Sei sulla pagina 1di 60

MECCANICA DELLE STRUTTURE

Corso di Laurea Magistrale in Yacht Design


Appunti delle lezioni - a.a.2015-2016

Roberta Sburlati, PhD


DICCA
Università degli Studi di Genova
Scuola Politecnica
Via Montallegro 1, 16145 Genova
roberta.sburlati@unige.it

1
Capitolo 1. Teoria lineare dell’elasticità

Premessa
Il corpo continuo è un modello matematico adatto a descrivere sistemi fisici, nei casi in cui la
dimensione dei fenomeni osservati sia tale che questi non siano meccanicamente affetti dalla struttura
molecolare della materia; si assume quindi che la materia sia distribuita in modo uniforme nello
spazio che il corpo occupa.

In modo più formale, il corpo continuo è una porzione di materia i cui punti, detti punti materiali,
possono essere identificati con i punti geometrici di una regione regolare dello spazio euclideo
tridimensionale, la cui posizione può essere descritta usando, ad esempio, un sistema di coordinate
cartesiane ortogonali.

Il modello di corpo continuo più comunemente utilizzato è il cosiddetto continuo di Cauchy, che
risale alla prima metà del '800 ed è il modello di continuo più importante sia da un punto di vista
storico che applicativo.
Rappresenta inoltre uno dei punti-cardine su cui si articola la cosiddetta "modellazione multi-scala
dei materiali", secondo la quale le proprietà di un materiale sono descritte ricorrendo a modelli
meccanici teorici diversi, definiti per operare a scale diverse: mentre alla nanoscala opera la
meccanica quantistica, alla micro e macro-scala opera il continuo.

Lo studio della meccanica del continuo si basa sulla caratterizzazione cinematica e statica del corpo
continuo, individuando quantità ritenute rilevanti a descrivere la deformabilità e l’equilibrio del solido
soggetto ad azioni di carichi e vincoli. Il modello è completamente formulato con l’introduzione delle
equazioni di legame costitutivo che caratterizzano il comportamento di specifici materiali ideali: il
solido perfettamente elastico e il fluido viscoso sono esempi di classi di materiali.

La meccanica del continuo tratta quantità, relative a corpi solidi e fluidi, che non dipendono dal
sistema di coordinate in cui vengono osservate. Queste quantità sono pertanto rappresentate attraverso
tensori (tipicamente del secondo ordine), ossia oggetti matematici indipendenti dal sistema di
coordinate utilizzato ma che, a sistema di coordinate fissato, sono espressi in forma di matrici.

Dal punto di vista matematico, le equazioni fondamentali della meccanica del continuo possono
essere ricavate in due formulazioni diverse:
- forma integrale o globale, applicando dei principi di base ad una porzione finita di volume del
corpo;
- forma differenziale o di campo, ricavando le equazioni di campo su elementi di volumi
infinitesimi.

2
La Meccanica dei Solidi è un settore della meccanica dei continui, che ha lo scopo di definire un
modello meccanico in grado di descrivere la deformazione e l’equilibrio di un corpo solido elastico
soggetto a un assegnato sistema di forze e vincoli. In particolare, lo studio si articola nei seguenti
argomenti:

1.1. Statica o analisi della tensione


1.2. Cinematica o analisi della deformazione
1.3. Legame costitutivo
1.4. Formulazione del problema elastico

1.1 Statica del corpo deformabile


In figura 1.1 è rappresentato un corpo continuo (inteso come insieme di punti materiali) che a ogni
istante occupa una regione B dello spazio euclideo tridimensionale. L’interazione meccanica di un
corpo con il mondo esterno si descrive introducendo la nozione di sistema di forze. Le forze che
agiscono su un solido sono esprimibili con funzioni vettoriali. La posizione di un generico punto
materiale P del corpo è descritta introducendo un sistema di riferimento cartesiano ortogonale (0; x1,
x2, x3) come in Figura 1.1. Denotiamo con x il vettore che partendo dall’origine 0 degli assi arriva al
punto P, ossia x=P-0.

Figura 1.1 Corpo continuo soggetto a forze di volume b e di superficie s.

1.1.1 Azioni su un corpo continuo


Le forze che l’ambiente esterno esercita su un corpo, sono di due tipi: forze di volume e forze di
superficie.

Forze di volume
Le forze di volume sono azioni esercitate a distanza dall’ambiente su ciascun elemento di volume di
cui si può pensare di suddividere il corpo continuo e insorgono quando il corpo è immerso in un
campo di forze, quali quelle gravitazionali.
Consideriamo un elemento di volume nell’intorno del punto P interno al corpo, la cui posizione è
individuata dal vettore x=P-0 e indichiamo con ∆F la forza esercitata dall’ambiente su tale volume;
si definisce densità di forza di volume agente nel punto x il seguente limite:

∆𝑭
𝒃(𝒙) = lim
∆𝑉→0 ∆𝑉

3
supponendo che tale limite esista e il volume tenda a zero contraendosi intorno al punto P (spesso la
parola densità viene sottintesa).
La forza di volume 𝒃(𝒙) ha quindi le dimensioni di una forza su unità di volume [FL -3]; la forza
esercitata su un elemento di volume infinitesimo ha quindi la seguente forma:

𝑑𝑭 = 𝒃 𝑑𝑉.

Forze di superficie
Le forze di superficie sono azioni esercitate per contatto sul solido attraverso elementi di area.
Consideriamo un piccolo elemento ∆𝐴 della supeficie 𝜕𝐵 del corpo centrato attorno al punto x, e
indichiamo con ∆𝑭 la forza complessiva esercitata dall’esterno su tale area.
Si definisce densita’ di forza di contatto esterna s(x), il limite:

∆𝑭
𝒔(𝒙) = lim
∆𝐴→0 ∆𝐴

Supponiamo che tale limite esista e la superficie ∆𝐴 tenda a zero contraendosi intorno al punto x.
Anche in questo caso la parola densita’ viene sottintesa e la “ forza di contatto” ha le dimensioni di
una forza su unità di superficie (F L-2).
La forza di superficie su un’area infinitesima risulta:

𝑑𝑭 = 𝒔 𝑑𝐴

Se ∆𝐴 denota un piccolo elemento di area appartenente alla superficie esterna S nell’intorno del punto
x, indichiamo con ∆𝑴 rispettivamente il momento risultante scambiato attraverso tale area con
l’esterno. Si definisce momento risultante esterno m(x) nel punto x, il limite

∆𝑴
𝒎(𝒙, 𝑆) = lim
∆𝐴→0 ∆𝐴

Questa analisi può essere estesa per studiare le forze di contatto interne indicate con t(x,S). Si tratta
di forze esercitate punto per punto tra le varie parti di un corpo attraverso una superficie ideale S in
comune che divide il corpo in due porzioni denominate porzione B1 e porzione B2.

Consideriamo quindi un piccolo elemento di area ∆𝐴 nell’intorno del punto x, appartenente alla
superficie interna ideale S e indichiamo con ∆𝑭 la forza risultante scambiata attraverso tale area tra
le due parti del corpo. Si definisce forza di contatto interna 𝒕(𝒙, 𝑆) nel punto x, il limite

∆𝑭
𝒕(𝒙, 𝑆) = lim
∆𝐴→0 ∆𝐴

A livello infinitesimo si ha:


𝑑𝑭 = 𝒕 𝑑𝐴

Analoga trattazione puo’ essere svolta per i momenti interni. Tuttavia, l’introduzione del concetto di
momento interno, è significativo solo nel caso di modello di continuo più complesso di quello studiato
4
nella presente trattazione per cui non viene ora introdotto al fine di rendere più snella l’esposizione
(modello di continuo di Cosserat).
L’idea che le azioni esterne inducano in un corpo uno stato di azioni interne ha un ruolo centrale
nella meccanica dei continui e la modellazione di tali azioni interne rappresenta un punto delicato,
oggetto dei paragrafi che seguono.
La modellazione delle azioni interne si avvale del contributo di Cauchy che fornisce una
caratterizzazione qualitativa di tali azioni attraverso l’introduzione di due principi: il principio
di separazione di Eulero e il principio della tensione di Cauchy.
La caratterizzazione quantitativa di tali azioni avviene con il Teorema di Cauchy, attraverso
l’introduzione del concetto di tensione in un punto interno del solido, la definizione del tensore
delle tensioni (simmetrico) e la determinazione delle equazioni di equilibrio locali.

1.1.2 Principio della tensione di Cauchy e principio di separazione di Eulero


Il modello di caratterizzazione delle forze di contatto interne di Cauchy (detto Principio della tensione
di Cauchy) è particolarmente semplice perchè assume che la dipendenza da S dell’azione interna
𝒕(𝒙, 𝑆) in x si riduca alla dipendenza dalla posizione x e dal versore della normale n(x) alla superficie
S passante per x. Si osservi che tale vettore rappresentativo dell’azione interna in x è lo stesso per
tutte le superfici S passanti per il punto x, che in tal punto hanno la stessa normale (teoria di prima
approssimazione). In forma più compatta possiamo indicare

𝒕(𝒙, 𝒏(𝒙)) = 𝒕(𝒏)

Al vettore 𝒕(𝒏) si dà il nome di vettore tensione relativo alla giacitura di normale n nel punto x. Il
vettore tensione ha le dimensioni di una forza per unità di superficie (pressione) e dipende dalla
posizione e dalla normale passante per x alla superficie scelta per sezionare il solido.
La nozione di stato di tensione in un punto interno nasce da considerazioni di equilibrio tra azioni e
reazioni che interessano due parti dello stesso corpo pensato idelmente separato da una superficie.
Si consideri un corpo B in equilibrio sotto assegnate azioni esterne e si divida il volume da esso
occupato in due parti B1 e B2 mediante una superficie ideale S e indichiamo con n il versore normale
ad S passante in x (Fig.1.2).

Figura 1.2 Suddivisione di B in due porzioni separate dalla superficie ideale S.

Il versore n viene orientato per convenzione verso l’esterno della porzione di solido rispetto al quale
si esamina l’equilibrio. In seguito alla suddivisione, ciascuna delle due parti non risulterà più in
equilibrio perché, prima della suddivione, attraverso la superficie interna S venivano trasmesse delle
azioni che la separazione ideale delle due parti ha interrotto.
Il principio di separazione di Eulero assume l’esistenza di un campo di azioni interne superficiali di
contatto che le due parti si scambiano attraverso S: 𝒕(𝒙, 𝒏(𝒙)) sulla superficie pensata appartenente

5
alla parte B1, e 𝒕(𝒙, −𝒏(𝒙)) sulla superficie S pensata appartenente alla parte B2; azioni che sono in
grado di ripristinare l’equilibrio delle singole parti.

Figura 1.3 Parti del solido separate dalla superficie ideale S

Per il principio di azione e reazione applicato alle due parti, possiamo dimostrare che vale:

𝒕(𝒙, −𝒏(𝒙)) = −𝒕(𝒙, 𝒏(𝒙)).


Per dimostrare tale proprietà scriviamo gli assiomi di Eulero, ossia il bilancio delle forze e il bilancio
dei momenti rispetto al polo 0 per l’intero corpo 𝐵 di frontiera 𝜕𝐵, in stato di quiete e soggetto solo
ad azioni di forze sul contorno e forze di volume:
∫ 𝒃 𝑑𝑉 + ∫ 𝒔 𝑑𝐴 = 0
𝐵 𝜕𝐵

∫ 𝒙 ∧ 𝒃 𝑑𝑉 + ∫ 𝒙 ∧ 𝒔 𝑑𝐴 = 0
𝐵 𝜕𝐵
Scriviamo gli stessi assiomi per ogni porzione del corpo pensato suddiviso dalla superficie S,
esplicitando la dipendenza funzionale delle quantità coinvolte e tenendo presente le azioni sulla
superficie S. Si ha:
∫ 𝒃(𝒙) 𝑑𝑉 + ∫ 𝒔(𝒙) 𝑑𝐴 + ∫ 𝒕(𝒙, 𝒏(𝒙)) 𝑑𝐴 = 0
𝐵1 𝜕𝐵1 𝑆

∫ 𝒙 ∧ 𝒃(𝒙) 𝑑𝑉 + ∫ 𝒙 ∧ 𝒔(𝒙) 𝑑𝐴 + ∫ 𝒙 ∧ 𝒕(𝒙, 𝒏(𝒙)) 𝑑𝐴 = 0


𝐵1 𝜕𝐵1 𝑆
e, analogamente sulla porzione B2.
Sommando le equazioni valide per ogni porzione e, tenendo presente la validità delle equazioni per
l’intero solido, si ha:
∫ (𝒕(𝒙, 𝒏(𝒙)) + 𝒕(𝒙, −𝒏(𝒙))) 𝑑𝐴 = 0
𝑆
Poiché tali equazioni devono essere valide per ogni porzione di volume delimitata dalla superficie S,
dovrà annullarsi l’integrando e quindi

𝒕(𝒙, −𝒏(𝒙)) = −𝒕(𝒙, 𝒏(𝒙))

per cui si dimostra la validità di quanto sopra affermato.

6
1.1.3 Le componenti del vettore tensione
Per descrivere il vettore tensione in componenti possiamo procedere considerando un cubo
elementare nell’intorno del punto P, con le facce ortogonali agli assi x1,x2,x3 di un sistema di
riferimento cartesiano in cui e1, e2, e3, sono i versori degli assi le cui direzioni coincidono con le
normali alle facce del cubo (Figura 1.4).
I vettori tensione che agiscono sulle facce del cubo elementare, rispettivamente di normali parallele
agli assi x1, x2 e x3 , possono essere scritti sui versori base ej (j=1,2,3) e assumono quindi la forma

(𝒆1) (𝒆1) (𝒆1)


𝒕(𝒆1 ) = 𝑡1 𝒆1 + 𝑡2 𝒆2 + 𝑡3 𝒆3
(𝒆 ) (𝒆 ) (𝒆2)
𝒕(𝒆2 ) = 𝑡1 2 𝒆1 + 𝑡2 2 𝒆2 + 𝑡3 𝒆3
(𝒆 ) (𝒆 ) (𝒆 )
𝒕(𝒆3 ) = 𝑡1 3 𝒆1 + 𝑡2 3 𝒆2 + 𝑡3 3 𝒆3

Oppure, più sinteticamente


3
(𝒆𝑗 ) (𝒆𝑗 ) (𝒆𝑗)
𝒕 = ∑ 𝑡𝑖 𝒆𝑖 = 𝑡𝑖 𝒆𝑖
𝑖=1
in cui abbiamo usato la cosiddetta notazione della sommatoria (che useremo anche nel seguito), ossia:
due indici ripetuti (in questo caso i) si intendono sommati.
I vettori tensione sulle tre giaciture possono anche essere scritti nella forma:

(𝒆1) (𝒆2 ) (𝒆3)


𝑡1 𝑡1 𝑡1
𝒕(𝒆1 ) = [𝑡2(𝒆1) ] 𝒕(𝒆2 ) = [𝑡2(𝒆2 ) ] 𝒕(𝒆3 ) = [𝑡2(𝒆3) ]
(𝒆1) (𝒆2 ) (𝒆3)
𝑡3 𝑡3 𝑡3

(𝒆𝑗)
Introduciamo ora la seguente notazione: poniamo 𝑡𝑖 ≡ σ𝑗𝑖 . Il termine σ𝑗𝑖 indica la componente del
vettore tensione 𝒕(𝒆𝑗 ) relativo alla giacitura di normale parallela all’asse xj valutata lungo la
direzione dell’asse xi; in altri termini, il primo indice si riferisce alla normale alla giacitura su cui si
esplica la tensione, mentre il secondo indice si riferisce alla direzione coordinata cui la componente
di tensione è parallela. In termini espliciti si ha

(𝒆1) (𝒆2) (𝒆3)


𝑡1 σ11 𝑡1 σ21 𝑡1 σ31
(𝒆1) (𝒆2)
𝒕 (𝒆1 )
= [𝑡2 ] = 𝒕1 = [σ12 ] 𝒕 (𝒆2 )
= [𝑡2 ] = 𝒕2 = [σ22 ] 𝒕 (𝒆3 )
= [𝑡2(𝒆3) ] = 𝒕3 = [σ32 ]
(𝒆 ) σ13 (𝒆 ) σ23 (𝒆 ) σ33
𝑡3 1 𝑡3 2 𝑡3 3

Le nove componenti di questi vettori sono riportate in Figura 1.4 in cui sono indicate tutte le quantità
positive concordi agli assi coordinati.
Le componenti a indici uguali rappresentano le componenti del vettore tensione in direzione normale
alla facce e per questo motivo sono dette componenti in direzione normale o più semplicemente
tensioni normali.

7
Figura 1.4 Cubo elementare nell’intorno del punto P

Le componenti a indici misti rappresentano delle azioni radenti, ossia appartenenti al piano della
giacitura, e per questo motivo sono dette componenti della tensione in direzione tangenziale lungo le
due direzioni appartenenti alla giacitura e sono semplicemente chiamate tensioni tangenziali.
Una componente di tensione è positiva quando la direzione del vettore è nella direzione positiva degli
assi coordinati; tensioni normali positive sono usualmente dette tensioni di trazione e componenti
normali negative sono dette tensioni di compressione.

