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Capitolo 1

Spazi di Hilbert

1.1 Definizioni e prime proprietà


Uno spazio vettoriale complesso H è detto spazio a prodotto interno (o spazio unitario,
o anche spazio pre-Hilbertiano) se esiste un’applicazione (·, ·)H : H × H → C (detta appunto
prodotto interno, o anche prodotto scalare) che, per ogni x, y, z ∈ H ed ogni λ ∈ C, soddisfa:

a) (x, x)H ≥ 0 e (x, x)H = 0 se e solo se x = 0;

b) (x + y, z)H = (x, z)H + (y, z)H ;

c) (λx, y)H = λ (x, y)H ;

d) (x, y)H = (y, x)H .

Per alleggerire la notazione verrà utilizzato, quando non si generi ambiguità, il simbolo (·, ·) al posto
di (·, ·)H .

Tra le immediate conseguenze di queste proprietà possiamo osservare:

i) (x, y) = 0 ∀y ∈ H ⇐⇒ x = 0 (combinando a) e c)).

ii) (x, y + z) = (x, y) + (x, z) (combinando b) e d)).

iii) (x, λy) = λ (x, y) (combinando c) e d)).

Perciò, un prodotto interno è lineare rispetto alla prima variabile e quindi l’applicazione

(·, y) : x 7−→ (x, y)

è, per ogni y ∈ H fissato, un funzionale lineare su H.


Oss.: se H è uno spazio vettoriale reale e se (·, ·) assume solo valori reali le precedenti
proprietà, e molti dei risultati che seguono, rimangono validi (con gli ovvii aggiustamenti).
Nel seguito, però, ci occuperemo prevalentemente del caso complesso.

1
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 2

La proprietà a) permette di introdurre la quantità


p
kxk := (x, x) . (1.1)

La funzione k·k : H → R+ si annulla solo per x = 0, ed è positivamente omogenea (cioè


kλxk = |λ| kxk , ∀λ ∈ C, ∀x ∈ H). Viene detta norma, per un motivo che sarà subito chiaro.

Lemma 1.1 (diseguaglianza di Schwarz):

|(x, y)| ≤ kxk kyk ∀x, y ∈ H

e l’eguaglianza vale se e solo se x = αy per qualche α ∈ C.

Dim.: Ovvia se y = 0. Se y 6= 0, per ogni λ ∈ C abbiamo

0 ≤ kx + λyk2 = (x + λy, x + λy) = kxk2 + |λ|2 kyk2 + λ (y, x) + λ (y, x)


= kxk2 + |λ|2 kyk2 + 2 Re (λ (y, x))
2
e scegliendo λ = − (x, y) / kyk otteniamo la tesi. 

Teorema 1.2 (diseguaglianza triangolare):

kx + yk ≤ kxk + kyk ∀x, y ∈ H.

Dim.: Utilizziamo la diseguaglianza di Schwarz per ottenere

kx + yk2 = (x + y, x + y) = kxk2 + kyk2 + (x, y) + (y, x)


≤ kxk2 + kyk2 + 2 kxk kyk = (kxk + kyk)2 .


Cosı̀, la quantità k·k è una norma in H, e se lo spazio normato (H, k·k) risulta essere completo
diciamo che è uno spazio di Hilbert.
Oss.: per ogni y fissato in H, la funzione x 7−→ (x, y) è continua.

Esercizio 1 : Uno spazio unitario H è di Hilbert se e solo se: per ogni successione {xn } ⊂ H
che soddisfa lim (xn − xm , xn − xm ) = 0 esiste un elemento x ∈ H tale che xn → x.
n,m→+∞

Esercizio 2 (regola del parallelogramma): Se H è uno spazio unitario, per ogni x, y ∈ H


vale la
kx + yk2 + kx − yk2 = 2 kxk2 + kyk2 .

(1.2)

Esercizio 3 In uno spazio unitario la norma è strettamente convessa, cioè:



x + y
kxk = kyk = d, x 6= y =⇒ < d. (1.3)
2

♦♦♦
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 3

In generale, la (1.2) non è soddisfatta in uno spazio vettoriale normato (X, k·k) , ma è
una conseguenza del fatto che la norma sia legata ad un prodotto interno dalla (1.1) . Anzi, è
possibile dimostrare che la (1.2) caratterizza esattamente quelle norme che “provengono” da
un prodotto interno.

Teorema 1.3 : Se (X, k·k) è uno spazio vettoriale normato, e se vale la (1.2) , è possibile
introdurre in X un prodotto scalare in modo che (·, ·)1/2 = k·k .

Dim.: Per ogni x, y ∈ X poniamo


1
(x, y)H = (x, y) := {[kx + yk2 − kx − yk2 ] + i[kx + iyk2 − kx − iyk2 ] (1.4)
4
(avendo cura di eliminare il terzo ed il quarto addendo se X è spazio vettoriale reale). È immediato
2
verificare che (x, x) = kxk , e quindi l’unica verifica va fatta sulle proprietà b), c), d) che definiscono
i prodotti interni.
Dalla (1.2) ricaviamo

k(u + v) + wk2 + k(u + v) − wk2 = 2 ku + vk2 + kwk2



e
k(u − v) + wk2 + k(u − v) − wk2 = 2 ku − vk2 + kwk 2

da cui, per differenza ed applicando (1.4)

[Re (u + w, v) + Re (u − w, v)]
1
k(u + w) + vk2 − k(u + w) − vk2 + 1
k(u − w) + vk2 − k(u − w) − vk2
 
= 4 4
1
ku + vk2 − ku − vk2 = 2 Re (u, v) .

= 2

In modo analogo si prova la stessa relazione per le parti immaginarie, arrivando alla

(u + w, v) + (u − w, v) = 2 (u, w) .

Da qui, la scelta w = u porta ad avere (2u, v) = 2 (u, v) , mentre le scelte x = u + w, y = u − w


e z = v portano a  
x+y
(x, z) + (y, z) = 2 ,z = (x + y, z)
2
dimostrando cosı̀ la b).
1
x, y = m1 (x, y) , e

Per induzione sugli interi m ≥ 2 abbiamo allora (mx, y) = m (x, y), da cui m
quindi (qx, y) = q (x, y) per ogni q razionale positivo; la continuità di (·, y) porta allora a dimostrare
c) per ogni λ > 0. Se invece λ = − |λ|

λ (x, y) − (λx, y) = λ (x, y) − |λ| (−x, y)


= λ (x, y) + λ (−x, y) = λ (0, y) = 0

ed il passaggio al generico λ ∈ C è lasciato come esercizio.


La verifica di d) è immediata. 

Esercizio 4 : Lo spazio di Banach Lp (R, dx), 1 ≤ p < +∞, delle (classi di equivalenza di)
1/p
funzioni misurabili f : R → C tali che kf kp := R |f (x)|p dx
R
< +∞ non è uno spazio di
Hilbert rispetto a questa norma, se p 6= 2.
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 4

1.2 Esempi
1] Lo spazio vettoriale Cn = {z = (z1 , ..., zn ) : zj ∈ C} con il prodotto interno
n
X
(z, w)Cn := zj wj
j=1

è di Hilbert (spazio euclideo complesso n−dimensionale).


Più in generale, è di Hilbert anche lo spazio Cn in cui viene introdotto il prodotto interno
n
X
(z, w) := aij zi wj
i,j=1

dove A = [aij ]ni,j=1 è una matrice Hermitiana (cioè tale che aij = aji ∀i, j) e definita positiva
(cioè tale che Ax · x >0 per ogni x 6= 0).
2] Lo spazio vettoriale `2 delle successioni z = {zj }+∞
j=1 , zj ∈ C, a quadrato sommabile (cioè
P+∞ 2
che soddisfano j=1 |zj | < +∞) con il prodotto interno

+∞
X
(z, w)`2 := zj wj
j=1

è di Hilbert (notare che quest’ultima serie è convergente, per la diseguaglianza di Hölder).


3] Più in generale, se (X, S, µ) è unoR spazio di misura, per le funzioni misurabili f : X → C
a quadrato sommabile (cioè tali che X |f |2 dµ < +∞) introduciamo
Z
(f, g)L2 (X) := f g dµ
X

otteniamo (una volta passati alle classi di equivalenza rispetto all’uguaglianza q.o.) lo spazio
di Hilbert L2 (X) .
4] Un caso particolare di quest’ultimo si ottiene considerando un insieme A qualsiasi, la
σ−algebra P (A) e la misura µ del conteggio. Le funzioni (o “successioni generalizzate”) a
R 2 P 2
quadrato sommabile sono le f = {xa }a∈A per cui A |f | dµ = a∈A |xa | < +∞, e neces-
sariamente assumono valori non nulli in un insieme al più numerabile di indici a (vd. Sezione
1.6). Con il prodotto interno X
(f, g)`2 (A) := xa ya
a∈A
2
si ottiene lo spazio di Hilbert denotato con ` (A) .
5] Consideriamo lo spazio vettoriale H delle funzioni continue f : [0, 1] → C, ed introduciamo
il prodotto scalare Z 1
(f, g) := f (x) g (x) dx .
0
In questo modo H diventa spazio unitario.

Esercizio 5 : dimostrare che lo spazio H dell’Esempio 5 non è di Hilbert. (Suggerimento:


considerare la successione di funzioni fn (x) = min x−1/4 ; n1/4 .)
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 5

6] Lo spazio H delle funzioni limitate f : R → C, con


Z
f (x) g (x)
(f, g) := dx
R 1 + x2
è unitario.

