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Spazi metrici
1. Spazi metrici.
m 2 : d ( x ,y ) = 0 se e solo se x= y
Z— (Z1iz2>*3 ^
A X
S = !R3 ( e s e m p i o 3, N = 3 )
Figura 1,1
y = ( y u yf)
x = ( x i , x 2, . . . , x N) ; x . e R , ( = 1 , 2 , . . . ,N ;
2 \ a b\ < a2 + b2
in quanto
0 < ( l a i - | * 1 f =a2 + b 2 - 2 \ a b \ .
la.l l*,l
_____________ ____________ ^1/
sja\ -1- a\ + 7. . + a2 sfb\ + b\ + , . . + b2 2 W a \ +«? + .
2 +bì+ ...+ b l
20 Cap, I - Spazi metrici
e sommando:
N
E '« ,v
i=i
Af JV
i i
AL / _AL Hv
.2 4 - 1 / > 7,2 (1.5)
<=i F 7=1 F (=1
Dimostrazione. Infatti
N N
Z>,+
i=i
v - E1 a? + r b? + 2 E a. b. < Z > x > f
1=1
E-)]2 <
d(x, z) = [(*• - y {) + (y.
Spazi metrici 21
]f ( t ) —h (f)\ < max If ( t ) - g(t) I -I* max 1^(0 —h(t)\ = d(x, y ) + d(y, z)
1«,6] \a,b]
da cui segue
x = ( fu f ì , ----- f N) - ,
x = . , f N) e ■■ ,8 N)
e poniamo
r~N
d {x ,y )= max V . (1-8)
[«,61 f fri ‘
Lasciamo al lettore la cura di verificare che anche questa funzione d soddisfa gli
assiomi M , , . M *, Afa.
Esempio 7. Supponiamo che d(x, y) sia una distanza. Allora anche D(x, y ) =
§ 1 Spazi metrici 23
d (x-y) ,
= --------------- e una distanza.
1 + d(x, y )
Le proprietà M j, M 2, M3 sono ovvie. Per provare M4 .osserviamo innanzitutto che
t
f ( f ) — •^ è crescente per t > 0. Allora se d(x, z) < d(x, y ) + d(y, z) risulta
d(x, y ) + d(y, z)
Z)(x, z ) < ----------------- :---------e, a sua volta, è immediato verificare che
1 + d(x, y ) + d(y, z)
f. . . .
O x0 x 0-f
Figura 1.3
r r
Per N = 1 tale intorno è l’intervallo ] x 0 -------- , x 0 4-------- [, per N = 2 è il
ht hj
rettangolo
per N = 3 è il parallelepipedo:
Figura 1.4
d l (x, y )
per ogni coppia x , y & S , x = ty
d2 (x, y )
Da qui segue che ugni intorno sferico di uno dei due spazi metrici (S,
di centro x a, contiene un intorno sferico dell’altro spazio metrico (S, d 2) e vice-
1 yW
— <
H max {h. \ %. -rj^l} h
S = { ( x ,/ ) : x > 0 , y > 0 };
% r{x0)= { x e S : d { x ,x 0) < r } .
dove p = r - d (x 0, x) .
Figura 1.6
Spazi metrici 27
segue che:
% ( x ) C % { x 0)
1.9. — Teorema (Proprietà della famiglia degli insiemi aperti). Dato uno
spazio metrico S consideriamo la collezione 0 dei suoi sottoinsiemi aperti. Allora
si ha:
L’intorno ^ lr(x) dove r = min {ri: r2, . . . , r Appartiene allora a tutti gli insiemi
n n
A e nertanto a (~) A .. Quindi f~] A , è un insieme aperto. QED
' 1 i=i ' /= ì ‘
A .= { x e R : l x l < — } ieN
' i
n ^,={°}
1=1 '
■ Problemi.
E ° = {x £ E : x è interno ad E }
d ( x ,y ) = Y ^ ^x i ~ y ^
i=i
ri(x, 7 ) = sup { I x i - y x \, l x2 - y 2 \ , - - - , Ix n - y „ \ , . . . )
è uno spazio metrico. Descrivere gli intorni °Uf (x, y ) di questa metrica,
1.9. In C°(7), ove 7 è un intervallo chiuso e limitato, consideriamo la fun-.
zione:
Questa segue facilmente dalla diseguaglianza di Hòlder (cfr. voi I § 72 es. 3). In
fatti, p o sto q = ~ , cioè l=
1-±;S
Ì
ha:
<7 P
30
Cap. I-S p a zi metrici § 1
+ l/ ( f ) + ^ ( 0 l ?(p_1) dt
7 /
Sia S uno spazio metrico ed {xn } una successione di S, cioè una applica
zione di N in S.
La teoria delle successioni che abbiamo svolto in R si estende in parte al
caso delle successioni di uno spazio metrico.
lim d(x , x 0) = 0 .
d (x 0, x 'q ) = 0'
dunque: x 0 =xó-
La seconda parte si deduce dall’analogo risultato per le successioni reali.
QED
Nascono alcune difficoltà di notazioni nel considerare successioni {x } di
punti di R , in quanto dovremo usare due indici: uno per indicare il termine della
successione, l’altro per indicare la componente di x n . Allora se {xn } è una succes
sione di R^, x indicherà il tem in e n-imo della successione ex" (z = 1, 2 , . . . , N)
la componente z-ma di x n = (x'{, x " , . . . x ^ ) .
Dimostriamo il seguente:
lim x ~ x 0
n-*°° ”tl
se e solo se
z = 1,2, . . . , N .
d (x„. x 0) = =e.
Viceversa, se
lim x = x 0 ,
essendo
2" — T 2
I 1
1"
li
—T----
, 3"
co
1
i~
I
i
4 1
I* 1
i i | ,
3' 4' 2' i'
Figura 1. 7
segue, per gli stessi indici:
lim x ? = x ° . QED
1 1
S Si noti che in questo teorema è essenziale il fatto che è uno spazio vetto-
riale a dimensione finita (def. 12.1).
Dimostriamo ancora il
lim / (0=/o(0-
«-*■
+“ n
Dimostrazione. Se infatti si ha:
lim x = x0 ,
e quindi
QED
xo = V U l , - ' , f ° N }
si ha
lim x fi =«Xo
n->°°
d(x , x )< e.
e
d(xn, * 0) < — •
e e
d(x , x ) < d ( x , x 0) + d (x , x 0) < — + — = e . OED
L’inverso del teorema 2.6, in generale, non è vero. Infatti, l’insieme Q, come
sottoinsieme di R, è uno spazio metrico con la metrica indotta da R, ma una suc
cessione di Cauchy di 0 non è necessariamente convergente ad un elemento di Q.
Poniamo allora la seguente importante
2.8. — Teorema (Completezza degli spazi euclidei). RjV è uno spazio metrico
completo.
Dimostrazione. E’ noto dal primo volume che R è completo. Sia {xn } una
successione di Cauchy di R N . Essendo:
1x7i - x™
i l < d (xr n , x m')
§ 2 Successioni di punti 35
lim x n =x°
“ 1 1 - ■
■ Posto allora x 0 = (x®, x®, . . . , x dal teorema 2.3 (limite per componenti) ,
segue
lim x = x0 QED
) J ~> -f. oo n
Osserviamo anche che uno spazio completo è completo in tutte le metriche equi
valenti .
Dimostriamo ancora
■ Problemi.
2.1. Sia S = ]a, b[ un intervallo aperto di R reso spazio metrico dalla metrica
indotta da quella di R. Verificare che S non è uno spazio metrico completo.
2.2. Sia é? il sotto insieme di C° [a, b] (es. 5) costituito dalle restrizioni ad [a, b]
dei polinomi a coefficienti reali nella variabile reale.
Provare che '2P reso spazio metrico dalla metrica indotta su da C° [a, b ] non
è uno spazio metrico completo.
36 Cap, J•Spazim etrici § 2
„o _“*X2
Xj „o _“ i1
.Pi
3
dimostrare che
lim x = ( 0 , 0 ) ,
n-*“
2,5. Lo spazio metrico descritto nel p.b. 1.9 non è completo. (Sia / = [0 ,3 ]
ed {f n } la successione di C° ([«, h]) cosi definita:
0 sa 0 « / < l - 1 In
per n ->•• + »
§ 2 Successióni di punti 37
Possiamo ora enunciare un teorema generale che ci sarà molto utile irei
seguito. Esso è dovuto, nella forma in cui l’enunceremo, a R. Caccioppoli e prende
il nome di teorema di Banach-Caccioppoli.
3.1. — Teorema (Punto fisso delle contrazioni). Sia S uno spazio mettici)
completo, non vuoto, ed F u n ’applicazione di S in S. Supponiamo che esista una
costante a, con 0 < a < 1, tale che, per ogni x ,y & S , sì abbia:
F (x) = x . (3.2)
si ha:
lim x = x. (3.4)
x — lim F h (xa),xo é S .
Dimostrazione
Consideriamo la successione {xn } definita, per ricorrenza, dalla (3.3), dove
Xó è un punto fissato di S.
38 Cap. I - Spazi metrici i 2
e quindi
d(xr , )<oCd(pc0, x t ) .
Di qui segue che, per ogni coppia di indici m, n con m > n, si ha:
x = lim x .
«-»+“ n
Poiché:
segue che
lim l'(x ) = F ( x ) .
x = F(x) ,
(cioè che è l’unico punto fìsso) supponiamo che accanto alla (3.2) si abbia:
y = F fy ).
Allora si ha:
i ' {X) “ X
d(xo, F (x q ))
d(xn, x ) < (3.7)
1 —a
che fornisce una maggiorazione della distanza della nma approssimazione x dal
punto fisso.
Cap. I-S p à zi metrici § 3
40
La fòrmula (3.7) si ottiene dalla (3.6) ricordando che x , - F(Xo)> c*ie Per
m>n
d(x0, F(Xp ))
< e t + d (x m ,x )
1- a
d(Xó, F (x 0)
d (x0, x) < — ;----- -----
1 —a
l / T * ) - / Ù 0 l < tt l x - y I
con a < 1. Tutte le ipotesi del teorema 3.1 sono soddisfatte per cui esiste un unico
punto fisso x:
f( x ) = x ;
esso può essere calcolato col mètodo delle approssimazioni successive. QÈD
* Problèmi.
N
a
N
mav V * In. I < a < l ,
max
e si dimostri che nelle ipotesi dette si può applicare il metodo delle appros
simazioni successive).
3.2. Sia k ( s , t) una funzione definita nel quadrato Q : a < s < b, a < t < b ed ivi
continua; sia f( s ) una funzione continua per a < s < b . Allora l’equazione in
tegrale
b
k(st t) x ( t) d t
a
ammette una ed una sola soluzione x ( s ) , continua per a < s < b, per ogni
X abbastanza piccolo.
(Si consideri l’applicazione
•a
= 1X1(6 —a ) M d ( X i,x 2) .
42 Cap. I - Spazi metrici § 3
4. - insiemi chiusi.
E : { x e S : d (x 0 lx ) < r } (4 , 1)
detto intorno sferico chiuso di centro x 0 e raggio r, è un insieme chiuso. Per questo
basta dimostrare che
# F = { x e S : d (x 0, x ) > r }
segue che
typ ( x ) e t f E .
■V i ■a I
M ] = x eR : x — <-
2 2
§ 4 Insiemi chiusi 43
In l’insieme
{x e RN : x. > a } , {x e RN : X j< a }
Pertanto, essendo gli insiemi a secondo membro aperti, per quanto detto prima l’in
sieme a primo membro è aperto per la proprietà 3) del teorema 1.9.
Risulta immediatamente dalla definizione 4.1 che, se indichiamo c o n i l a
collezione degli insiemi chiusi di uno spazio metrico S, abbiamo il seguente teorema
analogo al teorema 1,9,
Il teorema 4.2 segue dal teorema 1.9 (proprietà della famiglia degli aperti) e dalla
formula di De Morgan.
Ancora a titolo di esempio osserviamo che un insieme finito E di S è chiuso.
Infatti, per il teorema 4.2, 4), basta mostrare che l’insieme {x0 } costituito da un
solo punto è chiuso.
Ciò segue dallo stesso teorema al punto 3) in quanto {x0 } è l’intersezione
degli insiemi chiusi
E = {y e S : £?(x0, ^ ) < — }, fc e N ,
k
lim x = x 0 E l
n— "
lim x n e E .
n-y°°
Dimostrazione: a) Supponiamo che E sia chiuso e che lim x n = x 0 £ S . Dobbiamo
dimostrare che, essendo x n G E, segue che x 0 G E. Se ciò non fosse, si avrebbe
x0 e E, insieme aperto. Allora esisterebbe un intorno ^ ( x q ) contenuto in
§ 4 Insiemi chiusi 45
lim x G^ E .
lim x = x .
n-vco n
Allo scopo per ogni n £ N sia <%/. (x) l’intorno sferico di centro x e raggio — e sia
n n
x n C E tale che x e (x). Essendo
rt
d{x >x)< —
“ n
segue lim x - x .
»-»■ “ n
Allora se x è un punto di accumulazione dell’insieme chiuso E , per il teorema
4.3. x C E . La parte del teorema con “solo se” è dimostrata.
Viceversa supponiamo che E contenga i suoi punti di accumulazione.