1.1.4 Il tensore delle tensioni e le equazioni indefinite di equilibrio


In questa sezione introduciamo un teorema fondamentale della meccanica dei solidi deformabili che
fornisce una caratterizzazione quantitativa della tensione in ogni punto di un solido (forma locale
dello stato di tensione), attraverso il Teorema di Cauchy-Poisson.
Teorema di Cauchy-Poisson
Il teorema si sviluppa in tre parti:
1) Esistenza del tensore delle tensioni o tensore di Cauchy
2) Condizione di reciprocità delle tensioni tangenziali
3) Equazioni indefinite di equilibrio
Enunciato:
Condizione necessaria e sufficiente affinché un solido B sia in equilibrio sotto l’azione delle forze di
volume b e di superficie s, ossia che siano verificati gli assiomi di Eulero per qualsiasi parte del corpo,
è che esista un tensore (x), detto tensore delle tensioni o tensore di Cauchy, in modo tale che la
matrice σ𝑗𝑖 rappresentativa delle sue componenti, verifichi le seguenti condizioni:

1) 𝑡𝑖 (𝒏) = σ𝑗𝑖 𝑛𝑗 (formula della tensione di Cauchy)

8
L’assunzione che il vettore tensione dipenda dalla normale alla giacitura su cui agisce consente
di esprimere la tensione in un punto di un solido rispetto a una giacitura generica di normale n
attraverso la conoscenza di tre vettori tensione relativi a tre sezioni tra loro ortogonali che sono le
componenti del tensore della tensione. In altri termini la dipendenza del vettore tensione dalla
normale è di tipo lineare (lemma di Cauchy).

2) σ𝑖𝑗 = σ𝑗𝑖 (condizione di reciprocità delle tensioni tangenziali)


Le tre equazioni di equilibrio alla rotazione consentono di dimostrare che la matrice delle tensioni
è simmetrica; questa proprietà di simmetria è detta anche condizione di reciprocità delle tensioni
tangenziali;

3) σ𝑖𝑗,𝑗 + 𝑏𝑖 = 0 valide in B (equazioni di equilibrio locali in un punto del solido)


σ𝑖𝑗 𝑛𝑗 = 𝑠𝑖 valide in 𝜕𝐵
Le tre equazioni di equilibrio alla traslazione lungo gli assi coordinati consentono di stabilire lo
stato di equilibrio locale nell’intorno del punto attraverso le equazioni indefinite di equilibrio,
valide in punti interni del continuo. L’equilibrio in punti sulla frontiera in cui sono assegnate le
forze è garantito attraverso l’applicazione della formula della tensione di Cauchy.

Per dimostrare le tre parti del teorema usiamo due figure solide elementari: un tetraedro (per questo
motivo a volte questa parte del teorema è detto teorema del tetraedro) e un cubo (Figura 1.5).

Figura 1.5 Figure solide elementari nell’intorno del punto P


Dimostrazione.
1) Esistenza del tensore delle tensioni o tensore di Cauchy
Si consideri un tetraedro infinitesimo elementare all’interno del corpo B con il vertice nel generico
punto P e spigoli paralleli agli assi cartesiani. Isoliamo idealmente tale solido con tre piani paralleli
ai piani coordinati e con un quarto piano avente per normale n. Se indichiamo con dAj l’area della
faccia del tetraedro avente come normale il versore –ej (j=1,2,3), dA l’area della faccia inclinata
distante dh da P, si ha che l’area dAj è la proiezione dell’area dA sul piano ortogonale all’asse xj.

Figura 1.6 Tetraedro di Cauchy nell’intorno del punto P


9
Tale condizione si scrive nella forma:

𝑑𝐴𝑗 = 𝑛𝑗 𝑑𝐴

Per dimostrare tale relazione scriviamo l’espressione precedente in componenti:

𝑑𝐴1 = 𝑛1 𝑑𝐴
𝑑𝐴2 = 𝑛2 𝑑𝐴
𝑑𝐴3 = 𝑛3 𝑑𝐴

𝑑𝑥2 𝑑𝑥3 𝑑𝑥3 𝑑𝑥1 𝑑𝑥1 𝑑𝑥2


𝑑𝐴1 = , 𝑑𝐴2 = , 𝑑𝐴3 =
2 2 2

Ricordiamo che, dati due vettori a e b il modulo del loro prodotto vettoriale è due volte l’area del
triangolo compreso tra i due vettori (h indica l’altezza del triangolo).

|𝒂⋀𝒃| = |𝒂||𝒃|𝑠𝑖𝑛𝜃 = 𝑎ℎ = 2𝐴

𝒂⋀𝒃 = |𝒂||𝒃|𝑠𝑖𝑛𝜃 = 2𝐴 𝒏

Consideriamo quindi il tetraedro e individuiamo le coordinate dei sui vertici:

𝑆 = (𝑑𝑥1 , 0,0) 𝑄 = (0, 𝑑𝑥2 , 0) 𝑅 = (0,0, 𝑑𝑥3 ).

Per calcolare l’area dA posso calcolare il modulo del seguente prodotto vettoriale:

|(𝑄 − 𝑆)⋀(𝑅 − 𝑆)| = 2𝑑𝐴


Il prodotto vettoriale mi fornisce un vettore normale al piano inclinato del tetraedro:

(𝑄 − 𝑆)⋀(𝑅 − 𝑆) = 2𝑑𝐴 𝒏

le cui componenti sono proprio legate alle aree con le normali parallele ai piani inclinati:

𝒆1 𝒆2 𝒆3
(𝑄 − 𝑆)⋀(𝑅 − 𝑆) = [−𝑑𝑥1 𝑑𝑥2 0 ] = (𝑑𝑥2 𝑑𝑥3 )𝒆1 − (−𝑑𝑥1 𝑑𝑥3 )𝒆2 + (𝑑𝑥1 𝑑𝑥2 )𝒆3 =
−𝑑𝑥1 0 𝑑𝑥3
= 2𝑑𝐴1 𝒆1 + 2𝑑𝐴2 𝒆2 + 2𝑑𝐴3 𝒆3 .

→ 𝑑𝐴 𝒏 = 𝑑𝐴1 𝒆1 + 𝑑𝐴2 𝒆2 + 𝑑𝐴3 𝒆3

Abbiamo quindi dimostrato le relazioni:


𝑑𝐴1 = 𝑛1 𝑑𝐴
𝑑𝐴2 = 𝑛2 𝑑𝐴
𝑑𝐴3 = 𝑛3 𝑑𝐴
10
Per valutare l’equilibrio del tetraedro così individuato, si dovranno considerare le forze di contatto
interne (in media) scambiate attraverso le superfici del tetraedro e la forza di volume agente sul
tetraedro e le forze di volume.
Le tre equazioni di equilibrio assumono la seguente forma:
1
𝑡𝑖 (𝒏) 𝑑𝐴 − 𝑡𝑖 (𝒆𝑗 ) 𝑑𝐴𝑗 + 𝑏𝑖 𝑑𝐴 𝑑ℎ = 0
3
e ancora
1
𝑡𝑖 (𝒏) 𝑑𝐴 − 𝑡𝑖 (𝒆𝑗 ) 𝑛𝑗 𝑑𝐴 + 𝑏𝑖 3 𝑑𝐴 𝑑ℎ = 0.

Dividendo per dA e facendo il limite per dh che tende a zero, si ottiene:

𝑡𝑖 (𝒏) = 𝑡𝑖 (𝒆𝑗 ) 𝑛𝑗
In componenti
(𝒏)
𝑡1 = 𝑡1 (𝒆1 ) 𝑛1 + 𝑡1 (𝒆2 ) 𝑛2 + 𝑡1 (𝒆3 ) 𝑛3
(𝒏)
𝑡2 = 𝑡2 (𝒆1 ) 𝑛1 + 𝑡2 (𝒆2 ) 𝑛2 + 𝑡2 (𝒆3 ) 𝑛3
(𝒏)
𝑡3 = 𝑡3 (𝒆1 ) 𝑛1 + 𝑡3 (𝒆2 ) 𝑛2 + 𝑡3 (𝒆3 ) 𝑛3

(𝒆𝑗)
e, ricordando la posizione 𝑡𝑖 ≡ σ𝑗𝑖 si ottiene

𝑡𝑖 (𝒏) = 𝜎𝑗𝑖 𝑛𝑗

detta formula della tensione di Cauchy.


Tale formula, scritta in componenti assume la forma

(𝒏)
𝑡1 = σ11 𝑛1 + σ21 𝑛2 + σ31 𝑛3
(𝒏)
𝑡2 = σ12 𝑛1 + σ22 𝑛2 + σ32 𝑛3
(𝒏)
𝑡3 = σ13 𝑛1 + σ23 𝑛2 + σ33 𝑛3
e in forma matriciale
(𝒏)
𝑡1 σ11 σ21 σ31 𝑛1
[𝑡2(𝒏) ] = [σ12 σ22 σ32 ] 𝑛
[ 2]
(𝒏) σ13 σ23 σ33 𝑛3
𝑡3
Dimostriamo ora che
σ11 σ12 σ13
[σ𝑖𝑗 ] = [σ21 σ22 σ23 ]
σ31 σ32 σ33

é la rappresentazione matriciale, sulla base e1, e2, e3 utilizzata, del cosiddetto tensore della tensione
di Cauchy, o tensore di Cauchy.
Si definisce tensore del secondo ordine (a due indici) un operatore lineare che agisce su vettori per dare vettori; una volta
fissata la base del sistema di riferimento prescelto il tensore è descritto, nelle sue componenti, da una matrice. Per
esemplificare potremmo dire che è la differenza che c’è tra un vettore (un segmento orientato nello spazio,
indipendentemente dal suo sistema di riferimento) e la n-pla di numeri che si usano per descriverlo in un dato sistema di
riferimento.

11
Tensore delle tensioni e legge di trasformazione delle sue componenti
Per dimostrare che le quantità σ𝑗𝑖 sono le componenti di un tensore del secondo ordine 𝛔 noto come
tensore delle tensioni, occorre prendere in considerazione la legge di trasformazione delle componenti
del vettore tensione relativo ad una giacitura n, da un sistema di coordinate (𝑃; 𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 ) di
base 𝒆1 , 𝒆2 , 𝒆3 a un altro sistema di coordinate (𝑃; 𝑥′1 , 𝑥′2 , 𝑥′3 ) di base 𝒆′1 , 𝒆′2 , 𝒆′3 ottenuto dal
primo tramite una rotazione degli assi.

Il vettore tensione nel punto P del solido può essere scritto sui due sistemi di coordinate come segue

(𝒏)
𝒕(𝒏) = 𝑡𝑖 𝒆𝑖 = 𝑡𝑖′(𝒏) 𝒆′𝑖

o anche, ricordando la formula della tensione


di Cauchy

𝒕(𝒏) = σ𝑗𝑖 𝑛𝑗 𝒆𝑖 = σ𝑗𝑖 ′𝑛𝑗 ′𝒆′𝑖

Osserviamo che il vettore n che determina la giacitura nel secondo termine dell’equazione è stato
scritto attraverso le sue componenti 𝑛𝑖 sulla base 𝒆𝑖 e attraverso le sue componente 𝑛𝑖 ′sulla base 𝒆′𝑖 .
Consideriamo quindi un cambio di base 𝒆𝑗 → 𝒆′𝑗 descritto attraverso l’uso di una matrice 𝑄𝑖𝑗 di
rotazione:
𝒆′𝑖 = 𝑄𝑖𝑗 𝒆𝑗

La matrice Q, essendo di rotazione, soddisfa l’equazione

𝑸𝑸𝑇 = 𝑰
ossia,
−1
𝑄𝑖𝑗 = 𝑄𝑗𝑖 .
La legge di trasformazione per le componenti di un vettore generico v sulle due basi è

𝒗 = 𝑣𝑖 𝒆𝑖 = 𝑣𝑖′ 𝒆′𝑖 = 𝑣𝑖′ 𝑄𝑖𝑗 𝒆𝑗

e, prendendo la componente j-ma otteniamo la legge di trasformazione delle componenti di un vettore


al cambio di base

𝑣𝑗 = 𝑣𝑖′ 𝑄𝑖𝑗 oppure la relazione inversa 𝑣𝑖′ = 𝑣𝑗 𝑄𝑗𝑖

ricordando che 𝑄𝑖𝑗−1 = 𝑄𝑗𝑖 .


Nell’equazione
𝒆′𝑖 = 𝑄𝑖𝑗 𝒆𝑗

la componente j-ma di 𝒆′𝑖 , si ottiene attraverso il prodotto scalare

12
𝒆′𝑖 ∙ 𝒆𝑗 = 𝑄𝑖𝑗 = cos( 𝑥 ′ 𝑖 , 𝑥𝑗 )

Questa relazione mostra perche’ i termini della matrice 𝑄𝑖𝑗 sono i coseni degli angoli formati tra
gli assi 𝑥′𝑖 e gli assi 𝑥𝑗 (detti anche coseni direttori).

𝑄11 𝑄12 𝑄13


𝑄
𝑄𝑖𝑗 = cos (𝑥′𝑖 , 𝑥𝑗 ) = [ 21 𝑄22 𝑄23 ]
𝑄31 𝑄32 𝑄33

𝑄𝑖𝑗 = cos (𝑥′𝑖 , 𝑥𝑗 ) 𝑥1 𝑥2 𝑥3


𝑥′1 𝑄11 𝑄12 𝑄13
𝑥′2 𝑄21 𝑄22 𝑄23
𝑥′3 𝑄31 𝑄32 𝑄33

per convenienza rappresentati anche nella tabella di conversione sopra riportata.

Per dimostrare la legge di trasformazione di σ𝑗𝑖 , al cambio di base, teniamo presente tale matrice Q e
riscriviamo il vettore tensione su una giacitura generica di normale n in termini delle componenti
valutate nei due sistemi di riferimento (formula di Cauchy):

σ𝑗𝑖 𝑛𝑗 𝒆𝑖 = σ𝑗𝑖 ′𝑛𝑗 ′𝒆′𝑖

E, ricordando (cambiando per comodità nome agli indici sommati) le relative leggi di trasformazione

𝒆′𝑖 = 𝑄𝑖𝑟 𝒆𝑟 𝑛𝑗′ = 𝑛𝑠 𝑄𝑗𝑠

Si ha:
σ𝑗𝑖 𝑛𝑗 𝒆𝑖 = σ𝑗𝑖 ′𝑛𝑠 𝑄𝑗𝑠 𝑄𝑖𝑟 𝒆𝑟

e, ridenominando gli indici sommati a primo membro, possiamo scrivere

σ𝑠𝑟 𝑛𝑠 𝒆𝑟 = (𝑄𝑗𝑠 𝑄𝑖𝑟 σ𝑗𝑖 ′)𝑛𝑠 𝒆𝑟

Portando a primo membro e raccogliendo in modo opportuno, otteniamo

(σ𝑠𝑟 − 𝑄𝑗𝑠 𝑄𝑖𝑟 σ𝑗𝑖 ′)𝑛𝑠 𝒆𝑟 = 0


Siccome tale relazione vale per qualsiasi componente r-ma e qualsiasi 𝑛𝑠 , otteniamo la legge di
trasformazione
σ𝑠𝑟 = 𝑄𝑗𝑠 𝑄𝑖𝑟 σ𝑗𝑖′

Tale espressione si può anche scrivere come

13
𝑇 ′
σ𝑠𝑟 = 𝑄𝑠𝑗 σ𝑗𝑖 𝑄𝑖𝑟
La relazione inversa risulta

𝑇
σ′𝑠𝑟 = 𝑄𝑠𝑗 σ𝑗𝑖 𝑄𝑟𝑖 = 𝑄𝑠𝑗 σ𝑗𝑖 𝑄𝑖𝑟 .

Questa equazione rappresenta la corretta legge di trasformazione delle componenti di un tensore al


cambio di base e abbiamo così dimostrato che le quantità σ𝑗𝑖 sono le componenti di un tensore del
secondo ordine 𝛔 , detto appunto tensore delle tensioni.
Questa legge di trasformazione, in notazione matriciale, può essere scritta come

σ′11 σ′12 σ′13 𝑄11 𝑄12 𝑄13 σ11 σ12 σ13 𝑄11 𝑄21 𝑄31
[σ′21 σ′22 σ′23 ] = [𝑄21 𝑄22 𝑄23 ] [σ21 σ22 σ23 ] [𝑄12 𝑄22 𝑄32 ]
σ′31 σ′32 σ′33 𝑄31 𝑄32 𝑄33 σ31 σ32 σ33 𝑄13 𝑄23 𝑄33

una forma più conveniente da utilizzare nelle applicazioni.


