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1.

Spazi metrici

In questo capitolo esponiamo il linguaggio geometrico mediante il quale


possono essere espresse le principali'proprietà di quegli spazi nei quali è possibile
introdurre, per ogni coppia di punti, una distanza che gode delle proprietà che
questa ammette in geometria elementare.
Nonostante lo scopo principale del capitolo sia quello di studiare le più
importanti proprietà topologiche dello spazio euclideo RN (insiemi aperti, ecc.)
e delle applicazioni continue da Rw a Rr la teoria viene esposta nel quadro assio­
matico inerente agli spazi metrici. E ciò per due ragioni: in primo luogo perché
tale studio, per quanto più generale ed astratto non presenta essenzialmente maggio­
ri difficoltà di quello nello spazio R^; in secondo luogo perché nei successivi
capitoli intendiamo servirci del teorema di esistenza del punto fisso relativo alle
contrazioni che esponiamo nel n. 3.

1. Spazi metrici.

1.1. — Definizione. Un insieme S cui sia associata una funzione d : S X S.-+ R,


soddisfacente gli assiomi Mx, A/2, M3, M4 appresso elencati, si chiama uno spazio
metrico.
S ex , y e S, il numero d(x, jv) è tale che:

M i : d ( x ,y ) > 0 per ogni x .y e S

m 2 : d ( x ,y ) = 0 se e solo se x= y

m 3 : d ( x ,y ) = d(y, x ) per ogni x, y e S

m 4 : d(x, z) < d(x, y ) + d(y, z) per ogni x ,y , z e S

La proprietà espressa da M4 si chiama diseguaglianza triangolare. Per essere


più precisi dovremmo indicare uno spazio metrico con la notazione ( S, d) dove
18 Cap. I -Spazi metrici § 1

d è un’applicazione di S X S -> R , soddisfacente gli assiomi M lt M2, M3, M$.


Nel seguito, parleremo di “spazio metrico S” quando è chiaro quale applicazione
d si sottointende. Tale applicazione d si chiama la funzione distanza o anche la
metrica d iS e d (x, y ) è la distanza fra i due elementi (punti) di S.

Z— (Z1iz2>*3 ^

A X

S = !R3 ( e s e m p i o 3, N = 3 )

Figura 1,1

1.2. — Definizione (Sottospazio metrico). Se S è uno spazio metrico, ogni


suo sottoinsieme 5 1 è anch’esso uno spazio metrico quando per distanza fra due
punti x, y di S i si assuma la stessa distanza di x, y in quanto pensati come elementi
di S; tale metrica è detta metrica indotta da S su S t .
Diamo qualche esempio di spazi metrici.

Esempio 1. L’insieme dei numeri reali R con d(x, y ) = Ix - y I è uno spazio


metrico. Gli assiomi M lr M2, M 3 sono ovviamente verificati; l’assiomaM4 significa

d(x, z ) = Ix —zi= l ( x - y ) + (y - z ) l < \x - y \ + 1y - zi = d(x, y ) + d(y, z) .


( 1. 1)

Naturalmente ogni sottoinsieme di R è uno spazio metrico.

Esempio 2. L’insieme R2 = R X R di tutte le coppie ordinate di numeri reali


(xi, x 2) è uno spazio metrico ponendo come distanza di due punti x = ( x t , x 2),

y = ( y u yf)

d( x , y) = V(*i - x 2f +o, - y 2f . ( 1.2)


§ 1 Spazi metrici 19

Esempio 3. Più in generale possiamo, per ogni N naturale, definire R^ come


l’insieme della (V-ple ordinate x di numeri reali

x = ( x i , x 2, . . . , x N) ; x . e R , ( = 1 , 2 , . . . ,N ;

e porre, per ogni coppia di punti x, y e R^:

d ( x ,y ) = 'J ( x l - y xf + (x2 - y 2f + . . . + (xN - y Nf . (1,3)

R,v, con la metrica d, è uno spazio metrico in quanto gli assiomi M x, M 2,


M3, sono banalmente verificati e, come vedremo sotto, vale anche l’assioma
La metrica ora introdotta si chiama metrica euclidea.
L’elemento x t della yV-pla x = (x lt . . . , xN) di R ^ si chiama componente
i-ma od anche coordinata (-ma di x.
Se N = 1 seguiteremo a scrivere R anziché Rl .

Verifichiamo l’assioma /V/4 . A questo scopo premettiamo il

1.3. — Lemma, (diseguaglianza di Schwarz). Qualunque siano i numeri reali


ai, a2, aì t . .. , aN ; b u b2----- -, bN, siha:

lai b 1 +a2b2 + . . . +aN bN l< V « i + «2 + . . ■+ a2


N '--Jb \ + b\ + .~7+ b2N
(1.4)
Dimostrazione. Se a, b e R, si ha

2 \ a b\ < a2 + b2

in quanto

0 < ( l a i - | * 1 f =a2 + b 2 - 2 \ a b \ .

Si ha allora, per i = 1 , 2 , . . . ,N:

la.l l*,l
_____________ ____________ ^1/
sja\ -1- a\ + 7. . + a2 sfb\ + b\ + , . . + b2 2 W a \ +«? + .

2 +bì+ ...+ b l
20 Cap, I - Spazi metrici

e sommando:
N
E '« ,v
i=i

Af JV

i i

Ciò dimostra il lemma. QED

1.4. — Corollario. Se a., b. (i = 1, 2 , . . . . TV) sono numeri reali, aWora

AL / _AL Hv
.2 4 - 1 / > 7,2 (1.5)
<=i F 7=1 F (=1

Dimostrazione. Infatti

N N

Z>,+
i=i
v - E1 a? + r b? + 2 E a. b. < Z > x > f
1=1

Di qui segue la (1.5). QED

Verifichiamo l’a ss io m a ^ ; sianox = ( x 1, x 2, . . . , ^Ar),^ = O j, J 2. . . . ,>> ),


z = (z ì . 22, • • • , ?N)- Allora, per il corollario 1.4

E-)]2 <
d(x, z) = [(*• - y {) + (y.
Spazi metrici 21

< y J _ (x, ~ y f + y £ _ O'i - z ,)2 = 7 ) + d(y, z) .

Esempio 4. Si osservi che su un dato insieme S si possono introdurre diverse


metriche. Per esempio in Rw , oltre alla metrica euclidea, possiamo introdurre la
metrica seguente:
Siano h x, h2, . . . ,h N numeri reali tali che

0 < h< hj <H i= l,2 ,...,N con h .H G R ,

. e poniamo per x = (xr, x 2, . . . , x N) ,y = ( y i , y 2, . . . , y N)

d ( x ,y ) = max { h .\x } - y . \ : i = 1 , 2 , . . . ,N } . ' (1.6)

La funzione d(x, y ) soddisfa gli assiomi M t , M 2, M 2, M4 ed è una metrica


differente dalla metrica euclidea (1.3).
Nel seguito però quando ci riferiremo a liN intenderemo, salvo esplicito avvi­
so contrario, che si tratti dello spazio euclideo Rw con la metrica dell’es. 3.

Esempio 5. Consideriamo l’insieme delle funzioni f : [a, b] -* R, continue


nell’intervallo limitato e chiuso [a, b ]. Questo insieme si può riguardare come uno
spazio, metrico introducendo la distanza d (x, y ) nel modo seguente. Sia x =
= / : [a, b\ -*R e y = g : [a, b] ~»R ; poniamo allora:

d(x, y ) = max If( f) - g(t) I. (1.7)


t ^[ a , b )
22 Cap. I - Spazi metrici § 1

La quantità d(x, y ) è ben definita, poiché ogni funzione continua su un inter­


vallo chiuso e limitato ha massimo, e verifica gli assiomi M i, M2, M3, MA. Verifi­
chiamo l’assioma M4 : sia z = h : [a, b] -»■ R. Allora, per ogni t e fa, 6], si ha

]f ( t ) —h (f)\ < max If ( t ) - g(t) I -I* max 1^(0 —h(t)\ = d(x, y ) + d(y, z)
1«,6] \a,b]

da cui segue

d{x, z) < d(x, y ) + d(y, z) .

Tale spazio, posto / = [a, 6], sarà indicato con C°(I).

Esempio 6. Consideriamo l’insieme delle A-ple ordinate di funzioni reali con­


tinue in un intervallo limitato e chiuso I - [a, b ]. Un elemento x di questo insieme
è dato da

x = ( fu f ì , ----- f N) - ,

ovef. : [ a , à ] - > R è continua in [a, b \ i = 1 , 2 , . . . , N.


Questo insieme si può riguardare come uno spazio metrico introducendo
la distanza d(x, y ) di due elementi x e y nel modo seguente, Sia

x = . , f N) e ■■ ,8 N)

e poniamo

r~N
d {x ,y )= max V . (1-8)
[«,61 f fri ‘

Lasciamo al lettore la cura di verificare che la funzione d soddisfa gli assiomi


M i, M i, M3i Questo spazio metrico sarà indicato con .
Nello stesso insieme possiamo anche porre

d(x, y ) = max {max i f . ( t ) - £ , ( f ) l } .


l= l ,...,N (a,6) ‘

Lasciamo al lettore la cura di verificare che anche questa funzione d soddisfa gli
assiomi M , , . M *, Afa.

Esempio 7. Supponiamo che d(x, y) sia una distanza. Allora anche D(x, y ) =
§ 1 Spazi metrici 23

d (x-y) ,
= --------------- e una distanza.
1 + d(x, y )
Le proprietà M j, M 2, M3 sono ovvie. Per provare M4 .osserviamo innanzitutto che
t
f ( f ) — •^ è crescente per t > 0. Allora se d(x, z) < d(x, y ) + d(y, z) risulta

d(x, y ) + d(y, z)
Z)(x, z ) < ----------------- :---------e, a sua volta, è immediato verificare che
1 + d(x, y ) + d(y, z)

d{x, y ) + d(y, z ) d ( x ,y ) | dQ> z)


= D (x ,y )+ D (y , z ) .
1 + d ( x ,y ) + d (y ,z ) 1 + d ( x ,/ ) 1 + d(p, z)

1.5. — Definizione (Intorno sferico) Sia S uno spazio metrico, x 0 G S e


r e R+ . Si chiama intorno sferico di centro x 0 e raggio r, nella metrica d il sottoin­
sieme di S:

tflr(x a)= { x e S : d ( x 0, x ) < r ) ,


che talvolta sarà indicato anche con la notazione °U (xo, r).
Si chiama intorno di x 0 ogni insieme di S che contenga un intorno sferico di x 0 .
In R, con la metrica usuale dell’es. 3, l’intorno sferico di centro x 0 e raggio
r coincide con quello già considerato nel primo volume. Se S = R+ , l’intorno di
centro x 0 e R + e raggio r è l’intervallo:

max {x 0 - r, 0 } < x < x 0 + r .

f. . . .
O x0 x 0-f

In to rn i sfe rici Intorno sferico


in R + x R+ in R+

Figura 1.3

In R2 , pensalo cume un piano euclideo, l’intorno di centro x 0 e raggio r


è il cerchio di centro x 0 e raggio r esclusi però i punti della circonferenza di centro
x 0 e raggio r.
24 Cap. I - Spazi metrici

In R3 Con la metrica euclidea l’intorno sferico r(xQ) è la sfera di centro


x 0 e raggio r quando si escludono i punti della superficie sferica di centro x 0 e
raggio r.
Se in RjV introduciamo invece la metrica (1.6), un intorno sferico <%,(x0) di
*o - C*i, x", ■ ■ . , xj^.) è costituito dall’insieme di punti x = (xi, x 2, . . ■ , x N)
tali che

x e 1 Ix. —x? I< - i = 1 , 2 , . . „ N \.

r r
Per N = 1 tale intorno è l’intervallo ] x 0 -------- , x 0 4-------- [, per N = 2 è il
ht hj
rettangolo

| X1 , ^ X1 <X ] + , X® <X 2 < x? + 1


1 hx hi h2 h2 i

per N = 3 è il parallelepipedo:

| x e R3 : x® -------- < x. < x° H------- , i = 1, 2, 3 1 .


I ' h. ' ' /!. J

1.6. — Definizione (metriche equivalenti). Su uno stesso insieme S possiamo,


come abbiamo visto, introdurre diverse funzioni distanza (metriche). Due metriche

Figura 1.4

d i(x, y ) e d2(x, y ) si dicono equivalenti se esistono due costanti positive m, M tali


che
Spazi metrici 25

d l (x, y )
per ogni coppia x , y & S , x = ty
d2 (x, y )

Da qui segue che ugni intorno sferico di uno dei due spazi metrici (S,
di centro x a, contiene un intorno sferico dell’altro spazio metrico (S, d 2) e vice-

tigura 1.5 — Equivalenza fra di definita come in (1.2) e d2 così definita


(x, y) = bc, - y , l + l*j ~ y 1 1

In Rw la metrica euclidea (1.3) e la metrica (1.6) sono equivalenti. Infatti,


per | = (£i, | 2, ------ÌN), 7? = (i?,, i?2, . . . . r i s p o s t o h = min {hu h2........... hN } e
H = max {hlt h 2, . . . , hN }; si ha:

1 yW
— <
H max {h. \ %. -rj^l} h

1.7. — Definizione (Aperti). Un sottoinsieme A di uno spazio metrico S è


aperto se, per ogni x G A , A contiene qualche intorno sferico di centro x.
.Si osservi che la nozione di insieme aperto A è relativa allo spazio metrico
S di cui A si considera come sottoinsieme. Ad esempio l’insieme di coppie ordinate
di numeri reali

{( x ,y ) : 0 < 1,0 <>> < 1}

non è un sottoinsieme aperto del piano euclideo R2 , e invece un sottoinsieme


aperto dello spazio metrico

S = { ( x ,/ ) : x > 0 , y > 0 };

con la metrica indotta su S da R2 .


Dimostriamo ora il
26 Cap. / - Spazi metrici §

1.8. — Teorema. In uno spazio metrico S in un intorno sferico óilf {x0) è w


insieme aperto.
Dimostrazione. Ricordiamo che perx0 e S, è:

% r{x0)= { x e S : d { x ,x 0) < r } .

Sia ora x e (xo) e consideriamo l’intorno di x

%fp (x)= i y ^ S : d ( x ,y ) < p }

dove p = r - d (x 0, x) .

Figura 1.6
Spazi metrici 27

Essendo, per>> e aUp (x)

d(y, Xo) < d ( x ,y ) + d(x, x 0) < r — d(x, jc 0) + d(x, x 0) = r ,

segue che:

% ( x ) C % { x 0)

e ciò prova il teorema. QED

1.9. — Teorema (Proprietà della famiglia degli insiemi aperti). Dato uno
spazio metrico S consideriamo la collezione 0 dei suoi sottoinsiemi aperti. Allora
si ha:

1) è e & (L ’insieme vuoto e aperto)

2) Se & (Lo spazio S è aperto)

3) S e A a e@ per a esé, allora [ J A a e Q ( L ’u nione di m a famiglia


a<iS* qualsiasi di aperti è un
n aperto)
4) S e A lt A 2, . . . , A e f > (n e N ), allora P) A e0 .
n /= ì '
(L Intersezione di una famiglia finita di aperti è un aperto)

Dimostrazione. 1) Che il sottoinsieme <p di S è aperto è ovvio perché, non


essendovi punti in <j>, non c’è nulla da verificare. 2) Anche il fatto che S e 0 è ovvio
in quanto ogni intorno di punti di S è contenuto in S. La proprietà 3) èevidente

in quanto se x e (_J A , allora x e A per almeno un indice a e,pertanto esiste

un intorno di centro x contenuto in A e, di conseguenza, in (_J ^4 . La proprietà


n aesé 01
4) segue perché se x e P I A . allora x e A. per ogni i = 1, 2, . . . n. Siccome gli
;=i 1 !
insiemi A f sono aperti, esiste, per ogni /, un numero positivo r. tale che <
!U),{ x )(^ A ..

L’intorno ^ lr(x) dove r = min {ri: r2, . . . , r Appartiene allora a tutti gli insiemi
n n
A e nertanto a (~) A .. Quindi f~] A , è un insieme aperto. QED
' 1 i=i ' /= ì ‘

Osserviamo che la proprietà 4) non rimane vera quando invece di un numero


finito di insiemi A . ne consideriamo infiniti. Per mostrare ciò basta considerare
gli insiemi
28 Cap, I-S p a zi metrici

A .= { x e R : l x l < — } ieN
' i

ed osservare che l’insieme

n ^,={°}
1=1 '

non è un insieme aperto di R .

■ Problemi.

1.1. Verificare che il sotto-insieme {(x, y ) : x 1 - y 2 < 1 } è un insieme


aperto di R *.
1.2. Sia E un sottoinsieme di uno spazio metrico S. Si dice che x £ E è
interno ad E se esiste un intorno sferico %r(x) di x tale che sUr( x ) C E. Provare
che l’insieme

E ° = {x £ E : x è interno ad E }

costituito dai punti interni ad E è un sotto insieme aperto di S.


1.3. Provare che ogni sotto insieme aperto di R è unione al più numerabile
di intervalli aperti disgiunti.
1.4. Sia S uno spazio metrico ed E un sottoinsieme di S. Provare che un
sottoinsieme X di E è un aperto dello spazio metrico E nella metrica indotta su E
da S (si dice in tal caso che X è relativamente aperto in E) se e soltanto se esiste
un sotto insieme aperto A di 6’ per il quale risulta X =A HE.
1.5. Verificare che Rw con la metrica

d ( x ,y ) = Y ^ ^x i ~ y ^
i=i

dove x = (x i, x 2, . . . , xN ). e y = ( y x, y 2, ■ ■ • , y N), è uno spazio metrico. Descri­


vere gli intorni ^lf ix) in questo spazio.
1.6. Sia S l’insieme di tutte le successioni limitate {x L n }J con x n G R.
Verificare che S con la metrica:

ri(x, 7 ) = sup { I x i - y x \, l x2 - y 2 \ , - - - , Ix n - y „ \ , . . . )

è uno spazio metrico.


§ 1 Spazi metrici 29

1.7. Sia S = S i X S 2 e siano d 1: d 2 due metriche in S i e S 2 rispettiva­


mente. Posto in S

d ( x ,y ) = max { d (x 1, j>,). d (x 2, V a)}

dove x = (x u x 2) e y = (y lr y 2), verificare che S è uno spazio metrico.


1.8. Verificare che R2 con la metrica

Ivi I + IV2 I+ I* i - x 2 I se x i ¥^X2


d ( ( X i,y i) ,( x 2, y 2)) =
Ij’i - Va I se x t = x2

è uno spazio metrico. Descrivere gli intorni °Uf (x, y ) di questa metrica,
1.9. In C°(7), ove 7 è un intervallo chiuso e limitato, consideriamo la fun-.
zione:

dove x - f : I ^ - R e y = g : I - * R . Verificare che d(x, y ) è una metrica in C°(J).


1.10. InC (7) consideriamo la funzione

Verificare che d(x, y ) è una metrica in C° (7).


(L assioma Af4 discende facilmente dalla diseguaglianza di Minkowski:

Questa segue facilmente dalla diseguaglianza di Hòlder (cfr. voi I § 72 es. 3). In­
fatti, p o sto q = ~ , cioè l=
1-±;S
Ì
ha:
<7 P
30
Cap. I-S p a zi metrici § 1

e per la diseguaglianza di Holder

+ l/ ( f ) + ^ ( 0 l ?(p_1) dt
7 /

da cui segue la diseguaglianza di Minkowski).


1.11. Dimostrare che il sottoinsieme A di R2 dato da {(xi, x 2) £ R2 :
x t + x 2 > 0 } è u n insieme aperto.
1.12. Su uno stesso insieme S si introducono due funzioni distanza di
e di equivalenti. Provare che un insieme è aperto nello spazio metrico (S, di)
se e soltanto se è aperto anche nello spazio metrico (S, di).

2. Successioni di punti di uno spazio metrico.

Sia S uno spazio metrico ed {xn } una successione di S, cioè una applica­
zione di N in S.
La teoria delle successioni che abbiamo svolto in R si estende in parte al
caso delle successioni di uno spazio metrico.

2.1. - Definizione (Limite di successioni). Sia } una successione di punti


di uno spazio metrico. S. Un punto x a e S si dice limite della successione {xn } se

lim d(x , x 0) = 0 .

Se la successione {xn } ammette un limite x 0, essa si dice convergente a x 0


e si scrive lim * = x Q; la successione stessa si dice convergente.
Si dimostra facilmente, come nel caso delle successioni reali:

2.2. — Teorema (Unicità del limite). 1) Una successione di punti {xn } di


uno spazio metrico S ha, al più un limite.
2) Ogni successione estratta da una successione convergente, converge allo
stesso limite.
§ 2 Successioni di punti 31

Dimostrazione. La prima parte dell’enunciato segue dalla diseguaglianza


triangolare della distanza d. Infatti se la successione {x } ammettesse due limiti
x 0 e x'o, si avrebbe, per ogni n e IX

d (x 0, *'0) < d ( x 0, x n) + d(xn, x'0) ■

Di qui, passando al limite per n -* + °° , segue che

d (x 0, x 'q ) = 0'

dunque: x 0 =xó-
La seconda parte si deduce dall’analogo risultato per le successioni reali.
QED
Nascono alcune difficoltà di notazioni nel considerare successioni {x } di
punti di R , in quanto dovremo usare due indici: uno per indicare il termine della
successione, l’altro per indicare la componente di x n . Allora se {xn } è una succes­
sione di R^, x indicherà il tem in e n-imo della successione ex" (z = 1, 2 , . . . , N)
la componente z-ma di x n = (x'{, x " , . . . x ^ ) .
Dimostriamo il seguente:

2.3. — Teorema (Limite per componenti di successioni di RjV). Sia { }


una successione di punti di R ^ , allory:

lim x ~ x 0
n-*°° ”tl

se e solo se

z = 1,2, . . . , N .

Dimostrazione. Si abbia lim x " = x °; ' = !, 2 N. Sia e > 0; per ogni i,

esiste allora un indice v( tale che, per n > vt>si abbia

Posto v = max {z^, v 2, . . . , v }, si ha, per n > v :


32 Cap. I - Spàzi mètrici

d (x„. x 0) = =e.

Viceversa, se

lim x = x 0 ,

essendo

2" — T 2
I 1
1"
li
—T----

, 3"
co

1
i~
I

i
4 1
I* 1
i i | ,
3' 4' 2' i'

Figura 1. 7
segue, per gli stessi indici:

lim x ? = x ° . QED
1 1

S Si noti che in questo teorema è essenziale il fatto che è uno spazio vetto-
riale a dimensione finita (def. 12.1).

Dimostriamo ancora il

2.4. — Teorema (Convergenza di funzioni continue). Sia S lo spazio metrico


delle funzioni continue in un intervallo [a, b] limitato e chiuso. Una successione
{xn } di S converge ad un punto x 0 di S se e solo se, posto
Successioni di punti 3.3

x „ ~ f n '-[o,b} ^ R , Xo = / q : [a, 6]-^ R

si ha, uniformemente in [a, h] :

lim / (0=/o(0-
«-*■
+“ n
Dimostrazione. Se infatti si ha:

lim x = x0 ,

fissato e > 0, esiste un indice v tale ehe:

d (x , x o ) - max 1 / (t) - f 0( i) \< e per n > v


" tela .il "

e quindi

! / ( / ) • fu(t)>< e per n> v e per ogni t(?\a, b \ .

Viceversa da questa ultima relazione segue

d(x , x 0) = max \ f ( 0 - / q ( f ) K e per n > v .


n t el a .b ] n

QED

Sia (C° (I))N lo spazio metrico dell’esempio 6 del p. 1 - In maniera analoga


si dimostra che posto

xo = V U l , - ' , f ° N }

si ha

lim x fi =«Xo
n->°°

se e solo se, uniformemente in [a, b ], si ha:


34 Cap. I - Spazi metrici

lim A " ( 0 = / ( 0 i=l,2,...,N.


n-*°°

2.5. — Definizione (Successioni di Cauchy). Una successione {xn } di uno


spazio metrico S si dice una successione di Cauchy in S, se, fissato e > 0, esiste un
indice v tale che, per n ,m > v , si ha:

d(x , x )< e.

Con ragionamento analogo a quella del caso di successioni reali si dimostra il

2.6. — Teorema (Successioni di Cauchy). Una successione convergente [x }


di uno spazio metrico S è una successione di Cauchy.
Dimostrazione. Infatti se lim x = x 0, fissato e > 0, esiste un indice v tale
n-+ + ~ n
che, per n > v , si ha:

e
d(xn, * 0) < — •

Siano ora n, m > v. Allora

e e
d(x , x ) < d ( x , x 0) + d (x , x 0) < — + — = e . OED

L’inverso del teorema 2.6, in generale, non è vero. Infatti, l’insieme Q, come
sottoinsieme di R, è uno spazio metrico con la metrica indotta da R, ma una suc­
cessione di Cauchy di 0 non è necessariamente convergente ad un elemento di Q.
Poniamo allora la seguente importante

2.7. — Definizione (Spazi completi). Uno spazio metrico S si dice completo


se ogni successione di Cauchy in S è convergente.
Diamo ora il seguente

2.8. — Teorema (Completezza degli spazi euclidei). RjV è uno spazio metrico
completo.
Dimostrazione. E’ noto dal primo volume che R è completo. Sia {xn } una
successione di Cauchy di R N . Essendo:

1x7i - x™
i l < d (xr n , x m')
§ 2 Successioni di punti 35

ne segue die se x n è una successione di Cauchy in Rw allora le successioni {xr! }


(/ = 1 , 2 , . . . , / / ) sono successioni di Cauchy di R, pertanto esistono x° 6 R;
i = 1 , 2 , . . . , n tali che sì ha

lim x n =x°
“ 1 1 - ■

■ Posto allora x 0 = (x®, x®, . . . , x dal teorema 2.3 (limite per componenti) ,
segue

lim x = x0 QED
) J ~> -f. oo n

Osserviamo anche che uno spazio completo è completo in tutte le metriche equi­
valenti .
Dimostriamo ancora

2.9. — Teorema (Completezza dello spazio delle funzioni continue). Lo


spazio metrico C° ([a, è]) (cfr. es. 5 del n. 1) è completo.
Dimostrazione. Sia x^ = fn : [a, è] -»R una successione di Cauchy in C° [a, b \
Allora, fissato e > 0, esiste un indice v tale che, per n,.m > v, si ha,

per ogni te[a,b]-

Di qui segue die la successione converge uniformemente ad una


funzione continua/0 : [a, b\ -* R. Posto x 0 = / 0, per il teorema 2.4 (convergenza
di funzioni continue),segue che:

lim x =x0 . QED

Anche lo spazio (C° (1))N (cfr. esempio 6 del n. 1) è completo. Lasciamo al


lettore la verifica di questo fatto.

■ Problemi.

2.1. Sia S = ]a, b[ un intervallo aperto di R reso spazio metrico dalla metrica
indotta da quella di R. Verificare che S non è uno spazio metrico completo.
2.2. Sia é? il sotto insieme di C° [a, b] (es. 5) costituito dalle restrizioni ad [a, b]
dei polinomi a coefficienti reali nella variabile reale.
Provare che '2P reso spazio metrico dalla metrica indotta su da C° [a, b ] non
è uno spazio metrico completo.
36 Cap, J•Spazim etrici § 2

2,3, Nello spazio euclideo a due dimensioni sia data la successione

Mostrare che essa è convergente.


2.4. Data la successione {x } di punti del piano euclideo tale che

„o _“*X2
Xj „o _“ i1

.Pi
3

dimostrare che

lim x = ( 0 , 0 ) ,
n-*“

2,5. Lo spazio metrico descritto nel p.b. 1.9 non è completo. (Sia / = [0 ,3 ]
ed {f n } la successione di C° ([«, h]) cosi definita:

0 sa 0 « / < l - 1 In

nx - n + 1 se 1 - 1/n < f < 1

f n (t) - 1 se 1< r < 2

- nx + 2« + 1 se 2 < t < 2 + 1/n

0 se 2 + 1/n < f < 3 .

La successione data è una successione di Cauchy in quanto, per n < m, si ha:

per n ->•• + »
§ 2 Successióni di punti 37

mentre non converge ad alcuna funzione di C° ([0,3]) .


2.6. Dimostrare che ogni successione estratta da urta successione di Cauchy di
uno spazio metrico S è ancora una successione di Cauchy,

3. Il metodo delle approssimazioni successive.

Possiamo ora enunciare un teorema generale che ci sarà molto utile irei
seguito. Esso è dovuto, nella forma in cui l’enunceremo, a R. Caccioppoli e prende
il nome di teorema di Banach-Caccioppoli.

3.1. — Teorema (Punto fisso delle contrazioni). Sia S uno spazio mettici)
completo, non vuoto, ed F u n ’applicazione di S in S. Supponiamo che esista una
costante a, con 0 < a < 1, tale che, per ogni x ,y & S , sì abbia:

d(F(x), F(y)) < àd(x, y ) . (3.1)

Allora esistè ed è unico un punto x & S tale che

F (x) = x . (3.2)

Inoltre se jco è un qualsiasi punto d iS e definiamo, per induzione:

x i= F ( x o ) , Xn = F (xn _ j ) «=1,2,.,,., (3.3)

si ha:

lim x = x. (3.4)

3.2. — Osservazióne. Se poniamo

F 2 = F o F , ___ F n = F o F rt~ i . , . (3.5)

la (3.4) può anche scriversi

x — lim F h (xa),xo é S .

Dimostrazione
Consideriamo la successione {xn } definita, per ricorrenza, dalla (3.3), dove
Xó è un punto fissato di S.
38 Cap. I - Spazi metrici i 2

Per ogni n eN , si ha, per la (3.1)

d i ’ Xn +1> = d _ i )> F (*„)) < ad (x n - 1 ’ X ) .

Utilizzando questa diseguaglianza successivamente si ha:

d(x , x ) < a d (x , x ) < a 2 d(x x , ) < a 3d (x


3 n —2/

e quindi

d(xr , )<oCd(pc0, x t ) .

Di qui segue che, per ogni coppia di indici m, n con m > n, si ha:

d {xni x n) <d {x n, x n + 1) + d {xn + v x n +2) + . . . +d ( x m _ 1, x j <

<an d (x0. X ,) +oT +1 d (x0, X ,) +... +o r - 1 d (x0, x ,)<

< d ( x 0, X j ) ) a‘ = d (x0, x j ) ol1 ) rf .

R ic o rd a n d o ch e la serie g e o m e tric a c / è c o n v erg e n te , e sse n d o 0 < a < 1,

e che la sua somma è — -----si deduce che. ner m > n:


1 —a 'A

d(y, , x ) < - (3.6)

Quindi la successione {xn } è una successione di Cauchy in S e, siccome S


è completo, esiste x £ S tale che

x = lim x .
«-»+“ n

Poiché:

d{F {x),F (xn))< < xd{x,xn) ^ 0 per n -»■ + 00


Il metodo delle approssimazioni successive 39

segue che

lim l'(x ) = F ( x ) .

Allora, per la (3.3)

F (x) = lim F (x ) = lim x =x .

Per dimostrare infine che x è l’unico punto di S soddisfacente la condizione:

x = F(x) ,

(cioè che è l’unico punto fìsso) supponiamo che accanto alla (3.2) si abbia:

y = F fy ).

Allora si ha:

d(x, y ) = d(F(x), F (y )) < a d (x, y ) .

da cui segue, essendo a < 1 : d(x, y ) = 0, cioè x =y.


Il teorema 3.1 é cosi completamente dimostrato. QED

Un’applicazione F di S in sè stesso che verifica la condizione (3.1) con a < 1


si chiama una contrazione in quanto gode ovviamente dalla proprietà di “contrarre”
le distanze di due punti qualsiasi.
Un punto x e S soddisfacente la condizione

i ' {X) “ X

si chiama un punto fisso per F.


Il teorema 3.1 si può quindi enunciare brevemente dicendo che una contrazio­
ne di uno spazio metrico completo, non vuoto, ammette un unico punto fisso.
li metodo che consìste nella costruzione della successione (3.3) si chiama
metodo delle approssimazioni successive,
E’ importante anche la formula seguente

d(xo, F (x q ))
d(xn, x ) < (3.7)
1 —a

che fornisce una maggiorazione della distanza della nma approssimazione x dal
punto fisso.
Cap. I-S p à zi metrici § 3
40

La fòrmula (3.7) si ottiene dalla (3.6) ricordando che x , - F(Xo)> c*ie Per
m>n

d{xn,x ) < d { x m, x n) + d ( x m , x ) <

d(x0, F(Xp ))
< e t + d (x m ,x )
1- a

e passando al limite per m -> + *>.


In particolare per n = 0, dalla (3.7) si ottiene anche

d(Xó, F (x 0)
d (x0, x) < — ;----- -----
1 —a

Un semplice corollario del teorema 3.1 è il seguente:

3.3. - Corollario* Sia [a, b\ un intervallo limitato di R ed f : [a, b] -+ [a, b\


una funzione continua in [a, b\ e derivabile in ]a, b[ con I/ ’ (x) I < a < 1 per x 6
S }a, b[.
Allora f è una contrazione di [a, 6] in sé stesso ed il teorèma 3.1 è valido.
Dimostrazione. Si osservi anzitutto che l’intervallo [a, è ] è uno spazio metrico
complèto. Per il teorema del vaior mediò, si ha per Ogni Coppia x, y e [a, b\.

dove £ è un punto opportuno di ]«, b [ , Quindi

l / T * ) - / Ù 0 l < tt l x - y I

con a < 1. Tutte le ipotesi del teorema 3.1 sono soddisfatte per cui esiste un unico
punto fisso x:

f( x ) = x ;

esso può essere calcolato col mètodo delle approssimazioni successive. QÈD

* Problèmi.

3.1. li sistema dì equazioni lineari


§ 3 Il metodo delle approssimazioni successive 41

N
a

ammette una soluzione ed una s o l a c i , x 2, . . . , x N) per ogni A^-pla di nume­


ri b lt b 2, ......... bN se

N
mav V * In. I < a < l ,
max

(Si consideri l’applicazione di in definita da

e si dimostri che nelle ipotesi dette si può applicare il metodo delle appros­
simazioni successive).

3.2. Sia k ( s , t) una funzione definita nel quadrato Q : a < s < b, a < t < b ed ivi
continua; sia f( s ) una funzione continua per a < s < b . Allora l’equazione in­
tegrale

b
k(st t) x ( t) d t
a

ammette una ed una sola soluzione x ( s ) , continua per a < s < b, per ogni
X abbastanza piccolo.
(Si consideri l’applicazione

•a

la quale ad ogni elemento di C °(f) con / = [a, 6] fa corrispondere un elemento


di C° (T). Tale spazio è completo a causa del teorema 2.9. Inoltre, detto M
il massimo del valore assoluto di k{s, t) in Q, si ha:

d (A (x i), A (x 2)) = max 1A ( x i ) - A(X 2) K 1X1(6 - a) M max Ixi - x 2 1=

= 1X1(6 —a ) M d ( X i,x 2) .
42 Cap. I - Spazi metrici § 3

Pertanto se, IM < l/M (b - a) si può applicare il teorema 3.1.


3.3. Sia S uno spazio metrico completo non vuoto e sia F u n a applicazione da
S in S per la quale esista'# S N tale che F*' : S -* S è una contrazione su S.
Dimostrare che F ha uno ed un solo punto fisso in S.

4. - insiemi chiusi.

In uno spazio metrico S, oltre ai sottoinsiemi aperti, è utile considerare i


sottoinsiemi che sono complementari, rispetto ad S, di insiemi aperti.

4.1. Definizione (Insiemi chiusi). Un sottoinsieme E di uno spazio metrico


S è chiuso se il complementare^ E di E rispetto ad S è aperto.
A titolo di esempio, mostriamo che l’insieme

E : { x e S : d (x 0 lx ) < r } (4 , 1)

detto intorno sferico chiuso di centro x 0 e raggio r, è un insieme chiuso. Per questo
basta dimostrare che

# F = { x e S : d (x 0, x ) > r }

è un insieme aperto. Sìa X c » f e consideriamo l’intorno

% W = {)’ e S : d(x, y ) < p = d (x0, x ) - r } .

Essendo, per ogni y e ® (x) :

d{x 0, y ) = d (x 0, y ) + d(x, y ) - d(x, y ) > d (x 0, x) ~ d ( x , y ) > r

segue che

typ ( x ) e t f E .

Un intervallo limitato [a, b] di R è un insieme chiuso di R e quindi la nomen­


clatura già usata di intervallo chiuso è giustificata anche da questo nuovo punto di
vista. Infatti

■V i ■a I
M ] = x eR : x — <-
2 2
§ 4 Insiemi chiusi 43

In l’insieme

{x é R N \a .< x l < bl : 1 , 2 , a., b. e R

prodotto cartesiano degli intervalli aperti ] a , b.[ si chiama un intervallo aperto


di l l / f L’insieme:

{x e : a. < x. < b. :i= 1 , 2 , . . . ,N }

si chiama invece intervallo chiuso di R'v .


Il lettore verifichi che un intervallo aperto di Rw è un insieme aperto mentre
un intervallo chiuso di RN è un insieme chiuso.
A titolo di esempio mostriamo che gli insiemi di Rw

{x e RN : x. > a } , {x e RN : X j< a }

dove/' è un fissato indice f ra 1, 2 , . . . , N , e a e R sono insiemi chiusi.


Per questo basta mostrare che i complementari di essi

{x e RJV : x . < a }, {x e RiV : x . > a }

sono insiem i a p e rti. Limitiamoci a considerare il primo di questi ed osserviamo che

{x e Rw : x . < « } = U { r e R ^ : \ x .\ < k se ij=j, - k < x . < a } .


