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Dicesi struttura un insieme di corpi collegati sia fra loro, sia col terreno. La cinematica si occupa dello studio dei possibili
movimenti delle strutture. Da tale studio sono escluse le deformazioni elastiche che, pur intervenendo nei problemi reali, sono
in genere di limitata entità e posso essere ignorate.
Un corpo nel quale le distanze dai punti (infiniti) si mantengono costanti, si dice CORPO RIGIDO. Un corpo rigido ha nello
spazio 6 gradi di libertà. Ciò equivale a dire che la sua posizione è definita quanto di esso siano fissati 6 parametri indipendenti
tra loro. È spesso importante specializzare quanto detto finora al caso bidimensionale, in cui i punti sono obbligati a giacere
su un piano. In tal caso il sistema di N punti materiali avrebbe 3N - N = 2N gradi di libertà, in quanto per ciascun punto si
potrebbe scrivere l'equazione che lo vincola ad appartenere al piano. Inoltre, il corpo rigido (o meglio, la superficie rigida) ha
nel piano tre gradi di libertà. In questo caso si parla di cinematica delle strutture piane, in quanto i corpi appartengono ad un
piano ed i movimenti sono possibili solo su tale piano.
GRADI DI LIBERTÀ: per un corpo piano fissato un punto A con due coordinate piane, il corpo può ancora ruotare attorno ad esso. Bisogna
introdurre un angolo di rotazione rispetto ad una retta uscente da A, così il corpo non ha alcuna possibili di movimento. Quindi i gradi di libertà
sono 3.
Si dice vincolo (definizione matematica) una condizione che fissa uno o più parametri. Fisicamente il vincolo toglie uno o più
gradi di libertà. In statica delle strutture i vincoli considerati sono:
I vincoli interni alla struttura sono quelli che collegano i corpi fra loro.
Il collegamento tra due aste con cerniera libera (cioè non legata a terra, libera di traslare) oppone 2 GdV alla
struttura. Se abbiamo n aste collegate da una cerniera libera, il numero dei GdV risulta: 2(n-1) (Il -1 indica che il
primo corpo viene considerato linearmente indipendente rispetto agli altri e può dunque muoversi liberamente). Se
invece la cerniera non è libera ma è a terra, allora la cerniera non può traslare, perciò i GdV aumentano a: 2n.
Un incastro tra più aste o corpi è banale, poiché coincide col considerare i corpi congiunti come un singolo corpo.
Se il carrello è a terra (nel senso che il suo piano di scorrimento è la terra) ed è collegato a n aste, i gradi di vincolo
da esso imposti sono: 2n-1. Altrimenti, se il carrello scorre lungo un'asta della struttura (e dunque può traslare
perpendicolarmente al proprio piano di scorrimento, unitamente all'asta d'appoggio), i gradi di vincolo sono: 2n-3.
Pattino o manicotto: La situazione è differente per questi due tipi di vincoli. Ciò perché se si collegano più aste ad
un pattino o ad un manicotto, il sistema è equivalente ad uno che abbia le diverse aste incastrate tra loro prima del
vincolo (a formare un unico corpo rigido), con la conseguenza che il vincolo veda sempre una sola asta collegata a
sé. Per questo motivo in questi casi i GdV sono - indipendentemente dal numero di aste - sempre 2.
REAZIONI VINCOLARI
Ad ogni vincolo deve corrispondere una forza che sia in grado di far rispettare il vincolo stesso. Ne segue che il vincolo
semplice che proibisce le traslazioni orizzontali è equivalente ad una forza di intensità tale da annullare gli spostamenti
orizzontali, e poiché essa può essere vista come l'azione del dispositivo di vincolo sulla trave, la si chiamerà reazione vincolare.
Del tutto analogamente, un carrello a piano di scorrimento orizzontale può essere sostituito da una reazione verticale, di valore
incognito, capace di annullare gli spostamenti verticali, ed il doppio bipendolo può essere considerato equivalente ad una
coppia reattiva, che annulla le rotazioni. Si giunge quindi alla rappresentazione statica dei vincoli semplici illustrata in Figura
2.4.
I vincoli doppi, dal canto loro, impongono due condizioni cinematiche, e sono equivalenti a due forze/coppie reattive. Così,
l'appoggio equivale a due forze reattive dirette secondo gli assi, ed il bipendolo ad una reazione – diretta secondo l'asse del
bipendolo - e ad una coppia reattiva. Infine, l'incastro deve essere sostituito da due reazioni ed una coppia.
∑𝑥 = 0
∑𝑦 = 0
{∑ 𝑀 = 0
Ossia la sommatoria delle componenti delle forze esterne secondo l’asse x è nulla, la sommatoria delle componenti delle forze
esterne secondo l’asse y è nulla, la somma dei momenti delle forze esterne rispetto ad un punto qualsiasi è nulla.
Se le 3 equazioni della statica non sono verificate, il corpo si mette in movimento.
Le equazioni della statica ci permettono di scrivere per ogni corpo 3 equazioni le cui incognite sono le reazioni vincolari, se il
numero dei corpi che formano la struttura è n, siamo in gradi di scrivere 3n equazioni.
PROBLEMA STATICO
Il problema statico consiste nel verificare che le equazioni cardinali della statica siano soddisfatte nei vari tronchi costituenti il
sistema. Il sistema di equazioni si può scrivere in forma compatta come:
𝑆𝑟 + 𝑓 = 0
Dove 𝑆 è la matrice statica della struttura, 3txs (3t righe e s colonne) e s
𝑟 è il vettore delle reazioni vincolari ed 𝑓 è il vettore delle azioni esterne.
I sistemi meccanici si caratterizzano staticamente e cinematicamente sulla base delle soluzioni possibili dei sistemi di
equazioni che rappresentano rispettivamente le condizioni di equilibrio del sistema e l'azione cinematica dei vincoli.
Se la struttura è isostatica: 3t=s dove s indica il numero dei vincoli elementari. Il numero delle incognite è uguale al
numero delle equazioni e, salvo casi degeneri, il sistema ammette una e una sola soluzione. Si dice allora che il sistema
è staticamente determinato (a qualsiasi valore dei carichi esterni sono associate reazioni vincolari che rendono il sistema
equilibrato) e cinematicamente determinato (i vincoli sono strettamente sufficienti ad impedire atti di moto rigido
delle sue parti, od a determinarli univocamente nel caso di cedimenti assegnati).
Se la struttura è labile (s<3t) abbiamo, dal punto di vista matematico, un sistema con meno incognite che equazioni. Il
sistema, a meno che qualche equazione non risulti combinazione lineare delle altre, è statisticamente impossibile. Il
sistema è cinematicamente indeterminato. In termini statici, il relativo problema non ammette in generale soluzione.
Se, infine, la struttura è iperstatica (s>3t), le equazioni della statica ci danno un sistema con più incognite che equazioni.
Il sistema ha ∞𝑠−3𝑡 soluzioni è perciò indeterminato. Il sistema è staticamente indeterminato. In termini cinematici,
il relativo problema non ammette in generale soluzione (cinematicamente impossibile): i vincoli sono
sovrabbondanti e gli atti di moto del sistema sono sempre impediti.
sistema degenere: i vincoli presenti sono mal posti ed insufficienti ad impedire atti di moto del sistema. L'equilibrio
sussiste solo per particolari valori dei carichi (p'=p), ma il numero p di equazioni indipendenti di equilibrio non è
sufficiente a determinare univocamente il valori delle reazioni vincolari (il sistema ha m-p iperstaticità). In pratica un
sistema degenere presenta contemporaneamente meccanismi di labilità e condizioni di iperstaticità. Statisticamente e
cinematicamente impossibile.