Sia ora {x } una successione convergente di punti di E e sia lim x = x0
{{x, y ) G R 2 : y = 0, l a : | < l }
■ Problemi
A =? { ( r j ) G R J : x 2 - / < 1}
fi = { ( r j ) e R J : l < x _ y < 2 }
È= f i E
9 E = E n<&E,
dedurne che 9 E = 9 ( é E ) .
4.4. Sia E un sotto insieme di uno spazio metrico S. Provare che un sotto insieme
A di E è chiuso nello spazio metrico indotto da S su E1se e soltanto se esiste
un sotto insieme chiuso F di S tale che
A =E CiF.
4.6. Dato un sotto insieme E # </>di uno spazio metrico S ed_un punto si
provi che
4.8. Dimostrare che ogni successione di Cauchy di punti di uno spazio metrico
costituisce un insieme limitato.
4.9. Dimostrare che lim x = x rin un dato spazio metrico se e solo se la succes-
sione
x lt x, x 2, x, x 3, x , . . .
è convergente.
{x, x it x 2, . . . } è chiuso.
5. - Insiemi compatti.
d { ) x 0, xi e s
d{xn, x .) > 1 / = 0, 1, 2 , . . . , n — 1 .
Ix” K d (x n , 0)
§ 5 Insiemi compatti 51
i i= 1, 2, . . . ,N ;
Ei DE2 D . . . D E D . .
52 Cap. I - Spali metrici § 5
E C U An
Dimostrazione. Per ogni n £ N consideriamo il sotto insieme chiuso difs dato
n
da En = E - e osserviamo che, per ogni n e N, E n A En + 1 . Se per assurdo
/= ì
«
non esistesse alcun n £ N per il quale E C f j A { ciascuno degli insiemi En sarebbe
i=l
non vuoto e quindi, per il teorema precedente, avremmo
** n En ~ n ( * - l u ,)=*-
n —1 n —\ i-1 «=i
r
e ciò contrasta con l’ipotesi. Q.E.D
f = { ® j] : h G N } .
{ mn^ r ■ 3 , % C A aJ -
Allora risulta
U ' I ^ U ^ d U ® .
ckGs/ a nGN n
n
D’altra parte per ogni u € j ì / e per ogni x £ / t a , esiste, in conseguenza della defini
zione di Y'", €= &
?/ tale che
n
Risulta dunque
U A c U %
"
e quindi
zi = U A .
a n SN an
■ Problemi
5.6. Si dice che un sotto insieme E di uno spazio metrico S è totalmente limitato
se per ogni e £ R+ esistono, x t , x 2, . . . , x £ E; p £ N; tali che
p
E C \ J ® ( x ).
i—i e 1
Provare che
i) Un sottoinsieme E di R^ è limitato se e soltanto se è totalmente li
mitato,
ii) Un sotto insieme E di uno spazio metrico è totalmente limitato se
e soltanto se lo è E .
iii) Il sotto insieme E = { f S C°(f«, è]) : | f(x )\ < 1, x £ [a, b ] } di Cu([a,
6]) è limitato ma non totalmente limitato.
6, - Insiemi cQnngssi,
Abbiamo già visto che fra i sottoinsiemi E di uno spazio metrico S, l’insieme
E = 0 e l’insieme E = S sono contemporaneamente insiemi aperti e chiusi.
Possiamo chiederci se oltre questi due insiemi ci siano altri sottoinsiemi di
S che siano contemporaneamente aperti e chiusi. Che in uno spazio metrico S
ci possano essere insieme non vuoti diversi da S che siano contemporaneamente
aperti e chiusi sì vede facilmente con un esempio. Sia dato lo spazio metrico S e
considerati due p u n tilo , x 1 £ S, x 0 ¥=xi sia
Si =A U B
Allora A e B sono ovviamente sotto insiemi aperti non vuoti dello spazio
metrico S i indotto da S su A U B. Essi però sono anche chiusi perché S l - A -
Figura 1.8
= B e S i - B = A sono aperti.
Diamo ora la seguente
S=AUB.
Figura 1.9
QED
■ Problemi.
6.3. Siai?a : a E s é una qualsiasi famiglia di insiemi connessi di uno spazio metrico
E = { { x , y ) : x y = 1}
è connesso?
Insièmi còntiessi 57
«6
T = {(x,y)<=R2 : y = f ( x ) , x G I }
4 :11
7,2. Definizione (Spazio vettoriale normatò). Uno spazio vettoriale V su R
[oppure su C] si dice nom ato se esiste una funzione V + R, chiamata norma e indi
cata con 11 II, il valore di questa funzione per x e V essendo indicato con II x II, tale
N i : Il x 11*= 0 se e solo se x - 0
d(x, y ) = Il x - y II •
x + y = (x i + ^ 1,^2 + y 2 , ■ ■ ■ , x N + y N) , (7.1)
Il x II = (7.3)
n
( x, y ) =Y_ • (7-4)
Lasciamo al lettore la cura di verificare che il prodotto scalare (1.1) gode delle
proprietà seguenti
§ 7 Spazi vettoriali n o m a ti 59
(X, y ) = (y, X )
(a x , y ) = ce (x, y ) ; ae R ;
{ x , y 1 + y ì ) = ( x , y l ) + (pc, y 2) ; (7.5)
(pc, x ) > 0
(x, x) = 0 se e solo se x =0
Tali proprietà del prodotto scalare consentono di esprimere la norma (7.3) median
te
II* H= { ( * , * ) } ’ ; (7 .6 )
Ricordiamo esplicitamente che non tutte le norme equivalenti (ossia che inducono
metriche equivalenti) hanno la proprietà (7.6), cioè di essere indotte da un prodotto
scalare. Si pensi ad esempio a IIx ll„ = max ( i x 1 1, Ix 2 1,. . . , ìxN |)
Nel seguito quando ci riferiremo ad Rw , intenderemo (salvo esplicito avviso contra
rio) che esso sia dotato, oltre che della struttura di spazio metrico considerata
nell’esempio 3 del n. 1, anche delle strutture di spazio vettoriale, di norma e di
prodotto scalare ora considerate. Cosi strutturato R." sarà detto spazio euclideo
«-dimensionale.
In modo analogo a quanto visto per le successioni reali si dimostra il teorema
seguente la cui dimostrazione lasciamo al lettore.
7,3, Teorema (Spazi vettoriali topologici). Se {xf) }, {yn } sono due succes
sioni di uno spazio vettoriale nortnato V su R ed } una successione reale tali che
allora:
lim (x
K n + ys n )/ = x + sy >
, lim a n x n =ccx .
„ /J—
9
-oo
60 Cap. I - Spazi metrici § 7
Questa proprietà può essere espressa dicendo che lo spazio V è uno spazio Vettoriale
topologico in quanto essa afferma che le operazioni di somma e di prodotto per uno
scalare sono continue rispetto alla metrica indotta dalla norma (vedasi anche la
definizione 8,6 e il problema 11.4).
Figura 1,10
E=A U B.
z ; [0 ,!]■ + 2 (/ )=-(! i ) x + ty e E .
§ 7 Spazi vettoriali nom ati 61
Ilz ( t) - ? ( 7 ) l l < e .
se
r-T ------------ •
11x1+ \\y\\
J U F = [ 0 , 1]
E=A U B.
x 0 = x , x l , . . . , x n =y
x I. & A . x.1+1
. .
Per gli insiemi aperti di R” la condizione espressa dal teorema 7.7 caratte
rizza il carattere connesso di E.
Figura 1.12
§ V Spazi vettoriali nom a ti 63
Sia A il sottoinsieme di ti costituito dai punti y di E che sono estremi di una spezza
ta appartenente ad E avente origine in x.
Sia B = E - A, risulta x e A e quindi A ¥= $■ Inoltre A è aperto. Infatti se
z e A e se (z) è un interno sferico di centro z che appartiene ad E, allora ogni
u S (z) può essere unito a z mediante un segmento [z, ur] che appartiene a
^U,p (z) e quindi ad E. Pertanto ogni tale u e A e quindi A è aperto. Infine B è
anch’esso aperto per lo stesso motivo.
Ora se fosse B # <j> esisterebbe una coppia di insiemi aperti A, B non vuoti
tali che A Pi B = $, A U B = E e ciò contrasterebbe con la connessione di E. Si
ha dunque B = <j>e quindi è provato che ognij> & E può essere unito ad x mediante
una spezzata appartenente ad E, Questo prova la parte del “solo se”. La parte del
“se” è stata dimostrata nel teorema precedente. QED
■ Problemi.
7.2. Due elementi x, y dello spazio euclideo R/v sono detti ortogonali se il loro
prodótto scalare (x, y ) è nulio.
Verificare che x, y sono ortogonali se e soltanto se
W x + y P = Il x II2 + h y P
7.3. Verificare che se per due elementi x, y delio spazio euclideo R/17 risulta
n A 01 è un insieme convesso.
a&A
<54 Cap, I-S p a zi metrici §7
8, - Applicazioni continue,
f : x = (x 1, x 2, . • •, x n) e S ^-f(x)<= R
e per N - 3 la notazione
/ : (x, y, z ) e R3 f ( x, y , z ) G R o anche f ( x, y, z) .
/ : (x , y ) e i -* f ( x , y ) = -- - ; / = {(*,.);) e R2, x * y }
x -y
, x +y
0 anche f(x, y ) = --------pevx=£y.
x -y
Essa è pertanto definita in tutto il piano eccezion fatta per i punti della retta y = x .
Altra funzione reale di due variabili è ad esempio
g : (X y ) Q J -+ g(x, y ) = \ / ì - x i - y % ; ; = { ( r j ) 6 R ! , r 2 + / < l }
(8 .1)
6 8 Applicazioni continue 65
Figura 1.13
ottenuto con la seguente legge: ad ogni puntò x dell’insieme I ove è definita la fun
zione si associ il punto dello spazio che si proietta su Rw nel punto x di coordinate
( x u x 2, , xN) ed ha per (N + 1) esima coordinata^ ~ f ( x ) . L’insieme di tali
punti prende il nome di grafico della funzione/. Vedremo che, nei casi più comuni
esso avrà le caratteristiche che si attribuiscono intuitivamente ad una superficie.
Ad es. il grafico della funzione (8.1) è la porzione di superficie sferica che si trova
al disópra del piano Xy.
se z. < Zy In molti casi (vedi § 23) è possibile ridursi semplicemente alla rappre
sentazione grafica delle curve
{ ( x , y ) e i : f { x , y ) = z i },
/( p ) = m ; f(p)=M .
<Mi < M .
f.:peS-»f.(p)<= R ; i= 1 , 2 , . . . , M ; (8.2)
f : p e S - * f ( p ) = ( f i ( p ) , . . . , f M(p))<ERM .
Figura 1.15
F i gu r a 1.16
§ 8 Applicazioni contìnue 69
Trasformazione lineare
Figura 1.17
F i gu r a 1 ,1 8 5
70 Cap. I - Sp az i metrici § 8
Coordinate sferiche
Figura 1.19
F i gu r a 1.20
§ 8 Applicazioni contìnue 71
f ~l (P) = { p e S : f ( p ) e B }
D’altra parte essendo f continua in p 0 esiste un 5 > 0 tale che, se d(p, p 0) < 5,'
si ha d' \ f ( p ) , f ( p 0) } < e, cioè se p &aUs (Po) allora/(p) e t y j j i p o ) ) C fi. Quindi
/ -1(fi) contiene (po) ed essendo p0 un punto arbitrario d i/" 1 (fi) segue che
f x(fi) è un insieme aperto di S.
Per dimostrare la seconda parte del teorema, supponiamo che per ogni aperto
5 C S 1, l’insieme f~x (fi) sia un aperto di S e mostriamo che / è continua in ogni pun
to Po di S. Per ogni e > 0 l’insieme
r l ( % ( f ( p 0)))
d'(f(p),f(po)) < e ■
g o / : x e s -+g(f(x)) e s
è continua in S.
(g°f)~l ( B ) = r i ( g i m -,
f - g : x £ S -*f(x)g(x) e R
sono continue.
f ( P i + P 2 )=:f ( p i ) + f ( P i ) , perogni P i , p 2 e RN
La stessa definizione vale per spazi vettoriali qualsiasi. Si noti che il grafico di un’ap
plicazione lineare di R*' in R * è un sottospazio lineare di RAf+Af di dimensione TV.
Proviamo che:
Dimostrazione. Siano ex = (1 , 0 , 0 , , 0 ), e2 = (0 , 1 , 0 , . . . 0 ), . . . eN =
= (0 , 0 , . . . , 0 , 1)1V elem en ti d i che (co m e sarà v isto n e l n. 1 7 .3 ) c o s titu isc o n o
la base canonica o rto n o rm a le d i R ^ . A llo ra p er o g n i x = (X i, x 2, . . . , x N ) € R N
risulta ovviam ente
x = X i e t + x 2 e2 + . . . + xN eN
iV
fW = / ( E * t et) = E V (e;) =
' N N
E au * r E
V= l i=l
a« x i ... E V '
P er o gni c o p p ia x , x = (x \ , x 2 l . . . e Riv si h a p e r ta n to
/ IV .Ar IV ^ \
/ (* ) - f (x) = ( £ a .; (x. - x.), Y _ a2.(x. - x V am (x. - *,.)!