1 k=l ‘ >

Pertanto, essendo gli insiemi a secondo membro aperti, per quanto detto prima l’in­
sieme a primo membro è aperto per la proprietà 3) del teorema 1.9.
Risulta immediatamente dalla definizione 4.1 che, se indichiamo c o n i l a
collezione degli insiemi chiusi di uno spazio metrico S, abbiamo il seguente teorema
analogo al teorema 1,9,

4.2. Teorema (Proprietà della famiglia degli insiemi chiusi)

1) S e 3F (Lo spazio S è chiuso)

2) <pe ^ (L'insieme vuoto è chiuso)

3) se E e per a e sé, allora f i E &


“ L st “
44 Cap. I-S p a zi metrici § 4

(L ’intersezione di m a famiglia qualunque di chiusi è un chiuso)


k

4) se E u E 2, . . . . Ek e & (lc e N), allora U E\ e &


1=1
(L'unione di una famiglia finita di chiusi è un chiuso)

Il teorema 4.2 segue dal teorema 1.9 (proprietà della famiglia degli aperti) e dalla
formula di De Morgan.
Ancora a titolo di esempio osserviamo che un insieme finito E di S è chiuso.
Infatti, per il teorema 4.2, 4), basta mostrare che l’insieme {x0 } costituito da un
solo punto è chiuso.
Ciò segue dallo stesso teorema al punto 3) in quanto {x0 } è l’intersezione
degli insiemi chiusi

E = {y e S : £?(x0, ^ ) < — }, fc e N ,
k

A questo punto ci possiamo domandare cosa vuol dire che un insieme / di


uno spazio metrico non è aperto. Ovviamente ciò non vuol dire necessariamente
che I è chiuso, come si vede dal seguente esempio: { (x, y ) G R2 : y = 0, — 1 < x
< 1}. Ma la seguente proprietà è vera: Se un insieme I non è aperto allora “Esiste
una successione {xn } di punti di I che converge ad un punto di / ”.
Infatti se I non è aperto deve esistere un punto x 0 e 1 tale che, per ogni

8 > 0, (x0) non è contenuto in I. Ponendo S = — esiste in (x 0), perogni


k k
k e N, almeno un punto x fc ^ / . La successione {xn } non appartiene ad l e

lim x = x 0 E l
n— "

Una importante caratterizzazione degli insiemi chiusi è dato dal teorema


seguente:

4.3. Teorema (Caratterizzazione di insiemi chiusi). Sia S uno spazio


metrico ed E un suo sottoinsieme. E è chiuso se e solo se, comunque si consideri
una successione {xn } di punti di E convergente in S si ha

lim x n e E .
n-y°°
Dimostrazione: a) Supponiamo che E sia chiuso e che lim x n = x 0 £ S . Dobbiamo
dimostrare che, essendo x n G E, segue che x 0 G E. Se ciò non fosse, si avrebbe
x0 e E, insieme aperto. Allora esisterebbe un intorno ^ ( x q ) contenuto in
§ 4 Insiemi chiusi 45

E. Sia v un indice tale che si abbia d (x 0, x ) < e per n > v. Allora x e # E.


per n > v in contraddizione col fatto che x e E.
n
Quindi x 0 e E e ciò prova la parte del teorema con “solo se” ,
b) Supponiamo ora che per ogni successione convergente {xn } di punti di E si
abbia lim x 6 A e mostriamo che E c chiuso.
/J-V+ oo n
Se cosi non fosse <$ E non sarebbe aperto e, per quanto detto prima di questo
teorema, esisterebbe una successione di punti } con G A tale che

lim x G^ E .

Siamo cosi arrivati ad una contraddizione con l’ipotesi. Pertanto E è chiuso.


Anche la parte del teorema con il “se” è dimostrata. QED

Dimostriamo ancora il seguente

4.4. Teorema (sottoinsiemi chiusi di spazi completi). Un sottoinsieme


chiuso di uno spazio metrico completo è uno spazio metrico completo.
Dimostrazione. Sia S Io spazio metrico dato ed E un suo sottoinsieme chiuso.
Una successione di Cauchy di E è anche una successione di Cauchy di 5 e pertanto
essa converge ad un punto x 0 di S. Il teorema 4.3 assicura, essendo E chiuso, che
x 0 e E. Pertanto E è completo. QED

Diamo ancora le seguenti

4.5. Definizione (Insiemi limitati, diametro, distanza). Un insieme E di uno


spazio metrico S si dice limitato se esiste un intorno sferico W tale che
E C .% .
Se E # 0 il sup { d (x, y ) '. x, y & E } è detto diametro d ii; e indicato con
la notazione diam E.
Se E 0 e se Xo E S il numero reale non negativo inf { d ( x 0,x ) : x & E }
è detto distanza d ix 0 da E1ed è indicato con la notazione dist { x 0,E } .

4.6. Definizione (Punto di accumulazione) Sia E un sottoinsieme di uno


spazio metrico S. Un punto x di S è detto punto di accumulazione di E se ogni
intorno sferico 'V à i x contiene almeno un punto di E diverso da x.

Diamo ora una nuova caratterizzazione degli insiemi chiusi.

4.7. Teorema (Insiemi chiusi e punti di accumulazione). Un sottoinsieme


E di uno spazio metrico è chiuso se e solo se E contiene i suoi punti di accumula­
zione.
46 Gap. I - Spazi metrici § 4

Dimostrazione: Cominciamo ad osservare che se x è un punto di accumulazione di


E esiste una successione {xn } di punti di E tale che

lim x = x .
n-vco n

Allo scopo per ogni n £ N sia <%/. (x) l’intorno sferico di centro x e raggio — e sia
n n
x n C E tale che x e (x). Essendo
rt

d{x >x)< —
“ n
segue lim x - x .
»-»■ “ n
Allora se x è un punto di accumulazione dell’insieme chiuso E , per il teorema
4.3. x C E . La parte del teorema con “solo se” è dimostrata.
Viceversa supponiamo che E contenga i suoi punti di accumulazione.
Sia ora {x } una successione convergente di punti di E e sia lim x = x0

con * o £ 5 '; consideriamo due casi:


a) jc0 e { x j, x ì t . . . , x n, ----- } e pertanto x 0 C E
b) x 0 <jÉ U i, x 2, . . . , x n, . . . . } allora *o è un punto di accumulazione
di E. Pertanto x 0 C E.

In entrambi i casi si ha dunque x 0 € E e dai teorema 4.3 segue che E è chiuso.


Il teorema è così completamente dimostrato. q g jj

4.8. Definizione (Punto interno, esterno, di frontiera). Sia E’un sottoinsie­


me di uno spazio metrico S. Un punto x e E si chiama punto interno di E se esiste
un intorno (x) tale che_ ^ (x) CE. Un punto x di E si chiama punto esterno di
E se esiste un intorno °U (x) tale che (jc)C ^ E.
Un punto x C S etto non sia nè punto interno di E , nè punto esterno di E si
chiama punto frontiera di E.
L’insieme dei punti frontiera di un insieme E si chiama la frontiera di E e si
indica con d E.
L’insieme E U 9 E si chiama la chiusura di E e si indica con E.
L’insieme dei punti interni ad E si chiama interno di E e sì indica con E 0
Evidentemente ogni punto di un insieme aperto A è un punto interno di A,
anzi possiamo dire, che un insieme è aperto se e solo se ogni suo punto è interno.
Comunque si fissi un punto x frontiera di E ed un intorno Oc) di esso,
in % p(x) cadono sia punti di E che punti di (to E. Quindi E e $ E hanno la stessa
frontiera. Quest’ultima affermazione può essere precisata
§ 4 Insiemi chiusi 47

4.9. Teorema (Caratterizzazione dei punti di frontiera) Un punto di fron­


tiera x di un insieme E di uno spazio metrico appartiene ad uno dei due insiemi E,
fo E; nel primo caso esso è punto di accumulazione di r4 E, mentre nel secondo
caso è punto di accumulazione di E.

Dimostrazione. Infatti se x e E in ogni suo intorno devono cadere infiniti punti


di *4 E (altrimenti esisterebbe un intorno (x) che non contiene punti di ^ E
ed allora x sarebbe punto interno di E). Analogamente si tratta il caso che i £ ^ £
QBD
Abbiamo allora una nuova caratterizzazione degli insiemi chiusi.

4.10. Teorema (Insiemi chiusi e punti di frontiera). Un sottoinsieme E


di uno spazio metrico è chiuso se e solo se 9 E C E.
Dimostrazione. Se A1è un insieme chiuso esso contiene i suoi punti di accu­
mulazione, per il teorema 4.7. Sia a: un punto di 9 E ;-se esso per assurdo non appar­
tenesse ad E, esso, per il teorema 4.9, sarebbe punto di accumulazione di E. Quindi
poiché E è chiuso si avrebbe x & E; e cioè una contraddizione.
Viceversa se 9A C E, E contiene i suoi punti di accumulazione.
Infatti se per assurdo ci fosse un punto di accumulazione x di E non apparte­
nente ad E, esso sarebbe punto frontiera di A e quindi per l’ipotesi avremmo x G E ,
e cioè una contraddizione. QED
Dimostriamo ancora

4.11. Teorema (Chiusura della frontiera). La frontiera di un insieme E è un


insieme chiuso.
Dimostrazione. Se x 0 è un punto di accumulazione di 9A in ogni intorno di
esso cadono punti di 9A e quindi sia punti di A che punti di -4 A. Si deduce che
Xo e 9 A. QED
4.12. Definizione (Dominio di R” ). Nel seguito diremo che un insieme A è
un dominio di R" se esso è la chiusura di un insieme aperto di R'1.
Ad esempio, un intorno sferico chiuso di R" è un dominio. Il segmento

{{x, y ) G R 2 : y = 0, l a : | < l }

invece non è un dominio di Rs , pur essendo un chiuso.

4.13. Definizione (Sottospazio denso). Diremo che un sottoinsieme A di


uno spazio metrico S è denso in S se E = S

4.14. Definizione (Separabilità). Diremo che uno spazio metrico S è sepa­


rabile se esiste un sottoinsieme numerabile A di S che è denso in S.
48 Cap. 1 - Spazi metrici § 4

Ciò posto possiamo dimostrare che

4.15. Teorema (Separabilità di Rw). Lo spazio euclideo Rw è separabile.


Dimostrazione. Dal primo volume sappiamo infatti che dati comunque a, b €
€ R ;a < b ; esiste r e Q tale che a < r < b e ciò implica che 0 è denso in R e pertan­
to che R è separabile. Quanto asserito segue dal fatto che l’insieme Qw costituito da
tutti i punti di Rw che hanno tutte le coordinate razionali è ancora numerabile.
Esso è poi denso in Rw per il fatto che Q è denso in R e per il teorema 2.3 (Limite
per componenti). QED

■ Problemi

4.1. Verificare che i seguenti insiemi in R2 sono chiusi

A =? { ( r j ) G R J : x 2 - / < 1}

fi = { ( r j ) e R J : l < x _ y < 2 }

Gli insiemi A e B sono limitati?

4.2. Provare che la chiusura E di un sottoinsieme E di uno spazio metrico S è


data da

È= f i E

essendo {Ea : a G sé '\ la totalità dei sottoinsiemi chiusi di S tale che E C E .

4.3. Provare che la frontiera òE di un sottoinsieme di S è data da

9 E = E n<&E,

dedurne che 9 E = 9 ( é E ) .

4.4. Sia E un sotto insieme di uno spazio metrico S. Provare che un sotto insieme
A di E è chiuso nello spazio metrico indotto da S su E1se e soltanto se esiste
un sotto insieme chiuso F di S tale che

A =E CiF.

4.5. Provare che x a è un punto di accumulazione per un sotto insieme E di uno


§4 Insiemi chiusi 49

spazio metrico S se e soltanto se ogni intorno sferico di x 0 contiene infiniti


punti di E.

4.6. Dato un sotto insieme E # </>di uno spazio metrico S ed_un punto si
provi che

i) se f? è chiuso si ha d(x, E) = 0 se e solo se x £ l i .


ii) per ogni x, y e S risulta \d (x ,E ) —d(y, E )\< d (x , y ) .

4.7. Provare che se E t , E ì , . . . , En \ n £ N sono sotto insiemi limitati di uno


n
spazio metrico S allora E= [_J E è limitato.
t=i

4.8. Dimostrare che ogni successione di Cauchy di punti di uno spazio metrico
costituisce un insieme limitato.

4.9. Dimostrare che lim x = x rin un dato spazio metrico se e solo se la succes-

sione

x lt x, x 2, x, x 3, x , . . .

è convergente.

4.10. Dimostrare che se lim x = x in un dato spazio metrico S, allora l’insieme

{x, x it x 2, . . . } è chiuso.

5. - Insiemi compatti.

Diamo la definizione seguente:

5.1. Definizione (Compattezza). Un sottoinsieme E di uno spazio metrico


S si dice compatto se ogni successione {xn } di punti di E contiene una successio­
ne estratta convergente ad un punto x 0 di E.
Nella definizione precedente non è escluso che sia E = S. In questo caso si
dice che S è compatto.
Si deducono facilmente i seguenti teoremi:
50 Cap. I-S p a zi metrici

5.2. Teorema Ogni sottoinsieme chiuso E di uno spazio metrico compatto


S è compatto.
Dimostrazione. Sia {xn } una successione di punti di E e quindi di S. Essa
contiene una successione estratta di punti di E convergente ad un punto x 0 di S.
Poiché E è chiuso si ha x 0 G È. Quindi E è compatto. QED

5.3. Teorema. Uno spazio metrico compatto S è completo.


Dimostrazione. Infatti ogni successione di Cauchy di S contenendo una sotto­
successione convergente, è essa stessa convergente. QED

5.4. Teorema. Ogni sottoinsieme compatto E di uno spazio metrico S


è chiuso.
Si ha inoltre:

5.5. Teorema (Limitatezza di compatti) Ogni spazio metrico compatto S


è limitato.
Dimostrazione. Infatti se S non fosse limitato, fissatolo &S, esisterebbe una
successione {xn } di punti di S soddisfacente le condizioni

d { ) x 0, xi e s

d{xn, x .) > 1 / = 0, 1, 2 , . . . , n — 1 .

La successione x non contiene allora alcuna sottosuccessione di Cauchy,


contraddicendo l’ipotesi'che S è compatto. QED

Ricordiamo dal 1° volume che da ogni successione {imitata di R. possiamo


estrarre una successione convergente; ne segue che:

Ogni insieme limitato di R contiene una successione convergente in R.


Da questa proposizione segue:

5.6. Teorema (Compatti in R,v). Ogni insieme chiuso e limitato E di RN


è compatto.

Dimostrazione. Sia {xn } una successione di punti di E. Poiché, posto 0 = (0, . . .


. .. , 0), si ha:I

Ix” K d (x n , 0)
§ 5 Insiemi compatti 51

segue che le N successioni | x n


( \ ; i = 1, 2 ,. . . ,N , n e N sono limitate.
Si può quindi estrarre da { x n }una successione tale che la successione delle
prime componenti di essa sia una successione convergente. Da questa- possiamo
ancora estrarre una successione in modo che la successione delle seconde compo­
nenti converga, e così via.
Potremo così estrarre da {x n } una successione {xn } in modo che le N
successioni k

i i= 1, 2, . . . ,N ;

convergono rispettivamente a x°lt x 2, ■ ■ . , x 1


^.
Per il teorema 2.3 (convergenza per componenti) la successione {x } con­
verge a x 0 = (x“ , x 2, . . . , x^.). Essendo £ chiuso segue che x f& E .
Il teorema è così dimostrato. QED

Dai teoremi 5.4, 5.5, 5.6 segue pertanto

5.7. Corollario (Caratterizzazione dei compatti in R^). Condizione neces­


saria e sufficiente affinché un sotto insieme di RN sia compatto è che esso sia limi­
tato e chiuso,
Dimostriamo ora alcune importanti conseguenze della compattezza.

5.8. Teorema (di Bolzano-Weierstrass). Un sotto insieme infinito E di uno


spazio metrico compatto S ha un punto di accumulazione in S.

Dimostrazione. Poiché E è infinito possiamo estrarre da E una successione


{xn } tale che x n =£ x H send= m e questa poiché S è compatto ammette una estratta
convergente ad un punto x 0 e S. Tale x 0 risulta pertanto un punto di accumula­
zione di E. QED

5.9. Teorema (di Bolzano-Weierstrass in R* ). Ogni sotto insieme infinito e


limitato E di ammette un punto di accumulazione, in R/v,

Dimostrazione. Poiché E è limitato, E risulta chiuso e limitato quindi, per il


Teorema 5.6, compatto. Quanto affermato segue allora dal teorema precedente.
QED

5.10 Teorema (di Cantor). Se E t è un sotto insieme compatto di uno spa­


zio metrico S e se

Ei DE2 D . . . D E D . .
52 Cap. I - Spali metrici § 5

è una successione di insiemi chiusi non vuoti allora f i E ¥=<j>.


n=i "
Dimostrazione. Per ogni b £ N prendiamo x n . Per l’ipotesi esiste una
estratta fcc } dalla successione {x } che converge verso x 0 & E t. M ax appar­
ai " nk
tiene definitivamente ad if. per ogni i 6 N e pertanto dal fatto che E. è chiuso

segue che x 0 e E.. Dunque x„ e P ) E. ed il teorema è provato.


‘ i=\ 1 Q.E.D
5.11. Teorema (Heine-Borel: coperture numerabili). Se E è un sotto
insieme compatto di uno spazio metrico S e se A n è una successione di insiemi

allora esiste v £ N tale .'die

E C U An
Dimostrazione. Per ogni n £ N consideriamo il sotto insieme chiuso difs dato
n
da En = E - e osserviamo che, per ogni n e N, E n A En + 1 . Se per assurdo
/= ì
«
non esistesse alcun n £ N per il quale E C f j A { ciascuno degli insiemi En sarebbe
i=l
non vuoto e quindi, per il teorema precedente, avremmo

** n En ~ n ( * - l u ,)=*-
n —1 n —\ i-1 «=i
r
e ciò contrasta con l’ipotesi. Q.E.D

5.12. Teorema (di Heine-Borel in R ^). Se E è un compatto di RN e


A a: a e s i e una qualsiasi famiglia di sottoinsiemi aperti di RN che ricopre E nel

senso che E C U A a allora esiste una sotto famìglia finita A ; / = 1, 2 , . . . . « ;

« 6 N della data che ricopre E.

Dimostrazione. Sìa "V~ = { ^ ( x ) : x e QN, p 6 Q+ } le totalità degli intorni


sferici di R/'/ aventi centro nei punti di coordinate razionali e raggi razionali. Tale
"V è numerabile e pertanto può essere indicato nel modo

f = { ® j] : h G N } .

Sia ^ il sottoinsieme d i^ c o s i definito:


§ 5 Insiemi compatti 53

{ mn^ r ■ 3 , % C A aJ -

Allora risulta

U ' I ^ U ^ d U ® .
ckGs/ a nGN n
n
D’altra parte per ogni u € j ì / e per ogni x £ / t a , esiste, in conseguenza della defini­
zione di Y'", €= &
?/ tale che

n
Risulta dunque

U A c U %
"
e quindi

zi = U A .
a n SN an

A questo punto l’asserto segue dal teorema precedente. QED

S.13. Osservazione. Il lettore tenga presenta che da parte di un grande numero


di autori di libri di Analisi la nozione di compattezza per spazi metrici introdotta
con la definizione 5.1 è detta “compattezza per successioni” o anche “compattezza
sequenziale” mentre viene detta compattezza la proprietà delle coperture formula­
ta nell’enunciato del teorema 5.12 che è detta anche “compattezza secondo
Heine-Borel” e che è espressa nella successiva Definizione 10.2.
Per il confronto fra queste due nozioni di compattezza il lettore consulti
il paragrafo 10 contenuto nell’Appendice al Cap. I dove lo studio di queste
nozioni viene approfondito e viene anche provato che, negli spazi metrici, le
due definizioni di compattezza sono equivalenti.

■ Problemi

5.1. Se E, F sono due sottoinsiemi di uno spazio metrico S, E è chiuso ,F è com­


patto allora E f l f è compatto.

5.2. Se E x, E 2, .......... Eni n £ N ;s o n o sotto insiemi compatti dello spazio metrico


« n
S allora £ = U E., P i E. sono compatti
i=l 1 1= 1 '

5.3. Provare che se £ è un sotto insieme compatto di R allora esistono min E,


max A1.

5.4. Se E, F sono due insiemi aperti di Rw e se E fi F è compatto allora E C\F = <j>.


54 Cap. I - Spazi metrici § 5

Esiste una famiglia E di insiemi aperti di R^ tale che f i E sia compatto


n —1
e non vuoto?
5.5. Provare che un sottoinsieme E dello spazio metrico C° ([a, è]) definito nell’es.
5 del n. 1 è relativamente compatto, cioè tale che la sua chiusura È è com­
patta, se
i) esiste tale che per ogni / E f e per ogni x £ [a, £>] risulta

ii) per o g n i e £ R esiste 5 £ R + tale che s e /G E -,

t', t" £ [a, b], 11’ - f " I< 5 risulta l / ( f ') - f ( t ”) K e .


(Tenere presente il Teorema di Àscoli-Arzelà del I volume).

5.6. Si dice che un sotto insieme E di uno spazio metrico S è totalmente limitato
se per ogni e £ R+ esistono, x t , x 2, . . . , x £ E; p £ N; tali che
p
E C \ J ® ( x ).
i—i e 1

Provare che
i) Un sottoinsieme E di R^ è limitato se e soltanto se è totalmente li­
mitato,
ii) Un sotto insieme E di uno spazio metrico è totalmente limitato se
e soltanto se lo è E .
iii) Il sotto insieme E = { f S C°(f«, è]) : | f(x )\ < 1, x £ [a, b ] } di Cu([a,
6]) è limitato ma non totalmente limitato.

6, - Insiemi cQnngssi,

Abbiamo già visto che fra i sottoinsiemi E di uno spazio metrico S, l’insieme
E = 0 e l’insieme E = S sono contemporaneamente insiemi aperti e chiusi.
Possiamo chiederci se oltre questi due insiemi ci siano altri sottoinsiemi di
S che siano contemporaneamente aperti e chiusi. Che in uno spazio metrico S
ci possano essere insieme non vuoti diversi da S che siano contemporaneamente
aperti e chiusi sì vede facilmente con un esempio. Sia dato lo spazio metrico S e
considerati due p u n tilo , x 1 £ S, x 0 ¥=xi sia

Si =A U B

dove A è l’intorno sferico dì raggio r di Xo, B l’intorno sferico ui ui raggio r


d(x 0 ,*i)
con r =
4
§ 6 .Insiemi connessi 55

Allora A e B sono ovviamente sotto insiemi aperti non vuoti dello spazio
metrico S i indotto da S su A U B. Essi però sono anche chiusi perché S l - A -

Figura 1.8

= B e S i - B = A sono aperti.
Diamo ora la seguente

6.1. Definizione (Connessione). Uno spazio metrico S si dice connesso se


i soli sottoinsiemi di S che sono contemporaneamente aperti e chiusi sono i due
insiemi ed S. Questa definizione è più generale della definizione di connessione
per archi che verrà data nel n. 9 (e che per altro è molto intuitiva).
Si ha il teorema seguente

6.2. Teorema (Caratterizzazione della connessione). Uno spazio metrico


S è connesso se e solo se non esistono due insiemi chiusi (aperti) dello spazio S non
vuoti A e B con A PtB = $ tali che

S=AUB.

Dimostrazione. Se S non è connesso, esiste un sottoinsieme di S : A + <p, S


che sia contemporaneamente chiuso ed aperto. Altrettanto accade per l ’insieme
B = <#A.
Allora S = A ' O B con A e B entrambi chiusi (aperti) non vuoti e disgiunti, tali
cioè che A C \ B = <p.
Abbiamo così dimostrato il teorema con “solo se”. Viceversa supponiamo
che esistano due insiemi chiusi (aperti)A e fi disgiunti e distinti da <j>e S, tali che
S = A U B.

Essendo allora A = (€ B ,A è anche aperto (chiuso). Si conclude che S non è connes­


so. Abbiamo dimostrato la parte del teorema con il “se” . QED
56 Cap. I-S p a zi Metrici § 6

Osserviamo che la definizione 6.1 si applica anche ad un insieme I di uno


spazio metrico S pensando questo come uno spazio metrico I con la metrica indotta
da S. Gli insiemi aperti e chiusi di cui alla definizione stessa vanno naturalmente
intesi rispetto ad I.
Dimostriamo ora che

6.3. Teorema (Connessione degli intervalli). Ogni intervallo I di R è un in­


sieme connesso.
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che I non sia connesso. Esisterebbe­
ro allora due insiemi aperti, A, B di R disgiunti e non vuoti e due punti x , y E. I tali
che x E A, y è B, x < y ed inoltre / C A U fi. Posto £ = sup A n [x, y] dal fatto
che A e B sono aperti segue: x < £ < y . Pertanto non può aversi:
nè £ E A ; poiché allora £ non sarebbe un maggiorante A O [x, y],
né £ E B \ perché allora £ non sarebbe il minimo maggiorante d iA n [x, y].
In ogni caso non può aversi £ E I per il fatto che I C A U B; e ciò contrasta
con il fatto che Ì-E[x,y] CI.

Figura 1.9
QED
■ Problemi.

6.1. Provare che un sotto insieme I di R è connesso se e soltanto seI è un inter­


vallo di R. In particolare: R è connesso; Q è invece un sottoinsieme non
connesso di R.

6.2. Provare che R ^ è connesso.

6.3. Siai?a : a E s é una qualsiasi famiglia di insiemi connessi di uno spazio metrico

S. Provare che E = U E è connesso se vale una delle condizioni seguenti:

i) esiste x 0 C S tale che x 0 £ Ea per ogni a E j é


ii) esiste a E s é tale che E - n Ea + 0 per ogni a E s é

6.4. Il sottoinsieme di R2 cioè definito

E = { { x , y ) : x y = 1}

è connesso?
Insièmi còntiessi 57
«6

6.5. Dimostrare che il grafico

T = {(x,y)<=R2 : y = f ( x ) , x G I }

di una funzione / continua nell’intervallo / è un sottoinsieme connesso di II2 .


6.6. Sia E un sottoinsieme di uno spazio metrico S, sia x 0 G E. Dicesi compo­
nente connessa di E relativa ad x 0 l’insieme M F ove { F : a £ . s / } è la
^ G&j/ a
totalità dei sotto insiemi connessi di E che contengono x 0 ■ Dicesi componen­
te connessa di E ógni componente connessa di E relativa ad un x 0 £ E. Si
provi che ogni componente connessa di E è un insieme connesso e relativa­
mente chiuso in S.

7. - Spazi vettoriali normati.


Ci sarà utile nel seguito ricordare dai Corsi di- Algebra la nozione di Spazio
vettoriale sul corpo degli scalari reali oppure complessi.
7.1. Definizione (Spazio vettoriale). Un insieme V si dice spazio vettoriale
su R (oppure su C) se è definita Un’applicazione di V X V in V (che chiameremo
somma di due elementi x, y di K e Che indicheremo co n * +j>) ed un’applicazione
di R X V in V [oppure di C X V in V] (che chiameremo moltiplicazione dello sca­
lare « E R [oppure a £ C] con l’elemento x £ V e che indicheremo con a x ) tali
che

1 : V rispetto all’operazióne + è un gruppo abeliaho il cui elemento neutro


sia 0 (vedasi 1° volume, Capitolo I, n° 7).

Ricordiamo anche la seguente:


2 : (a • P ) x = a ( P x )
(a + /3)x = a x + / 3 x per a j e R [oppure a, 0 £ C];x e V

3 : a( x +y) =c i x + a y , per ogni a £ R oppure a G C ; r j E V.

4 :11
7,2. Definizione (Spazio vettoriale normatò). Uno spazio vettoriale V su R
[oppure su C] si dice nom ato se esiste una funzione V + R, chiamata norma e indi­
cata con 11 II, il valore di questa funzione per x e V essendo indicato con II x II, tale

N i : Ilx \\> 0 per ogni x GV

N i : Il x 11*= 0 se e solo se x - 0

N 3 : Ilòtx 11= l ai * llx II per ogni a G R, oppure a G C . x S V

N 4 : Il jc + y i < IIat II + ll/ll per ogni -V, y c V


58 Cap. I-S p a zi metrici § 7

Osserviamo che uno spazio vettoriale normato V è uno spazio metrico se


assumiamo come distanza d :

d(x, y ) = Il x - y II •

Infatti l’assioma M 1 segue da N i , l ’assioma M 2 segue da N 2 , l ’assioma M-$


segue dalV3 ed infine l’assioma Af4 segue daiV4 .
Si dice allora che tale metrica è indotta in V dalla norma. Si noti che questa
è una metrica invariante: d(x + z, y + z) = d(x, y).
Uno spazio vettoriale normato completo si dice spazio di Banach.

Esempio 1. Ritorniamo sullo spazio metrico RJV considerato nell’es. 3 del n. 1


per ricordare come esso sia anche uno spazio vettoriale normato su R se la somma,
la moltiplicazione per uno scalare e la norma sono definiti nel modo seguente:

se x = ( xu x 2 ......... XN) , y = ( y u y- i > - - ■ , y N)> allora

x + y = (x i + ^ 1,^2 + y 2 , ■ ■ ■ , x N + y N) , (7.1)

otx = (a x i, . , , ®xN ) aeR, (7.2)

Il x II = (7.3)

Lasciamo al lettore la facile verifica limitandoci ad osservare che, in questo caso,


la N a si riduce alla (1.5). I punti x G ItA' vengono pertanto chiamati anche vettori.
Ricordiamo anche che in Rw è possìbile introdurre anche un prodotto scalare (o
interno) nel modo seguente: per ogni coppia di elementi x — (Xi, x 2, ■ ■ . , x N),
y = ( yi , y i , ■ . . , y N) di RjV poniamo

n
( x, y ) =Y_ • (7-4)

Lasciamo al lettore la cura di verificare che il prodotto scalare (1.1) gode delle
proprietà seguenti
§ 7 Spazi vettoriali n o m a ti 59

(X, y ) = (y, X )

(a x , y ) = ce (x, y ) ; ae R ;

{ x , y 1 + y ì ) = ( x , y l ) + (pc, y 2) ; (7.5)

(pc, x ) > 0

(x, x) = 0 se e solo se x =0

Tali proprietà del prodotto scalare consentono di esprimere la norma (7.3) median­
te

II* H= { ( * , * ) } ’ ; (7 .6 )

limitiamoci ad osservare che la disuguaglianza di Schwarz (1.4) può essere espressa


nella forma

I(x , j OI < llxll • M I .

Ricordiamo esplicitamente che non tutte le norme equivalenti (ossia che inducono
metriche equivalenti) hanno la proprietà (7.6), cioè di essere indotte da un prodotto
scalare. Si pensi ad esempio a IIx ll„ = max ( i x 1 1, Ix 2 1,. . . , ìxN |)
Nel seguito quando ci riferiremo ad Rw , intenderemo (salvo esplicito avviso contra­
rio) che esso sia dotato, oltre che della struttura di spazio metrico considerata
nell’esempio 3 del n. 1, anche delle strutture di spazio vettoriale, di norma e di
prodotto scalare ora considerate. Cosi strutturato R." sarà detto spazio euclideo
«-dimensionale.
In modo analogo a quanto visto per le successioni reali si dimostra il teorema
seguente la cui dimostrazione lasciamo al lettore.

7,3, Teorema (Spazi vettoriali topologici). Se {xf) }, {yn } sono due succes­
sioni di uno spazio vettoriale nortnato V su R ed } una successione reale tali che

lim x n - x , lim y =y , lini a = a ,


*-► + «> '* n~>+ 00 n~*°°

allora:

lim (x
K n + ys n )/ = x + sy >
, lim a n x n =ccx .
„ /J—
9
-oo
60 Cap. I - Spazi metrici § 7

Questa proprietà può essere espressa dicendo che lo spazio V è uno spazio Vettoriale
topologico in quanto essa afferma che le operazioni di somma e di prodotto per uno
scalare sono continue rispetto alla metrica indotta dalla norma (vedasi anche la
definizione 8,6 e il problema 11.4).

7.4. Definizione (Segmenti. Convessità). Se x e y sono due elementi di


uno spazio vettoriale su R l’insieme degli elementi di esso

{z :z = (1 — r)x + / y : 0 < f < l }

Figura 1,10

si chiama segmento di estremi x, y . Un insieme E di V si dice convesso se per


ogni coppia di elementi x, y e E anche il segmento di estremi x, y appartiene ad
E.
Si prova facilmente:

7.5. Teorema (Connessione degli insiemi convessi). Un insieme convesso


E di urto spazio vettoriale nom ato è connesso.

Dimostrazione. Se E non fosse connesso esisterebbero due insiemi di E


aperti (chiusi) A e B, non vuoti é disgiunti, tali che

E=A U B.

Sìa x e A , y e B. H segmento di estremi x e y appartiene ad E. BsSo è Pi im­


magine dell’applicazióne

z ; [0 ,!]■ + 2 (/ )=-(! i ) x + ty e E .
§ 7 Spazi vettoriali nom ati 61

Siano X e Y le immagini inverse di A e di 8 (X ~ ss~l (A) e Y ^ z 1 (#))■ òv­


viamente X t Y non sono vuoti e sono disgiunti.

Mostriamo che X è aperto in [0, 1] . Sìa t 6 1 essendo

llz(f) —2(7)1!= Il ( t - f) x +-(f — t )/II < i t - t 1(11x11 + lljll)

segue che, per e > 0, si ha:

Ilz ( t) - ? ( 7 ) l l < e .

se

r-T ------------ •
11x1+ \\y\\

Quindi esiste un intorno di r : {t : I f - t I< 5 } tale ohe z ( t ) G A .


Analogamente si dimostra che Y è aperto.
Essendo

J U F = [ 0 , 1]

si arriva ad una contraddizione con il teorema 6.3 (Connessione degli intervalli).


QED

7.6, Definizione (Spezzata). Sia V uno spazio vettoriale su R , l’unione di


un numero finito di segmenti di estremi rispettivi x 0, x t ; x x, x 2 ; x 2, x 3; . . .
• • ■ . x n_ i x n si chiama una spezzata di V il cui primo estremo è x 0 e l’ultimo
estremo x n .
62 Cap. I-S p a z im e tric i § 7

7.7. Teorema (Connessione per spezzate). Un insieme E di uno spazio


vettoriale nom ato V tale che per ogni coppia di elementi x , y e E esiste una spezza­
ta appartenente ad E il cui primo estremo è x e l ’ultimo estremo è y , è connesso.

Dimostrazione. Infatti se E non fosse connesso esisterebbero due insiemi


di E: A e B aperti (chiusi) non vuoti e disgiunti tali che

E=A U B.

Siax.GA, y GB. Esiste una spezzata di estremi

x 0 = x , x l , . . . , x n =y

appartenente ad E. Esistono due estremi consecutivi x., x . + L tali che

x I. & A . x.1+1
. .

Ripetendo ii ragionamento del teorema precedente si arriva all’assurdo


che il segmento di estremi x., x .+1 non è connesso. QED

Per gli insiemi aperti di R” la condizione espressa dal teorema 7.7 caratte­
rizza il carattere connesso di E.

7.8. Teorema (Criterio di connessione per aperti di R”). Se E è un insieme


aperto di R" allora E è connesso se e soltanto se per ogni coppia di punti x , y € E
esiste m a spezzata, il cui primo estremo è x ed il secondo è y, appartenente ad E.

Dimostrazione. S ia d u n q u e E u n insiem e a p e rto e c o n n esso dì R” , sia jc e E.

Figura 1.12
§ V Spazi vettoriali nom a ti 63

Sia A il sottoinsieme di ti costituito dai punti y di E che sono estremi di una spezza­
ta appartenente ad E avente origine in x.
Sia B = E - A, risulta x e A e quindi A ¥= $■ Inoltre A è aperto. Infatti se
z e A e se (z) è un interno sferico di centro z che appartiene ad E, allora ogni
u S (z) può essere unito a z mediante un segmento [z, ur] che appartiene a
^U,p (z) e quindi ad E. Pertanto ogni tale u e A e quindi A è aperto. Infine B è
anch’esso aperto per lo stesso motivo.
Ora se fosse B # <j> esisterebbe una coppia di insiemi aperti A, B non vuoti
tali che A Pi B = $, A U B = E e ciò contrasterebbe con la connessione di E. Si
ha dunque B = <j>e quindi è provato che ognij> & E può essere unito ad x mediante
una spezzata appartenente ad E, Questo prova la parte del “solo se”. La parte del
“se” è stata dimostrata nel teorema precedente. QED

■ Problemi.

7.1. ' Se x, y sono due elementi dello spazio euclideo Rw risulta

Il x + y II2 + Il x - y II2 = 2 { Il x II2 + Il y II2 } .

7.2. Due elementi x, y dello spazio euclideo R/v sono detti ortogonali se il loro
prodótto scalare (x, y ) è nulio.
Verificare che x, y sono ortogonali se e soltanto se

W x + y P = Il x II2 + h y P

7.3. Verificare che se per due elementi x, y delio spazio euclideo R/17 risulta

l( x ,^ )l= Iljc II • ll^ll

allora esiste X £ R tale che x = Xy.

7.4. Verificare che se A, B sono due sottoinsiemi convessi di R/v allora A P B


è convesso. A U B è convesso?

7.5. Provare che se A è un convesso di R” allora la chiusura^ e l’interno À° di A


sono insiemi convessi.

7.6. Provare che se zi ; a , è una famiglia di sottoinsiemi convessi di R" allora


0!

n A 01 è un insieme convesso.
a&A
<54 Cap, I-S p a zi metrici §7

7.7. Se A è un insieme di R'1 chiamiamo involucro convesso H A , che indichiamo


con co A, l’insieme ottenuto prendendo l’insieme intersezione di tutti
i sottoinsiemi convessi A di R" tali che A a D A. Provare che se / = {x =
= (xj, . . . , x ) e R” : l x; l < V,i= 1, 2 , . . . , n } allora, detto/ l’insieme dei
vertici di / risulta I = co J,

8, - Applicazioni continue,

• Siano S ed S' diie spazi metrici, un’applicazione di S in S' è una funzione


definita nello spazio metrico S a valori nello spazio metrico S 1. Essa sarà indicata
con la notazione / : S -> S'. Ad ogni elemento x € S è associato un elemento di S 1
che sarà indicato con f(x).
Se S1 <= R la funzione f : S -* R è detta una funzione reale (a valori reali)
definita in S.
Se inoltre S C RN ogni punto x di S è un iV-pla ordinata ( xt , x 2, . . . , x )
di numeri reali; indicheremo la funzione / : S -> R anche con la notazione

f : x = (x 1, x 2, . • •, x n) e S ^-f(x)<= R

oppure, quando non c’è possibilità di equivoco, con f ( X u , . . , x ) e parleremo


anche di funzione reale di N variabili reali.
Se jV = 2 utilizzeremo anche la notazione

/ : (.X, y ) e RJ ~*f(x, r i S R o anche / (jc , y)

e per N - 3 la notazione

/ : (x, y, z ) e R3 f ( x, y , z ) G R o anche f ( x, y, z) .

Un esempio di funzione reale di due variabili reali è dato da

/ : (x , y ) e i -* f ( x , y ) = -- - ; / = {(*,.);) e R2, x * y }
x -y

, x +y
0 anche f(x, y ) = --------pevx=£y.
x -y
Essa è pertanto definita in tutto il piano eccezion fatta per i punti della retta y = x .
Altra funzione reale di due variabili è ad esempio

g : (X y ) Q J -+ g(x, y ) = \ / ì - x i - y % ; ; = { ( r j ) 6 R ! , r 2 + / < l }
(8 .1)
6 8 Applicazioni continue 65

o anche g(x, y ) - \J i —x 1 - y i per x 1 + y 1 < 1.