DIAGRAMMI DELLE CARATTERISTICHE DI SOLLECITAZIONE NELLE TRAVI E
SISTEMI DI TRAVI
Un corpo (una trave) in equilibrio sotto l'azione di un sistema di forze esterne, può sempre pensarsi composto da due parti
definite da un piano di sezionamento. Il vincolo di continuità agisce in corrispondenza della sezione imponendo che le due
parti permangano combacianti durante il moto del corpo. Tale vincolo di continuità si esplica sulla sezione mediante un
sistema puntuale di sollecitazioni (le tensioni interne) che le due parti del corpo si scambiano reciprocamente attraverso le
due facce della sezione.
Le forze di contatto che una parte del corpo esercita sull'altra intervengono, assieme alle forze esterne applicate, nelle
condizioni di equilibrio che devono continuare a valere per ognuna delle due parti del corpo. Pertanto il risultante ed il
momento risultante delle forze di contatto interne sono determinabili sulla base delle equazioni cardinali delle statica di una delle
due parti del corpo, equilibrando il risultante ed il momento risultante delle forze esterne ivi applicate.
Si dicono caratteristiche di sollecitazione di una sezione le componenti dei vettori del risultante e del momento risultante
delle forze di contatto interne della sezione, in un riferimento locale solidale al piano della sezione. Per un problema piano
esse sono:
sforzo normale (N) (componente del risultante delle forze di contatto nella direzione perpendicolare alla faccia della
sezione)
sforzo di taglio (T) (componente del risultante delle forze di contatto nella direzione parallela alla faccia della sezione)
momento flettente (M) (componente del momento risultante nella direzione normale al piano del problema)
Le caratteristiche di sollecitazione variano al variare della sezione. Una loro rappresentazione sintetica è ottenibile mediante
diagrammi. In strutture piane, obbiettivo primario della statica delle strutture è la ricostruzione dei diagrammi dello sforzo
normale, dello sforzo di taglio e del momento flettente.
SISTEMI RETICOLARI
Le travi reticolari sono strutture formate da aste rettilinee, mutuamente collegate a cerniera ai loro estremi in punti chiamati
nodi secondo una disposizione geometrica ordinata in modo tale da formare un sistema indeformabile. I carichi esterni sono
quasi sempre forze concentrate ai nodi. Tali strutture risultano molto vantaggiose per la realizzazione di coperture di forma e
dimensione qualsiasi, data la loro facilità di articolazione e peso modesto. Se si indica con 𝑛 ≥ 2 il numero di nodi in cui
concorrono le aste della travatura reticolare e con 𝑎 ≥ 1 il numero di aste, per ragioni di equilibrio, tali aste sono soggetto
SOLO a sforzo normale.
Internamente le aste inserite devono essere conformate in modo da formare maglie triangolari. Il numero delle aste “a”,
necessarie per collegare “n” nodi in modo stabile, cioè in modo che non presenti labilità interne, è: a = 2n – 3.
Le aste di una trave reticolare sono sollecitate esclusivamente da sforzo normale di compressione (PUNTONI) o di trazione
(TIRANTI). Si osservi che lo sforzo è l’azione esercitata dal nodo sull’asta pertanto esso è uguale e opposto all’azione esercitata dall’asta sul
nodo.
Una trave reticolare è “risolta” se si riesce a trovare lo sforzo che sollecita ogni asta. Poiché il collegamento di estremità è una
cerniera, il nodo NON può trasmettere alcun momento all’asta. Per risolvere la struttura reticolare focalizziamo la nostra
attenzione sui nodi, partendo dal presupposto che ogni nodo sia fermo, cioè in equilibrio, pertanto l’insieme delle forze che
agiscono nel nodo stesso deve avere risultante nulla (metodo dei nodi).
Un altro metodo per il calcolo di una travatura reticolare isostatica è quello delle sezioni di Ritter.
- Il primo passo è quello di verificare che la struttura sia isostatica, poiché se fosse iperstatica non saremmo in
grado di utilizzare questa modalità di calcolo. Inoltre possiamo subito dire quali sono le reazioni vincolari
esterne dovute calcolandole con l’equilibrio alla traslazione verticale ed utilizzando la simmetria sia della
struttura sia del carico (quando una struttura è simmetrica e caricata simmetricamente, le reazioni vincolari
sono simmetriche).
- Dopo aver calcolato le reazioni vincolari, per mettere in evidenza le azioni di contatto (che in questo caso
sono gli sforzi normali nelle aste) dobbiamo effettuare un taglio virtuale della struttura in due parti tramite
una sezione di Ritter. Dicesi sezione di Ritter una sezione che divide in due la struttura tagliando tre aste
non convergenti nello stesso nodo.
- Una volta effettuato il taglio virtuale, si mettono in evidenza gli sforzi normali agenti sulle sezioni delle aste
tagliate
Posso scegliere di considerare la parte di trave che va da (A) ad (H), o quella che va da (H) ad (A), poiché su qualunque
parte decida di lavorare il risultato sarà invariato. Scelgo di lavorare nella prima metà semplicemente perché ci sono meno
forze applicate ed i calcoli risulteranno più rapidi. Disegnare le forze (N1), (N2) ed (N3) uscenti dalla sezione vuol dire
considerare in prima ipotesi che le aste sezionate siano sottoposte a trazione (tiranti). Posso scegliere arbitrariamente il
verso di queste forze, in quanto sarà il risultato delle equazioni di equilibrio che confermerà il verso delle azioni di contatto
o deciderà che il verso è opposto: in tal caso l'asta risulterà in compressione (puntone). A questo punto, per determinare
i valori di (N1), (N2) ed (N3), userò l'assioma di bilancio che sancisce - per una struttura deformabile - l'equilibrio di tutte
le forze agenti sulla generica parte. In questo caso, la parte sarà quella disegnata in figura (3). Le incognite sono tre e tre
sono le equazioni di bilancio a nostra disposizione. Quindi il problema è risolvibile.
MECCANICA DEI SOLIDI DEFORMABILI
In fisica la meccanica dei solidi è la parte della meccanica del continuo che riguarda lo studio delle stato di tensione e
di deformazione dei corpi solidi al fine soprattutto di evidenziarne i valori limiti di resistenza al variare delle condizioni di
carico (forze esterne, cambiamenti di temperatura, applicazione di spostamenti).
Ogni corpo solido è caratterizzato dal fatto di possedere un propria configurazione naturale (una propria geometria iniziale a
riposo) e dalla capacità di poter sostenere componenti normali e tangenziali dello stato di tensione interna.
I capi di tensione interna e deformazione di un continuo solido si determinano risolvendo un sistema di equazioni che esprimono
l'equilibrio meccanico, le relazioni costitutive e la congruenza cinematica.
Se la sollecitazione applicata è sufficientemente piccola (o la proporzione della deformazione rispetto alla dimensione originale
è abbastanza piccola), quasi tutti i corpi solidi si comportano in modo che la deformazione sia direttamente proporzionale
alla sollecitazione; il coefficiente di proporzionalità è definito modulo di elasticità o modulo di Young. Questa regione di
deformazione è conosciuta come regione linearmente elastica.
ANALISI DELLO STATO DI DEFORMAZIONE
Per deformazione s'intende il processo di cambiamento di forma del corpo (supposto continuo e deformabile). Tali
deformazioni dipendono dal materiale del corpo e dal valore delle forze agenti e possono essere:
- Deformazioni elastiche (o temporanee) quanto, togliendo la causa che le produce, il solido ritorna alle
dimensioni iniziali;
- Deformazioni anelastiche (o permanenti o plastiche) quando, togliendo la causa che le produce, le
dimensioni e la conformazione del solido rimangono modificate, pregiudicandone spesso l’efficienza.