Esercizio 6 : dimostrare che lo spazio H dell’Esempio 6 non è di Hilbert.

D’ora in avanti useremo H per denotare uno spazio di Hilbert (cioè uno spazio unitario che,
rispetto alla norma indotta dal prodotto scalare, è di Banach).

1.3 Ortogonalità
Sia H uno spazio di Hilbert, e siano x, y ∈ H. Diciamo che x è ortogonale ad y, e scriviamo
x⊥y , se accade che il loro prodotto scalare è nullo, cioè

x⊥y ⇐⇒ (x, y) = 0 .

Ovviamente si tratta di una relazione simmetrica, ed altrettanto ovviamente notiamo che


l’unico elemento ortogonale a tutti i vettori di H è il vettore nullo.

Esercizio 7 (teorema di Pitagora): se x⊥y, allora

kx + yk2 = kxk2 + kyk2 .

Inoltre, se H è uno spazio reale vale anche il viceversa.

Se M è un qualsiasi sottoinsieme (non vuoto) di H, con la scrittura y⊥M intendiamo


che y è ortogonale a tutti gli elementi di M. L’insieme di tutti i vettori y che sono ortogonali
ad uno stesso insieme M viene chiamato “spazio ortogonale ad M ”, e denotato con il simbolo
M ⊥ . Perciò

M ⊥ := {y ∈ H : y⊥M } (1.5)
= {y ∈ H : y⊥x, ∀x ∈ M }
\
= {x}⊥ .
x∈M

Proposizione 1.4 : Sia H uno spazio di Hilbert, e sia M un suo sottoinsieme non vuoto.
Allora M ⊥ è un sottospazio chiuso di H.

Dim.: Che M ⊥ sia un sottoinsieme lineare segue dalle proprietà del prodotto interno. Per ogni
x ∈ M l’insieme x⊥ è la controimmagine di 0 tramite la funzione continua (x, ·) , e quindi è chiuso.
Cosı̀, M ⊥ è chiuso in quanto intersezione di insiemi chiusi. 

Esercizio 8 : Se M è un qualsiasi sottoinsieme non vuoto di uno spazio di Hilbert H, allora


⊥
M ⊥ è il sottospazio chiuso generato da M.
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 6

Teorema 1.5 (della migliore approssimazione): Sia H uno spazio di Hilbert, e sia M
un sottoinsieme chiuso, convesso e non vuoto di H. Allora, per ogni x0 ∈ H esiste un unico
y0 ∈ M che realizza la distanza di M da x0 , cioè tale che
kx0 − y0 k = inf kx0 − yk =: d (x0 , M ) . (1.6)
y∈M

Dim.: Se x0 ∈ M l’affermazione è ovvia, per cui possiamo pensare che x0 ∈


/ M. Inoltre, le
proprietà di chiusura e convessità, cosı̀ come le distanze, sono invarianti per traslazione, e quindi
possiamo pensare di traslare tutto in x0 = 0. Se d = d (0, M ) = inf kyk , troviamo una successione
y∈M
{yn } ⊂ M tale che kyn k → d e, per la regola del parallelogramma,
yn + ym 2

2 2 2
kyn − ym k = 2 kyn k + kym k − 4 .
2
yn + ym
La convessità di M implica ∈ M, e quindi
2
kyn − ym k2 ≤ 2 kyn k2 + kym k2 − 4d2 → 0


per cui {yn } è una successione di Cauchy in H. Per la completezza, esiste y0 ∈ H tale che yn → y0 ,
ed inoltre y0 ∈ M per la chiusura di M. La continuità della norma assicura che ky0 k = d.
Se anche z0 ∈ M realizza la distanza 1 di M da 0, il vettore 12 (y0 + z0 ) appartiene ad M per la
convessità, e non potendo avere 2 (y0 + z0 ) < d la stretta convessità della norma (vd. (1.3))
implica y0 = z0 . 

Teorema 1.6 (delle proiezioni): Sia H uno spazio di Hilbert, ed M un suo sottospazio
chiuso. Ogni x ∈ H è decomponibile, in un unico modo, come somma
x = P x + Qx (1.7)
dove P x ∈ M e Qx ∈ M ⊥ .

Dim.: Per il generico x ∈ H definiamo come P x l’unico punto che, grazie al precedente teorema,
realizza la distanza di x da M, e Qx := x − P x.
Per verificare che Qx ∈ M ⊥ osserviamo che per ogni y ∈ M ed ogni λ ∈ C abbiamo P x + λy ∈ M,
per cui

kQxk2 ≤ kx − (P x + λy)k2 = kQx − λyk2


= kQxk2 + |λ|2 kyk2 − 2 Re (Qx, λy)
cioè
|λ|2 kyk2 − 2 Re (Qx, λy) ≥ 0
che, per λ = ε (Qx, y) con ε > 0 diventa

ε |(Qx, y)|2 ε kyk2 − 2 ≥ 0 ,


 

da cui segue che (Qx, y) = 0 per ogni y ∈ M, ovvero Qx ∈ M ⊥ .


Per provare l’unicità della decomposizione, notiamo che se x = P x + Qx = x0 + x00 con x0 ∈ M e
x00 ∈ M ⊥ abbiamo
P x − x0 = x00 − Qx ∈ M ∩ M ⊥ = {0} .

CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 7

Corollario 1.7 : Se M $ H, esiste in H un versore ortogonale ad M.

Dim.: partendo da un generico y ∈


/ M è sufficiente costruire il versore Qy/ kQyk . 

In generale, dati due sottospazi R ed S di H si parla di somma diretta R + S se ogni ele-


mento della loro somma vettoriale ha un’unica rappresentazione come somma tra un elemento
di R ed uno di S. Si utilizza il simbolo R ⊕ S se i due sottospazi sono ortogonali tra loro, cioè
se ogni elemento di R è ortogonale ad ogni elemento di S.
Il teorema delle proiezioni può essere riletto affermando che se M è un sottospazio chiuso di
H, allora M ⊥ è il suo complemento ortogonale, nel senso che lo spazio H è somma diretta di
⊥
M e di M ⊥ : H = M ⊕ M ⊥ . Perciò, M ⊥ = M.

Corollario 1.8 : Con le notazioni del teorema precedente, le applicazioni P : H → M e


Q : H → M ⊥ sono lineari, continue, e soddisfano
a) Se x ∈ M, P x = x e Qx = 0; se x ∈ M ⊥ , P x = 0 e Qx = x.

b) kx − P xk = d(x, M ).

c) kx − Qxk = d(x, M ⊥ ).

d) kxk2 = kP xk2 + kQxk2 .


Dim.: Dalla definizione segue ovviamente che P : H → M, Q : H → M ⊥ , vale la b), e vale la
prima metà di a). La proprietà d) segue dal teorema di Pitagora.
Proviamo la linearità di P : per ogni x, y ∈ H e ogni λ, µ ∈ C abbiamo λx + µy = P (λx + µy) +
Q (λx + µy) ma anche λx = λP x + λQx e µy = µP y + µQy , per cui
M 3 P (λx + µy) − λP x − µP y
= [λx + µy − Q (λx + µy)] − [λx − λQx] − [µy − µQy]
= λQx + µQy − Q (λx + µy) ∈ M ⊥
da cui segue la tesi.
⊥
La seconda metà di a) e la c) seguono dal fatto che, a causa della chiusura di M, si ha M ⊥ = M,

e quindi i ruoli di P e Q si scambiano se scambiamo M con M . 
Oss.: non lo abbiamo fatto sopra per non appesantire la notazione, ma è chiaro che i due
operatori P e Q dipendono fortemente dal sottospazio chiuso M. Qualora servisse evidenziare
questo fatto, useremmo la notazione PM e QM ; l’operatore PM è detto proiezione su M e,
per quanto detto sopra, QM non è che la proiezione PM ⊥ .

Esercizio 9 : Siano H uno spazio di Hilbert, ed M un suo sottospazio chiuso. Se E : H → H


è un operatore lineare che soddisfa Ex = x per ogni x ∈ M, e Ex = 0 per ogni x ∈ M ⊥ ,
allora E = PM .

Esempio 7] Siano Ω ⊂ Rn un sottoinsieme con misura di Lebesgue |Ω| finita, H = L2 (Ω) ,


ed M il sottospazio (chiuso) delle funzioni costanti in Ω. Il sottospazio M ⊥ contiene tutte le
funzioni di L2 (Ω) che sono ortogonali alle costanti, cioè tutte le f per cui
Z Z
(f, c) = f c dx = c f dx =0 ,
Ω Ω
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 8

e questo significa che M ⊥ contiene tutte le funzioni a media nulla.


Quindi, ogni
R f ammette un’unica rappresentazione come f = PM f + QM f , dove PM f è una
costante e Ω QM f = 0. Integrando, otteniamo
Z Z Z
f= PM f + QM f = (PM f ) |Ω|
Ω Ω Ω

e quindi Z
1
PM f = f
|Ω| Ω
è il valor medio di f in Ω.

1.4 Dualità
1.4.1 Il duale di uno spazio vettoriale normato
Ricordiamo che in un generico spazio vettoriale normato X su C (o R) i funzionali lineari
sono le applicazioni lineari f : X → C (R) . Questi funzionali sono limitati se lo sono sulla
bolla unitaria di X, cioè se

kf kX ∗ := sup |f (x) | = sup |f (x) | < +∞ ; (1.8)


kxkX ≤1 kxkX =1

la quantità kf kX ∗ prende il nome di norma del funzionale f.