Essa è pertanto definita in tutti i punti del cerchio chiuso che ha il centro nell’ori-
gine d iR 2 e raggio unitario.
Come di consueto quando non viene specificato il dominio di definizione si
intende il massimo dominio su cui risulta definita.
Ad ogni funzione / : / ->R definita su di un sottofnsieme / di. possiamo
associare un insieme di punti di XR

Figura 1.13

t f = {(x. y ) e R^ X R : x « ( x , ......... *„) S 7, y *=/(*) }

ottenuto con la seguente legge: ad ogni puntò x dell’insieme I ove è definita la fun­
zione si associ il punto dello spazio che si proietta su Rw nel punto x di coordinate
( x u x 2, , xN) ed ha per (N + 1) esima coordinata^ ~ f ( x ) . L’insieme di tali
punti prende il nome di grafico della funzione/. Vedremo che, nei casi più comuni
esso avrà le caratteristiche che si attribuiscono intuitivamente ad una superficie.
Ad es. il grafico della funzione (8.1) è la porzione di superficie sferica che si trova
al disópra del piano Xy.

Commento. Talvòlta è utile una rappresentazione grafica delle funzioni di


R2 a valori in R. La rappresentazione più Sémplice è quella che utilizza le curve
di livello: si scelgono alcuni valóri dello spazio di arrivo, particolarmente significa­
tivi, generalmente equidistanti, diciamo z t , . . . , zN . In corrispondenza si disegna
nel piano Oc, y ) l’insieme E. = {(x, y ) £ I : f ( x , y ) < z . }. Si noterà che A. C E.
66 Cap, f- Spaz i m etr i ci

se z. < Zy In molti casi (vedi § 23) è possibile ridursi semplicemente alla rappre­
sentazione grafica delle curve

{ ( x , y ) e i : f { x , y ) = z i },

da cui il nome di “curve di livello” .

Sia / una funzione reale definita nell’insieme / . Al variare di x in I, f ( x ) descri­


ve un insieme numerico / e R e se tale insieme risulta limitato si dice che / è limitata
in I. In ogni caso l’estremo inferiore e superiore di J diconsi rispettivamente
estremo inferiore e estremo superiore della funzione in /.

Se tali estremi sono anche minimo e massimo di J essi si chiamano minimo


e massimo della funzione f in /.
Segue immediatamente la seguente proposizione

8.1. Teorema (Proprietà degli estremali). Se m ed M sono l ’estremo


inferiore e l’estremo, superiore deila funzione f : I -» R e se f è limitata in modo
che m, M e R si ha
m < / (p) ; per ogni p e / ;

e inoltre fissato un numero e > 0 è possibile trovare in I due punti Pi e p 2 per i


quali riesce:

fipfìK m + e-, f ( P ì) > M — e .


§ 8 Applicazioni continue 67

Se poi m ed M sono il minimo ed il massimo di f ( p ) in I, esistono in I due


punti p e p per i quali si ha:

/( p ) = m ; f(p)=M .

Nelle stesse ipotesi per / è evidente che se l i è un sottoinsieme di / ed m s


ed Mi sono gli estremi inferiore e superiore di / in l i ed m ed M quèlli di f in / , si ha

<Mi < M .

8.2. Definizione (Oscillazione). Data / : / - * • R limitata la differenza M m


chiamasi Xoscillazione d i/in I.
Se invece / è non limitata diciamo che + « è l’oscillazione di / in I.

8.3. Teorema. L'oscillazione di f : I -» R in I è l ’estremo superiore dell’in­


sieme / = {/(p ') - f ( p ") :'p', p" e / } .

8.4. Definizione (Funzione vettoriale). Sia S uno spazio metrico. Sia


S 1 = Rm . Una applicazione / : S -> RjVj fa corrispondere ad ogni p e S una M- pia
fi(p), f 2(p), . . . , f M(p) di valori reali che costituiscono le coordinate in RM del
punto / (p). Essa determina pertanto m funzioni reali

f.:peS-»f.(p)<= R ; i= 1 , 2 , . . . , M ; (8.2)

che sono anche dette le funzioni coordinate deU’applicazione f. Viceversa la cono-


scenza delle funzioni coordinate ft\ i = 1 , 2 , . . . , M\ determina l’applicazione

f : p e S - * f ( p ) = ( f i ( p ) , . . . , f M(p))<ERM .

Notazione meno precisa ma più frequente è /( p ) — ( f i ( p ) , . . . ,fM (p))

Commento. La rappresentazione grafica delle funzioni di Rw in RM in genera­


le non è molto efficace. Consideriamo tuttavia alcuni casi semplici in cui ci può
aiutare la comprensione geometrica.

I caso: / : R1 -> R2 . E’ possibile la rappresentazione effettiva della fig. 1.14.

Molto spesso però viene rappresentata solo l’immagine nello spazio di


arrivo, che in questo caso è una circonferenza. Il problema verrà chia­
rito nel cap. 8.
68 Cap. / - Spazi metrici § 8

Figura 1.15

II caso: / : R5 -*■ R3 . Poiché il grafico sta in R4 non è più agevole, nè utile la


sua rappresentazione. Si ricorre ad un doppio diagramma in cui vengo­
no rappresentate le immagini delle rette parallele agli assi coordinati.
La fig. 1.15 rappresenta le coordinate polari. La fig. 1.16 rappresenta
una trasformazione lineare

F i gu r a 1.16
§ 8 Applicazioni contìnue 69

Trasformazione lineare

Figura 1.17

III caso: / : R 2 -> R 3. E’ il caso della rappresentazione parametrica di una su­


perficie. Anche in questo caso si rappresentano (in R 3) le immagini
delle rette parallele agli assi nello spazio di partenza. L’esempio dà
la rappresentazione standard della superfìcie della sfera unitaria, è è
la colatitudine, tp è la longitudine.

F i gu r a 1 ,1 8 5
70 Cap. I - Sp az i metrici § 8

IV caso: / : R 3 -*■ R 3 . Si può rappresentare come nell’ultima figura, dando


l ’immagine in R 3 di un cubo con le facce parallele ai piani coordinati. f
Tuttavia sono più dettagliate le rappresentazioni del tipo R 2 -+ R 3 in
cui volta a volta si descrive l’immagine di un piano parallelo ad un f
piano coordinato. Nelle figure 1.18, 1.19, 1.20 è considerata la rappre- I
sentazione delle coordinate sferiche.

Coordinate sferiche

Figura 1.19

F i gu r a 1.20
§ 8 Applicazioni contìnue 71

Consideriamo ora in generale una applicazione/ : S -*S' dà uno spazio metri­


co S nello spazio metrico S' ed indichiamo con d la distanza in S e con d la distan­
za iniS^
Diamo la seguente :

8.S. Definizione (Continuità puntuale delle applicazioni fra spazi metrici).


Sia data una applicazione / : S -* S ' e sia p 0 un punto di S. Si dice che / è continua
72 Cap. I - Spazi metrici § 8

Se S ~ S 1 = R, la definizione precedente coincide con quella già considerata


nel primo volume.

8.6. Definizione (Continuità delle applicazioni fra spazi metrici). Nella


stessa situazione della definizione 8.5 diremo che la applicazione / è continua
se essa è continua in ogni punto di S.
Il lettore verifichi, ad es, che una contrazione di S in S (vedi n, 3) è una
applicazione continua di S in S.
Dimostriamo ora il seguente teorema che caratterizza le applicazioni conti­
nue di uno spazio metrico S in uno spazio metrico S 1.

8.7. Teorema (Controimihagine continua degli aperti e dei chiusi). Sia


f : S -*■ S l. Allora f è continua se e solo se, per ogni insieme aperto fi d i S ', l ’imma­
gine inversa

f ~l (P) = { p e S : f ( p ) e B }

è un insieme aperto di S. Per ogni chiuso C, f l ( C) è chiuso.


'' Dimostrazione, Supponiamo che / sia continua in S e dimostriamo che se
B è un insieme aperto di S 1, aillora f 1(E) è un insieme aperto di 5. Sia p 0 e f 1(fi)
e quindi f ( p 0 ) £ fi. Poiché fi è aperto esiste un intorno ^ (f(po )) C fi.

D’altra parte essendo f continua in p 0 esiste un 5 > 0 tale che, se d(p, p 0) < 5,'
si ha d' \ f ( p ) , f ( p 0) } < e, cioè se p &aUs (Po) allora/(p) e t y j j i p o ) ) C fi. Quindi
/ -1(fi) contiene (po) ed essendo p0 un punto arbitrario d i/" 1 (fi) segue che
f x(fi) è un insieme aperto di S.
Per dimostrare la seconda parte del teorema, supponiamo che per ogni aperto
5 C S 1, l’insieme f~x (fi) sia un aperto di S e mostriamo che / è continua in ogni pun­
to Po di S. Per ogni e > 0 l’insieme

r l ( % ( f ( p 0)))

è un insieme aperto che contiene p 0 e quindi un intorno (p0) di S. Cioè, se


p e S e d(p, Po) < 8 segue

d'(f(p),f(po)) < e ■

Dunque f è continua in p 0 e quindi in S. Per i chiusi si considerino i comple­


mentari. QED

Segue ora facilmente il


§ 8 Applicazioni Continue 73

8.8. Teorema (Continuità delie funzióni compóste). Siano S, S \ S " tré


spazi metrici e f : S -* S', g : S ' -»■ S " due applicazioni continue. Allora Vapplicaziò-
ne

g o / : x e s -+g(f(x)) e s

è continua in S.

Dimostrazione. Sia B un insieme apèrto di S " \ poiché g è continua in S ',


segue per il teorema precedente, che g'1(li) è un insieme aperto di S ' ed ancora
per la continuità d i/ in 5 , segue che f l ( g v(li)) è un insieme aperto di S.
Ma cóme si vede facilmente, si ha:

(g°f)~l ( B ) = r i ( g i m -,

dì qui segue il teorema.


Lasciamo al lettore la cura di provare che: QED

8.9. Teorèma. Siano f g : S - * S ’ due funzioni continue in S, supponiamo


che S 1 sia urto spàzio vettoriale nórmato. Allora le funzioni f + g, à f ove a G R,
sorto funzióni continue in S, Se S 1 = R ailora anche le funzioni

f - g : x £ S -*f(x)g(x) e R

—:X e S -»■ — e R , se g(x) =


£0 per x<ES
Z g(.x)

sono continue.

8.10. Definizione (Linearità). Se S = R^, S 1= RM, un’applicazione / : RN -*


-* RM è détta lineare se

f ( P i + P 2 )=:f ( p i ) + f ( P i ) , perogni P i , p 2 e RN

f(a p ) = af(p) , perogni p e R w, a £ R

La stessa definizione vale per spazi vettoriali qualsiasi. Si noti che il grafico di un’ap­
plicazione lineare di R*' in R * è un sottospazio lineare di RAf+Af di dimensione TV.
Proviamo che:

8.1 L Teorema (Continuità di applicazioni lineari). Sef . RN -> RM è lineare


essa è continua.
74 Cap. I -Spazi metrici

Dimostrazione. Siano ex = (1 , 0 , 0 , , 0 ), e2 = (0 , 1 , 0 , . . . 0 ), . . . eN =
= (0 , 0 , . . . , 0 , 1)1V elem en ti d i che (co m e sarà v isto n e l n. 1 7 .3 ) c o s titu isc o n o
la base canonica o rto n o rm a le d i R ^ . A llo ra p er o g n i x = (X i, x 2, . . . , x N ) € R N
risulta ovviam ente

x = X i e t + x 2 e2 + . . . + xN eN

Per ogni i = 1 , 2 , . . . , N, avrem o ch e / (e() e e p e r ta n to ch e esiste u n a


u n icaM -p la ( a , . , a%i. . . aM .) e RM tale c h e / ( e f) = (au , a %, . . . . am ).

Ne segue che p e r og n i a = ( x i , x 2, . . . . x N) e R w si h a , in v irtù d ella lin e a rità


d i /,

iV

fW = / ( E * t et) = E V (e;) =

' N N

E au * r E
V= l i=l
a« x i ... E V '
P er o gni c o p p ia x , x = (x \ , x 2 l . . . e Riv si h a p e r ta n to

/ IV .Ar IV ^ \
/ (* ) - f (x) = ( £ a .; (x. - x.), Y _ a2.(x. - x V am (x. - *,.)!
'i=i '= i /= i <

e di conseguenza

m _tv 2 1 1/2
V'
i! f ( x ) ~ / ( a ')H = / _
;= t 1= 1
E (*/-*/) I
P er la disuguaglianza 1.4 (d i S ch w arz) si h a allo ra

M
J rJ , tNi N
XV . 1/ 2

ii m -

(8 .3 )
iV XU2

E E a//( •
^ li A - A* ì

/=! i=l '


f■
•fi;

§8 Applicazioni continue 75

Da questa si deduce che / è continua in ogni x G! R/v"

S Si osservi che negli spazi vettoriali a dimensione infinita questo teorema non
vale senza l’ipotesi di limitatezza (cond. 9.3),

■ Problemi.

8. 1. Studiare la continuità nel punto (0, 0) delle funzioni reali


3
a) f(x,y) = ^ \ x , y \ (x, y) e R2 ,

xy
se (x, y ) G R2 - { 0 ,0 }
x 2 -t*
•y

b) f ( x, y ) =

0 se ( x, y ) = (0 ,0 ) ,

arctgxp
se ( x , y ) e R 2 - {(x,y)
y
c) ■ f(x,y) =

0 se (x,y)(B ( ( r j ) £ R 2

8.2. Provare che se / : 5 -> S 1 è una applicazione Lipschitziana di (S, d ) in (S 1, d ’),


cioè tale che esiste i £ R + per il quale si abbia

d '( f {x ) , f ( y ) ) <L d ( x , y ) Vx, ye S;

allora essa è continua in S.


8.3. Sia / : S -*■ Rw e siano / ( : S -» R le funzioni reali che esprimono le coordinate
in del punto f ( x ) . Provare che l’applicazione / è continua in Xo fe S se
e soltanto se ciascuna delle f t è continua in x 0.

9. - Limiti e proprietà non locali delle applicazioni continue

9.1. Definizione (Limite in spazi metrici). Siano S ed S ' dire spazi metrici
ed / : S -» S '. Sia p 0 un punto di S che sia punto di accumulazione di 5. Diremo che
un punto q e S ' è il limite di f ( p ) per p tendente a p 0 e scriveremo

lim f ( p) = q ( 9. 1)
p-*p*
76 Cap, / - Spàzi metrici

ed anche

lim f( p ) = q, ove r = Il p - p 0 II. (9.1')


r-*0

se, fissato e > 0, esiste 6 > 0 tale che per ogni p e S, p ¥=p 0 ed(p, p 0) < S , si ha,

d ’( f ( p ) , q ) < e .

Il lettore osservi che (9.1) sussiste se e soltanto se la fu n zio n e/

m per p ¥=p0
f
:p<
ES
^7
(p
)=
q per p = p0

è continua in Pó-
Si ha il seguente teorema che collega la definizione di limite a quella di
successioni convergenti (def. 2.1).

9.2. Teorema (Limiti di funzioni e di successioni). Siano S ed S1dite spazi


metrici. Una funzióne f : S -* S ' è continua in un punto p 0 di S se e solo se, per
ogni successione di punti {pn } di S tale che

lim P„ = Po

si ha

lim f ( Pn) =f (P o) .
n-K*>

Dimostrazione: a) Sia f ( p ) continua in p 0 e sia { Pn } una successione di


punti di S convergente a p 0. Mostriamo che la successione {f( p ) } di S' con­
verge a /(P o ). Fissato e > 0, esìste 8 > 0 tale che sé d(p, p 0) < p e S, si ha:
d ' ( f (p), /(P o )) < e. Poiché {pn } converge a p 0 esiste un indice v tale che, per
n > v si abbia d(pn, p 0) < 8. Quindi, per n > v , si ha:

d'(f(pn) , f ( p 0) ) < e .

cioè lùn f ( p ) = / ( p 0) ■
n-*°°
b) Viceversa supponiamo che comunque si prenda una successione {pn } di
S convergente a p„, allora la successione l f ( p n) } d i S 1converga a f ( p 0) e mostria­
mo che f ( p) è continua in p 0 •
§ 9 L im iti 77

Se la funzione f ( p ) non fosse continua nel punto Po esisterebbe un e0 > 0


tale che comunque si fissi 8 > 0, esisterebbe un punto p e. S tale che

d ( p , p 0) < 8

mentre

d ’( f ( p ) , f ( p 0) ) > e 0 .

1
Scegliendo pn in corrispondenza di 5 = —-, troveremo una successione tale che

1
d ( p n, P o ) < -

mentre

d ' ( f ( pn) , f ( p 0) ) > e 0

Ma ciò è assurdo perché essendo lim p n - Po dovrebbe essere

lim d'(f(p \ f ( p 0)) = 0


n~*oo n

e quindi, per n abbastanza grande: d ' ( f ( pn),f(po)) < Co- QED

Consideriamo ora il caso in cui è 5 ' — per cui la funzione f ; S-* si


riduce ad una M-pia di funzioni (8.2), Si ha allora.

9.3. Teorema (Continuità delle componenti). Una applicazione f dello


spazio metrico S in S ' = RM è contìnua se e solo se leM funzioni coordinate

/ ( : p e ^ / ( (p )É R ; i - 1 , 2 ......... M ;

sono continue in S,
Questo teorema è una conseguenza del teorema 2.3 (limite per componenti).

Consideriamo ora il caso particolare in cui S ' = K c lasciamo al lettore la cura


della dimostrazione del seguente teorema:
78 Cap. / - Spazi metrici § 9

9.4, Teorema (Permanenza del segno). Se f : S -*■ R è continua in un punto


p 0, dove /(P o ) > 0, allora esiste un intorno 6Uh (p0) dove: f ( p ) > 0.
Il teorema 7.7 (connessione per spezzate) si può generalizzare nel modo se­
guente.

9.5. Teorema (Connessione per archi). Un insieme E di uno spazio metrico


è connesso se è connesso per archi, cioè se presi comunque due punti x, y di E esiste
una funzione continua g : [0, l]-* S ta le che g ( 0 ) - x , g ( l ) = y eg([ 0 ,1 ]) C E.
La dimostrazione è analoga a quella del teorema 7.5. Pertanto la lascia­
mo al lettore.

Nel caso in considerazione in cui / : S-* R possiamo dare anche la seguente:

9.6. Definizione (Limiti infiniti). Sia p 0 un punto di accumulazione di S.


Diremo chè f ( p ) diverge positivamente [negativamente] per p tendente a p 0 e
scriveremo

lim /( p ) = + °° lim f ( p ) = —00


p-*p0 P~*P o

se, fissato k e R, esiste 5 > 0 tale che.per ogni p / p 0 con d(p, p 0) < 5 si abbia:

f(P) > k \f( p) </<:].

In modo analogo si definisce

lim / ( p 0) = DO ■ (ossia lim l/ ( p 0)l = + 00)


P-V>o p-*p o
Sussiste anche il seguente teorema a proposito del quale il lettore consulti anche
il problema 9.2.

9.7. Teorema (Connessione dell’immagine). Sia f : S -> R continua dove


S è uno spazio metrico connesso per archi e quindi connesso.
Allora se f assume in S due valori a e 1} essa assume tutti i valori compresi
fra questi in modo c h e f ( S) è un insieme connesso di R.

Dimostrazione. Sia f ( x ) = a e f ( y ) = (3 con x, y e S. Per ipotesi esiste una


funzione continua^: [0,1] S tale c h eg (0 ) =x, g ( l ) = y e g ([ 0 ,1 ])C S.
Per il teorema 8.6 la funzione

*" o • -j **■

è continua e ( f o g) (0) = a, ( f o g) (1) = fi. Ne segue in virtù del Teorema dei valori
§ 9 Limiti 79

intermedi visto nel primo volume (teor. 41.2) che questa funzione assume in [0, 1]
tutti i valori compresi fra a. e 0. Da qui e dal teorema 6.3 segue l’assetto. QED

E’ fondamentale il seguente teorema relativo allé funzioni / : S -> R nel caso


che S sia compatto.

9.8. Teorema (di Weierstrass). Sia S uno spazio metrico compatto e f \ S - +


-*■ R una funzione continua. Allora la funzione f è dotata in S di massimo e di
minimo.
Dimostrazione. Dimostriamo che nelle ipotesi del teorema la funzione è
dotata di massimo. Per dimostrare l’esistenza del minimo il ragionamento è analogo;
d’altra parte 1’esistenza del minimo si ottiene da quanto dimostreremo considerando
la funzione —f \ S - * - R.
Consideriamo l’immagine f ( S ) C R e sia A il suo estremo superiore. Ripeten­
do il ragionamento usato nel primo volume per dimostrare questo stesso teorema
nel caso delle funzioni reali di variabile reali (teor. 41.1 del Voi. 1) possiamo allora
costruire una successione {p } tale che

lim f(P ) = A
«**♦
+» n

dove A = sup {f(p) : p £ S}:


Infatti se A = 4- °° , per ogni « E N scegliamo p in modo che f ( p ) > n
mentre, se A < + 00 , scegliamo per ogni n E N , p_ tale che

A - — ■< / ( p „ ) < A .
n "

Poiché la successione {pn } appartiene all’insieme compatto S esisterà una


successione estratta da essa {p } convergente ad un punto p 0 £ S. Per la continui-
nk
tà d i / s i ha:

/ (P o ) = lim f ( P n , ) : lim f(p„) = A •


co k

Questa relazione risulta contraddittoria se A = + °° . Si deduce che A < + 00


e pertanto/(S) è limitato superiormente.
Inoltre essendo per ogni

f ( p ) < h = f ( p 0)

si ha e h e /(p ) assume il suo massimo valore nel punto p0 e S. QED


80 Cap. I - Spazi metrici § 9

Il teorema seguente è valido per funzioni / : S -* S ' fra uno spazio metrico
compatto S ed uno spazio metrico S 1. Intanto premettiamo la

9.9. Definizione (Uniforme continuità). Si dice che una funzione f :S -+


■-* S ' è uniformemente continua in S se, fissato e > 0, esiste 6 > 0 tale che, per ogni
coppia di punti p e q di S per i quali d(p, q ) < 5 si abbia

d '( f ( P ) J ( q ) ) <e .

Evidentemente una funzione uniformemente continua in S è continua in ogni


punto di S. Non tutte le funzioni continue in S sono ivi uniformemente continue.
Si ha però il seguente criterio di uniforme continuità.

9.10. Teorema (di Heine Cantor). Sia S uno spazio metrico compatto S '
uno spazio metrico ed f : S -*■ S 1 una funzione continua. Allora f è uniformemente
continua in S.

Dimostrazione. Il teorema può essere provato ripetendo, con ovvie varianti,


la dimostrazione data nel primo volume per il caso delle funzioni reali di variabile
reale (teor. 42.3). Lasciamo al lettore la cura di verificarlo.
Diamone anche una seconda dimostrazione che presenta vari aspetti interes­
santi.
Sia p a un punto qualsiasi di S. Poiché / è continua in p 0 fissato e > 0 esiste
un 6 > 0 tale che se d(p, p 0) < 8 si ha

d'(f{p\f(Po))<e-

Fissato e > 0 , per ogni p 0 e S indichiamo con &e(Po) l’estremo superiore del sot­
toinsieme di R+ descritto dai raggi 6 degli intorni sferici di centro p 0 per i quali si
ha:

d'(f(p),f(q))<e se p , q e < % s (p0)

e osserviamo che, per la compattezza di S risulta SJPo) < + “ • Osserviamo infine


che se p, q e (Poy(Po) allora d'(f(p), f(q)} < e-
Per brevità scriviamo poi 6 (p) in luogo di Si ha

8 (Po) - d(pt. Po).< 8 ( p , ) < 8 (Po) + d ( p x, Po) (9-2)


§ 9 Lim iti 81

S ( P i ) > S ( p 0) + d ( pi , Po)

esisterebbe un numero p tale che

8(P0) < P < 8 ( p l ) - d ( p i , p 0) .

Allora, da una parte si avrebbe

®s(Po) (Po)c % ( P o )

e dall’altra, poiché per ogni q tale che d(q, Po) < P »si ha:

d ( q , P i ) < d ( q , Po) + d(p0, P l ) < p + d(p0, Pi ) < 8 ( Pi ) ;

risulterebbe

Ne seguirebbe per ogni coppia di punti p, ’l (p0)

d'(f(p),f(q))<e ,

in contraddizione con la definizione di 5 (p0).


Scambiando il ruolo di Po e Pi si ottiene la (9.2).
Pertanto, sussistendo la (9.2), si deduce che la funzione 6 : S ^-R è continua.
82 Cap. 1-Spazi metrici § 9

Per il teorema 9.8 (Weierstrass) esiste

min {6(p) : p e S } - S ( p ) = 5 o > 0

Da ciò si deduce che d ' ( f ( p ) , f (q)) < e se p, q e S e d(p, q) < 5 0 e il teorema resta
cosi dimostrato. QED

Concludiamo questo paragrafo osservando che se si pone x = 0 nella (8.3) si


ha:

9.11. Teorema (Limitatezza delle funzioni lineari) S e f : R N -*RM è lineare


allora esiste C 6 R tale che

Il/(p) Il < Cl i p II, per ogni p e R^ , (9.3)

la norma a primo membro essendo naturalmente quella di RM, la norma a secondo


membro quella di Rw .
Osserviamo anche che della stessa (8.3) segue:
9.12. Teorema (Uniforme continuità di applicazioni lineari). Se f : Rw ->
-*RM è lineare allora essa è uniformemente continua in &N .
Lasciamone al lettore la facile dimostrazione.
Nel seguito si rivelerà utile la definizione seguente

9.13. Definizione (Norma delle applicazioni lineari). Indichiamo con


£(11^, Rm) la totalità delle applicazioni / : Rw -* RM che sono lineari e per ogni
/ è £ (Rn , Rm) poniamo, d’accordo con il teorema 9.11,

ll/ll = in f {C G R+ : li/(p)ll < C llpll, p e R ” } . (9 -4)

in modo che risulti ll/(p)ll < il/II* llpll ed anche II/Il = sup { W(p) Il : llpll < 1 }.
Nel seguito scriveremo anche ll/ll ,, . , in luogo di ll/ll

Sussiste l’importante teorema:

9.14. Teorema (Spazio delle funzioni lineari), Se nell'insieme £(R W, RM)


poniamo per ogni f g G £(RN, RM), e per ogni a £ R :

f + g : x e R N — > / ( j ) + ? (x ) £ R m

a f - .x e R N — * ctf(x)eRM
§ 9 Limiti 83

allora £ (R ^, JlM) risulta uno spazio vettoriale su R e d 11/ II, definita come in (9.4)
risulta una norma su £ (RN , RM). Inoltre se f . g G £ (R^, R ^ ) allora f * g €
€ £ (Rn , RW) e risulta

l/o^lK I/IM Igll.

Lasciamo al lettore il facile compito di dimostrare questo teorema.

S. I risultati valgono per funzioni lineari continue tra spazi di Banach X, Y qual­
siasi. Nel caso particolare X = Y si possono riassumere dicendo che £(X, X)
è un’algebra di Banach.

■ Problemi.

9.1. S i a f : S ~ * S ' una applicazione continua dello spazio metrico S nello spazio
metrico S' e sia S compatto. Provare che f ( S ) è un sottoinsieme compatto
di S '. Dedurne che s S 1 = R allora (Teorema 9 . 8 ) / è dotata di minimo e
e di massimo in S, (vedi anche Problema 5.3).

9.2. Sia ancora / : S ->• S 1 una applicazione continua di S in S 1, sia S connesso.


Provare che / (S ) è un sotto insieme connesso di S 1 ottenendo in tal modo
una generalizzazione del teorema 9.7.

9.3. Sia / : -* RM una applicazione lineare. Provare che / è iniettiva se e solo


se esiste c > 0 tale che

\\f(x)lM > c llx llw per ogni x E RM

essendo la norma Aiy in Rm .

9.4. Sia / : S -> S 1 una applicazione continua dello spazio metrico S nello spazio
metrico S 1. Supponiamo che S sia compatto e che / sia iniettiva. Provare che
l’applicazione

r l

è continua.

9.5. Sia S uno spazio metrico. Provare cheN è non connesso se e soltanto se esiste
una applicazione continua/ : S -* R tale che f ( S ) = {0, 1}.

9.6. Sia E un sottoinsieme chiuso non vuoto di uno spazio metrico S e sia* $ E .
Provare che esiste %e E tale che
84 Cap. I-S p a zi metrici § 9

d(x, | ) = d(x, E).

Tale | è unico? Considerare il caso in cui S = Rw e E è convesso e chiuso.


(Tenere presente il problema 7.1).

9.7. Siano S, S ' due spazi metrici e siano f , g : S ^ S ' due applicazioni continue di
S in S'. Dimostrare che se E è un sottoinsieme denso di S e se f ( x ) —g(x),
per ognix GÈ, allora risulta/(x) ~g( x) per ognix GS.

9.8. S i a / : S -*■ S 1 un’applicazione dello spazio metrico S nello spazio metrico S',
Lipschitziana in S, tale cioè che esiste M e R+ per il quale si verifica d' { f(p ),
/ ( ? ) } < Md(p, q). Provare che / è uniformemente continua in S.

9.9. Siano S ed S 1 diie spazi metrici dei quali S 1 sia completo e sia f : E - * s ' una
applicazione continua di E i n S ' . Dimostrare che s e / è uniformemente con­
tinua su E allora esiste una unica / : E -* S ' continua tale c h e /(x ) = / ( x ) se
x e E. Dare un esempio di una_applicazione / : E -+ S ' continua che non
ammette estensione continua/ : E-+S'.
3 ,

Calcolo differenziale
delle funzioni reali
di più variabili

In questo capitolo esporremo la teoria della derivazione delle funzioni reali


di più variabili reali. Per quanto tale teoria presenti larghe analogie con quella delle
funzioni reali di una variabile reale esposta nel primo volume, essa presenta anche
nuove caratteristiche che in gran parte sono dovute al fatto che esistono differenti
direzioni lungo le quali si può tendere ad un punto dello spazio euclideo R" ed alle
complicazioni che ciò induce nelle notazioni.
Dopo avere introdotto le nozioni di derivata parziale e di differenziale, in­
trodurremo la classe C1 delle funzioni che sono dotate di derivate parziali prime
continue, quindi la nozione di derivate parziali successive e quella delle funzioni
di classe C h, cioè delle funzioni che hanno derivate parziali continue fino all’ordine
k\ in questa classe studieremo lo sviluppo delle funzioni mediante la formula di
Taylor.
Da questo dedurremo condizioni necessarie e condizioni sufficienti per resi­
stenza dei massimi e dei minimi delle funzioni reali di più variabili reali.
Concluderemo il capitolo studiando il problema delle funzioni definite
mediante equazioni.

18. - Derivate parziali delle funzioni di due e di più variabili.

18.1, Definizione (Derivata parziale). Sia / : / -> R una funzione definita m


un insieme aperto 1 di ìt2 e sia (* 0, J'o) un punto di /, esiste quindi un intorno di
(x q , ,y0).ad es. rettangolare di semidimensioni 5 e a, contenuto in I.
a) Se la funzione della sola variabile x

X e] x0 - s, x 0 + 5 [-*f(x, ; 0) £ R ,

che nel seguito sarà indicata con la notazione/ ( • , y 0) oppure anche con la notazio­
ne f ( x, y 0) è dotata di derivata in x = x 0 ; cioè se esiste in R il
192 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 18

f ( x o + h, y a) - f ( x 0, J'o)
lim (18.1)
h-*0 h

diciamo che tale derivata è la derivata parziale di f rispetto alla prima variabile od
anche rispetto alla variabile x nel punto (xa, y 0) e la indichiamo con uno dei sim­
boli seguenti

Dx f ( x 0, y 0) _ f'x (x0, y 0) } f x ( x0, y 0)

o anche col simbolo:

Alcune volte, sottointendendo il punto in cui si deriva, si scrive semplice-


mente:

3/
4 oppure —
dx

b) In modo analogo se la funzione della sola y

y £ ] y < > - o , y<> + o [ - >f ( x o , y ) € R ,


§ 18 Derivate parziali delle funzioni di due o più variabili 193

che nel seguito sarà indicata con la notazione f ( x 0 . •)> oppure anche con la notazio­
ne f(xo, y ) è dotata di derivata i n y = y 0, cioè se esiste in R il

/(xo.J 'o + fc) - f { x 0, y o ) (18.2)


lim --------------------------------------
fc->o k

diciamo che tale derivata è la derivata parziale di f rispetto alla seconda variabile od
anche rispetto alla variabile y del punto ( x0, y 0) e la indichiamo con uno dei sim­
boli

Dy f ( x 0, y 0) , f'y (x0, y 0) f y (x0, y 0) ,

c) Se la funzione / è derivabile rispetto ad x [ad >>] in ogni punto di I, si dice


che f è “derivabile rispetto ad x [ady] nell’insieme I.
E’ bene osservare che la esistenza delle derivate parziali in (x 0, y 0) di una fun­
zione di due variabili non implica necessariamente la continuità in (x 0, y o) della
funzione stessa contrariamente a quanto avviene per le funzioni di una sola variabi­
le. Essa implica soltanto la continuità delle funzioni / ( x , y 0 ), f (x0, y ) come
funzione di x e y nel valore x 0 e y 0 rispettivamente.
E questo non implica la continuità in (x0, y 0) d i/c o m e funzione di (x, y).
Si consideri, ad esempio, la funzione definita in R2 nel modo seguente:

xy
f (X, y ) = per ( x , y ) ^ ( 0 ,0 )
x2 +y1

/( 0 ,0 ) = 0 .

Tale funzione è continua rispetto alle variabili separatamente per ogni (x, v) G
£ R2 , ma non è continua come funzione delle due variabili in (0, 0) in quanto in
ogni intorno del punto (0, 0) essa assume il valore zero e, ad es., il valore 1/2
quando y = x. Ciò nonostante tale funzione ammette derivate parziali in (0, 0) e
risulta/^(O, Q ) ~ f y (0, 0) = 0.
Il procedimento precedente applicato ad una funzione / , definita in un insie­
me aperto I y ed ivi derivabile, genera due nuove funzioni: / v , f v definite anche esse
in I. Qualora la funzione / sia definita in un dominio T (cfr. Def. 4.12), l ’opera­
zione di derivazione parziale viene considerata esclusivamente nei punti interni a T;
peraltro sarebbe possibile parlare anche di funzioni definite in un dominio T e dota­
te di derivate parziali continue in T, considerando come tali ad es. le funzioni do­
tate di derivate parziali nei punti interni a T le quali coincidono con funzioni con­
tinue in tutto il dominio T. Ciò equivale a considerare le derivate parziali in un
punto frontiera (x 0, To) £ 3 T non come limite di un rapporto incrementale come
194 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 18

(18.1) e (18.2), ma come limite digerivate parziali calcolate in punti interni (x, y)
di T quando (x, y) tende a (x0, y o).
Se la funzione f è inoltre a sua volta dotata di derivata rispetto ad x [rispetto
ad y], in (x 0, ya), questa derivata si chiama derivata parziale seconda di f rispetto
ad x due volte [rispetto ad x ey] e si indica con uno dei simboli:

aV
D f(xo,yo)> f " ( x 0, y 0) , f ( x 0, y 0)
3x2
(*o.Vo)

P x y f ( x o . y 0) , f ”y { x o , y 0 ) , f x y { x 0. y 0) ,
<*0.J’o)-

\ Analogamente, se la funzione / è a sua volta dotata di derivata rispetto ad


x [rispetto ad y] in (x0, y 0) questa derivata si chiama derivata parziale seconda di
f rispetto ad y e ad x [rispetto ad y due volte] in (x q , yo) e si indica con uno dei
simboli

Dy x f { x o, yo) , f yx (xo. y 0) , fyx(x0,yo)


)

rD
, f ( x o J'o) . / " y C*o. J'o) . f y y ( x 0, y o ) , (ili)
\ dy2 /
L ” (x„,y 0)

Le derivate f ef prendono il nome di derivate seconde pure, mentre le


altre prendono il nome digerivate seconde miste.
A proposito di queste ultime sussiste il seguente teorema di Schwarz sull’in­
vertibilità dell’ordine di derivazione:

18.2. Teorema (di Schwarz), Se la funzione f : I -*■ R possiede derivate pri­


me e derivate seconde miste in un insieme aperto I di E2, le derivate seconde miste
sono uguali, in ogni punto di I ove esse sono contìnue.

Dimostrazione. Sia PQ = (x q , y o) un punto di / ove le derivate seconde miste


sono continue; fissato e > 0, è possibile allora trovare un intorno rettangolare R di
P0 i cui punti appartengono ancora ad / e tale che, per ogni punto P = (x, y ) di R,
si abbia:

ICO-4y(^o)Ke ; If y x ( P ) - f y x (P0) \ < e . (18.3)


§ 18 Derivate parziali delle funzioni di due o più variabili 195

Consideriamo ora la quantità, definita per ogni punto P = (x, y ) di /? :

y ~ f { x , y ) - f ( x 0, y ) - f ( x , y 0) + f ( x Q, y 0)

la quale si può riguardare sia come l’incremento che subisce la funzione di t:

t) ^ f ( x Q, t)

nel passaggio dal valore y Q al valore y , sia come l’incremento che subisce la funzione
di t:

nel passaggio dal valore x 0 al valore x. In altri termini, si ha;

V=<fi(y) ~ y ( y 0) = i >(x) - \p(x0) . (18.4).

Per il teorema di Lagrange possiamo allora scrivere

¥>0) - v>Oo) = (y - y a) ( vi ) = (y - y 0) {fy (x, v O - f y (x0, v i ) }

essendo v, un opportuno valore compreso fra j'0 e y , e in modo analogo

\ j j (x )- t y {x 0) = (x ~ x 0) $ (£ 2) ~ ( x Xq ) Ux (%2 , y ) - f x <£ì,yo)}

essendo un opportuno valore compreso fra x 0 e x .


Ma ancora, per lo stesso teorema di Lagrange, si ha:

f y i x . i h ) - f y {X o , m ) =f y x ^ u V i ) ( x - * 0)

essendo un opportuno valore compreso fra x 0 ex ; e analogamente

f x ( h . y) - f x («2, yo) =fxy « 2 , Vi) (y - Po)

essendo j j 2 un opportuno valore compreso fra j '0 e y.


In conclusione, dalla (18.4) e dalle successive relazioni, si deduce, se x =£x0
e^ J V

V
=f y x ( ì i . V i ) =f x y i h . V i ) ( 18,5)
( x ~ x 0 ) ( y - y 0)
196 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 18

ove P i = (£i, rji) e P2 = (£2, V i) sono due opportuni punti dell’intorno R di P0-
Tenendo allora conto delle (18.3) e della (18.5) si deduce

\fy x (Po) - f xy (Po) I< If y x (Po) - f yx (P » )l+ lfx y (p i ) - f x y ( P o ) K 2 e

e, per Tarbitrarietà di e, segue,

1yx (Po) ~fxy(Po) ■


Q.E.D.