Per mezzo continuo si intende un sistema materiale per il quale si possano identificare i suoi punti materiali con i punti di
una porzione dello spazio continuo occupata dal sistema in un determinato istante. Più precisamente, si intende come continuo
un insieme di punti materiali, dotato di una misura d'insieme definito dalla massa 𝜌, supposta una funzione assolutamente
continua alla quale resti così associata in ogni istante di tempo una massa specifica.
Un corpo si dice deformabile quando le posizioni relative dei suoi punti variano in seguito all'applicazione di agenti esterni.
L'analisi della deformazione si occupa allora dello studio del cambiamento di posizione relativa tra i punti materiali nel passaggio
da uno stato iniziale a quello attuale.
Si consideri un mezzo continuo Ω che nel tempo cambi configurazione. Così, detta Co la configurazione del corpo Ω al tempo
iniziale del moto t = to, sia C la configurazione di Ω al generico istante t>to. In figura 3.1 è riportato schematicamente il
cambiamento di configurazione del corpo Ω.
È uso chiamare la prima configurazione indeformata e identificarla con la configurazione di riferimento; la seconda è
detta configurazione deformata. Entrambe si considerano indipendenti dal tempo.
L'analisi della deformazione consiste nello studio dell'applicazione (il trasporto)
che porta il corpo dalla configurazione indeformata alla configurazione deformata o, il che è lo stesso, nello studio
dello spostamento prodotto misurato dal campo vettoriale u(x).
In particolare è importante studiare la deformazione di un intorno di un generico punto materiale, cioè di una piccola porzione
del corpo prossima al punto considerato. Al tal fine risulta utile l'uso del tensore (del secondo ordine) gradiente della deformazione
che è una misura della deformazione di un intorno di un generico punto in quanto, per definizione di gradiente, permette di
rappresentare la trasformazione subita da un segmento orientato appartenente all’intorno dalla configurazione indeformata
alla configurazione deformata.
A partire dal tensore delle deformazioni, si arriva alla formulazione delle equazioni di congruenza, che sono 34 = 81
equazioni, riconducibili al 6 equazioni distinte.
ANALISI DELLO STATO DI TENSIONE
L’analisi della tensione viene affrontata scrivendo le equazioni di equilibro del corpo nella configurazione corrente. Si fa
l’ipotesi di piccoli spostamenti, così da confondere la configurazione deformata con quella indeformata. Le equazione di
equilibro, pertanto, si possono scrivere direttamente sulla configurazione indeformata. Sul corpo possono agire due tipi
di forza:
- Forze superficiali (o di contatto), ovvero forze per unità di superficie.
- Forze di massa (o di volume, o azioni a distanza), ovvero forze per unità di volume.
Il sistema di forze agenti (volume e superficie) sul corpo deve essere equilibrato. Tale equilibrio si verifica con le equazioni
della statica (3 traslazione e 3 rotazione).
Dato il vettore della tensione tn, è naturalmente possibile dedurne le componenti secondo qualsiasi terna di assi cartesiani
ortogonali presi come sistema di riferimento:
Può dimostrarsi interessante, tuttavia, fare riferimento non a direzioni generiche, ma alla direzione n normale
al piano considerato. Di norma il vettore della tensione è inclinato rispetto a tale direzione, e su n agisce una
componente di tn. Tale componente è chiamata tensione normale nella direzione n:
Considerando poi due generiche direzioni per completare la terna di riferimento, che saranno naturalmente
per definizione ortogonali a n, le componenti di tn lungo queste ultime sono chiamate tensioni tangenziali:
Tali tensioni sono considerate come quelle che la porzione C+ esercita su C-, per cui le tensioni normali sono
positive quando tendono a far allontanare le due porzioni (sono, cioè, di trazione), mentre le tensioni
tangenziali dipendono dal verso della generica direzione considerata.
Considerando i tre piani coordinati agli assi del generico sistema di riferimento, è possibile raccogliere le
informazioni relative allo stato di tensione nel punto in una matrice:
In essa la prima riga rappresenta le componenti rispetto ai tre assi della tensione considerata agente sul piano di normale 1, ed
ugualmente le altre due righe per le altre direzioni. Gli elementi della diagonale principale rappresentano le tensioni normali
dei tre piani. I pedici stanno ad indicare il primo la normale al piano in cui si intende applicata la tensione, il secondo la
direzione in cui la componente agisce.
VALUTAZIONE DELLA TENSIONE LUNGO UNA DIREZIONE GENERICA
Si consideri il tetraedro di Cauchy, cioè un tetraedro nell'intorno del punto P considerato avente tre facce
secondo le direzioni del sistema di riferimento prescelto e la quarta di normale generica n. Su di esso agiscono
le forze di volume Y, scomponibili lungo i tre assi del sistema di riferimento a dare Y1, Y2 e Y3, e le forze
interne . Per l'equilibrio nella generica direzione j deve essere:
Il tensore di tensione, è la trasposta dello stato di tensione, è:
𝜎11 𝜏21 𝜏31
| 𝜏12 𝜎22 𝜏32 |
𝜏13 𝜏23 𝜎33
Facendo l'equilibrio alla traslazione secondo la generica direzione k, ricordando che il secondo indice delle
componenti ne identifica la direzione, le equazioni indefinite di equilibrio possono essere così sintetizzate:
CERCHIO DI MOHR
Rappresentazione grafica dello stato tensionale è effettuabile con il cerchio di Mohr. Dove ho sull’asse delle
x la tensione normale, e sull’asse delle y le tau.
Si tracciano 3 circonferenze. Una che racchiude le altre due.
L’intersezione della circonferenza sull’ascissa è la direzione principali. Sigma I e sigma III sono gli estremi del
cerchio che interseca l’asse x. La tau massima è il raggio del cerchio (sigmaI+sigmaIII/2).
IL LEGAME COTITUTIVO DEI MATERIALI
L’equilibrio di forze e tensioni e la congruenza di spostamenti e deformazioni prescindono dalla natura del materiale che
costituisce la struttura, e le equazioni che ne governano la Statica e Cinematica si scrivono indipendentemente le une dalle
altre. Per risolvere il problema strutturale, dunque, occorre associare alle equazioni di equilibrio e di congruenza un ulteriore
set di equazioni, dette di legame costitutivo, che descrivano la legge secondo cui il materiale costituente la struttura si deforma
per effetto delle tensioni.
Le ipotesi alla base della teoria dei legami costitutivi sono:
- Materiale elastico (riduzione da 81 a 36 coefficienti nel tensore di elasticità)
- Materiale lineare (riduzione da 81 a 36 coefficienti nel tensore di elasticità)
- Materiale omogeneo. Per omogeneità si intende che il comportamento meccanico del mezzo è identico in
tutti i suoi punti: formalmente ciò equivale a dire che la definizione delle caratteristiche elastiche del
materiale non dipende dalle coordinate del punto considerato.
- Materiale isotropo (si riduce da 36 a 2): Un materiale si dice isotropo quando ha le stesse proprietà elastiche
in ogni direzione. Inoltre si dimostra che se un materiale è isotropo, le direzioni principali di deformazione
coincidono con le direzioni principale di tensione, punto per punto.
- Ipotesi di piccoli spostamenti: le dilatazioni lineari e gli scorrimenti siano molto inferiori all’unità.
In questo modo, sono necessari solo due coefficienti per descrivere il comportamento del materiale.
Le coppie di parametri indipendenti possono essere:
- 𝜆 𝑒 𝐺 dove sono la costante di Lamé, G è il modulo di elasticità tangenziale o di taglio;
- 𝐾 𝑒 𝐺 dove K è il modulo di elasticità cubica;
- 𝐺 𝑒 𝜈 dove 𝜈 è il coefficiente di Poisson;
- 𝐸 𝑒 𝜈 dove E è il modulo di elasticità normale;
- 𝐸 𝑒 𝐺.