Inoltre, un funzionale lineare è limitato se e solo se è continuo, e questo accade se e solo se è
continuo nell’origine.
L’insieme dei funzionali lineari e continui su X può essere strutturato a spazio vettoriale
su C (o R) definendo somma e prodotto per uno scalare in modo puntuale; in questo spazio
la quantità in (1.8) è effettivamente una norma, e lo spazio vettoriale dei funzionali lineari e
continui, dotato di questa norma, viene denotato con X ∗ (spazio duale di X).
Inoltre, X ∗ è sempre uno spazio di Banach, e vale la relazione

|x∗ (x)| ≤ kx∗ kX ∗ kxkX ∀x ∈ X, ∀x∗ ∈ X ∗ . (1.9)

Nel seguito utilizzeremo la scrittura k·k per indicare la norma sia in X che nel suo duale.
Un risultato molto importante, e molto noto, afferma:
Teorema di Hahn-Banach: Siano X uno spazio vettoriale normato ed Y un suo sottospazio.
Ad ogni y ∗ ∈ Y ∗ è possibile associare un x∗ ∈ X ∗ in modo che kx∗ k = ky ∗ k e che y ∗ (y) =
x∗ (y) per ogni y ∈ Y.
Questo significa che ogni funzionale y ∗ ∈ Y ∗ può essere esteso a tutto X senza aumentarne
la norma. Tra le conseguenze di questo teorema vogliamo segnalare, perché saranno utili in
seguito, i seguenti risultati:
Corollario del Teorema di Hahn-Banach: Siano X uno spazio vettoriale normato ed Y
un suo sottospazio. Allora:
a) Se x0 ∈ X, con inf ky − x0 k = d > 0, esiste x∗ ∈ X ∗ tale che
y∈Y

x∗ (x0 ) = 1 ; kx∗ k = 1/d ; x∗ (y) = 0 ∀y ∈ Y.


CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 9

b) Per ogni x 6= 0 esiste x∗ ∈ X ∗ con kx∗ k = 1 tale che x∗ (x) = kxk .


c) Per ogni y, z ∈ X con y 6= z esiste un x∗ ∈ X ∗ tale che x∗ (y) 6= x∗ (z) .
d) Per ogni x ∈ X
|x∗ (x)|
kxk = sup = sup |x∗ (x)| .
kx∗ k kx∗ k=1

Esercizio 10 : dimostrare il Corollario, utilizzando il Teorema di Hahn-Banach.

Il problema di dare una rappresentazione analitica dei funzionali lineari, cioè di calcolare
esplicitamente i valori x∗ (x) al variare di x ∈ X, non ha, in generale, soluzione. Vi sono però
casi in cui questo è possibile.
Ad esempio, in uno spazio misurabile (Ω, S, µ) con µ misura σ-finita, il duale dello spazio di
Lebesgue Lp (Ω), 1 ≤ p < +∞, è lo spazio di Lebesgue Lq (Ω) , con p−1 + q −1 = 1. Questo
significa che ad ogni funzionale x∗ ∈ (Lp )∗ è possibile associare, in modo univoco, una funzione
g ∈ Lq in modo che Z

x (f ) = f g dµ ∀f ∈ Lp


ed inoltre la norma operatoriale kx k coincide con kgkLq .

1.4.2 Dualità negli spazi di Hilbert


Un’analoga situazione, forse ancor più facile da descrivere, si presenta nel caso di uno
spazio di Hilbert H. Come giá detto sopra, H ∗ è uno spazio di Banach; inoltre abbiamo già
segnalato nella prima sezione che, per ogni y ∈ H fissato, la mappa
(·, y) : x 7−→ (x, y) (1.10)
definisce un funzionale lineare su H. Chiamiamo σy questo funzionale. In questo modo abbi-
amo costruito un’applicazione σ : H → H ∗ che agisce come
σ : y 7−→ ( · 7→ (·, y) ) . (1.11)

Lemma 1.9 : L’applicazione σ è injettiva ed anti-lineare - cioè σ (λy + µz) = λσy + µσz -
nel caso H sia spazio complesso, e lineare se H è spazio reale.

Esercizio 11 : dimostrare il Lemma.

Il prossimo risultato ci dice di più:

Teorema 1.10 (F. Riesz): Sia H uno spazio di Hilbert. Ad ogni y ∗ ∈ H ∗ è possibile
associare un unico y ∈ H in modo che y ∗ = σy (cioè y ∗ (x) = (x, y) per ogni x ∈ H).

Dim.: Se y ∗ è il funzionale nullo, gli associamo il vettore 0. Se invece y ∗ 6= 0, il suo nucleo


N := {x ∈ H : y ∗ (x) = 0} è un sottospazio chiuso di H, con N $ H. Per il Corollario1.7, esiste
y ∗ (x)
un versore z0 ∈ N ⊥ e, per ogni x ∈ H, il vettore x − ∗ z0 appartiene ad N ; quindi
y (z0 )
y ∗ (x)
 
x− ∗ z0 , z0 = 0
y (z0 )
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 10

ovvero  
y ∗ (x) = x, y ∗ (z0 )z0 ∀x ∈ H;

la tesi segue ponendo y = y ∗ (z0 )z0 . 


Oss.: Grazie a questo teorema possiamo affermare che la mappa σ : H → H ∗ è un isomorfismo
(anti-)lineare surjettivo, e quindi identificare H ∗ = σ (H) con H. In alcuni testi la bijezione
σ −1 : H ∗ → H che ad ogni funzionale x∗ ∈ H ∗ associa l’unico elemento x ∈ H per cui
x∗ (y) = (y, x) ∀y ∈ H è chiamata isometria canonica tra H ∗ ed H (il termine isometria è
chiarito dalla prossima osservazione).
Oss.: Il teorema di Riesz permette anche di introdurre in H ∗ una struttura di spazio di
Hilbert, definendo
(x∗ , y ∗ )H ∗ := σ −1 x∗ , σ −1 y ∗ H .


Ora è semplice verificare che σ è un’isometria, e rispetta i prodotti scalari, cioè

kσykH ∗ = kykH ∀y ∈ H
(σy, σz)H ∗ = (y, z)H ∀y, z ∈ H.
Quindi, la σ : H → H ∗ è un isomorfismo isometrico tra spazi di Hilbert.

1.5 Sistemi ortonormali


1.5.1 Definizioni
In uno spazio di Hilbert H un sistema ortogonale è una famiglia X = {xa }a∈A di vettori
a due a due ortogonali. Se, inoltre, tutti questi vettori hanno norma 1 il sistema è detto
ortonormale (s.o.n.). Questo significa che

(xa , xb ) = δab

dove δab è il simbolo di Kronecker.


Un sistema ortonormale è detto completo (s.o.n.c.) se accade che L( {xa }a∈A ) = H, cioè la
chiusura del sottospazio generato da tutti gli elementi del sistema esaurisce H.
Invece, un sistema ortonormale è detto massimale se non esiste in H un elemento non-nullo
che sia ortogonale ad ogni xa .

Lemma 1.11 : Gli elementi di un sistema ortonormale sono tra loro linearmente indipen-
denti.

Esercizio 12 : dimostrare il Lemma.

Lemma 1.12 : Un sistema ortonormale è completo se e solo se è massimale.

Esercizio 13 : dimostrare il Lemma.


CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 11

Da questi due risultati segue che in uno spazio di Hilbert n-dimensionale ogni s.o.n. ha
cardinalità non superiore ad n, e se il sistema è completo la cardinalità è esattamente n. Nel
caso di spazi ∞-dimensionali, invece, non vi sono restrizioni “a priori” sulla cardinalità di un
s.o.n..
2
Esempio 8] Se consideriamo il caso dello spazio n ` o(A) introdotto nell’Es. 4], per ogni a ∈ A
(a) (a)
costruiamo la successione generalizzata e(a) = xb definita come xb := δab . Ovviamente
 (a) b∈A
e a∈A
costituisce un s.o.n., che è pure completo in quanto massimale. Infatti, un qualsiasi
altro elemento f = {ξb }b∈A ∈ ` (A) può essere ortogonale a tutti gli e(a) solo avendo tutti i
2

coefficienti nulli:  X (a) X


0 = f, e(a) = ξb xb = ξb δab = ξa ∀a ∈ A.
b∈A b∈A
2
Quindi, in ` (A) abbiamo
trovato un s.o.n.c. che ha la cardinalità dell’insieme degli indici A.
(a)
(La famiglia e a∈A
prende il nome di base naturale di `2 (A)).