Nel caso di rotazione antioraria nel piano (x1, x2), indicando con 𝛼 l’angolo di rotazione intorno
all’asse x3, la matrice di rotazione assume la seguente forma:

cos 𝛼 sin 𝛼
𝑸=[ ]
−sin 𝛼 cos 𝛼

La precedente legge di trasformazione può essere scritta in modo esplicito:



σ11 + σ22 σ11 − σ22
σ11 = + cos 2𝛼 + σ12 sin 2𝛼
2 2
σ11 + σ22 σ11 − σ22
σ′22 = − cos 2𝛼 − σ12 sin 2𝛼
2 2

σ22 − σ11
σ12 = sin 2𝛼 + σ12 cos 2𝛼
2

In un linguaggio comune si usa la parola tensore per indicare direttamente la matrice σ𝑗𝑖 . Occorre
precisare che ciò è lecito se la base è stata chiaramente e univocamente determinata. Con il
termine tensore si vuole sottolineare che lo stato di tensione in un punto di un solido sottoposto a
forze è sempre lo stesso e non dipende dalle coordinate usate per descriverne le componenti,
cambia infatti la sua descrizione in termini di componenti a base fissata (rappresentata da una
matrice a 9 componenti).

2) Reciprocità delle tensioni tangenziali


Nelle due sezioni che seguono introduciamo le equazioni di bilancio per un elemento di volume
infinitesimo nell’intorno del punto P pensando di isolarlo dalla restante parte del corpo. Consideriamo
una terna di riferimento cartesiana ortogonale locale (𝑃; 𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 ). Sulle facce dell’elemento
infinitesimo indichiamo le componenti delle tensioni corrispondenti ad ogni giacitura osservando che
le singole componenti subiranno un incremento passando da una faccia a quella parallela, distante
dalla prima della quantità dxi.

14
Figura 1.7 Tensioni tangenziali nell’intorno del punto P

Osservando la figura e ricordando che le tensioni (pressioni) agenti sulle facce del cubo elementare
devono essere moltiplicate per l’elemento di area su cui agiscono, l’equilibrio alla rotazione, ad
esempio attorno all’asse baricentrico parallelo all’asse x3, si scrive

σ12 𝑑𝑥1 𝑑𝑥2 𝑑𝑥3 − σ21 𝑑𝑥1 𝑑𝑥2 𝑑𝑥3 = 0

in cui sono stati trascurati gli infinitesimi di ordine superiore al terzo; dividendo per 𝑑𝑥1 𝑑𝑥2 𝑑𝑥3 , si
ha
12   21

13   31  23   32

Figura 1.8 Tensioni tangenziali nell’intorno del punto P

In modo simile si dimostra che anche le altre tensioni a indici misti sono uguali tra loro scambiando
gli indici. Questa proprietà è detta condizione di reciprocità delle tensioni tangenziali. Il tensore
degli sforzi è quindi simmetrico e tale proprietà riduce da 9 a 6 le sue componenti distinte. Nelle
figure è illustrato il significato della simmetria con riferimento a due qualsiasi giaciture ortogonali.

3) Equazioni indefinite di equilibrio


Con riferimento al cubo elementare rappresentato in Figura 1.9 in cui si è tenuto conto della proprietà
di reciprocità delle tensioni a indici misti, scriviamo le equazioni di equilibrio alla traslazione nelle
tre direzioni degli assi coordinati.

15
Figura 1.9 Cubo elementare nell’intorno del punto P

L’equilibrio alla traslazione lungo la direzione 𝑥1 fornisce l’equazione:

(σ11 + σ11,1 𝑑𝑥1 )𝑑𝑥2 𝑑𝑥3 − σ11 𝑑𝑥2 𝑑𝑥3 + (σ12 + σ12,2 𝑑𝑥2 )𝑑𝑥1 𝑑𝑥3 − σ12 𝑑𝑥1 𝑑𝑥3 +
+(σ13 + σ13,3 𝑑𝑥3 )𝑑𝑥1 𝑑𝑥2 − σ13 𝑑𝑥1 𝑑𝑥3 + 𝑏1 𝑑𝑥1 𝑑𝑥2 𝑑𝑥3 = 0

e, dividendo per l’elemento di volume infinitesimo, abbiamo

σ11,1 + σ12,2 + σ13,3 + 𝑏1 = 0

In modo simile, considerando l’equilibrio alla traslazione lungo le altre due direzioni otteniamo:

σ21,1 + σ22,2 + σ23,3 + 𝑏2 = 0


σ31,1 + σ32,2 + σ33,3 + 𝑏3 = 0

Queste equazioni sono dette equazioni indefinite di equilibrio e sono valide per tutti i punti interni
del corpo. In notazione con gli indici e tenendo conto di quanto dimostrato nel punto 2), tali equazioni
assumono la forma

σ𝑖𝑗,𝑗 + 𝑏𝑖 = 0 per ogni 𝑖 = 1,2,3

Le equazioni ottenute nelle due sezioni precedenti possono essere ricavate direttamente utilizzando
le equazioni di bilancio su una porzione di volume V del solido di figura.

16
Figura 1.10 Porzione generica del corpo isolata dalla restante parte del solido.

Più precisamente, in accordo alla legge di bilancio delle forze possiamo scrivere:

∫ 𝒃(𝒙) 𝑑𝑉 + ∫ 𝒕(𝒙, 𝒏(𝒙)) 𝑑𝐴 = 0.


𝑉 𝜕𝑆
Usando la formula di Cauchy, in componenti, si ha

∫ 𝑏𝑖 𝑑𝑉 + ∫ 𝜎𝑗𝑖 𝑛𝑗 𝑑𝐴 = 0,
𝑉 𝜕𝑆
e, applicando il teorema della divergenza

∫(𝜎𝑗𝑖,𝑗 + 𝑏𝑖 ) 𝑑𝑉 = 0
𝑉

Poiché la regione V è arbitraria e l’integrando è continuo, otteniamo

𝜎𝑗𝑖,𝑗 + 𝑏𝑖 = 0.

detta equazione indefinita di equilibrio di Cauchy valida in ogni punto interno del dominio.
L’equazione di bilancio del momento angolare applicata alla porzione di volume interno V consente
di dimostrare la reciprocità delle tensioni tangenziali. Infatti, per la porzione di volume interna al
solido B abbiamo:
∫ 𝒙 ∧ 𝒃(𝒙) 𝑑𝑉 + ∫ 𝒙 ∧ 𝒕(𝒙, 𝒏(𝒙)) 𝑑𝐴 = 0
𝑉 𝜕𝑆
e, in componenti

∫ 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝑏𝑘 𝑑𝑉 + ∫ 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝑡𝑘 𝑑𝐴 = 0
𝑉 𝜕𝑆

in cui 𝜀𝑖𝑗𝑘 è il simbolo di permutazione di Levi-Civita. Ricordando nuovamente la formula di Cauchy


otteniamo
∫ 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝑏𝑘 𝑑𝑉 + ∫ 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝜎𝑙𝑘 𝑛𝑙 𝑑𝐴 = 0
𝑉 𝜕𝑆

17
e, applicando anche in tal caso il teorema della divergenza al secondo termine, scriviamo

∫ [𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝑏𝑘 +(𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝜎𝑙𝑘 ) ] 𝑑𝑉 = 0.


,𝑙
𝑉

L’integrale può essere sviluppato tenendo conto delle precedenti equazioni di equilibrio in modo tale
da ottenere:

∫(𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝑏𝑘 + 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗,𝑙 𝜎𝑙𝑘 + 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝜎𝑙𝑘,𝑙 )𝑑𝑉 = ∫(𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝑏𝑘 + 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝛿𝑗𝑙 𝜎𝑙𝑘 + 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝜎𝑙𝑘,𝑙 )𝑑𝑉 =
𝑉 𝑉

= ∫(𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝑏𝑘 +𝜀𝑖𝑗𝑘 𝜎𝑗𝑘 − 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝑥𝑗 𝑏𝑘 )𝑑𝑉 = 0


𝑉
per cui
∫ 𝜀𝑖𝑗𝑘 𝜎𝑗𝑘 𝑑𝑉 = 0
𝑉
e, per l’arbitrarietà di V,
𝜀𝑖𝑗𝑘 𝜎𝑗𝑘 = 0.

Infine, poiché l’operatore 𝜀𝑖𝑗𝑘 è antisimmetrico nello scambio di indici 𝑗 e 𝑘, il prodotto è nullo solo
se 𝜎𝑗𝑘 è simmetrico, per cui:
𝜎𝑗𝑘 = 𝜎𝑘𝑗 .

Il tensore delle tensioni è quindi simmetrico e l’equazioni di equilibrio precedente può assumere la
seguente forma:

𝜎𝑖𝑗,𝑗 + 𝑏𝑖 = 0.

In elastodinamica le equazioni di equilibrio diventano:

𝜎𝑖𝑗,𝑗 + 𝑏𝑖 = 𝜌𝑢̈ .

1.1.5 Equazioni di equilibrio sulla frontiera del solido


Sul contorno del corpo, il vettore tensione t coincide con il vettore delle forze di contatto esterne s.
La formula della tensione di Cauchy deve quindi essere applicata sulla frontiera del dominio laddove
sono assegnate le forze superficiali e dove n indica la normale esterna al corpo:

σ𝑖𝑗 𝑛𝑗 = 𝑠𝑖
Le equazioni indefinite di equilibrio sono tre, mentre le componenti della tensione da determinare
in ogni punto del corpo sono sei. Le condizioni di equilibrio non sono quindi sufficienti a
determinare lo stato di tensione interno al corpo avendo a disposizione un sistema di 3 equazioni
nelle 6 funzioni incognite.

18
1.1.6 Direzioni e tensioni principali di tensione
Tra tutte le giaciture passanti per il punto P, è possibile individuarne alcune che godono di particolari
proprietà. Fra queste, le più interessanti sono le giaciture rispetto alle quali il vettore tensione ha solo
componente normale diversa da zero. Queste giaciture sono dette giaciture principali e le direzioni
normali corrispondenti a tali giaciture sono dette direzioni principali della tensione. Il tensore risulta
in tal modo diagonale. La procedura per la determinazione di direzioni e tensioni principali è analoga
al problema di diagonalizzazione di una matrice e quindi riconducibile alla ricerca degli autovalori e
dei corrispondenti autovettori di una matrice.

Indichiamo ad esempio con n una direzione principale, vogliamo trovare i valori di 𝜆 tali per cui

σ𝑖𝑗 𝑛𝑗 = 𝜆𝑛𝑖

Lo scalare 𝜆 è anche detto autovalore della matrice σ𝑖𝑗 e la direzione principale n è detta autovettore.
La relazione precedente, tenendo conto della simmetria di σ𝑖𝑗 può essere scritta nella forma
(σ𝑖𝑗 − 𝜆𝛿𝑖𝑗 )𝑛𝑗 = 0
oppure
(σ11 − 𝜆 )𝑛1 + σ12 𝑛2 + σ13 𝑛3 = 0
σ12 𝑛1 + (σ22 − 𝜆)𝑛2 + σ23 𝑛3 = 0
σ13 𝑛1 + σ23 𝑛2 + (σ33 − 𝜆 )𝑛3 = 0

e rappresenta un sistema omogeneo di tre equazioni algebriche lineari.


La soluzione del problema agli autovalori si ottiene ricercando i valori di 𝜆 che annullano il
determinante della matrice dei coefficienti associata al sistema. Le direzioni principali sono allora
individuate dalla condizione

𝑑𝑒𝑡(σ𝑖𝑗 − 𝜆𝛿𝑖𝑗 ) = 0

Tale condizione è detta equazione caratteristica del tensore delle tensioni. Svolgendo il calcolo del
determinante otteniamo un polinomio di terzo grado in 𝜆:

𝜆3 − 𝐼σ 𝜆2 + 𝐼𝐼σ 𝜆 − 𝐼𝐼𝐼σ = 0

dove indichiamo con 𝐼σ , 𝐼𝐼σ , 𝐼𝐼𝐼σ rispettivamente il primo, il secondo e il terzo invariante della
tensioni, ossia quantità il cui valore non dipende dalla scelta del sistema di riferimento; essi valgono
𝐼σ = σ𝑖𝑖 = tr 𝛔
1 1
𝐼𝐼σ = (σ𝑖𝑖 σ𝑗𝑗 − σ𝑖𝑗 σ𝑗𝑖 ) = ((tr 𝛔)2 − tr( 𝛔2 ))
2 2
𝐼𝐼𝐼σ = det 𝛔

Siccome il tensore σ𝑖𝑗 è simmetrico è possibile dimostrare che le radici di questa equazioni sono
sempre reali; esse sono chiamate valori principali della tensione o anche tensioni principali.

19
Figura 1.11 Rappresentazione delle tensioni principali

Trovate le tensioni principali, che indichiamo con 𝜆1 , 𝜆2 , 𝜆3 , otteniamo le tre direzioni principali
corrispondenti, chiamate 𝒏(1) , 𝒏(2), 𝒏(3) risolvendo tre distinte equazione algebriche corrispondenti
ad ogni autovalore:
(σ𝑖𝑗 − 𝜆1 𝛿𝑖𝑗 )𝑛𝑗(1) = 0
(σ𝑖𝑗 − 𝜆2 𝛿𝑖𝑗 )𝑛𝑗(2) = 0
(σ𝑖𝑗 − 𝜆3 𝛿𝑖𝑗 )𝑛𝑗(3) = 0

Queste equazioni determinano i tre vettori 𝒏(1) , 𝒏(2) , 𝒏(3) . Si può dimostrare che questi tre vettori
possono essere sempre ortogonali tra loro. Essi sono indeterminati a meno di un fattore di scala:
possiamo quindi utilizzare questa arbitrarietà di scelta prendendo i tre vettori di lunghezza unitaria. Il
sistema di riferimento corrispondente alle direzioni principali di tensione viene detto sistema di
riferimento principale; rispetto alla nuova base 𝒏(1) , 𝒏(2) , 𝒏(3) , ponendo

𝜆1 = σI , 𝜆2 = σII , 𝜆3 = σIII

il tensore delle tensione assume la seguente forma

σI 0 0
[σ𝑖𝑗 ′] = [ 0 σII 0 ]
0 0 σIII

Solitamente le tensioni principali vengono ordinate nel modo seguente: σI ≥ σII ≥ σIII .

max(σ𝑛 ) = σI , mix(σ𝑛 ) = σIII

20
1.1.7 Classificazione degli stati di tensione
Gli stati di tensione possono essere classificati in base al numero di tensioni principali diverse da
zero. Uno stato di tensione si definisce monoassiale, biassiale o triassiale a seconda che vi siano
una, due o tre tensioni principali diverse da zero.
Dal punto di vista applicativo riveste notevole interesse lo stato di tensione per il quale è nota una
delle direzioni principali (ad esempio quella individuata dall’asse x3). Rispetto a tale sistema la
matrice rappresentativa del tensore delle tensioni ha la forma

σ11 σ12 0
[σ𝑖𝑗 ] = [σ12 σ22 0 ]
0 0 σ33

che caratterizza lo stato piano di tensione generalizzato e si riduce ad uno stato piano di tensione se
σ33 = 0. In questo caso l’equazione caratteristica diventa

σ11 − 𝜆 σ12 0
2 ]
0 ]=(σ33 − 𝜆)[𝜆2 − (σ11 + σ22 )𝜆 + σ11 σ22 − σ12
det [ σ12 σ22 − 𝜆 =0
0 0 σ33 − 𝜆

Le cui radici sono

σI 𝜎11 + 𝜎22 𝜎 − 𝜎22 2


} = ± √( 11 2
) + σ12
σII 2 2
σIII = σ33

1.1.8 Tensore sferico e tensore deviatorico di tensione


La matrice rappresentativa dello stato di tensione in un punto può essere decomposta additivamente
come segue:

σ11 σ21 σ31 σm 0 0 σ11 − σm σ21 σ31


[σ12 σ22 σ32 ] = [ 0 σm 0 ] + [ σ12 σ22 −σm σ32 ]
σ13 σ23 σ33 0 0 σm σ13 σ23 σ33 −σm

dove σm = (σ11 + σ22 + σ33 )/3 è la tensione normale media.


Il primo termine rappresenta la parte sferica o idrostatica e il secondo termine la parte deviatorica
del tensore della tensione 𝛔. In uno stato sferico non ci sono tensioni tangenziali e si ha, ad esempio,
in un liquido in quiete.

21
Esempio 1.1
Le componenti del tensore di tensione in un punto P sono date nella seguente forma matriciale

21 −63 42
[σ𝑖𝑗 ] = [−63 0 84 ] [MPa]
42 84 −21

Determinare il vettore tensione su un piano passante per P che ha normale unitaria

1
𝒏= (2𝒆1 − 3𝒆2 + 6𝒆3 )
7

Soluzione
Si tratta di applicare la formula di Cauchy che consente di esprimere le componenti di tensione su
una giacitura di normale n in funzione delle componenti di tensione che agiscono sulle giaciture
normali agli assi coordinati

(𝒏)
𝑡1 σ11 σ21 σ31 𝑛1
[𝑡2(𝒏) ] = [σ12 σ22 σ32 ] 𝑛
[ 2]
(𝒏) σ13 σ23 σ33 𝑛3
𝑡3

Per cui le componenti del vettore tensione sulla giacitura di normale n assegnata sono
2
(𝒏)
𝑡1 7
21 −63 42 3 69
[𝑡2(𝒏) ] = [−63 0 84 ] − = [ 54 ] [MPa]
(𝒏) 42 84 −21 7 −42
𝑡3 6
[ 7 ]
o in componenti

𝒕(𝒏) = 69𝒆1 + 54𝒆2 − 42𝒆3

Esempio 1.2
Sia assegnato il seguente stato di tensione nell’intorno di un punto P rispetto al sistema
(𝑃; 𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 )
1 3 2
[σ𝑖𝑗 ] = [3 1 0 ] [MPa]
2 0 −2

Determinare le componenti della tensione corrispondenti ad una rotazione degli assi antioraria di
45° intorno all’asse 𝑥3 .