18.3. Osservazione. Il lettore osservi che di fatto abbiamo provato che nelle
ipotesi del teorema 18.2 esiste in R

lim ------------------------ (18.6)


p -*p * ( x - x 0) ( y - y 0)

Si vede facilmente peraltro che tale limite può esistere senza che esistano le
derivate miste di / ; ad esempio per la funzione definita su tutto R 2 mediante

f ( x , y ) = <i>(x) + .!//()'),

ove ip, sono funzioni definite su tutto R e non derivabili rispettivamente in x 0.


y0, il limite (18.6) esiste ed è nullo, mentre non esistono in (x0, y 0) le derivate
miste in quanto in tal punto non esistono nemmeno le derivate parziali prime.

Supponiamo ancora che la funzione f sia dotata di derivate parziali prime e


seconde in un insieme aperto / e che queste ultime siano a loro volta derivabili
in (x, y ) 6 / sia rispetto ad x che rispetto ad y .
Le derivate prime delle derivate seconde diconsi derivate terze; esse, sottoin­
tendendo il punto in cui sono effettuate, sono indicate da

/ = D f f D f
Jxxx X *XX Jxxy y xx

f - D f D f
J xyx x xy ^x y y y J xy

f - D f f D f
Jyyx x Jyy yyy y yy

f = D f f D f
J yxx x yx yxy y Jyx

Se queste derivate terze sono continue in I insieme con le derivate degli ordini
precedenti si vede facilmente, che, per il teorema 18.2, si ha:
§ 18 Derivate parziali delle funzioni di due o pai variabili 197

f = f — f ■ f =f —f
Jxxy J yxx Jxyx ’ xyy Jyyx Jyxy '

In tale ipotesi, le derivate terze di una funzione di due variabili si riducono


a quattro, in generale, distinte:

f f f f
J xxx ’ J xxy ’ xyy ’ yyy '

le quali si sogliono indicare anche con i simboli seguenti:

/ 3, / , , / , , fi,
Jx3’ J x 2y ’ J xy1 Jy ’

oppure con i seguenti:

a3/ a3/ a3 f a3/


3x3 ’ d x 2 dy dx dy2 ’ 3y 3

In modo perfettamente analogo si definiscono le derivate quarte, quinte, ecc.


di una funzione di due variabili e si riconosce facilmente, con la applicazione ripe­
tuta del teorema 18.2, che le derivate di ordine n, in generale distinte, si riducono
ad n + 1 se queste sono continue in I insieme con tutte le derivate degli ordini mi­
nori di n. In tale ipotesi per indicare la derivata nma d i/e ffe ttu a ta p volte rispetto
ad x e q volte rispetto ad y (p + q - ri) nel punto (x, y ) e f si usa uno dei simboli:

a"/
f P ,( * • > )
x y ax^ay q

L’estensione di queste nozioni alle funzioni di più variabili è immediata.

18.4. Definizione (Derivata parziale in R"). Sia f : I ~ * R una funzione defi­


nita iti un insieme aperto / di R" e x 0 = (x°, x \, . . . , x ° ) un punto di I; « > 2.
Se la funzione della sola variabile x. : / ( x “, . . . , t x (.,'x®+1, . . . . x “) è
dotata di derivata prima per x, = x? tale derivata si chiama derivata parziale prima
della funzione f rispetto alla variabile x . nel punto x 0 e si indica con uno dei sim­
boli:

3/
D f ( x o) f x (x o) , f x (*o) ,
xi i xi 3x.
*0
198 Gap. I l i- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 18

oppure sottointendendo il punto x = (x t , x 2, . . . , x ) ove si deriva, con il simbolo

9/
dx.

Come nel caso precedente, diconsi derivate parziali seconde della funzione /
le derivate parziali delle sue derivate prime, derivate parziali terze le derivate delle
derivate seconde e così di seguito.
In generale col simbolo

9m f
(p + q + . . . + r - tri) (18.7)
dx? d x i ......... d x rn

si indica la derivata in x = (x lt x 2, . . . , x n) di ordine m della funzione/effettuata


P volte rispetto ad x 2, volte rispetto a x 2f . . . , evolte Tale notazione non
mette in evidenza però l’ordine nel quale si eseguono le successive derivazioni ed
è pertanto utilizzabile soltanto quando le derivate di ordine m sono continue in
1 insieme con tutte le derivate degli ordini precedenti in quanto, come nel caso di
due variabili, l’inversione dell’ordine delle derivazioni non altera il risultato. Ci si
rende subito ragione di ciò osservando che, ad es., le derivate seconde / ,/
I/ fi
della funzione / nel punto x 0 , possono riguardarsi come le derivate seconde miste
della funzione delle due variabili x„ x .
i i

f ( A > --- x , .......... x , ........... x°)

nel punto (x®, x°), e che sono soddisfatte le ipotesi del teorema 18.2.
Un’ulteriore notazione per indicare la derivata (18.7) è la seguente: sia p =
~ \P ì » Pì , • ■ ■ i Pn ) un insieme qualunque di n numeri interi non negativi e ponia­
mo Ip I= p i + Pi + .. . + pn ; indichiamo con

DP f

la derivàta

„ Pi „ Pi _ pn
dXj o x 2 . . .d x

Una importante generalizzazione della nozione di derivata parziale prima di


una funzione reale di due o più variabili reali è data dalla seguente definizione:
18 Derivate parziali delle funzioni di due o più variabili 199

18.5. Definizione (Derivata direzionale). Sia / : I R ove I è un insieme


aperto di R" e siano x° = (x °, x%, . . . . x ° ) G l, v = (vt , v2, . ■ ., v ) 6 R” , t € R.
Se esiste in R il limite

f ( x 0 + tv) -f(p c o)
lim ---------------------------
r-*o t

diciamo che / è derivabile in x 0 rispetto al vettore v, oppure che f ammette in x n


la derivata secondo il vettore v ed indichiamo tale derivata con la notazione

oppure, sottointendendo il punto x G l ove tale.derivata è effettuata, con la nota­


zione

IL
dv

Se v — 1 diciamo anche che è la derivata di f nella direzione del

vettore v nel punto x 0.


Dal confronto con la definizione 18.4 segue evidentemente

se ej è 17-esimo vettore della base canonica di R".


Lasciamo al lettore la cura di dimostrare che:

18.6. Teorema (Proprietà delie derivate direzionali). Se f : I -* R, x 0 G l,


v G R" sono date come nella definizione 18.5 allora:
i) considerata la funzione

(p : f G ] —5, 5 [-> ip (f) =f ( x 0 + t v) £ R ,

’à f )
certamente definita se 5 G R+ è opportunamente piccolo, si ha che esiste
dv j
X0
200 Cap. H I- Calcolo differenziale delle funzioni di piti variabili § 18

se e soltanto se esiste <p'(0); inoltre in tal caso

n ■

ii)posto w = - v allora (•——■ ) esiste se e soltanto se esiste ( ;inol-


\b w j \d v j
' x6 Xa
tre, in tal caso

a f_ \ /a A
bw j \3 » /
X6 X0

18.7. Osservazione. Abbiamo già rilevato che una funzione/: !- * ■ R o ve I


è un insieme aperto di R", può ammettere in x 0 S / le derivate parziali prime senza

essere continua in x 0. Mostriamo ora che anche 1’esistenza secondo


* (£)
' ' -y.
tutte le direzioni s £ R " non implica la continuità di / in x 0.
Allo scopo basta considerare la funzione definita in R 2 mediante

x2y
se (x, y ) # ( 0 , 0)
x4 + y2

f( x , y ) =

se (x, y ) = ( 0 , 0) .

Osserviamo intanto che per ogni v £ R 2 avente norma 1 esiste 8 6 R tale che v ■
= (cos 6, sen 6) e pertanto

ÌL
f ( t cos 8, t sen 8) - f ( 0 , 0)
= lim ------------------------------------ - =
3v f->0
(o,o)

t 3 cos2 8 sen 8
t2 (t2 cos 4 8 + sen2 8) cos 2 0 sen 8
= lim ------------------------------- lim
<->■ 0 t r-»o t 2 cos4 8 + sen2 8
18 Derivate parziali delle funzioni di due o più variabili 201

0 se sen 9 = 0

cos2 6
---------- se sen 6 ¥> 0
sen 6

La data / è quindi derivabile in (0 ,0 ) secondo ogni direzione v e R 2 e di con­


seguenza la restrizione di / ad ogni retta uscente da (0, 0) è continua in (0, 0). Ciò

nonostante / non è continua in (0, 0). Infatti, considerata la successione

—— )} di punti di R 2 avente per limité il punto ( 0 , 0) risulta


n ì |n S N

Ita fi—,~ ]= ^ f(0 ,0 );

Le considerazioni fin qui svolte mostrano che la nozione di derivata parziale


e quella di derivata direzionale non costituiscono una adeguata estensione al caso
delle funzioni di più variabili della nozione di derivata, in quanto 1’esistenza di tali
derivate non implica la continuità della funzione come invece avviene per le funzio­
ni derivabili di una variabile reale. Per questo motivo nel n. successivo introdurremo
il concetto di differenziabilità di una funzione reale di più variabili reali.

■ Problemi.

18.1. Determinare le derivate parziali delle seguenti funzioni:

/ : 0 c , / ) e R 2 -> f(x ,y ) = \x + ^ l e R ,

g : ( x , y ) e i - * g ( x , y ) = — logxjvG R , / = {(x, X) G R2 : x y > 0}


y

h : x = (x i, x 2, .. . , -xn) £ R" -* h (x ) = Il xll e R

18.2, Studiare la continuità e la derivabilità secondo una generica direzione j £R !


nel punto ( 0 , 0) delle funzioni definite mediante
202 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle fu n zio n i di più variabili § 18

0 se y = 0

f( x , y ) -

sen x^
se y # 0
y

in ( 0, 0)

s{x, y ) =

x 2 -b y 2 — I x —y I
in (x, y ) ¥=( 0, 0)
x 2 + ; '2

se (x, y ) £ C

h (x, y)

se (x , y ) É C

C= { { x ,y ) ^ ti2 : x = p cos 9, y - p sen 9, p = i + cos 9, 8 t R}

18.3. D are l ’ese m p io di u n a / : R 2 -> R ta le che esista f ( x 0l y 0) e n o n esìsta


f y {x0, y 0y

1 8 .4 . E siste u n a / : R 2-> R tale c h e p e r un c e rto (x0’ Vo) si a b b ia

( ——'j > 0 p e r og n i v £ R 2?
X9 l ,/ Oo'^o)

18.5. P ro v are che se d a t a / : R 2 > Il e sisto n o M £ R +1p £ R + ta li ch e

\fx ( x , y ) \ < M , If y { x , y ) \ < M .

p e r og n i (x, y ) £ ( 0, 0), a l l o r a / è c o n tin u a in ( 0, 0) .

18.6. S i a / : R 2-> R tale che

i) xG R -* f(x , 0) è c o n tin u a i n x = 0
i i) esiste M £ R + tale che
§ 18 Derivate parziali delle funzioni di più variabili 203

I f ( x , y ) —f(x, z) l<Af ly - zi

p e r og n i (x , 7), (x , z ) e R 2 .
P ro v a re c h e / è c o n tin u a in (0 , 0 ).

1 8 ,7 . S i a / : R 2-»■ R asseg n ata m e d ia n te

0 (0 , 0)

f( x . y) =
* .F ( x 2 - / )
(x , y) ( 0, 0) ,
-P

v e rifica re ch e e sisto n o e so n o fra lo ro d iffe re n ti .

( / ay
W ^ / (0 io ) ’ \a ^ 3 x ( 0 ,0 )

1 8 ,8 . S i a / : R 2-+ R ta le ch e

lin i /(x , y) =l £ R
0 ,0 )

lim / (x , / ) = ip O ) e R p e r ogni 7e R - {0 }
x~+0

lim / (x, >0 - p (x )


1 G R p e r o g n i x e R — {0 }
y -^0

P ro v a re che

lim <p(y) = lim 1


i(x ) = /
y-*o x-»o

V e rific are ch e s e / è asse g n ata m e d ia n te

0 in ( 0, 0)

f(x.y) =

x 1y 0
in (x , y) /= ( 0, 0)
x 2j =
2 + (x - y )2
204 Cap. Ili- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 19

allora

lini <p(y) = lim i//(x) = 0


y-rO X >0

e ciò nonostante, non esiste

lim f( x , y ) .
(*,y)-*-(o,o)

19 - Differenziale delle funzioni di due e di più variabili reali.

Il concetto che permette di estendere a R” molte proprietà delle funzioni


definite su R e ivi derivabili è il concetto di differenziale, che come vedremo è più
restrittivo della semplice derivabilità parziale.
Sia / : / -> R una funzione definita in un insieme aperto / del piano R 1 e P0 =
= (x0, yo) un punto di I. Siano poi A x e A y due incrementi arbitrari, abbastanza
piccoli in modo che il punto (x 0 + A x , y 0 + A y ) sia anche esso interno all’insieme
/: dicesi incremento della funzione f nel punto (x 0, j>o)> relativo agli incrementi
A x e A y delle variabili indipendenti, la differenza:

f ( x 0 + A x , y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0)

che si suole indicare col simbolo A / .


Poniamo d’altra parte:

r = {A * 2 + A y 2) ln

ed osserviamo che la fu n zio n e/è continua nel punto Po se e soltanto se l ’incremen­


to A f risulta infinitesimo con r ; cioè:

lim A / = 0
T-+0

19.1. Definizione (Differenziabilità). Diremo che la funzione / : / - * • R è


differenziabile (o ammette differenziale totale) nel punto P0 e I se esistono due
numeri reali A, B, dipendenti generalmente da (x 0, y 0), tali che la funzione reale
della variabile (Ax, A y)

A f - {A A x+ B A y} (19.1)

risulti in ( 0 , 0) infinitesima di ordine superiore rispetto a r ; cioè si abbia:


19 Differenziale dette funzioni di due e di pià variabili reali 205

Se / è differenziabile nel punto (x 0) pò), la funzione lineare su R2

( à x , A p ) € R 2 -+A A x + /?Ap G R (19.2)

si chiama differenziale o anche derivata totale della funzione f nel punto (x 0, y 0)


e si indica con uno dei simboli:

Si veda però anche (20.12) per altre notazioni.


Per giustificare questa definizione occorre però m ostrare che se la fu n z io n e /è
differenziabile in P0 , i numeri reali A e B sono unicamente determinati. Ciò risulta
dal seguente teorema.

19.2. Teorema (Conseguenze della differenziabilità). La funzione f sia dif­


ferenziabile nel punto Po = (xo, P o) di I ed ivi ammetta A A x + B A y come suo
differenziale, allora in tale punto la funzione f ammette derivate parziali prime e
si ha:

A = f x (x0, y 0) , B = fy (x0, y 0) (19.3)


206 Cap. I l i- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili 19

Inoltre la funzione f è continua in P0 = (x0, y o)-

Dimostrazione. Poiché la funzione / è differenziabile nel punto P 0, posto


perr =£ 0 e per (Ax, A y) in un opportuno intorno di (0 ,0 ),

A f= A A x + B A y + r o ( A x ,A y ) , (19.3)

si ha, per la (19.1'):

lim o (A x , A y ) = 0 . (19.4)
7*—
>0
La (19.3*) scritta per A y —0, fornisce:

f ( x o + A x, y 0) - / ( x o . P o ) ~ A A x + IA x la ( A x , 0)

donde, se A y =£ 0 :

/ ( x 0 + A x , y 0) - / ( x 0 , y 0) lA xI
-------------------------------------- =A + -----------o (A x , 0)- (19.5)
Ax Ax

mentre la (19.3'), scritta per A x = 0, fornisce:

7 ( x 0,} ’o + A y ) —f ( x 0, y 0) ~ B A y + lA y lu ( 0 ,A y )

donde, se Ay =?*= 0:

f (x q , y n A y) —/ IXn. Vn } IA y I
=B + • <7(0, A y) . (19.6)
Ay Ay

La (19.5) e la (19.6), quando si tenga conto della (19.4), dimostrano la prima


parte del teorema e la (19.3). *
La continuità della funzione / nel punto è una conseguenza immediata della
(19.3') e della (19.4) e del fatto che la funzione lineare (19.2) è continua nell’ori­
gine. QED

In base a quanto ora dimostrato possiamo ridefinire il differenziale di una


funzione / differenziabile in (x0, y 0) nel modo seguente: (df)^x y j è la fun­
zione lineare su R2 il cui valore in (Ax, A y) E R 2 è dato da 0

W ) ( * ot3, c) (A x , A y ) = / X(x 0 , y 0) A x +fy (x 0, y 0) A y (19.7)


§ 19 Differenziale delle funzioni di due e di più variabili reali 207

e osservare inoltre che essa è l’unica funzione lineare su R 2 che fornisce un’appros­
simazione dell’incremento A/ per la quale l’errore di approssimazione dato da
(19.1) è infinitesimo di ordine superiore alla distanza r fra (x0, yo ) e (x 0 + Ax,
yo + A>>).
11 teorema 19.2 assicura che la differenziabilità di una funzione in un punto
implica la derivabilità parziale nello stesso punto; questa proposizione non è però
invertibile in quanto, come è stato visto nel n. precedente, vi sono funzioni par­
zialmente derivabili in un punto e non continue e pertanto non differenziabili
in quello stesso punto.
L’esempio seguente mostra anche come la continuità di una funzione in un
punto e 1’esistenza delle derivate parziali nello stesso punto non siano sufficienti
per garantire la differenziabilità di quella funzione nello stesso punto.
Si consideri, a questo proposito, la funzione definita in R 2 mediante

f( x ,y ) = s f\x y \

ove del radicale è preso il valore aritmetico. Nel punto (0, 0) le due derivate
parziali di / sono ambedue zero, come è facile riconoscere direttamente formando
i limiti dei rapporti incrementali nel punto ( 0 , 0).
Il differenziale totale di / nel punto (0, 0), se esistesse, sarebbe pertanto la
funzione lineare nulla su R 2 e l’incremento:

A /= /(x , y ) —f ( 0, 0) = s f \ x y \

dovrebbe essere infinitesimo di ordine superiore rispetto a: r = s /x 2 + y 2 .


Ma la funzione definita da

A/ l !xy
°{x, y ) =r x2 + y‘
su R2 - {(0, 0) }

non è infinitesima per r tendente a zero.


E’ importante perciò dimostrare che la continuità delle derivate prime di /
implica la differenziabilità di f

19.3. T eorema (Criterio di differenziabilità). Se la funzione f : I -> R è dota­


ta di derivate prime in un insieme aperto I di R 2 essa è differenziabile in ogni punto
di I ove le derivate parziali prime sono continue.

Dimostrazione. Sia invero Pn = (x p, Vn) un punto di / ed R un intorno r5tt«S"


golare di P 0 appartenente ad I. Se Ax, Aji sono sufficientemente piccoli in modo
che (x 0 + Ax, y 0 + Aji) sia in R , l’incremento A /s i può scrivere nella forma:
208 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle fu n zio n i di più variabili §19

A / = f ( x o + A x , y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0) = f( x 0 + A x , y 0 + A y) -

- f ( x Q, y 0 + A y ) + f ( x 0, y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0) .

D’altra parte, iti virtù del teorema di Lagrange per le funzioni di una variabile,
si ha:

f ( x 0 + A x ,y 0 + A y) f ( x 0 j yo + A y ) = f x (x 0 + 6 1A x , y 0 + A y ) A x

f ( x 0, y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0) = f y (x0, y 0 + 92 A y) A y

essendo 6 i-e 82 due opportuni numeri compresi fra 0 ed 1, e quindi:

A f = f x {x0 + 8 l A x ,y 0 + A y) A x + f y (x 0, y 0 + Ù2 A y ) A y .

Posto allora:

f x (x a + 0 i A x , y o + A y ) —f x (x 0, y 0) = aj

f y (x o ,y 0 + 9 2 A y ) —f y (x0, y 0) = a2

« i A x + a2 A y = t a ( t ¥=0)

ove, ricordiamo, è:

r = \/A x 2 + A y 2 ,

si ha:

A f = f x {x0, y 0) A x + f y (x 0l y 0) A y + t a . (19.8)

Ma, perla supposta continuità di f x , f nel punto P0 si ha:

lim aj = lim ct2 = 0 ,


1—>■0 7— >■0
§ 19 Differenziale delle funzioni di due e di più variabili reali 209

e quindi, essendo:

lcrl< laj 1+ la2l

segue:

lim a = 0
T "*0

e ciò, tenuto conto della (19.8), equivale alla (19.1'). ossia assicura la differenziabi-
lità d i/n e l p u n to lo - QED

Se la funzione / è differenziabile in ogni punto dell’insieme I, l’operazione


di differenziazione associa a d / l ’applicazione

d f : (X, y ) e i - > (d f) (x y) e , f ( R \ R)

ove

Ay .

Le nozioni esposte sin qui per le funzioni di due variabili si estendono imme­
diatamente alle funzioni di n variabili, n > 1 .

19.4. Definizione (Differenziale in R”). Sia / : I -> R una funzione definita


in un insieme aperto I di R" e sia x 0 = (x ° , x %,. . . , x ° ) un punto di I.
L’incremento

A f = f ( x o + A x ) - f ( x 0)

è di certo definito per ogni A x = ( A x i, A x 2, . . . . A x n) dell’intomo <$fp (0) con


p e R+ sufficientemente piccolo. Diciamo c h e /è differenziabile in Xo se esistono n
numeri reali i = 1, 2 , . . . , n; generalmente dipendenti da jc0 tali che la funzione

n_
A x e ^ p (0)-> A f ~
210 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili 19

risulti infinitesima nell’origine di ordine superiore a II A x II; si abbia cioè

i=i
lim -------------------------- = o (19-9)
HA x II-+0 IlA xII

dove

Chiamasi allora differenziale, od anche derivata totale della funzione f nel punto x 0
(l’unica!) funzione lineare su B” che verifica la condizione (19.9) e che viene indica­
ta con

Lasciamo ai lettore la facile cura di dimostrare che

19.5. Teorema (Conseguenze della differenziabilità). Sia f : I -*■ E differen­


ziabile in x 0€ I, ove I è un insieme aperto di R". Allora essa è continua in x 0 ed ivi
dotata dì derivate parziali per le quali risulta

In tal modo risulta provata l’unicità affermata nel corso della definizione (19.4).
Lasciamo al lettore anche la cura di dimostrare la seguente estensione del
teorema iv .3 al caso delle funzioni di più variabili reali.

19.6. T eorema (Criterio di differenziabilità). Se la funzione f : I ~*R, defini­


ta in un insieme aperto di I di R”, ammette in I derivate parziali che sono continue
in x 0 £ / allora f à differenziabile in x 0.
Come per le funzioni di una variabile reale ci sarà utile introdurre la seguente
definizione.
19 Differenziale delle funzioni di due e di più variabili reali 211

19.7. Definizione (Classe Ck). Se / : I -*■ R è continua nell’insieme aperto I


di R" diremo che f è di classe C° in I od anche che / e C° (I) oppure più brevemen­
te f e c(i).
Se inoltre f ammette derivate parziali / ; i= 1 , 2 ,
i n ogni punto d i/
■*1 “
e queste sono continue in I diremo che / è di classe C 1 i n i od anche che f'G Cl (/).

Figura 3.3,

Se per un fissato k £ N esistono tutte le derivate parziali di ordine k di / in


ogni punto di / e sono funzioni continue in I diciamo che f è di classe Ck in I od
anche c h e / e C k (I).
Se infine / £ Ck (f) per ogni k e N diciamo che / £ C°° (f).
Dai teoremi 19.5 e 19.6 segue allora

19.8, Teorema (Inclusioni di Cfc). Se f & C l (I) allora f £ C’° (I), e, più in
generale, se allora f G C k ~ 1(Ij, k £ N.

19.9. Osservazione. Dal teorema di inclusione 19.8 e da quanto osservato in


18.3 e dopo la definizione 18.4 segue in particolare che se f s Ck (I) allora nelle
derivate parziali miste di / di ordine v < k l’ordine di derivazione è irrilevante sem­
pre che si faccia uno stesso numero di derivazioni rispetto a ciascuna delle variabili,
pertanto in questa ipotesi le derivate parziali di ordine v < k di f possono
essere indicate con la notazione

3 vf

dx\ 'ò x ’z . . . 3x^”

n
con p. interi non negativi tali che P rv
z
212 Cap. I li - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 19

19.10. Osservazione, a) Osserviamo che per n = 1 la condizione di differenzia­


bilità in x 0 di una data / , quale è espressa dalla definizione 19.4, è soddisfattale e
soltanto se / è derivabile in x 0 ; ciò è stato provato nel teorema 45.4 del primo volu­
me. E’ per questo motivo che per le funzioni reali di una variabile reale non fu in­
trodotta, nel primo volume, la nozione di differenziabilità.

b) Osserviamo anche che da parte di molti autori il differenziale

m xx 0

di una /:/-» ■ R differenziabile in x 0 G I è chiamato semplicemente derivata oppure


derivata secondo Frechèt d i/ in x 0 ed e indicato con la notazione

/' ( * o) •

La preferenza da noi data alle notazioni usate è dovuta al fatto che nel caso
n = 1 avremmo avuto due significati per la derivata d i/ in x0 e per la corrispondente
notazione f'{ x 0). Un primo significato, quello adottato fin dal primo volume, in
cui /'(% ) e R ed un secondo significato in cui f '( x 0) e A (R), per il quale abbiamo
preferito la notazione (df)Xn. Naturalmente tale ambiguità non avrebbe avuto
carattere sostanziale in quanto f '( x 0) e R è la matrice di rappresentazione rispetto
alla base canonica di R della applicazione (d f)Xo e A (R); oppure, in altre parole

{df)H (h) = f ( x 0) h , per ogni h e R .

Concludiamo questo paragrafo introducendo la fondamentale nozione di vettore


tangente ad un insieme in un punto, nozione che consente di generalizzare quella
di retta tangente al grafico dì una funzione considerata nel n. 46 del primo volume.
Tale nozione ci permetterà di mettere in luce un importante significato del diffe­
renziale.

19.11. Definizione (Vettore tangente; cono tangente). SiaS un sotto insieme


di R" e sia x 0 G S un punto di accumulazione di S.
Sia (x. ; / e N) una successione di punti di S tale che lim x = x 0 fx.¥= x0,
J-4-ao
Xj-Xo
per ogni z 6 N e supponiamo che esista u G R" tale che lim --------------- = u
/-»« Il x. - x 0 II
a) D’accordo con la definizione 46.1 del primo volume diremo che u è un vet­
tore unitario tangente ad S in x Q; più generalmente, diremo vettore tangente ad
S in x 0 ogni y E R" tale che per un X > 0 si abbiav

v = Xu .
§ 19 Differenziale delle funzioni di due e di più variabili reali 213

b) L’insieme C(S; Xq ) costituito da tali vettori v:

C(S, x 0) = {v € R" : X > 0, v = Xu, u vettore unitario tangente in x 0 }


(19.10)

che di fatto è un cono di R" di vertice in 0; è detto cono tangente ad S in x 0 .


c) L’insieme

x 0 + C(S, x 0) = {w G R" :w = x a + v ,v & C(S, x 0) } (19.11)

è detto il cono affine tangente ad S in x 0 .


Sussiste il seguente fondamentale teorema

in R X R in R2 X R

Figura 3.4
214 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili §19

19.12. Teorema (Iperpiano tangente). Sia I un insieme aperto di Rrt,


f : I ^ R- se e I e se esiste (d f ’) allora, detto I \ il grafico di f i n R” X R cioè

r/ = { ( * ,y ) e /X R : ^ = /( x ) }

e, detto z 0 = (x 0, f ( x 0)) € Tr abbiamo

C ( r . , z 0) = { ( h ,k ) E R n X R : k =(d n (h ) } (19.12)
/ 0

e pertanto C (Y^ ,z 0) è un sottospazio vettoriale di R" X R e più precisamente un


iperpiano (vedere problemi 12. 7 e 14.8).
Inoltre posto

ir(r/ .* o ) = * o + C ( r / 1z 0) (19,13)

allora z 0) è un iperpiano affine di R" X R :

ff (rr z 0) = {(«. n) e R" X R : v = f( x o) + («*/),o({ - x 0) } (19.14)

Dimostrazione. Siav C (r a z 0) e s ìa v - i h , li) £ R " X R.


6
Allora esiste una successione z ( : i E N di punti di I"y convergente in R" X
X R verso Zq = (xo, f ( x o )) ed un numero X > 0 tale che posto a. = Iz — z 0 il si
abbia

z. - z 0
lim X —------ - - v (19.15)
i->°° a.I
per il teorema 2.3 (limite per componenti) ne segue

X(x. - x 0) f( x .)- f( x 0
lim ------------- - = h, lim X --------------------- —k . (19.16)
OC. n~>°° OC.

Ma per l’ipotesi di differenziabilità d i/ in x o possiamo scrivere


f( x .) - f ( x 0) = (d f)Xo (x. - Xo ) + Il x . - x 0 II e (x. - x 0)

ove lim e (x. - Xo) = 0 .


j—J.OO

Ne segue per la continuità della funzione (df)


Xo E £(R n , R)
§ 19 Differenziale delle funzioni di due e di più variabili reali 215

j X. — X 0 \ Il X. - Xll
k = lim {(df) IX ” -------- + ----- !— — e ( x .- X o ) } = {df) (h)
i^-o« x° \ a. / a. 1 0
(19.17)

Abbiamo cosi provato che

C ( r ., z 0) C {{h, k) e R" X E : k = (tffì Qi) }


J x0

Viceversa sia (h , li) 6 K” X R tale che

k = (d f)x QÌ), h¥= 0,

e sia

z. - (x 0 + ~r h, f { x 0 + 7- 1 G Vf .

Poniamo per ogni ( £ N .

.= » 2 .- Z n l l = ili — II2 + l A . f l 2 f
' * ^ I ? f i

ove

A,. / = / ( * < > + — ) - / ( x 0 ) .

Ne segue

A[ J/ , h\ 1 / h\ h ih
i(A. / ) = ; | / ^0 +T j - / C *o ) j =« - j(rf/ )Xo +

con e ( ~ j infinitesimo al tendere di i all’infinito e pertanto


216 Cap. I l i ■ Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 19

lim ic c = lim {\\h\\2 + j-1/ 2 =


/—yco oo *
= {\\h \\2 + \( d fi {h)\2 Y n

Se ne deduce, posto z. = (xr / ( x .) ) , 7 = {Il h\\2 + I(df)x ^ {h) I2 }1/2

- x0 1 1
---------- --------- i (x. - x 0) = -------- - h
aj ÌOt( ‘ i 0i(

e pertanto

«,■ - -«o h
lim
l‘->« Oi.
I

ed anche
f ( x , ) - f ( x 0) ■ 1 . A „ 1
l i m ----------------- - = lim ----- 1 A . / = — (d f) {h )
1-+00 1a.

Dal teorema 2.3 (limite per componenti) segue così

z. - z 0 1
lim ----------- r = — (h, {d f ) (h)) G R " X R
r-»“ Il z. z 0 II 7

e quindi

(h, (df)x J h ) ) e c ( r f . z 0)

in modo che la (19.12) è provata.


Ne segue ovviamente anche la (19.14) ed il teorema è cosi completamente
provato. QED

* Problemi

19.1. Studiare la differenziabilità nel punto (0, 0) di ciascuna delle funzioni del
problema 18.2.

19.2. S ia /G £ (R " ); determinare {df) , jc 0 G R".


X0 -1
19.3. Sia <p : R” X R” -» R bilineare. Determinare {dtp). . , (x 0. 7 o ) G R" X R”:
{x0 >yov
§ 19 Differenziale delle funzioni di due e di piu variabili reali 217

19.4. Siano f g : / -> R, / un insieme aperto di R", differenziabili iir x 0 e i e sia


a e R.
Provare che
0 f + e, a f . f g sono differenziabili in x 0
li) f/g è differenziabile in x 0 se g (x 0) 0

iii) esprimered(f+ -g)x ,d_(aj)x , d(f/g)x

19.5. S ia /: / - * R ove I h un insieme aperto di R2 e sia (x 0, y 0) <SI,


Provare che se esiste f x (x0, y 0) e se / esiste in un intorno di (x a, y 0) ed è
continua in (x 0. ^o) a llo ra /è differenziabile in (x0, y 0),

19.6. S i a / : R" -> R tale che risulti

l / ( x ) l < llxll2

per ognix = (x 4 . . . xn) e R". Provare c h e /è differenziabile in x = 0.

19.7. S i a / : [0, + °° [-*■ R tale che

m - m
lim -----------------= a 6 R
h-»o h

Si pónga

$ ■ { x , y ) £ R2 -*< l>(x,y)= f(y/xi + / ) e R

Studiare la differenziabilità di 0 in (0, 0)

19.8. S ia /: R2 -+ R definita mediante

0 in ( 0 , 0)

f(x, y ) =

Provare che / è differenziabile in (0, 0); osservare che f x , f non sono conti­
nue in ( 0 , 0)

19.9. Sia/ : R 2 -> R differenziabile in (x0. yo) e R 2


Si abbia

r"L
218 Cap. H I - Calcolo differenziale delle fu n zio n i di più variabili § 20

ove u —( 1 , 2) G R2, v —( 2 , 1) £ R2 . Determinare

19.10.Provare che per ogni l e N risulta

C*(R 2) D C fc+1 (R2)

Ck (R2) vt C fc+1 (R2)

19.1 IProvare che l’insieme C(S, x 0) definito in (19.10) è chiuso.

2G. - D e riv a te delie funzioni composte di più variabili. Applicazioni.

Sia /: /- > R una funzione defìnitia in un insieme aperto / di R2 e siano ip,


ijj : J -> R due funzioni definite in un intervallo aperto / di R tali che (f(f), >//(?)) £
£ 1 per ogni f £ /.
E’ possibile allora considerare la funzione composta

F: ? e / - * - F ( j ) = / ( v > ( 0 > •

Ci proponiamo di dare condizioni che assicurino la derivabilità di F e di esprimere


la derivata di F per mezzo delle derivate delle funzioni f fi, \p. Allo scopo stabilia­
mo il seguente teorema

20.1. Teorema (Derivata delle funzioni composte). Se la funzione f è diffe­


renziabile nel punto (fi>(t0}, 4i(t0)) c se le funzioni <p, 4>sono derivabili nel punto
f0 allora la funzione F è derivabile nel punto t 0 e si ha

F'(to) - f x Or (to). 4>(-o J)fi (to) + / y (‘fi (lo), r (io ))'■/■’ (to ( 20 .

Dimostrazione. Poiché / è un insieme aperto e poiché le funzioni ip, 4/ sono


continue in t0, in quanto ivi derivabili, esiste 5 6 R+ tale che se I Ari < 5 risulti

(fi(t0 + A t), \p(t0 + A ! ) ) £ / .

Poniamo x 0 = fi(t0), yo = 4*(tò) e Per °Sni IA f K 6 poniamo A x = <p(t0 + A f) -


§ 20 Derivate delle funzioni di più variabili 219

—'P(^o). Ày = ^ (f 0 + A l) — i//(r0)-
Posto quindi come di solito r = {A x 2 + A y 2 }1/2 e definito a (A x , A>>) co­
me nella (19.3') se r ¥= 0 e a(0, 0) = 0 otteniamo, per la ipotesi di differenziabilità
d
i
/
in(
v>
(f
o)
>lK
*o
)
)'
F ( t0 + A t) — F ( f 0) = / ( x 0 + A x , y 0 + A y ) f ( x 0, y 0) =

=fx (x 0, y 0) A x + f y (x 0, y 0) A y + T ' o ( A x , Ay ) (20.2 )

ove

lim a ( A x ,A y ) ~ 0
t -» o

Dalla (20.2) dividendo per A t , si ottiene:

F ( t0 + A f ) - F ( t 0) Ax , Ay t
------------ 7"------------ = fx (x 0, y 0) - ~ + / (x o .l'o ) — + <? — (20.3)
At x At y At At

Osserviamo ora che, essendo per la ipotesi di derivabilità di <p e $ in f 0

lim — = %
V ( r 0) 2 + 1? '(fo ) 2 }m
A o At

ne segue lim r = 0 e ancora: lim a = 0. Di qui, passando al limite per A t ten-


A '- *0 a t-* o
dente a zero nella (20,3), si dimostra il teorema e si prova la (20.1). QED

La formula (20.1) si può scrivere anche sotto una delle forme:

dF 3 / dtp 3 / d ii
F '= fx <p'+fy f ( 20 . 1')
dt dx d t 3y dt

senza mettere in evidenza i punti dove sono calcolate le singole derivate, T.a formula
( 20 . 1) generalizza quella nota per la derivazione delle funzioni composte di una
variabile.
L’estensione del risultato precedente al caso delle funzioni di n variabili, n >
> 1, è immediata. In generale sussiste il seguente teorema.

20.2. T eorema (Derivate delle funzioni composte in R"). Sia / : 7 -> R una
funzione definita in un insieme aperto I di R” e siano ip. : A -* R; / = 1, 2 , . . . , n;
220 Cap. Ili-Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 20

n funzioni definite in un insieme aperto A di Rp tali che al variare del punto t =


= ( ti, t2, . . . , t ) in A il punto di coordinate (<p\(t), f>2(t),...f> Jtj) appartenga ad
I. Se le funzioni ip. (i= 1 ,2 , , n) sono derivabili parzialmente in tG A e la fun­
zione f è differenziabile in <p, (t), tp2 (t), ■ . . , <pn (f)) e I allora la funzione compo­
sta:

te A -4 F (tu t2, . . . , t p) = / [ < P i( f i,...,? p), (p2( f i , . . . , / p) , (20.4)

è dotata di derivate parziali in t e sussiste la formula:

H L -S T IL - d'p< -
dti h i dxi dtj
(20.5)
9/ 9 / 9ip2 3/ d fn
-------- — H---------------- <7 = 1, 2 , . . . ,p )
ò xi 9 tj à x2 dtj dx 9 1.
n ì

Nella formula (20.5), beninteso, le derivate ------ sono calcolate nel punto (<p2(i),
dx.I
¥>i(0 ,....¥ > „ ( 0 ),
Se oltre alle ipotesi formulate nel teorema 20.2 si suppone che-/£ C 1(1), <p( £
£ C 1 {A )\i = 1 ,2 , . . . ,n ; allora dalla (20.5) si deduce anche c h e F e C 1(/l).