1.5.2 Sistemi ortonormali numerabili


Una situazione più generale, ma non troppo dissimile, rispetto a quella degli spazi finito-
dimensionali si presenta quando lo spazio H è separabile. ( Per uno spazio topologico X la
separabilità significa che esiste un sottoinsieme numerabile e denso in X; se X è uno spazio
vettoriale normato, questo equivale a dire che esiste un insieme numerabile le cui combinazioni
lineari finite sono dense in X).
Il prossimo risultato caratterizza la cardinalità dei sistemi ortonormali completi in uno spazio
di Hilbert separabile.
Teorema 1.13 : Sia H uno spazio di Hilbert ∞-dimensionale e separabile. Allora:
i) ogni s.o.n. in H è al più numerabile;
ii) in H esiste un s.o.n.c. numerabile.
Dim.: Sia {xa }a∈A un s.o.n. non numerabile; per ogni a ∈ A costruiamo la bolla Ba di centro
xa e raggio 12 ; queste bolle sono mutuamente disgiunte, perché per a 6= b abbiamo kxa − xb k2 =
kxa k2 + kxb k2 = 2; poiché esiste una famiglia {yn } numerabile e densa in H, almeno una bolla Ba∗
non contiene alcun yn , e quindi xa∗ ha distanza almeno 12 da tutti gli yn , contro l’ipotesi di densità.
Quindi, un s.o.n. può essere al più numerabile.
La dimostrazione della parte ii) ha carattere costruttivo, e va sotto il nome di “processo di ortogonal-
izzazione di Gram-Schmidt”. Per completare la dimostrazione servono alcuni risultati preliminari,
contenuti nel

Lemma 1.14 : Sia H uno spazio di Hilbert (non necessariamente separabile), e sia {xn }n un
sistema ortonormale (al più numerabile). Allora, per ogni x ∈ H :
i) la successione numerica {|(x, xn )|} è a quadrato sommabile, con
X
|(x, xn )|2 ≤ kxk2 . (1.12)
n

ii) per ogni scelta di numeri complessi {cn } e per ogni m ≥ 1


m
m

X X
x − cn xn ≥ x − (x, xn ) xn (1.13)


n=1 n=1
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 12

Pm
(quest’ultima diseguaglianza dice che il vettore n=1 (x, xn ) xn è la proiezione di x sul sot-
tospazio m-dimensionale L ({x1 , ..., xm }).

Proseguiamo con la dimostrazione del Teorema, posticipando quella del Lemma.


Per la separabilità di H , esiste una successione {yn } tale che L ({y1 , .., yn , ..}) = H. Eliminiamo
da questa famiglia alcuni elementi seguendo la regola: yn viene eliminato se è combinazione lineare
di y1 , ..., yn−1 . Gli elementi rimasti vengono rinominati zn , sono tra loro linearmente indipendenti, e
ancora L ({z1 , .., zn , ..}) = H (la famiglia {zn } contiene infiniti elementi, perché H ha dimensione
infinita).
Costruiamo x1 normalizzando il vettore z1 , x1 := z1 / kz1 k , e notiamo che L ({x1 }) = L ({z1 }) . Per
l’indipendenza di z2 da z1 abbiamo z2 ∈ / L ({x1 }) , e chiamiamo u2 la proiezione di z2 su L ({x1 }) .
Il lemma precedente ci dice che u2 = (z2 , x1 ) x1 , e quindi il vettore z2 − u2 non è nullo, ed è
ortogonale ad x1 . Normalizzandolo, otteniamo

z2 − u2
x2 :=
kz2 − u2 k

che è un versore ortogonale ad x1 , e tale che L ({x1 , x2 }) = L ({z1 , z2 }) .


In modo induttivo da n versori mutuamente ortogonali x1 , ..., xn che soddisfano L ({x1 , ..., xn }) =
L ({z1 , ..., zn }) costruiamo la proiezione un+1 di zn+1 su L ({x1 , ..., xn }) , ed otteniamo
zn+1 − un+1
xn+1 := .
kzn+1 − un+1 k

Il processo non si esaurisce in un numero finito di passi perché H ha dimensione infinita, ed inoltre

L ({x1 , .., xn , ..}) = L ({z1 , .., zn , ..}) = H

per cui {xn } è un sistema ortonormale completo. 


Dim. lemma: Per ogni coppia di numeri c, z ∈ C vale:

|c − z|2 = (c − z) (c̄ − z̄) = |c|2 + |z|2 − cz̄ − c̄z


da cui
2 !
Xm m
X m
X
x − cn xn = x− cn xn , x− cn xn

n=1
n=1 n=1
Xm h i
2 2
= kxk + |cn | − cn (x, xn ) − cn (x, xn )
n=1
m
X m
X
2 2
= kxk − |(x, xn )| + |cn − (x, xn )|2 .
n=1 n=1

Scegliendo cn = (x, xn ) si ottiene


m
2 m
X X
2
0 ≤ x − (x, xn ) xn = kxk − |(x, xn )|2 (1.14)


n=1 n=1
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 13

da cui, per m → +∞, si ottiene la (1.12) . Se invece la scelta dei coefficienti cn rimane libera, si ha
2 2
Xm Xm Xm
x − cn xn ≥ kxk2 − |(x, xn )|2 = x − (x, xn ) xn

n=1
n=1
n=1

cioè la (1.13) . 

Ricorrendo a tecniche dimostrative simili a quelle utilizzate per il precedente lemma rius-
ciamo ad arrivare ad una comprensione più profonda circa la struttura degli spazi di Hilbert
separabili.
Con l’affermazione i) del Lemma (1.14) abbiamo visto che se {xn }n è un sistema ortonormale
al più numerabile, per ogni x ∈ H la successione numerica {(x, xn )} appartiene ad `2 , e vale
la formula (1.12) . Con il prossimo teorema otteniamo un risultato più completo.

Teorema 1.15 : Siano H uno spazio di Hilbert (non necessariamente separabile), {xn }n un
sistema ortonormale (al più numerabile), e {cn } una successione di numeri complessi. Allora:
i) la serie n cn xn converge in H se e solo se {cn } ∈ `2 .
P

In questo caso:
ii) vale il teorema di Pitagora generalizzato
2
X X
cn xn = |cn |2 ; (1.15)


n n

P
iii) la serie n cn xn è incondizionatamente convergente.

converge ad x ∈ H, è cn = (x, xn ) e quindi {cn } ∈ `2 per la (1.12) .


P
Dim.: Se la serie n cn xn
Viceversa, 2
Xm m
X
cj xj = |cj |2 → 0



j=n j=n

per m > n → +∞, e quindi la serie converge per la completezza di H. La (1.15) segue da
quest’ultima eguaglianza, usando n = 1 e m → +∞.
Pm Pm P
Se sm = j=1 cj xj , P
e tm = j=1 ckj xkj sono le somme parziali delle serie x = j cj xj e del suo
riarrangiamento z = j ckj xkj , per la continuità del prodotto scalare
X
(x, z) = lim (sm , tm ) = |cn |2 = (z, x)
m→+∞
n

e quindi

kx − zk2 = kxk2 + kzk2 − (x, z) − (z, x)


X X X X
= |cn |2 + |cn |2 − |cn |2 − |cn |2 = 0 .
n n n n


CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 14

1.5.3 Sistemi ortonormali di cardinalità qualsiasi


Sia X = {xa }a∈A un sistema ortonormale in uno spazio di Hilbert H. Molte delle proprietà
viste sopra per sistemi numerabili hanno un parallelo che vale nel caso #A > ℵ0 (cioè A non
sia numerabile).

Teorema 1.16 : Siano H uno spazio di Hilbert, e X = {xa }a∈A un sistema ortonormale.
Allora:
i) per ogni y ∈ H l’insieme degli indici a ∈ A per cui (y, xa ) 6= 0 è al più numerabile, cioè

∀y ∈ H, posto Ay := {a ∈ A : (y, xa ) 6= 0} , si ha #Ay ≤ ℵ0 ; (1.16)

P
ii) la somma a∈Ay (y, xa ) xa è incondizionatamente convergente;
iii) l’operatore X
E : y 7→ Ey := (y, xa ) xa
a∈Ay

è la proiezione sul sottospazio chiuso generato da X.

Dim.: Per ogni y ∈ H ed ogni intero k ≥ 1 siano

Ay (k) := a ∈ A : |(y, xa )| > k1 .




Se uno di questi insiemi fosse infinito, potremmo trovare infiniti indici {an } ⊂ Ay (k), e per il s.o.n.
{xan }n non varrebbe la (1.12) . Perciò, tutti gli insiemi Ay (k) sono finiti, e quindi Ay = ∪+∞
k=1 Ay (k)
è al più numerabile.
La ii) segue dalla (1.12) e dal teorema 1.15, e quindi l’operatore E (lineare) è ben definito. Chiara-
⊥
mente Ey = 0 per y ∈ L {xa }a∈A .

Quando invece y ∈ L {xa }a∈A , per ogni ε > 0 possiamo trovare c1 , .., cn ∈ C e xa1 , .., xan ∈ X
in modo che, per la (1.13)

n
X n
X

ε > y − cj xaj ≥ y − y, xaj xaj .


j=1 j=1

Al più escludendo alcuni deglixaj , pensiamo che tutti appartengano ad Ay ; per il punto i) l’insieme
Ay può essere elencato come xaj j≥1 , e dalla (1.14) è evidente che l’ultima diseguaglianza rimane
valida quando n → +∞. Per l’arbitrarietà di ε otteniamo Ey = y. Cosı̀, E è la proiezione su

L {xa }a∈A . 
P
Notazione: per comodità di scrittura, nel seguito denoteremo la somma a∈Ay (y, xa ) xa
P
come a∈A (y, xa ) xa .
Oss.: dalla precedente dimostrazione risulta chiaro che la formula (1.12) può essere estesa
come X
|(y, xa )|2 ≤ kyk2 ∀y ∈ H. (1.17)
a∈A

I sistemi ortonormali X = {xa }a∈A per cui vale, per ogni y ∈ H, l’eguaglianza
X
y= (y, xa ) xa (1.18)
a∈A
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 15

sono detti basi ortonormali di H.


Raccogliendo i vari risultati visti fino ad ora siamo in grado di ottenere il

Teorema 1.17 : Siano H uno spazio di Hilbert, e X = {xa }a∈A un sistema ortonormale.
Allora, le affermazioni:
(a) X è una base ortonormale;
(b) X è completo;
(c) X è massimale;
(d) per ogni y ∈ H vale X
kyk2 = |(y, xa )|2 ; (1.19)
a∈A

sono equivalenti.