Soluzione
Indicando con il pedice gli assi dopo la rotazione, per una rotazione antioraria la matrice di
trasformazione

𝑄11 𝑄12 𝑄13


𝑄𝑖𝑗 = cos (𝑥′𝑖 , 𝑥𝑗 ) = [𝑄21 𝑄22 𝑄23 ]
𝑄31 𝑄32 𝑄33

assume la forma

22
1 1
0
cos 45° cos(90° − 45°) cos 90° √2 √2
𝑄𝑖𝑗 = [cos(90° + 45°) cos 45° cos 90°] = 1 1
− 0
cos 90° cos 90° cos 0° √2 √2
[ 0 0 1]

Per cui, applicando la legge di trasformazione delle componenti della tensione in forma matriciale

1 1 1 1
0 − 0
σ′11 σ′12 σ′13 √2 √2 1 3 2 √2 √2
[σ′21 σ′22 σ′23 ] = 1 1 [3 1 0] 1 1 [MPa]
σ′31 σ′32 σ′33 − 0 2 0 −2 √2 0
√2 √2 √2
[ 0 0 1] [0 0 1]

si ha la forma della matrice nel sistema di riferimento ruotato:

4 0 √2
[σ𝑖𝑗 ′] = [ 0 −2 −√2] [MPa]
√2 −√2 −2

Esempio 1.3
Sia assegnato il seguente stato di tensione nell’intorno di un punto P rispetto al sistema
(𝑃; 𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 )
1 0 3
[σ𝑖𝑗 ] = [0 2 2] [MPa]
3 2 4

Determinare le componenti della tensione corrispondenti ad una rotazione degli assi antioraria di
60° intorno all’asse 𝑥3 .

Soluzione
La matrice di trasformazione assume la forma
1 √3
0
cos 60° cos 30° cos 90° 2 2
𝑄𝑖𝑗 = [cos 150° cos 60° cos 90°] = √3 1
cos 90° cos 90° cos 0° − 0
2 2
[ 0 0 1]
Per cui

1 √3 1 √3
0 1 0
σ′11 σ′12 σ′13 2 2 3 2 − 2 0
[σ′21 σ′22 σ′23 ] = √3 1 [0 2 2] √3 1 [MPa]
σ′31 σ′32 σ′33 − 0 3 2 4 0
2 2 2 2
[ 0 0 1] [0 0 1]
si ha

23
7 √3 3
+ √3
4 4 2
√3 5 √3 [MPa]
[σ𝑖𝑗 ′ ] = 1−3
4 4 2
3 √3
[2 + √3 1−3
2
4 ]

Esempio 1.4
In un piano (𝑥1 , 𝑥2 ) sia assegnato il seguente stato di tensione

3
σ11 = 𝑥 𝑥 , σ22 = 0 , σ12 = 𝑎 (1 − 𝑥2 2 ) .
2 1 2

Assumendo forze di volume nulle, determinare il valore della costante a in modo tale che sia
verificato l’equilibrio e rappresentare in forma matriciale e graficamente le tensioni su un elemento
quadrato infinitesimo, di lati paralleli agli assi 𝑥1 e 𝑥2 nei punti A e B di coordinate:
(1,-1) e (-2,-2).

Soluzione
3
Applicando le equazioni indefinite di equilibrio si ottiene 𝑎 = 4 e le matrici rappresentative dello
stato di tensione nei punti richiesti sono

9
3 6 −4
[− 2 0] [
𝐴 → [σ𝑖𝑗 ] = MPa] B → [σ𝑖𝑗 ] = [ 9 ] [MPa]
0 0 −4 0

Esempio 1.5
Assegnato il seguente stato di tensione

3 1 1
[σ𝑖𝑗 ] = [1 0 2] [MPa]
1 2 0

Determinare:
a) le tensioni principali e le direzioni principali utilizzando il metodo dell’equazione caratteristica;
b) trovare le componenti del vettore tensione su una giacitura di normale 𝒏 = (0,1,1)⁄√2.

Soluzione
a) La scrittura dell’equazione caratteristica richiede il calcolo dei tre invarianti che, nel caso
specifico assumono in [MPa] i seguenti valori:

𝐼σ = 3 𝐼𝐼σ = −6 𝐼𝐼𝐼σ = −8

24
Per cui l’equazione caratteristica assume la forma

𝜆3 − 3𝜆2 − 6𝜆 + 8 = 0
Le radici di questa equazione sono

𝜆1 = 4, 𝜆2 = 1, 𝜆3 = −2

e la matrice della tensione assume la seguente forma diagonalizzata

4 0 0
[σ𝑖𝑗 ] = [0 1 0 ] [MPa]
0 0 −2

i cui termini diagonali rappresentano le tensioni principali.


Per trovare le direzioni principali, le radici possono essere sostituite nei sistemi

(σ𝑖𝑗 − 𝜆1 𝛿𝑖𝑗 )𝑛𝑗(1) = 0


(σ𝑖𝑗 − 𝜆2 𝛿𝑖𝑗 )𝑛𝑗(2) = 0
(σ𝑖𝑗 − 𝜆3 𝛿𝑖𝑗 )𝑛𝑗(3) = 0

Il primo sistema diventa


(3 − 4)𝑛1(1) + 𝑛2(1) + 𝑛3(1) = 0
(1) (1) (1)
𝑛1 − 4𝑛2 + 2𝑛3 = 0
(1) (1) (1)
𝑛1 + 2𝑛2 − 4𝑛3 = 0

E considerando due delle tre equazioni e scegliendo le componenti in modo tale che 𝒏(I) abbia
lunghezza unitaria, otteniamo il versore

(1)
𝒏 = (2,1,1)⁄√6

In modo analogo gli altri due sistemi forniscono le altre due direzioni principali di normali

(2) (3)
𝒏 = (−1,1,1)⁄√3 𝒏 = (0, −1,1)⁄√2.

b) Il vettore tensione sulla giacitura di normale 𝒏 = (0,1,1)⁄√2 è dato dalla formula di Cauchy:

𝑡1 (𝒏) 3 1 1 0 2⁄√2
[𝑡2 (𝒏) ] = [1 0 2] [1⁄√2] = [ 2⁄√2] [MPa]
𝑡3 (𝒏) 1 2 0 1⁄√2 2⁄√2

Esempio 1.6
Supponiamo di conoscere lo stato di tensione in punto P in uno stato piano. Sono assegnate le
seguenti componenti di tensione:

25
σ11 = 3 MPa σ22 = −2 MPa σ12 = 1 MPa

3 1
[σ𝑖𝑗 ] = [ ] [MPa]
1 −2

Determinare:
1) lo stato di tensione in un sistema di riferimento inclinato di un angolo di 30° in direzione
antioraria, rispetto a quello iniziale (utilizzando la legge di trasformazione delle componenti
del tensore degli sforzi);
2) lo stato di tensione principale e le direzioni principali corrispondenti (con la tecnica generale
di diagonalizzazione di una matrice utilizzando l’equazione caratteristica).

Soluzione
1) La legge di trasformazione delle componenti del tensore degli sforzi ha la seguente forma:


σ11 + σ22 σ11 − σ22
σ11 = + cos 2𝛼 + σ12 sin 2𝛼
2 2
σ11 + σ22 σ11 − σ22
σ′22 = − cos 2𝛼 − σ12 sin 2𝛼
2 2

σ22 − σ11
σ12 = sin 2𝛼 + σ12 cos 2𝛼
2

Sostituendo i valori dati, ottengo:



σ11 = 2.61 MPa

σ22 = −1.61 MPa

σ12 = −1.66 MPa

La matrice rappresentativa dello stato di tensione nel punto P, nel sistema di riferimento ruotato
di 30° rispetto al sistema iniziale, assume la seguente forma:

2.61 −1.66
[σ𝑖𝑗 ′] = [ ] [MPa]
−1.66 −1.61

2) Per ottenere lo stato di tensione principale e le direzioni principali corrispondenti utilizzo la


tecnica della diagonalizzazione, ossia calcolo il determinante della matrice:

3−𝜆 1 ]
det [ =0 → 𝜆2 − 𝜆 − 7 = 0 → 𝜆1 = 3.19, 𝜆2 = −2.19
1 −2 − 𝜆
le tensioni principali sono: σI = 3.19 MPa, σII = −2.19 MPa.
Attenzione che, come spesso accade in alcuni testi, non abbiamo preso in considerazione la componente principale
normale al piano che ha valore nullo e che in tal caso sarebbe la seconda tensione principale mentre la terza sarebbe: -
2.19MPa.

La matrice rappresentativa dello stato di tensione nel punto P, rispetto al sistema di riferimento
principale, assume quindi la seguente forma:

26
σI 0 3.19 0
[ ]=[ ] [MPa]
0 σII 0 −2.19

Per ottenere le direzioni principali devo considerare i singoli autovalori e trovare i corrispondenti
autovettori normalizzati (versori).

Cominciamo a determinare il primo autovettore associato all’autovalore σI . Se indichiamo tale


(I) (I)
versore come 𝒏(I) = (𝑛1 , 𝑛2 ) l’equazione agli autovettori risulta:

(I) (I)
3 1 𝑛1 𝑛
[ ] [ (I) ] = 3.1926 [ 1(I)]
1 −2 𝑛 𝑛
2 2

in cui, il valore della prima tensione principale è riportato con quattro cifre decimali per evitare
errori sensibili di approssimazione. Quindi

(3 − 3.1926)𝑛1(I) + 𝑛2(I) = 0
(I) (I)
𝑛1 + (−2 − 3.19)𝑛2 = 0

da cui

(I) (I)
𝑛2 = 0.1926 𝑛1

Scegliendo le componenti in modo tale che 𝒏(I) abbia lunghezza unitaria, otteniamo il versore

1 0.1926
𝒏(I) = ( , ) = (0.9819, 0.1891)
1.0183 1.0183

Analogamente per il secondo versore otteniamo:

−0.1926 1
𝒏(II) = ( , ) = (−0.1891, 0.9819 )
1.0183 1.0183

Le direzioni principali sono individuate dai versori 𝒏(I) e 𝒏(II); la matrice di rotazione ottenuta
è:

cos 𝛼 sin 𝛼 0.9819 0.1891


𝑸 (α) = [ ]=[ ]
−sin 𝛼 cos 𝛼 −0.1891 0.9819

Per conoscere l’angolo α di rotazione delle direzioni principali è sufficiente osservare che:

27
(I) (I)
cos 𝛼 = 𝑛1 = 0.9819 , sin 𝛼 = 𝑛2 = 0.1891
da cui
(I)
𝑛2
𝛼 = arctan ( (I) ) = arctan(0.1926) = 10.90°
𝑛1

(I)
osservando che 𝑛2 > 0.

Da quanto esposto possiamo dire che in un continuo si possono individuare tre famiglie di curve,
dette linee isostatiche, definite come curve inviluppo delle direzioni principali della tensione. In
ogni punto le tangenti alle tre linee isostatiche sono mutamente ortogonali e individuano le tre
direzioni principali. Lungo tali linee la materia di cui è costituito il corpo è soggetta solo a
tensioni normali di trazione o di compressione. In natura esistono esempi di materiali rinforzati
lungo alcune linee che sono proprio le linee isostatiche di quel solido pensato sottoposto
all’azione delle forze cui è usualmente sottoposto.

Trabecole ossee

28
1.2 Cinematica del corpo deformabile
In questa sezione introduciamo la cinematica del corpo deformabile per costruire un modello teorico
più ricco rispetto al modello di corpo rigido. La deformabilità del solido dovuta all’azione delle forze
permetterà inoltre di introdurre una descrizione del materiale con cui il corpo è realizzato. La scelta
del modello di corpo rigido o del modello di corpo deformabile dipende dal problema specifico da
risolvere. L’aspetto fondamentale del nuovo modello consiste nel rilevare l’ipotesi alla base del
modello di corpo rigido: dati due punti di un corpo soggetto all’azione di forze esterne, la loro
distanza non si mantiene più inalterata durante la deformazione.

Nella presente trattazione manterremo l’ipotesi di piccoli spostamenti e piccole rotazioni del modello
di corpo rigido ma aggiungeremo l’ipotesi di piccole deformazioni per la quale si richiede che le
derivate degli spostamenti siano piccole se confrontate con le dimensioni del corpo in esame. Tale
ipotesi consente di presentare il modello di corpo deformabile nella sua formulazione più semplice
(teoria lineare).

1.2.1 Configurazioni, coordinate e spostamenti


Nella sezione precedente abbiamo introdotto il concetto di corpo continuo (solido, liquido o gassoso)
inteso come un insieme di punti materiali che occupano una regione B dello spazio euclideo. La
specifica posizione di tutti i punti materiali rispetto a un sistema di riferimento fisso, ad esempio (0;
x1,x2,x3), consente di definire la configurazione B che assume il corpo in un dato istante di tempo.
Indichiamo con configurazione iniziale o di riferimento B, la posizione che il corpo assume in assenza
di carichi e, configurazione corrente B’ la posizione che il corpo assume per effetto dell’azione dei
carichi.

Inoltre, non prendiamo in considerazione l’evoluzione temporale per il passaggio da una


configurazione a un’altra, confrontando il comportamento deformativo del corpo tra due situazioni
stazionarie; in tal modo non compare la variabile temporale nelle nostre relazioni (elastostatica).

Un generico punto materiale P, di coordinate (X1,X2,X3) assunte nella sua configurazione iniziale, in
seguito all’applicazione di un sistema di forze andrà ad occupare la posizione P’ di coordinate
(x1,x2,x3). L’evoluzione cinematica dell’intero corpo può essere descritta specificando la posizione
nello spazio di ogni suo punto materiale attraverso l’introduzione di una funzione vettoriale
sufficientemente regolare (biunivoca e derivabile con continuità fino all’ordine richiesto (vedi più
avanti)) in modo da escludere fratture o compenetrazioni nel passaggio del corpo da una
configurazione a un'altra. Tale funzione, detta funzione di deformazione, può essere scritta nelle due
forme

𝒙 = 𝒇(𝑿) o anche 𝑿 = 𝒇−1 (𝒙).

La descrizione del passaggio del corpo da una configurazione a un'altra può essere svolta in due
modi.
Nel primo modo si cerca una descrizione dei fenomeni “seguendo i singoli punti” del continuo.
Il continuo è quindi pensato come una sorta di sistema formato da infinite particelle, “etichettabili” e
dotate di propria individualità, che possono essere sempre determinate e seguite durante il moto.
Questo modo di descrivere l’evoluzione cinematica del corpo prende il nome di descrizione
lagrangiana o materiale. In tal caso il passaggio da una configurazione all’altra avviene in termini
29
delle coordinate materiali X. Questa descrizione ben si adatta allo studio del comportamento
deformativo di corpi solidi in cui è nota la posizione del punto nella configurazione iniziale
(indeformata) e non quella nella configurazione corrente (deformata). In forma esplicita, la
descrizione della posizione del punto dopo la deformazione è

𝑥1 = 𝑓1 (𝑋1 , 𝑋2 , 𝑋3 )
𝑥2 = 𝑓2 (𝑋1 , 𝑋2 , 𝑋3 )
𝑥3 = 𝑓3 (𝑋1 , 𝑋2 , 𝑋3 )

Nel secondo modo il problema di individuare le particelle del continuo viene messo in secondo piano
e ci si concentra invece su ciò che accade in un punto fissato dello spazio, indipendentemente da quale
particella del continuo lo stia attraversando. Questa descrizione, che si adatta bene ai fluidi (liquidi e
gas), specialmente quando occupano sempre la stessa porzione di spazio, è detta euleriana e il
passaggio da una configurazione a un’altra avviene in termini delle coordinate x, dette coordinate
spaziali, nella forma:

𝑋1 = 𝑓1−1 (𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 )
𝑋2 = 𝑓2−1 (𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 )
𝑋3 = 𝑓3−1 (𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 )

Il nostro interesse è limitato alla presentazione del modello che descrive configurazioni deformate
molto vicine alle configurazioni indeformate per cui non solo lo spostamento ma anche le derivate
delle componenti di spostamento sono piccole (teoria lineare o infinitesima). In questo caso si può
dimostrare che le derivate dello spostamento rispetto alle coordinate materiali o rispetto alle
coordinate spaziali sono equivalenti e quindi è lecito, al primo ordine di approssimazione, non
distinguere tra le coordinate Xi e xi rendendo trascurabile la distinzione tra le due descrizioni.
Per questo motivo d’ora in avanti, per rappresentare la posizione di un punto materiale, useremo le
coordinale xi.

Figura 2.1 Configurazioni e funzione spostamento


Il punto P nel passaggio dalla configurazione di riferimento a quella corrente viene a occupare la
posizione P’ compiendo uno spostamento individuato dal vettore 𝒖(𝑃):

𝑃 → (𝑃′ − 0) = (𝑃 − 0) + 𝒖(𝑃)
30
In componenti, possiamo scrivere
𝑢1 (𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 ) = (𝑃′ − 0)1 − (𝑃 − 0)1
𝑢2 (𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 ) = (𝑃′ − 0)2 − (𝑃 − 0)2
𝑢3 (𝑥1 , 𝑥2 , 𝑥3 ) = (𝑃′ − 0)3 − (𝑃 − 0)3

Tale vettore spostamento, nel modello di corpo deformabile includerà oltre spostamenti rigidi anche
contributi dovuti alla deformabilità del corpo.