A titolo di esempio consideriamo una matrice quadrata di ordine n i cui ele­


menti ifjj siano funzioni derivabili di una variabile in un intervallo aperto I.
Poiché la funzione

det A : (a{. : i, f= 1, 2 , . . . , ri) = A G R"’ -+ det A £ R

è un polinomio nelle n2 variabili e pertanto una funzione differenziabile su R2 ,


applicando il teorema 20 .1 alla funzione

D : t e i - * det ( ^ .( t) : i.j = 1, 2 , . . . ri) G R

avremo per ogni t G l

dD 9 det A d y .J t)
-E dt
(20.5')
§20 Derivate delle funzioni di più variabili 221

D’altra parte, per il primo teorema di Laplace, per ogni fissato ( = 1 , 2 ......... « si ha

n
det A ~ aHA ii
/'= i

ove A y è il complemento algebrico di a., in A . Ne segue per ogni /, / = 1 ,2 ......... n;

9 det A

in modo che dalla (20.5*) sì ottiene

(20.6)
dt

Facendo nuovamente uso del primo teorema di Laplace abbiamo cosi dimostrato
che:

20.3. Teorema (Derivata del determinante). La derivata del determinante di


una matrice quadrata di ordine n i cui elementi sono funzioni derivabili in un dato
intervallo è uguale alla somma dei determinanti di n matrici ognuna delle quali si
ottiene dalla data derivando gli elementi di una riga (o colonna) e lasciando inai- -
terati gli elementi delle altre righe (o colonne).
Alcune importanti conseguenze del teorema 20.1 sono espresse dai seguenti
teoremi. Il lettore peraltro osservi che una dimostrazione diretta del primo di questi
può essere effettuata con un ragionamento analogo a quello effettuato per
dimostrare il teorema 19.2.
20.4. Teorema (Calcolo di derivate direzionali). Sia I un insieme aperto di
R" e sia f : I ■ * R differenziabile in x 0 G I. Allora per ogni tE R " esiste la derivata
di f in xo secondo il vettore v e risulta

(20.7)
dx.

Dimostrazione

Poiché x 0 G I ed I è aperto esiste 6 G R+ tale che per il dato ®ER" si abbia


x 0 + tv G / se 11 1< 5. E’ allora possibile considerare la funzione
222 Cap. III- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili 20

: t £ ] —6 ,5 [■ > ip(t) —f ( x 0 + tv) £ R

e ricordare che, per il teorema 18.6, (proprietà delle derivate direzionali) (df/dv)x
esiste se e solo se esiste i / ( 0) ed in tal caso risulta 0

Ma le nostre ipotesi assicurano, per il teorema 20.1 (derivata di funzioni composte),


1’esistenza di ip'(0) ed inoltre dalla (20.5) abbiamo, posto » = (®i, « 4, . . . , t» ),

Il teorema è così provato. QED

In varie circostanze si rivela utile la seguente definizione.

20.5. Definizione (Gradiente) S e I è un insieme aperto di E” e / : / - > R è


differenziabile in x 0 £ /, il vettore

Cf (*o)./ _ (*o)•■■4 (*o))eR" (20.8)


xi xi xn

sarà chiamato gradiente di f nel punto A'0 e indicato con la notazione (grad f) o
anche V/(x 0)
Evidentemente (grad./) può essere identificato con la matrice di rappresen­
tazione rispetto alle basi canoniche (eìt e2, . . . , en), e\ = 1 di R" e dì R di

(df)x £ £(R", R) (vedi def. 14.1). Inoltre, d’accordo con quanto detto nel proble­
ma 14,3, le componenti di (grad /)* costituiscono le coordinate di (df)x rispetto
alla base canonica duale di R” (vedere anche il n. 48).

Pertanto, si può pensare che per le funzioni di classe C 1 l’operatore di differenziazione opera
nel modo seguente, con I insieme aperto di R”,
d : f e C 1 CO-* d f s C "(/, JC(Rn, R )),

m e n tr e

V : / e C ’ 0 ) - V /e [ C ” (f, R)]'
20 Derivate delle / unzioni di più variabili 223

Introduciamo anche le seguenti notazioni relative ad altri operatori differenziali


alcune delle quali saranno frequentemente usate nel seguito

div/ = ^ IL I-* R n ;n > 2 ; : (divergenza d i f, n. 49)


; = i dx.

a/ 3 3/2 _ _ _ 3 ^ _ _3/i
r o t/=
dx-i 9x 3 9x 3 9 x j ’ 9 jc !

(rotazionale d i/ , n. 49, se n = 3)

A 32/
A / = div (grad / ) = ) — —: (operatore di Laplace);/; I -> R .
hr 3xf

Facendo uso di questa nuova notazione la (20.7) può essere anche riespressa nel
modo seguente

( ¥ ) (x 0) = ((grad /) ,v )
\ 9v J 0

ove a secondo membro compare il prodotto scalare dei due vettori (grad A e v\
ciò segue ovviamente dalla ( 20 .8). *
Proviamo la seguente estensione del teorema del valor medio di Lagrange alle
funzioni di più variabili reali.

20.6. Teorema (Valor medio di Lagrange). Sia / : / -> R, o v e I è u n insieme


aperto di R", differenziabile in ogni punto del segmento [x0, x 0 + h] 6 /
(vedere def. 7.4 segmento). Allora esiste 6 S ] 0 , 1[ tale che

f ( x 0 + h) - f ( x 0 ) = (d j ) , „ Qi) (20.9)
x q -ruri

e ciò che è lo stesso, posto h = (hl t . .. , h )

n
f ( x 0 + h) - / ( * „ ) = 4 . (x o + 9 ft)h t (20.9')
i —i

Dimostrazione. Sia 1p la funzione


224 Cap. I li- Calcolo differenziale dette funzioni di pni variabili § 20

ip : t e[0,1 ] 'p{t)= f ( x <3 +th)eR . (20.10)

Per le ipotesi e per il teorema 20.2 (derivata di funzioni composte), tale ip è deriva­
bile in ] 0 , 1[ e continua in [0, 1]. Per il teorema del valor medio (di Lagrange) dato
nel primo volume per le funzioni reali di una variabile reale (teor-. 51.3) esìste allora
6 S ]0,1[ tale che

*>(1) - * > ( 0) = V ( 0)

Dalla (20.10) segue pertanto per la (20.5)

n
f ( x 0 + h) - f ( x o) = f x Xx ° + eh) hi = (df ) Xo +oh <70 ■ QED
i= i °

Osserviamo anche che d’accordo con il teorema 9.11 (Limitatezza delle funzioni li­
neari) risulta

l/(* o + h ) - f ( x 0)1 < Il h II sup {\\(df)X' + th\\ : t<=[ 0 ,1 ] } (20.9")

essendo II(df)^x +th^ Il definita come in 9.13.


Dimostriamo ora alcuni teoremi che estendono alle funzioni di più variabili
proprietà note per le funzioni di una sola variabile.

20.7. Teorema (Funzioni costanti). Sia I un insieme aperto connesso di R" e


sia f: I - + R avente derivate parziali prime nulle in I, Una tale funzione è costante in
I.

Dimostrazione. Siano x 0 e x due punti di I: per quanto supposto, e per il


teorema 7.8 (criterio di connessione per, archi di R") esiste una poligonale di
vertici Xq , x i , . . . , x n = x costituita di punti di I. Detti x {, x .+ 1 due vertici con­
secutivi di tale poligonale sul lato x {, x (+ 1> la funzione f è funzione di un para­
metro t, ascissa del segmento che passa per x., x j+1 e quindi la funzione consi­
derata è costante sul segmento in conseguenza del teorema del valor medio 20 .6 e
del criterio di differenziabilità 19.6. Si deduce allora:
/(*<>)= /(*.) = . . . = / ( * ) ■

e ciò dimostra che in ogni punto x di I la funzione assume lo stesso valore che in x 0.
QED
§ 20 Derivate dette funzióni di più Variabili 225

Il seguente teorema estende alle funzioni di più Vàriabili il teorema 52.1 del
primo volume.

20.8. Teorema (Funzioni costanti su domini). Se I è un 'dominio di R” il


cui interno 1° è connesso e se f : I -*■ R è continua e dotata di derivate parziali
prime nulle in 7° allora f è costante in I.
Lasciamo al lettore la facile dimostrazione di quésto teorema e osserviamo
che se l’insieme aperto I del teorema 20.7 oppure il dominio I del teorema 20.8
sono generici i risultati enunciati possono cadere in difetto. Proponiamo al lettore
di verificare questo mediante esèmpi.
Dai teoremi ora enunciati si deduce immediatamente

20.9. Teorèma. Due funzioni definite in uno stesso insieme aperto connesso
I di R " aventi nei punti di I derivate parziali prime uguali differiscono i n i per Una
costante.

20.10. Teorema. Due funzioni continue in uno stesso dominio I, il cui inter­
nò è connesso, ivi dotate di derivate parziali prime uguali differiscono i n i per Una
costante.
Lasciamo al lettore il facile compitò di dimostrare questi teoremi.
Il teorema 2Ó.8 può èssere generalizzato supponendo nulle soltanto alcune
dèlie derivate parziali, ad esempio, lé prime r. Sussiste à quésto proposito il seguen­
te teorema che enunciamo, per semplicità, nel caso particolare: r ~ 1.

20.11. Teorema (Indipendenza da una variabile). Sia f : / ->• R una funzione


continua in un dominio I avente la derivata parziale d fjd xn nulla in I. Se il domi­
nio I è tale che ogni retta di equazione: x . = x°. (i = 1, 2 , . . . , n - 1) incontra il
dominio I al più in un unico segmento, ìa funzióne non dipende da x n. Uguale
conclusione s e i è un insieme aperto di R” .
Dimostrazione, Per ogni (n — 1) — pia di valori (* i, x 2, ■ . . fissata,
la funzione / risulta funzione continua della sola x n la quale, essendo definita in un
unico intervallo ed avendo derivata prima nulla, è costante. QED
Concludiamo questo paragrafo con una applicazione della teoria esposta
allo studio delle funzioni omogenee.

20.12. Definizione (Funzioni positivamente omogenee). Sia I un insieme


apèrto di R" tale che se x 0 G l allora t x 0 G I per ogni t è R+ ; cioè tale che se
x Q G l allora tutta la semiretta che congiunge x 0 con l’origine appartenga ad /;
tale origine al piu esclusa. Se / : / -*• R è tale che, per uh opportuno a e fi, si abbia
22 6 Cap. -Ili. Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 20

f ( t x ) ^ t V (x ) ( 20. 10' )

per ogni x G l e per ogni t G R , allora diciamo che / è positivamente omogenea


di grado a in I.
Se supponiamo inoltre che f G C1 (f) derivando ia (20.10') rispetto ad x'.
i = 1,- 2, . . . . n; e dividendo successivamente per t otteniamo per.,ogni x G l e
per ogni t 6 R+ .

4
,(
*)='"
“%<
*
)■
Abbiamo cosi dimostrato il teorema.

20.13. Teorema (Derivata di funzioni omogenee). Le derivate prime di una


fG C l (Ij positivamente omogenea di grado a in 1 sono funzioni positivamente omo­
genee di grado ( a - l ) ini.
Sussiste ancora il seguente teorema

20.14. Teorema (di Eulero). Condizione necessaria e sufficiente affinché


f £ C l (l) sia positivamente omogenea di grado a m i e che si abbia

per ogni x 6 1 . ( 20 . 11)


1=1

L a (2 0.11) è anche d e tta id e n tità di E ulero.

Dimostrazione. La relazione (20.10') può anche scriversi sotto la forma

~ f ( t x u tx ì , . . . , txn) = f ( x u x 2, . . . , xn) . (20.10")

Consideriamo allora la funzione : R X /- * R definita mediante

f>(t,x) = —g p f{tx ) ;

evidentemente w £ C' (R+ X/).


Se f è omogenea di grado a, dalla (20.10") si deduce che la funzione ipnon di-
pende da t; viceversa se ciò si verifica, deve essere, per ogni t G R+ e per ogni x G l
§ 20 Derivate delie fu n zio n i di più variabili 227

V>(t;x) = ip (l,x )

donde la (20,1 0"). Quindi la indipendenza della funzione V da 7 per t £ R+ e quindi


(teor. 2 0 . 11) la relazione: ~ i

0
----- <p(t, x ) = 0 (20.11")
07

è condizione necessaria e sufficiente affinché la / sia positivamente omogenea di


grado a .
Esplicitando tale relazione si trova:

per ogni ( t, x ) 6 R+ X I .

Ciò implica la (20.11) facendo t - 1. D’altra parte la (20.11) implica la (2 0 .1 1').


essendo tx G / quando x £ / . QED

Aggiungiamo ancora che una funzione si dice omogenea di grado a e Z (cioè


a è un intero positivo negativo o nullo) in / se l ’insieme aperto/contiene con ogni
x anche tx se i è reale non nullo e se la ( 2 0 .10 ?) è verificata per ogni x £ / e per
ogni valore reale di t escluso al più il valore t - 0. E’ ovvio che per una tale funzione
vaie ancora la relazione di Eulero (20.11).

Osserviamo ancora che una funzione omogenea di grado 0 in / = Rn — {x G


G R'! : x n - 0 } soddisfa la relazione

Curve di livello di una


\ \
funzione positivam ente
omogenea di grado 0

Figura 3.5
ij ■

228 Cap. I li- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili 20

dalla quale si deduce che una tale funzione di grado zero dipende esclusivamente
dal rapporto di n — 1 variabili alla rimanente. In particolare:

20.1S. Teorema (Funzioni omogenee di grado 0). Una funzione omogenea in


due variabili di grado zero in I = R2 - {0 } dipende solo dal rapporto delle due
variabili.

20.16. Osservazione. Introduciamo ora una classica notazione per il differen­


ziale che si rivela assai suggestiva in varie circostanze quali ad esempio la regola di
derivazione delle funzioni composte o quella più generale del cambiamento delle
variabili della quale ci occuperemo nel prossimo capitolo. Data ad esempio una
funzione / : / ->• R ove I è un insieme di R2 , indichiamo con (x, y ) il generico
elemento di / e con z il genèrico elemento di R, quindi interpretando la /c o m e un
legame fra le variabili (x, y ) e z; riscriviamo la / nel modo seguente

( 20. 11" )

Se / è differenziabile in / la stessa cosa facciamo con (df)^x . ; (x, / ) e /; chiaman­


do però (dx, dy) il generico elemento di R2 e dz il generico elemento di R:

(
d%,v
)'^dX *
dyì e R
2"
*
■dz =4 dx +
fy (*•f
)^e
R(2
0
.1
2)
Y
Usando questa convenzione la regola di derivazione delle funzioni composte data
nel teorema 20,1, ove erano considerate anche due funzioni <p’ >Pdifferenziabili su
di un intervallo / di R

ip ' t £ J ~r X ~ <p(t) £ R
(20.13)
ip : t e J - y y = ^ ( t ) e R

tali che (<p(t), \j/(t)) E 1 per ogni r e / , può essere ad esempio espressa attraverso
il seguente “procedimento formale” :
Si differenziano le funzioni tp, ii

(dtp) : d t€ R - * d x = tp (t)d t £ R
(2 0 .1 4 )
(d \li)\d te R ^ d y = y (t)d te R ,

si pone quindi nella (20.12) tp(t), \ji(f) al posto di x e y rispettivamente, e <p'(f) dt,
<l/’(t) d t al posto didx e dy rispettivamente, ottenendo
§ 20 Derivate dette funzioni di pm variabili 229

dz = {f x Qp(t), m ) v'(t) + fy (¥>(0, iKO) 'P'(t) } d t . (20.15)

Il primo fattore a secondo membro costituisce allora la derivata della funzione com­
posta /(¥>(/), iHO)-
Nel seguito però, salvo soltanto in qualche caso particolare-(fra i quali quello
cui abbiamo accennato all’inizio) ove sarà fatto esplicito riferimento a quanto ora
osservato non faremo alcun'uso delle considerazioni qui introdotte.

■ Problemi.

20.1. Sia / : R2 -> R differenziabile su R2 e sia F : R+ X R definita mediante

F(p, 0 ) = / ( p cos 6 ,p sen 6) .

Provare che:

fJ C = p C O S 0
y=psen$

per ogni (p, 0) £ R + X R .

20.2. S i a / : R2 ->■ R e sia P0 = (x„, Lo) 6 B 1 . D a ti« = ( l , 3 ),» = (3, l ) ,w = ( l , l )


supponiamo che si abbia

Esiste (d f ) ?
“o
20.3. S ia /: R” -> R differenziabile in x 0 £ R” . Provare che

H d f)x 11= ll(grad/) Il


•*0 x0

La norma a primo membro essendo quella definita in 9.13 e quella a secondo


membro essendo la usuale norma dello spazio euclideo R” .

20.4. Sia / : R" R differenziabile in R” e sia x 0 £ R” tale che (grad f) x :f= 0.


Provare che la direzione u rispetto alla quale 0
230 Cap. U f- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili

è data da:

(grad / )
_________ X6
Il(grad/) Il
X0

20.5. Sia / : / -> R ove I è un insieme aperto di R". Provare c h e / e C1 (7) se e solo
se l’applicazione

d f : x <E l - *( d f ) x G J ^ R ^ R )

è continua; la nonna di £(R n, R) essendo quella introdotta in 9.13 .

20.6. Sia f : R" -» R differenziabile in R" e tale che f ( t x ) = f/(x ) per ogni x G R”
e per ogni i 6 R . Provare che / èrma funzione lineare su R'.!
Sia / : R” -> R di classe C1 su R" e tale che f { tx ) = f ’f i x ) per ogni x 6 R” .
Provare che f è una funzione quadratica su R", cioè esiste <p : R" X R” -+• R
bilineare tale che f (x, x) ~f ( x ) per ogni x G R".
Perché / : R2 -*■ R definita mediante

f (?c, y ) = \ / x* + x 2 y 2 + / *

è tale che f(tx , ty) = t 2 f( x , y ) e ciò nonostante / non è quadratica?

21, - Derivate di ordine superiore di una funzione composta di più


variabili. Formula di Taylor.

Riprendiamo la questione, considerata al numero precedente, della derivazio­


ne di una funzione composta. S ia / e Ck (/), ove / è un insieme aperto di R", k G N,
siano poi

<f>! : r £ ]a, -> ^ (f ) G R ; / = 1, 2 ,..., n ;

n funzioni di classe CK neJl’intervallp ]a. b[ e supponiamo inoltre che, al variare di


t in ]«, b[, il punto <p(t) di coordinate (<Pi(0. ■ ■ ■ ><P„(0) da in I, per modo
che risulti definita la funzione composta

F : t e \ a , b \ ^ P(f) = / [ * , (0 (0 ......

Abbiamo già provato nel numero precedente la derivabilità di F ed espresso la deri­


vata prima di tale funzione se k = 1. Ci proponiamo ora di dare l’espressione delle
§21 Derivate di ordine superiore di una funzione di più variabili 231

derivate di F di ordine < k, che nelle nostre ipotesi esistono in conseguenea del
teorema 20.2 (derivate di funzioni composte). Se k = 2 derivando con la regola di
derivazione delle funzioni composte otteniamo, d ’accordo con la (20.5).

, A (àf dtp.
per ogni t e ] a, b [
dt

e da questa derivando ulteriormente si trova, per ogni t<=.]a,b[

a1/ dip. dip. /3 / \ d2#.


7”w = L V
i- l b- ir \ 3 x .i b x).J' 0(r) dt dt \dx i I #(f>
,, d t2.

( 21.1)

Osserviamo ancora che qualora le funzioni <p. ; i = 1 ,2 , . . . , n; siano polinomi di


primo grado in ]a, b[ per modo che

dy d2y>-

allora la (2.1.1) si riduce alla seguente

F "(t)= V
A (—
/ 9A
—-
\
k. h, ( 21 . 2)
< ì
m

Sempre nell’ipotesi che le funzioni f>( siano polinomi di primo grado in ]a, b{ si ha

93 f
t (— . • h.I h}.h .K (21.3)
u b i \ i x t dXjdxk , wo

e mediante induzione si ottiene nelle nostre ipotesi, per ogni v = 1, 2 ,. . . , k ,

d vF (f\ A / a7 \
~ ~ = F A ------ ---------------------- ht ht . .. ht (2 1 .3 ')

Se le funzioni <p, non sono polinomi di primo grado le formule di derivazione


successiva si complicano perché compaiono anche termini contenenti derivate
di ordine superiore delle <p;. ,
232 Cap. I l i- Calcalo differenziale delle funzioni di più variabili § 21

Ritorniamo al caso in cui le <p.\ i = 1, 2 , . . , , n\ siano lineari in ]a, b[ e si


abbia dip./dt = h. per osservare che talvolta il secondo membro della (21.2) viene
scritto nel modo seguente

e viene posi interpretato come un “quadrato simbolico” applicato ad / dello “opera­


tore differenziale”

n
(21.4)

In generale il secondo membro della (21.3') viene scritto nel modo seguente

, n = l , 2 (21.4')

come se fosse una “potenza simbolica” di grado v applicata ad / dello “operatore


differenziale’’ (21.4).
Siamo ora in grado di dare per le funzioni di classe Ck una èstensione del
teorema di Taylor dato nel 1° volume per le funzioni di una variabile. Sia / un
insieme aperto di R" e s i a / e Ck(I).
Sia x 0«= (x®, x °, . . . , x®) un punto di I e x = (x® + A xi x® + A x 2. . . .
. . . , x® + Axn) un altro punto di I tale che i punti del segmento che congiunge
x 0 con x siano tutti appartenenti ad /; ciò accade di certo se (A x lf A x2, . . .
. . . , A xn) = Ax ha norma sufficientemente piccola oppure se / è convesso.
Poiché I è un insieme aperto esisterà a £ R + tale che anche il segmento

{x 0 + f A x : t e ] - a , l + o [ }

appartenga ad I. Sarà allora possibile considerare la funzione F definita in ] —o, 1 +


+ a [ mediante

F (t) = / ( x 0 + t A x) (21.5)

ed osservare che F è di classe Ck nell’intervallo ] - a, 1 + a[.


§21 Derivate dì' ordine ^tpgriore di fina fttniione 4i pià variabili 233

Applicando a questa funzione il teorema di Taylor (§4,2) del primo volume


si ha

t*-
F (f) = Z'’(0) + — F '(0) + . . , + — ----- - F (k “ 1> (0) + ----- I'<k) (0 t )
w ■ 1! (k ^ 0! w k\

essendo 6 un opportuno valore compreso fra 0 ed 1, e di qui in particolare;

, x F '(0 ) F "( 0) F ™ ( 0 ) (2i s '\


1! 2! (k 1)1 k\

Poiché la funzione F è ottenuta componendo la data / con le funzioni lineari <p(


definite in ] • m i + of mediante

^ (r )= * x ® + t A *.

le derivate che entrano a secondo membro della (21,5) possono essere espresse ad
esempio mediante le (21,4') in modo da ottenere

( n q \
(21.6)
c -T T ^ Ì f-
r=l ■/ ' X0

d
^ )(0)= )_ Ax \ f
/ " \ ( * )

(2L7)
\,-= = l ^ 0+ flA ? c

Sostituendo pertanto nella (21,5-) pttenianro

fcr-i (/>
A * » + A » )- / ( % ) +m}_7/ !rQC ^ T Av/ )
\ / = i 3 *,
/+ ■ # ,

( 21. 8)

i /v- a
w* /C. \ / - j aA-
0*/ AiV')/ * O+0A*

che è detta formula di Taylor con il resto di Lagrange della data/relativa alla cop-
234 Cap, III- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili : 21

pia di p u n tilo , x 0 + A x , il primo dei quali è detto punto iniziale.


Abbiamo cosi dimostrato che:

21.1. Teorema (della formula di Taylor con resto di Lagrange). Se / £ Ck(l),


ove I è un insieme aperto di R", e se x 0, x 0 + A x sono due punti di I tali che il
segmento x 0, x 0 + A x appartenga ad I allora esiste 0 e ] 0, 1[ tale che sussista la
(21.8).
Osserviamo che per k = 1 la (21.8) si riduce alla formula del valor medio
(20.9); ricordiamo per altro che nel teorema 20.6 la validità della (20.9) è stata
dimostrata nella sola ipotesi di differenziabilità di / nel segmento [x0, x 0 A x].
Ritorniamo ora al caso generale di u n a / e Ck(f) e proviamo che

21.2. Teorema (Formula di Taylor con resto di Peano). Se nelle stesse


ipotesi e con le stesse notazioni del teorema 21.1, poniamo

ffk = 7 T 0 )} = (21.9)
K k\

1 /9 \ (/)
= f ( Xo + a x ) - { / ( x 0) + 2 _ T r l r r A x t f
/ = ! I ■ \ axi ! x0

allora risulta

lim (21 .10)


Ax~*0

Dimostrazione. Per ogni k-pia f), z2, . . . , ik tale che i. - 1 ,2 , . . . , n, se


/ = 1, 2 , . . . ,k , poniamo

r \
9k f - 2 J - ---------- )
h h ■■■‘k \ 9 x. d x. hx I . . . 9:e, /
■ i k ' x 0 +O A x h tk

e osserviamo che per l’ip o t e s i/e Ck (l) risulta

lim o. . . =0. (21.11)


Ax-M>

Dalla definizione di risulta dunque


§ 21 Derivate di ordine superiore di una funzione di più variabili 235

. • Ax Ax Ax
. T- % , lk '> ’■> lk
K 1 1 '*•'*... ''k
( 21. 12)
IlAxII* k\ Il Axll*

a. I,
i.': '■k
lk

La somma essendo estesa a tutte le nk possibili i l . . . i che costituiscono le dispo-


sloni con ripetizioni di ordine k di ( 1 , 2 , . . . ri).
Quanto affermato segue allora, da (21,11). QED
Si noti che in casi come èx + y , sin (x - y 2) si possono prima fare gli sviluppi
in una variabile è poi sostituire i valori dell’argomento,

a Problemi.

21.1. Sia / £ C2(I) ove I è un insieme aperto di a 2 e sia F definita a partire d a /


come nel problema 1 del n. 20, Provare che per ogni (p, d) G R + X R risulta

F pp'T’
(p ,6 >
)+ - Fgo(p’ d) - j fxx 0° co s d , p send) -

+ f yy (fi cos d ,p send)

21.2. Data / £ C '' il) come nell’enunciato del teorema 21.1 provare che con le
stesse notazioni ivi usate risulta

V- 1 v ^ /9 \ (/)
f ( x 0 + A x) = f( x 0) + ) — > (— A x, /+
£nr 7 i ^ ì \ óxi ' / * .

(k)
+ f 1 C1 - O ^ 1
lo ( k - 1)! \ , 4 r àx i ' Ac.+fAx

21.3. Sia / G C k (I) ove / è un intorno dell’origine in R. Siano

<pt : (x,y)G R2 -*x L ^ e R


236 Cap, IH - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 21

tpi :( x ,3 ')S R *

v>3: (*. y ) € R* ’*■ X2 + y 2 € R

Provare che in un intorno J dell’origine di R2 risultano definite le funzioni

f c tp1 , /= 1,2,3 >

e che

fo ^ e C ^ if), / = 1,2,3.

Per ciascuna di tali funzioni f o ip. scrivere la formula di Taylor di ordine k


relativa al punto iniziale (0, 0) .

21.4. Sia / un insieme aperto di R” , sia x 0 £ / e sia / e C° (/) e tale c h e / e Cl.(I -


~ {reo » •

lim / (x) = l . s R ; /*= 1 .2 ......... « .


x-rxt *1

Provare che esistono

> /'= 1,2,

e ch e/6C l (/).

21.5. Sia / un insieme aperto di R", sia / : / -> R dotata di derivate parziali prime
in/.
Provare c h e / e Cl (7) se e soltanto se esistono n funzioni continue

A i - . ( x , y ) e i X I * A l ( x ,y )£ B . ; /=■ 1 , 2 , . . . , n ;

tali che posto x = ( x i , x t , . . . , x n),. y ^ O 'i . y z - - - - ■ P„) si abbia

f( y ) - / ( * ) = J ~ , Ai (*■ y ) <y{ - x )

per ogni ( ? c , y ) s / X / .

21.6. Calcolare (sen 4°).(cos 5°) con l ’approssimazione di W 4


§ 22 Massimi e minimi per le funzioni di due o più variabili 237

21.7. Sia I un insieme aperto di R" che contiene l’origine. Sia f £ Ck(f) e sia p un
polinomio nella variabile x ~ ( x t , x ì t . . . , x n) di grado (k — 1) tale che per
opportuni C, <5 £ R+ si abbia

l/( x ) —p ( r ) l < C 1x1* se IIjc 11< 5 ,

Provare che p è il polinomio di Taylor di / , dì punto iniziale 0 di grado


(k — 1); cioè a dire

p ( x ) = f(0 ) + /

i1
per ogni x € R” .

21.8. Sìa I un insieme aperto connesso di R” . Provare che condizione necessaria


e sufficiente affinché / 6 Ck(I) sia un polinomio di grado < k e che tutte le
derivate di / di ordine k siano nulle in I.

22. - Massimi e minimi per le funzioni di due o più variàbili

22.1. Definizione. (Massimi e minimi relativi). Sia / : / * - > R una funzione


di due variabili definita in un insieme I di R *. Un punto (x 0, y 0) di 1 dicesi di
massimo relativo [di minimo relativo] per la funzione / se esiste un intorno di
(*o. 7 o ) tale che per ogni punto (x, y ) S I in esso contenuto si abbia:

f ( x , y ) < f ( x a, y 0) [ f ( x , y ) > f ( x o, y 0)] . (22.1)

A volte si dice che la fu n zion e/h a un massimo [minimo] relativo o anche locale
nel punto (x 0, y 0y
Se nella definizione precedente si richiede che (22.1) siano verificate in senso
forte, cioè non si verifichi in esse mài l ’uguaglianza a meno che (x, y ) coincida con
(x 0l y 0) il punto (x0, y 0) si chiama punto di massimo [minimo] relativo proprio.
Supposto che I sia aperto e che / sia differenziabile in (x 0, y 0), oppure che
/ £ C2(I) ci proponiamo di dare alcune condizioni necessàrie ed altre sufficienti
affinché un punto (x 0, y<;) sia di massimo o di minimo relativo per la funzione f
Incominciamo a determinare le condizioni necessarie e per questo consideriamo
una retta di numeri direttori X e p passante per il punto (x 0, y 9). Un punto gene*
ricò di questa retta ha coordinate (x 0 + Xf, y 0 + p t) ed appartiene a d / s e I f K S
con 8 e R + Opportuno ma indipendente da X e ju. Ne segue che se (x0, y 0) è un
punto di massimo [di minimo] relativo per la finizione / , deve risultare, per 11 \ < 8;
238 Capi III- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 22

f ( x 0 + X t,y o + p t) < f ( x 0, y 0) \ f ( x 0 +X? , j ' 0 + M O > / ( * o , To)]

Ciò vuol dire che, se (x0, ^o) è un punto di massimo [di minimo] relativo per la
funzione di due variabili / la funzione della sola variabile t, definita per 11\ < 5
mediante

F (l) = f ( x 0 + \ t , y 0 + n f) (22.2)

ha un massimo [un minimo] relativo nel punto t = 0, intorno al suo campo di defi­
nizione, e ciò qualunque siano X, fi G R tali che X2 + /u2 = 1. Allora se / è differen­
ziabile in ( x0, y 0) se ne deduce che anche F è differenziabile in t = 0 e per il teore­
ma 55.4 del primo volume deve aversi

P '(0 ) = 0 .

Se inoltre / S C2 (f) allora anche A è di classe C2 in un intorno del punto t = 0,


deve essere pertanto, per quanto visto nel teorema 55.7 del primo volume

F "{0 ) < 0 [F"(0)>0].

Tenendo conto del teorema 20.1 sulla derivazione delle funzioni composte, le rela­
zioni precedenti si scrivono esplicitamente:

X/x (a-0, y 0) + ufx (x0, y 0) = 0 (22.3)

\ 2f x x (Xo,yo) + '2 M fx y (xQ, y 0')+ n 2f y y (x0, y o ) < 0 [> 0 ] . (22.4)

per ogni X, n R, tali che X2 + fi2 = 1. Ponendo nella (22.3) una volta X = 1, ju= 0
ed un’altra volta X = 0, ju = 1 si ottiene dalle (22.3)

f x (X o ,yo )= fy {X o,yo)^Q (22.5)

mentre dalla (22.4) si deduce che la forma quadratica su R2 definita mediante

# (X ,p ) - f {x0. y 0) X2 + 2 /' (x 0, y Q- ) \ i i + f ( x o .y o ) ^ , (22.6)


*x x K 'v’ ' '' " x y v 'w*' J yy

rh?
V Ì it’
_ ^ «««i.i+o
IIvì S
n r if r u it r »
w g lin w em ù uvuu
P . \ 1111‘I.n
iv u iiu
r iiin r lr n ^ io n r a__1 n + ì t > n -____
^ u u u s u n v a u v iiù iu iiu i v i i U i V i i i tu j
n /1 -F «___
m
« -/ v- n )
S Oj )
A

semidefinita negativa [positiva] se {x0, j^0) è un punto di massimo [minimo] relati­


vo. Possiamo allora enunciare il teorema.
§ 22 Massimi e minimi per le funzioni di due o più variabili 239

22.2. Teorema. (Condizioni necessarie per Desistenza di estremanti). Condi­


zione necessaria affinché la funzione f : / -> R definita in un insieme aperto I di
R2 ed ivi differenziabile abbia nel punto (x 0, y 0) G l un punto di massimo [mini­
mo] relativo è che, in (x 0, y 0), siano nulle le derivate prime di f. Se inoltre è di
classe C2 (/) è necessario che la forma quadratica (22.6) risulti semidefinita nega­
tiva [positiva].
Osserviamo che in questo enunciato è essenziale che l’insieme I ove è definita
la funzione / sia aperto; se questa invece è definita, ad esempio, in un dominio I,
allora in un punto (x 0, y 0) di massimo o di minimo relativo che sia sulla frontiera
di I non sono necessariamente verificate le (22.5) e (22.6). Ci proponiamo ora di
determinare alcune condizioni sufficienti affinché un punto (x 0, y 0) di I sia di
massimo o di minimo relativo per la funzione f
Dimostriamo il seguente teorema:

22.3. Teorema (Condizioni sufficienti per Desistenza di estremanti). Condi­


zione sufficiente affinché la funzione f G C 2 (I) ove I è un insieme aperto di R2
abbia nel punto (x 0, y 0) un massimo o un minimo relativo proprio è che nel punto
(x a, y 0) siano nulle entrambe le derivate parziali prime di f e che inoltre la forma
quadratica hessiana (22.6) sia definita negativa o positiva.

definita definita indefinita


positiva neg ativa

Dimostrazione. Consideriamo invero la forma quadratica hessiana H di / in


(x0, y 0) definita in (22.6)

H(k, p) = A2 f xx (x0, y 0) + 2 Ap f xy (x0, y 0 ) + M3 f yy (x o .y f) ,


240 Gap. I l i - Calcolo differenziale delle funzióni di pai vailabili § 22

la quale, per quanto supposto, risulta negativa [positivo] per tutti i valori di A e
p fioii simultaneamente nulli. Se nè deduce allora per il teorèma di Weiérstrass (teor.
9i8) che detto M (m ) 11 massimo (minimo) assoluto della funzione I t per (A, ju)
appartenente all'Insieme compatto

((A ^ O ^ Il2 : A2 l V = Ì}

sihà:

M< 0 [in > 0]

D’altra parte, per il teorema 21.2 (formula di Taylor Con resto di Peano), applicato
alia coppia di punti Po = (x 0, yo), P = (x 0 + A x , x 0 + A y ) di/; con = {(A *)2 +
+ (A p)2 } 1/2 sufficientemente piccolo in mòdo Che il segmento P0 P appartenga ad
/; Si ha

lini —— 0 (22.6')
T-+C r*

oVe 0, tenuto conto anche dei fatto che f J J ’o) = fy (Po) - 0, è definito mediante

1 .
f ( x 0 + A x , y 0 + A y ) - f ( x 0, y 0) = ~ {fx x (x0, y 0) A x 2 +

(22.7)

+ 2 f xy (Xài y 0) A x A y + f yy (x 0i y 0) A y 2 + a }

Ponendo ora a secondo mèmbro della (22.7), se A x è A y non sonò simultaneamen­


te nulli:

Ax - t A Ay - t p

si trova A2 + ju2 = 1 e per il fatto che I I è un polinomio omogeneo di grado 2

f ( x 0 + A*, y 0 + A y ) - f ( x ó, y a) = ( 22.8)

■ “ ~£~ [ ( / ^ ( ^ . J ’o) A2 + 2Jx y (x 0, y 0) Ap + fy jf(x o, yo ) p2)


§ 22 Massimi e minimi per te funzioni di due 0 pai variabili 241

Per la (22.6') possiamo détermiliare un numero r 6 R + tale che p err £ ]0 , [


risulti:

a M a m
rr< “ T

e di conseguenza per la (22.8) segue, se r £ ] 0, t [

M , m „
/ ( x 0 + A*, y 0 + A y) - /( x e , y o ) < —f r2 < 0 > “ ~T2 > 0
4

Ciò prova che il punto (x0, y o ) è un punto di massimo [minimo] relativo proprio
per / QED

Introduciamo la seguente definizione.

22.4. Definizione (Punti estremali). Sia/ un aperto di R2 e sia/ € C 2 (/).


Diciamo che (x0, y 0) £ I è un punto estremale (o anche stazionario o anche
critico) d i/s e in esso risulta
/ f x (x0, y o ) - f y (xò ,yo ) = 0
Diciamo che Un punto estremale (z 0>y o ) è estremante per / se esso è di
massimo relativo oppure di minimo relativo per / .
Diciamo che un punto estremale (x 0, y o ) è un punto sella per f se esso non è
estremante per f 'e se esistono due rette di R2 passanti per (x0, y o ) che dividono
R2 in quattro angoli tali che le restrizioni di / alle rette che appartengono a due
di questi angoli hanno in (*o, y o ) un puntò di massimo relativo, le restrizioni di
/ alle rette che appartengono ai rimanenti angoli hanno in (x 0, y o ) un punto di mi­
nimo relativo.
Possiamo allora affermare che:

22.5. Teorema (Punti di sèlla). Sia I è un insieme aperto di R2 , sia / £ C1(I) e


sia (x 0, y 0) £ / un punto estremale di f Se la forma quadratica hessiana (22.6) è
indefinita in R2 allora (x 0, y 0) è un punto sella perf.

Dimostrazióne. Prendiamo, come è possibile per l’ipotesi sulla hessiana,


a , ó" £ [0, 2w] tali che si abbia H (p cós o , p sen a ) = p2 H (c os o', sen a' ) > 0 ,
H (p cos a", p sen &") < 0, p £ R+ è consideriamo le rette r , r" pèr il punto (x0,
y 0) aventi argomenti a , à".
Basta allora ripetere il ragionamento effettuato nella dimostrazione del prece­
dente teorema (o più semplicemente quello del n. 55.7 del 1° volume) per conclude-
242 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni dì più variabili § 22

re che la restrizione di / alla retta r [/'] ha in (x0, y 0) un punto di minimo [massi­


mo] relativo forte. Il lettore rilevi che nella ipotesi su H ogni a £ [0, 2vr] salvo al
più due eccezioni costituite da a j , cr2 che verificano l’equazione II(p cos 6,
p send) = 0 gode della proprietà espressa per a e o" e che le rètte aventi argomenti
oi e o2 dividono R2 in quattro angoli aventi le proprietà richieste. QED
A questo punto possiamo domandarci che cosa accade per u n a /G C2(I) in un
punto (x0. J'o) estremale se la forma quadratica hessiana (22.6) è soltanto semidefi­
nita. Gli esempi che seguono provano che in questa condizione niente può essere
concluso per il comportamento della / in un intorno di (x0, / o ) dal solo esame
forma quadratica hessiana.
Siano f g , h funzioni definite in R2 mediante
f( x ,y ) = (x2 + y 2)2

g (x,y ) = x 2 + y 3

h (x,y) = - ( x 4 + / )

Per ciascuna di queste funzioni (0, 0) è un punto estremale e la forma quadratica


hessiana è semidefmita in (0,0): infatti si ha

nel primo dei casi e

H (\, p) = 2 X2 , tf(À,M) = 0

nel secondo e terzo caso rispettivamente.