Dim.: Se X è una base ortonormale ed y ∈ H , per il precedente teorema l’insieme Ay è al più


numerabile, cioè Ay = {an }n≥1 . Dalla (1.14) con m → +∞ si ottiene la (1.19) , quindi (a) =⇒ (d ).
Se vale (d ) ed y ∈ X ⊥ abbiamo kyk = 0, per cui X è massimale, cioè (d ) =⇒ (c) =⇒ (b)
(utilizzando il lemma (1.12)). Infine, la completezza significa H = L( {xa }a∈A ) cioè, per il precedente
teorema, Ey = y per ogni y ∈ H, per cui X è una base ortonormale, e (b) =⇒ (a). 

Esercizio 14 : Dimostrare che la (1.19) è equivalente alla formula


X
(y, z) = (y, xa ) (xa , z) ∀y, z ∈ H. (1.20)
a∈A

Ora siamo in grado di ottenere due risultati che generalizzano, per sistemi ortonormali
di qualunque cardinalità, quanto visto nei teoremi 1.13 e 1.15, e completano l’enunciato del
teorema 1.16.

Teorema 1.18 : Ogni spazio di Hilbert H ammette una base ortonormale.

Dim.: Nella famiglia H dei s.o.n. di H introduciamo la relazione d’ordine parziale

X ≤ Y := X ⊆ Y

(ciò significa che tutti i versori di X appartengono ad Y ).


Ogni sottoinsieme totalmente ordinato K ⊂ H (questi insiemi vengono detti “catene”) contiene un
S
elemento massimale (è sufficiente utilizzare il s.o.n. K = X ). Questo fatto permette di applicare
X∈K
il Lemma di Zorn, che afferma che H contiene un elemento massimale. Perciò, abbiamo trovato in
H un s.o.n. massimale ovvero, per il teorema precedente, una base ortonormale. 

Teorema 1.19 (Riesz-Fischer): Siano H uno spazio di Hilbert, X = {xa }a∈A un P sistema
ortonormale completo, e {ca }a∈A una successione generalizzata. Allora la serie a∈A ca xa
converge ad un elemento y ∈ H se e solo se {ca } ∈ `2 (A) ; in questo caso

(y, xb ) = cb

per ogni b ∈ A.
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 16

P
Dim.: Se la serie converge ad un elemento y = a∈A ca xa ∈ H, sappiamo che ca 6= 0 può accadere
solo per un insieme al più numerabile di indici a, e per questi indici è ca = (y, xa ) , per cui, per il
teorema 1.15, {ca } ∈ `2 (A) . Per gli altri indici b si ha
!
X
(y, xb ) = c a x a , xb = cb = 0 .
a∈A

Viceversa, se {ca } ∈ `2 (A) gli unici termini non nulli possono essere elencati in una successione
{can } ∈ `2 , e per il teorema 1.15 la serie n can xan = a∈A ca xa converge ad un elemento y ∈ H ,
P P
che soddisfa !
X
(y, xb ) = c a x a , xb = cb
a∈A

per ogni b ∈ A. 

Possiamo riassumere tutti i precedenti risultati nel

Teorema 1.20 : Siano H uno spazio di Hilbert e X = {xa }a∈A un sistema ortonormale. La
mappa
F : x ∈ H 7−→ {(x, xa )}a∈A
è un’applicazione lineare e continua da H in `2 (A) .
Se, inoltre, X è completo, F : H → `2 (A) è un’isometria lineare surjettiva (cioè H e `2 (A)
sono isometricamente isomorfi, e scriviamo H ∼ = `2 (A)).

Corollario 1.21 : In uno spazio di Hilbert H tutti i sistemi ortonormali completi hanno la
stessa cardinalità.

Dim.: Se X = {xa }a∈A e Y = {yb }b∈B sono s.o.n.c. in H, abbiamo `2 (A) ∼


=H∼
= `2 (B) e quindi
#A = #B. 
La cardinalità dei s.o.n.c. in H viene detta dimensione di H.

Corollario 1.22 : Due spazi di Hilbert con la stessa dimensione sono isometricamente iso-
morfi.

Corollario 1.23 : Ogni spazio di Hilbert infinito-dimensionale e separabile è isometricamente


isomorfo ad `2 .

1.6 Coefficienti e serie di Fourier


Questa sezione è sostanzialmente dedicata ad una rilettura, con diversa notazione, dei
precedenti risultati.
Se H è uno spazio di Hilbert, ed X = {xa }a∈A è un sistema ortonormale, i numeri

x̂ (a) := (x, xa )
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 17

sono detti coefficienti di Fourier di x (rispetto al sistema X).


La successione generalizzata Fx = {x̂ (a)}a∈A è detta trasformata
P di Fourier di x, ed è anche
denotata con il simbolo x̂. La serie di Fourier di x è la somma a∈A x̂ (a) xa .
La formula (1.17) può riscritta come
X
|ŷ (a)|2 ≤ kyk2 ∀y ∈ H , (1.21)
a∈A

viene detta diseguaglianza di Bessel, e vale in senso stretto se e solo se y ∈


/ L( {xa }a∈A ).
Se (e solo se) il sistema ortonormale X è completo (cioè massimale, cioè base ortonormale) la
(1.21) diventa: X
|ŷ (a)|2 = kyk2 ∀y ∈ H (1.22)
a∈A

ed è nota con il nome di eguaglianza di Parseval. Cosı̀, la completezza di X può anche essere
tradotta nell’affermazione

y=0 ⇐⇒ ŷ (a) = 0 ∀a ∈ A. (1.23)

In questo caso la formula (1.22) è equivalente alla formula di Plancherel


X
(y, z) = ŷ (a) ẑ (a) ∀y, z ∈ H (1.24)
a∈A

che è la riscrittura della (1.20) .


Infine, per ogni s.o.n. X = {xa }a∈A la trasformata di Fourier F è un operatore lineare e
continuo da H in `2 (A) . Quando X è completo, la F : H → `2 (A) è un’isometria lineare
surjettiva (teorema di Riesz-Fischer).

1.7 Il sistema trigonometrico


Uno spazio di Hilbert particolarmente importante è L2 (Q) , dove Q := [−π, π). Questa
è la famiglia delle (classi di equivalenza, rispetto all’eguaglianza q.o., di) funzioni misurabili
f : Q → C a quadrato integrabile rispetto alla misura di Lebesgue normalizzata dx/2π (vd.
Esempio 3]). Il prodotto interno in questo spazio è definito come
Z
dx
(f, g) := f (x) g (x)
Q 2π
R 1/2
e la norma è data da kf k2 = Q
|f (x)|2 2π
dx
.

Il sistema trigonometrico (complesso) è l’insieme delle funzioni eikx k∈Z , ed è immediato
verificare che è un sistema ortonormale. Perciò, ogni f ∈ L2 (Q) è dotata di coefficienti di
Fourier Z
ˆ dx
f (k) = f (x) e−ikx
Q 2π
e di una serie di Fourier X
Sf (x) ≈ fˆ (k) eikx ,
Z
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 18

le cui somme parziali sono i polinomi trigonometrici


N
X
SN f (x) = fˆ (k) eikx N ∈ N.
k=−N

La scelta di utilizzare, nella definizione di Sf , il simbolo ≈ al posto del simbolo di uguaglianza


è motivata dal fatto che, per ora, non abbiamo informazioni circa l’eventuale convergenza
puntuale della serie.

Talvolta, ad esempio quando la funzione f assume solo valori reali, risulta più conveniente
utilizzare il sistema trigonometrico (reale) costituito dalle funzioni
n √ √ √ √ o
1, 2 cos x, 2 sin x, ..., 2 cos nx, 2 sin nx, ...
n≥1

che sono opportune combinazioni lineari delle eikx . Anche in questo caso si tratta di un sistema
ortonormale, ed i coefficienti di Fourier di f sono i numeri
Z
dx
Z √ dx
Z √ dx
A0 (f ) = f (x) ; An (f ) = f (x) 2 cos nx ; Bn (f ) = f (x) 2 sin nx n≥1
Q 2π Q 2π Q 2π

legati agli fˆ (k) dalle relazioni


√ √
A0 (f ) = fˆ (0) ; 2An (f ) = fˆ (n) + fˆ (−n) ; −i 2Bn (f ) = fˆ (n) − fˆ (−n) . (1.25)

Per ragioni storiche sono più spesso utilizzate le notazioni


R
a0 (f ) = 2A0 (f ) = (1/π) Q f (x) dx ;
√ R
an (f ) = 2An (f ) = (1/π) Q f (x) cos nx dx ;
√ R
bn (f ) = 2Bn (f ) = (1/π) Q f (x) sin nx dx .