Prima di passare alla descrizione locale della deformazione occorre precisare che la funzione che
descrive l’evoluzione cinematica del solido deve possedere dei requisiti di plausibilità, detti anche
assiomi di continuità. Se introduciamo la matrice delle derivate parziali di tale funzione (nabla f):

𝑓1,1 𝑓1,2 𝑓1,3


𝐅 = 𝛁𝒇 = [𝑓2,1 𝑓2,2 𝑓2,3 ]
𝑓3,1 𝑓3,2 𝑓3,3

detta gradiente di deformazione, descriviamo processi deformativi in cui la funzione di deformazione


è:
a) biunivoca: dal punto di vista fisico si richiede che sia preservata l’individualità dei punti materiali
durante la deformazione, ossia non si creino buchi o compenetrazioni di materia (principio di
impenetrabilità della materia).

b) continua e differenziabile con continuità per quanto occorra negli sviluppi necessari: si richiede
che le deformazioni non devono presentare bruschi salti e che regioni di volume finito non possano
trasformarsi in regione di volume nullo o infinito (principio di permanenza della materia).

Gli assiomi di continuità si traducono nelle seguenti condizioni: det 𝐅 ≠ 𝟎 e det 𝐅 > 𝟎.

1.2.2 Analisi locale della deformazione


Limitiamo adesso la nostra attenzione allo studio della deformazione nell’intorno di un generico
punto P (analogamente a quanto è stato svolto per l’analisi locale della tensione).
Se consideriamo una terna di elementi lineari infinitesimi dx1, dx2, dx3, uscenti da P e paralleli agli
assi coordinati, dopo la deformazione tali elementi, in generale, avranno cambiato la propria
lunghezza e non saranno più ortogonali fra loro. L’analisi locale della deformazione si basa sulla
descrizione della trasformazione di tali elementi per effetto dell’azione dei carichi.

Consideriamo quindi un punto Q prossimo al punto P; dopo l’azione delle forze sul corpo i due punti
si trovano nelle posizioni P’ e Q’. Siccome il punto Q è prossimo a P possiamo esprimere lo
spostamento del punto Q come sviluppo in serie di Taylor di una funzione di più variabili, calcolato
a partire dallo spostamento del punto P:

𝑢1 (𝑄) = 𝑢1 (𝑃) + 𝑢1,1 (𝑃)(𝑄 − 𝑃)1 + 𝑢1,2 (𝑃)(𝑄 − 𝑃)2 + 𝑢1,3 (𝑃)(𝑄 − 𝑃)3 + 𝑜2 (𝑄 − 𝑃)

𝑢2 (𝑄) = 𝑢2 (𝑃) + 𝑢2,1 (𝑃)(𝑄 − 𝑃)1 + 𝑢2,2 (𝑃)(𝑄 − 𝑃)2 + 𝑢2,3 (𝑃)(𝑄 − 𝑃)3 + 𝑜2 (𝑄 − 𝑃)

31
𝑢3 (𝑄) = 𝑢3 (𝑃) + 𝑢3,1 (𝑃)(𝑄 − 𝑃)1 + 𝑢3,2 (𝑃)(𝑄 − 𝑃)2 + 𝑢3,3 (𝑃)(𝑄 − 𝑃)3 + 𝑜2 (𝑄 − 𝑃)

e in forma contratta

𝒖(𝑄) = 𝒖(𝑃) + 𝛁𝒖(𝑃)(𝑄 − 𝑃)+. ..

dove 𝛁𝒖(𝑃) (nabla di 𝒖) denota la matrice delle derivate parziali

𝑢1,1 𝑢1,2 𝑢1,3


𝑢
𝛁𝒖 = [ 2,1 𝑢2,2 𝑢2,3 ]
𝑢3,1 𝑢3,2 𝑢3,3

detta “gradiente di spostamento”. Introduciamo ora l’ipotesi di “piccole deformazioni” che consiste
nel considerare solo deformazioni in cui il gradiente dello spostamento sia piccolo (𝛁𝒖 ≪ 1) rispetto
alle dimensioni del solido in studio; tale ipotesi, lecita per descrivere un’ampia classe di problemi
reali, permette di trascurare nello sviluppo in serie i termini superiori al primo ordine (prima
approssimazione). In tal modo, possiamo scrivere

𝒖(𝑄) = 𝒖(𝑃) + 𝛁𝒖(𝑃)(𝑄 − 𝑃).

Questa scrittura dimostra come si sta estendendo gradualmente (al primo ordine) la teoria del corpo
rigido, aggiungendo solo il primo termine dello sviluppo in serie della funzione 𝒖(𝑄) − 𝒖(𝑃). Teorie
più sofisticate richiedono l’aggiunta di ulteriori termini, peraltro non più lineari, più difficili da
trattare da un punto di vista matematico.

Dimostriamo ora come il gradiente di spostamento permetta di dare una misura locale della
deformazione. A tale scopo, data la linearità di tale operatore, decomponiamo il gradiente di
spostamento nella sua parte simmetrica e emisimmetrica; la prima matrice (simmetrica) è detta
matrice di deformazione, mentre la seconda matrice rappresenta una rotazione rigida locale
nell’intorno del punto P:

1 1
𝑢1,1 (𝑢 + 𝑢2,1 ) (𝑢 + 𝑢3,1 )
2 1,2 2 1,3
1 1
[𝜀𝑖𝑗 ] = (𝑢 + 𝑢1,2 ) 𝑢2,2 (𝑢 + 𝑢3,2 )
2 2,1 2 2,3
1 1
[2 (𝑢3,1 + 𝑢1,3 ) (𝑢 + 𝑢2,3 )
2 3,2
𝑢3,3 ]

1 1
0 (𝑢 − 𝑢2,1 ) (𝑢 − 𝑢3,1 )
2 1,2 2 1,3
1 1
[𝜔𝑖𝑗 ] = (𝑢 − 𝑢1,2 ) 0 (𝑢 − 𝑢3,2 )
2 2,1 2 2,3
1 1
[2 (𝑢3,1 − 𝑢1,3 ) (𝑢 − 𝑢2,3 )
2 3,2
0 ]

Possiamo scrivere:

32
𝟏 𝟏
𝒖(𝑄) = 𝒖(𝑃) + (𝛁𝒖(𝑃) + 𝛁𝒖(𝑃)𝑻 )(𝑄 − 𝑃) + (𝛁𝒖(𝑃) − 𝛁𝒖(𝑃)𝑻 )(𝑄 − 𝑃).
𝟐 𝟐

Lo spostamento del punto Q è quindi dato dalla somma di uno spostamento rigido (traslazione +
rotazione locale nell’intorno del punto P):

𝟏
𝒖(𝑃) + (𝛁𝒖(𝑃) − 𝛁𝒖(𝑃)𝑻 )(𝑄 − 𝑃)
𝟐
e da una deformazione pura
𝟏
(𝛁𝒖(𝑃) + 𝛁𝒖(𝑃)𝑻 )(𝑄 − 𝑃).
𝟐

Le componenti della matrice di deformazione seguono la legge di trasformazione delle componenti


di un tensore al cambio di base, in perfetta analogia al tensore delle tensioni. Per tale motivo possiamo
parlare di tensore di deformazione infinitesima le cui componenti, a base fissata, hanno la seguente
espressione

1
𝜀𝑖𝑗 = (𝑢𝑖,𝑗 + 𝑢𝑗,𝑖 ).
2

Tali equazioni che legano le derivate dello spostamento alle deformazioni locali, sono dette equazioni
di congruenza. La matrice di deformazione può essere riscritta nella seguente forma

ε11 ε12 ε13


[𝜀𝑖𝑗 ] = [ε12 ε22 ε23 ]
ε13 ε23 ε33

Per comprendere perché si assume come misura locale della deformazione la parte simmetrica del
gradiente di spostamento, può essere conveniente decomporre la matrice 𝜀𝑖𝑗 nella somma di sei
matrici simmetriche:

ε11 0 0 0 0 0 0 0 0
[𝜀𝑖𝑗 ] = [ 0 0 0] + [0 ε22 0] + [0 0 0 ] +
0 0 0 0 0 0 0 0 ε33
0 ε12 0 0 ε23 0 0 0 ε13
+ [ε12 0 0] + [ε23 0 0] + [ 0 0 0 ]
0 0 0 0 0 0 ε13 0 0

Appare ora spontaneo dare un significato fisico alle sei componenti del tensore della deformazione,
rappresentato in forma matriciale dalla somma delle sei matrici; a ogni matrice corrisponde infatti
una misura elementare di deformazione.

1.2.3 Deformazioni elementari


Dilatazioni lineari
Per semplicità mettiamoci nel piano (x1, x2) e consideriamo un segmento infinitesimo di lunghezza
iniziale AB parallelo all’asse delle ascisse. Dopo la deformazione, il segmento lineare avrà una diversa

33
lunghezza che indichiamo con A’B’ (abbiamo rimosso l’ipotesi di corpo rigido e quindi la distanza
relativa tra i due punti cambia).

Con considerazioni geometriche riferite alla Figura 2.2, abbiamo:

2 2 2
𝐴′ 𝐵′ = √(𝑑𝑥1 + 𝑢1 + 𝑢1,1 𝑑𝑥1 − 𝑢1 ) + (𝑢2,1 𝑑𝑥1 ) = 𝑑𝑥1 √(1 + 𝑢1,1 ) + 𝑢2,1 2 =

= 𝑑𝑥1 √1 + 2𝑢1,1 + 𝑢1,1 2 + 𝑢2,1 2 ≅ 𝑑𝑥1 (1 + 𝑢1,1 )

in cui è stata sviluppata in serie di Taylor la radice quadrata e sono stati trascurati i termini di ordine
superiore al primo nelle derivate delle componenti di spostamento.

Figura 2.2 Deformazioni nel piano

Da un punto di vista geometrico, al primo ordine, solo gli spostamenti lungo la direzione x1 forniscono
un contributo significativo alla deformazione lineare lungo tale direzione; in altri termini, nella teoria
lineare si trascura il fatto che il segmento dx1 ruota di una quantità infinitesima dando luogo a un
contributo che compare al secondo ordine (𝑢2,1 2 ).
La quantità
𝐴′ 𝐵′ − 𝐴𝐵
𝑢1,1 =
𝐴𝐵

rappresenta, al primo ordine, la variazione di lunghezza dell’elemento lineare ed è detta dilatazione


lineare. Tale termine è anche il primo termine della matrice di deformazione

𝜀11 = 𝑢1,1

Con ragionamento analogo possiamo dimostrare che i tre termini sulla diagonale del tensore di
deformazione misurano le variazioni relative di lunghezza di segmenti lineari inizialmente disposti
lungo gli assi del sistema di riferimento. Tali variazioni sono dette coefficienti di dilatazione lineare
(grandezza adimensionale). Valori positivi di tali coefficienti indicano un aumento di lunghezza dei
segmenti, rispetto allo stato indeformato, viceversa, per valori negativi, indicano una riduzione di
lunghezza; valori nulli indicano lunghezza inalterata.
34
Scorrimenti angolari
In modo analogo alla trattazione precedente, con riferimento alla Figura 2.2, studiamo il significato
fisico dei termini a indici misti della matrice di deformazione considerando sempre per semplicità il
piano (x1, x2). Prendiamo due segmenti infinitesimi di lunghezza iniziale AB e AC inizialmente
perpendicolari tra loro. Dopo la deformazione, si ha una variazione di angolo tra i due segmenti.
Indicando con α e β gli angoli che i segmenti deformati di lunghezza A’B’ e A’C’ formano con gli
assi coordinati, possiamo scrivere le seguenti relazioni

𝑢2 + 𝑢2,1 𝑑𝑥1 − 𝑢2 𝑢2,1 𝑑𝑥1


sin 𝛼 = = ≅ 𝑢2,1
𝐴′𝐵′ (1 + 𝜀11 )𝑑𝑥1
𝑢1 + 𝑢1,2 𝑑𝑥2 − 𝑢1 𝑢1,2 𝑑𝑥2
sin 𝛽 = = ≅ 𝑢1,2
𝐴′𝐶′ (1 + 𝜀22 )𝑑𝑥2

Poiché consideriamo piccoli spostamenti (rotazioni) possiamo considerare solo il primo termine dello
sviluppo in serie della funzione seno e quindi porre:

sin 𝛼 ≅ 𝛼 e sin 𝛽 ≅ 𝛽

Calcoliamo ora la variazione di angolo che si realizza tra i due segmenti lineari AB e AC, durante la
deformazione imposta:

𝜋 𝜋
− 𝜗 = 𝛼 + 𝛽 → − 𝜗 = 𝑢2,1 + 𝑢1,2
2 2
questa misura è detta scorrimento angolare, e si indica con γ12 (gamma); è legata al termine misto
della matrice di deformazione dalla seguente relazione

γ12 = u2,1 + u1,2 = 2ε12

Tale quantità è adimensionale ed è positiva per “angoli che si chiudono” e negativa per “angoli che
si aprono”. Possiamo estendere il presente risultato affermando che i termini fuori diagonale del
tensore di deformazione misurano le variazioni di angolo tra elementi inizialmente perpendicolari tra
loro.
In sintesi possiamo dire che la matrice simmetrica (3x3) descrive la deformazione nell’intorno del
punto considerato; le sue componenti sono quantità adimensionali e singolarmente forniscono
variazioni di lunghezza di elementi lineari (termini in diagonale) o variazioni di angoli tra elementi
lineari inizialmente perpendicolari tra loro (termini fuori diagonale).

Coefficienti di variazioni di area e di volume


Estendendo i risultati ottenuti per la dilatazione lineare, è possibile definire il coefficiente di
variazione di area. Ad esempio, se consideriamo nel piano (x1, x2) un elemento di lati infinitesimi
𝑑𝑥1e 𝑑𝑥2 si ha:

𝑑𝐴′ − 𝑑𝐴 𝑑𝑥1 (1 + 𝜀11 )𝑑𝑥2 (1 + 𝜀22 ) − 𝑑𝑥1 𝑑𝑥2


= = 𝜀11 + 𝜀22
𝑑𝐴 𝑑𝑥1 𝑑𝑥2

35
indicando con 𝑑𝐴 e 𝑑𝐴′ l’elemento di area rispettivamente prima e dopo la deformazione.

In modo analogo definiamo il coefficiente di variazione di volume:

𝑑𝑉 ′ − 𝑑𝑉
= 𝜀11 + 𝜀22 + 𝜀33
𝑑𝑉

La somma dei termini in diagonale o traccia della matrice delle deformazioni ha quindi il significato
fisico di variazione volumetrica nell’intorno del punto cui le componenti della matrice si riferiscono.
Se il suo valore è positivo allora la deformazione ha prodotto un aumento di volume, e viceversa. Se
il materiale è incomprimibile si ha sempre traccia nulla.

1.2.4 Deformazioni principali e direzioni principali della deformazione


In analogia a quanto visto per il tensore di tensione, possiamo affermare che è possibile trovare
direzioni e tensioni principali anche per il tensore di deformazione. In altri termini è possibile
individuare tre direzioni ortogonali tra le quali non si verificano scorrimenti angolari (ossia, si
annullano le componenti ad indici misti della deformazione). Tali direzioni sono dette direzioni
principali di deformazione e le dilatazioni lineari corrispondenti sono dette componenti principali di
deformazione, indicate con 𝜀I , 𝜀II e 𝜀III .
Le tecniche utilizzate per determinare tali quantità sono del tutto analoghe a quelle svolte per ottenere
le tensioni e le direzioni principali di tensione.
Occorre sottolineare che le direzioni principali della tensione e della deformazioni sono uguali tra
loro solo nel caso di materiale isotropo (si veda più avanti).

1.2.5 Condizioni di compatibilità o congruenza interna


Le deformazioni che si ottengono dagli spostamenti attraverso le seguenti sei equazioni di congruenza
1
𝜀𝑖𝑗 = (𝑢𝑖,𝑗 + 𝑢𝑗,𝑖 )
2
forniscono uno stato di deformazione congruente; in altri termini, è sempre possibile risalire al campo
di deformazioni (6 componenti della matrice) a partire da uno spostamento assegnato (3 componenti).
Invece, se assegniamo uno stato di deformazione, non è detto che il corrispondente spostamento sia
congruente. In questo secondo caso le equazioni di congruenza definiscono un sistema di 6 equazioni
differenziali nelle 3 incognite (le tre componenti di spostamento).
Affinché questo sistema ammetta soluzioni occorre che siano verificate ulteriori relazioni, dette
condizioni di integrabilità (o di congruenza interna o di Saint Venant).