D ’altra p arte si rileva immediatamente che la funzione / ha in (0, 0) un punto
di minimo assoluto (e quindi relativo), la funzione h ha in (0 ,0 ) un massimo assolu­
to (e quindi relativo) la funzione g non ha in (0, 0) un punto estremante infatti per
ogni 8 € R+ si ha

g(0,-6)<g-(0,0)<g-(0,6).

In qualche caso (vedasi anche il problema 3 alla fine di questo paragrafo) il compor­
tamento della / in un intorno di un punto estremale ove l’hessiana è semidefinita
potrà essere studiato facendo ricorso all’esame dei termini di ordine superiore della
formula di Taylor, ma ciò non sarà sempre possibile: il lettore tenga presente ad
esempio che esistono funzioni di classe C°° non nulle le cui derivate di ogni ordine
sono nuiie in un dato punto (vedasi il problema 90.3 del prime
anche quando vi è la possibilità di studiare le derivate successive ciò risulta molto
macchinoso.
22 Massimi e minimi per le funzioni di due o più variabili 243

Facendo uso del teorema 17.35 (Forme quadratiche in R2) dai teoremi
22.3 e 22.5 si deduce

22.6. Teorema (Estremali in R2). Sia I un insieme aperto di R2 e sia f e


e c l (i).
S e x q & I è un punto estremale per f, poniamo

A = fx x (X0, y 0) • f yy (* 0. yo ) - f \ y (-*0, J o ) .

allora:

i) se A > 0 e se f xx (x0, y 0) < 0 [fxx (x0, y 0) > 0] la fh a in (x 0, y Q) un massi­


mo [minimo] relativo proprio
ii) se A < 0 la fh a in (x 0, y 0J un punto sella
à = 0 niente può essere concluso dal solo esame della hessiana H circa
ili) se
il comportamento di f i n un intorno di ( x 0, y 0).
Q u a n to a b b ia m o e sp o s to si estende immediatamente alle funzioni di più varia­
bili.
Premettiamo allo scopo la seguente:

22.7. Definizione (Massimi e minimi relativi). Sia I un insieme di R” e sia


/ : / - > R.
i) Si dice che f ha in x 0 G / un massimo [minimo] relativo se esiste u n in to rn o
di I tale che p e r og n i x G / in esso c o n te n u to risu lti

/ ( * ) < / (*o) [ / ( x ) > / ( x 0 )] (22.9)

se nella (22.9) l’uguaglianza si verifica soltanto quando x ì ^X o allora si dice cileno


è un punto di massimo [minimo] relativo proprio.
ii) Si dice che x 0 6 / è estremale per f se/ è ivi differenziabile e s e / . (x 0) = 0;
/ — 1, 2, . . . , ri.

Con gli stessi argomenti usati per le funzioni di due variabili si prova che:

22,8. Teorema ^Esisisnzs di im f )IM


*1 4 ±v j, uiu. j . un t,notc.rn&
TI11
tu Ul i V

e sia f : I -*■ R. Condizione necessaria affinché f abbia in x 0 G iuri massimo [mini­


mo] relativo è che:
244 Cap. I l i - Càlcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 22

i) x 0 sia un punto estremale per f se f è differenziabile in x 0


ii) la forma quadratica hessiana di f in x 0

( 22. 10)

sia semidefinita negativa [positiva] se f & C 2 (T) •

22.9. Teorema (Esistenza di estremanti in R"). Se f è data come nell’enuncia­


to del teorema precedente, se x 0 G l è un punto estremale per f e s e fG C2(I) allo­
ra:
i) se la forma quadratica hessiana (22.10) è definita negativa [positiva ] esistono
M G R , [ m e R , ] , S 6 R tali che
+ *■ +•* +

f( x ) < f( x 0) - M IIx - x 0 II2 \f(x ) > f ( x 0) + m IIx - x 0 II2 ]

per tutti gli x G R" tali che IIx - x 0 II < S. In particolare f ammette in x 0 massimo
[minimo] relativo proprio.
ii) se la forma quadratica (22.10) è indefinita allora f non ha in x 0 nè massimo
nè minimo relativo e valgono conclusioni analoghe a quèlle espresse nella dimostra­
zione del teorema 22.5.
Lasciamo al lettore la facile cura di verificarlo.
Facendo uso del teorema 17.32 (Forme definite) dai teoremi ora enunciati
segue ovviamente il seguente

22.10. Teorema (Fórme hèssiane). Se f è data come nell’enunciato'del teore­


ma 22.9 valgono i fatti Seguenti:
ì) se f h a in x 0 £ I un massimo [minimo] relativo allora x 0 è punto estremale
di f e gli autovalori della matrice associata alla forma quadratica (22.10) sono tutti
non positivi [non negativi]
ii) se x 0 ( z i è punto estremale per f e gli autovalori della matrice associata alla
forma quadratica (22.10) sono tutti negativi [positivi] allora la fh a in x 0 un massi­
mo [minimo] relativo.
iii) se x a G l è un punto estremale per f e seia matrice associata alta forma qua­
dratica (22.10) ammette sia autovalori positivi sia autovalori negativi allora f non
ha in Xo un punto estremante relativo.
Ricordiamo anche che una condizione necessaria e sufficiente perché, una for­
ma quadratica sia definita positiva oppure negativa è espressa dal' teorema
17.34 Lasciamo al lettore la cura di collegare questa condizione al teorema 22.9.
§ 22 Massimi e minimi per le funzioni di due o più variabili 245

22.11. Esempi. Vediamo ora come le considerazioni finora svolte possano esse­
re applicate alla ricerca dei massimi e minimi assoluti
Sia / : / -» R una funzione definita in un insieme compatto / di R” ed ivi con­
tinua. A norma del teorema 9.7 di Weierstrass essa è dotata di massimo M e di mini­
mo m assoluti: cioè esistono in I almeno due punti p e P ove: f( p ) - m, f(F ) =M ,m
ed M essendo rispettivamente l’estremo inferiore e l’estremo superiore d i / i n / .
Ognuno di tali punti è ovviamente anche un punto di estremo relativo e quindi
se esso è interno ad / e se inoltre la funzione / è ivi differenziabile allora in questo
punto sì devono annullare le derivate prime d i / Se invece M = f ( x 0) [m = / ( x 0)] e
x 0 € 3 / allora in particolare si ha f( x ) < f ( x 0) [f(x) > f ( x Q)\ per ogni x e d I e
perciò / ( x q ) è il massimo [minimo] d i / s u di. Vedremo (nel prossimo capitolo)che
se / è sufficientemente regolare un tale x Q può essere ricercato mediante la regola
dei moltiplicatori di Lagrange.
Ne segue che per la ricerca dei punti di massimo e minimo di una funzione
continua su di un compatto I di R" basta limitarsi a considerare soltanto i punti:
i) interni ad/, se ve ne sono, che sono estremali p e r /in I°}.
ii) i punti di di, nei quali/assum e massimo [minimo] relativo rispetto di.
Sii) i punti interni ad / d o v e /n o n è differenziabile.
Determinati tutti questi punti ci si limita a ricercare il massimo ed il minimo
valore che la/assum e nell’insieme da essi costituito.
Vediamo come ciò avvenga in alcuni esempi.
a) Determiniamo ad esempio il massimo e il minimo assoluto della funzione
definita in R2 mediante

f{ x ,y ) = x'1 + y %- x y

nell’insieme C costituito dal cerchio chiuso di R2 che ha il centro nell’origine e


raggio 1.
Poiché f x = 2x - y, f = - x + 2y l’unico estremale è il punto (0 ,0 ), interno
a C;e inoltre essendo

f x x (°> 0) 0)= 2 > 0 4 , ( 0 , 0 ) fy y (Q, 0)- p xy (0, 0)= 3 > 0


tale punto è un punto di minimo relativo p e r / i n C° o v e /( 0, 0) = 0.
Poiché sulla frontiera dC di C la fu n zio n e/si riduce alla funzione definita in R
mediante

1
F (t) = cos2 t + sen2 t - sen / cos t = 1 2t
2

e poiché F è di classe C 1 e risulta


246 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili 22

F \ t ) = —c°s 2 / ,

b a sta lim itarsi a consid erare so lta n to i v a lo ri di t

ir ir 3 3
f i = — . f2 = T + 7r- t3 = ' T n ’ (4= — n + ir .
4 4 4 4

O ra si ha

1 3
f ( f i ) = * ■ ('* ) = y . F ( h ) = F(U) = —

P o ic h é /E C 2(R 2 ) i l m assim o d i / è 3 / 2 , il m in im o d i / è 0 e risu lta

V T ^ ± \ = fl ^ -V2"
0=/(0,0) , — = /, , , „ .
M ; 2 \ 2 2 / \2 2

b) P ro p o n iam o ci di d e te rm in a re il m assim o e il m in im o n e ll’in te ro R 7


1d e l p o li­
n o m i o / d i secondo grado i n x = (x * , x 2 , . . ■ , x ):

l...n

■ • ■ »x n} ~ XZah k Xh Xk
/2,/C
2 XI
/2= 1
^ 5 J 1)

nell’ipotesi che la fo rm a q u a d ratic a :

1...H
( 22. 12)
,x n)^ Y L ah k xh x k
h, k

co stitu ita dal com plesso d ei te rm in i di se c o n d o g ra d o , sia d e fin ita p ositiva.


In tale ipotesi il sistem a ch e si o ttie n e a n n u lla n d o t u t t e le d eriv a te p a rziali
prim e d e lla /:

#11 X j H" d\ 2 ^ 2 d" • <.. 1n


x
n
= b

d%\ X j "b #22 X2 + . ,. . + a x =» b-


2n n
(22.13)

a , x, + a ,
ni 1 n2
+ ...+« x = b
mi n n
§ 22 Massimi e m inim i per le fu n zio n i di due o più variabili 247

è lineare ed è certamente compatìbile ed ammette un’unica soluzione, in quanto il


determinante dei coefficienti è diverso da zero. Infatti, ciò segue nelle nostre ipotesi
dal teorema 17.34 (Jacobi) e può anche essere provato con il seguente ragionamen­
to diretto.
■ Se, per assurdo, tale determinante fosse nullo, esisterebbe almeno una soluzio­
ne (x®,. . . , x ° ) non nulla del sistema lineare omogeneo associato:

an ■ + a,n x°n = 0 (/= 1, 2 ,. . . , «)

moltiplicando allora entrambi i membri della /-esima equazione per x® e sommando


per / da 1 ad «, si avrebbe:

^ , . . . , < ) =o
contro l’ipotesi che la forma costituita dai termini di secondo grado sia definita
positiva.
Se ne deduce che esiste un sol punto x estremale per la funzione /; la soluzio­
ne del sistema lineare (20.13). Siano (xi, . .. . , x n) le coordinate di x, mostriamo
che esso è un punto di minimo assoluto per / . Infatti, la forma quadratica hessiana
di / relativa al punto x è costituita dalla stessa ip definita mediante le (22.12) ed
è pertanto definita positiva. Ciò basta, in conseguenza del teorema 22.8 e del fatto
che lim / ( x ) = + “ per provare quanto affermato. Poiché non vi sono altri punti

estremali si può concludere che / non ha massimo; il suo estremale superiore in


R” è + 00 .
c) Consideriamo anche un esempio in cui la teoria precedentemente esposta
non è quasi di alcun aiuto nel problema della ricerca dei massimi e minimi di una
funzione.
Sia I un insieme di R" costituito dalla intersezione di un numero finito di
semispazi chiusi A . di R” ;

A .= ( x € R " : / . ( * ) < 7 .}

ove /. e £(R n , R) e 7 , <= R; / = 1, 2 , . . . , fr.


Sia / : 1 R una funzione lineare affine su R"

/ : r 6 1 " - » /( x ) = (a ,x ) + fc e R

ove a € R", b G R e (a, x ) è il prodotto scalare di a e x.


k
Si voglia determinare il massimo ed il minimo di / n e l l ’insieme 1= A . che
i i ‘

risulta chiuso e convesso.


Supponiamo ulteriormente, per ragioni di semplicità, che I sia compatto.
248 Cap. I l i • Calcolo differenziale delie funzioni dì più variabili § 22

Evidentemente se / non è costante; Q ciò che è lo stesso; se a ¥=■ 0, non esiste alcun
punto estremale per f in 10 e pertanto il massimo ed il minimo di/dovranno essere
presi su di, Osserviamo, d’altra parte, che il minimo ed il massimo di una funzione
lineare su di un intervallo chiuso di R possono essere presi soltanto sugli estremi di
tale intervallo. Ne segue ehe il massimo ed il minimo d i/s u /p o s s o n o essere soltan­
to presi sui punti che sono “estremi” di I nel senso che non sono interni ad alcun
segmento appartenente ad I ■ Poiché facilmente si riconosce, mediante induzione
sulla dimensione n di R” che l’insieme costituito da tali punti “estremi” è finito,
il nostro problema è ricondotto a quello di cercare il massimo ed il minimo di /
su di un insieme finito. Nella pratica, quando specialmente n e k sono grandi,
è materialmente impossibile determinare tutti gli “estremi” di / . A questo fine
si usano invece i metodi della programmazione lineare che vanno sotto il nome
di metodo del simplesso.
. d) Concludiamo questo paragrafo facendo un rapido cenno al metodo dei mi­
nimi quadrati,
Allo scopo consideriamo il sistema di m equazioni lineari in n incognite

n
Y ^ , an x/ = bi '• (22.14)

E’ noto (teor. 16.4 di Rouché - Capelli) che tale sistema ammette soluzioni
soltanto se sono soddisfatte alcune condizioni di compatibilità di carattere quanti­
tativo, Può però presentarsi, nella pratica, il problema di cercare quegli x =
= (xu x 2, . . , , x n) per i quali le differenze fra i primi e i secondi membri risultinole
più piccole possibili, o meglio, per tener conto in egual modo delle differenze positi­
ve e di quelle negative, di cercare quegli x ** ( x i3 . . . , x ) che rendono minima ia
somma dei quadrati delle differenze dette. Si cerca cioè di rendere minima fun­
zione / su R” definita mediante

m
f(x !,....,* „ )= Y \ (an x , + « „ * » + . . . + ain x n - bt)2. (22.15)
<^T

al variare delle (x l3 . . . , x n) in R", La funzione considerata è un polinomio di se­


condo grado nelle n variabili e la forma quadratica costituita dai termini di secondo
grado è:

m
¥>(Xj, . ... xn) = Y ^ ( ah *1 + an Xì + - •• + ain Xn ? ■ (22.16)
1=1

Sappiamo da quanto visto nell’esempio b) che la funzione (22,15) ammette minimo


assoluto in R" se la forma quadratica (22.16) è definita positiva.
22 Massimi e minimi per le funzioni di due o più variabili 249

D’altra parte essendo la (22.16) una somma di quadrati, essa assume valori
non negativi; per concludere circa 1’esistenza del minimo della (22.15) basta allora
sapere che la (22.16) non può annullarsi per Xo = (x° ......... jc ^ ) non nullo. Ora se
ciò accadesse Xo = (x*i0\ . . . . x^0^) sarebbe una soluzione del sistema omogeneo
associato del sistema (22.14).
Possiamo pertanto concludere che se il sistema omogeneo associato al sistema
(22.14) non ammette soluzioni diverse da quella nulla, allora la funzione (22.15)
è dotata di minimo assoluto in R” , che è assunto in un punto x = ( x i , x 2, , x n)
che é soluzione del sistema

n , m . «

/= i \/= i / /=i

ottenuto annullando le derivate prime della funzione (22.15).


Il procedimento ora descritto può essere detto “dei minimi quadrati”. Esso tro­
va importanti applicazioni nelle scienze sperimentali: ad esempio nel seguente pro­
blema.
Sia / : R -» R una funzione che dobbiamo ritenere lineare e della quale, per via
sperimentale, si sono potuti calcolare i valori jq , y 2, . . . , y in altrettanti punti ci,
..... V
Il problema consiste nella determinazione dei coemcienti di tale tunzione
lineare, cioè nella determinazione di a, b <ER tali che f( x ) = ax + b per ogni r E R .
Qualora! punti (x{, >\); i = 1, 2......... n\ sperimentalmente determinati fossero
tutti allineati la determinazione dei coefficienti a, b sarebbe ovvia. Tale caso però
non ha alcun interesse nella pratica poiché in ogni caso i punti (x., y.), in quanto
appunto determinati sperimentalmente, possono essere soltanto approssimativa­
mente allineati e non esiste alcuna retta dì equazione

y —a x + b

per la quale si abbia

a x.I + b = ■y'l. (22.17)


’; i = l , 2 ,9 . . . , *n

Si cerca allora di determinare a, b con il metodo dei minimi quadrati cercando


il minimo della funzione <p su R2 definita mediante

n.

<t>(a. b) = (a x ^ b -y f (22.18)

/
250 Cap. I li ■ Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili 22

D’altra parte si può presumere in generale, per il fatto che n è di solito molto
grande, che il sistema lineare omogeneo

ax. + b = 0 (i = 1 , 2 , . . . ,n ) (22.19)

nella variabile (a, b) associato al sistema lineare (22.17) abbia soltanto la soluzione
nulla. Dalle considerazioni precedenti segue pertanto che la funzione <j> definita
in (22.18) è dotata di minimo in R2 e che il punto ove tale minimo è preso è la
soluzione del sistema ottenuto annullando le derivate parziali , <j>b :

,(«. b) = 2 (axì + b ~ y i ) x i
Ì=\

4>b (P, b ) ^ 2 S) {ax. + b ~ y t)


i=l

e dunque del sistema

(22.20)
v A
X
\ì = l
x‘ /) a+nb=L
/= 1
-v
in m odo che
n n n
n y x . y . ~ y y . y x.
z_ 11 *Z_ 1
1=1 1=1 1=1

i=i «-1

yX x‘ ~ t Xi /=!
______/=7______1= 1
t x‘ y‘
b =-
» / « \2

In casi più generali potrà accadere che la funzione / , i cui valori ottenuti speri­
mentalmente sono {x.t y ^ ) ì = 1, 2, . . . , n; debba essere ritenuta un polinomio
22 Massimi e minim i per le fu n zio n i di due o più variabili 251

su R di grado p od anche che la / possa dipendere da più variabili avendo


comportamento lineare o più generalmente polinomiale.

■ Problemi.

22.1 Ricercare i massimi, i minimi relativi e i punti sella delle funzioni definite
su tutto R2 mediante

f( x , y ) = x 3 + (x - y f

s (.x >y ) = x <t y (x — y f

22.2. Determinare il minimo e il massimo delle funzioni

f(x ,y ) = x • y n e ll’in siem e { (x , f ) e R ! : x 2 + / 2< 1)

g(x, y ) = x 2 + y 2 — (x + y ) n e ll’in sie m e {(x, v ) e R1 : I x K l . y K ] }

22.3. Sia I un insieme aperto di Rn , sia / £ Ck (/), k e N e sia x 0 6 / estremale per


/ . Per ogni / = 1 , 2 , . . . , k sia <p. definita su R” mediante

Sia infine v il più piccolo intero per il quale <p. non è identicamente nulla su
R". '
Provare che:
i) se v è dispari allora / non ha in ,*o né massimo né minimo relativo.
ii) se v è pari e se <p (ti) è positiva [negativa] per ogni h¥= 0 allora / ammette
in Xn un minimo [massimo] relativo proprio.

22.4. Sia I un insieme aperto di K", sia / f c C 20 e sia x 0 G / estremale per f.


Provare che:
i) / ha in x 0 un minimo relativo se esiste un intorno U (x0) C 1 del punto
x 0 tale che la forma quadratica hessiana definita su R2 mediante

h e R'n ù./t.GR
i ì
252 Cap. I l i - Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 22

è semidefìnita positiva per ogn i* e U (x 0)

ii)/ ha un minimo relativo proprio se esiste un intorno Un(x 0)C I del punto
xo tale che la forma quadratica hessiana è definita positiva per ogni x e
e t / p (x0).

22.5. Dedurre dal precedente problema chesse n = 2 , / e C 2 (/),P 0 = C*o, 2' o ) e lrè
un punto estremale e se esiste un intorno U (xo ,yo ) di-Po , tale che risulta

f x x (W f y y V,) - f *y (F )> 0 perogni P = (x, y ) e Up {P0)

allora se f x x (P<>) < 0 \fx x (Po) ■> 0 ] / h a in I \ un massimo [minimo] relativo.

22.6. Dati in R" i punti

a1, aìt . . . , ap

cercare il punto x 0 e R" dove è minima la funzione definita su R”

f(x )= ^X - «y®2 •

Determinare tale minimo.

22.7. Sia / : R” -*■ R differenziabile su tutto R", sia a € R tale che f( x ) = a per ogni
r £ R " per il quale llxll = 1. Provare che esiste x 0 e R” , Il x QII < 1 tale che
(df)x = 0 .

23. - Funzioni implicite

Sia / : / - » • R una funzione reale definita in un insieme aperto I di R2 . Conside­


riamo allora l’insieme N dei punti P = (x, y ) di R2 ove la funzione/assum e il valore
zero:

!V={(x,p)eR2 : f(x ,y ) = 0} (23.1)

E’ evidente che quando non si imponga alcuna restrizione qualitativa alla funzione
/o g n i insieme di R2 può essere individuato in tal modo (basterà ad esempio definire
la funzione / uguale a 0 nei punti di N ed uguale ad 1 nei punti R2 —N; ma, se im­
poniamo ad / condizioni di regolarità, non tutti gli insiemi del piano possono essere
§ 23 Funzioni implicite 253

individuati in tal modo. Ad esempio, se imponiamo alla funzione / di essere conti­


nua in 1, l’insieme N è necessariamente chiuso relativamente ad I. Imponiamo di
più, alla funzione / di avere derivate parziali prime continue in I, e proponiamoci
di studiare le proprietà dell’insieme N . Allo scopo di orientarci nello studio di tale
questione, supposto che N non sia vuoto e che Po = (x o, P o) ^TAf, consideriamo,
oltre all’insieme N, l’insieme

N = {(x. y ) G R2 : f x (Po) (x - x 0) + f y (P0) (y - y 0) = 0 } (23.2)

ottenuto sostituendo nella (23.1) l’incremento f( x , y ) = f( x , y ) —f ( x o, Po) con h


valore in (x - x 0, y - P o) del differenziale di/relativo al punto (x 0, Po).
Proponiamoci di vedere fino a che punto N costituisce una approssimazione di N
in un intorno di P0 . ^
^ Escludiamo che sia f x (x0, y 0) = f (x0, p 0) = 0 nel qual caso N = R2 . L’insieme
N, non annullandosi in P0 le due derivate parziali della funzione / , è costituito dai
punti di una retta la quale è rappresentata mediante l’equazione:

/ , ( x o, Po)
P =Po - — -------- T (* - * o ) (23.3)
f y (x0, y 0)

oppure dell’altra

/y fr p .P o )
x= x0 (y Po) (23.3’)
f x (x0, y 0)

secondo c h e / (P0)=AO oppure / (P0) v t O.


y
Nella sostituzione di N con N abbiamo trascurato infinitesimi di ordine superio­
re rispetto al diametro dell’intorno dove abbiamo effettuato tale sostituzione.
Dimostreremo in seguito che, non annullandosi entrambe le derivate parziali m
P0 l’insieme N nell’intorno di P0 , è rappresentato approssimativamente da N,
nel senso che in un intorno sufficientemente piccolo d iP 0 l’insieme N è suscettibile
di una rappresentazione:

{(x. P ) e h 2 : P = ¥>(*)} oppure ( ( x j ) e R 2 : x = \p(y)}

secondo che / (P0) 0 op p u re/ (P0) 0, ove le funzioni ip, ip a secondo membro
differiscono dalle analoghe (23.1) o (23.3') per infinitesimi di ordine superiore
rispetto alla distanza x —x 0 o p p u re/ - y 0.
Ciò risulterà dal teorema fondamentale che dimostreremo tra poco. Le consi­
derazioni svolte ci suggeriscono però di studiare le proprietà locali dell’insieme N:
254 Cap, HI - Calcolo differenziale delle funzioni dipoi variabili § 23

cioè di studiare le proprietà che riguardano i punti che appartengono ad un intorno


sufficientemente piccolo di un suo punto.
Prima di dare la dimostrazione del teorema fondamentale al quale abbiamo
accennato, vogliamo indicare un altro aspetto del problema considerato.
Data/proponiamoci di indagare se, fissata una delle due variabili ad es. la varia­
bile x, l’equazione / (x, y ) = 0 nella variabile y ammette o meno soluzioni. Se al
variare d i* in un intervallo ] a, b [ esiste un solo valore.y per il quale riesce

f( x ,y ) = 0 (23.4)

diremo che la funzione p che ad ogni x €E ] a, b[ associa ip(x) = y è la funzione im­


plicita di x definita dalla (23.4) od anche che la (23.4) definisce implicitamente
y come funzione d ix in \a, b[.
Così ad esempio l’equazione

axy + bx + cy + d = 0 ; a ¥=0 ;
bx +d
ammette per ogni x ¥ = - c/a una unica soluzione^ = — — —— e pertanto determi-
ax + c
na una funzione implicita di x in E — { - c/a }.
L’equazione

x2 + / = 1

non ammette invece alcuna soluzione nella variabile^ se l x l > 1 e ne ammette due

y = —\ f ì - x 2 , y =Vl - x 2

se Ix| < 1 ; essa non definisce implicitamente alcuna funzione di x in ogni intervallo
di R.
Come risulta da questi esempi, la risoluzione della equazione (23.4) rispetto
ad una delle variabili non conduce in generale a definire una funzione, ad un sol
valore, deli’altra variabile.
Invece di considerare l’equazione (23.4) in tutto l’insieme ove è definita la /,
limitiamoci allora a considerarla in un intorno U sufficientemente piccolo di un
puntoP q = (x0, .Po) ove essa è soddisfatta:

U~ {(x, y) £ R 2 : Ix - x 0 l< 6 , \y —y o \ < k } . (23.5)

e domandiamoci se per ognix tale che !x —x 0 ì < 6 esiste un unicum.soddisfacente


la condizione !y - y 0 I < k per il quale la (23.4) è soddisfatta. Se ciò accade dicia­
mo che la (23.4) definisce implicitamente y in funzione di x nell’intorno U di.P0.
§ 23 Funzioni implicite 255

Evidentemente ciò accade se detta <p tale funzione si ha, per l’insieme N defini­
to in (23.1).

N n ,U = '{ { x ,y ) & K 2 :y = ip (x ), Ix -x 01<5} _ (23.6)

cioè se N è nell’intorno U ài P0 il grafico di una funzione di x. Il problema conside­


rato è anche strettamente legato a quello della esistenza della funzione inversa di
una data funzione. Infatti, se la equazione

y ~ S(x) = 0

definisce implicitamente la x come funzione di y , questa funzione altro non è che


la funzione inversa della data.
Su questo legame fra i due problemi avremo occasione di tornare in seguito.
Diamo ora l’enunciato e la dimostrazione del teorema fondamentale:

23.1. Teorema (di Dini o delle funzioni implicite). Sia f : I-+ R una funzio­
ne di classe C 1 in un insieme aperto I. Se nel punto P0 = (*o, J’o) di I si ha:

f ( x o, y o) ^ 0 , / v (xo. J ' o ) * 0 I (23,7)

allora esistono S, k E R tali che, p o sto li = ] x 0 - 6, x 0 + 5 [, / 2 = ] y 0 - k , y 0 +


.+ k [, per ogni x G 7) l ’equazione (23,4) ammette una unica soluzione y in iz i
inoltre la funzione

ip '.x E .I i -* ip(x) —y G /2 (23.8)

che risulta in tal modo definita è di classe C 1 in l i e tale che

f (x, ip(xj)
<p(x) = - — -------------- per ogni x E / , (23.9)
f y (x ,v (x ))

Dimostrazione. Supponiamo per fissare le idee, che nel punto P0 si abbia:

f ( x 0, y 0) = 0 f y (x0, y 0) > 0 (23.7')

e osserviamo che, per la supposta continuità della / (x, y) in / è possibile


determinare un intervallo rettangolare di R2 , appartenendo ad I, sia esso:
256 Cap. I I l ‘ Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili §23

R = { ( x ,y ) & R2 : Ix -*■ x 0 \< h , \y — (23.10)

ove si abbia:

f y ( x .y ) > 0 .

Ne segue che la funzione della sola y: f (x, y ) è crescente nell’intervallo fy 0 ~ k,


y 0 + k] comunque si fissix in [x0 — h, x 0 + h]. In particolare la fu n zio n e/(x o , y )
è crescente in [y0 - k , y 0 + k] e inoltre è nulla, per ipotesi, quando y = y 0, e quin­
di si ha:

/(xo .J 'o - * ) < 0 , f ( x 0, y 0 + k ) > 0 .

Le due funzioni continue, della variabile x : f( x , y 0 - k) e f( x , y 0 + k) conserve­


ranno allora, nelle vicinanze di x 0 , lo stesso segno che assumono in x 0 ; si può,
pertanto, determinare un intorno di x 0 , sia esso:

/ , = {x G R : 1x —x 0 I< 6 }

con 0 < 6 < h, ove si ha:

f( x ,y 0 - k)< 0 , f( x ,y 0 + k )> 0 .

Figura 3 .7
§ 23 Funzioni implicite 257

Da quanto detto si deduce che, per ogni valore x dell’intervallo ] x q - S, x q + S[


la funzione f(pc, y ), considerata come funzione della sola variabile .y, nell’intervallo
{y0 — k, y 0 + k] risulta crescente e di segno opposto nei punti estremi. Per un
noto teorema sulle funzioni continue, esiste per ogni valore di x dell’intervallo
] x 0 - 8, x 0 + 8 [ un unico valore di y dello intervallo I 2 = ] y 0 — k, y 0 + k [ ove
la funzione f( x , y ) si annulla.
Possiamo dunque considerare la funzione

y : x G I i ->ip(x) = y (2 3 .IO1)

e osservare che ovviamente

f[x , y(x)] = 0 , per ogni r £ / i (23.11)

V>(*o)=Po • (23.12)

Dimostriamo óra che la funzione <p è derivabile in I t e che vale la (23.9). Conside­
riamo allo scopo un qualsiasi x £ I t , un arbitrario incremento A x tale che x 4-
+ A x £ / , edi l corrispondente incremento A ip = tp(x + A x ) —<p(x) per la ip.
Per la (23.11) si ha

f [ x + A x, tp(x) + A<p]- f( x , tp(x)) = 0

Per la formula di Lagrange (20.9), che possiamo senz’altro applicare poiché il seg­
mento di estremi (x, y(x )), (x + A x, <p(x) + A x) appartiene a R C /, si ha allora

f x (x + 6 A x, <p(x) + 0 A tp) A x + f (_x + 0 A x , <p(x) 4- 9 Atp) Aip = 0

essendo 6 un opportuno valore in [ 0 , 1 ] .


Poiché (x + 9 A x , <p(x) + 6 A< p)£R ne segue

f y (x + 9 A x, tp(x) + 9 A ip ) ^ 0

donde si può scrivere

/ (x + 6 A x , <p(x) + 6 Aip)
Au> = - —-----------------------------------A x . (23.13)
f (x + 9 A x,i/i(x) + 9 Aip)

D’altra parte poiché / G C1 (I) e R è un compatto di I esistono m ,M E R + tali che


Cap. I l i - Calcolo differenziale delle fu n zioni di più variabili § 23
258

/ ( X ,y ) > m , \fx ( x ,y \< M per ogni ( x ,y ) G R

Dalla (23.13) segue dunque

M
1A i p K -----1A jc I
m

e pertanto

iim àip=u
A x - * 0

cioè la continuità della funzione in l i .


Inoltre si ha, se A x ¥ = 0 ,

. , I A -- - \ -1- A
. Aip J„ V* ^ v
r f n o
¥> W ' v “ W

Ax / (x + 0 A x , ip (x ) + 0 A*p)
23 Funzioni implicite 259

e di qui seguono ia derivabilità di <p, la (23.9) ed il fatto che tp e C ‘ (7). Con ciò
il teorema è completamente dimostrato. QED

Osserviamo ancora che, una volta dimostrata 1’esistenza della derivata di ip,
questa può essere calcolata a partire dalla relazione (23.11) derivando e risolvendo
poi l’equazione:

fx (x, <p(x)) + fy (x, (p(x)) <p\x) = 0 ;

ove <p'(x) si riguarda come incognita.


Le nozioni e i risultati fin qui esposti sono suscettibili di generalizzazioni delle
quali ci occuperemo in seguito. Consideriamone qui alcune:

23.2. Teorema, (di Dini in più variabili). Sia f : I -* R una funzione di classe
C 1 in un insieme aperto I C R" X R e sia PQ= (x 0, 3>0) e / , ove x 0 - (x °, x \ , . ■ ■
. . . , x ° ) <=R'!, >>0 € R; tale che

f ( x o, y o) = 0 , f y (xo, y 0)¥*0 .

Allora esistono % fc.GR^ tali che per ogni x = ( x l; x ?. . . . , r j G /.,• ove / j =


= ( j 6 R'1 : b- - x® I < y; i = 1, 2, . . . , n }; esiste uno ed un solo y ( z J i \ ove
/ j = {y e R; \y - j,'0 i < k }; per il quale risulta
' -
f( x ,y ) = 0 (23.4')

Inoltre la funzione

ip ' -> ip(x')= y £ / 2 (23.14)

che risulta in tal modo definita è di classe C 1 in Ji e tale che

/ ( * , ¥ > (x)j
(*) =---- i------- :-------- (23.15)
fy(X,<P (X))

per ogni x & J x ep e ro g n ii = 1, 2 , . . . , n .

Dimostrazione. La dimostrazione di questo teorema può essere data in modo


del tutto analogo a quello del teorema precedente. Daremo però qui anche un’altra
dimostrazione che fa uso del teorema 3.1 sulle contrazioni e che evidentemente
vale anche per il teorema 23.1.
m

260 Cap. I li- Calcolo differenziale delle funzioni di pm variabili § 23

A questo scopo consideriamo la nuova funzione, definita in / mediante:

f( x ,y )
F(x, y ) = y - (2 3.4")
fy {x0, y 0)

La funzione è di classe C 1 in / e soddisfa le condizioni

F (x0, y 0) = y 0

Fy (x0, y a) = 0

ed è tale che per ogni (x , y ) B I la condizione/ (x, >’) = 0 equivale alla condizione

F (x ,y )= y . (23.4'")

Facendo uso della (23.4”) e della sua conseguenza F (xQ, y 0) = 0 sarà possibile,
attraverso il teorema della media, riconoscere che l’applicazione

F ( x , ’) : y e i 2 - * F ( x ,y ) e R

è, per ogni x appartenente ad uno opportuno intorno aperto l i di x 0, una contra­


zione in un opportuno intervallo chiuso I 2 di R. Ciò consentirà di applicare alla
(23.4W) il teorema 3.1 (di Banach-Caccioppoli sul punto fìsso delle contrazioni)
ed ottenere (per ogni x S i i l’esistenza di unico y E I 2 tale che si abbia F(x, y ) = y
ed in definitiva f ( x , y ) = Q.
Per provare quanto è stato anticipato, supposto come è lecito f (x 0, y 0) > 0,
determiniamoH, K B R^ T tali che in

^ = {(Jc,P)eRn X R : i X i - r f K f f , i y ~ y 0 ì< K -, i= 1 , 2 , . . . , n )

si abbia (x, y ) > 0.


Determiniamo quindi, come è possibile dalla continuità di / in / e dal fatto
che F (xo, 7 q ) = 0, cr £ R+ tale che a < m in (ff, A ) in modo che se \ x . - x ° | < 6,
i = 1 , 2 , . . . , n, \y - ya l < o si abbia

IF y (x ,y ) l< -~ ■

Fissato poi k £ ] 0, a [ determiniamo 8 E ] 0 , cr[ in modo che posto

■l
§ 23 Funzioni implicite 261

h = {* = (*1. x 2t. .. ,jcn) e R " : lxf - x ? | < 5 , i= l,2 ,...,n }

si abbia

\ F ( x , y a) - y a \< k )2 , per ogni x £ / i .

Ciò posto, fissato j £ / , siano j / e € R tali che \y ' —yo K k e l^" - K


per il teorema -dei valore medio si ha allora:

\F { x ,y ') - F { x ,y " ) \< ~ \y ' ~ y " \

e ancora per ly - y 0 I< k, si ha:

\ F { x , y ) - y 0 \< \ F{x, y ) - F (x, y 0) I + IF (x, y 0) - I'<

1 k
k.
< r ' J' ^ " l + T

Se pertanto póniamo

I 2 = { z € R : la ~ y 0 K f c }

possiamo dedurre da quanto sopra che per ogni fissato x G /j l'applicazione

F ( x , •) -’ y ^- h - ^F C x . y ì E l a

è una contrazione suH’intervallo I 2, che essendo chiuso, è uno spazio metrico com­
pleto. Per il teorema 3.1 (di Ranach-Caccioppoli) esiste allora per ogni x £ F un
unico valore y G I2 tale che

F ( x ,y ) = y

o, ciò che è lo stesso:

f(x ,y ) = 0

Tale valore y € A dipende dal valore x £ / i fissato e pertanto resta individuata una
funzione
262 Cap, III- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 23

ip : x G l) ip (x) = y S I 2 (23.14')

per la quale risulta

f [ x ,y ( x ) ] - 0 , per ogni x S I 1; (23.16)

ip(x0) = j>o ■

Per dimostrare la continuità della <p, analogamente a quanto fatto nella dimostra­
zione del teorema precedente, fissiamo x £ I x, e diciamo t | 6 E + tale che se
Il Axli < ij, ove A x = ( A x , , A x 2, . . . , A xfl) £ R", allora x + Ax € f ) . Per ogni
tale A x, posto Aip = ip ( x + A x) —ip(x) si ottiene, per la (23.16)

f[x + A x, <p(x) + A ip] —f[ x , ip(x)] = 0

Ma il segmento di estremi (x, p(x)), (x + Ax, tp(x) + A ^(appartiene a d ii C i,


possiamo dunque applicare il teorema 20.6 di Lagrange ed otteniamo per un oppor­
tuno 6 £ [0,1 ].

r / [x + d Ax, <p(x) + 0 Aip] A x, + / [x x, ip(x) + 9 A ipj A v?=


L— x ì 1 y
i=l

e poiché anche (x + 0 A x, <p(x) + 8 A<p) £

SL, / [x + 0 A x , ip(x) + 0Aip]


v x‘ (23.17)
(Ti' (sx + 0 A x, <p(x) + 0 A<pj

Detti allora m, M E R + tali che per ogni (x, y ) £ /< si abbia

fy (x ,y )> m , lfXt( x ,y ) \< M ; / « 1 ,2 ..........n ; (2 3 .1 8 )

ne segue

IAlpi < ) — lA x I
14~r
=1 m 1

E ciò basta per concludere che io è continua in x e quindi in / j .