LEGGE DI HOOKE
Finché le sollecitazioni esterne non superano il limite di proporzionalità caratteristico del materiale, le deformazioni sono
proporzionali alle forze che le hanno prodotte.
𝜎 =𝐸∙𝜀
Dove la costante di proporzionalità 𝐸 (modulo di elasticità normale o modulo di Young) ha le stesse unità di misura di 𝜎 (𝜀 è
un numero puro), ed è una grandezza caratteristica del materiale.
Calcestruzzo
Acciaio
IL PROBLEMA ELASTICO (SOLUZIONE IN TERMINI DI SPOSTAMENTI O DI
TENSIONI)
FORMULAZIONE AGLI SPOSTAMENTI – EQUAZIONI DI NAVIER
Le equazioni di Navier sono le equazioni indefinite di equilibro (5) scritte in funzione degli spostamenti. Questa
formulazione è indicata nei casi in cui, come condizioni al contorno, sono prefissati gli spostamenti.
Per prima cosa le equazioni costitutive (7c,b) vengono riscritte introducendo al posto delle deformazioni gli spostamenti
dedotti dalle equazioni di compatibilità (6). Successivamente si riscrivono anche le equazioni di equilibro in termini di
spostamento.
Attraverso quindi le opportune sostituzioni, il problema è stato ricondotto alla determinazione delle 3 componenti di spostamento che soddisfano le
equazioni precedenti e le equazioni di congruenza al contorno.
Forze equilibrate: Un qualunque sistema di forze applicato ad un corpo è in equilibrio se la somma di tutti i contributi si
annulla e si annullano anche tutti i momenti qualunque sia il polo scelto per il loro calcolo.
ENUNCIATO (Lagrange 1736-1783): Condizione Necessaria e Sufficiente perché un sistema materiale sia in equilibrio, è che sia nullo il
lavoro virtuale delle forze attive associato a qualunque spostamento virtuale compatibile.
In pratica il principio asserisce che ad un sistema perfettamente equilibrato e nella sua deformazione vera, se si perturba
infinitesimamente la sua condizione, le forze esterne applicate non compiono lavoro – il sistema non cambia stato energetico
– L’energia totale è in una condizione di stazionarietà. Il P.L.V. è di validità ancor più generale e può essere applicato:
Dalla figura 2, si vede che il momento statico equivale a calcolare il momento della risultante del sistema di forze rispetto allo
stesso asse e visto che la risultante passa per il baricentro del sistema, il momento cercato risulta uguale alla somma delle forze,
ossia delle masse, moltiplicata per la distanza yG del baricentro della retta n. Considerando tutta la massa applicata nel
baricentro del sistema, la formula è:
𝑆𝑛 = 𝑦𝐺 ∑ 𝑚𝑖
Il momento statico di un sistema di masse rispetto ad una retta non cambia se si concentra la massa totale nel
baricentro. Il momento statico rispetto ad una retta baricentrica è NULLO. Quindi il baricentro di un sistema di masse è il
punto d’intersezione di tutte le rette rispetto alle quali il momento statico è nullo.
MOMENTI D'INERZIA
Si chiama momento d’inerzia assiale di un sistema piano di masse rispetto ad una retta n del piano la somma dei prodotti
delle masse per i quadrati delle rispettive distanze y da n, misurate secondo una direzione prefissata (momento del secondo
ordine):
𝐽𝑛 = ∑ 𝑚𝑖 𝑦𝑖2
Se consideriamo le masse sempre positive, il momento d’inerzia sarà anch’esso sempre positivo poiché la distanza è elevata al
quadrato. A partire da 𝐽𝑛 e dividendolo per la massa complessiva, si ottiene il raggio di inerzia rispetto alla retta n.
𝐽𝑛
√ = 𝜌𝑛
∑ 𝑚𝑖
Il raggio d’inerzia (o di girazione) rappresenta la distanza ideale dall’asse n alla quale dovrebbe essere applicata la somma delle
masse per ottenere lo stesso momento d’inerzia.
Oltre al momento d’inerzia assiale, possono essere definiti anche:
- il momento centrifugo rispetto a due rette nel piano che è dato dalla somma dei prodotti delle masse per
le rispettive distanze dalla due rette valutate secondo direzioni prefissate
𝐽𝑥𝑦 = ∑ 𝑚𝑖 𝑥𝑖 𝑦𝑖
Visto che le distanze possono essere positive o negative, il momento centrifugo può essere positivo,
negativo o nullo.
- Il momento d’inerzia polare che è ottenuto come somma dei prodotti delle masse per i quadrati delle
rispettive distanza da un punto P del piano:
𝐽𝑝 = ∑ 𝑚𝑖 𝑟𝑖2
Il momento d’inerzia polare rispetto ad un punto P è uguale alla somma dei momenti d’inerzia rispetto a due rette ortogonali
qualsiasi, passanti per P, valutati con distanze normali.
TEOREMA DI TRASPOSIZIONE: il momento d’inerzia rispetto ad un asse n è uguale a quello rispetto all’asse
baricentrico e parallelo n, più la massa totale moltiplicata per il quadrato della distanza tra le due rette.
Il momento d’inerzia rispetto alla retta baricentrica è il più piccolo tra tutti.
Se il centro delle pressioni cade all’interno del nocciolo d’inerzia, allora la sezione è tutta compressa, sennò è sul bordo la
minima tensione di compressione è nulla, se cade esterno ho pari della sezioni tese e parti compresse.
Dove Fn è la forza normale (N) parallela e negativa in modulo rispetto alla direzione esterna della
superficie corpo a cui è applicata. A è l'area della sezione trasversale della trave (m2).
Le formule ricavate per il calcolo della sollecitazione a trazione si applicano identicamente a corpi
compressi, purché questi non siano lunghi in confronto alle dimensioni della sezione trasversale (elementi
tozzi). Se un solido cilindrico rettilineo molto lungo (elemento snello) è soggetto a una forza di
compressione gradatamente crescente, raggiunto un certo valore del carico, detto carico critico Euleriano,
esso s'inflette indefinitamente nel piano di minor rigidezza.
In questo caso il carico di collasso dipende anche dagli effetti geometrici del secondo ordine o non
linearità geometrica (instabilità dell'equilibrio).
Nella realtà è raro che si possa realizzare la compressione perfettamente centrata. Infatti gli errori esecutivi
sono fattori che producono come risultato la presenza di un'eccentricità del carico e quindi la presenza
di una sollecitazione di flessione che va a sommarsi allo sforzo normale. Si ha così la cosiddetta presso-
flessione.
FLESSIONE RETTA
La flessione è uno degli sforzi o sollecitazioni elementari cui può essere soggetto un corpo, insieme
alla compressione, la trazione, il taglio e la torsione. La sollecitazione che la provoca è detta momento
flettente.
Nella pratica una trave è sollecitata a flessione quando è sottoposta ad un sistema di carichi che possiede
una componente perpendicolare all'asse longitudinale, generando un momento flettente che provoca
l'incurvatura della trave stessa.
Nello studio della flessione ricordiamo l’ipotesi di conservazione delle sezioni piani, formulata da
Bernoulli, ossia che le sezioni normali all’asse della trave indeformata rimangono piane anche dopo l’azione delle coppie.
Nella trave sottoposta a flessione nascono delle tensioni unitarie di trazione e compressione, idealmente
separate da uno strato di fibre detto "asse neutro" (x) che non subisce alcun allungamento o accorciamento.
Gli allungamenti o accorciamenti, invece, delle altre fibre sono proporzionali alla distanza dalla fibra
neutra.