'i=i '= i /= i <
e di conseguenza
m _tv 2 1 1/2
V'
i! f ( x ) ~ / ( a ')H = / _
;= t 1= 1
E (*/-*/) I
P er la disuguaglianza 1.4 (d i S ch w arz) si h a allo ra
M
J rJ , tNi N
XV . 1/ 2
ii m -
(8 .3 )
iV XU2
E E a//( •
^ li A - A* ì
§8 Applicazioni continue 75
S Si osservi che negli spazi vettoriali a dimensione infinita questo teorema non
vale senza l’ipotesi di limitatezza (cond. 9.3),
■ Problemi.
xy
se (x, y ) G R2 - { 0 ,0 }
x 2 -t*
•y
b) f ( x, y ) =
0 se ( x, y ) = (0 ,0 ) ,
arctgxp
se ( x , y ) e R 2 - {(x,y)
y
c) ■ f(x,y) =
0 se (x,y)(B ( ( r j ) £ R 2
9.1. Definizione (Limite in spazi metrici). Siano S ed S ' dire spazi metrici
ed / : S -» S '. Sia p 0 un punto di S che sia punto di accumulazione di 5. Diremo che
un punto q e S ' è il limite di f ( p ) per p tendente a p 0 e scriveremo
lim f ( p) = q ( 9. 1)
p-*p*
76 Cap, / - Spàzi metrici
ed anche
se, fissato e > 0, esiste 6 > 0 tale che per ogni p e S, p ¥=p 0 ed(p, p 0) < S , si ha,
d ’( f ( p ) , q ) < e .
m per p ¥=p0
f
:p<
ES
^7
(p
)=
q per p = p0
è continua in Pó-
Si ha il seguente teorema che collega la definizione di limite a quella di
successioni convergenti (def. 2.1).
lim P„ = Po
si ha
lim f ( Pn) =f (P o) .
n-K*>
d'(f(pn) , f ( p 0) ) < e .
cioè lùn f ( p ) = / ( p 0) ■
n-*°°
b) Viceversa supponiamo che comunque si prenda una successione {pn } di
S convergente a p„, allora la successione l f ( p n) } d i S 1converga a f ( p 0) e mostria
mo che f ( p) è continua in p 0 •
§ 9 L im iti 77
d ( p , p 0) < 8
mentre
d ’( f ( p ) , f ( p 0) ) > e 0 .
1
Scegliendo pn in corrispondenza di 5 = —-, troveremo una successione tale che
1
d ( p n, P o ) < -
mentre
/ ( : p e ^ / ( (p )É R ; i - 1 , 2 ......... M ;
sono continue in S,
Questo teorema è una conseguenza del teorema 2.3 (limite per componenti).
se, fissato k e R, esiste 5 > 0 tale che.per ogni p / p 0 con d(p, p 0) < 5 si abbia:
*" o • -j **■
è continua e ( f o g) (0) = a, ( f o g) (1) = fi. Ne segue in virtù del Teorema dei valori
§ 9 Limiti 79
intermedi visto nel primo volume (teor. 41.2) che questa funzione assume in [0, 1]
tutti i valori compresi fra a. e 0. Da qui e dal teorema 6.3 segue l’assetto. QED
lim f(P ) = A
«**♦
+» n
A - — ■< / ( p „ ) < A .
n "
f ( p ) < h = f ( p 0)
Il teorema seguente è valido per funzioni / : S -* S ' fra uno spazio metrico
compatto S ed uno spazio metrico S 1. Intanto premettiamo la
d '( f ( P ) J ( q ) ) <e .
9.10. Teorema (di Heine Cantor). Sia S uno spazio metrico compatto S '
uno spazio metrico ed f : S -*■ S 1 una funzione continua. Allora f è uniformemente
continua in S.
d'(f{p\f(Po))<e-
Fissato e > 0 , per ogni p 0 e S indichiamo con &e(Po) l’estremo superiore del sot
toinsieme di R+ descritto dai raggi 6 degli intorni sferici di centro p 0 per i quali si
ha:
S ( P i ) > S ( p 0) + d ( pi , Po)
®s(Po) (Po)c % ( P o )
e dall’altra, poiché per ogni q tale che d(q, Po) < P »si ha:
risulterebbe
d'(f(p),f(q))<e ,
Da ciò si deduce che d ' ( f ( p ) , f (q)) < e se p, q e S e d(p, q) < 5 0 e il teorema resta
cosi dimostrato. QED
in modo che risulti ll/(p)ll < il/II* llpll ed anche II/Il = sup { W(p) Il : llpll < 1 }.
Nel seguito scriveremo anche ll/ll ,, . , in luogo di ll/ll
f + g : x e R N — > / ( j ) + ? (x ) £ R m
a f - .x e R N — * ctf(x)eRM
§ 9 Limiti 83
allora £ (R ^, JlM) risulta uno spazio vettoriale su R e d 11/ II, definita come in (9.4)
risulta una norma su £ (RN , RM). Inoltre se f . g G £ (R^, R ^ ) allora f * g €
€ £ (Rn , RW) e risulta
S. I risultati valgono per funzioni lineari continue tra spazi di Banach X, Y qual
siasi. Nel caso particolare X = Y si possono riassumere dicendo che £(X, X)
è un’algebra di Banach.
■ Problemi.
9.1. S i a f : S ~ * S ' una applicazione continua dello spazio metrico S nello spazio
metrico S' e sia S compatto. Provare che f ( S ) è un sottoinsieme compatto
di S '. Dedurne che s S 1 = R allora (Teorema 9 . 8 ) / è dotata di minimo e
e di massimo in S, (vedi anche Problema 5.3).
9.4. Sia / : S -> S 1 una applicazione continua dello spazio metrico S nello spazio
metrico S 1. Supponiamo che S sia compatto e che / sia iniettiva. Provare che
l’applicazione
r l
è continua.
9.5. Sia S uno spazio metrico. Provare cheN è non connesso se e soltanto se esiste
una applicazione continua/ : S -* R tale che f ( S ) = {0, 1}.
9.6. Sia E un sottoinsieme chiuso non vuoto di uno spazio metrico S e sia* $ E .
Provare che esiste %e E tale che
84 Cap. I-S p a zi metrici § 9
9.7. Siano S, S ' due spazi metrici e siano f , g : S ^ S ' due applicazioni continue di
S in S'. Dimostrare che se E è un sottoinsieme denso di S e se f ( x ) —g(x),
per ognix GÈ, allora risulta/(x) ~g( x) per ognix GS.
9.8. S i a / : S -*■ S 1 un’applicazione dello spazio metrico S nello spazio metrico S',
Lipschitziana in S, tale cioè che esiste M e R+ per il quale si verifica d' { f(p ),
/ ( ? ) } < Md(p, q). Provare che / è uniformemente continua in S.
9.9. Siano S ed S 1 diie spazi metrici dei quali S 1 sia completo e sia f : E - * s ' una
applicazione continua di E i n S ' . Dimostrare che s e / è uniformemente con
tinua su E allora esiste una unica / : E -* S ' continua tale c h e /(x ) = / ( x ) se
x e E. Dare un esempio di una_applicazione / : E -+ S ' continua che non
ammette estensione continua/ : E-+S'.
3 ,
Calcolo differenziale
delle funzioni reali
di più variabili
X e] x0 - s, x 0 + 5 [-*f(x, ; 0) £ R ,
che nel seguito sarà indicata con la notazione/ ( • , y 0) oppure anche con la notazio
ne f ( x, y 0) è dotata di derivata in x = x 0 ; cioè se esiste in R il
192 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 18
f ( x o + h, y a) - f ( x 0, J'o)
lim (18.1)
h-*0 h
diciamo che tale derivata è la derivata parziale di f rispetto alla prima variabile od
anche rispetto alla variabile x nel punto (xa, y 0) e la indichiamo con uno dei sim
boli seguenti
3/
4 oppure —
dx
che nel seguito sarà indicata con la notazione f ( x 0 . •)> oppure anche con la notazio
ne f(xo, y ) è dotata di derivata i n y = y 0, cioè se esiste in R il
diciamo che tale derivata è la derivata parziale di f rispetto alla seconda variabile od
anche rispetto alla variabile y del punto ( x0, y 0) e la indichiamo con uno dei sim
boli
xy
f (X, y ) = per ( x , y ) ^ ( 0 ,0 )
x2 +y1
/( 0 ,0 ) = 0 .
Tale funzione è continua rispetto alle variabili separatamente per ogni (x, v) G
£ R2 , ma non è continua come funzione delle due variabili in (0, 0) in quanto in
ogni intorno del punto (0, 0) essa assume il valore zero e, ad es., il valore 1/2
quando y = x. Ciò nonostante tale funzione ammette derivate parziali in (0, 0) e
risulta/^(O, Q ) ~ f y (0, 0) = 0.
Il procedimento precedente applicato ad una funzione / , definita in un insie
me aperto I y ed ivi derivabile, genera due nuove funzioni: / v , f v definite anche esse
in I. Qualora la funzione / sia definita in un dominio T (cfr. Def. 4.12), l ’opera
zione di derivazione parziale viene considerata esclusivamente nei punti interni a T;
peraltro sarebbe possibile parlare anche di funzioni definite in un dominio T e dota
te di derivate parziali continue in T, considerando come tali ad es. le funzioni do
tate di derivate parziali nei punti interni a T le quali coincidono con funzioni con
tinue in tutto il dominio T. Ciò equivale a considerare le derivate parziali in un
punto frontiera (x 0, To) £ 3 T non come limite di un rapporto incrementale come
194 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 18
(18.1) e (18.2), ma come limite digerivate parziali calcolate in punti interni (x, y)
di T quando (x, y) tende a (x0, y o).
Se la funzione f è inoltre a sua volta dotata di derivata rispetto ad x [rispetto
ad y], in (x 0, ya), questa derivata si chiama derivata parziale seconda di f rispetto
ad x due volte [rispetto ad x ey] e si indica con uno dei simboli:
aV
D f(xo,yo)> f " ( x 0, y 0) , f ( x 0, y 0)
3x2
(*o.Vo)
P x y f ( x o . y 0) , f ”y { x o , y 0 ) , f x y { x 0. y 0) ,
<*0.J’o)-
rD
, f ( x o J'o) . / " y C*o. J'o) . f y y ( x 0, y o ) , (ili)
\ dy2 /
L ” (x„,y 0)
y ~ f { x , y ) - f ( x 0, y ) - f ( x , y 0) + f ( x Q, y 0)
t) ^ f ( x Q, t)
nel passaggio dal valore y Q al valore y , sia come l’incremento che subisce la funzione
di t:
\ j j (x )- t y {x 0) = (x ~ x 0) $ (£ 2) ~ ( x Xq ) Ux (%2 , y ) - f x <£ì,yo)}
f y i x . i h ) - f y {X o , m ) =f y x ^ u V i ) ( x - * 0)
V
=f y x ( ì i . V i ) =f x y i h . V i ) ( 18,5)
( x ~ x 0 ) ( y - y 0)
196 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 18
ove P i = (£i, rji) e P2 = (£2, V i) sono due opportuni punti dell’intorno R di P0-
Tenendo allora conto delle (18.3) e della (18.5) si deduce
18.3. Osservazione. Il lettore osservi che di fatto abbiamo provato che nelle
ipotesi del teorema 18.2 esiste in R
Si vede facilmente peraltro che tale limite può esistere senza che esistano le
derivate miste di / ; ad esempio per la funzione definita su tutto R 2 mediante
f ( x , y ) = <i>(x) + .!//()'),
/ = D f f D f
Jxxx X *XX Jxxy y xx
f - D f D f
J xyx x xy ^x y y y J xy
f - D f f D f
Jyyx x Jyy yyy y yy
f = D f f D f
J yxx x yx yxy y Jyx
Se queste derivate terze sono continue in I insieme con le derivate degli ordini
precedenti si vede facilmente, che, per il teorema 18.2, si ha:
§ 18 Derivate parziali delle funzioni di due o pai variabili 197
f = f — f ■ f =f —f
Jxxy J yxx Jxyx ’ xyy Jyyx Jyxy '
f f f f
J xxx ’ J xxy ’ xyy ’ yyy '
/ 3, / , , / , , fi,
Jx3’ J x 2y ’ J xy1 Jy ’
a"/
f P ,( * • > )
x y ax^ay q
3/
D f ( x o) f x (x o) , f x (*o) ,
xi i xi 3x.
*0
198 Gap. I l i- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 18
9/
dx.
Come nel caso precedente, diconsi derivate parziali seconde della funzione /
le derivate parziali delle sue derivate prime, derivate parziali terze le derivate delle
derivate seconde e così di seguito.
In generale col simbolo
9m f
(p + q + . . . + r - tri) (18.7)
dx? d x i ......... d x rn
nel punto (x®, x°), e che sono soddisfatte le ipotesi del teorema 18.2.
Un’ulteriore notazione per indicare la derivata (18.7) è la seguente: sia p =
~ \P ì » Pì , • ■ ■ i Pn ) un insieme qualunque di n numeri interi non negativi e ponia
mo Ip I= p i + Pi + .. . + pn ; indichiamo con
DP f
la derivàta
„ Pi „ Pi _ pn
dXj o x 2 . . .d x
f ( x 0 + tv) -f(p c o)
lim ---------------------------
r-*o t
IL
dv
’à f )
certamente definita se 5 G R+ è opportunamente piccolo, si ha che esiste
dv j
X0
200 Cap. H I- Calcolo differenziale delle funzioni di piti variabili § 18
n ■
a f_ \ /a A
bw j \3 » /
X6 X0
x2y
se (x, y ) # ( 0 , 0)
x4 + y2
f( x , y ) =
se (x, y ) = ( 0 , 0) .
