzione dovrebbe essere usato quando è possibile leggere l’integrale


che deve essere calcolato nella forma (7.15). In altre parole, quando è possibile di-
videre la funzione integranda in un fattore φ′ (x)dx e riscrivere la rimanente funzione
come f (φ(x)). Se questa decomposizione è possibile, allora l’integrale indefinito di

f (φ(x))φ′ (x)dx è proprio la funzione primitiva F di f calcolata in φ(x), cioè

f (φ(x))φ′ (x)dx = F (φ(x)).

Tuttavia, osserviamo che questa decomposizione non è necessariamente immediata e


in generale non ci sono regole che aiutino a farla. Quindi, solo l’esperienza e l’esercizio
possono aiutare a diventare familiari con questa tecnica. Perciò , qui presentiamo una
lista di esempi generali in cui questa tecnica dovrebbe essere usata. Sono generali nel
senso che la funzione φ(·) sarà lasciata in forma generale, cosı̀ che si possa chiaramente
vedere e capire la struttura di un integrale solvibile per sostituzione.

Esempi 233
∫ φ(x)a+1
1. φ(x)a φ′ (x)dx = a+1
if a ̸= −1
∫ φ′ (x)
2. φ(x)
dx = ln |φ(x)|

3. sin(φ(x))φ′ (x)dx = − cos(φ(x))

4. cos(φ(x))φ′ (x)dx = sin(φ(x))

5. eφ(x) φ′ (x)dx = eφ(x)

Esempi 234

1. sin4 x cos xdx = 15 sin5 x + k
∫ ∫ sin x ∫ sin x
2. tan xdx = cos x
dx = − −cos x
dx = − ln |cosx| + k

3. ex sin ex dx = − cos ex + k

164
∫ 2 1
∫ 2 2
4. xex dx = 2
2xex dx = 21 ex + k
∫ 1

5. e4x dx = 4
4e4x dx = e4x + k

Esercizi 235 Calcolare i seguenti integrali per sostituzione.


∫ ex
1. 1+e2x
dx
∫ 1
2. 1−sin x
dx
∫ sin x
3. cos3 x
dx
∫ ln x
4. x
dx
∫ x
5. 1+x4
dx
∫ cos log x
6. x
dx
∫ dx
7. x ln x

8. √ x dx
1−x4

9. x2 cos x3 dx

10. sin 2x(1 + cos2 x)dx
∫ log x+log 2 x
11. x
dx
∫ log x
12. x(1+log x)
dx

Osservazione 236 Il metodo di sostituzione a volte può essere usato anche quando la
funzione integranda è una funzione composta di due funzioni elementari, f (ϕ(x)), e la
derivata della funzione interna ϕ, ϕ′ (x) può non apparire nell’integrale. In questo caso,
una volta essere stato trasformato con la sostituzione l’integrale può essere risolto con
altri metodi, per esempio per parti. Presenteremo alcuni esempi dopo.

7.9 Regole di integrazione: Integrazione per parti

Questo metodo è basato sulla regola di differenziazione del prodotto di funzioni. Infatti,
richiamiamo che se f e g sono definite e derivabili su I ⊂ R, allora

(f g)′ (x) = f ′ (x)g(x) + f (x)g ′ (x).

165
Questo significa che f g è una primitiva di f ′ g + f g ′ . Questo implica che se f e g sono
differenziabili: ∫
(f g)(x) = (f ′ g + f g ′ )(x)dx

cioè ∫ ∫

f (x)g(x) = f (x)g(x)dx + f (x)g ′ (x)dx.

Questo porta a ∫ ∫

f (x)g (x)dx = f (x)g(x) − f ′ (x)g(x)dx. (7.16)

Chiaramente, per integrali definiti, la formula (7.16) diventa:


∫ b ∫ b

f (x)g (x)dx = f (x)g(x) a −
b
f ′ (x)g(x)dx.
a a

7.9.1 Integrazione per parti: Come usarla



L’idea dietro questo metodo è che se l’integrale f (x)g ′ (x)dx non è facile da risolvere,

forse l’integrale f ′ (x)g(x)dx può esserlo. Quindi, il metodo dovrebbe essere usato
quando la funzione integranda può essere decomposta nel prodotto di un fattore finito

e di un fattore differenziale in modo tale che l’integrale f ′ g sia più trattabile. Tutta-
via, il modo di decomposizione non è unico e il modo appropriato poterbbe non essere
immediato. Quindi, come nel caso del metodo di sostituzione, solo l’esperienza e l’e-
sercizio possono aiutare a diventare familiari con questa tecnica. Una tecnica comune,
p.es., è di considerare g ′ (x) = 1, cosı̀ che g(x) = x.