§ 23 Funzioni implicite 263

D’altra parte se A x = h e., ove h E R ed et è l’ìesimo elemento della base cano­


nica di R", /'= 1 , 2 , . , . , «, la (23.17) si riduce a

f[x + 8he,, ip(x) + 0 A <p]


xì________ * ___________
f y [X + 0 h e., <p(x) + 6 Aip]

e da questa si deduce

f x [x ,v (x )]

fy [X, ¥>(*)]

per ogni x £ i ) e per ogni i = 1, 2, . . . , n; e pertanto che A questo


punto per la continuità di ip in x<, è possibile restringere I x sostituendo ad. esso =
= {x 6 R” : \x. - x°. | < y, .0 < y < S }, fare in modo che se x r= J , allora Itp(x) —
- y 0 1< k e porre infine = j> 6 R : \ y -
y 0 I < k } . Il teorema è cosi comple­
tamente dimostrato. QED

Osserviamo ancora che, analogamente a quanto accade nel caso del teorema
precedente, una volta dimostrata 1’esistenza delle derivate parziali della <p, queste
possono essere ottenute derivando rispetto ad x.; i = 1, 2, . . . , n\ nella (23.16) e
3 <p
risolvendo poi l’equazione cosi ottenuta ove si riguardi ------ come incognita.
d i.
Una ulteriore generalizzazione del teorema 23.1 è costituita dal seguente teo­
rema.

23.3. Teorema (Derivabilità di funzioni implicite). Sia / : / - * • R data come


nell’enunciato del teorema precedente ed inoltre sia f £ Ck (I), k £ N. Allora la
funzione implicita definita dalle (23.14) nell’intorno J t di (x 0, y 0) appartiene
anch ’essa alla classe Ck su 7 2.

Dimostrazione. Segue immediatamente dalla (23.15) e dal teorema 20.2 sulla


derivazione delle funzioni composte.
Nel caso «•= 2 si ottiene ad esempio per la derivata seconda di <f>

(f +f J ) f -< / + / <p')f'
y " ( i) =— ** - x y ,31y V xy Jy y r J J x

(•fyy

e di qui, sostituendo il valore di <p' dato dalla (23.9), si deduce:


264 Cap. I li- Calcolo differenziale delle funzioni di più variabili § 23

/J x x / y2
¥>"(*) (23.19)
(fy f

ove tutte le derivate parziali vanno calcolate nel punto (pc, <p(x)). Con lo stesso pro­
cedimento si possono calcolare le derivate terze e quarte, etc. fino all’ordine k.
In generale l’espressione della funzione implicita ip, di cui abbiamo dimostrato
l’esistenza, non è nota, nè si riesce a dare di essa un’espressione analitica. Riescono
allora utili le formule (23.9), (23.19) e quelle che si ottengono derivando queste
successivamente. Ponendo invero x = x 0 e di conseguenza ip(x0) = y o la (23.9)
fornisce:

fx (x0, y o)
f>'(x0) = -
fy ( xo, y 0)

mentre la (23.18) fornisce l’espressione di f " ( x 0) etc.


Questi valori permettono di costruire, a meno del termine complementare,
la formula di Taylor della funzione i/> con punto iniziale x 0 , la quale fornisce valu­
tazioni approssimate della funzione implicita tanto meglio approssimate quanto più
x è prossimo ad x q .

■ Problemi.

23.1, Riconoscere se le seguenti funzioni v

fi '■ {x, >>) G R2 -> x 2 + / 6 R - ;

f 2 : ( x ,y ) e R 2 -ry 2 - r £ R

f i '■ (x, y ) e R2 ->y + x y 2 + x 2 y 3 e R

sono adatte a definire attraverso l’equazione

f l ( x ,y ) = 0 ; «'=1,2,3 ;

la seconda variabile in funzione della prima in un intorno di (0, 0).

23.2. Verificare che la funzione

/ : (x , y ) e R2 ~+ seny - x y e R
23 F un zion i implicite 265

definisce, attraverso la equazione f{ x , y ) ~ 0 la p come funzione di x


in un intorno di (0, 0). Determinare il polinomio di Taylor di grado 3 della
relativo al punto iniziale x = 0.

23.3. Sia / : I -*■ R continua e derivabile in un intervallo aperto di R, sia /'(x ) # 0


per ogni x EI.
Si domanda se data s

F : (x, y ) e / X R -+ /(* ) - y e R

l’equazione F (x, y ) = 0 definisce implicitamente la prima variabile in funzio­


ne della seconda in / X / ( / ) .

23.4. Data la funzione g definita in R

0 se x=0

#00 =

, 1
x + 2 ; r s e n —- se*^=0
x
derivabile per ogni* e R e tale che g (0) = 1,
si domanda
i) se g e e 1 (R)

ii) se la funzione

F ; (*, y ) 6 R2 ~>g(x) - y e R

soddisfa le ipotesi del teorema di Dini in (0, 0).


iii) seg è invertibile in un intorno di 0.
Se ne deduca che se / : I -> R, ove / è un aperto di R2 è continua e derivabile
in I e se f ( x 0, y o ) = 0, f (*0, Po) ^ 0 per (x0, y o ) è / non necessariamente la
equazione f( x , y ) —0 definisce la^ in funzione di x in un intorno di (x 0, y 0).

23.5. Provare che le ipotesi del teorema 23.1 possono essere alleggerite nel senso
che:
i) Se / : I -*■ R è continua in un insieme aperto I di R2 se / ( * o. Po) = 0,
f (*o. Po) =£ 0 per (*o. Po) G / e se f è continua in / allora l’equazione
f( x , p) = 0 definisce in un intorno di (xQl y 0) la y come funzione continua
ip d ix
266 Cap. I l i - C al co l o differenziale delie funzioni di più vam biii § 23

ii) se inoltre f è differenziabile in (x 0, y 0) allora <pè derivabile in x 0 e sussiste


la (23.9).

23.6. Sia I = fa, b] un intervallo limitato e chiuso di R e sia/ : / X R -* R continua,


derivabile parzialmente rispetto alla seconda variabile in / X R e tale che
esistono m, M € R+ per i quali

perogni (rj)6 /X R .

Provare che esiste una unica ip : fa, bf R, continua e tale che f( x , <p(x)) = 0
per ogni x e [a, b \
(Si consideri lo spazio normato C°(I) e si verifichi che l’applicazione T : S

6 C °(I) -*■ ------ / ( • , (•)) S C° (i) è una contrazione su C° (/)) .


6 .

Equazioni differenziali
ordinarie

In questo capitolo affrontiamo lo studio delle equazioni differenziali ordinarie


considerando principalmente il problema della esistenza e della unicità delle soluzio­
ni del cosiddetto problema di Cauchy tanto per le equazioni differenziali di ordi­
ne n in una sola funzione incognita quanto per i sistemi di equazioni differenziali
del primo ordine. Al primo di questi problemi abbiamo già dedicato Un breve cen­
no, nel 1° Volume, limitatamente al caso delle equazioni differenziali lineari del 2°
ordine a coefficienti costanti. Oltre al cosiddetto quadro locale, in cui la esistenza e
la unicità delle soluzioni è stabilita in un intorno del punto iniziale, anche il quadro
globale in cui vengono considerate soluzioni non prolungabili sarà preso in conside­
razione. Ci soffermeremo quindi sul caso lineare studiando le principali prQprietà
dell’insieme delle soluzioni delle equazioni differenziali lineari e dei sistemi diffe­
renziali lineari.

37. - Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine

Sia I un intervallo generico di R anche noi) limitato ma non ridotto ad un punto;


tale cioè che per l’insieme 1° dei suoi punti interni si abbia / ° 7= <js.
Data y : / -»■ R seguiteremo ad intendere che y è' derivabile in I se essa è deriva­
bile in ogni punto interno ad / e se inoltre essa ammette derivata sinistra (destra)
nell’estremo destro (sinistro) di / qualora tale estremo appartenga ad I. Se poi
tale derivata è continua in / diremo che y G C 1 (/).
In modo analogo sarà definita la classe Ck (1), 1 G N
Come sappiamo il problema di determinare tutte le funzioni y derivabili in un
intervallo aperto non vuoto / per le quali risulta per ogni x G /

y ’(x) = f ( x ) (37.1)

è risolto, se / : / -> R è una funzione continua, dalla operazione di integrazione in


definita. Nel seguito prendiamo in considerazione il problema più generale che con­
siste, dati un insieme aperto D c R2 ed una funzione / : Z) -> R, nel determinare
444 Cap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37

tutte le funzioni y : / -> R definite e derivabili in un intervallo generico del tipo


sopra descritto I C R per le quali si ha oltre che (x, y (x ) )&D anche

y' ( x ) ~ f { x , y ( x ) \ per ogni x & I (37.2)

Siamo così portati ad introdurre la seguente:

37.1. Definizione (Equazioni differenziali del 1° ordine in forma normale)


a) Il problema sopra enunciato viene detto equazione differenziale ordinaria) del
1° ordine in forma normale e viene indicato con la notazione
/ = / ( * . JO “ (37.3)

b) ogni funzione y : I -*■ R derivabile in un intervallo generico / C E tale che 7° j=<j>


che verifichi ivi la (37.2) è detta soluzione della equazione differenziale (37.3). Tal­
volta, usando nel caso generale lo stesso linguaggio che deriva dallo studio della par­
ticolare equazione differenziale (37.1), una soluzione della (37.3) è anche detta in­
tegrale della stessa (37.3) ed il suo grafico è detto curva integrale della (37.3).
c) Poiché è evidente che se y :I~* R è una soluzione di (37.3) e se J è un intervallo
contenuto in I allora la restrizione y : J -+ R di y a J è anch’essa una soluzione
di (37.3), siamo indotti ad introdurre una relazione di ordine nell’insieme delle
soluzioni di (37.3), 3) ed a dire che se y : 7 ->• R, y : / -* R sono due soluzioni di
(37.3) tali che I c T, y { t ) = y (t) per ogni t e I allora la soluzione;? è un prolunga­
mento della soluzione y ed è un prolungamento proprio se I =£ I. Diciamo anche
che una soluzione è prolungabile se esiste una soluzione che sia prolungamento
proprio di essa, diciamo che è non prolungabile o anche massimale se non esiste
alcuna altra soluzione che sia prolungamento proprio di essa.
§ 37 Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine 445

Una equazione differenziale come la (37.3) in cui / è continua ha in generale


infinite soluzioni.com e del resto mostra l’esempio (37.1). La stessa equazione
(37.1) ammette però dati r 0 e / j 0 e R una unica soluzione (massimale), quella

data su I da y ( x ) = y 0 + I f (s) ds, per la quale risulta y ( x 0) = y 0 ; cib che è lo

stesso la (37.1) ammette una unica soluzione massimale il cui grafico passa per
il punto assegnato (xo, ^ o ) ' =7 X R.
Ciò induce a formulare la seguente:

37.2 Definizione (Problema di Cauchy). Data / : D c R 2 R come nella


definizione 37.1 e dato (x0, y 0) £ D si chiama problema di Cauchy perla equazione
differenziale (37.3) con dato iniziale (x 0, y 0 ) S D il problema della ricerca delle
soluzioni y : I - » R di (37.3) per le quali sia x 0 e / e y (x 0) ~ y o . Tale problema
nel seguito sarà indicato con la notazione
P
y '~ / ( x ,y ) , y ( x o)~y<> (3 7 .4 )

Come vedremo nel seguito questo problema ammette, sotto condizioni assai
larghe per la f una ed una sola soluzione nel senso che se>, : / - * R e 3' : / - > R sono
due soluzioni di esso allora sih ajrfc) = j>(x) per ogni* G l <11.
Una significativa interpretazione geometrica dei problemi ora formulati si ha
considerando per ogni (x , y ) e D la terna [x, y , r(x, y)] e R 2 X R costituita
da (x, y ) e -D e dalla retta r(x, y ) di R 2 passante per (x, y ) ed avente coefficiente
angolare f ( x, y)\ tale terna è anche detta elemento di contatto di (37.3).
446 Gap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37

E’ evidente che l’assegnazione dèlia equazione (37.3) è equivalente all’assegna­


zione della totalità degli elementi di contatto [x, y , r(x, y)] e R2 X R \ ( x , y ) € t D
e che una funzione y : I -* R definita derivabile in un intervallo / C R è una solu­
zione di (37.3) se e solo se il suo grafico ha in ogni suo punto [x, y(x)] per tangente
la retta r[x,y(x)\.
Ciò suggerisce le seguenti considerazioni di carattere intuitivo.
Dato un punto P0 = (x0, y 0) e D siaP , =(Jfi , y t ) ^ D co n * ] > x 0) un punto
appartenente alla retta che passa per P0 e ha per coefficiente angolare f ( x 0, y 0),
sia poi P2 ~ (x2, y 2) 6 D, con x 2 > X j, un punto della retta che passa per P j e
ha per coefficiente angolare f ( x t , >'i) e così di seguito. Si ottiene in tal modo una
poligonale che, almeno stando all’intuizione, tenderà al tendere a zero delle distanze
tra i vertici consecutivi di essa, ad una curva integrale che raccorda infiniti elementi
di contatto individuati dalla (37.3). Queste considerazioni potrebbero essere rese
rigorose nella ipotesi che / sia continua in D, come è stato fatto vedere da Peano,
in un teorema del quale non parleremo. Esse ci risuggeriscono anche che, almeno in
ipotesi di buon comportamento di / , una qualunque curva integrale deve essere
individuata dalla ulteriore condizione di passare per un punto fissato di D e ci ricon­
fermano nelle opportunità di considerare il problema di Cauchy.
Siamo ormai in grado di enunciare il seguente fondamentale teorema di esisten­
za e unicità per le equazioni differenziali del 1° ordine in forma normale,

37.3. Teorema (Esistenza e unicità per il problema di Cauchy). SiaD C. R 2 un


. 9/
insieme aperto e sia f : (x, y ) & D f ( x, y ) S R continua in D insieme con —- - , sia
dy
(x0, y o) e D. Esiste allora un intervallo I contenente x 0 su cui è definita una ed
una sola funzione y : / -> R di classe C l (/) che è soluzione del problema di Cauchy
(37.4), tale cioè che y ' ( x) =f (x , y(x)) per ogni x b i e c h e y ( xo) ~ y o -
Alla dimostrazione del teorema ora enunciato premettiamo i tre successivi
teoremi il primo dei quali riconduce la ricerca di soluzioni dei problema di Cauchy
alla ricerca di soluzioni di una “equazione integrale” .

37.4. Teorema (Equazione integrale associata). Sia D un insieme aperto di


R2 e sia f ; D -> B. continua. Condizione necessaria e sufficiente affinchéy : I ■ * R
sia una soluzione di classe C* tf) del problema di Cauchy (37.4) è ch e y sia continua
in / e che per ogni * £ / si abbia

(37.5)

Dimostrazione. Sia y e Cl (/) una soluzione del problema di Cauchy (37.4)


allora integrando i due membri della uguaglianza, valida in I, y '(x ) = f[x, y(x)J
otteniamo per ogni x e /
37 Equazioni differenziali ordinane del primo ordine 447

y ( x ) - y (x 0) = I f[s, J (*)] ds

e tenendo conto del fatto c h e y (x 0) = y 0 la (37.5),


Viceversa sia y S C(f) tale che per ogni x S I sussista la (37.5). Allora la fun­
zione : x S I -* f[x, y ( x ) \ S R risulta continua in I, dunque per il teorema fonda-
mentale del calcolo integrale (teor. 72.2 del 1° Volume) il secondo membro di
(37.5) è derivabile ed ha per derivata / [x, y (x)] s e r e I: dunque y S C1 (7) e
y (x) = / [x, y (x)\ quando x S I . D’altra parte calcolando i due membri della (37.5)
in x a si ottiene y (x 0) =>’o- H teorema è così completamente dimostrato. QED

Dimostriamo ora il seguente teorema di esistenza.

37.5. Teorema (Esistenza di una soluzione per il problema di Cauchy). Dato


il rettangolo chiuso R = {(x, y ) S R2 : Ix - x 0 i < a, \ y - y 0 j-<2> } con a , b S R+
sia f : R -*■ R continua e tale da soddisfare la condizione di Lipschitz rispetto alla
seconda variabile: esiste A S R + tale che

\f(x, y " ) - f ( x , y')\ < A ! / ' - / ! per (x, y ’\ (x. / ' ) S R . (37.6)

Siano M S R ^ tale che max { If ( x , y ) i : (x, y ) S R } < M e

S = min \ a , ~j^~\ (37.7)

Allora esiste una funzione continua in [xo - 5, x 0 + ò] soddisfacente ivi la (37

Dimostrazione. Sia q> una generica funzione continua nell’intervallo [x 0 ... g


x 0 + 6 ] soddisfacente la condizione:

ijj(r )-p 0 l<^ (37.8)

consideriamo allora, come è possibile, in [x 0 —6 , x 0 + 6 ] la funzione:

W *) =y o +1 fU , (0] dt
¥> (37.9)
*0

ottenuta sostituendo ip(x) al posto di y (x ) nel secondo membro della (37.5) e(j
osserviamo che essa soddisfa ancora in [x 0 - 6 , x 0 + 5] la condizione:
44 8 Cap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37

I\|/(jc) - j 0K I/[AV>(01 i d t \< M Ijxt —Xo K i


I.

analoga alla (37.8) ed è ivi continua.


Per risolvere il problema considerato occorre e basta mostrare che esiste una
funzione q>alla quale, mediante la (37.9), corrisponda la stessa funzione <p; occorre
e basta mostrare, in altri termini, che esiste una funzione che sia “unita” per la
trasformazione che ad ogni < p continua e soddisfacente (37.8) fa corrispondere la
tp definita mediante (37.9).
Per mostrare ciò ci serviremo del metodo delle approssimazioni successive
del quale ci siamo già serviti nel n. 3.
Posto:

yo(x)=y0 (37.100)

poniamo
»

(3 7 .1 0 ,)
/—\

/*“\
^3
**
II
0

*0

e successivamente

yì(x)-y0 + l f ( t , y i (t)) d t (37-IO ì )

rx
y k( x ) = y o + f ( t- y k - 1 ( 0 ) dt (37.10ft)

Poiché y a (x) soddisfa in [.x0 -- S, x 0 + 5 ] ovviamente la limitazione

lj'ò G * )-P o l = 0 < h ,

segue per quanto abbiamo dimostrato-prima:

e successivamente per la stessa ragione:


§ 37 Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine 449

b'ftOO-J'oK* . .

sempre che x 0 ~~ 8 < x < x 0 + 8 .


Abbiamo in tal modo ottenuto una successione di funzioni continue in [x 0 - 5,
Xq + Sj

y 0 i x ) , y 1{x), y2 ( x ) ................ y k (x) , (3 7 .1 1 )

Dimostreremo ora che tale successione converge in [j c 0 ~ 5 , x 0 + 5] uniforme-


mente ad una funzione continua. Ciò equivale a dimostrare che la serie
D e»7 1 1 ')

yo (x ) + [y i (x) y a(x)\ + 0 2 (x) —>-i(x)] “+ • • • + \yk{x) - y k_ j(x)] + • • •

converge uniformemente in [x0 —5, x 0 + 5 ] . Per questo osserviamo che in [jc 0 - 8,


Xo + S] per la (37.10j) si ha:

\ y i ( x ) - y 0( x ) \ < M \x-X(>\

e ahcora per le (37.10!), (37.10j) e per la (37.6), si ha:

O 'aM -.V itoK / \ f [ t , y i ( t y \ - f [ t , y 0(f)]\dt <

IJC —JCò t2
«zi f iyi(t)-yo(t)ìdt | < a m | j \ t - x 0 \dt =AM
'*„ I I Jxt

‘Procedendo in modo analogo si deduce, sempre in [x0 ~ 8, x 0 + 8 ]

\yì(x)*-yì(x)\ If m y* (OJ - f ( t , y i ( f ) ] \ d t <

* ' t - x 0 \2
<A ( \ y ì ( t ) - y i ( . t ) \ d t \<a ì m \ f dt =A2M -
7* 0 I I-'* 3!

e in generale:

\x - X0 \k
ì yk ( x ) - y k_ 1( x ) \ < A lc (37.12)
k\
45 0 Gap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37

La serie (37,11') risulta quindi maggiorata in [x 0 - 6, aro + 8 ] della serie numerica

M (AS)k
J'o + L
k= 1 A k\

Quest’ultima serie è convergente e quindi la (37.12) è totalmente convergente


e allora anche uniformemente convergente in [x0 —&,x0 + 5 ] .
Detta ora y (ac) la funzione limite della successione (37.11) osserviamo che,
per quanto visto in precedenza, in jx 0 - 5, ac0 + 6 ] si ha ì_y(ac) - y 0 i < b,
dimostriamo quindi che nello stesso intervallo.

y(x)=y0 + ( f[t,y(t)]dt~ (37.13)


*0

e ciò proverà il teorema enunciato.


Ciò risulta con un passaggio al limiti per k tendente all’infinito nella (37.ìOfc);
infatti essendo:

IJ W , y ( m - f { t , y k (f)ì Id t \ < A i/ \y(t) - y k (t)\dt


I Xq I l. X[f

ne segue

lim j f \ t , y k ( t ) ] dt = f f [ t , y ( f )) d t . QED
lxt *,

Dimostriamo ora il seguente teorema di unicità:

37.6. Teorema (Unicità della soluzione del problema di Cauchy). Sotto le


stesse ipotesi del teorema 37.5 (in particolare l ’ipotesi diLipschitz) esiste al più
una funzione continua y = y (x) soddisfacente in [ac0 — 8 * ac0 + 8 ] la relazione
(37.5).

Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che esistano due funzioni y ( x )


e y ( x) soddisfacenti in [x 0 - 8, x 0 + 5 ] la (37.5) e non identicamente uguali in
[x0, x 0 + 6 ]. Ne segue che posto

Xi = sup {x S [x0, x 0 + 8] : y ( t ) = j >(0 in [x0, x ] }

deve aversi Xi < x 0 + 8 . Per ogni o > 0 tale che Xi + cr < x 0 + 8 si ha allora in
[ * ! , * ! + a].
' Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine 451

/*»
y (*) - y f r ) = ] { f i 1- y (OJ - f [ t . x m }dt +
A.0

xi
y(t)}}dt
■r {f[t,y {t)]-f[t,y{t)}}dt

donde, detto L d massimo valore assoluto di Iy ( x ) - y ( x) I in [xt , x , + cr] si ha per


ogni x €£ [x i , x i -f- a] r^'

Iy ( x ) ~ y ( x ) K A y(f)\dt<AL o

e quindi se ne deduce la relazione:

L <AL a

1
ovviamente assurda, per a fatto che L > 0 , quando si prenda a minore di — .
A
In modo analogo si deduce che y ( x ) e y ( x ) devono coincidere nell’intervallo
[x 0 - 5, x 0] ed il teorema resta così completamente dimostrato, QED

A questo punto la dimostrazione del teorema 37.3 è facilmente deducibile


dai teoremi 37.4, 37.5, 37.6; lasciamo al lettore la cura di effettuare questa dedu­
zione dopo aver osservato che la ipotesi di continuità di f t in D permette, dato
(x 0, v0) e D , preso R = {(x, y ) S R2 : | x - x 0 1< a, ly - y 01< b } c D e posto
A - max { 1 / (x, y)\ : (x. y ) e R } di soddisfare in R la ipotesi di Lipschitzianità
(37. 6 ), Infatti se (x, y'), (x, y " ) e R per il teorema del valore medio si ha

\f(x,y" )-f(x,y')\= lfy (x, v) ( y" ~ y ' ) \ < A \ y " - y 'I

ove è opportunamente scelto in [y’, y"].

li teorema di esistenza e di unicità 37.3 pub essere detto un teorema di caratte­


re locale perché permette di dedurre da proprietà dei dati del problema di Cauchy
nell’intorno del punto iniziale proprietà della soluzione nell’intorno dello stesso
punto.
Cercheremo ora di ottenere un teorema di carattere globale concernente la
equazione differenziale (37.3) cioè un teorema che da proprietà della d a t a / su
tutto D faccia dedurre proprietà delle soluzioni massimali di (37.3) e dei relativi
problemi di Cauchy.
Allo scopo ci sarà utile introdurre anche la seguente:
452 Gap. VI - Equazioni differenziali ordinarie : 37

37.7. Definizione (Soluzioni prolungabili). Con le stesse notazioni della


definizione 37.1 se y : / R è una soluzione di (37.3) diciamo che essa è prolun­
gabile a destra [a sinistra] se preso arbitrariamente x 0 e 1° esiste un intervallo 7 di
estremo sinistro [destro] x 0 contenente i t = / n {x & I : x > x a } [/" = 7 0
/«» ri 0

y non è prolungabile a destra (a sinistra).


Evidentemente y è soluzione prolungabile di (37.3) se e soltanto se y è pro­
lungabile almeno a destra o a sinistra; y è soluzione non prolungabile se e soltanto
se non è prolungabile né a destra né a sinistra.
Possiamo allora enunciare il seguente teorema di carattere globale

37.8. Teorema (Prolungabilità di soluzioni). Sia D un insieme aperto di R2,


sìa f : (x, y )G .D f( x , j ' j e R continua e dotata dì derivata parziale f continua
in D. Allora possiamo affermare che:
1) Se y : / -+ R, y : / - » R sono due soluzioni di (37,3) che assumono lo stesso valo­
re y (x o ) ~ y(xo ) in un x 0 G / n J, esse coincidono su 1 C\J.
2) Ogni soluzione y : I -» R di (37.3) può essere estesa ad una Soluzione che è un
prolungamento massimale di y,
3 ) Se y : I -+ R è una soluzione di (37.3) essa è prolungabile a destra se e soltanto
se I è limitata a destra e se preso arbitrariamente x o & I e posto F "(y, x 0 ) =
“ {(*, / ) 6 / X R : y =!y ( x ) ,x 0 < x ] si ha che
i) F"0>, Xo) è un insieme limitato di R2
ii) introdótta per ogni coppia di sottoinsiemi A, B<- R n la distanza fra A e
B mediante d(A, B) = in f (llx — >>Il : x 6 A, y G B ] si ha che la distanza
d (F,,(>’, x 0).' ò D ) fra F "(y, x 0) eia frontiera 3 D d iD è positiva.
A naloghe considerazioni sussiston o p er la prolun gabilità a sin istra.
Lasciamo per il momento da parte la dimostrazione di quésto teorema e dedu­
ciamone le notevoli conseguenze che sono espresse dai due seguenti teoremi.

37.9.Teorema (Proprietà delle soluzioni massimali). S e D e d f : D - * R sono


dati come nel precedente teorema e se y : I R è una soluzione non prolungabile
a destra della equazione differenziale (37.3) allora ogni sezione finale destra
F " 0 . x 0) del suo grafico incontra la frontiera 3 D di D nel senso che per ogni
compatto K.C D risulta V "(y, x 0 ) n (D - K) ¥=<p.
Analogo risultato sussiste per le soluzioni non prolungabili a sinistra.

Dimostrazione. Ove, per assurdo fosse T "(y, x 0) n (D - K) = f ne seguirebbe


F "(y, x 0) c K donde che V"(y', x 0). è limitato in R2 e che d ( r "(y, x 0)', 3 D j >
d {K , ’dD } > 0 e pertanto per la 3) del precedente teorema che y è soluzióne di
(37.3) prolungabile a destra. Dunque una contraddizione. QED
§ 37 Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine 453

37.10. Teorema (Casi di unicità). Se D e f :f > - * R sono da ti com e nel teorem a


37.8 allora per ogni (Xo, y o ) # problem a d i C auchy (37.4) am m ette una ed m a
sola soluzione massimale y : / -* R il cu i gra fico in con tra n el senso sopra d escrìt­
to la fro n tiera 3 D d i D ,
Dimostrazione. L ’asserto segue ovviamente dal teorema 37,3, dalla 1) e 2) del
teorema 37.8 e dal teorema 37.9. Q.E.D,
Veniamo ora alla dimostrazione del teorema ,37.8.
Per ciò che concerne l’affermazione 1) osserviamo preliminarmente che nelle
nostre ipotesi il teorema 37.6 permette di concludere che esiste un intorno ] !•''[
d ix 0 ove le funzioni^ e y coincidono.
Supponiamo allora per assurdo che esista tj e / n / tale che y (r))4* y(ri) e sup­
poniamo per fissare le idee che sia x 0 < 17. Posto E = ( r € R : x 0 < x <r), y ( t) =
= y ( t) se x 0 < t < x } si ha che £' A 0 e superiormente limitato e che pertanto esiste
| < p tale che %= sup E.
Ma dalla continuità di y e y si deduce che | = max E < p . Per il teorema 37.6
esiste allora un intorno di £ per ogni x del quale si ha y ( x ) = y ( x ) e ciò contrasta
con la definizione di | . L’affermazione 1) è cosi provata.
Per dimostrare l’affermazione 2) indichiamo con ^ l a classe di tutte le soluzio­
ni di (37.3) che sono prolungamenti d i y e con E 2 e E i le classi degli estremi destri
e sinistri rispettivamente degli intervalli in cui le funzioni di sono definite e

poniamo / = [ J / (z) essendo I (z) l’intervallo in cui è definito il generico prolun-


ze<4
gamento z : / (z) ■ * R di y ; z £ ^
Nell’intervallo T definiamo la funzione y nel modo seguente se: z 6 / esiste
z : /( z ) ■ + R, z e ^ tale che x £ 7(z); definiamo allora y ( x ) = z(x ) osservando
che per quanto si è dimostrato in 1) il valore (x) così ottenuto è indipendente
dalla scelta della z sopra effettuata.

Per il modo come è stata definita, tale y : / ■ * R è un prolungamento di y


che verifica l’equazione (37.3). Rimane da vedere che 'y è soluzione non pro­
lungabile di (37.3). Infatti ogni prolungamento ? : /- * ■ R di y che verifica (37.3)
è tale che 'z £ quindi per quanto visto sopra y è un prolungamento di z'e quindi
y^z:
L’affermazione 2 è cosi provata.
Passiamo infine alla dimostrazione dell’affermazione 3). Sia y : I -+• R una
soluzione di (37.3), sia x 0 e 1° e sia y soluzione prolungabile a destra.
Allora esiste una soluzione y di (37,3) che è definita in un intervallo \x 0, £] 7
D 1* per la quale y (x) = y (x) se x G l* .D a ciò si deduce che r " (y , x 0) c D e
*0 f *0
che le condizioni i), ii) dell’enunciato sono pertanto verificate.
Viceversa sia y ; / -> R una soluzione di (37.3) per la quale F (y, x 0) verifica le con­
dizioni ì),ii).
Definito ancora /* come nella definizione 37.7 può aversi allora I* = [x0, x"[
454 Cap. VI - Equazioni differenziali ordimrie § 37

oppure / + = [x0, x"]. Consideriamo il primo di questi casi.


_ ± s _____
Allora r"(v, x 0) è compatto di D e pertanto esiste M £ R , tale che \f ( x ,y ) \ <
< M se (x, j i ) e r "{y, x a) e quindi 1f[x , >>(x)]l < M se x e [x0, x"[. Ma poiché
y è soluzione di (37.3) si ha in [x0, x"[

.V (* )= .K * o )+ ( f[ s ,y (s )] d s (37.14)

e quindi se x, | <E[x 0, x"[

|[ y ( x ) - v ( S ) ] | = ( f[s, y (s)] ds
h
Da questa, per il teorema di Cauchy (ter. 37.16 del 1° Voi.) si deduce che esiste
in R il lira y (x ). Se allora prolunghiamo y in [x0, x"] definendo y (x " ) =

= lim y(x') otteniamo poi dalle (37.14), per ogni a- S [x 0, x ”].


x-*x

y ( x )- y ( _ x " )= I " f[s, y (s)] ds (37.15)

e ne deduciamo che la funzione così prolungata ammette in x " derivata sinistra


y '(x " —) per la quale si ha y (x " —) - f [ x ’, y (jc ")J. Ma [x'1, y ( x " ) ] B P '^(y, x 0)
C D quindi per il teorema di esistenza e unicità (37.3) esìste un intorno I ~ \ x" — a,
x" + a [ di x" in cui è definita una soluzione z : I -* R di (37.3) per la quale z (x ") =
= y(x").' Si vede allora facilmente che la funzione y così definita in [x0, x ” + o[

y(x) m i x 0,x " [

y(x) =
r
z(x ) m [x , x + a[
m r tf J t r

è derivabile in [x0, x " + a[ e verifica ivi la (37.3). Alla stessa conclusione si perviene
s e / . = [x 0,x " ].
*0
Risulta così provato che y ammette un prolungamento proprio a destra e
quindi che l’asserzione 3) ed il teorema 37.8 sono completamente dimostrati. QED

Dai teoremi ora dimostrati si deducono anche i seguenti risultati relativi a casi
particolari di notevole importanza.
§ 37 Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine 455

37.11. Teorema (Soluzione massimale in ipotesi uniformi di Lipschitz). Se


dato l ’intervallo chiuso e limitato [a, b] e posto D = [a, b] X R , / : D -» R è conti­
nua ed uniformemente Lipsqhitziana nella 2 ° variabile: tale cioè che esiste A e R+
per il quale
f"'--
' (
l/'-y i se ( * , / ) ( * , / ' ) E D ;

e se (x q , J'oJ 6 ]a, h [ X R allora la soluzione massimale del problema di Cauchy


(37.4) relativamente a D° è definita su ]a, b[ ed ammette prolungamento di classe
C1 su [a, b] che ivi soddisfa la (37.3)

Dimostrazione. Poniamo M = max i ^ i x , ’■ xG .\a, 6 ]} . Definiamo quindi,


come è possibile, in [a, b ] le funzioni continue

y x( x ) = y 0 + f { t , y 0)dt. (3 7 .1 5 ,)
L

y k ( x ) =y o + (37.15 k '
J
xo

allo stesso modo che nella dimostrazione del teorema 37.5. Dalla (37.15) ottenia­
mo, se x e [a, h],

<yw i x - x 0 1
(Pi W - 7 o l <
/: ì f ( t , y 0) \d t (37.16)

e successivamente, come nella dimostrazione del teorema 37.5, per ogni k e N

\x - x 0 I*
c' A* - 1 M se x e [a, b]
ifx

donde come nella dimostrazione dello stesso teorema 37.5 si conclude con la con­
vergenza uniforme in [a, b] della successione y k verso una funzione y che risulta
pertanto continua e tale che
456 Cap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37

Dal teorema 37.4 segue allora che y è soluzione in [a, è] del problema di
Cauchy (37.4) che y è ovviamente soluzione massimale di tale problema relativa­
mente a D° che è l’unica per il teor. 37.8 e che risulta di classe C 1 su [a, b], QED

37.12. Teorema (Soluzioni massimali in ipotesi uniformi di Lipschitz: caso


generale). Se I è un generico intervallo di R (eventualmente non limitato) sef: I X
X R -> R è continua e uniformemente Lipschitziana nella seconda variabile su ogni
D = [a, b] X R con [a, è] C l e se (x0, y o) <£ (1°) X R allora la soluzione massimale
del problema di Cauchy (37.4) relativamente ad 1° X R è definita su tutto 1° ed
ammette prolungamento di classe C 1 su I che ivi soddisfa la (37.3).

Dimostrazione II caso in cui I è limitato e chiuso è stato considerato nel teore­


ma precedente. In ogni altro caso è possibile considerate una successione di interval­
li chiusi e limitati I •= [a , b ] tali che x 0 e ( / )° per ogni n 6 N, che I C I , ,
n ti n n n n +1

per ogni n 6 N e che I


n£N
u/ . Allora per il teorema precedente esiste per ogni

n € N la soluzione dèi problema di Cauchy (37.3) in / ; sia essa y : In R per cui


ponendo per ogni x E I

y ( x ) ^ y n (x) se x e f n

e tenendo conto dei teoremi di unicità (37.6) e (3 7 ,8 i) risulta definita su tutto


/ l’unica soluzione del problema di Cauchy. QED

Ne segue in particolare:

37.13. Teorema (Soluzioni di equazioni lineari). Se I 'è un intervallo generico


di R, se a, 0 : /- > R sono funzioni continue e se (x 0,y o ) S / ° X R allora la soluzio­
ne massimale del problema di Cauchy in 1° X R relativo alla equazione

y ' = a ( x ) - y + i3 ( x ) (37.17)

ed al dato iniziale (x 0, y» ) è definito su tutto 1° e ammette prolungamento di


classe Cl su I che ivi continua a soddisfare la (37.17). L ’equazione differenziale
(37.17), per il fatto che il secondo membro dipende linearmente dalla funzione
incognita sarà detta equazione lineare del 7° ordine informa normale.

37.14. Osservazione (Formula risolutiva dell’equazione lineare del 1° ordine).


Conviene però osservare che a questo risultato saremmo potuti pervenire diretta-
§ 37 E quazión i differen ziali ordinarie dei prim o ordine 457

.. ~
[
I a (s j d s

mente con il seguente ragionamento. Per ogni x e /p o n ia m o f>(x) = e *° e


moltiplichiamo ambo i membri di 37.17 per <p(x).
Osserviamo quindi che per ogni x G J

y '(x ) ip(x) - y{x ) a(x) ip(x) = — 1> (x) ♦ <p(x)]


dx

in modo che la (37.17) da luogo alla equazione differenziale

d
{y(x) • <p(x)}-p(x)ifi(x)
dx

la quale è del tipo (37.1). Se ne deduce pertanto che su tutto I deve aversi

y (*) <P(x) = I P (0 <P(t) d t + y 0

e in definitiva

f§ à (s )d s

y (x ) = é *• |3(r) e (37.17')

o anche

j>(x) = exp y* + (3( t ) d t ,

che mette maggiormente in evidenza il m odo in cui intervengono i dati.


Poiché immediatamente si verifica che la funzione definita in / dalla (37.17'')
è soluzione del problema di Cauchy (37.4) per l’equazione lineare (37.17) abbiamo
cosi riottenuto che il problema di Cauchy (37.4) per l’equazione lineare (37.17)
ammette soluzione unica definita su tutto /; di più abbiamo ottenuto che questa
è data su /d alla (37.17').