(a) (b) (c) (d)

36
Per dare una spiegazione fisica al significato delle condizioni di integrabilità si supponga infatti di
suddividere il mezzo continuo in elementi infinitesimi (discretizzazione (a)) nella configurazione
indeformata; si isolino 4 elementi (b). Dopo la deformazione (c) la continuità tra i singoli elementi
deformati può essere garantita solo se le deformazioni soddisfano particolari condizioni di
integrabilità, dette equazioni di congruenza interne (c). In caso contrario, si possono avere lacerazioni
o penetrazioni di materia (d); il campo di spostamento non è più continuo. Tali condizioni sono
necessarie e sufficienti in domini monoconnessi e possono essere espresse dalle sei relazioni delle
quali solo tre sono linearmente indipendenti:

𝜀𝑖𝑗,𝑘𝑙 + 𝜀𝑘𝑙,𝑖𝑗 = 𝜀𝑖𝑘,𝑗𝑙 + 𝜀𝑗𝑙,𝑖𝑘


In forma esplicita
𝜀11,22 + 𝜀22,11 = 2𝜀12,12 = 𝛾12,12
𝜀11,33 + 𝜀33,11 = 2𝜀13,13 = 𝛾13,13
𝜀22,33 + 𝜀33,22 = 2𝜀23,23 = 𝛾23,23
𝜀11,23 = −𝜀23,11 + 𝜀31,12 + 𝜀12,13
𝜀22,31 = −𝜀31,22 + 𝜀12,23 + 𝜀23,12
𝜀33,12 = −𝜀12,33 + 𝜀23,13 + 𝜀31,23

Per ottenere tali condizioni possiamo differenziare due volte l’equazione di congruenza, rispetto a xk
e xl, come segue:
1
𝜀𝑖𝑗,𝑘𝑙 = (𝑢𝑖,𝑗𝑘𝑙 + 𝑢𝑗,𝑖𝑘𝑙 )
2

e ottenere le seguenti relazioni semplicemente scambiando gli indici:


1
𝜀𝑘𝑙,𝑖𝑗 = (𝑢𝑘,𝑙𝑖𝑗 + 𝑢𝑙,𝑘𝑖𝑗 )
2
1
𝜀𝑗𝑙,𝑖𝑘 = (𝑢𝑗,𝑙𝑖𝑘 + 𝑢𝑙,𝑗𝑖𝑘 )
2
1
𝜀𝑖𝑘,𝑗𝑙 = (𝑢𝑖,𝑘𝑗𝑙 + 𝑢𝑘,𝑖𝑗𝑙 )
2

Sotto le ipotesi di campo di spostamento continuo possiamo scambiare l’ordine di derivazione del
campo di spostamento (teorema di Schwarz), e ottenere la seguente relazione sulle componenti di
deformazione:

𝜀𝑖𝑗,𝑘𝑙 + 𝜀𝑘𝑙,𝑖𝑗 − 𝜀𝑖𝑘,𝑗𝑙 − 𝜀𝑗𝑙,𝑖𝑘 = 0

Tali relazioni portano a 81 (34) equazioni molte delle quali sono semplici identità o ripetizioni in virtù della
validità del teorema di Schwarz e della simmetria del tensore di deformazione. Solo sei relazioni sono
significative e possono essere determinate ponendo k=l e variando gli indici in tal modo:
i=j=1(k=l=2), i=j =2(k=l=3), i=j =3(k=l=1);
i =1, j =2(k=l=3), i =1, j =3(k=l=2), i =2, j =3(k=l=1).

Si può mostrare che queste relazioni non sono tutte indipendenti tra loro e possono essere ridotte a
tre equazioni indipendenti del quarto ordine.

37
Esempio 2.1
Determinare la matrice della deformazione corrispondente al seguente stato di spostamento

𝑢1 = 𝐴𝑥1 2 𝑥2 𝑢2 = 𝐵𝑥2 𝑥3 𝑢3 = 𝐶𝑥1 𝑥3 3

con A,B,C costanti arbitrarie.


Soluzione
Calcoliamo le derivate parziali delle componenti di spostamento e valutiamo le seguenti quantità

1
𝜀𝑖𝑗 = (𝑢𝑖,𝑗 + 𝑢𝑗,𝑖 )
2
per cui

2𝐴𝑥1 𝑥2 𝐴 𝑥1 2 ⁄2 𝐶𝑥3 3 ⁄2
[𝜀𝑖𝑗 ] = [𝐴 𝑥1 2 ⁄2 𝐵𝑥3 𝐵𝑥2 ⁄2 ]
𝐶𝑥3 3 ⁄2 𝐵𝑥2 ⁄2 3𝐶𝑥1 𝑥3 2

Esempio 2.2
Assegnati i seguenti campi di spostamento:
a) u1  Ax1 x2 u2  Bx1 x32 
u3  C x12  x22 
b) u1  Ax12 u2  Bx1 x2 u3  Cx1 x2 x3
c) u1  Ax2 x32 u2  Bx1 x22 
u3  C x12  x32 
d ) u1  Ax12 x2 u2  Bx2 x3 u3  Cx1 x32

con A, B e C costanti arbitrarie, calcolare i corrispondenti tensori di deformazione.

Esempio 2.3
La piastra di figura è incastrata su due lati e soggetta a una deformazione come indicato. Calcolare
lo scorrimento angolare medio, l’eventuale dilatazione lineare del lato AB e la matrice di
deformazione infinitesima.

Soluzione:
Lo scorrimento angolare in A è
3
tan 𝛾𝑥𝑦 ≅ 𝛾𝑥𝑦 = = 0.02 rad = 1.1458°
150

Per calcolare la deformazione di AB (se tengo conto del termine del secondo ordine nel gradiente
di spostamento) scriviamo:
𝐴′ 𝐵 = √1502 + 32 = 150.0300 mm

38
𝐴′𝐵 − 𝐴𝐵
𝜀𝐴𝐵 = = 0.000200
𝐴𝐵

La matrice di deformazione infinitesima ha la seguente forma:

0 0.01
[𝜀𝑖𝑗 ] = [ ]
0.01 0

Esempio 2.4
La piastra di figura è deformata come indicata con il tratteggio. Si determini:
a) lo scorrimento angolare nel punto D della piastra relativamente agli assi coordinati (x, y)
b) la dilatazione lineare degli elementi DA e DC
c) la dilatazione lineare delle diagonali AC e DB
d) scrivere la matrice di deformazione relativa al punto D

Soluzione:
a)
𝛾𝑥𝑦 (𝐷) = 𝛼 + 𝛽 = 𝑢𝑦,𝑥 + 𝑢𝑥,𝑦

2
𝛼= = 0.00496278 rad
403
2
𝛽= = 0.00662252 rad
302

𝛾𝑥𝑦 (𝐷) = 11.6 10−3 rad

Verificare che nel punto C lo scorrimento angolare ha stesso valore ma segno negativo.

b) Indicando con A’, B’ e C’ la posizione dei punti A, B e C dopo la deformazione, otteniamo

𝐷𝐴′ = √(400 + 3)2 + 22 = 403.005 mm ≅ 403 mm

𝐷𝐴′ − 𝐷𝐴 403 − 400


𝜀𝐷𝐴 = = = 7.5 10−3
𝐷𝐴 400

Analogamente:
𝐷𝐶′ − 𝐷𝐶 302 − 300
𝜀𝐷𝐶 = = = 6.7 10−3
𝐷𝐶 300

c) Per calcolare l’allungamento delle diagonali possiamo procedere nel seguente modo:

39
𝐴𝐶 = 𝐷𝐵 = √4002 + 3002 = 500 mm

𝐷𝐵 ′ = √4052 + 3042 = 506.4 mm


𝐴′𝐶′ = √4012 + 3002 = 500.8 mm

Le dilatazioni lineari dei segmenti lungo le diagonali sono:

𝐴′ 𝐶 ′ − 𝐴𝐶 500.8 − 500
𝜀𝐴𝐶 = = = 1.60 10−3
𝐴𝐶 500

𝐷𝐵′ − 𝐷𝐵 506.4 − 500


𝜀𝐷𝐵 = = = 12.8 10−3
𝐷𝐵 500

entrambe positive (allungamenti).

d) La matrice di deformazione infinitesima nel punto D assume la forma:

11.6
7.5
2
[𝜀𝑖𝑗 ] = [11.6 ] 10−3
6.7
2

40
1.3 Legame elastico tensioni-deformazioni
La costruzione del modello matematico di corpo deformabile ha portato all’individuazione di alcune
quantità (statiche e cinematiche) ritenute rilevanti per descrivere in modo efficace la risposta alle
azioni dei carichi su di un corpo. Più precisamente, sono stati introdotti i concetti di tensione e di
deformazione come misure locali della risposta alle azioni esterne (riferite ai punti del solido). Tali
concetti sono stati poi elaborati in modo tale da formulare:

- le tre equazioni indefinite di equilibrio: 𝜎𝑖𝑗,𝑗 + 𝑏𝑖 = 0


1
- le sei equazioni di congruenza: 𝜀𝑖𝑗 = 2 (𝑢𝑖,𝑗 + 𝑢𝑗,𝑖 )

Il problema di determinare tali misure locali (incognite del problema) richiede di risolvere il sistema
di equazioni nelle seguenti incognite: le tre componenti di spostamento, le sei componenti di
deformazione, e le sei componenti di tensione. In altri termini, per avere una descrizione completa del
comportamento statico e deformativo di un corpo deformabile occorre determinare il cosiddetto stato
elastico rappresentato dalla seguente tripletta: [𝑢𝑖 , 𝜀𝑖𝑗 , 𝜎𝑖𝑗 ]. Da un lato, il numero complessivo delle
incognite del problema è 15, mentre il numero delle equazioni a disposizione è 9; d’altro lato, le
precedenti equazioni non tengono conto del tipo di materiale con il quale il corpo è realizzato.
L’unico modo per completare il modello è quello di introdurre nuovi elementi descrittori in grado di
descrivere la risposta meccanica del solido alle azioni esterne. In altri termini, occorre stabilire delle
relazioni per “legare” le equazioni di equilibrio e le equazioni di congruenza, attraverso
l’introduzione di modelli costitutivi che traducano in termini matematici gli aspetti fenomenologici
dei materiali.
Le equazioni che esprimono il legame tensione-deformazioni sono dette equazioni costitutive o
equazioni di legame.

1.3.1 Classi di materiali e rilevanze sperimentali


Nella meccanica classica si introducono modelli in grado di descrivere classi di materiali ideali, in
modo analogo allo studio della geometria euclidea, che studia classi di figure definite isolandone certe
proprietà ritenute rilevanti (classe dei poligoni, sottoclasse dei triangoli…).

La classe di materiali che studieremo ora è quella dei materiali elastici; una scelta motivata da un lato
dai rilevanti aspetti applicativi che li caratterizza, dall’altro dall’analisi delle rilevanze sperimentali.
Infatti, una semplice prova monoassiale 𝜎-ε mette in evidenza la presenza, per quasi tutti gli usuali
materiali, di un tratto iniziale, rappresentativo della fase elastica, in cui le tensioni dipendono dal
valore istantaneo della deformazione e non risentono dell’eventuale storia di carico passata (memoria
zero). In altri termini, molti materiali presentano un comportamento nella fase iniziale di carico in cui
le deformazioni sono reversibili (al rilascio dell’azione le deformazioni vengono completamente
recuperate) e in tale primo tratto, la risposta tensioni-deformazioni ha un andamento di tipo lineare
(limite di proporzionalità).
In figura si osservano le curve uniassiali che descrivono il differente comportamento di un materiale
duttile (metalli), in cui la rottura è preceduta da apprezzabili deformazioni plastiche irreversibili (fase
plastica), rispetto a un materiale fragile (materiali ceramici, vetro, rocce) in cui la rottura segue quasi
immediatamente l’esaurimento delle risorse elastiche.

41
Figura 3.1 Curva di prova monoassiale su una barra e risultati per tre metalli strutturali (acciaio, alluminio (duttili),
ghisa (fragile)).

Nel paragrafo che segue introduciamo il più semplice modello in grado di descrivere il
comportamento di un materiale in fase elastica, sia esso fragile o duttile.

1.3.2 Modello elastico di Cauchy-Green


La caratterizzazione di un materiale nella sua fase elastica (materiale elastico) richiede di introdurre
alcune ipotesi semplificative per poter scrivere in modo ragionevolmente contenuto le relazioni di
legame costitutive.

Per prima cosa richiediamo che l’equazione costitutiva sia indipendente da traslazioni e rotazioni
rigide assunte dal corpo durante la deformazione; in altri termini la risposta meccanica deve essere
indipendente dall’osservatore. Questo requisito di plausibilità si esprime nel principio d’indifferenza
materiale. Inoltre, consideriamo materiali macroscopicamente omogenei, in modo tale che la risposta
alle azioni del carico non dipenda dalla posizione all’interno del corpo.

Per la classe di materiali caratterizzata dalle osservazioni precedenti, possiamo introdurre le due
nozioni di elasticità di Cauchy e di Green.

a) Nozione di elasticità di Cauchy (1828).


L’ipotesi alla base di tale nozione consiste nel generalizzare la legge di Hooke 𝜎 = 𝐸𝜀, valida per
il caso monoassiale, al caso tridimensionale. Il tensore delle tensioni è una funzione lineare della
sola parte simmetrica del gradiente di spostamento per il principio di indifferenza materiale.
Introduciamo quindi un tensore del quarto ordine, detto tensore di elasticità, nella forma:
σ𝑖𝑗 = 𝐶𝑖𝑗ℎ𝑘 𝜀ℎ𝑘

La simmetria dei tensori di tensione e deformazione permette di ridurre il numero delle componenti
distinte della matrice rappresentativa di tale tensore da 81 (i,j,h,k=1,2,3 per cui 34 componenti=81)
a 36. Infatti, valendo le seguenti proprietà algebriche:

𝐶𝑖𝑗ℎ𝑘 = 𝐶𝑗𝑖ℎ𝑘 = 𝐶𝑖𝑗𝑘ℎ

(simmetria del tensore rispetto alla prima coppia di indici e rispetto alla seconda coppia di indici),
chiamiamo tale proprietà simmetria minore del tensore di elasticità. In virtù di tale simmetria è
possibile “raggruppare” gli indici a gruppi di due ed esprimere il tensore di elasticità con una

42
matrice 6x6. In altri termini, la simmetria minore dei tensori di tensione e deformazione consente
di esprimere le componenti della tensione in termini delle componenti di deformazione al primo
ordine (lineare) nella forma

σ11 = c11 𝜀11 + c12 𝜀22 + c13 𝜀33 + c14 2𝜀23 + c15 2𝜀13 + c16 2𝜀12
σ22 = c21 𝜀11 + c22 𝜀22 + c23 𝜀33 + c24 2𝜀23 + c25 2𝜀13 + c26 2𝜀12
…………
σ12 = c61 𝜀11 + c62 𝜀22 + c63 𝜀33 + c64 2𝜀23 + c65 2𝜀13 + c66 2𝜀12
…………

I coefficienti c𝑟𝑠 (𝑟, 𝑠 = 1, … .6), sono detti moduli elastici di Cauchy.


La scrittura precedente consente di introdurre una matrice 𝐂 (che non ha nessuna valenza di tipo
tensoriale), detta matrice di elasticità:

c11 c12 c13 c14 c15 c16


c21 c22 c23 c24 c25 c26
c c32 c33 c34 c35 c36
𝐂 = c 31 c42 c43 c44 c45 c46
41
c51 c52 c53 c54 c55 c56
[ c61 c62 c63 c64 c65 c66 ]

L’estensione della legge di Hooke al caso tridimensionale permette di individuare 36 coefficienti


elastici per poter descrivere la risposta tensioni-deformazioni in un materiale elastico e omogeneo.
La notazione in forma matriciale con la riorganizzazione delle componenti del tensore della
tensione e della deformazione in forma vettoriale prende il nome di notazione di Voigt.

b) Nozione di elasticità di Green (1839) o materiali iperelastici.


Green introduce il concetto di materiale iperelastico (o conservativo), ossia considera classi di
materiali per cui è possibile introdurre l’esistenza di una funzione potenziale Φ(ε𝑖𝑗 ) tale per cui

𝜕Φ
σ𝑖𝑗 =
𝜕ε𝑖𝑗
In componenti:
𝜕Φ 𝜕Φ 𝜕Φ
σ11 = σ22 = σ33 =
𝜕ε11 𝜕ε22 𝜕ε33
𝜕Φ 𝜕Φ 𝜕Φ
σ13 = σ23 = σ12 =
𝜕ε12 𝜕ε23 𝜕ε12

La funzione Φ è detta potenziale elastico e rappresenta fisicamente l’energia di deformazione


elastica immagazzinata nell’intorno di un punto durante il processo deformativo. E’ una
quantità sempre definita positiva.

Un’ampia classe di materiali può essere descritta con un modello costitutivo che tiene
simultaneamente conto delle due nozioni di elasticità.