Esempio 237 Calcolare ∫


log xdx.

Qui si prende f (x) = log x e g ′ (x) = 1. Cosı̀ che

f (x) = log x g ′ (x) = 1


f ′ (x) = 1
x
g(x) = x
L’applicazione di (7.16) porta
∫ ∫ ∫
1
log x · 1 · dx = x log x − xdx = x log x − dx = x(log x − 1).
x

Esempio 238 Calcolare ∫


xex dx.

166
Qui si prende f (x) = x and g ′ (x) = ex . Cosı̀ che

f (x) = x g ′ (x) = ex
f ′ (x) = 1 g(x) = ex
L’applicazione di (7.16) porta
∫ ∫
xe dx = xe − 1 · ex dx = xex − ex = ex (x − 1).
x x

Talvolta sono necessari alcuni artifici, come l’esempio seguente mostra.

Esempio 239 Calcolare ∫ √


1 − x2 dx.

Qui si prende f (x) = 1 − x2 e g ′ (x) = 1. Cosı̀ che

f (x) = 1 − x2 g ′ (x) = 1
f ′ (x) = − √1−x
x
2 g(x) = x

L’applicazione di (7.16) porta


∫ √ √ ∫
x2
1 − x dx = x 1 − x + √
2 2 dx.
1 − x2
Osserviamo ora che
∫ ∫ ∫ √ ∫ ∫ √
x2 −x2 + 1 − 1 1
√ dx = − √ =− 1 − x dx+ √
2 dx = − 1 − x2 dx+arcsin x.
1 − x2 1 − x2 1 − x2
Quindi, ∫ √ ∫ √

1− x2 dx =x 1−x −
2 1 − x2 dx + arcsin x

che significa ∫ √ √
2 1 − x2 dx = x 1 − x2 + arcsin x

cioè ∫ √
1( √ )
1 − x dx =
2 x 1 − x + arcsin x .
2
2
Esempio 240 Calcolare ∫
x sin xdx.

Qui si prende f (x) = x e g ′ (x) = sin x. Cosı̀ che

f (x) = x g ′ (x) = sin x


f ′ (x) = 1 g(x) = − cos x

167
L’applicazione di (7.16) porta
∫ ∫
x sin xdx = −x cos x + 1 · cos xdx = −x cos x + sin x.

Osservazione 241 Osserviamo che se nell’esempio precedente (esempio 240), aves-


simo scelto f e g ′ in modo inverso, cioè f (x) = sin x e g ′ (x) = x, la procedura non
aiuterebbe. Infatti, in questo caso, si avrebbe

f (x) = sin x g ′ (x) = x


f ′ (x) = cos x g(x) = x2
2

che implica ∫ ∫ 2
x2 x
x sin xdx = sin x − cos xdx.
2 2
La procedura ha persino peggiorato l’integrale da risolvere piuttosto che migliorarlo.
Perciò , bisogna fare molta attenzione alla scelta di f and g. Questo esempio mostra
che se si deve calcolare ∫
xn h(x)dx

dove h è una funzione il cui integrale immediato non “peggiora” (p.es. h(x) = sin x, cos x, ex ),
una buona scelta è di porre f (x) = xn e g(x) = h(x). Infatti, derivando f (x) n volte,
il polinomio scompare e rimane solo g(x) or g ′ (x), immediatamente integrabili. Questa
scelta appropriata è stata fatta nell’esempio (238).

Esercizi 242 Calcolare i seguenti integrali per parti.



1. sin xdx

2. x3 cos xdx

3. x log xdx

4. x2 e−x dx

5. (x3 + 1) log xdx

6. ex cos xdx

7. 2x log(x + 1)dx

8. sin2 xdx

168

9. arctan xdx

10. xe3x dx

11. (x2 + 3x − 1)ex dx

12. ex (sin x)2 dx

Example 243 Calcolare ∫ 4 √


x
e dx.
1

Richiamando l’osservazione 236, possiamo prima operare una sostituzione, e poi inte-

grare per parti. Infatti, poniamo u = ϕ(x) = x. Poi, du = 2√1 x dx e siccome x = u2 ,
abbiamo ∫ ∫
4 √ 2
x
e dx = eu 2udu.
1 1
Questo può a sua volta essere integrato per parti, per ottenere
∫ 2
eu 2udu = 2e2 .
1

7.10 Regole di integrazione: Integrazione di funzioni razionali

Un altro metodo che può essere usato se la funzione integranda è una funzione razionale,
cioè può essere espressa come:
P (x)
f (x) = (7.17)
Q(x)
dove P (x) e Q(x) sono funzioni polinomiali. Infatti, in alcuni casi è possibile riscrivere
(7.17) nella somma di frazioni più semplici:
P (x) A B C Z
= + + + ...
Q(x) x−a x−b x−c x−z
dove a, b, c, ..., z sono radici di Q(x). Dopo la trasformazione evidentemente l’integrale
originale può essere calcolato immediatamente.