La serie di Fourier di f in questo contesto ha la forma


+∞
a0 (f ) X
Sf (x) ≈ + [an (f ) cos nx + bn (f ) sin nx]
2 n=1

e le sue somme parziali sono


N
a0 (f ) X
SN f (x) = + [an (f ) cos nx + bn (f ) sin nx] .
2 n=1

Oss.: Ogni funzione f definita in Q = [−π, π) può essere estesa a tutto l’asse reale in modo
da ottenere una funzione f˜ periodica di periodo 2π. La continuità di f in Q non garantisce la
continuità in R della f˜ : vi può essere un problema di raccordo
 continuo nei punti x = 2kπ,
k ∈ Z. Questo può accadere anche nel caso f ∈ C Q , ma il problema viene superato se

f (−π) = f (π) . Useremo il simbolo Cper Q per denotare la famiglia delle funzioni continue
in [−π, π] che soddisfano quest’ultima condizione. Queste sono esattamente le funzioni f la cui
estensione periodica f˜ appartiene a Cper (R) , cioè le funzioni continue in R, e 2π-periodiche.
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 19

Oss.: Gli integrali che definiscono i coefficienti di Fourier rispetto al sistema trigonometrico
(sia quello complesso che quello reale) hanno significato anche quando la funzione f ∈ L2 (Q)
soddisfa ipotesi meno restrittive. È sufficiente che f ∈ L1 (Q) % L2 (Q) per poter dare senso
alla nozione di serie di Fourier (trigonometrica) Sf. Questo aspetto delle serie di Fourier
trigonometriche verrà esaminato più a fondo nel prossimo capitolo. Per il momento, si segnala
che alcuni dei risultati che seguono hanno validità anche fuori dall’ambientazione L2 (Q) .

Lemma 1.24 : i) Sia F : R → C, 2π-periodica ed assolutamente Rx continua in [−π, π] (cioè F


è q.o. derivabile in Q, con F 0 ∈ L1 (Q) e F (x) = F (a) + a F 0 (t) dt per quasi ogni a, x ∈ R).
Allora
(F 0 ) ˆ (k) = ik F̂ (k) ∀k ∈ Z. (1.26)
ii) Sia f : R → C, 2π-periodica ed integrabile in [−π, π), e sia
Z x
g (x) := f (t) dt − fˆ (0) x.
0

Allora g è 2π-periodica e
1 ˆ
ĝ (k) = f (k) ∀k ∈ Z, k 6= 0. (1.27)
ik
Esercizio 15 : Dimostrare il lemma.


Teorema 1.25 : Il sistema ortonormale eikx k∈Z è completo in L2 (Q) .

Dim.: Per il teorema 1.17 ci basta dimostrare la massimalità del sistema trigonometrico, cioè
l’affermazione
“f ∈ L2 (Q) , fˆ (k) = 0 ∀k ∈ Z =⇒ f (x) = 0 q.o. .” (1.28)
Vediamo che questo vale addirittura
 per ogni f ∈ L1 (Q) .
Passo 1. Se f ∈ Cper Q , f 6= 0, ed assume solo valori reali la funzione |f | assume un valore
massimo assoluto M > 0 in x0 ∈ Q; pensiamo che f (x0 ) = M. Determiniamo δ > 0 in modo che
f (x) > M/2 in (x0 − δ, x0 + δ) .
Il polinomio trigonometrico di I grado T (x) = 1 − cos δ + cos (x − x0 ) soddisfa

 |T (x)| ≤ 1 se |x − x0 | ≥ δ
T (x) ≥ 1 se |x − x0 | ≤ δ
T (x) ≥ λ > 1 se |x − x0 | ≤ δ/2

Per ogni N ∈ N il polinomio trigonometrico T N ha grado N in cos (x − x0 ) , e quindi può essere


scritto come un polinomio trigonometrico
R in cos kx e sin kx, con 0 ≤ k ≤ N. Se fˆ (k) = 0 ∀k ∈ Z
N
ricaviamo, dalle (1.25) , che Q f (x) T (x) dx = 0 per ogni N. Tuttavia
Z
N dx
f (x) T (x) ≤ M

|x−x0 |≥δ 2π
mentre Z Z
N dx dx Mδ N
f (x) T (x) ≥ f (x) T N (x) ≥ λ → +∞
|x−x0 |<δ 2π |x−x0 |<δ/2 2π 4π
e giungiamo ad una contraddizione. Perciò f ≡ 0.
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 20


Passo 2. Se f ∈ Cper Q ed ha valori complessi, lo stesso discorso vale per Re f ed Im f.
1 2
R x una generica f ∈ L (Q) (e quindi anche per ogni f ∈ L (Q)) consideriamo la funzione
Passo 3. Per
F (x) := 0 f (t) dt. Per il precedente lemma, la condizione fˆ (0) = 0 implica la periodicità di F e
le condizioni fˆ (k) = 0 ∀k 6= 0 implicano che anche F̂ (k) = 0 ∀k 6= 0. Perciò, F (x) − F̂ (0) è
continua, periodica, ed ha tutti i coefficienti nulli, per cui F (x) ≡ F̂ (0) , ovvero f (x) = 0 q.o. . 

Corollario 1.26 : Per ogni f, g ∈ L2 (Q) si ha:


a) f = Sf in L2 (Q) , cioè
 2 1/2
Z N
ikx dx 
X
0 = lim kf − SN f k = lim 

f (x) − ˆ
f (k) e
2


N →+∞ N →+∞ Q k=−N

b) Z
dx X ˆ 2
|f (x)|2 = f (k) (P arseval)
Q 2π Z

c) Z
dx X ˆ
f (x) g (x) = f (k) ĝ (k) (P lancherel)
Q 2π Z

1.8 Altri sistemi ortonormali


Una della strade che portano ad individuare altre famiglie di funzioni ortogonali tra
loro prende spunto dai problemi di Sturm-Liouville. Nell’intervallo (a, b) ⊆ R si considera
una funzione “peso” ρ integrabile e non-negativa, e si considera lo spazio L2ρ = L2ρ ((a, b))
delle funzioni reali, misurabili, che siano a quadrato integrabile rispetto alla misura dµ (x) =
ρ (x) dx. Con il prodotto interno
Z b
(f, g)ρ := f (x) g (x) ρ (x) dx
a

lo spazio L2ρ è di Hilbert (reale). Assegnate due funzioni p, q : (a, b) → R tali che p non si
annulli mai e che p, q, p1 siano localmente integrabili, il problema consiste nel cercare soluzioni
u dell’equazione differenziale lineare del II ordine
0
(pu0 ) + qu + λρu = 0 , λ∈R
che soddisfino anche certe condizioni agli estremi.
(Per p (x) = ρ (x) ≡ 1 e q (x) ≡ 0 in (0, π) le funzioni trigonometriche sin mx e cos mx
soddisfano l’equazione differenziale quando λ = m2 .)
Quel che solitamente accade è che solo per particolari valori (autovalori) di λ esistono soluzioni
non banali (autofunzioni ) di questo problema.
0
Esempio 9] In (−1, 1) l’equazione differenziale ((1 − x2 ) u0 ) + λu = 0 ammette soluzioni
limitate solo nel caso λ = λn = n (n + 1) , n ≥ 0. In questo caso ρ (x) ≡ 1, e le autofunzioni
relative ai λn sono i polinomi di Legendre (o polinomi sferici) definiti per ricorrenza come
2n+1 n
P0 (x) ≡ 1 , P1 (x) = x , Pn+1 (x) = n+1 n
P (x) − P
n+1 n−1
(x)
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 21

o anche, tramite la formula di Rodrigues, da


1 dn 2 n

Pn (x) = 1 − x .
2n n! dxn
nq o
2
Questi polinomi sono tra loro ortogonali, e la famiglia P
2n+1 n
costituisce un sistema
ortonormale completo in L2 ((−1, 1)) . Questo sistema si può ottenere con il processo di Gram-
Schmidt, partendo dalla famiglia {xn }n≥0 .
2
Esempio 10] In L2ρ (R) , con peso ρ (x) = e−x , un sistema ortonormale completo è costi-
n √ o
tuito dalle funzioni π 1/4 2n n!Hn , dove le Hn sono le autofunzioni (polinomi di Hermite)
corrispondenti agli autovalori λn = n, n ≥ 0, del problema legato all’equazione differenziale
 2 0 2
e−x u0 + 2λe−x u = 0

con la richiesta che la crescita all’infinito sia al più polinomiale.


I polinomi di Hermite sono calcolabili esplicitamente con la formula

2 dn −x2
Hn (x) = (−1)n ex e
dxn
oppure possono essere definiti per ricorrenza da

H0 (x) ≡ 1; H1 (x) = 2x; Hn+1 (x) = 2xHn (x) − 2nHn−1 (x) .

−1/2
Esempio 11] In L2ρ ((−1, 1)) , con peso ρ (x) = (1 − x2 ) , utilizzando il processo di Gram-
n
Schmidt sulla famiglia {x }n≥0 otteniamo il sistema ortonormale completo
n o
−1/2 −1/2
π T0 (x) , (2/π) Tn (x)
n≥1

dove le funzioni Tn sono i polinomi di Tchebyshev, definiti per ricorrenza da

T0 (x) ≡ 1; T1 (x) = x; Tn+1 (x) = 2xTn (x) − Tn−1 (x) .

Queste funzioni si ottengono cercando soluzioni limitate di


 1/2 0 0 −1/2
1 − x2 u + λ 1 − x2 u=0;

questo accade per gli autovalori λn = n2 , e le Tn sono le autofunzioni.


Un’altra relazione che le caratterizza è

Tn (cos ϑ) = cos nϑ dove x = cos ϑ.


CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 22

1.9 Operatori lineari

1.9.1 Operatori tra spazi vettoriali normati


In analogia con quanto visto nella Sez. 4, consideriamo due spazi vettoriali X e Y su C
(o R); una funzione T, definita in un sottoinsieme DT ⊆ X, valori in Y, è detta operatore (o
mappa, o applicazione). L’insieme DT è il suo dominio, e l’insieme R (T ) := T (DT ) è il suo
rango (o immagine). T è injettivo se T x = T y implica x = y, ed è surjettivo se R (T ) = Y.
L’operatore T è lineare se DT è un sottospazio di X e se T (αx + βy) = αT x + βT y per ogni
scelta di x, y ∈ DT e di α, β ∈ C; in questo caso l’injettività equivale alla condizione “T x = 0
se e solo se x = 0”.
Se X e Y sono spazi vettoriali topologici, T è continuo in x ∈ DT se accade che T xn → T x
per ogni successione {xn } ⊂ DT per cui xn → x, ed è continuo se lo è in ogni punto di DT .
Se X e Y sono spazi vettoriali normati, un operatore T : DT (⊆ X) → Y è limitato se
l’immagine di ogni sottoinsieme limitato di DT è un sottoinsieme limitato di Y.