43
L’ipotesi di legame di tipo lineare associata all’ipotesi di esistenza di un potenziale elastico, consente
di ottenere una fondamentale proprietà di simmetria della matrice di elasticità. Prendiamo in
considerazione, ad esempio, le seguenti due espressioni:

σ11 = c11 𝜀11 + c12 𝜀22 + c13 𝜀33 + c14 2𝜀23 + c15 2𝜀13 + c16 2𝜀12
σ22 = c21 𝜀11 + c22 𝜀22 + c23 𝜀33 + c24 2𝜀23 + c25 2𝜀13 + c26 2𝜀12

e inoltre, per l’iperelasticità del materiale, si ha


𝜕σ11 𝜕2Φ
= = c12
𝜕ε22 𝜕ε22 𝜕ε11
𝜕σ22 𝜕2Φ
= = c21
𝜕ε11 𝜕ε11 𝜕ε22

Per il teorema di Schwarz applicato alla funzione potenziale, otteniamo

𝜕2Φ 𝜕2Φ
= → c12 = c21
𝜕ε22 ε11 𝜕ε11 ε22

Possiamo quindi concludere che i moduli elastici a indici misti sono uguali tra loro e la matrice di
elasticità è quindi simmetrica nello scambio della coppia di indici.
Il tensore di elasticità possiede quindi anche una proprietà di simmetria nello scambio della coppia di
indici, detta simmetria maggiore:
𝐶𝑖𝑗ℎ𝑘 = 𝐶ℎ𝑘𝑖𝑗
Il numero dei moduli elastici richiesti per descrivere la risposta in un materiale elastico si riduce in
tal modo a 21; un materiale che possiede tali simmetrie è detto materiale anisotropo.

44
1.3.3 Simmetrie materiali
All’interno dei materiali che appartengono simultaneamente alle due classi di materiali di Cauchy e
di Green, possiamo individuare ulteriori sottoclassi di materiali la cui descrizione può essere
ricondotta ad un numero di moduli elastici inferiore a 21; questa riduzione avviene utilizzando
ulteriori proprietà di simmetria dette proprietà di simmetria fisica (ossia di comportamento
deformativo del materiale secondo direzioni privilegiate che vengono in genere assunte come sistema
di riferimento rispetto alle quali scrivere le equazioni costitutive).

Per la vasta portata applicativa, considereremo prima di tutto il caso del materiale isotropo.

Materiale isotropo
La più completa forma di simmetria si ha quando il materiale presenta stesso comportamento
deformativo in tutte le direzioni e un materiale di questo tipo è detto isotropo.
La caratterizzazione dei moduli elastici per un materiale isotropo può essere analiticamente condotta
attraverso l’introduzione di due semplici considerazioni:

1. se la proprietà di isotropia richiede che il materiale abbia stessa risposta alle azioni del carico in
ogni direzione, allora il potenziale elastico non deve dipendere dall’orientamento, quindi dovrà
essere funzione di quantità invarianti della deformazione rispetto al sistema di coordinate
prescelto:
1
𝐼ε = ε𝑖𝑖 𝐼𝐼ε = 2 (ε𝑖𝑖 ε𝑗𝑗 − ε𝑖𝑗 ε𝑗𝑖 ) 𝐼𝐼𝐼ε = det ε𝑖𝑗

Possiamo quindi scrivere la dipendenza funzionale del potenziale elastico da tali quantità:

Φ(ε𝑖𝑗 ) = Φ(𝐼ε , 𝐼𝐼ε , 𝐼𝐼𝐼ε )

2. se il materiale appartiene alla classe dei materiali di Cauchy, (legame tensioni-deformazioni di tipo
lineare), allora il potenziale elastico deve avere una forma quadratica nelle deformazioni (perché
la sua derivata prima rispetto alla deformazione deve fornire un legame lineare nelle
deformazioni), e quindi deve dipendere in modo opportuno solo dai primi due invarianti (il terzo
invariante ha forma cubica):

Φ(ε𝑖𝑗 ) ==A(ε11 + ε22 + ε33 )2 + 𝐵(ε11 ε22 + ε11 ε33 + ε22 ε33 − ε12 ε21 − ε13 ε31 − ε23 ε32 )

con A e B due costanti.

Queste due considerazioni ci consentono di scrivere in forma esplicita le equazioni di legame

𝜕Φ
σ11 = =
𝜕ε11
𝜕
= [𝐴(ε11 + ε22 + ε33 )2 + 𝐵 (ε11 ε22 + ε11 ε33 + ε22 ε33 − ε12 ε21 − ε13 ε31 − ε23 ε32 )] =
𝜕ε11
= 2𝐴(ε11 + ε22 + ε33 ) + 𝐵 (ε22 + ε33 ) = (2𝐴 + 𝐵)(ε11 + ε22 + ε33 ) − 𝐵ε11
……

45
𝜕
σ12 = [𝐴(ε11 + ε22 + ε33 )2 + 𝐵 (ε11 ε22 + ε11 ε33 + ε22 ε33 − ε12 ε21 − ε13 ε31 − ε23 ε32 )]
𝜕ε12
= −𝐵ε21
……
Introducendo le seguenti posizioni

2𝐴 + 𝐵 = 𝜆 − 𝐵 = 2𝜇

e ricordando la simmetria della matrice di deformazione, otteniamo:

σ11 = 2𝜇ε11 + 𝜆(ε11 + ε22 + ε33 ) σ12 = 2𝜇ε12

σ22 = 2𝜇ε22 + 𝜆(ε11 + ε22 + ε33 ) σ13 = 2𝜇ε13

σ33 = 2𝜇ε33 + 𝜆(ε11 + ε22 + ε33 ) σ23 = 2𝜇ε23

Le nuove costanti 𝜆 e 𝜇 sono dette costanti di Lamé e le equazioni trovate ci permettono di affermare
che in un materiale elastico lineare isotropo le costanti elastiche indipendenti necessarie per
descriverne la risposta sono solo due.
Le equazioni di legame per il materiale isotropo, dette equazioni di Lamè, sono quindi esprimibili
nella forma:
σ𝑖𝑗 = 2𝜇ε𝑖𝑗 + 𝜆𝛿𝑖𝑗 (ε𝑘𝑘 )
Le equazioni di legame inverse sono:
1 𝜆
ε𝑖𝑗 = (σ𝑖𝑗 − 𝛿 (σ ))
2𝜇 2𝜇 + 3𝜆 𝑖𝑗 𝑘𝑘
e richiedono di introdurre le seguenti due posizioni:

2𝜇 + 3𝜆 ≠ 0 e 𝜇≠0

Ridefinizione delle costanti


Le costanti di Lamè non si prestano a un’interpretazione fisica immediata. Nella pratica si preferisce
ridefinire le costanti elastiche introducendo: il modulo di Young E e il coefficiente di Poisson ν, legati
alle due costanti di Lamè dalle seguenti relazioni:

  2  3   E
E   G 
  2    2(1  )

In forma matriciale, riorganizzando in vettori colonna le componenti della matrice di deformazione


che quelle della matrice della tensione, possiamo scrivere:

46
 
11   
1
  0 0 0   11 
   E E E
  
    1  
 22     0 0 0   22 
   E E E
  
  
 33     
 1
0 0

0   33 
   E E E   
  
   0 1
0 0 0 0   23 
 23   G   
   
   0 1
0   13 
 13  
0 0 0
  
G   
   0 1  
 12  
G   12 
0 0 0 0

Introducendo la notazione usuale di indicare le componenti a indici misti con τ23, τ13, τ12 e ricordando
che 2ε12 =γ12, …e con considerazioni di tipo energetico è possibile dimostrare che i moduli elastici
devono avere le seguenti limitazioni teoriche:   0 ,  1    1 .
2
Nei casi usuali il coefficiente di Poisson è positivo per cui valgono le seguenti limitazioni pratiche:

 0 e 0   1
2

(Controesempi sono lo zinco e il sughero che hanno coefficente di Poisson negativo).


I due casi estremi corrispondono alla descrizione dei seguenti due tipi di materiali:

 0   12
materiale inestensibile materiale incomprimibile (ad esempio le gomme)

Significato fisico dei moduli elastici


Per il caso isotropo, i moduli elastici introdotti hanno un significato fisico ben preciso e possono
essere studiati considerando stati di tensione particolari, comunemente utilizzati in laboratorio per
testare i materiali.

Semplice tensione
Consideriamo un semplice test di trazione su un provino come rappresentato in Figura; assumendo x1
come direzione della trazione imposta, lo stato di tensione ha la forma

σ 0 0
[σ𝑖𝑗 ] = [0 0 0]
0 0 0

Usando le equazioni costitutive per materiale isotropo, le deformazioni


corrispondenti sono

47
σ
0 0
𝐸
𝜈
[𝜀𝑖𝑗 ] = 0 − σ 0
𝐸
𝜈
[0 0 − σ]
𝐸

Il modulo di Young 𝐸 = σ/ε è quindi il rapporto tra la trazione (o compressione) che si applica
all’elemento e l’allungamento (o accorciamento) percentuale che esso subisce nella direzione della
azione applicata; E ha quindi la stessa unità di misura della tensione.
Poiché ε22 = ε33 = −𝜈ε11 , il fattore di Poisson è il rapporto tra la contrazione (o distensione)
trasversale e l’allungamento (o accorciamento) longitudinale; 𝜈 è una quantità adimensionale.

Puro taglio
Consideriamo un semplice test che induce sul provino puro taglio come rappresentato in Figura; la
presenza di un’azione torcente sulle basi porta a uno stato di tensione nella seguente forma:

0 τ 0
[σ𝑖𝑗 ] = [ τ 0 0]
0 0 0

e la deformazione associata è

𝜏
0 0
2𝜇
[𝜀𝑖𝑗 ] = [ 𝜏 0 0]
2𝜇
0 0 0

Il modulo di taglio 𝜇 (o G) è quindi il rapporto tra lo sforzo di taglio che si applica a un elemento
unitario e lo scorrimento angolare che esso subisce; è una quantità che ha la stessa dimensione della
tensione. Nella figura che segue sono rappresentate le deformazioni corrispondenti alle due quantità:
componente del tensore di deformazione a indici misti e scorrimento angolare.

𝜎12
ε12 =
2𝜇
deformazione a scorrimento

𝜎12 𝜎12
𝜇= =
2ε12 γ12

𝛾12
ε12 =
2

deformazione tensoriale

48
Compressione idrostatica
Come ultimo esempio consideriamo il caso di un provino sottoposto a compressione uniforme nelle
tre direzioni come in figura, detto stato di compressione (o trazione) idrostatica.
Lo stato di tensione è descritto dalla seguente matrice:

−𝑝 0 0
[σ𝑖𝑗 ] = [ 0 −𝑝 0 ] = −𝑝𝛿𝑖𝑗
0 0 −𝑝

e la deformazione

1 − 2𝜈
− 𝑝 0 0
𝐸
1 − 2𝜈
[𝜀𝑖𝑗 ] = 0 − 𝑝 0 = −𝑝𝛿𝑖𝑗
𝐸
1 − 2𝜈
[ 0 0 − 𝑝]
𝐸

Ricordiamo che la traccia della matrice di deformazione fornisce la variazione volumetrica del
cubetto di figura per cui:

3(1 − 2𝜈)
ε𝑘𝑘 = − 𝑝
𝐸

La quantità
𝐸
𝑘=
3(1 − 2𝜈)

è il modulo di elasticità volumetrico (compressibilità o dilatazione) e rappresenta il rapporto tra la


pressione applicata e la sua variazione volumetrica ( rigidezza volumetrica del materiale).
Intuitivamente possiamo ritrovare una delle limitazioni sul coefficiente di Poisson osservando che, se
vogliamo che a uno sforzo uniforme di trazione corrisponda un aumento di volume, allora dovrà
risultare

1
1 − 2𝜈 > 0 → 𝜈<
2

49
Principali legami anisotropi
L’assunzione di isotropia implica che la risposta del materiale in un punto sia uguale in tutte le
direzioni e che se un materiale isotropo è soggetto a uno sforzo assiale in una direzione, la
deformazione più significativa avviene nella direzione del carico applicato. In altri termini possiamo
dire che lo sforzo di taglio causa solo deformazioni a taglio e che tensioni e deformazioni normali
non sono accoppiati con deformazioni e tensioni tangenziali.

In un materiale anisotropo abbiamo visto che la tensione in una delle direzioni principali può dar
luogo a deformazioni laterali in una delle altre direzioni principali e che tale deformazione può essere
minore o maggiore della deformazione nella direzione del carico applicato; le costanti elastiche che
descrivono tale comportamento sono 21 determinando l’accoppiamento tra tutte le deformazioni e
tutte le tensioni.
Alcuni materiali presentano simmetrie di comportamento che riducono il numero delle costanti; tra
questi riportiamo i legami costitutivi che descrivono il comportamento del materiale ortotropo e
trasversalmente isotropo.

Un materiale è detto ortotropo se il suo comportamento è simmetrico rispetto a tre piani mutuamente
ortogonali, le cui normali sono dette direzioni principali del materiale o assi di ortotropia del
materiale.

La condizione che il legame risulti invariante rispetto a rotazioni di 180° rispetto a tali assi stabilisce
alcune relazioni tra le costanti che portano alla seguente forma della matrice di elasticità:

Compaiono dunque dodici costanti elastiche di cui solo nove sono indipendenti (ricordiamo che
l’ipotesi di iperelasticità implica la simmetria della matrice elastica). Valgono quindi le seguenti
relazioni:

50
Per comprendere meglio la differenza tra il comportamento deformativo di materiale anisotropo
rispetto a quello ortotropo pensiamo all’applicazione di un carico di trazione su un elemento di forma
prismatica. Nel caso di materiale anisotropo il carico produce deformazioni e scorrimenti variabili
lungo tutti i lati dell’elemento (a) e ciò si verifica indipendentemente dalla particolare direzione di
applicazione del carico. Se invece il materiale è ortotropo, allora esistono tre direzioni mutuamente
ortogonali rispetto alle quali l’applicazione di uno sforzo di trazione in tali direzioni produce, come
per un materiale isotropo, una deformazione costante senza distorsioni nei piani da queste individuate
(b). Tali tre direzioni vengono denominate direzioni principali del materiale o anche direzioni di
simmetria o assi naturali del materiale. Attenzione che se il carico non è diretto secondo tali assi
principali allora si ha accoppiamento tra le deformazioni.

(a) (b)

Alcuni materiali naturali come ad esempio il legno o in generale i materiali compositi rientrano in
questa classe di materiali (ortotropia naturale o intrinseca); tuttavia, anche elementi strutturali
realizzati con materiali isotropi possono essere descritti da un legame anisotropo perché presentano
una risposta strutturale differente in diverse direzioni. Parliamo in tal caso di ortotropia strutturale.

Un esempio può essere fornito dalle travate nei moderni ponti in acciaio che possono essere modellati
come piastre ortotrope per la presenza di irrigidimenti posti a distanza sufficientemente ravvicinata.
E’ possibile modellare la piastra con un legame costitutivo omogeneo ortotropo avente come direzioni
principali le direzioni degli irrigidimenti.

Un materiale ortotropo che presenti simmetria completa intorno ad un asse principale (ad esempio
l’asse x3) è detto trasversalmente isotropo; in altri termini presenta comportamento isotropo nel piano
x1-x2. Le costanti elastiche indipendenti si riducono in tal caso a cinque.
Tale modello costitutivo descrive adeguatamente il comportamento di alcuni materiali compositi
(multistrati o legno lamellare) in cui l’isotropia nel piano è progettata conferendo ai singoli strati
orientazioni opportune.

51
Esempio 3.1
Una piastra di acciaio (E=207GPa, =0.29) di forma rettangolare e con spessore di 4 mm è soggetta
ad uno stato di tensione biassiale uniforme; scegliendo un sistema di coordinate (x,y,z) come
rappresentato in figura, determinare la deformazione della piastra e il coefficiente di variazione
volumetrica.

Soluzione
L’utilizzo delle equazioni di legame per materiale isotropo consente di determinare numericamente
le componenti di deformazione:

 xx  0.0546 103 ,  yy  0.117 103 ,  zz  0.0701103 ,

Conoscendo le dimensioni iniziali dell’elemento, possiamo determinare l’incremento di lunghezza


dei lati dell’elemento per effetto dello stato tensionale applicato lungo le tre direzioni:

 x   xx 300mm  0.016mm,  y = yy 200mm  0.023mm,  z = zz 4mm  0.00028mm

Il coefficiente di variazione volumetrica è fornito dalla traccia della matrice di deformazione:

 xx + yy + zz =0.00010  0.01% 

Esempio 3.2
Ricavare l’equazione costitutiva di Lamè nella sua forma inversa.

σ𝑖𝑗 = 2𝜇ε𝑖𝑗 + 𝜆𝛿𝑖𝑗 ε𝑘𝑘


Soluzione
Calcoliamo la traccia ponendo i=j:
tr σ = σ𝑖𝑖 = 2𝜇ε𝑖𝑖 + 3𝜆ε𝑖𝑖

σ𝑖𝑖 = (2𝜇 + 3𝜆)ε𝑖𝑖

1
ε𝑖𝑖 = σ𝑖𝑖
2𝜇 + 3𝜆
e sostituisco nella espressione iniziale:

𝜆
σ𝑖𝑗 = 2𝜇ε𝑖𝑗 + ( 𝛿𝑖𝑗 σ𝑘𝑘 )
2𝜇 + 3𝜆
Da cui
1 𝜆
ε𝑖𝑗 = [σ𝑖𝑗 − ( 𝛿𝑖𝑗 σ𝑘𝑘 )]
2𝜇 2𝜇 + 3𝜆

52
Esempio 3.3
In una piastra di alluminio inizialmente scarica di lato l=375 mm e spessore t=19 mm è inciso un
cerchio di diametro d=225 mm. In seguito, si applicano forze agenti nel piano della piastra tali da
causare il seguente stato di tensione:

 xx  84 MPa  yy  140 MPa


si assuma: E=70 GPa e  =1/3

a) determinare l’allungamento dei diametri AB (lungo x) e CD (lungo y);


b) la riduzione dello spessore e il coefficiente di variazione volumetrica della piastra.