In una generica sezione di una trave soggetta a flessione la tensione unitaria si calcola con la seguente
relazione detta formula di Navier:
𝑀𝑓
𝜎𝑓 = 𝑦
𝐽
Nei materiali solidi lo sforzo di taglio è uno stato di tensione in cui la forma di un materiale tende a cambiare (di solito per forze
interne di scorrimento trasversali) senza cambiamenti di volume (nel caso di materiali elasto-lineari e isotropi). Il cambiamento di
forma è quantificato misurando la variazione relativa dell'angolo tra i lati inizialmente perpendicolari di un elemento
differenziale del materiale (deformazione di taglio).
N.B. Nelle travi la sollecitazione di taglio è sempre legata a quella di flessione, sono presenti contemporaneamente. Le formule
matematiche delle due sollecitazioni sono correlate fra loro, in quanto il Taglio è la derivata prima della Flessione.
Per le tensioni tangenziali dovute a torsione si usa la formula di Bredt sezioni chiuse a parete sottile o cave, che fornisce
per una 𝜏 supposta costante nello spessore e tangente alla fibra media della sezione:
𝑀𝑡
𝜏=
2Ω𝑠
Dove Ω è l’area racchiusa dal contorno medio c della sezione;
s è lo spessore.
Per sezioni aperte a parete sottile:
𝑀𝑡
𝜏=
𝑏
𝐽𝑡
1
Dove 𝐽𝑡 = ∑ 3 𝑎𝑖 𝑏𝑖3 momento d’inerzia rispetto alla base per sezione rettangolare
dove b è lo spessore più piccolo della sezione e a è l’altra dimensione.
Per sezioni a parete piena, ossia non sottili, esempio una sezione rettangolo non si mantengono piane
per effetto della torsione, si ricorre a espressioni semi-empiriche.
Lungo le diagonali la 𝜏 cresce fino a un certo punto, poi decresce fino ad annullarsi nei vertici per il
principio di reciprocità. I diagrammi delle tensioni lungo le due mediane, invece, mostrano che a 𝜏 cresce
più che linearmente dal baricentro, dove è nulla, verso i lembi della sezione.
La 𝜏 assume il valore massimo nei punti medi dei lati più lunghi.
L’asse di sollecitazione s-s e l’asse neutro n-n non sono assi principali d’inerzia, ma due assi coniugati qualsiasi e quindi non
sono perpendicolari.
RESISTENZA DEI MATERIALI
CARATTERISTICHE MECCANICHE
Le proprietà meccaniche dei materiali esprimono la capacità di un materiale di resistere alle azioni provocate da forze esterne
che tendono a deformarlo. Tale capacità di contrasto offerta dal materiale costituisce la sua caratteristica meccanica e può
cambiare in funzione della forza applicata.
Elenchiamo ora i diversi tipi di forze per poter definire le corrispondenti caratteristiche meccaniche:
Forze statiche: Sono applicate in modo costante o variano lentamente nel tempo.
Forze dinamiche: Sono applicate in tempi brevi (< 0,1s, forze d'urto) per esempio martellatura, lavorazione al
maglio. La capacità dei materiali a contrastare gli effetti delle forze dinamiche è detta resilienza.
Forze periodiche: Sono variabili periodicamente nel tempo e con frequenza elevata. La capacità dei materiali a
contrastare gli effetti delle forze periodiche è detta resistenza a fatica.
Forze concentrate: Sono applicate in zone ristrette o puntiforme per esempio puntellatura, scappellatura. La
capacità dei materiali a contrastare gli effetti delle forze concentrate si chiama durezza.
Forze d'attrito: Si manifestano tra le superfici di contatto tra due corpi mobili tra loro striscianti (attrito radente) o
rotolanti (attrito volvente). La capacità dei materiali a contrastare gli effetti delle forze d'attrito si chiama resistenza
all'usura.
NOTA
Un corpo elastico può subire anche deformazioni angolari (in questo senso momenti ed angoli possono essere visti come
forze e spostamenti generalizzati), ed opponendo resistenza a tali deformazioni, si può misurare la relativa rigidezza k per una
rotazione θ, sotto un momento applicato M:
k=M/ θ
Nel Sistema Internazionale, la rigidezza flessionale si misura in newton-metri su radianti.
Ulteriori misure di rigidezza sono ricavate per analogia, come:
rigidezza a taglio - rapporto fra deformazione di taglio per unità di forza applicata
rigidezza torsionale - rapporto fra il momento di torsione applicato e l'angolo di rotazione
Comportamento elastico;
Comportamento plastico;
Comportamento a fatica;
Comportamento a frattura;
Tenacità e Resilienza
Durezza
Comportamento a compressione
Comportamento a taglio
Le proprietà meccaniche vengono determinate con prove di laboratorio che si differenziano in base alla sollecitazione
applicata.
Il carico applicato può essere:
Trazione
Flessione
Compressione
Taglio
Torsione
Istantanea
Continua
Alternata
1. COMPORTAMENTO ELASTICO
Un materiale sottoposto a trazione subisce una deformazione. Se cessata la forza applicata il materiale ritorna alle dimensioni
originali si dice che il materiale presenta un comportamento elastico.
“E” rappresenta la rigidezza del materiale, ovvero la resistenza che il materiale oppone alla deformazione elastica. Maggiore
è il modulo, più è rigido è il materiale, minore è la deformazione elastica che risulta dall’applicazione di un determinato carico.
E è un parametro che caratterizza la resistenza del solido alla deformazione uniassiale.
(NB Questo vale nel caso di sforzo uniassiale e materiale isotropo ex=ey).
La deformazione laterale è di contrazione.
Limite di proporzionalità indica il termine del tratto elastico. Oltre a questo si definisce il carico di snervamento.
Per materiali con comportamento elastico NON lineare (anelastici), il metodo descritto NON è applicabile e il carico di
snervamento si definisce come: sforzo in corrispondenza del quale si ha una deformazione plastica permanente residua nella prova di
trazione.
Il carico di rottura M si calcola tracciando una riga orizzontale al valore massimo della curva sforzo-deformazione.
Superato il Carico di rottura M, si osserva sul provino un restringimento localizzato della sezione. A causa di tale restringimento, lo
sforzo nominale diminuisce fino al raggiungimento dell’effettiva rottura del provino. Lo sforzo reale aumenta.
LA FATICA
La fatica è un fenomeno meccanico di progressiva degradazione di un materiale sottoposto a carichi variabili
nel tempo (in maniera regolare o casuale) che può portare alla sua rottura (cedimento a fatica o rottura per
fatica) anche se sia rimasto nel suo limite d'elasticità, cioè nonostante durante la vita utile del materiale
l'intensità massima dei carichi in questione si sia mantenuta ad un valore sensibilmente inferiore
alla tensione di rottura o di snervamento statico (in assenza di cicli di sforzo) del materiale stesso.
Storicamente scoperta e studiata come fenomeno prettamente metallurgico (quindi nell'ambito dei
materiali metallici), in seguito il termine "fatica" è stato usato anche per le altre classi di materiali, come
i materiali polimerici o i materiali ceramici. Si stima che la fatica sia il fenomeno responsabile della grande
maggioranza dei cedimenti degli organi di macchine in materiale metallico in fase di esercizio:
approssimativamente il 90% delle rotture segue i tratti caratteristici del cedimento a fatica.
I test a fatica studiano il comportamento meccanico di materiali soggetti a cicli di carico al di sotto del limite di rottura.
Resistenza a fatica: livello di carico a cui il materiale cede ad un determinato numero di cicli.
La fatica è la causa più importante di cedimento nei metalli. Per un acciaio il limite di resistenza a fatica per N=∞ (Limite di
fatica) si ottiene al 40-50% della resistenza a trazione.
Prove di fatica: Vengono eseguite su uno strumento, detto macchina di Moore (flessione rotante). Nel caso in cui lo sforzo
medio sia nullo (-σf <σ< σf, dove σf è la rottura a fatica) si determina per ogni valore di σf il numero di cicli Nf perché il
provino si rompa. La tensione è quella nel punto più sollecitato (la tensione media sulla sezione è nulla).