Osserviamo intanto che per ogni v £ R 2 avente norma 1 esiste 8 6 R tale che v ■
= (cos 6, sen 6) e pertanto
ÌL
f ( t cos 8, t sen 8) - f ( 0 , 0)
= lim ------------------------------------ - =
3v f->0
(o,o)
t 3 cos2 8 sen 8
t2 (t2 cos 4 8 + sen2 8) cos 2 0 sen 8
= lim ------------------------------- lim
<->■ 0 t r-»o t 2 cos4 8 + sen2 8
18 Derivate parziali delle funzioni di due o più variabili 201
0 se sen 9 = 0
cos2 6
---------- se sen 6 ¥> 0
sen 6
■ Problemi.
/ : 0 c , / ) e R 2 -> f(x ,y ) = \x + ^ l e R ,
0 se y = 0
f( x , y ) -
sen x^
se y # 0
y
in ( 0, 0)
s{x, y ) =
x 2 -b y 2 — I x —y I
in (x, y ) ¥=( 0, 0)
x 2 + ; '2
se (x, y ) £ C
h (x, y)
se (x , y ) É C
( ——'j > 0 p e r og n i v £ R 2?
X9 l ,/ Oo'^o)
i) xG R -* f(x , 0) è c o n tin u a i n x = 0
i i) esiste M £ R + tale che
§ 18 Derivate parziali delle funzioni di più variabili 203
I f ( x , y ) —f(x, z) l<Af ly - zi
p e r og n i (x , 7), (x , z ) e R 2 .
P ro v a re c h e / è c o n tin u a in (0 , 0 ).
0 (0 , 0)
f( x . y) =
* .F ( x 2 - / )
(x , y) ( 0, 0) ,
-P
( / ay
W ^ / (0 io ) ’ \a ^ 3 x ( 0 ,0 )
1 8 ,8 . S i a / : R 2-+ R ta le ch e
lin i /(x , y) =l £ R
0 ,0 )
lim / (x , / ) = ip O ) e R p e r ogni 7e R - {0 }
x~+0
P ro v a re che
0 in ( 0, 0)
f(x.y) =
x 1y 0
in (x , y) /= ( 0, 0)
x 2j =
2 + (x - y )2
204 Cap. Ili- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 19
allora
lim f( x , y ) .
(*,y)-*-(o,o)
f ( x 0 + A x , y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0)
r = {A * 2 + A y 2) ln
lim A / = 0
T-+0
A f - {A A x+ B A y} (19.1)
A f= A A x + B A y + r o ( A x ,A y ) , (19.3)
lim o (A x , A y ) = 0 . (19.4)
7*—
>0
La (19.3*) scritta per A y —0, fornisce:
f ( x o + A x, y 0) - / ( x o . P o ) ~ A A x + IA x la ( A x , 0)
donde, se A y =£ 0 :
/ ( x 0 + A x , y 0) - / ( x 0 , y 0) lA xI
-------------------------------------- =A + -----------o (A x , 0)- (19.5)
Ax Ax
7 ( x 0,} ’o + A y ) —f ( x 0, y 0) ~ B A y + lA y lu ( 0 ,A y )
donde, se Ay =?*= 0:
f (x q , y n A y) —/ IXn. Vn } IA y I
=B + • <7(0, A y) . (19.6)
Ay Ay
e osservare inoltre che essa è l’unica funzione lineare su R 2 che fornisce un’appros
simazione dell’incremento A/ per la quale l’errore di approssimazione dato da
(19.1) è infinitesimo di ordine superiore alla distanza r fra (x0, yo ) e (x 0 + Ax,
yo + A>>).
11 teorema 19.2 assicura che la differenziabilità di una funzione in un punto
implica la derivabilità parziale nello stesso punto; questa proposizione non è però
invertibile in quanto, come è stato visto nel n. precedente, vi sono funzioni par
zialmente derivabili in un punto e non continue e pertanto non differenziabili
in quello stesso punto.
L’esempio seguente mostra anche come la continuità di una funzione in un
punto e 1’esistenza delle derivate parziali nello stesso punto non siano sufficienti
per garantire la differenziabilità di quella funzione nello stesso punto.
Si consideri, a questo proposito, la funzione definita in R 2 mediante
f( x ,y ) = s f\x y \
ove del radicale è preso il valore aritmetico. Nel punto (0, 0) le due derivate
parziali di / sono ambedue zero, come è facile riconoscere direttamente formando
i limiti dei rapporti incrementali nel punto ( 0 , 0).
Il differenziale totale di / nel punto (0, 0), se esistesse, sarebbe pertanto la
funzione lineare nulla su R 2 e l’incremento:
A /= /(x , y ) —f ( 0, 0) = s f \ x y \
A/ l !xy
°{x, y ) =r x2 + y‘
su R2 - {(0, 0) }
A / = f ( x o + A x , y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0) = f( x 0 + A x , y 0 + A y) -
- f ( x Q, y 0 + A y ) + f ( x 0, y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0) .
D’altra parte, iti virtù del teorema di Lagrange per le funzioni di una variabile,
si ha:
f ( x 0 + A x ,y 0 + A y) f ( x 0 j yo + A y ) = f x (x 0 + 6 1A x , y 0 + A y ) A x
f ( x 0, y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0) = f y (x0, y 0 + 92 A y) A y
A f = f x {x0 + 8 l A x ,y 0 + A y) A x + f y (x 0, y 0 + Ù2 A y ) A y .
Posto allora:
f x (x a + 0 i A x , y o + A y ) —f x (x 0, y 0) = aj
f y (x o ,y 0 + 9 2 A y ) —f y (x0, y 0) = a2
« i A x + a2 A y = t a ( t ¥=0)
ove, ricordiamo, è:
r = \/A x 2 + A y 2 ,
si ha:
A f = f x {x0, y 0) A x + f y (x 0l y 0) A y + t a . (19.8)
e quindi, essendo:
segue:
lim a = 0
T "*0
e ciò, tenuto conto della (19.8), equivale alla (19.1'). ossia assicura la differenziabi-
lità d i/n e l p u n to lo - QED
d f : (X, y ) e i - > (d f) (x y) e , f ( R \ R)
ove
Ay .
Le nozioni esposte sin qui per le funzioni di due variabili si estendono imme
diatamente alle funzioni di n variabili, n > 1 .
A f = f ( x o + A x ) - f ( x 0)
n_
A x e ^ p (0)-> A f ~
210 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili 19
i=i
lim -------------------------- = o (19-9)
HA x II-+0 IlA xII
dove
Chiamasi allora differenziale, od anche derivata totale della funzione f nel punto x 0
(l’unica!) funzione lineare su B” che verifica la condizione (19.9) e che viene indica
ta con
In tal modo risulta provata l’unicità affermata nel corso della definizione (19.4).
Lasciamo al lettore anche la cura di dimostrare la seguente estensione del
teorema iv .3 al caso delle funzioni di più variabili reali.
Figura 3.3,
19.8, Teorema (Inclusioni di Cfc). Se f & C l (I) allora f £ C’° (I), e, più in
generale, se allora f G C k ~ 1(Ij, k £ N.
3 vf
n
con p. interi non negativi tali che P rv
z
212 Cap. I li - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 19
m xx 0
/' ( * o) •
La preferenza da noi data alle notazioni usate è dovuta al fatto che nel caso
n = 1 avremmo avuto due significati per la derivata d i/ in x0 e per la corrispondente
notazione f'{ x 0). Un primo significato, quello adottato fin dal primo volume, in
cui /'(% ) e R ed un secondo significato in cui f '( x 0) e A (R), per il quale abbiamo
preferito la notazione (df)Xn. Naturalmente tale ambiguità non avrebbe avuto
carattere sostanziale in quanto f '( x 0) e R è la matrice di rappresentazione rispetto
alla base canonica di R della applicazione (d f)Xo e A (R); oppure, in altre parole
v = Xu .
§ 19 Differenziale delle funzioni di due e di più variabili reali 213
in R X R in R2 X R
Figura 3.4
214 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili §19
r/ = { ( * ,y ) e /X R : ^ = /( x ) }
C ( r . , z 0) = { ( h ,k ) E R n X R : k =(d n (h ) } (19.12)
/ 0
ir(r/ .* o ) = * o + C ( r / 1z 0) (19,13)
z. - z 0
lim X —------ - - v (19.15)
i->°° a.I
per il teorema 2.3 (limite per componenti) ne segue
X(x. - x 0) f( x .)- f( x 0
lim ------------- - = h, lim X --------------------- —k . (19.16)
OC. n~>°° OC.
j X. — X 0 \ Il X. - Xll
k = lim {(df) IX ” -------- + ----- !— — e ( x .- X o ) } = {df) (h)
i^-o« x° \ a. / a. 1 0
(19.17)
e sia
z. - (x 0 + ~r h, f { x 0 + 7- 1 G Vf .
.= » 2 .- Z n l l = ili — II2 + l A . f l 2 f
' * ^ I ? f i
ove
Ne segue
A[ J/ , h\ 1 / h\ h ih
i(A. / ) = ; | / ^0 +T j - / C *o ) j =« - j(rf/ )Xo +
- x0 1 1
---------- --------- i (x. - x 0) = -------- - h
aj ÌOt( ‘ i 0i(
e pertanto
«,■ - -«o h
lim
l‘->« Oi.
I
ed anche
f ( x , ) - f ( x 0) ■ 1 . A „ 1
l i m ----------------- - = lim ----- 1 A . / = — (d f) {h )
1-+00 1a.
z. - z 0 1
lim ----------- r = — (h, {d f ) (h)) G R " X R
r-»“ Il z. z 0 II 7
e quindi
(h, (df)x J h ) ) e c ( r f . z 0)
* Problemi
19.1. Studiare la differenziabilità nel punto (0, 0) di ciascuna delle funzioni del
problema 18.2.
l / ( x ) l < llxll2
m - m
lim -----------------= a 6 R
h-»o h
Si pónga
0 in ( 0 , 0)
f(x, y ) =
Provare che / è differenziabile in (0, 0); osservare che f x , f non sono conti
nue in ( 0 , 0)
r"L
218 Cap. H I - Calcolo differenziale delle fu n zio n i di più variabili § 20
F: ? e / - * - F ( j ) = / ( v > ( 0 > •
F'(to) - f x Or (to). 4>(-o J)fi (to) + / y (‘fi (lo), r (io ))'■/■’ (to ( 20 .
—'P(^o). Ày = ^ (f 0 + A l) — i//(r0)-
Posto quindi come di solito r = {A x 2 + A y 2 }1/2 e definito a (A x , A>>) co
me nella (19.3') se r ¥= 0 e a(0, 0) = 0 otteniamo, per la ipotesi di differenziabilità
d
i
/
in(
v>
(f
o)
>lK
*o
)
)'
F ( t0 + A t) — F ( f 0) = / ( x 0 + A x , y 0 + A y ) f ( x 0, y 0) =
ove
lim a ( A x ,A y ) ~ 0
t -» o
F ( t0 + A f ) - F ( t 0) Ax , Ay t
------------ 7"------------ = fx (x 0, y 0) - ~ + / (x o .l'o ) — + <? — (20.3)
At x At y At At
lim — = %
V ( r 0) 2 + 1? '(fo ) 2 }m
A o At
dF 3 / dtp 3 / d ii
F '= fx <p'+fy f ( 20 . 1')
dt dx d t 3y dt
senza mettere in evidenza i punti dove sono calcolate le singole derivate, T.a formula
( 20 . 1) generalizza quella nota per la derivazione delle funzioni composte di una
variabile.
L’estensione del risultato precedente al caso delle funzioni di n variabili, n >
> 1, è immediata. In generale sussiste il seguente teorema.
20.2. T eorema (Derivate delle funzioni composte in R"). Sia / : 7 -> R una
funzione definita in un insieme aperto I di R” e siano ip. : A -* R; / = 1, 2 , . . . , n;
220 Cap. Ili-Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 20
H L -S T IL - d'p< -
dti h i dxi dtj
(20.5)
9/ 9 / 9ip2 3/ d fn
-------- — H---------------- <7 = 1, 2 , . . . ,p )
ò xi 9 tj à x2 dtj dx 9 1.
n ì
Nella formula (20.5), beninteso, le derivate ------ sono calcolate nel punto (<p2(i),
dx.I
¥>i(0 ,....¥ > „ ( 0 ),
Se oltre alle ipotesi formulate nel teorema 20.2 si suppone che-/£ C 1(1), <p( £
£ C 1 {A )\i = 1 ,2 , . . . ,n ; allora dalla (20.5) si deduce anche c h e F e C 1(/l).
dD 9 det A d y .J t)
-E dt
(20.5')
§20 Derivate delle funzioni di più variabili 221
D’altra parte, per il primo teorema di Laplace, per ogni fissato ( = 1 , 2 ......... « si ha
n
det A ~ aHA ii
/'= i
9 det A
(20.6)
dt
Facendo nuovamente uso del primo teorema di Laplace abbiamo cosi dimostrato
che:
(20.7)
dx.