Soluzione
a) la variazioni di lunghezza del diametro AB (lungo x) e quella del diametro CD (lungo y) si
ottengono calcolando le deformazioni tramite le equazioni costitutive:

 xx 
1
E
 
 xx   yy   zz  , ,...   xx  0.533103 ,

 yy  1.600 103 ,  zz  1.0673103


 AB = xx d  0.12mm,  CD = yy d  0.4mm

b) la variazione dello spessore e la variazione di volume della piastra si ottengono calcolando


rispettivamente l’accorciamento (in tal caso) in direzione z e la traccia della matrice della
deformazione:
 t   zz t  0.02 mm
 xx   yy   zz  0.00106 (0.1%)

Esempio 3.4
Considerando singolarmente i casi di semplice tensione e puro taglio, scrivere le corrispondenti
forme del tensore delle deformazioni e valutare numericamente lo stato deformativo assumendo i
dati sotto riportati:

a) alluminio con i seguenti stati tensionali:  =150 MPa  =75 MPa


b) acciaio con i seguenti stati tensionali:  =300 MPa  =150 MPa
c) gomma con i seguenti stati tensionali:  =15 MPa  =7 MPa

Soluzione
Utilizzando la notazione matriciale svolgiamo l’esercizio solo per i dati del caso a), lasciando allo
studente lo sviluppo dei conti e il confronto tra i risultati ottenuti.
 1 
 68.9 150 0 0 
150 0 0   
0.34
σij    0 0 0  MPa ij    0 150 0  103
   68.9 
 0 0 0   
 0 0.34
0 150 
 68.9 

53
Esempio 3.5
Rappresentare il campo di tensione e di deformazione di un blocco di acciaio di lati 80x40x60 mm
soggetto a una pressione idrostatica p=180MPa; inoltre, determinarne il coefficiente di variazione
volumetrica.

E=200GPa  =0.29

Soluzione :
 180 0 0 
σij    pI   0 180 0 

 0 0 180 

 xx   yy   zz  0.00073 (0.07%)

Esempio 3.6
In un punto di una struttura di acciaio si hanno le seguenti deformazioni:

 xx  0.30%  yy  0.068%  zz  0.038%


 xy  0.050%  xz   zy  0

Calcolare gli sforzi corrispondenti attraverso il legame isotropo.

Soluzione
Utilizzando le equazioni di legame otteniamo i seguenti valori delle tensioni corrispondenti:

 xx  118.8MPa,  yy  179.1MPa,  zz  11.1MPa,  xy  39.6 MPa,  xz   yz  0


n.b. : tutte le tensioni sono di trazione anche se le dilatazioni sono tutte positive!

54
1.4 Formulazione del problema elastico
Quanto esposto nelle sezioni precedenti permette ora di formulare completamente il cosiddetto
problema elastico lineare (p.e.) attraverso un numero di equazioni pari al numero delle incognite del
problema. Alcune equazioni si presentano in forma finita (legame) e altre sono invece in forma
differenziale (congruenza ed equilibrio); per ottenere la completa formulazione del problema occorre
introdurre a questo punto le informazioni valide sui punti della frontiera, dette condizioni al contorno,
in modo tale da determinare, da un lato, le costanti d’integrazione che derivano dalla risoluzione del
problema differenziale e d’altro lato di introdurre l’azione dei carichi e dei vincoli che fino ad ora
non compaiono nelle equazioni formulate.

1.4.1 Condizioni al contorno


Le condizioni sul bordo del corpo continuo possono essere assegnate in due modi: globale o puntuale.
L’assegnazione di informazioni di tipo globale consiste nel fornire dei valori integrali sulle forze o
sugli spostamenti applicati sulla frontiera o su porzioni della frontiera stessa. Sono modi di
assegnazione che meglio riflettono le situazioni che si possono incontrare nella pratica tuttavia
portano alla perdita di unicità della soluzione del p.e. Infatti, allo stesso problema di equilibrio
corrisponde un intera classe di soluzioni dette equipollenti, che hanno stesso dato risultante sul bordo.

Le condizioni sul bordo di tipo puntuale forniscono il valore funzione (forza superficiale o
spostamento) nei punti della frontiera stessa; tale condizione di assegnazione dei dati permette di
determinare la soluzione del problema elastico corrispondente (teorema di unicità).
In questo ultimo caso il problema di equilibrio da analizzare può presentare differenti tipi di
assegnazione del dato sul contorno:
1) sulle forze (possono essere nulle o diverse da zero): si assegna il valore delle forze distribuite sulla
frontiera;
2) sugli spostamenti: si assegna il valore degli spostamenti sull’intera frontiera;
3) mista: si assegna il valore degli spostamenti e delle forze distribuite in regioni complementari
della frontiera;
4) di contatto: in una porzione della frontiera sono presenti contemporaneamente informazioni sulle
forze, in direzione tangente al contorno e, sugli spostamenti in direzione normale alla stessa
porzione di frontiera. La restante parte di frontiera può presentare condizioni al contorno dei tre
tipi precedentemente descritti.

55
Determinare le diverse modalità di assegnazione delle condizioni al contorno per i problemi
illustrati nelle figure che seguono, indicando con p le forze distribuite in modo uniforme (A e B) o
il valore massimo della forza distribuita (C).

(B)
(A)

(C)
(D)
Descrivere le condizioni di interfaccia nel materiale composito rappresentato in figura (A) e le
condizioni sull’asse di simmetria del solido di figura (B).

(A) (B)
56
1.4.2 Equazioni di campo del problema elastico
Riportiamo ora in modo sintetico l’insieme dei dati, delle incognite e delle equazioni che portano alla
completa formulazione del problema elastico.

Dati: geometria
condizioni al contorno di tipo puntuale,
materiale elastico omogeneo isotropo (moduli elastici)

Incognite: spostamento, deformazione e tensione in ogni punto interno del corpo:


[𝑢𝑖 , ε𝑖𝑗 , σ𝑖𝑗 ]

Equazioni Equilibrio Congruenza Legame

1
σ𝑖𝑗,𝑗 + 𝑏𝑖 = 0 𝜀𝑖𝑗 = 2 (𝑢𝑖,𝑗 + 𝑢𝑗,𝑖 ) σ𝑖𝑗 = 2𝜇ε𝑖𝑗 + 𝜆𝛿𝑖𝑗 (ε𝑘𝑘 )

σ𝑖𝑗 𝑛𝑗 = 𝑠𝑖 𝑢𝑖 = 𝑢̅𝑖 𝜇𝑒𝜆

Ricordiamo che la linearità (geometrica e fisica) del problema elastico formulato consente di
introdurre la proprietà di additività delle soluzioni elastiche o principio di sovrapposizione degli
effetti. Tale proprietà consente di studiare problemi più complessi come somma di problemi più
semplici. Come rappresentato ad esempio in figura, lo stato di tensione di una piastra con condizioni
di carico biassiale (1)+(2) può essere studiato come somma di due problemi (1) e (2) ognuno dei quali
presenta condizione di carico uniassiale.

La completa formulazione del problema elastico avviene nella prima metà dell’800; dal 1836 (Green
completa le formulazione del problema in termini energetici) in poi l’interesse dei matematici è
rivolto alla caratterizzazione della buona posizione del problema elastico (esistenza, unicità e stabilità
della soluzione). Dal punto di vista applicativo l’interesse di molti studiosi è invece rivolto all’utilizzo
del modello elastico formulato per determinare soluzioni esplicite in grado di descrivere “problemi
reali”. L’obiettivo era soprattutto quello di fornire strumenti operativi di facile applicazione nelle
fasi di progettazione dei manufatti (ponti, edifici, navi, aerei,…).
Nascono quindi classi di soluzioni elastiche che, spesso, si basano su strategie di soluzione suggerite
dall’osservazione del fenomeno fisico; alcune di esse portano allo sviluppo di soluzioni approssimate
(in genere più semplici da utilizzare nelle applicazioni) e permettono la definizione di modelli elastici
semplificati quali i modelli strutturali.
Infine, alcune soluzioni della teoria classica dell’elasticità sono state il punto di partenza per lo
sviluppo di intere teorie meccaniche, si pensi ad esempio alla meccanica della frattura (Williams,
Kirsch,…) o alla meccanica del contatto (Boussinesq, Hertz,…).

57
1.4.3 Formulazione in termini di spostamenti e di tensioni (Navier, Beltrami-Michell).
Nella ricerca della soluzione di un problema elastico può essere a volte conveniente, in base alla
forma o le condizioni al contorno del corpo, ridurre il numero delle equazioni differenziali da
risolvere, scrivendo direttamente le equazioni di campo del problema elastico in termini di
spostamento (formulazione negli spostamenti) o in termini di tensioni (formulazione nelle forze). Il
numero di equazioni da risolvere in tal modo si riduce ma aumenta l’ordine di derivazione delle PDE.

Formulazione negli spostamenti.


In tale formulazione l’incognita delle equazioni differenziali da risolvere è il campo di spostamento;
le equazioni di campo si ottengono scrivendo le equazioni di equilibrio in termini di spostamento. Le
equazioni di legame espresse in termini di spostamento tramite la congruenza sono

σ𝑖𝑗 = 2𝜇ε𝑖𝑗 + 𝜆𝛿𝑖𝑗 (ε𝑘𝑘 ) = 𝜇(𝑢𝑖,𝑗 + 𝑢𝑗,𝑖 ) + 𝜆𝛿𝑖𝑗 𝑢𝑘,𝑘

che, sostituite nelle equazioni indefinite di equilibrio forniscono

σ𝑖𝑗,𝑗 + 𝑏𝑖 = 𝜇(𝑢𝑖,𝑗 + 𝑢𝑗,𝑖 ),𝑗 + 𝜆𝛿𝑖𝑗 𝑢𝑘,𝑘𝑗 + 𝑏𝑖 = 0

Ridenominando gli indici sommati, possiamo riscrivere l’equazione di equilibrio nella forma:

𝜇𝑢𝑖,𝑗𝑗 + (𝜆 + 𝜇)𝑢𝑗,𝑗𝑖 + 𝑏𝑖 = 0

detta equazioni di Navier. Si tratta di tre equazioni che, in termini delle costanti elastiche G e 𝜈
diventano
1 𝑏𝑖
𝑢𝑖,𝑗𝑗 + 𝑢𝑗,𝑗𝑖 + = 0
1 − 2𝜈 𝐺

In notazione assoluta possiamo anche scrivere

𝜇∇2 𝒖 + (𝜆 + 𝜇)𝑔𝑟𝑎𝑑 𝑑𝑖𝑣 𝒖 + 𝒃 = 0

dove ∇2 è l’operatore di Laplace. Risolte le equazioni e quindi determinato il campo di spostamento,


attraverso le equazioni di congruenza si ottengono le deformazioni e quindi le tensioni tramite le
equazioni di legame.
Se il problema elastico da risolvere presenta condizioni al contorno negli spostamenti può essere
opportuno esprimere le equazioni del problema elastico da risolvere in termini di spostamenti.

Formulazione nelle tensioni.


La scrittura delle equazioni in termini di tensioni richiede di esprimere legame e congruenza in termini
di tensione. Alle equazioni di equilibrio, già scritte in termini di tensione, si associano le equazioni
di compatibilità interna
𝜀𝑖𝑗,𝑘𝑙 + 𝜀𝑘𝑙,𝑖𝑗 = 𝜀𝑖𝑘,𝑗𝑙 + 𝜀𝑗𝑙,𝑖𝑘

scritte in termini di tensioni tramite il legame costitutivo:

58
1+𝜈 𝜈
ε𝑖𝑗 = [σ𝑖𝑗 − 𝛿 (σ )]
𝐸 1 + 𝜈 𝑖𝑗 𝑚𝑚
Ricordiamo che le sei equazioni significative di congruenza possono essere ottenute ponendo l=k per
cui termini di tensioni assumono la forma

𝜈
σ𝑖𝑗,𝑘𝑘 + σ𝑘𝑘,𝑖𝑗 − σ𝑖𝑘,𝑗𝑘 − σ𝑗𝑘,𝑖𝑘 = (σ 𝛿 + σ𝑚𝑚,𝑖𝑗 𝛿𝑘𝑘 − σ𝑚𝑚,𝑗𝑘 𝛿𝑖𝑘 − σ𝑚𝑚,𝑖𝑘 𝛿𝑗𝑘 )
1 + 𝜈 𝑚𝑚,𝑘𝑘 𝑖𝑗

Se introduciamo l’equazione di equilibrio σ𝑖𝑗,𝑗 = −𝑏𝑖 e ricordiamo che 𝛿𝑘𝑘 = 3, otteniamo tale
espressione:
1 𝜈
σ𝑖𝑗,𝑘𝑘 + σ𝑘𝑘,𝑖𝑗 = σ 𝛿 − 𝑏𝑖,𝑗 − 𝑏𝑗,𝑖
1+𝜈 1 + 𝜈 𝑚𝑚,𝑘𝑘 𝑖𝑗

Possiamo ancora elaborare il secondo membro calcolando la traccia della precedente espressione
(ponendo i=j):
1+𝜈
σ𝑖𝑖,𝑘𝑘 = − 𝑏
1 − 𝜈 𝑖,𝑖

e sostituendo tale espressione in modo tale da ottenere le espressioni finali:

1 𝜈
σ𝑖𝑗,𝑘𝑘 + 1+𝜈 σ𝑘𝑘,𝑖𝑗 = − 1−𝜈 𝛿𝑖𝑗 𝑏𝑘,𝑘 − 𝑏𝑖,𝑗 − 𝑏𝑗,𝑖 .

Queste relazioni sono dette equazioni di compatibilità di Beltrami-Michell. Nel caso di forze di
volume nulle otteniamo
1
σ𝑖𝑗,𝑘𝑘 + σ =0
1 + 𝜈 𝑘𝑘,𝑖𝑗
Le sei relazioni ottenute, combinate con le tre equazioni di equilibrio, permettono di formulare il
problema nelle tensioni. Si noti che il calcolo della traccia delle equazione di Beltrami fornisce un
importante risultato della soluzione del problema elastico: in assenza di forze di volume il laplaciano
della traccia del tensore delle tensioni è sempre nulla.

59
1.4.5 Strategie di soluzione del problema elastico (Boundary Value Problems (BVP)).
Per trovare la soluzione analitica del problema elastico possiamo distinguere tre metodi di soluzione:
diretto, inverso e semi-inverso.

Metodo diretto. La soluzione cercata si ottiene integrando direttamente le equazioni di campo del
problema e le condizioni al contorno imposte per determinare le costanti di integrazione, sono
soddisfatte esattamente. Tale metodo in genere incontra notevoli difficoltà di tipo matematico e la
sua applicazione è limitata a problemi “semplici”.

Metodo inverso. Si assume un campo di spostamento o tensione che soddisfa le equazioni di campo
e, attraverso le condizioni sul bordo, si ricerca il problema specifico che può essere descritto dalla
soluzione assunta. Gli esempi di soluzione di questo tipo sono limitati e spesso di scarso interesse
applicativo.

Metodo semi-inverso. Tale metodo si avvale dell'assegnazione a priori di alcune proprietà della
soluzione suggerite dalla forma del solido e dalle condizioni sul bordo. La maggior parte delle
soluzioni elastiche di importanza applicativa sono ottenute attraverso tale metodo (Saint-Venant,
problemi piani,..). Spesso tali soluzioni comportano restrizioni sui dati al bordo.

Una più completa trattazione del problema elastico richiederebbe le dimostrazioni dei teoremi di
esistenza e unicità della soluzione; per tali aspetti rimandiamo a testi classici di Scienza delle
Costruzioni tale completamento.

1.4.6 Metodi di soluzione analitici e numerici


Numerosi metodi di soluzione analitica sono stati utilizzati per risolvere le equazioni differenziali alle
derivate parziali (PDE) delle equazioni di campo del problema elastico (serie di potenze, Fourier,
trasformate integrali, variabile complessa, ..).

Di fronte alle difficoltà matematiche di trovare, da un lato soluzioni analitiche esatte per problemi
specifici e dall’altro, soluzioni di facile utilizzo ai fini applicativi, a partire dagli anni ’50 lo sviluppo
dei metodi numerici ha giocato un ruolo fondamentale soprattutto nella determinazione di soluzioni
di problemi elastici con geometria complessa. Tra questi ricordiamo il metodo alle differenze finite
(FDM), degli elementi finiti (FEM) e agli elementi di contorno (BEM).
Per quanto riguarda gli aspetti energetici connessi al problema elastico, per la notevole importanza
che tale argomento ha anche sotto il profilo della determinazione di soluzioni numeriche, tale
argomento verrà sviluppato nel capitolo relativo al metodo agli elementi finiti.

60

Potrebbero piacerti anche