Esempio di generica curva di Wöhler:
Va sottolineato che i valori ottenuti tramite la curva di Wöhler sono relativi ai provini adoperati durante la
prova; per lo specifico componente meccanico, si introducono diversi coefficienti correttivi che tengono
conto di processi di lavorazione (e possibili stati tensionali residui), dimensioni, condizioni di esercizio,
intensificazione delle tensioni in corrispondenza di intagli, e altri fattori che possono influenzare la resistenza
a fatica del componente stesso.
LA VISCOSITÀ
Lo scorrimento viscoso o scorrimento plastico permanente o deformazione viscosa (creep o fluage) è la
deformazione di un materiale sottoposto a sforzo costante che si verifica nei materiali mantenuti per lunghi
periodi ad alta temperatura. Tale fenomeno è presente nei materiali viscoelastici (tra cui l'acciaio,
il calcestruzzo e le materie plastiche).
Il fenomeno duale-inverso, cioè la diminuzione nel tempo delle tensioni inizialmente create, a deformazione
costante, è detto rilassamento degli sforzi.
Lo scorrimento viscoso si manifesta al di sopra della temperatura di scorrimento (Ts), coincidente indicativamente con la
temperatura di ricristallizzazione e approssimabile, in media, alla metà della temperatura di fusione misurata in kelvin.
Si possono distinguere tre fasi principali quando il processo avviene a T > Ts e sollecitazione costante:
primo stadio (creep primario): all'applicazione del carico si ha la deformazione elasto-plastica, che aumenta con velocità
decrescente favorita dalla mobilità delle dislocazioni più favorevoli (creep logaritmico). Prevale l’incrudimento e quindi la
velocità di deformazione diminuisce nel tempo.
secondo stadio (creep secondario): si stabilisce un equilibrio tra l'incrudimento e la ricristallizzazione: la deformazione
prosegue a velocità quasi costante e bassa relativamente a quella presente nella fase successiva;
terzo stadio (creep terziario): la deformazione aumenta rapidamente, arrivando velocemente alla rottura, a causa delle
microcricche appuntite e dei microvuoti tondeggianti (nei punti di incontro di tre cristalli) e soprattutto dello scorrimento
diffusivo dei giunti dei grani (cioè i grani si allungano per diffusione di atomi nella direzione della trazione e di vacanze
nella direzione normale).
Creep primario, secondario, terziario
In caso di T < TS, lo sforzo costante induce una deformazione elastica e plastica senza che questa continui
fino a rottura: non vi è infatti abbastanza energia per muovere le dislocazioni meno favorevolmente
orientate, quindi ad un certo punto la deformazione si arresta.
CRITERI DI RESISTENZA (stato limite e coefficiente di sicurezza VEDI TECNICA; criterio di Tresca,
criterio di HuberHencky-Mises).
I criteri di resistenza dei materiali costituiscono un metodo semi-empirico per costruire il dominio elastico
degli stati tensionali ammissibili per i materiali, cioè l'intervallo di stati tensionali (dominio elastico) che i
diversi materiali possono sopportare senza intercorrere in condizioni limite di snervamento per
materiali duttili o di rottura per materiali fragili.
La verifica di resistenza ha quindi lo scopo di stabilire se lo stato tensionale dell’elemento strutturale
analizzato è tale da provocarne la rottura o lo snervamento.
Il problema fondamentale è quello di mettere in relazione i parametri critici del materiale (tensione di rottura
o di snervamento) ottenuti sperimentalmente con semplici prove monoassiali di compressione o di trazione,
con la resistenza dell’elemento soggetto ad uno stato di tensione biassiale o triassiale.
A questo scopo sono state sviluppate diverse teorie, i criteri di resistenza, basate sull’osservazione
sperimentale del meccanismo fisico con cui il materiale raggiunge lo stato limite.
Dominio elastico
sono riconducibili ad un comportamento di tipo elasto-lineare, mentre la frontiera del dominio, definita dalla condizione
f(σ) = 0
segna il limite di validità del comportamento elastico-lineare con il sopraggiungere di fenomeni fortemente non lineari
(la plasticizzazione per i materiali duttili, la rottura per i materiali fragili).
Mancando una consolidata teoria che porti alla costruzione razionale del dominio elastico dei materiali sulla base del loro
comportamento micromeccanico, tale dominio può pertanto essere costruito solo per via empirica in accordo con i risultati
sperimentali.
Nel caso particolare di materiali isotropi, la rappresentazione del dominio elastico può essere ricondotta in termini solo delle
tre tensioni principali {σI, σII, σIII}, ma non delle direzioni principali di tensione.
f(σ) = f (σI, σII, σIII) ≤ 0
I criteri di resistenza più noti ed usati sono il criterio di Tresca (della massima tensione tangenziale) e il Criterio di von
Mises (della massima energia di distorsione), con riferimento a materiali:
Si suppone che la crisi del materiale sia dovuta alla sola tensione tangenziale.
Con riferimento alle tensioni principali {σI, σII, σIII}, si disegnino sul piano di Mohr (y=τn , x=σn) tre circonferenze aventi
come diametro il valore assoluto della differenza delle tensioni principali, per ottenere le tensioni tangenziali basterà quindi
dividere per due:
La tensione tangenziale (τ) maggiore delle tre tra parentesi graffe, dovrà quindi essere posta minore o uguale della metà della
tensione normale (σ) ammissibile (ossia quella di snervamento) affinché il criterio di Tresca sia valido.
La condizione di snervamento del criterio di Tresca è data dalla:
La rappresentazione del criterio di Tresca nel piano (σI, σII) delle tensioni principali definisce un dominio di resistenza di
forma esagonale. I punti caratteristici del dominio rappresentano la tensione di snervamento (+/- σy). Se il punto
corrispondente allo stato di sollecitazione applicato cade all’interno del dominio, siamo in condizioni di sicurezza.
CRITERIO DI VON MISES (massima energia di distorsione)
Secondo tale criterio, lo snervamento del materiale viene raggiunto quando l'energia di
deformazione distorcente raggiunge un valore limite, intendendo per energia di deformazione distorcente di
un corpo l'aliquota dell'energia di deformazione elastica legata a variazione di forma (la deformazione
distorcente) ma non di volume del corpo.
Per ottenere il criterio si determina il lavoro di distorsione Ud come differenza tra il lavoro totale U e quello
che provoca una variazione di volume Uv e lo si confronta con quello relativo al caso di trazione semplice.
DEFORMATA ELASTICA DELLE TRAVI AD ASSE RETTILINEO
Equazione della linea elastica
La ricerca di spostamenti e rotazioni nelle travature può essere condotta con l'ausilio del principio dei lavori virtuali.
Nel caso delle travi inflesse è molto utilizzata, per la sua semplicità, una strada differente che porta a determinare l'intera
deformata della linea d'asse, ossia la linea elastica. Tale ricerca si basa sui risultati ottenuti nel 4° caso di Saint Venant, della
flessione composta, più precisamente sulla relazione momento flettente - curvatura:
dove è la curvatura della linea elastica, EJ è la rigidezza flessionale della trave. Si noti che, nonostante la formula sia relativa
al caso di trave prismatica (EJ = cost.) e T = cost. , tuttavia essa è utilizzata anche in presenza di taglio variabile, in quanto di
regola si prendono in considerazione le sole deformazioni flessionali rispetto alle quali, quelle prodotte dal taglio, sono
trascurabili. Nei casi in cui ciò non sia lecito, si tratta di valutare separatamente gli effetti deformativi prodotti dal taglio e
quindi di sommarli a quelli puramente flessionali. Infine si ammetterà che l’equazione precedente possa essere applicata anche
quando EJ = EJ(z) ossia quando la trave sia a sezione variabile.