Esercizio 16 : Siano X uno spazio vettoriale normato, Y uno spazio di Banach, e T : DT (⊆


X) → Y un operatore lineare definito in un sottospazio DT denso in X, e continuo. Allora
T ammette un’unica estensione continua, cioè esiste un unico operatore lineare e continuo
T̃ : X → Y che coincide con T in DT .
Esercizio 17 : Siano X e Y spazi vettoriali normati, e T : X → Y un operatore lineare.
a) T è continuo se e solo se è continuo in un singolo punto.
b) T è limitato se e solo se esiste una costante c tale che
kT xk ≤ c kxk ∀x ∈ X . (1.29)

c) T è continuo se e solo se è limitato.

La quantità
kT k := inf {c : vale la (1.29)} (1.30)
kT xk
= sup = sup kT xk
x6=0 kxk kxk=1

è detta norma di T, e vale la diseguaglianza kT xk ≤ kT k kxk .


Nel seguito ci occuperemo prevalentemente di operatori lineari e continui, definiti in tutto X,
a valori in uno spazio Y completo.
L’insieme di tutti gli operatori lineari T : X → Y può essere strutturato a spazio lineare
definendo in modo puntuale la somma S + T ed il prodotto λT. Questo spazio vettoriale è
denotato con L (X, Y ) ed il suo sottospazio degli operatori lineari e continui è denotato con
B (X, Y ) . Quando X = Y si usano le più comode scritture L (X) e B (X) . Quando, invece,
Y = C (o R) abbiamo B (X, Y ) = X ∗ , il duale di X già incontrato nella Sez. 4.

Esercizio 18 : Siano X e Y spazi vettoriali normati. Allora:


a) B (X, Y ) è uno spazio vettoriale normato, rispetto alla norma definita in (1.30) .
b) Se Y è uno spazio di Banach, anche B (X, Y ) lo è.
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 23

1.9.2 Un poco di teoria spettrale


Nelle applicazioni accade di incontrare problemi della forma

(λI − T ) x = y

dove y è un dato elemento di uno spazio di Banach X, T ∈ B (X) , e λ ∈ C.


Esempio 12] Quando X è finito-dimensionale conosciamo la risposta al problema. L’operatore
T è rappresentabile come matrice quadrata [tij ] e l’equazione può essere scritta come

[λδij − tij ] xj = (yi ) .




Se la matrice λI−T è invertibile il problema ha un’unica soluzione, mentre quando det (λI − T ) =
0 il problema diviene impossibile oppure indeterminato, ed in entrambe i casi non c’è unicità
di soluzione.

Definiamo l’insieme risolvente di T, ρ (T ) , come


n o
ρ (T ) := λ ∈ C : i) R (λI − T ) = X; ii) esiste (λI − T )−1 continuo .

L’operatore Rλ := (λI − T )−1 è detto operatore risolvente di T.


Il complementare dell’insieme risolvente di T, σ (T ) := C \ ρ (T ) , prende il nome di spettro di
T.
Un numero complesso λ può appartenere allo spettro σ (T ) per tre diverse ragioni:

a) il rango di Tλ è denso in X, l’inverso Tλ−1 esiste, ma non è limitato; questa parte di σ (T )


è detta spettro continuo di T ;

b) Tλ−1 esiste ed è limitato, ma il suo dominio non è denso in X; in questo caso diciamo che
λ appartiene allo spettro residuale di T ;

c) Tλ non è invertibile; questo significa che non è injettivo, e quindi esiste almeno un vettore
x 6= 0 che soddisfa T x = λx; in questo caso λ è un autovalore di T, e ogni tale x è
un autovettore di T, associato all’autovalore λ. Se λ è un autovalore di T, l’insieme dei
vettori x ∈ H che soddisfano T x = λx è un sottospazio chiuso di H, detto autospazio di
T associato all’autovalore λ.

Segnaliamo, senza dimostrarli, alcuni dei risultati più significativi sull’argomento.

Teorema 1.27 : Sia X uno spazio di Banach, e T ∈ B (X) . Allora:


i) l’insieme risolvente ρ (T ) è aperto;
ii) per ogni λ, µ ∈ ρ (T ) gli operatori risolventi Rλ e Rµ commutano;
iii) in ρ (T ) vale la relazione
Rµ − Rλ = (λ − µ) Rλ Rµ ;

iv) se λ ∈ ρ (T ) e |λ − µ| kRλ k < 1 si ha


+∞
X
Rµ = (−1)n Rλn+1 (µ − λ)n ;
n=0
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 24

v) la funzione λ 7→ Rλ è analitica in ρ (T ) ;
vi) lo spettro σ (T ) è un compatto non vuoto;
vii) il raggio spettrale r (σ (T )) := max |λ| (cioè il raggio del più piccolo disco di centro 0 che
λ∈σ(T )

contiene lo spettro di T ) coincide con lim kT n k1/n ;


n→+∞
viii) se |λ| > r (σ (T )) l’operatore risolvente si ottiene come
+∞
X Tn
Rλ = .
n=0
λn+1

1.9.3 L’operatore aggiunto


Ritorniamo ora nell’ambito degli spazi di Hilbert.
Se H e K sono spazi di Hilbert, e T ∈ B (H, K) , costruiamo un operatore T ∗ : K → H
usando il seguente procedimento: ad ogni y ∈ K è associato un unico funzionale σK y ∈ K ∗ ;
la composizione con T dà luogo ad un unico funzionale σK y ◦ T ∈ H ∗ , e questo individua in
modo univoco l’elemento
−1
T ∗ y := σH (σK y ◦ T ) ∈ H .
La dipendenza di T ∗ y da y può essere descritta in modo più efficace, ricordando il ruolo degli
isomorfismi isometrici σH e σK . Infatti, per ogni x ∈ H abbiamo
−1
(x, T ∗ y)H = x, σH

(σK y ◦ T ) H = (σK y ◦ T ) (x)
= (σK y) (T x) = (T x, y)K

e quindi T ∗ è definibile mediante la relazione

(T x, y)K = (x, T ∗ y)H ∀x ∈ H, ∀y ∈ K. (1.31)

L’additività di T ∗ è ovvia. Inoltre, per ogni α ∈ C, y ∈ K e x ∈ H

(x, T ∗ (αy))H = (T x, αy)K = α (T x, y)K


= α (x, T ∗ y)H = (x, αT ∗ y)H

per cui T ∗ è lineare.


Infine, per come abbiamo definito T ∗ y e per il Lemma 1.9 abbiamo
−1
kT ∗ ykH = σH

(σK y ◦ T ) H = kσK y ◦ T kH ∗
≤ kT kH→K kσK ykK ∗ = kT kH→K kykK

da cui segue che


kT ∗ kK→H ≤ kT kH→K ; (1.32)
perciò T ∗ ∈ B (K, H) .
Esempio 13] Nel caso H e K siano finito-dimensionali, ogni T ∈ B (H, K) può essere rappre-
sentato mediante una matrice [tij ] e, scegliendo
  opportunamente le basi, l’operatore T ∗ viene
rappresentato dalla matrice aggiunta tji (la coniugata della trasposta).
Le prime proprietà dell’operatore aggiunto possono essere riassunte nel
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 25

Teorema 1.28 : Siano H, K, L spazi di Hilbert. Allora:

a) Se S, T ∈ B (H, K) e α ∈ C abbiamo

(S + T )∗ = S ∗ + T ∗ e (αT )∗ = αT ∗

e quindi l’aggiunzione : B (H, K) → B (K, H) è un omomorfismo anti-lineare.

b) Se T ∈ B (H, K) e S ∈ B (K, L) , si ha (ST )∗ = T ∗ S ∗ .

c) Se T ∈ B (H, K) è un isomorfismo, T ∗ ∈ B (K, H) è un isomorfismo, e


∗
(T ∗ )−1 = T −1 .

d) Per ogni T ∈ B (H, K) si ha T ∗∗ = T.

e) Per ogni T ∈ B (H, K) si ha kT ∗ kK→H = kT kH→K .


f ) L’aggiunzione : B (H, K) → B (K, H) è un isomorfismo isometrico anti-lineare.

Esercizio 19 : dimostrare il teorema.