37.15. Esempi 1) Consideriamo il problema di Cauchy in D = R2

/= y , y (0 ) = 1 (37.18)
458 G ip . V I - Equazioni differenziali ordinarie § 37

Immediatamente si riconosce, per il teorema 37.3, che tale problema ammette


una unica soluzione in un intorno di 0 e per il teorema 37.10 che tale problema
ammette una unica soluzione massimale. Il teorema 37.12 (con il suo corollario
37.13) ci permette inoltre di affermare che tale soluzione massimale è definita su
tutto R. Per quanto visto nella osservazione 37.14 tale soluzione è data su R dalla
funzione ex come del resto ci era già noto dal n. 94 del 1° Volume.
2) Consideriamo il problema di Cauchy

y '= y 2 , >’( 0 ) = i (37.19)

Anche in questo caso si riconosce, per i teoremi 37.3, 37.10 che, questo pro­
blema di Cauchy ammette una ed una sola soluzione sia in piccolo che globalmente
relativamente all’insieme D = R2 ; non possiamo però dedurre che la soluzione mas­
simale sia definita su tutto R poiché la funzione (x, y ) e R2 ->y2 G R non è unifor­
memente Lipschitziana rispetto alla seconda variabile. Di fatto, come si riconosce
immediatamente, tale soluzione massimale è data da:

1
y :x ]-<*>, 1 [ ->y()c) = ----------6 R .
1-x
§ 37 Equazioni differenziali ordinarie del primo ordine 459

Figura 6.4

Per ottenere ciò basta soltanto osservare che per ogni y derivabile e non nulla si ha

/(* ) _ / i _y
y 2 (x) \y (x )l

/l v
in modo che là (37.19) da luogo alla equazione ( — ì = —1 e5 nei
nertanto che per
\y i
, , . , I l
ra soluzione y aei nostro problema deve aversi-------- -- - rH--------
y{x ) ,v(0)
3) Consideriamo il problema di Cauchy

y = 2 l y l s/2 , y(0) = 0 (37.20)

Anche in questo caso la funzione a secondo membro è continua in D — RJ, essa


però non è lipschitziana rispetto alla variabile y in alcun intorno del punto iniziale
460 Gap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37

Figura 6.5

(0 ,0 ). Immediatamente si riconosce che la funzione

y t : * € R -*y (x) - 0 ;-

8 una soluzione del problema di Cauchy assegnato. Altrettanto facilmente si riconc


SCe che per Ogni X, p € R, X < 0 < p, la funzione

se x <X
y 2 : X G R -> 0 se X
(x -p f se x> p

è una soluzione massimale dello stesso problema di Cauchy, in modo elle si hanno
infinite soluzioni per il problema di Cauchy considerato. Questo esempio mostra
in sostanza che la sola continuità della funzione f( x , y ) non è sufficiènte per
garantire la unicità delle soluzioni del corrispondente problema di Cauchy (37.4).
Questo comportamento va sotto il nome di fenomeno di Peano.
Più generalmente di quanto è stato fatto finora possono essere prese in Consi­
derazione equazioni differenziali del primo ordine in forma implicita che possono
essere definite nel modo seguente.
§ 37 Equazioni differenziali ordinarie dei primo ordine 461

37.16. Definizione (Equazioni differenziali del 1° ordine in forma implicita).


Sia O C R 3 un insieme aperto e sia 'F : O -*■ R. Il problema consistente nella ricerca
delle funzioni y : / -* R definite in un intervallo aperto I ed ivi derivabili, tali che
per ogni x & I risulti [x, y (x), y'(x)J G O ed inoltre F {x ,y (x ), y '( x ) } = 0 è detto
equazione differenziale del primo ordine in forma implicita èd è indicato con la
notazione

F (x ,y ,y ')-= 0 ; (37.21)

ogni tale y è detta soluzione di (37.21)


Il problema che consiste, dato (tc0,y o . .Vì) e O tale che F (x 0, Jo, JVi) = 0, nella
ricerca di una soluzione y : /- > R di (37.21) perla quale si abbia

jK*o)=.Vo y '(x 0) = y 1

è detto problema di Cauchy per la (37.21) con il dato iniziale (jc 0, y 0, y O ed è


indicato con la notazione

F (x ,y ,y ') = 0 , y ( x 0)= y o , y '(X o )~ y i (37.22)

Figura 6,6
462 Cap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 37

La ricerca delle soluzioni del problema di Cauchy (37.22) può essere effettuata ri­
conducendo almeno formalmente l’equazione differenziale (37.21) alla forma nor­
male; ciò che ad es. è possibile se F 6 C ! (fi)

F (x ,y 0, y i ) = Q , Fy ,{x 0, y q , y i ) ^ Q (37.23)

in conseguenza del teorema di esistenza delle funzioni implicite. La condizione


(37.23) è però, come ben sappiamo, soltanto sufficiente per la esplicitabilità
locale di F (x, y, y ') = 0 rispetto alla terza variabile. Se, in corrispondenza di un
dato iniziale (x0, y 0, y t ), la F(x, y, y ') = 0 è esplicitabile localmente rispetto
alla terza variabile, si dice anche che tale dato iniziale è regolare per (37.21); se
una soluzione y ; / - » R di (37.21) è tale che per ogni x S I la tema {x;y ( x ) ,y '( x ) }
costituisce un dato iniziale non regolare per (37.21) allora si dice anche che y è
un integrale singolare di (37.21).
Evidentemente se F S C 1 (fi) perché ciò accada occorre che si abbia Fv,{x,
y (x ), y '( x ) } = 0 per ogni . v e / oltre che, naturalmente, F {x, y (x ), >•'(*) } = Ó
per ogni v e / .

37.17. Osservazione. Problemi analoghi a quelli di tipo normale finora trattati


possono essere considerati assegnando un insieme d e R X C ed u n a / : A C e ri­
cercando quelle funzioni w : / -*■ C; ove / è un intervallo di R tali che [x, w(x)j S À,

w (x) = f[x , w (*)] per ogni x S i , essendo

d d
w'(x) = -----{<R e w(x) } + i ------ {Im w (x) }
dx dx

in ogni x e /.
Per questi problemi si riconosce immediatamente che valgono, con le stesse
dimostrazioni, risultati concernenti l’esistenza, l’unicità, e il prolungamento delle
soluzioni dei problemi di Cauchy che sono interamente analoghi a quelli finora
ottenuti. Analoghe considerazioni valgono anche per il caso implicito con F a
valori complessi.

■ Problemi

37.1. Sia / un intervallo aperto di R, eventualmente non limitato e sia g : / -» R


una funzione continua e tale che g (y ) ^ 0 per ognij^ e /. Dati x 0 fc R, y 0 e /,
si provi che il' problema di Cauchy

y = g (y ) y{xa)~y<>
37 Equazioni differenziali ordinarie dei primo ordine 463

ammette una e una sola soluzione massimale. Posto per ogni y G /, G (y) =
fy 1
= I -------ds si osservi che G è invertibile in / e detta' G : J -+ I la funzione
L V 't ì 1
inversa definita su / = ] inf G(y), sup G (y)[ si verifichi che la funzione
ySil ySl
definita in / + x 0 da G ~l (x - x 0) è tale soluzione massimale.

37.2. Mostrare che il problema di Cauchy

y = 3 \ y \ 2/3 , y (0) = 0

ammette più di una soluzione massimale. Mostrare anche che il problema


di Cauchy

/ = 3 | y | 2/3 + a y (0 ) = 0 , a€R+

ammette una e una sola soluzione massimale. (Vedi problema precedente).

37.3. Sia D C R2 aperto, sia f \ D ->• R continua e localmente Lipschitziana in D


rispetto alla seconda variabile e sia R = {(x, y ) E R2 : | x — x 0 K a, Iy —
- y 0 i < b } C D.
Siano M, A G R+ e tali che If{ x , y)\ < M per ogni Oc, y ) e R , I/ (x, y") —

— / (x, y ') [ < /4 iy " - y ' I per (x, y'), (x, y " ) G R . Sia a = min {a, — , — }e
M A
sia f f lo spazio della funzioni y definite in [x0 — a, x 0 + o] ivi continue e
tali che ly(x) —y 0 K b per ogni x 6 fx0 - o, x 0 + a], reso spazio metrico
mediante la distanza

d (>; y ) ~ max { Iy (x ) - y ( x ) | : x e [x0 - a, x 0 + a ] }.

Provare che posto per o g n i p e r ogni x G [x0 — a, x 0 + a]

{STiy) } (x) = y 0 + f / [ s, y (r)] ds


j
. xo
Allora 2T : y G Zf-* 3~{y) G i f è una contrazione in Z f ed e pertanto dotata
di punto unito essendo Z f completo.
Si ottiene in tal modo una nuova dimostrazione del teorema 37.3 e si dhuna
nuova motivazione della validità del metodo delle approssimazioni successive
usato nella dimostrazione dello stesso teorema,
464 Cap. VI - Equazioni differenziali ordinarie § 38

37.4, Siano a, b G C(I, R), I = ]a, f3[ C R e sia y : I -> R derivabile e tale che

y '(x ) < a ( x ) y ( x ) + b(x) perognixG/.

Fissato x 0 G I sia z : / -> R la soluzione in I del problema di Cauchy

z = a{x) • z + b(x) z (x 0) = y (x 0)

Provare che si ha y (x) < z (x) per ogni x e / .

37,5. Siano y, z G C(I, R ), / = [a, b [, z(x ) > 0 se x e /, sia A e R+ e si abbia

y (x ) < .4 + /( X y ( t) z ( t) d i p e r o g n i x G / .
a

Provare che sussiste per x G / la disuguaglianza (di Gronwall)

/ z( t )dt
y (x ) < A e

37.6. Data l’equazione differenziale in forma implicita

xy' + O ')2 — y = 0

determinarne, gli eventuali integrali singolari.

38. - Sistemi di equazioni differenziali ordinarie del primo ordine.

a) Più generalmente di quanto è stato fatto finora possiamo considerare sistemi


di equazioni differenziali limitandoci per il momento a quelli di tipo normale e di
primo ordine.
Fissato n G N s ia /) CR” + 1 un insieme aperto e siano f . :ZJ-»-R;i = l , 2 , . . .
. . n; funzioni definite su D. Come nel caso w = 1 possiamo considerare il proble­
ma della iricerca i nri lfunzioni
i>a udi u u & i u m yy ,. •: -*
I -*'■ R vdefinite in uno stesso intervallo / di R ed
ivi derivabili tali che per ogni x G / si abbia
8.
Misure e integrazione
sulle varietà parametriche.
Applicazioni

In questo capitolo introduciamo il concetto di curva parametrica di classe C1,


quello di superfìcie parametrica di classe Cl è più generalmente accenniamo a quel­
lo di ^-varietà parametrica di classe C1 in R", Introduciamo quindi rispettiva­
mente le nozioni di lunghezza, di area e di ^-misura, diamo la nozione di integrale
esteso ad una curva, superfìcie, /c-varietà e ne presentiamo alcune delle principali
applicazioni; fra queste lo studio delle forme differenziali di grado 1 e il teorema
della divergenza al quale è anche dedicata l ’appendice posta alla fine del Capitolo.

45. - Curve parametriche di classe C 1

Sia / = [a, b] un intervallo chiuso e limitato di R, sia 0 : /-»■ R3 una applicazio­


ne continua. In queste condizioni siamo portati a dire che il punto 0 (t) descrive
al crescere di t da a a b una curva in R; d’altra parte s s J = [a, /3J è un altro intervallo
d iR e tp : J -*• I b una funzione continua e crescente siamo anche indotti a dire che
l’applicazione 0 e <p : J •* R3 descrive la medesima curva di R. Conviene perciò
dire che 0 : I -*■ R3 e ^ o ^ R3 sono due rappresentazioni parametriche di
una stessa curva la quale a sua volta può essere definita come la classe di equiva­
lenza di tutte le applicazioni continue che sono equivalenti nel senso sopra indi­
cato per $ t 4> o tp. Più precisamente e limitandoci per comodità di esposizione
alla considerazione delle sole curve di classe C 1 poniamo le seguenti definizioni:

45.1. Definizione (Applicazioni regolari), a) Dato l’intervallo chiuso e limita­


to I = [a, ò ]C R diremo che 0 : / -> R3 è una applicazione regolare di classe C1
se è continua e di classe C1 in I nel senso che la derivata di 0 esiste in ogni punto
di / , anche negli estremi di I ove evidentemente è intesa in senso unilaterale, e
risulta continua in [a, b] ed inoltre risulta 0' (t) + 0 per ogni 1 6 /
b) se 0 : / -*■ R3 e 0 : / -*■ R3 sono due applicazioni regolari di classe C1 diremo
che 0 è C l equivalente a 0 se esiste ip : I - * J continua e di classe C 1 i n i (nel senso
descritto in a) tale che risulti ip(I) ~ J ed inoltre <p'(t) > 0 per ogni ( S I ,per la quale
si abbia 0(1) = 0 [0(01 Per °8 ni t & I. Immediatamente si riconosce che, nella ip o­
tesi fatta (p è una applicazione bigettiva di / in / la cui inversa ip"1 = g : J -*• / è di
538 Cap. V ili-M isura sulle varietà parametriche § 45

classe C1 in / e tale che g (t) > 0 per ogni t e / . Lasciamone al lettore la verifica
e lasciamogli anche la facile cura di verificare che la relazione di C1- equivalenza in­
trodotta nella definizione 45.1 b) è simmetrica, riflessiva e transitiva, è cioè una
relazione di equivalenza nello spazio di tutte le applicazioni regolari di classe
C 1 nel senso usato fin dal n. 4 del primo volume.
Possiamo allora introdurre la seguente

due rap p resentazio ni della stessa curva

Figura 8.1

velo cità nulla

Figura 8.2
§ 45 Curve parametriche d i classe C 539

45.2. Definizione (Curva regolare). Diciamo curva regolare di classe C 1


ogni elemento dello spazio quoziente di fé* rispetto alla relazione di C 1 equiva­
lenza. Se 7 è una tale curva diciamo infine che l ’applicazione 0 ; / -* R.3 regola­
re di classe C 1 è una rappresentazione parametrica di classe C l di y se 0 è un
elemento della classe di equivalenza y.
Sia 7 una curva regolare di classe C 1 e sia 0 : I-* R 3 una sua rappresentazione
parametrica. Facilmente si riconosce che l’insieme

( w 6 R3 : w = 0(r) ; tei} ' (45.1)

è indipendente dalla scelta della rappresentazione 0 di 7 . Perciò

45.3. Definizione (Traccia di una curva, retta tangente) a). Ogni curva regolare
7 di classe C1 determina l’insieme (45,1) che è detto traccia della curva 7 ed è indi­
cato con [7 ], Ogni w G [7 ] è anche detto (impropriamente) punto della curva 7 , tale

Figura 8.3

w è detto semplice se per una e quindi per ogni.rappresentazione 0 : I -* R 3 di 7


esiste un solo t e i per cui si ha 0 (f) = w; in caso contrario è detto un punto mul­
tiplo di 7 . Se 7 è rappresentata mediante 0 : [a, b\ -> R3, i punti 0 (a) e 0 ( b ) sono
detti rispettivamente primo e secondo estremo di 7 e se 0 (a) = 0 ( b) si dice anche
7 che è una curva chiusa.
b). Se ogni punto w £ [7 ] è semplice si dice che 7 è semplice, se ogni punto
e [7 ], eccettuati gli estremi di 7 , è semplice si dice che 7 è una curva semplice e
chiusa. Se / = [a, p] e [a, ò] allora la curva rappresenta dalla restrizione 0 : / - > R3
di 0 è detta anche arco semplice di 7 di estremi 0 ( oe) e 0(j3).
540 Cap. V ili- Misura sulle varietà parametriche %4 5

Il lettore osservi che la conoscenza della traccia di una curva 7 insieme a quella
dei suoi estremi non permette di determinare la curva, come risulta ad es. dalla
considerazione delle seguenti applicazioni regolari di classe C1 .

0 :.t e [0, 2 ir] -> 0 (r) = {c o si, seni, 0 } e R 3

0 : t e [ 0 ,4 ir] -*■ 0 (t) = {cos t, sen 1 , 0 } 6 R 3 ,

0 e 0 sono infatti rappresentazioni prametriche di due curve di classe C 1, siano


>72 rispettivamente, che hanno la stessa traccia e gli stessi estremi e sono diffe­
renti: ogni punto w diverso dagli estremi di 7 1 è semplice,ogni punto di 72 diverso
dagli estremi è multiplo, di molteplicità 2 se vogliamo contare come è naturale
tale molteplicità mediante la cardinalità dell’insieme 0 ~‘ (w).
D ’altra parte è chiaro che assegnare una curva regolare implica assegnare non
soltanto la sua traccia ma anche il verso in cui essa è percorsa dal punto 0 (t) al
crescere del parametro. Se la traccia è percorsa nel verso opposto, come per esem­
pio accade assegnando una applicazione

0 : t E [a, /3] -+ 0 (t) 6 [a, Z>]

di classe C l e tale che 0 '( r ) < 0 in [a, /3] e considerando l’applicazione

0 o 0 : t e [a, 0] -*■0 (0 (r)) e R3 ,

si dice anche che la curva 7 , rappresenta mediante 0 ° 0 è l’opposta della curva


7 . A questo proposito vedasi il successivo n. 48,6 ove 7 è indicata con la notazione

-7 -
c) Sia 7 una curva regolare di classe C 1, sia 0 : I -*'R3‘una sua rappresentazione
parametrica e per fq £ I sia w0 - 0 (f0).
Dall’ipotesi <t>’(ta) ^.O segue facilmente, d’accordo con la definizione 19.11,
che i vettori {\<j> ( t 0) : X e R } sono tangenti in vv0 all’insieme [7] traccia di un
opportuno arco semplice 7 di 7

7 : t € [a, ffl -> 0 ( 0 e R 3 ; [a , 0] C [a, *] (45.2)

tale che t 0 e [a, 0], Possiamo dire allora che essi costituiscono un sottospazio vetto­
riale di R3 di dimensione 1 tangente a 7 in w 0 e che la retta affine w = W o +
+ s <j>'(t0); s G R è una retta affine tangente a 7 in w 0 , Immediatamente si riconosce
che l’insieme dei vettori tangenti {A0 '(/o ) ; X e R } e la retta tangente w ~ wa +
+ s0,.(fo), 1 6 R, sono indipendenti dalla rappresentazione parametrica di 7 . Infatti
se 0 : J -* R 3 è un’altra rappresentazione parametrica di 7 e se 0 : / -*•/ soddisfa le
condizioni espresse nella definizione 45.1 ed è tale che 0 (f) = 4i[<p(t)] per ogni
: 45 Curve parametriche di classe C ' 541

16 / allora esìste unico r 0 = <p(t0) 6 ijj~l (w0) tale che

0 'O o )= ^ [0 (fo)l V>'(M = '!>'(Jo) • 'P (h ) ■

Evidentemente se 7 è semplice allora per ogni w 0 6 [7 ] avremo un unico sottospa­


zio vettoriale tangente ed una unica retta affine tangente a 7 in w0 .

Limitiamoci ad affermare, lasciando al lettore la cura di dimostrarlo, che se


7 è una curva semplice rappresentata da 0 : / = [a, ò] -»• R 3 allora S = [7 ] — (0(a),
<j>(b)} è una varietà 1-dimensionale di classe C 1 di R3 . Lo stesso accade se 7 è una
curva semplice chiusa
Viceversa, ad esempio, una curva regolare e semplice chiusa di classe Ó può
essere assegnata dando una componente connessa massimale di una varietà di classe
C 1 compatta di R3 ed il suo vèrso di percorrenza.
Vediamo ora, come sia possibile prolungare la nozione di lunghezza dalla clas­
se dei segmenti e quindi delle spezzate rettilinee a quella delle curve di classe C 1.
Allo scopo introduciamo la seguente definizione.

45.4. Definizione (Poligonali approssimanti). Sia 0 : 1-* R 3 una applicazione


regolare di classe C1. Ad ogni partizione

P = (a = r0 < fi < fa < : . . < f , < f , + 1 < - ■ • < ' „ = * } ’

dell’intervallo I - [a, b]. corrisponde l’applicazione continua

0p :/->R3

definita nel modo seguente: per ogni / = 0 , 1, 2 , . . . , n — 1,

<t>P ■ f e [tt, tl+ j) -> 0 (f.) + ~ ~ (f,-+ 1) - 0 (f,)} e R 3 (45.3)


7+1 7

in modo cioè da risultare lineare in ogni intervallo [tt, f;+ 1 ] della partizione e tale
che 0p (f.) = 0 (r.), <t>p (t i + , ) = 0 (f.+ 1)
L’insieme [0^] = {x 6 R3 : x = 0p(r); ( 6 7} viene pertanto a risultare una
poligonale avente per lati i segmenti 0 (i(), 0 (f/+ 1); i = 0 , 1, . . . , n — 1 ; che può
essere detta inscritta nella traccia [7 ] della curva 7 rappresentata da 0 .
Definiamo quindi come lunghezza della poligonale [0p], che indichiamo con
/( [ 0p ]),la somma delle lunghezze dei segmenti dai quali è costituita, poniamo cioè
542 Cap. V ili ■ Misura sulle varietà parametriche §45

n- 1

Kt*,d = Y L /^(f,)>^(r/+i)}=E i#(^)-*(',+1)i (45.4)


i= 0

Vogliamo dimostrare che

45.5. Teorema (Lunghezza di una curva parametrica), a) Se <j> : I -*■ R 3 è


u n ’applicazione regolare di classe C 1 allora per ogni e £ R + esiste 6 6 R+ tale che
se P è una partizione di I di norma il P li < 5 risulta

{ [* ,] } < e (45.5)

ciò che secondo la definizione del n. 3 7 può essere espresso dicendo che

lim l([<pp ])= U > \f) td t. (45.5')


IIPB-+0 ia

Figura 8.4

b )S e \jj : J = [a, p] -+ R e u n ’altra applicazione regolare di classe C 1 equivalente


a d ì n i I n v ìi r i s u l t a

| Il <p' ( 0 IId ? = / lì 4/'(t)Il d t (45.6)


*a ' a

r b ............
in modo che l ’integrale j il 4>(f)i! dt risulta indipendente dalla rappresentazione
a
parametrica adottata per la curva j individuata dalla classe di equivalenza di 0.

s
§ 45 Curve parametriche di classe C ' 543

Dimostrazione a) Dette per ogni t £ I, x ( t) , y ( t) , z (t) le componenti di 0 (0 ;


posto cioè 0 (0 = Qc (0 .y (0>z (0 ) G R 3 , si ha infatti dalla (45.4)

n~ l
- ; c (fi^ 2 + - p O,-)]2 + [z ( f +1 ) - z ( t . ) ] 2 Y
1=0

e per il teorema del valor medio,

n~l

i «m =L {x'2(!’} +^ '2 ( 0 +y (<.")>'/2 (t.+, - 1.)

ove t", t'." indicano tre opportuni valori compresi fra t. e f l.


D’altra parte, l’integrale a secondo membro della (45.5'), che esiste essendo la
rappresentazione 0 regolare, è per definizione di integrale, il limite, per IIPII ten­
dente a zero, delia somma:

a=
■ E ( « ' • « ,) • y 2 ( f p + z ' 2 (t;) } i/2 (r.i+ l

avendosi, per ogni t e i

11y (OH = (£jc' (0 )2 + t y '( t ) ì 2 + (z’(t)]2 } in . (45.7)

Pertanto, per dimostrare la (45.5), basta mostrare che:

(4 5 '8>

Ora si ha:

I'( [ * „ ] ) - a l = y {{xn ( t’. ) + y ’\ t ' ! ) + z ' \ t ' {" ) ] ^ -


i- 0

[x'i Q.) + / » (/.) + z ' \ t t)]ia } (f.+ 1 - f.) = (45.8')

V"1 1t*'2(Q - x'2 <y)i+ 2fi") - yn fi)] +[z'2Q'■


") -z'2fi)]i
éò Ii^ ^ ii + y z ^ + y z ^ + z ' ^ r ;'')]1'2
544 Cap. V ili - Misura sulle varietà parametriche § 45

Detto m il minimo di certo positivo, di II <


t>(f)ll in [a, b] ed r\ un numero
trp t f

minore di - j ~ >è certo possibile, per la continuità uniforme di x ( t) ,y (f), z (t)

in [a, 6 ], trovare 5 > 0 in modo che per ogni partizione P d ii per la quale IIPII < 5
riesca

\x n (fj) - x ' J(ir;)| < r ? , - y ' 2Qi) \ < v ,

\z'2(t'") ~ z'2Q,)\ <v

e di conseguenza

(f/) + y 2 (/") + z '2 (t[") = Il + [ x \ t '2) - x'* (f.)] +

+[y,ac o - y'2 a,)] +[z'2( O - z'2 a ,)] >m 2 - 3v .

Si ha allora per la (45.8') :

_______ 3_rj_______
. 1/ (b-a)
m + -{m 2 —3 rì}1/2

e di qui segue la (45.8) perché la quantità a secondo membro si può rendere piccola
a piacere purché rj sia sufficientemente piccolo. La (45.5) è così dimostrata. QED

b) Quanto alla affermazione b) essa segue dal fatto che se ^ : [a, jS] = / ->■ R 3 è
una applicazione regolare equivalente a 0 e s e i p : / - » / è data come nella definizione
45.1 b) e pertanto tale che i// (r ) = <j>[v>“1 (r)] per ognir G /allora, posto ip~l (r ) =
= s ( t) , si ha per il teorema di integrazione per sostituzione (Teor. 74.2 del 1°
Volume)

Il <l/\t)\\dt= f II 0'[g(/)] Il / ( r ) dt.= ( Il <t>\t)\\dt (45.9)


Ja Ja
QED

D teorema ora provato giustifica la seguente

45.6. Definizione (Lunghezza di una curva regolare). Se 7 è una curva regola­


re di classe C 1 e se <t> : I = [a, b] -*■ R3 è una rappresentazione parametrica di 7
chiameremo lunghezza di 7 il numero non negativo
§ 45 Curve param etrich e d i classe C 1 545

/ (7 ) = f II di (45.10)

che come abbiamo provato non dipende dalla scelta della rappresentazione para-
metrica di y.

E’ interessante osservare che:

45.7. Teorema (Caratterizzazione della lunghezza di una curva). S e 'y è una


curva regolare di classe C 1 e se 0 : / -+■ R 3 è una rappresentazione parametrica di
y allora l ( j ) è l ’estremo superiore dell’insieme £ costituito dalle lunghezze l {(4>P) }
delle poligonali iscritte nella traccia di y considerate nella definizione 45.4.

Dimostrazione. Dopo quanto dimostrato nel teorema 45.5 basterà soltanto


dimostrare che per ogni partizione P = (a = t, < t2 < . ; . < t( < r/+ 1 < . . . < tn =
- b } d i i risulta

/ { [ * ,] } < * ( ? ) ■ ,(4 5 -n )

Allo scopo per ogni e 6 R . sia 8 £ R , tale che se la partizione P è tale che IIPII <
< 5 allora risulti

/(7)-e<Z{[^]}</(7) + e (45.12)

e sia P un raffinamento di P tale che II P II < 5f . Per la (45.12) risulterà

l {[0=]}<Z(7) + e (45.13)
P

e d’altra parte, detti per ogni i = 0 , 1 , . . . , n - 1 ;

Ti , l ~ ti < T i , 2< ' ' ' < Ti,q. ti + 1

gli ulteriori punti di suddivisione introdotti da P in [f(, tj+ ] risulterà anche, per
la disuguaglianza triangolare in R",

n~ 1 1

issò s= 1

_ <45-14>
> ] T z[<Kt.),0(tm ) j ■ > / {[* ] } .
i=n
546 G ip . V ili - Misura suite varietà paramediche § 45

Dalle (45.13) e (45.14) segue dunque

i { [ * , ] } < i { » # ] } < / ( 7) + e

e quindi, per l’arbitrarietà di e, la (45.11) e perciò l’asserto. QED

Fra le rappresentazioni parametriche di una curva di classe C1 ce ne è una di


particolare interesse; quella che ora descriviamo nella quale il parametro è come
si die &l ’ascissa curvilinea.
Data 7 regolare di classe C 1 e una sua rappresentazione parametrica 0 : / =
= [a, b] -> R3 consideriamo la funzione

s :t -r s (t) — Il0'(r)llrfr S R (45.15)


I.

il cui valore al punto t esprime la lunghezza dell’arco di 7 che è rappresentato dalla


restrizione di 0 ad [a, f]. Evidentemente s(a) = 0, s (b) = / ( 7 ), s '(t ) = Il 0 '(t)Il > 0
per ogni t 6= 7. Dunque la funzione definita in (45.15) è di classe C 1 i n / e tale
che s' (f) > 0, pertanto dotata di una funzione inversa tp : [0 , / (7 )] -> / che sod­
disfa tutte le condizioni della Definizione (45.1) b). Se dunque poniamo L =
= 0 q ip si ha che L = 0 o <p : [0, / (7 )] -* R3 è una nuova rappresentazione regolare
di classe C 1 di 7 . Per tale L, che nel seguito sarà detta rappresentazione di 7 me­
diante l ’ascissa curvilinea, si ha evidentemente

L' (s) = 0' [«p(s)] 0 ' (s) = 0' I«p(s)] - per ogni s e [0, l (7 )]
110 [<p(s)]l!

e pertanto 1

Il L'(s)ll = 1 per ogni s e [0, / ( 7 ) ] . (45.16)

45.8. Osservazione 1) Le considerazioni finora svolte si estendono senza alcun


cambiamento al caso delle applicazioni regolari di classe C 1

0 : f e / - > 0 (r ) = [ r 1(f), • ■ • (0 ] GR”

ed a quello delle curve regolari di classe Cl di R”. Lasciamo al lettore la cura di


formulare tali estensioni; in particolare il lettore consideri il caso di R2 .
2) Nel seguito avremo talvolta bisogno di considerare anche curve di R3 od anche di
R” che sono di classe C‘ soltanto se 3i eccettuano un numero finito di punti.
§ 45 Curve param etriche d i classe C ' 547

Una trattazione di queste curve e delle loro lunghezze può essere svolta a par­
tire dalla classe delle applicazioni continue 0 : I -*■ R" che sono soltanto di classe
C1 a tratti su / = [a, b], per le quali cioè esiste una partizione {« = f0 < U < . . .
... t < . . . < tn = b } di / = [a, b] tale che 0 è regolare e di classe C 1 su ogni
[t., f ] nel senso della definizione 45.1 e quindi può ammettere in ciascuno dei
punti t{; i = 1, 2, . . . , n — 1; derivata sinistra a destra differenti. In questo caso
naturalmente dovremo ammettere cambiamenti del parametro che sono soltanto
di classe C 1 a tratti oltre che dotati di derivata positiva e definiremo mediante
passaggio allo spazio quoziente la classe delle curve regolari di classe C 1 a tratti.
La teoria svolta si estende allora senza cambiamenti sostanziali alla categoria delle
curve regolari di classe C 1 a tratti.

45.9. Esempi 1) (Lunghezza di- una curva cartesiana). Se / : / = [a, b] -» R


è di classe C 1 nel solito senso allora l’applicazione

x e / -» 0 (x) = (x, /( * ) ) e R! ;

Figura 8.5

la cui curva ha come traccia il grafico ry di / , viene ovviamente a risultare di classe


C1. In tal caso sì ha

f^
l (T .) = / {1 + f ' i (xYi i n dx (45.17)

' Ja
ove con si è indicata impropriamente la curva sopra descritta.
2) Data la parametrizzazione

0 : 1 6 [0, 2 7r) -* 0 (t) = (cos t, sen f) G R2

della circonferenza C di centro 0 e raggio 1 del piano x, y sì ha ovviamente che C


è di classe C l e che
548 Cap. Vili-Misura sulle varietà parametriche § 45

I
f 2ir f 2ir

1 ( C )- ll(—senf, c o sf)lld f = I (sen2 t + cos 2 t)in d t = 2ir


•'o ’o
ove impropriamente si è indicato con lo stesso simbolo C sia la curva individuata
da C che la sua traccia.
3) L’applicazione

(j>•: 1 6 [ 0 ,2 7r] -> tj>(t) = (cos t, sen t, t ) 6 R 3

è evidentemente regolare e di classe C1 . La curva y da essa individuata è detta elica


cilindrica; la sua lunghezza è data da
* 2ir r 2 tt

/ ( 7) = I ll(—senf, cosf, l)lld f = I {(1 + 1}I/ 2 d t = 2-n\/2


'o Jo
Introduciamo per finire la nozione di integrale esteso ad una curva regolare di classe
C1 di una funzione continua. Allo scopo proviamo intanto che;

45.10. Teorema (Coerenza della definizione di integrale curvilineo). Se <j>: [a,


è] -> R” e 4>■ [<*. 0] “*■ R" sono due rappresentazioni parametriche di una curva y re­
golare di classe C1 e se f : [7 ] -» R è una funzione continua allora esistono gli inte­
grali

I
la
f i r n ] « 4> 'm dt,
L f M r ) ] Il e si ha:

I f[<l>(t)]\\<t>'(.t)\\dt= j /W r ( T ) ] l* ' ( r ) ld r . (45.18)


la la

In particolare se L : [0, / (7 )] -»• R” è la rappresentazione di 7 mediante


l’ascissa cuvilinea sopra considerata si ha che il valore comune (45.18) è dato da

‘(y)
f[ L ( s )] d s . (45.19)
0

Dimostrazione. Essendo l’integrabilità delle funzioni f[4>(t)] Il0'(f)ll, /[i//(f)J.


II\jj(t) Il assicurata dalla loro continuità, basterà soltanto dimostrare la uguaglianza
(45.18) e questa segue immediatamente dal teorema di integrazione per sostituzione
nello stesso modo della (45. 6), dimostrata nel teorema 4 5 ,5b). QED
D’altra parte, d’accordo con la definizione 69,1 del primo volume, l’integrale''
(45.19) può essere ottenuto nel modo seguente: in corrispondenza di ogni partizio­
ne P = {o = s 0 < si < . . . < s. < s.+ j < . . . sp = /( 7 ) } dell’intervallo [ 0 , 7( 7 )] si
scelga nell’intervallo chiuso [sf- sì+1 ] un punto oj e si consideri la somma
§ 45 Curve parametriche di classe Cl 549

f { L ( o . ) } ( s . +1

nella quale pertanto f {L (c ) } è il valore di / in un punto Q( = L (a.) dell’arco dì


7 di estremi P. = L ( s “
) , P.+ 1 = L (s/ + , ) e lunghezza (s.+1 - s^. Si ha allora

A i)
I f[ L (i)] ds = hm ] T / {L (o.) } (s,+ , - s.) .
J0 «r-n-i-o /i=0

Queste considerazioni e il teorema precedente suggeriscono la seguente:

45.11. Definizione (Integrale curvilineo di una funzione). Se 7 è una curva

J
regolare di classe C1 e se / : [7 ] -> R” è una funzione continua sulla traccia [7 ]

di 7 chiamiamo integrale dì /su lla linea 7 e lo indichiamo con la notazione fds,


7
il numero reale

f
1a
/ {0 (0 } Il 0'(/ )liuif

ove 0 : [a, è] R" è una qualsiasi rappresentazione parametrica della curva. Si ha,
esplicitamente

I fds= J f( x( t ) , y (t ), z(0) Vx,i!(0 + / 2 (0 + z'2 (0 d t


^y ■ a

45.12. Osservazione Osserviamo infine che la definizione ora data sì estende


allo stesso modo alla classe delle curve che sono soltanto regolari di classe Cl a
tratti nel senso considerato dalla osservazione 45.8 e ciò anche se / è soltanto
continua a tratti sulla traccia di 7 .

Per concludere questa breve esposizione sulle curve regolari introduciamo la se­
guente:

45.13. Definizione (Vettore unitario tangente ad una curva di R") Se y è una


curva regolare di classe C 1 di R" rappresentata dalla applicazione 0 S C 1 {[a, b], R")
il vettore unitario
550 Cap. V ili- Misura suite varietà parametriche § 46

t <=[ a , b] (45.20)

che è tangente a 7 nel punto tp(f) ed è indipendente dalla- rappresentazione di


7 in virtù della condizione b) della definizione 45.1 e del teorema di derivazione
delle funzioni composte, sarà detto vettore unitario tangente a 7 in <j>(t).

■ Problemi

45.1. Riconoscere che

<t>:xE[0, l ] ^ ( r , r 3/2) 6 R ' 1

è una rappresentazione parametrica di una curva 7 regolare di classe Cl ; deter­


minare l (7).

45.2. Sia 7 regolare di classe C l e sia L : [0 , / (7 )] -* R3 la rappresentazione para-


metrica di 7 mediante l’ascissa curvilinea in modo che risulti

Dedurre da questa uguaglianza che

l { L ( 0 ) ,L [/ (7)]}=!l/ - (0)- / ,[/ (7)]!l</ (7),

ossia che la lunghezza della corda che unisce gli estremi di 7 è non superiore a
/ (7 ). Riottenere da ciò una nuova dimostrazione del teorema 45.7.

45.3. Sia 7 una curva regolare di classe C1. Provare che per ogni rappresentazione
parametrica 0 : 1 -» R3 di 7 (quindi regolare e di classe C 1) è per ogni x e [7 ]
risulta finito l’insieme

{re/:0(r) =x}
45.4. Data la elica cilindrica dell’esempio 49.5 n. 3 e date le.funzioni

wi : (x, y, z) 6 R3 -*x e R ; ir2 : (x, y, z) e R3 ->y e R ;

7r3 : (x, / , z ) 6 R 3 - » z e R
§ 46 Superfìci parametriche di classe C 551

determinare il punto

J n l ds J n2 ds J ir3 ds

1(7) 1(7) 1(7)

4 5 .5 . Data 0 : t G] 0, — n [-»0 (t) =(cos f, sen 2 1) GR2 verificare che ( p è d i classe


3
C 1, iniettiva e tale che <j>{t) =£ 0 per ogni t e ] 0, — rr[. Verificare che ciò

nonostante l’insieme

{*GR2 :x=<p( t) ,t €]0, — 7T[ }

non è una varietà 1-dimensionale di classe C 1 .

46. - Superfici parametriche di classe_Cl

Nell’intento di introdurre la nozione di superficie parametrica continua prende­


remo in considerazione le applicazioni continue di un insieme 2-dimensionale e
poiché ci converrà limitare il nostro studio a quelle di classe C1 tornerà comodo
introdurre, in analogia a quanto si fece nel n. precedente, la definizione seguente

46.1. Definizione (Applicazioni regolari di dimensione 2). Sia / un insieme


chiuso connesso limitato di li' tale che I = (/° ); che sia cioè la chiusura dell’insie­
me i° dei punti ad esso interni. Diremo che un’applicazione

<t>: (u, v) (u, v) —(x(u, v ),y (u , v), z (u, v)) £ R3 ’ (46.1)

è regolare di classe C 1 se essa gode delle seguenti proprietà:


i) é è di classe ( 1 in I nel senso che esiste un insieme aperto £2 C R2 tale che
U D I ed una applicazione 0 : £2 -> R3 di classe C l in £2 tale che 4>(x) = 0 (x) se
xG I

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