Dimostrazione
e ricordare che, per il teorema 18.6, (proprietà delle derivate direzionali) (df/dv)x
esiste se e solo se esiste i / ( 0) ed in tal caso risulta 0
sarà chiamato gradiente di f nel punto A'0 e indicato con la notazione (grad f) o
anche V/(x 0)
Evidentemente (grad./) può essere identificato con la matrice di rappresen
tazione rispetto alle basi canoniche (eìt e2, . . . , en), e\ = 1 di R" e dì R di
(df)x £ £(R", R) (vedi def. 14.1). Inoltre, d’accordo con quanto detto nel proble
ma 14,3, le componenti di (grad /)* costituiscono le coordinate di (df)x rispetto
alla base canonica duale di R” (vedere anche il n. 48).
Pertanto, si può pensare che per le funzioni di classe C 1 l’operatore di differenziazione opera
nel modo seguente, con I insieme aperto di R”,
d : f e C 1 CO-* d f s C "(/, JC(Rn, R )),
m e n tr e
V : / e C ’ 0 ) - V /e [ C ” (f, R)]'
20 Derivate delle / unzioni di più variabili 223
a/ 3 3/2 _ _ _ 3 ^ _ _3/i
r o t/=
dx-i 9x 3 9x 3 9 x j ’ 9 jc !
(rotazionale d i/ , n. 49, se n = 3)
A 32/
A / = div (grad / ) = ) — —: (operatore di Laplace);/; I -> R .
hr 3xf
Facendo uso di questa nuova notazione la (20.7) può essere anche riespressa nel
modo seguente
( ¥ ) (x 0) = ((grad /) ,v )
\ 9v J 0
ove a secondo membro compare il prodotto scalare dei due vettori (grad A e v\
ciò segue ovviamente dalla ( 20 .8). *
Proviamo la seguente estensione del teorema del valor medio di Lagrange alle
funzioni di più variabili reali.
f ( x 0 + h) - f ( x 0 ) = (d j ) , „ Qi) (20.9)
x q -ruri
n
f ( x 0 + h) - / ( * „ ) = 4 . (x o + 9 ft)h t (20.9')
i —i
Per le ipotesi e per il teorema 20.2 (derivata di funzioni composte), tale ip è deriva
bile in ] 0 , 1[ e continua in [0, 1]. Per il teorema del valor medio (di Lagrange) dato
nel primo volume per le funzioni reali di una variabile reale (teor-. 51.3) esìste allora
6 S ]0,1[ tale che
*>(1) - * > ( 0) = V ( 0)
n
f ( x 0 + h) - f ( x o) = f x Xx ° + eh) hi = (df ) Xo +oh <70 ■ QED
i= i °
Osserviamo anche che d’accordo con il teorema 9.11 (Limitatezza delle funzioni li
neari) risulta
e ciò dimostra che in ogni punto x di I la funzione assume lo stesso valore che in x 0.
QED
§ 20 Derivate dette funzióni di più Variabili 225
Il seguente teorema estende alle funzioni di più Vàriabili il teorema 52.1 del
primo volume.
20.9. Teorèma. Due funzioni definite in uno stesso insieme aperto connesso
I di R " aventi nei punti di I derivate parziali prime uguali differiscono i n i per Una
costante.
20.10. Teorema. Due funzioni continue in uno stesso dominio I, il cui inter
nò è connesso, ivi dotate di derivate parziali prime uguali differiscono i n i per Una
costante.
Lasciamo al lettore il facile compitò di dimostrare questi teoremi.
Il teorema 2Ó.8 può èssere generalizzato supponendo nulle soltanto alcune
dèlie derivate parziali, ad esempio, lé prime r. Sussiste à quésto proposito il seguen
te teorema che enunciamo, per semplicità, nel caso particolare: r ~ 1.
f ( t x ) ^ t V (x ) ( 20. 10' )
4
,(
*)='"
“%<
*
)■
Abbiamo cosi dimostrato il teorema.
f>(t,x) = —g p f{tx ) ;
V>(t;x) = ip (l,x )
0
----- <p(t, x ) = 0 (20.11")
07
per ogni ( t, x ) 6 R+ X I .
Figura 3.5
ij ■
dalla quale si deduce che una tale funzione di grado zero dipende esclusivamente
dal rapporto di n — 1 variabili alla rimanente. In particolare:
( 20. 11" )
(
d%,v
)'^dX *
dyì e R
2"
*
■dz =4 dx +
fy (*•f
)^e
R(2
0
.1
2)
Y
Usando questa convenzione la regola di derivazione delle funzioni composte data
nel teorema 20,1, ove erano considerate anche due funzioni <p’ >Pdifferenziabili su
di un intervallo / di R
ip ' t £ J ~r X ~ <p(t) £ R
(20.13)
ip : t e J - y y = ^ ( t ) e R
tali che (<p(t), \j/(t)) E 1 per ogni r e / , può essere ad esempio espressa attraverso
il seguente “procedimento formale” :
Si differenziano le funzioni tp, ii
(dtp) : d t€ R - * d x = tp (t)d t £ R
(2 0 .1 4 )
(d \li)\d te R ^ d y = y (t)d te R ,
si pone quindi nella (20.12) tp(t), \ji(f) al posto di x e y rispettivamente, e <p'(f) dt,
<l/’(t) d t al posto didx e dy rispettivamente, ottenendo
§ 20 Derivate dette funzioni di pm variabili 229
Il primo fattore a secondo membro costituisce allora la derivata della funzione com
posta /(¥>(/), iHO)-
Nel seguito però, salvo soltanto in qualche caso particolare-(fra i quali quello
cui abbiamo accennato all’inizio) ove sarà fatto esplicito riferimento a quanto ora
osservato non faremo alcun'uso delle considerazioni qui introdotte.
■ Problemi.
Provare che:
fJ C = p C O S 0
y=psen$
Esiste (d f ) ?
“o
20.3. S ia /: R” -> R differenziabile in x 0 £ R” . Provare che
è data da:
(grad / )
_________ X6
Il(grad/) Il
X0
20.5. Sia / : / -> R ove I è un insieme aperto di R". Provare c h e / e C1 (7) se e solo
se l’applicazione
d f : x <E l - *( d f ) x G J ^ R ^ R )
20.6. Sia f : R" -» R differenziabile in R" e tale che f ( t x ) = f/(x ) per ogni x G R”
e per ogni i 6 R . Provare che / èrma funzione lineare su R'.!
Sia / : R” -> R di classe C1 su R" e tale che f { tx ) = f ’f i x ) per ogni x 6 R” .
Provare che f è una funzione quadratica su R", cioè esiste <p : R" X R” -+• R
bilineare tale che f (x, x) ~f ( x ) per ogni x G R".
Perché / : R2 -*■ R definita mediante
f (?c, y ) = \ / x* + x 2 y 2 + / *
F : t e \ a , b \ ^ P(f) = / [ * , (0 (0 ......
derivate di F di ordine < k, che nelle nostre ipotesi esistono in conseguenea del
teorema 20.2 (derivate di funzioni composte). Se k = 2 derivando con la regola di
derivazione delle funzioni composte otteniamo, d ’accordo con la (20.5).
, A (àf dtp.
per ogni t e ] a, b [
dt
( 21.1)
dy d2y>-
F "(t)= V
A (—
/ 9A
—-
\
k. h, ( 21 . 2)
< ì
m
Sempre nell’ipotesi che le funzioni f>( siano polinomi di primo grado in ]a, b{ si ha
93 f
t (— . • h.I h}.h .K (21.3)
u b i \ i x t dXjdxk , wo
d vF (f\ A / a7 \
~ ~ = F A ------ ---------------------- ht ht . .. ht (2 1 .3 ')
n
(21.4)
In generale il secondo membro della (21.3') viene scritto nel modo seguente
, n = l , 2 (21.4')
{x 0 + f A x : t e ] - a , l + o [ }
F (t) = / ( x 0 + t A x) (21.5)
t*-
F (f) = Z'’(0) + — F '(0) + . . , + — ----- - F (k “ 1> (0) + ----- I'<k) (0 t )
w ■ 1! (k ^ 0! w k\
^ (r )= * x ® + t A *.
le derivate che entrano a secondo membro della (21,5) possono essere espresse ad
esempio mediante le (21,4') in modo da ottenere
( n q \
(21.6)
c -T T ^ Ì f-
r=l ■/ ' X0
d
^ )(0)= )_ Ax \ f
/ " \ ( * )
(2L7)
\,-= = l ^ 0+ flA ? c
fcr-i (/>
A * » + A » )- / ( % ) +m}_7/ !rQC ^ T Av/ )
\ / = i 3 *,
/+ ■ # ,
( 21. 8)
i /v- a
w* /C. \ / - j aA-
0*/ AiV')/ * O+0A*
che è detta formula di Taylor con il resto di Lagrange della data/relativa alla cop-
234 Cap, III- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili : 21
ffk = 7 T 0 )} = (21.9)
K k\
1 /9 \ (/)
= f ( Xo + a x ) - { / ( x 0) + 2 _ T r l r r A x t f
/ = ! I ■ \ axi ! x0
allora risulta
r \
9k f - 2 J - ---------- )
h h ■■■‘k \ 9 x. d x. hx I . . . 9:e, /
■ i k ' x 0 +O A x h tk
. • Ax Ax Ax
. T- % , lk '> ’■> lk
K 1 1 '*•'*... ''k
( 21. 12)
IlAxII* k\ Il Axll*
a. I,
i.': '■k
lk
a Problemi.
F pp'T’
(p ,6 >
)+ - Fgo(p’ d) - j fxx 0° co s d , p send) -
21.2. Data / £ C '' il) come nell’enunciato del teorema 21.1 provare che con le
stesse notazioni ivi usate risulta
V- 1 v ^ /9 \ (/)
f ( x 0 + A x) = f( x 0) + ) — > (— A x, /+
£nr 7 i ^ ì \ óxi ' / * .
(k)
+ f 1 C1 - O ^ 1
lo ( k - 1)! \ , 4 r àx i ' Ac.+fAx
tpi :( x ,3 ')S R *
e che
fo ^ e C ^ if), / = 1,2,3.
e ch e/6C l (/).
21.5. Sia / un insieme aperto di R", sia / : / -> R dotata di derivate parziali prime
in/.
Provare c h e / e Cl (7) se e soltanto se esistono n funzioni continue
A i - . ( x , y ) e i X I * A l ( x ,y )£ B . ; /=■ 1 , 2 , . . . , n ;
f( y ) - / ( * ) = J ~ , Ai (*■ y ) <y{ - x )
per ogni ( ? c , y ) s / X / .
21.7. Sia I un insieme aperto di R" che contiene l’origine. Sia f £ Ck(f) e sia p un
polinomio nella variabile x ~ ( x t , x ì t . . . , x n) di grado (k — 1) tale che per
opportuni C, <5 £ R+ si abbia
p ( x ) = f(0 ) + /
i1
per ogni x € R” .
A volte si dice che la fu n zion e/h a un massimo [minimo] relativo o anche locale
nel punto (x 0, y 0y
Se nella definizione precedente si richiede che (22.1) siano verificate in senso
forte, cioè non si verifichi in esse mài l ’uguaglianza a meno che (x, y ) coincida con
(x 0l y 0) il punto (x0, y 0) si chiama punto di massimo [minimo] relativo proprio.
Supposto che I sia aperto e che / sia differenziabile in (x 0, y 0), oppure che
/ £ C2(I) ci proponiamo di dare alcune condizioni necessàrie ed altre sufficienti
affinché un punto (x 0, y<;) sia di massimo o di minimo relativo per la funzione f
Incominciamo a determinare le condizioni necessarie e per questo consideriamo
una retta di numeri direttori X e p passante per il punto (x 0, y 9). Un punto gene*
ricò di questa retta ha coordinate (x 0 + Xf, y 0 + p t) ed appartiene a d / s e I f K S
con 8 e R + Opportuno ma indipendente da X e ju. Ne segue che se (x0, y 0) è un
punto di massimo [di minimo] relativo per la finizione / , deve risultare, per 11 \ < 8;
238 Capi III- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 22
Ciò vuol dire che, se (x0, ^o) è un punto di massimo [di minimo] relativo per la
funzione di due variabili / la funzione della sola variabile t, definita per 11\ < 5
mediante
F (l) = f ( x 0 + \ t , y 0 + n f) (22.2)
ha un massimo [un minimo] relativo nel punto t = 0, intorno al suo campo di defi
nizione, e ciò qualunque siano X, fi G R tali che X2 + /u2 = 1. Allora se / è differen
ziabile in ( x0, y 0) se ne deduce che anche F è differenziabile in t = 0 e per il teore
ma 55.4 del primo volume deve aversi
P '(0 ) = 0 .
Tenendo conto del teorema 20.1 sulla derivazione delle funzioni composte, le rela
zioni precedenti si scrivono esplicitamente:
per ogni X, n R, tali che X2 + fi2 = 1. Ponendo nella (22.3) una volta X = 1, ju= 0
ed un’altra volta X = 0, ju = 1 si ottiene dalle (22.3)
rh?
V Ì it’
_ ^ «««i.i+o
IIvì S
n r if r u it r »
w g lin w em ù uvuu
P . \ 1111‘I.n
iv u iiu
r iiin r lr n ^ io n r a__1 n + ì t > n -____
^ u u u s u n v a u v iiù iu iiu i v i i U i V i i i tu j
n /1 -F «___
m
« -/ v- n )
S Oj )
A
la quale, per quanto supposto, risulta negativa [positivo] per tutti i valori di A e
p fioii simultaneamente nulli. Se nè deduce allora per il teorèma di Weiérstrass (teor.