Se :
è la linea elastica
Supponendo anche che siano trascurabili, rispetto a v, gli spostamenti w lungo l'asse z della trave le seguenti relazioni
forniscono l'equazione differenziale della linea elastica della trave inflessa:
Nelle precedenti equazioni si è fatto uso della notazione ( )' = .
Si noti che, con le usuali convenzioni sui segni, la curvatura ed il momento flettente M hanno sempre
segno opposto
L'integrazione dell’equazione precedente presuppone la conoscenza di M e quindi l'integrazione delle equazioni indefinite di
equilibrio ed inoltre delle condizioni al contorno che ora possono riguardare, come è noto, v e v' . Si tratta cioè di condizioni
geometriche. SI riportano alcuni semplici esempi di travi inflesse isostatiche.
In conclusione, nei casi isostatici (dove le caratteristiche della sollecitazione M e T sono note dall’equilibrio) è possibile,
partendo dai carichi p = p(z), giungere alla equazione della linea elastica v = v(z), integrando in successione e nell'ordine, l’
equazione differenziale relativa al momento
considerate le relative condizioni al contorno (statiche e cinematiche). Tutto ciò non è possibile nei casi iperstatici, nei quali,
all'aumento dei vincoli cinematici fa riscontro una diminuzione di quelli statici che perciò non consentono l’integrazione. In
questi casi occorre combinare i due problemi, quello statico e quello cinematico, giungendo così all'equazione differenziale del
4° ordine:
alla quale, come è noto, si possono associare condizioni al contorno sulla funzione v = v(z) e sulle sue derivate fino al 3°
ordine.
SOLUZIONE DI STRUTTURE IPERSTATICHE
1. METODO DELLE FORZE
Il metodo delle forze è uno dei possibili metodi per la risoluzione di strutture iperstatiche in generale e si
adatta perfettamente al caso di strutture iperstatiche composte da travi. Esso consiste primariamente nel
porre come incognite del problema alcune reazioni vincolari (di vincoli interni o esterni, talvolta azioni di
contatto in una sezione), il cui numero è pari al grado di iperstaticità della struttura in esame. Definite queste
incognite in modo opportuno, ossia senza “labilizzare” la struttura di partenza, il metodo procede, tramite
una sistematica applicazione del principio di sovrapposizione degli effetti, nella determinazione delle
equazioni che ci consentono di determinare il valore delle suddette incognite. Queste equazioni sono di
compatibilità cinematica: difatti, la scelta di rappresentare qualche grado di vincolo tramite la reazione (forza
o coppia) corrispondente, elevandola al rango di incognita, equivale alla eliminazione di alcuni vincoli
cinematici, che debbono essere ripristinati in termini di equazioni, affinché il sistema isostatico che si sta
studiando corrisponda al sistema iperstatico di partenza.
In maniera sistematica quindi, l’applicazione del metodo prevede:
a) la scelta di una struttura isostatica di riferimento e l’individuazione delle incognite iperstatiche;
b) la scrittura delle equazioni di compatibilità cinematica che ripristinino i vincoli cinematici soppressi
dalla trasformazione del vincolo cinematico in forza (reazione vincolare);
c) la risoluzione del sistema di equazioni per la determinazione delle incognite iperstatiche;
d) la sistematica applicazione del principio di sovrapposizione degli effetti per la determinazione delle
azioni di contatto sulla struttura iperstatica.
ove ε= deformazione assiale, γ= scorrimento angolare, χ= curvatura. Nel modello di Bernoulli si ipotizza che non ci siano
scorrimenti angolari, ossia γ=0 da cui
Legame costitutivo→ esprimono il legame tra deformazione e le sollecitazioni
Si assumono come incognite del problema gli spostamenti (generalizzati) dei nodi della struttura.
Conoscendo tali spostamenti è infatti possibile determinare univocamente lo stato di sollecitazione e
deformazione in ogni sezione della struttura integrando l’equazione della linea elastica per ogni trave della
struttura.
Se con Fi si indicano le forze applicate in corrispondenza dei nodi (ossia le forze che occorre applicare ai nodi
per ottenere gli spostamenti imposti ui), le equazioni risolventi si scrivono:
Fi = Ri (i = 1, ….., n)
Il sistema di n equazioni nelle n incognite ui, e hanno il significato di equazioni di equilibrio dei nodi, i quali
sono soggetti alle forze Fi e a cui le aste trasmettono le reazioni –Ri.
Per il Principio di sovrapposizione degli effetti
Ri = R0i + ∑𝑛𝑗=1 𝑘𝑖𝑗 𝑢𝑗 (i = 1, ….., n)
R0i = Reazioni di incastro perfetto, cioè quelle nella struttura con nodi fissi (u1, ……., un = 0).
kij = Reazione Ri nella struttura scarica con tutti i movimenti di nodo impediti eccetto uj=1, ovvero la rigidezza
della struttura (forza per unità di spostamento).
RIASSUNTO
1) Si assumono come incognite del problema gli spostamenti e le rotazioni della struttura
(vanno individuate quante sono, si può considerare una struttura reticolare associata, ossia
inserendo cerniere in tutti i nodi della struttura. Avrò tante rotazioni quanti sono i nodi e
spostamenti quante sono le labilità della struttura ottenute);
2) Si passa al sistema principale a nodi bloccati, inserendo ulteriori vincoli (morsetti) che
impediscano gli spostamenti nodali liberi (tutti i nodi devono essere vincolati a terra).
Ottengo una struttura con nodi rigidi (incastri) e nodi cerniera. Nei nodi rigidi ho incognite 2
spostamenti e una rotazione, mentre nella cerniera solo i 2 spostamenti (il momento è nullo).
Nel sistema principale considero tutti i carichi esterni della struttura di partenza, tranne
quelli applicati ai nodi (in quanto inefficaci a seguito dell’introduzione dei morsetti). Risolvo
il sistema considerando ogni asta doppiamente incastrata e calcolando le sollecitazioni
corrispondenti al mio spostamento o rotazione incognita (es. se una rotazione, calcolo il
momento). Costruisco il vettore R0 delle forze nodali.
3) Svincolo ad uno ad uno i vari vincoli introdotti, ottenendo sistemi in cui avrò
spostamenti/rotazioni tutti nulli, tranne quello che ho svincolato in quel sistema che
impongo pari a 1. Per ogni sistema costruisco la matrice delle rigidezze K. Assemblata tutta
la matrice della struttura, posso scrivere le reazioni come
R=Ku
4) Per il principio di sovrapposizione degli effetti 𝐹 = 𝑅𝑜 + 𝐾𝑢 da cui ricavo gli spostamenti
nodali
𝑢 = 𝑘 −1 (𝐹 − 𝑅0 )
Dove F sono le azioni esterne.
5) Calcolati gli spostamenti e le rotazioni incogniti posso calcolare le caratteristiche
delle sollecitazioni M, T e N.
LINEA DI INFLUENZA
La linea di influenza della grandezza G (spostamento, sollecitazione interna, reazione vincolare) nella sezione
S di un elemento strutturale, è un diagramma che indica con la sua ordinata generica (x) il valore della
grandezza in esame in S quando il carico unitario F=1 agisce nella sezione di ascissa x.
Mediante le linee di influenza è possibile:
valutare l’effetto prodotto in una sezione da carichi mobili di vario tipo;
individuare le posizioni dei carichi per le quali si hanno i massimi ed i minimi valori della grandezza
G cercata.