Esempio 244 Calcolare l’integrale



x−1
dx
x2 + 3x + 2
Notiamo che Q(x) = (x + 1)(x + 2), cosı̀ che si devono trovare A e B tali che
A B x−1
+ = 2 (7.18)
x+1 x+2 x + 3x + 2

169
Il primo termine di (7.18) è uguale a
A(x + 2) + B(x + 1) x(A + B) + (2A + B)
= (7.19)
(x + 1)(x + 2) (x + 1)(x + 2)
(7.18) e (7.19) sono uguali se e solo se A se B soddisfano il seguente sistema:
{
A+B =1
(7.20)
2A + B = −1
Quindi,
A = −2 B=3

e ∫ ∫ ( )
x−1 −2 3
dx = + dx = −2 ln |x + 1| + 3 ln |x + 2|
x2 + 3x + 2 x+1 x+2
Quando ci sono radici multiple, la situazione è differente, come il seguente esempio
mostra.

Esempio 245 Calcolare l’integrale



1
dx
x2 (x + 1)
Le radici sono x = 0 (radice doppia) e x = −1 (singola). per la radice doppia x = 0 si
1 1
devono introdurre i due termini x
e x2
. Cosı̀ che:
1 A B C
= + 2+
x2 (x + 1) x x x+1
Questo porta al sistema 


 B=1
A+B =0 (7.21)


 A+C =0

Quindi,
A = −1 B=1 C=1

e ∫ ∫ ( )
1 −1 1 1 1
dx = + 2+ dx = − ln |x| − + ln |x + 1|
x2 (x + 1) x x x+1 x
Esercizi 246 Calcolare i seguenti integrali di funzioni razionali.
∫ 3x+2
1. x(x2 −1)
dx
∫ x2 −2
2. x(x2 −x−2)
dx

170
∫ 1
3. x2 −x
dx
∫ 1
4. x(x+2)
dx
∫ x
5. (x−3)(x+1)
dx
∫ x2 +2
6. x3 −4x
dx
∫ 2x−1
7. 2x2 +x
dx
∫ 1
8. x2 −4
dx

171
Appendice A

Il valore assoluto di un numero x ∈ R, indicato con |x|, è :


{
x x≥0
|x| :=
−x x<0

Si noti che |x| ≥ 0. Inoltre, come riportato nell’Ambrosetti e Musu (pagina 28 e pagina
32), il valore assoluto ha le seguenti proprietà :

Lemma 1 Si ha:

|x| = 0 ⇔ x = 0 (A.1)
|x + y| ≤ |x| + |y| (A.2)

Lemma 2 Si ha:
|x| < c ⇔ −c < x < c (A.3)

Lemma 3 Si ha:

x2 = |x| (A.4)

Definizione
Dato un insieme A ⊂ R, un punto M ∈ R si dice maggiorante di A se M ≥ x per
ogni x ∈ A.

Definizione
Dato un insieme A ⊂ R, un punto M ∈ R si dice estremo superiore di A, e si indica
con M = sup A se è il piu’ piccolo dei maggioranti di A.

172
Si puo’ inoltre dimostrare la seguente proposizione, che caratterizza l’estremo supe-
riore di un insieme.
Proposizione
Dato un insieme A ⊂ R, un punto M ∈ R è l’estremo superiore di A se e solo se
valgono le due proprietà :

1. M ≥ x per ogni x ∈ A (cioè M è un maggiorante di A);

2. per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A tale che x0 > M − ϵ (cioè M è il piu’ piccolo dei
maggioranti).

Dimostrazione
Limitiamoci a dimostrare il ”solo se”. Sia M = sup A. Vogliamo dimostrare che le
proprietà 1. e 2. sono soddisfatte. Per definizione M è un maggiorante di A, quindi
M ≥ x per ogni x ∈ A (punto 1.). Per il punto 2., sia dato ϵ > 0. Allora M − ϵ < M .
Siccome M è il piu’ piccolo dei maggioranti di A, M −ϵ non puo’ essere un maggiorante
di A. Quindi esiste x0 ∈ A tale che M − ϵ < x0 , quindi per ogni ϵ > 0 esiste x0 ∈ A
tale che x0 > M − ϵ.

173

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