9i8) che detto M (m ) 11 massimo (minimo) assoluto della funzione I t per (A, ju)
appartenente all'Insieme compatto
((A ^ O ^ Il2 : A2 l V = Ì}
sihà:
D’altra parte, per il teorema 21.2 (formula di Taylor Con resto di Peano), applicato
alia coppia di punti Po = (x 0, yo), P = (x 0 + A x , x 0 + A y ) di/; con = {(A *)2 +
+ (A p)2 } 1/2 sufficientemente piccolo in mòdo Che il segmento P0 P appartenga ad
/; Si ha
lini —— 0 (22.6')
T-+C r*
oVe 0, tenuto conto anche dei fatto che f J J ’o) = fy (Po) - 0, è definito mediante
1 .
f ( x 0 + A x , y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0) = ~ {fx x (x0, y 0) A x 2 +
(22.7)
+ 2 f xy (Xài y 0) A x A y + f yy (x 0i y 0) A y 2 + a }
Ax - t A Ay - t p
f ( x 0 + A*, y 0 + A y ) - f ( x ó, y a) = ( 22.8)
a M a m
rr< “ T
M , m „
/ ( x 0 + A*, y 0 + A y) - /( x e , y o ) < —f r2 < 0 > “ ~T2 > 0
4
Ciò prova che il punto (x0, y o ) è un punto di massimo [minimo] relativo proprio
per / QED
g (x,y ) = x 2 + y 3
h (x,y) = - ( x 4 + / )
H (\, p) = 2 X2 , tf(À,M) = 0
g(0,-6)<g-(0,0)<g-(0,6).
In qualche caso (vedasi anche il problema 3 alla fine di questo paragrafo) il compor
tamento della / in un intorno di un punto estremale ove l’hessiana è semidefinita
potrà essere studiato facendo ricorso all’esame dei termini di ordine superiore della
formula di Taylor, ma ciò non sarà sempre possibile: il lettore tenga presente ad
esempio che esistono funzioni di classe C°° non nulle le cui derivate di ogni ordine
sono nuiie in un dato punto (vedasi il problema 90.3 del prime
anche quando vi è la possibilità di studiare le derivate successive ciò risulta molto
macchinoso.
22 Massimi e minimi per le funzioni di due o più variabili 243
Facendo uso del teorema 17.35 (Forme quadratiche in R2) dai teoremi
22.3 e 22.5 si deduce
A = fx x (X0, y 0) • f yy (* 0. yo ) - f \ y (-*0, J o ) .
allora:
Con gli stessi argomenti usati per le funzioni di due variabili si prova che:
( 22. 10)
per tutti gli x G R" tali che IIx - x 0 II < S. In particolare f ammette in x 0 massimo
[minimo] relativo proprio.
ii) se la forma quadratica (22.10) è indefinita allora f non ha in x 0 nè massimo
nè minimo relativo e valgono conclusioni analoghe a quèlle espresse nella dimostra
zione del teorema 22.5.
Lasciamo al lettore la facile cura di verificarlo.
Facendo uso del teorema 17.32 (Forme definite) dai teoremi ora enunciati
segue ovviamente il seguente
22.11. Esempi. Vediamo ora come le considerazioni finora svolte possano esse
re applicate alla ricerca dei massimi e minimi assoluti
Sia / : / -» R una funzione definita in un insieme compatto / di R” ed ivi con
tinua. A norma del teorema 9.7 di Weierstrass essa è dotata di massimo M e di mini
mo m assoluti: cioè esistono in I almeno due punti p e P ove: f( p ) - m, f(F ) =M ,m
ed M essendo rispettivamente l’estremo inferiore e l’estremo superiore d i / i n / .
Ognuno di tali punti è ovviamente anche un punto di estremo relativo e quindi
se esso è interno ad / e se inoltre la funzione / è ivi differenziabile allora in questo
punto sì devono annullare le derivate prime d i / Se invece M = f ( x 0) [m = / ( x 0)] e
x 0 € 3 / allora in particolare si ha f( x ) < f ( x 0) [f(x) > f ( x Q)\ per ogni x e d I e
perciò / ( x q ) è il massimo [minimo] d i / s u di. Vedremo (nel prossimo capitolo)che
se / è sufficientemente regolare un tale x Q può essere ricercato mediante la regola
dei moltiplicatori di Lagrange.
Ne segue che per la ricerca dei punti di massimo e minimo di una funzione
continua su di un compatto I di R" basta limitarsi a considerare soltanto i punti:
i) interni ad/, se ve ne sono, che sono estremali p e r /in I°}.
ii) i punti di di, nei quali/assum e massimo [minimo] relativo rispetto di.
Sii) i punti interni ad / d o v e /n o n è differenziabile.
Determinati tutti questi punti ci si limita a ricercare il massimo ed il minimo
valore che la/assum e nell’insieme da essi costituito.
Vediamo come ciò avvenga in alcuni esempi.
a) Determiniamo ad esempio il massimo e il minimo assoluto della funzione
definita in R2 mediante
f{ x ,y ) = x'1 + y %- x y
1
F (t) = cos2 t + sen2 t - sen / cos t = 1 2t
2
F \ t ) = —c°s 2 / ,
ir ir 3 3
f i = — . f2 = T + 7r- t3 = ' T n ’ (4= — n + ir .
4 4 4 4
O ra si ha
1 3
f ( f i ) = * ■ ('* ) = y . F ( h ) = F(U) = —
V T ^ ± \ = fl ^ -V2"
0=/(0,0) , — = /, , , „ .
M ; 2 \ 2 2 / \2 2
l...n
■ • ■ »x n} ~ XZah k Xh Xk
/2,/C
2 XI
/2= 1
^ 5 J 1)
1...H
( 22. 12)
,x n)^ Y L ah k xh x k
h, k
a , x, + a ,
ni 1 n2
+ ...+« x = b
mi n n
§ 22 Massimi e m inim i per le fu n zio n i di due o più variabili 247
^ , . . . , < ) =o
contro l’ipotesi che la forma costituita dai termini di secondo grado sia definita
positiva.
Se ne deduce che esiste un sol punto x estremale per la funzione /; la soluzio
ne del sistema lineare (20.13). Siano (xi, . .. . , x n) le coordinate di x, mostriamo
che esso è un punto di minimo assoluto per / . Infatti, la forma quadratica hessiana
di / relativa al punto x è costituita dalla stessa ip definita mediante le (22.12) ed
è pertanto definita positiva. Ciò basta, in conseguenza del teorema 22.8 e del fatto
che lim / ( x ) = + “ per provare quanto affermato. Poiché non vi sono altri punti
A .= ( x € R " : / . ( * ) < 7 .}
/ : r 6 1 " - » /( x ) = (a ,x ) + fc e R
Evidentemente se / non è costante; Q ciò che è lo stesso; se a ¥=■ 0, non esiste alcun
punto estremale per f in 10 e pertanto il massimo ed il minimo di/dovranno essere
presi su di, Osserviamo, d’altra parte, che il minimo ed il massimo di una funzione
lineare su di un intervallo chiuso di R possono essere presi soltanto sugli estremi di
tale intervallo. Ne segue ehe il massimo ed il minimo d i/s u /p o s s o n o essere soltan
to presi sui punti che sono “estremi” di I nel senso che non sono interni ad alcun
segmento appartenente ad I ■ Poiché facilmente si riconosce, mediante induzione
sulla dimensione n di R” che l’insieme costituito da tali punti “estremi” è finito,
il nostro problema è ricondotto a quello di cercare il massimo ed il minimo di /
su di un insieme finito. Nella pratica, quando specialmente n e k sono grandi,
è materialmente impossibile determinare tutti gli “estremi” di / . A questo fine
si usano invece i metodi della programmazione lineare che vanno sotto il nome
di metodo del simplesso.
. d) Concludiamo questo paragrafo facendo un rapido cenno al metodo dei mi
nimi quadrati,
Allo scopo consideriamo il sistema di m equazioni lineari in n incognite
n
Y ^ , an x/ = bi '• (22.14)
E’ noto (teor. 16.4 di Rouché - Capelli) che tale sistema ammette soluzioni
soltanto se sono soddisfatte alcune condizioni di compatibilità di carattere quanti
tativo, Può però presentarsi, nella pratica, il problema di cercare quegli x =
= (xu x 2, . . , , x n) per i quali le differenze fra i primi e i secondi membri risultinole
più piccole possibili, o meglio, per tener conto in egual modo delle differenze positi
ve e di quelle negative, di cercare quegli x ** ( x i3 . . . , x ) che rendono minima ia
somma dei quadrati delle differenze dette. Si cerca cioè di rendere minima fun
zione / su R” definita mediante
m
f(x !,....,* „ )= Y \ (an x , + « „ * » + . . . + ain x n - bt)2. (22.15)
<^T
m
¥>(Xj, . ... xn) = Y ^ ( ah *1 + an Xì + - •• + ain Xn ? ■ (22.16)
1=1
D’altra parte essendo la (22.16) una somma di quadrati, essa assume valori
non negativi; per concludere circa 1’esistenza del minimo della (22.15) basta allora
sapere che la (22.16) non può annullarsi per Xo = (x° ......... jc ^ ) non nullo. Ora se
ciò accadesse Xo = (x*i0\ . . . . x^0^) sarebbe una soluzione del sistema omogeneo
associato del sistema (22.14).
Possiamo pertanto concludere che se il sistema omogeneo associato al sistema
(22.14) non ammette soluzioni diverse da quella nulla, allora la funzione (22.15)
è dotata di minimo assoluto in R” , che è assunto in un punto x = ( x i , x 2, , x n)
che é soluzione del sistema
n , m . «
/= i \/= i / /=i
y —a x + b
n.
<t>(a. b) = (a x ^ b -y f (22.18)
/
250 Cap. I li ■ Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili 22
D’altra parte si può presumere in generale, per il fatto che n è di solito molto
grande, che il sistema lineare omogeneo
ax. + b = 0 (i = 1 , 2 , . . . ,n ) (22.19)
nella variabile (a, b) associato al sistema lineare (22.17) abbia soltanto la soluzione
nulla. Dalle considerazioni precedenti segue pertanto che la funzione <j> definita
in (22.18) è dotata di minimo in R2 e che il punto ove tale minimo è preso è la
soluzione del sistema ottenuto annullando le derivate parziali , <j>b :
,(«. b) = 2 (axì + b ~ y i ) x i
Ì=\
(22.20)
v A
X
\ì = l
x‘ /) a+nb=L
/= 1
-v
in m odo che
n n n
n y x . y . ~ y y . y x.
z_ 11 *Z_ 1
1=1 1=1 1=1
i=i «-1
yX x‘ ~ t Xi /=!
______/=7______1= 1
t x‘ y‘
b =-
» / « \2
In casi più generali potrà accadere che la funzione / , i cui valori ottenuti speri
mentalmente sono {x.t y ^ ) ì = 1, 2, . . . , n; debba essere ritenuta un polinomio
22 Massimi e minim i per le fu n zio n i di due o più variabili 251
■ Problemi.
22.1 Ricercare i massimi, i minimi relativi e i punti sella delle funzioni definite
su tutto R2 mediante
f( x , y ) = x 3 + (x - y f
Sia infine v il più piccolo intero per il quale <p. non è identicamente nulla su
R". '
Provare che:
i) se v è dispari allora / non ha in ,*o né massimo né minimo relativo.
ii) se v è pari e se <p (ti) è positiva [negativa] per ogni h¥= 0 allora / ammette
in Xn un minimo [massimo] relativo proprio.
h e R'n ù./t.GR
i ì
252 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 22
ii)/ ha un minimo relativo proprio se esiste un intorno Un(x 0)C I del punto
xo tale che la forma quadratica hessiana è definita positiva per ogni x e
e t / p (x0).
22.5. Dedurre dal precedente problema chesse n = 2 , / e C 2 (/),P 0 = C*o, 2' o ) e lrè
un punto estremale e se esiste un intorno U (xo ,yo ) di-Po , tale che risulta
a1, aìt . . . , ap
f(x )= ^X - «y®2 •
22.7. Sia / : R” -*■ R differenziabile su tutto R", sia a € R tale che f( x ) = a per ogni
r £ R " per il quale llxll = 1. Provare che esiste x 0 e R” , Il x QII < 1 tale che
(df)x = 0 .
E’ evidente che quando non si imponga alcuna restrizione qualitativa alla funzione
/o g n i insieme di R2 può essere individuato in tal modo (basterà ad esempio definire
la funzione / uguale a 0 nei punti di N ed uguale ad 1 nei punti R2 —N; ma, se im
poniamo ad / condizioni di regolarità, non tutti gli insiemi del piano possono essere
§ 23 Funzioni implicite 253
/ , ( x o, Po)
P =Po - — -------- T (* - * o ) (23.3)
f y (x0, y 0)
oppure dell’altra
/y fr p .P o )
x= x0 (y Po) (23.3’)
f x (x0, y 0)
secondo che / (P0) 0 op p u re/ (P0) 0, ove le funzioni ip, ip a secondo membro
differiscono dalle analoghe (23.1) o (23.3') per infinitesimi di ordine superiore
rispetto alla distanza x —x 0 o p p u re/ - y 0.