1. Il metodo diretto consiste nel costruire la linea di influenza per punti, calcolando G per diverse posizioni
del carico. Più vicini sono i punti cui si dispone il carico e più preciso è l’andamento delle linee di influenza
nella sezione considerata. Nel caso delle sollecitazioni può essere conveniente determinare dapprima le linee
di influenza delle reazioni vincolari e poi calcolare da queste le sollecitazioni nella sezione considerata.
2. Il metodo indiretto fa uso dei teoremi energetici che si basano sul principio dei lavori virtuali. Dal principio
del lavori virtuali discendono, come specializzazioni, il teorema di Betti, di Maxwell ed il teorema dei lavori
virtuali.
Il principio dei lavori virtuali è il risultato generale riferito ai corpi deformabili, il teorema dei lavori virtuali
si applica ai corpi rigidi.
Attraverso questi teoremi energetici si riconduce il calcolo delle linee di influenza alla determinazione di una particolare linea
elastica. Il vantaggio è che l’andamento qualitativo di una linea elastica, senza l’esatta determinazione dei valori, è una
operazione molto più agevole della risoluzione multipla di una struttura.
Si consideri una mensola rigida vincolata tramite un supporto elastico di rigidezza k, soggetta a carico assiale
F. L’equazione di equilibrio può essere scritta nella configurazione indeformata ovvero in quella deformata
(sono nel caso di grandi spostamenti) caratterizzata da una rotazione ϕ della trave. Nel secondo caso il
vincolo elastico reagisce con un momento proporzionale tramite k alla rotazione ϕ; in tal caso l’equazione di
equilibrio (Mstab = Minst) si scrive come:
k ϕ − F Lsinϕ = 0 (1)
Ossia
kφ
F=
L sin φ
L’equazione ammette 2 soluzioni (soluzione non unica):
ϕ=0
φ FL
=
sin φ 𝑘
Tale equazione indica che per ogni valore di ϕ esiste un valore di F che ne assicura l'equilibrio. Considerando
la geometria del sistema, appare ovvio che in ogni caso la configurazione originaria è equilibrata, ma non è
detto che questo equilibrio resti sempre stabile.
Tale valore viene definito carico critico Pcrit, e in corrispondenza di questo l'equilibrio si biforca,
rappresentando l'andamento del comportamento dell'asta una volta superata la fase critica.
L’equazione di equilibrio (1) si può anche ottenere come condizione di stazionarietà dell’energia potenziale
totale, che nel caso in esame vale:
Π (ϕ) = (1/ 2) k ϕ^2 − F L (1 − cos ϕ)
dove il primo termine rappresenta l’energia elastica del vincolo ed il secondo il potenziale dei carichi.
Imponendo la condizione di stazionarietà si ottiene:
∂Π
0= = k ϕ − F Lsin ϕ
∂ϕ
Indagando inoltre sulla derivata seconda dell’energia è possibile stabilire la qualità dell’equilibrio:
∂2Π
∂ϕ2
> 0 equilibrio instabile
∂2Π
∂ϕ2
< 0 equilibrio stabile
∂2Π
∂ϕ2
= 0 equilibrio indifferente
L’equilibrio è stabile quando a partire da una configurazione iniziale di equilibrio, perturbando tale
configurazione di equilibrio la struttura tende a ritornare nella sua posizione iniziale di equilibrio.
L’equilibrio è instabile quando perturbando la configurazione iniziale di equilibrio la struttura tende ad
allontanarsi dalla posizione iniziale di equilibrio.
L’equilibrio è indifferente quando a partire da una configurazione iniziale di equilibrio, perturbando tale
configurazione di equilibrio la struttura tende a restare nella sua configurazione perturbata.
In realtà nella maggior parte delle applicazioni tecniche è di fondamentale importanza determinare
esclusivamente il valore del carico critico ovvero del carico di biforcazione dell’equilibrio, mentre risulta
spesso poco interessante e particolarmente complesso definire tutti i percorsi di equilibrio post-critici.
L'ASTA CARICATA DI PUNTA (ASTA DI EULERO)
La formula della compressione semplice è valida solo in presenza di un solido corto o tozzo, figura A. Quando
un solido è assialmente snello o lungo tende a manifestare fenomeni di instabilità alla flessione laterale
figura B, questo è dovuto a vari motivi, il carico non perfettamente assiale, la non perfetta isotropia del
materiale, ecc..
(Una trave di elevata lunghezza, soggetta a compressione, deve essere dimensionata a carico di punta. Una trave corta, invece,
si rompe per schiacciamento quando la tensione supera il carico di sicurezza a compressione.)
Per evitare questo fenomeno, occorre prevedere correttamente i carichi di progetto e le azioni sollecitanti,
modificandone eventualmente i parametri. Ad esempio:
• riducendo la compressione;
• cercando di diminuire l'eccentricità del carico;
• aumentando l'area della sezione;
• riducendo la lunghezza dell'oggetto;
• aggiungendo vincoli con altre aste vicine oppure con il suolo;
• riducendo la lunghezza libera di inflessione della trave.
Un’asta caricata all’estremità da un carico tende a flettersi dal lato dove è minimo il momento d’inerzia
principale. La lunghezza libera di inflessione è in funzione di come è vincolata l'asta all'estremità.
Eulero determinò il carico critico capace di generare una flessione dell’asta caricata di punta
Il carico P che può essere applicato in asse ad un elemento strutturale e snello deve essere minore del
valore critico, per evitare fenomeni di instabilità.
Dal carico critico si si ottiene la tensione unitaria critica, dividendo il carico critico per l’area:
Il rapporto tra Lunghezza libera di inflessione ed il minore raggio d’inerzia della sezione trasversale viene
chiamato grado di snellezza λ:
Sostituendo
,
chiamata anche seconda forma dell’equazione di Eulero.
Affinché la formula di Eulero sia valida è necessario che l’instabilità si verifichi nel campo di deformazione
elastica, ovvero nell’ambito di validità della legge di Hooke.
Pertanto la tensione critica non deve superare la tensione al limiti di proporzionalità σp (tensione di
snervamento):
Da cui si ricava:
Osservazioni:
Il valore del carico critico non dipende dalla resistenza del materiale, ma dalla rigidezza e dalla lunghezza dell’asta.
J = Jmin, lo svergolamento avviene intorno asse debole.
Eccentricità del carico e di difetti
A differenza di quanto fatto in precedenza si studia ora il caso di aste imperfette, cioè aste che presentano:
1. una eccentricità iniziale
oppure
2. una deformata iniziale.
Al contrario delle aste perfette già viste, qui risulta univocamente identificabile la deformata, in quanto l’imperfezione iniziale
risulta di “innesco” alla successiva deformazione sotto carico, in altri termini non dobbiamo più parlare di carico di
biforcazione.
Caso 1.
Dal grafico si osserva che si tratta di instabilità di seconda specie: Per un carico tendente a quello euleriano gli spostamenti
divergono ad infinito, quindi non ho più una instabilità per biforcazione.
Caso 2.
Anche in questo ci si presenta una instabilità di seconda specie, tipica delle aste reali.
INSTABILITÀ INDOTTA DA DISTORSIONE TERMICA A FARFALLA: non fatta perché non decifrato l’argomento.
METODO OMEGA
1. Tensioni ammissibili
ll metodo omega (metodo ω) è una metodologia di calcolo strutturale (alle tensioni ammissibili) semplificata usata per
determinare la stabilità di una struttura snella.
Risulta valido per qualsiasi valore di snellezza.
Con l’aumentare la lunghezza del pilastro, ovvero la snellezza, deve diminuire progressivamente il carico P per non incombere
in fenomeni di instabilità. In altri termini deve essere ridotta la tensione di sicurezza del materiale, di un coefficiente di
riduzione chiamato w oppure coefficiente di amplificazione del carico.
La formula diviene
I valori di ω sono riportati in apposite tabelle in funzione dei diversi valori di snellezza e del materiale.