Esempio 14] Consideriamo lo spazio di Hilbert L2 = L2 ((0, 1)) , e l’operatore T che ad ogni
funzione u ∈ L2 associa la funzione
Z x
T u (x) = u (t) dt x ∈ (0, 1) .
0

Chiaramente T u è misurabile, e T è lineare. Inoltre


Z 1 Z 1 Z x 2 Z 1 Z x 2
2

|T u (x)| dx =
u (t) dt dx ≤
|u (t)| dt dx
0 0 0 0 0
Z 1 Z x  Z x  Z 1 Z x 
2 2
≤ dt |u (t)| dt dx = x |u (t)| dt dx
0 0 0 0 0
Z 1 Z 1 
1
≤ x 2
|u (t)| dt dx = kuk2L2
0 0 2
e quindi T : L2 → L2 è continuo. Integrando per parti
Z 1 Z 1 Z x  
(T u, v) = T u (x) v (x)dx = u (t) dt v (x) dx
0 0 0
Z 1  Z 1 Z x 
= T u (1) v (x)dx − u (x) v (t)dt dx
0 0 0
Z 1 Z 1 Z x 
= u (x) v (t)dt − v (t)dt dx
0 0 0
Z 1 Z 1 
= u (x) v (t) dt dx = (u, T ∗ v)
0 x
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 26

per cui Z 1

T v (x) = v (t) dt .
x

Per T ∈ B (H, K) sappiamo che il rango R (T ) è un sottospazio (non necessariamente


chiuso) di K; invece il nucleo di T

N (T ) := {x ∈ H : T x = 0} (1.33)

è un sottospazio di H, ovviamente (per la continuità di T ) chiuso. In perfetta analogia con


quanto accade nel caso finito-dimensionale, abbiamo

Teorema 1.29 : Siano H e K spazi di Hilbert, e T ∈ B (H, K) . Allora:

a) N (T ) = R (T ∗ )⊥ ;

b) R (T ) = N (T ∗ )⊥ .

Oss.: abbiamo già dimostrato (vd. Propos. 1.4) che l’ortogonale di un qualsiasi sottoinsieme
è un sottospazio chiuso; questo fatto motiva l’esigenza di enunciare b) utilizzando la chiusura
di R (T ) .
Dim.:

x ∈ N (T ) ⇔ T x = 0 ⇔ 0 = (T x, y) = (x, T ∗ y) ∀y ∈ K
⇔ x⊥T ∗ y ∀y ∈ K ⇔ x ∈ R (T ∗ )⊥ .

La parte b) segue dalla a) scambiando tra loro T e T ∗ e passando ai complementi ortogonali. 

1.9.4 Operatori autoaggiunti


Ora consideriamo un unico spazio di Hilbert H, e la classe B (H) degli operatori lineari e
continui da H in sé. Un operatore T ∈ B (H) è detto autoaggiunto se T = T ∗ .
Riportiamo, senza dimostrazioni, alcune delle proprietà più significative degli operatori au-
toaggiunti.

• La norma di un operatore T ∈ B (H) , autoaggiunto, può essere calcolata come

kT k = sup |(T x, x)| . (1.34)


kxk=1

• Un operatore autoaggiunto ha solo autovalori reali. Ad autovalori disgiunti corrispon-


dono autospazi mutuamente ortogonali.

• Un numero complesso λ appartiene allo spettro σ (T ) di un operatore autoaggiunto se e


solo se esiste una successione {xn } di vettori unitari che soddisfa lim kT xn − λxn k = 0.
n→+∞

• Lo spettro di un operatore autoaggiunto è contenuto nella retta reale.


CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 27

• Più precisamente, lo spettro di un operatore autoaggiunto T è contenuto nel segmento


[m, M ] , dove
m := inf (T x, x) ed M := sup (T x, x) ;
kxk=1 kxk=1

inoltre, i numeri m, M appartengono allo spettro di T.

Esercizio 20 : In H = L2 ((0, 1) , dx) definiamo l’operatore T : f 7−→ T f come


T f (x) := xf (x) .

Verificare che T è autoaggiunto. Poi, utilizzare le funzioni fn (x) = nχ[λ,λ+(1/n)] (x) (0 < λ < 1)
per dimostrare che σ (T ) = [0, 1] .

1.10 Forme bilineari


1.10.1 Definizioni ed esempi
Una forma bilineare su uno spazio di Hilbert H complesso (o reale) è una mappa B : H ×
H → C (o R) tale che le applicazioni B (x, ·) e B (·, y) sono lineari, per ogni x, y ∈ H. Nel caso
di spazi complessi, al posto delle forme bilineari si considerano spesso le forme sesquilineari,
cioè lineari nella prima variabile e anti-lineari nella seconda.
Esempio 15] Il prodotto scalare B (x, y) := (x, y)H è una forma bilineare se H è reale, e
sesquilineare se H è complesso.
Esempio 16] In H = Rn si possono costruire forme bilineari, a partire da matrici quadrate
B = [bij ]ni,j=1 , come
n
X
B (x, y) := bij xi yj = xT By .
i,j=1
n
Esempio 17] Sia D ⊂ R un dominio (cioè la chiusura di un aperto) limitato. Lo spazio
vettoriale delle funzioni reali di classe C 1 (D) è strutturabile a spazio unitario (ma non di
Hilbert) definendo il prodotto interno come
Z
(f, g)C 1 (D) := (f g + ∇f · ∇g) ;
D
La Z
B (f, g) := ∇f · ∇g
D
definisce una forma bilineare in C 1 (D) .
Una forma bilineare è continua se esiste una costante C per cui
|B (x, y)| ≤ C kxk kyk per ogni x, y ∈ H
ed è coerciva se esiste una costante c > 0 per cui
|B (x, x)| ≥ c kxk2 per ogni x ∈ H.

I tre esempi illustrati sopra descrivono forme continue. La forma dell’Es. 16 potrebbe non
essere coerciva (dipende dagli autovalori di B). Quella dell’Es. 17 non lo è (verificarlo sulle
funzioni costanti).
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 28

1.10.2 Il teorema di Lax-Milgram


Ricordiamo che il teorema di F.Riesz (Teor. 1.10) permette di rappresentare ogni funzionale
lineare su H utilizzando il prodotto interno:

“Ad ogni y ∗ ∈ H ∗ può essere associato un unico y ∈ H in modo che y ∗ (·) = (·, y)H .”

Questo risultato può essere esteso alle forme bilineari (e alle sesquilineari) continue e coercive.
Per non appesantire la dimostrazione, ci limitiamo a presentare il risultato nel caso di spazi
di Hilbert reali.

Teorema 1.30 (Lax-Milgram): Sia B una forma bilineare continua e coerciva sullo spazio
di Hilbert reale H. Allora, per ogni funzionale y ∗ ∈ H ∗ esiste un unico elemento z ∈ H che
soddisfa
y ∗ (x) = B (x, z) per ogni x ∈ H.

Dim.: Dalla continuità di B ricaviamo che, per ogni y ∈ H fissato, la mappa B (·, y) è
un funzionale lineare e continuo su H e quindi, per il teorema di Riesz, questo funzionale è
rappresentabile mediante un unico elemento T y ∈ H, che quindi soddisfa

B (x, y) = (x, T y)H per ogni x ∈ H.

Abbiamo perciò costruito la mappa T : H → H, che è chiaramente lineare perché B è lineare


nella seconda variabile. Questa mappa è anche injettiva, perché per ogni y ∈ H

c kyk2 ≤ |B (y, y)| = |(y, T y)H | ≤ kyk kT yk

e quindi kT yk ≥ c kyk .
Inoltre, per ogni y 6= 0 si ha

kT yk2 = (T y, T y)H = B (T y, y) ≤ C kT yk kyk

per cui kT yk ≤ C kyk , ovvero T è anche continuo.


Cosı̀, T ∈ B (H) è injettivo e soddisfa kT yk ≥ c kyk .
Ora mostriamo che il suo rango R (T ) è un sottospazio chiuso di H. Sia {zn } ⊂ R (T ) e sia
zn → z ∈ H. Ogni zn può essere visto come immagine T yn di un unico yn ∈ H, e inoltre

kyn − ym k ≤ c−1 kzn − zm k → 0

se n, m → ∞ perché {zn } è convergente, e quindi di Cauchy, in H. Allora anche {yn } è di


Cauchy, e quindi convergente ad un (unico) y ∈ H. Per la continuità di T abbiamo allora
 
T y = T lim yn = lim T yn = lim zn = z
n n n

e quindi z ∈ R (T ) ; perciò R (T ) è un sottospazio chiuso di H.


Ora mostriamo che R (T ) = H, cioè che T è surjettivo.
Se infatti fosse R (T ) $H, per il Corollario 1.7 esisterebbe un vettore non-nullo z0 ∈ R (T )⊥ ,
e quindi
0 = |(z0 , T z0 )H | = |B (z0 , z0 )| ≥ c kz0 k2
che porta a z0 = 0.
CAPITOLO 1. SPAZI DI HILBERT 29

Quindi, T è un isomorfismo bi-continuo di H in sé.


Per il teorema di Riesz, ogni y ∗ ∈ H ∗ ha la forma y ∗ = σy per un unico y ∈ H, e per quanto
appena visto y = T z per un unico z ∈ H. Quindi y ∗ = σT z, ovvero

y ∗ (x) = σT z (x) = (x, T z)H = B (x, z)

per ogni x ∈ H. 
Oss.: Dalla dimostrazione si ricava anche che la corrispondenza y ∗ 7→ z = T −1 σ −1 y ∗ è un
isomorfismo tra H ∗ ed H, e soddisfa la stima di stabilità

kzk ≤ c−1 ky ∗ k .

Bibliografia
A.Friedman, Foundations of Modern Analysis, Holt, Rinehart & Winston, 1970.
N.N.Lebedev, Special Functions and Their Applications, Dover, 1972.
D.Roux, Lezioni di Analisi Superiore, Masson, 1992.
W.Rudin, Real and Complex Analysis, McGraw-Hill, 1974.
S.Salsa, Equazioni a Derivate Parziali, Springer, 2004.
F.Tricomi, Istituzioni di Analisi Superiore, Cedam, 1964.
R.Wheeden e A.Zygmund, Measure and Integral, Marcel Dekker, 1977.

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