Ciò risulterà dal teorema fondamentale che dimostreremo tra poco. Le consi
derazioni svolte ci suggeriscono però di studiare le proprietà locali dell’insieme N:
254 Cap, HI - Calcolo differenziale delle funzioni dipoi variabili § 23
f( x ,y ) = 0 (23.4)
axy + bx + cy + d = 0 ; a ¥=0 ;
bx +d
ammette per ogni x ¥ = - c/a una unica soluzione^ = — — —— e pertanto determi-
ax + c
na una funzione implicita di x in E — { - c/a }.
L’equazione
x2 + / = 1
non ammette invece alcuna soluzione nella variabile^ se l x l > 1 e ne ammette due
y = —\ f ì - x 2 , y =Vl - x 2
se Ix| < 1 ; essa non definisce implicitamente alcuna funzione di x in ogni intervallo
di R.
Come risulta da questi esempi, la risoluzione della equazione (23.4) rispetto
ad una delle variabili non conduce in generale a definire una funzione, ad un sol
valore, deli’altra variabile.
Invece di considerare l’equazione (23.4) in tutto l’insieme ove è definita la /,
limitiamoci allora a considerarla in un intorno U sufficientemente piccolo di un
puntoP q = (x0, .Po) ove essa è soddisfatta:
Evidentemente ciò accade se detta <p tale funzione si ha, per l’insieme N defini
to in (23.1).
y ~ S(x) = 0
23.1. Teorema (di Dini o delle funzioni implicite). Sia f : I-+ R una funzio
ne di classe C 1 in un insieme aperto I. Se nel punto P0 = (*o, J’o) di I si ha:
f (x, ip(xj)
<p(x) = - — -------------- per ogni x E / , (23.9)
f y (x ,v (x ))
ove si abbia:
f y ( x .y ) > 0 .
/ , = {x G R : 1x —x 0 I< 6 }
f( x ,y 0 - k)< 0 , f( x ,y 0 + k )> 0 .
Figura 3 .7
§ 23 Funzioni implicite 257
y : x G I i ->ip(x) = y (2 3 .IO1)
V>(*o)=Po • (23.12)
Dimostriamo óra che la funzione <p è derivabile in I t e che vale la (23.9). Conside
riamo allo scopo un qualsiasi x £ I t , un arbitrario incremento A x tale che x 4-
+ A x £ / , edi l corrispondente incremento A ip = tp(x + A x ) —<p(x) per la ip.
Per la (23.11) si ha
Per la formula di Lagrange (20.9), che possiamo senz’altro applicare poiché il seg
mento di estremi (x, y(x )), (x + A x, <p(x) + A x) appartiene a R C /, si ha allora
f y (x + 9 A x, tp(x) + 9 A ip ) ^ 0
/ (x + 6 A x , <p(x) + 6 Aip)
Au> = - —-----------------------------------A x . (23.13)
f (x + 9 A x,i/i(x) + 9 Aip)
M
1A i p K -----1A jc I
m
e pertanto
iim àip=u
A x - * 0
. , I A -- - \ -1- A
. Aip J„ V* ^ v
r f n o
¥> W ' v “ W
Ax / (x + 0 A x , ip (x ) + 0 A*p)
23 Funzioni implicite 259
e di qui seguono ia derivabilità di <p, la (23.9) ed il fatto che tp e C ‘ (7). Con ciò
il teorema è completamente dimostrato. QED
Osserviamo ancora che, una volta dimostrata 1’esistenza della derivata di ip,
questa può essere calcolata a partire dalla relazione (23.11) derivando e risolvendo
poi l’equazione:
23.2. Teorema, (di Dini in più variabili). Sia f : I -* R una funzione di classe
C 1 in un insieme aperto I C R" X R e sia PQ= (x 0, 3>0) e / , ove x 0 - (x °, x \ , . ■ ■
. . . , x ° ) <=R'!, >>0 € R; tale che
f ( x o, y o) = 0 , f y (xo, y 0)¥*0 .
Inoltre la funzione
/ ( * , ¥ > (x)j
(*) =---- i------- :-------- (23.15)
fy(X,<P (X))
f( x ,y )
F(x, y ) = y - (2 3.4")
fy {x0, y 0)
F (x0, y 0) = y 0
Fy (x0, y a) = 0
ed è tale che per ogni (x , y ) B I la condizione/ (x, >’) = 0 equivale alla condizione
F (x ,y )= y . (23.4'")
Facendo uso della (23.4”) e della sua conseguenza F (xQ, y 0) = 0 sarà possibile,
attraverso il teorema della media, riconoscere che l’applicazione
F ( x , ’) : y e i 2 - * F ( x ,y ) e R
^ = {(Jc,P)eRn X R : i X i - r f K f f , i y ~ y 0 ì< K -, i= 1 , 2 , . . . , n )
IF y (x ,y ) l< -~ ■
■l
§ 23 Funzioni implicite 261
si abbia
1 k
k.
< r ' J' ^ " l + T
Se pertanto póniamo
I 2 = { z € R : la ~ y 0 K f c }
F ( x , •) -’ y ^- h - ^F C x . y ì E l a
è una contrazione suH’intervallo I 2, che essendo chiuso, è uno spazio metrico com
pleto. Per il teorema 3.1 (di Ranach-Caccioppoli) esiste allora per ogni x £ F un
unico valore y G I2 tale che
F ( x ,y ) = y
f(x ,y ) = 0
Tale valore y € A dipende dal valore x £ / i fissato e pertanto resta individuata una
funzione
262 Cap, III- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 23
ip : x G l) ip (x) = y S I 2 (23.14')
ip(x0) = j>o ■
Per dimostrare la continuità della <p, analogamente a quanto fatto nella dimostra
zione del teorema precedente, fissiamo x £ I x, e diciamo t | 6 E + tale che se
Il Axli < ij, ove A x = ( A x , , A x 2, . . . , A xfl) £ R", allora x + Ax € f ) . Per ogni
tale A x, posto Aip = ip ( x + A x) —ip(x) si ottiene, per la (23.16)
ne segue
IAlpi < ) — lA x I
14~r
=1 m 1
e da questa si deduce
f x [x ,v (x )]
fy [X, ¥>(*)]
Osserviamo ancora che, analogamente a quanto accade nel caso del teorema
precedente, una volta dimostrata 1’esistenza delle derivate parziali della <p, queste
possono essere ottenute derivando rispetto ad x.; i = 1, 2, . . . , n\ nella (23.16) e
3 <p
risolvendo poi l’equazione cosi ottenuta ove si riguardi ------ come incognita.
d i.
Una ulteriore generalizzazione del teorema 23.1 è costituita dal seguente teo
rema.
(f +f J ) f -< / + / <p')f'
y " ( i) =— ** - x y ,31y V xy Jy y r J J x
(•fyy
/J x x / y2
¥>"(*) (23.19)
(fy f
ove tutte le derivate parziali vanno calcolate nel punto (pc, <p(x)). Con lo stesso pro
cedimento si possono calcolare le derivate terze e quarte, etc. fino all’ordine k.
In generale l’espressione della funzione implicita ip, di cui abbiamo dimostrato
l’esistenza, non è nota, nè si riesce a dare di essa un’espressione analitica. Riescono
allora utili le formule (23.9), (23.19) e quelle che si ottengono derivando queste
successivamente. Ponendo invero x = x 0 e di conseguenza ip(x0) = y o la (23.9)
fornisce:
fx (x0, y o)
f>'(x0) = -
fy ( xo, y 0)
■ Problemi.
f 2 : ( x ,y ) e R 2 -ry 2 - r £ R
f l ( x ,y ) = 0 ; «'=1,2,3 ;
/ : (x , y ) e R2 ~+ seny - x y e R
23 F un zion i implicite 265
F : (x, y ) e / X R -+ /(* ) - y e R
0 se x=0
#00 =
, 1
x + 2 ; r s e n —- se*^=0
x
derivabile per ogni* e R e tale che g (0) = 1,
si domanda
i) se g e e 1 (R)
ii) se la funzione
F ; (*, y ) 6 R2 ~>g(x) - y e R
23.5. Provare che le ipotesi del teorema 23.1 possono essere alleggerite nel senso
che:
i) Se / : I -*■ R è continua in un insieme aperto I di R2 se / ( * o. Po) = 0,
f (*o. Po) =£ 0 per (*o. Po) G / e se f è continua in / allora l’equazione
f( x , p) = 0 definisce in un intorno di (xQl y 0) la y come funzione continua
ip d ix
266 Cap. I l i - C al co l o differenziale delie funzioni di più vam biii § 23
perogni (rj)6 /X R .
Provare che esiste una unica ip : fa, bf R, continua e tale che f( x , <p(x)) = 0
per ogni x e [a, b \
(Si consideri lo spazio normato C°(I) e si verifichi che l’applicazione T : S
Equazioni differenziali
ordinarie
y ’(x) = f ( x ) (37.1)
stesso la (37.1) ammette una unica soluzione massimale il cui grafico passa per
il punto assegnato (xo, ^ o ) ' =7 X R.
Ciò induce a formulare la seguente:
Come vedremo nel seguito questo problema ammette, sotto condizioni assai
larghe per la f una ed una sola soluzione nel senso che se>, : / - * R e 3' : / - > R sono
due soluzioni di esso allora sih ajrfc) = j>(x) per ogni* G l <11.
Una significativa interpretazione geometrica dei problemi ora formulati si ha
considerando per ogni (x , y ) e D la terna [x, y , r(x, y)] e R 2 X R costituita
da (x, y ) e -D e dalla retta r(x, y ) di R 2 passante per (x, y ) ed avente coefficiente
angolare f ( x, y)\ tale terna è anche detta elemento di contatto di (37.3).
446 Gap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37
(37.5)
y ( x ) - y (x 0) = I f[s, J (*)] ds
\f(x, y " ) - f ( x , y')\ < A ! / ' - / ! per (x, y ’\ (x. / ' ) S R . (37.6)
W *) =y o +1 fU , (0] dt
¥> (37.9)
*0
ottenuta sostituendo ip(x) al posto di y (x ) nel secondo membro della (37.5) e(j
osserviamo che essa soddisfa ancora in [x 0 - 6 , x 0 + 5] la condizione:
44 8 Cap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37
yo(x)=y0 (37.100)
poniamo
»
(3 7 .1 0 ,)
/—\
/*“\
^3
**
II
0
*0
e successivamente
rx
y k( x ) = y o + f ( t- y k - 1 ( 0 ) dt (37.10ft)
X»
b'ftOO-J'oK* . .
\ y i ( x ) - y 0( x ) \ < M \x-X(>\
IJC —JCò t2
«zi f iyi(t)-yo(t)ìdt | < a m | j \ t - x 0 \dt =AM
'*„ I I Jxt
* ' t - x 0 \2
<A ( \ y ì ( t ) - y i ( . t ) \ d t \<a ì m \ f dt =A2M -
7* 0 I I-'* 3!
e in generale:
\x - X0 \k
ì yk ( x ) - y k_ 1( x ) \ < A lc (37.12)
k\
45 0 Gap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37
M (AS)k
J'o + L
k= 1 A k\
ne segue
lim j f \ t , y k ( t ) ] dt = f f [ t , y ( f )) d t . QED
lxt *,
deve aversi Xi < x 0 + 8 . Per ogni o > 0 tale che Xi + cr < x 0 + 8 si ha allora in
[ * ! , * ! + a].
' Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine 451
/*»
y (*) - y f r ) = ] { f i 1- y (OJ - f [ t . x m }dt +
A.0
xi
y(t)}}dt
■r {f[t,y {t)]-f[t,y{t)}}dt
Iy ( x ) ~ y ( x ) K A y(f)\dt<AL o
L <AL a
1
ovviamente assurda, per a fatto che L > 0 , quando si prenda a minore di — .
A
In modo analogo si deduce che y ( x ) e y ( x ) devono coincidere nell’intervallo
[x 0 - 5, x 0] ed il teorema resta così completamente dimostrato, QED
.V (* )= .K * o )+ ( f[ s ,y (s )] d s (37.14)
|[ y ( x ) - v ( S ) ] | = ( f[s, y (s)] ds
h
Da questa, per il teorema di Cauchy (ter. 37.16 del 1° Voi.) si deduce che esiste
in R il lira y (x ). Se allora prolunghiamo y in [x0, x"] definendo y (x " ) =
y(x) =
r
z(x ) m [x , x + a[
m r tf J t r
è derivabile in [x0, x " + a[ e verifica ivi la (37.3). Alla stessa conclusione si perviene
s e / . = [x 0,x " ].
*0
Risulta così provato che y ammette un prolungamento proprio a destra e
quindi che l’asserzione 3) ed il teorema 37.8 sono completamente dimostrati. QED
Dai teoremi ora dimostrati si deducono anche i seguenti risultati relativi a casi
particolari di notevole importanza.
§ 37 Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine 455
y x( x ) = y 0 + f { t , y 0)dt. (3 7 .1 5 ,)
L
y k ( x ) =y o + (37.15 k '
J
xo
allo stesso modo che nella dimostrazione del teorema 37.5. Dalla (37.15) ottenia
mo, se x e [a, h],
<yw i x - x 0 1
(Pi W - 7 o l <
/: ì f ( t , y 0) \d t (37.16)
\x - x 0 I*
c' A* - 1 M se x e [a, b]
ifx
donde come nella dimostrazione dello stesso teorema 37.5 si conclude con la con
vergenza uniforme in [a, b] della successione y k verso una funzione y che risulta
pertanto continua e tale che
456 Cap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37
Dal teorema 37.4 segue allora che y è soluzione in [a, è] del problema di
Cauchy (37.4) che y è ovviamente soluzione massimale di tale problema relativa
mente a D° che è l’unica per il teor. 37.8 e che risulta di classe C 1 su [a, b], QED
y ( x ) ^ y n (x) se x e f n
Ne segue in particolare:
y ' = a ( x ) - y + i3 ( x ) (37.17)
.. ~
[
I a (s j d s
d
{y(x) • <p(x)}-p(x)ifi(x)
dx
la quale è del tipo (37.1). Se ne deduce pertanto che su tutto I deve aversi
e in definitiva
f§ à (s )d s
y (x ) = é *• |3(r) e (37.17')
o anche
/= y , y (0 ) = 1 (37.18)
458 G ip . V I - Equazioni differenziali ordinarie § 37
Anche in questo caso si riconosce, per i teoremi 37.3, 37.10 che, questo pro
blema di Cauchy ammette una ed una sola soluzione sia in piccolo che globalmente
relativamente all’insieme D = R2 ; non possiamo però dedurre che la soluzione mas
simale sia definita su tutto R poiché la funzione (x, y ) e R2 ->y2 G R non è unifor
memente Lipschitziana rispetto alla seconda variabile. Di fatto, come si riconosce
immediatamente, tale soluzione massimale è data da:
1
y :x ]-<*>, 1 [ ->y()c) = ----------6 R .
1-x
§ 37 Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine 459
Figura 6.4
Per ottenere ciò basta soltanto osservare che per ogni y derivabile e non nulla si ha
/(* ) _ / i _y
y 2 (x) \y (x )l
/l v
in modo che là (37.19) da luogo alla equazione ( — ì = —1 e5 nei
nertanto che per
\y i
, , . , I l
ra soluzione y aei nostro problema deve aversi-------- -- - rH--------
y{x ) ,v(0)
3) Consideriamo il problema di Cauchy
Figura 6.5
y t : * € R -*y (x) - 0 ;-
se x <X
y 2 : X G R -> 0 se X
(x -p f se x> p
è una soluzione massimale dello stesso problema di Cauchy, in modo elle si hanno
infinite soluzioni per il problema di Cauchy considerato. Questo esempio mostra
in sostanza che la sola continuità della funzione f( x , y ) non è sufficiènte per
garantire la unicità delle soluzioni del corrispondente problema di Cauchy (37.4).
Questo comportamento va sotto il nome di fenomeno di Peano.
Più generalmente di quanto è stato fatto finora possono essere prese in Consi
derazione equazioni differenziali del primo ordine in forma implicita che possono
essere definite nel modo seguente.
§ 37 Equazioni differenziali ordinarie dei primo ordine 461
F (x ,y ,y ')-= 0 ; (37.21)
jK*o)=.Vo y '(x 0) = y 1
Figura 6,6
462 Cap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37
La ricerca delle soluzioni del problema di Cauchy (37.22) può essere effettuata ri
conducendo almeno formalmente l’equazione differenziale (37.21) alla forma nor
male; ciò che ad es. è possibile se F 6 C ! (fi)
F (x ,y 0, y i ) = Q , Fy ,{x 0, y q , y i ) ^ Q (37.23)
d d
w'(x) = -----{<R e w(x) } + i ------ {Im w (x) }
dx dx
in ogni x e /.
Per questi problemi si riconosce immediatamente che valgono, con le stesse
dimostrazioni, risultati concernenti l’esistenza, l’unicità, e il prolungamento delle
soluzioni dei problemi di Cauchy che sono interamente analoghi a quelli finora
ottenuti. Analoghe considerazioni valgono anche per il caso implicito con F a
valori complessi.
■ Problemi
y = g (y ) y{xa)~y<>
37 Equazioni differenziali ordinarie dei primo ordine 463
ammette una e una sola soluzione massimale. Posto per ogni y G /, G (y) =
fy 1
= I -------ds si osservi che G è invertibile in / e detta' G : J -+ I la funzione
L V 't ì 1
inversa definita su / = ] inf G(y), sup G (y)[ si verifichi che la funzione
ySil ySl
definita in / + x 0 da G ~l (x - x 0) è tale soluzione massimale.
y = 3 \ y \ 2/3 , y (0) = 0
/ = 3 | y | 2/3 + a y (0 ) = 0 , a€R+
— / (x, y ') [ < /4 iy " - y ' I per (x, y'), (x, y " ) G R . Sia a = min {a, — , — }e
M A
sia f f lo spazio della funzioni y definite in [x0 — a, x 0 + o] ivi continue e
tali che ly(x) —y 0 K b per ogni x 6 fx0 - o, x 0 + a], reso spazio metrico
mediante la distanza
37.4, Siano a, b G C(I, R), I = ]a, f3[ C R e sia y : I -> R derivabile e tale che
z = a{x) • z + b(x) z (x 0) = y (x 0)
y (x ) < .4 + /( X y ( t) z ( t) d i p e r o g n i x G / .
a
/ z( t )dt
y (x ) < A e
xy' + O ')2 — y = 0
classe C1 in / e tale che g (t) > 0 per ogni t e / . Lasciamone al lettore la verifica
e lasciamogli anche la facile cura di verificare che la relazione di C1- equivalenza in
trodotta nella definizione 45.1 b) è simmetrica, riflessiva e transitiva, è cioè una
relazione di equivalenza nello spazio di tutte le applicazioni regolari di classe
C 1 nel senso usato fin dal n. 4 del primo volume.
Possiamo allora introdurre la seguente
Figura 8.1
Figura 8.2
§ 45 Curve parametriche d i classe C 539
45.3. Definizione (Traccia di una curva, retta tangente) a). Ogni curva regolare
7 di classe C1 determina l’insieme (45,1) che è detto traccia della curva 7 ed è indi
cato con [7 ], Ogni w G [7 ] è anche detto (impropriamente) punto della curva 7 , tale
Figura 8.3
Il lettore osservi che la conoscenza della traccia di una curva 7 insieme a quella
dei suoi estremi non permette di determinare la curva, come risulta ad es. dalla
considerazione delle seguenti applicazioni regolari di classe C1 .
-7 -
c) Sia 7 una curva regolare di classe C 1, sia 0 : I -*'R3‘una sua rappresentazione
parametrica e per fq £ I sia w0 - 0 (f0).
Dall’ipotesi <t>’(ta) ^.O segue facilmente, d’accordo con la definizione 19.11,
che i vettori {\<j> ( t 0) : X e R } sono tangenti in vv0 all’insieme [7] traccia di un
opportuno arco semplice 7 di 7
tale che t 0 e [a, 0], Possiamo dire allora che essi costituiscono un sottospazio vetto
riale di R3 di dimensione 1 tangente a 7 in w 0 e che la retta affine w = W o +
+ s <j>'(t0); s G R è una retta affine tangente a 7 in w 0 , Immediatamente si riconosce
che l’insieme dei vettori tangenti {A0 '(/o ) ; X e R } e la retta tangente w ~ wa +
+ s0,.(fo), 1 6 R, sono indipendenti dalla rappresentazione parametrica di 7 . Infatti
se 0 : J -* R 3 è un’altra rappresentazione parametrica di 7 e se 0 : / -*•/ soddisfa le
condizioni espresse nella definizione 45.1 ed è tale che 0 (f) = 4i[<p(t)] per ogni
: 45 Curve parametriche di classe C ' 541
0p :/->R3
in modo cioè da risultare lineare in ogni intervallo [tt, f;+ 1 ] della partizione e tale
che 0p (f.) = 0 (r.), <t>p (t i + , ) = 0 (f.+ 1)
L’insieme [0^] = {x 6 R3 : x = 0p(r); ( 6 7} viene pertanto a risultare una
poligonale avente per lati i segmenti 0 (i(), 0 (f/+ 1); i = 0 , 1, . . . , n — 1 ; che può
essere detta inscritta nella traccia [7 ] della curva 7 rappresentata da 0 .
Definiamo quindi come lunghezza della poligonale [0p], che indichiamo con
/( [ 0p ]),la somma delle lunghezze dei segmenti dai quali è costituita, poniamo cioè
542 Cap. V ili ■ Misura sulle varietà parametriche §45
n- 1
{ [* ,] } < e (45.5)
ciò che secondo la definizione del n. 3 7 può essere espresso dicendo che
Figura 8.4
r b ............
in modo che l ’integrale j il 4>(f)i! dt risulta indipendente dalla rappresentazione
a
parametrica adottata per la curva j individuata dalla classe di equivalenza di 0.
s
§ 45 Curve parametriche di classe C ' 543
n~ l
- ; c (fi^ 2 + - p O,-)]2 + [z ( f +1 ) - z ( t . ) ] 2 Y
1=0
n~l
a=
■ E ( « ' • « ,) • y 2 ( f p + z ' 2 (t;) } i/2 (r.i+ l
(4 5 '8>
Ora si ha:
in [a, 6 ], trovare 5 > 0 in modo che per ogni partizione P d ii per la quale IIPII < 5
riesca
e di conseguenza
_______ 3_rj_______
. 1/ (b-a)
m + -{m 2 —3 rì}1/2
e di qui segue la (45.8) perché la quantità a secondo membro si può rendere piccola
a piacere purché rj sia sufficientemente piccolo. La (45.5) è così dimostrata. QED
b) Quanto alla affermazione b) essa segue dal fatto che se ^ : [a, jS] = / ->■ R 3 è
una applicazione regolare equivalente a 0 e s e i p : / - » / è data come nella definizione
45.1 b) e pertanto tale che i// (r ) = <j>[v>“1 (r)] per ognir G /allora, posto ip~l (r ) =
= s ( t) , si ha per il teorema di integrazione per sostituzione (Teor. 74.2 del 1°
Volume)
/ (7 ) = f II di (45.10)
che come abbiamo provato non dipende dalla scelta della rappresentazione para-
metrica di y.
/ { [ * ,] } < * ( ? ) ■ ,(4 5 -n )
Allo scopo per ogni e 6 R . sia 8 £ R , tale che se la partizione P è tale che IIPII <
< 5 allora risulti
/(7)-e<Z{[^]}</(7) + e (45.12)
l {[0=]}<Z(7) + e (45.13)
P
gli ulteriori punti di suddivisione introdotti da P in [f(, tj+ ] risulterà anche, per
la disuguaglianza triangolare in R",
n~ 1 1
issò s= 1
_ <45-14>
> ] T z[<Kt.),0(tm ) j ■ > / {[* ] } .
i=n
546 G ip . V ili - Misura suite varietà paramediche § 45
i { [ * , ] } < i { » # ] } < / ( 7) + e
L' (s) = 0' [«p(s)] 0 ' (s) = 0' I«p(s)] - per ogni s e [0, l (7 )]
110 [<p(s)]l!
e pertanto 1
Una trattazione di queste curve e delle loro lunghezze può essere svolta a par
tire dalla classe delle applicazioni continue 0 : I -*■ R" che sono soltanto di classe
C1 a tratti su / = [a, b], per le quali cioè esiste una partizione {« = f0 < U < . . .
... t < . . . < tn = b } di / = [a, b] tale che 0 è regolare e di classe C 1 su ogni
[t., f ] nel senso della definizione 45.1 e quindi può ammettere in ciascuno dei
punti t{; i = 1, 2, . . . , n — 1; derivata sinistra a destra differenti. In questo caso
naturalmente dovremo ammettere cambiamenti del parametro che sono soltanto
di classe C 1 a tratti oltre che dotati di derivata positiva e definiremo mediante
passaggio allo spazio quoziente la classe delle curve regolari di classe C 1 a tratti.
La teoria svolta si estende allora senza cambiamenti sostanziali alla categoria delle
curve regolari di classe C 1 a tratti.
x e / -» 0 (x) = (x, /( * ) ) e R! ;
Figura 8.5
f^
l (T .) = / {1 + f ' i (xYi i n dx (45.17)
' Ja
ove con si è indicata impropriamente la curva sopra descritta.
2) Data la parametrizzazione
I
f 2ir f 2ir
I
la
f i r n ] « 4> 'm dt,
L f M r ) ] Il e si ha:
‘(y)
f[ L ( s )] d s . (45.19)
0
f { L ( o . ) } ( s . +1
A i)
I f[ L (i)] ds = hm ] T / {L (o.) } (s,+ , - s.) .
J0 «r-n-i-o /i=0
J
regolare di classe C1 e se / : [7 ] -> R” è una funzione continua sulla traccia [7 ]
f
1a
/ {0 (0 } Il 0'(/ )liuif
ove 0 : [a, è] R" è una qualsiasi rappresentazione parametrica della curva. Si ha,
esplicitamente
Per concludere questa breve esposizione sulle curve regolari introduciamo la se
guente:
t <=[ a , b] (45.20)
■ Problemi
ossia che la lunghezza della corda che unisce gli estremi di 7 è non superiore a
/ (7 ). Riottenere da ciò una nuova dimostrazione del teorema 45.7.
45.3. Sia 7 una curva regolare di classe C1. Provare che per ogni rappresentazione
parametrica 0 : 1 -» R3 di 7 (quindi regolare e di classe C 1) è per ogni x e [7 ]
risulta finito l’insieme
{re/:0(r) =x}
45.4. Data la elica cilindrica dell’esempio 49.5 n. 3 e date le.funzioni
7r3 : (x, / , z ) 6 R 3 - » z e R
§ 46 Superfìci parametriche di classe C 551
determinare il punto
J n l ds J n2 ds J ir3 ds
nonostante l’insieme