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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA

DIPARTIMENTO DI FISICA NUCLEARE E TEORICA

FISICA DELLE RADIAZIONI IONIZZANTI

SAVERIO ALTIERI

AA 2013-2014
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CAPITOLO 1

1 Campo di radiazioni e grandezze radiometriche

Si definisce radiazione ionizzante qualsiasi tipo di radiazione in grado di


produrre, per via diretta o indiretta, la ionizzazione degli atomi o delle molecole del
mezzo attraversato. Sono direttamente ionizzanti le particelle cariche, ad esempio
protoni, elettroni, particelle alfa, la cui energia cinetica eguaglia o supera l’energia di
ionizzazione degli atomi del mezzo; neutroni e fotoni rientrano invece nella categoria
delle radiazioni indirettamente ionizzanti, poiché, interagendo con la materia,
possono liberare particelle cariche, che a loro volta produrranno ionizzazione.

Si definisce campo di radiazione una regione dello spazio attraversata da


radiazione.

Il campo di radiazioni può essere descritto attraverso “grandezze non stocastiche”


associate al valore di aspettazione di “grandezze stocastiche”
Una quantità stocastica ha le seguenti caratteristiche:

a) il suo valore è casuale, perciò non può essere predetto. Tuttavia, la probabilità che
assuma un particolare valore è prevedibile sulla base di una distribuzione di
probabilità.
b) E’ definita solo su domini finiti, e non infinitesimi; poiché i suoi valori variano in
modo discontinuo nello spazio e nel tempo, non ha significato parlare del gradiente
o della velocità di variazione di una grandezza stocastica.
c) In linea di principio, il suo valore può essere misurato con un errore
arbitrariamente piccolo.
d) Il valore di aspettazione di una quantità stocastica è il valore medio delle sue
misure quando il numero delle osservazioni tende all’infinito.

Una grandezza non stocastica, invece, ha queste caratteristiche:

a) Una volta fissate le condizioni, il suo valore può essere predetto da calcoli.
b) E’ una funzione continua e differenziabile nello spazio e nel tempo, perciò è
definita anche per volumi infinitesimali. Inoltre, il suo gradiente e la sua velocità di
cambiamento sono anch’esse grandezze non stocastiche.
c) Una grandezza stocastica viene collegata ad una non stocastica attraverso il valore
di aspettazione della prima.

Nel contesto delle radiazioni ionizzanti vengono definite delle grandezze non
stocastiche che fanno riferimento a grandezze stocastiche e al loro valore di
aspettazione.
Fluenza di particelle (non stocastica)

Un modo semplice per descrivere il campo di radiazione è quello di contare il numero


di particelle presenti in ogni punto istante per istante. In realtà fissato un generico
punto P dello spazio si considera una sfera di centro P, raggio finito r e di sezione
massima dA (fig. 1).

Fig.1 Parametri per descrivere un campo di radiazione nell’intorno del punto P

Consideriamo il numero di particelle che attraversano una sfera finita in un intervallo


di tempo finito; il valore di aspettazione N di questo numero, diviso per dA viene
associato ad una grandezza non stocastica: la fluenza.

Se dN è il numero di particelle che attraversano la sfera in un intervallo di tempo dt,


si definisce la grandezza

dN
Φ= ( m-2 )
dA

che ha le dimensioni dell’inverso di una superficie (m-2 ) e prende il nome di fluenza.

Rateo di fluenza (flusso) di particelle

Derivando la fluenza rispetto al tempo, si definisce il rateo di fluenza o densità di


flusso (spesso chiamato semplicemente flusso)

dΦ d dN
ϕ= = (m-2 s-1)
dt dt dA

che ha le dimensioni di m-2 s-1 e rappresenta il numero di particelle che, nell’unità di


tempo, passano attraverso la superficie sferica S definita intorno a P.
Fluenza di energia

Se, invece che al numero di particelle, siamo interessati all’energia che attraversa la
superficie S considerata, indichiamo con R il valore di aspettazione dell’energia totale
trasportata dalle N particelle (esclusa quella associata alle masse a riposo); si può
definire, analogamente alla fluenza di particelle, la fluenza di energia

dR
Ψ= (J m-2)
dA
espressa in J m-2. Nel caso particolare di particelle monoenergetiche di energia E,
risulta
R = N ⋅ E (J)
e quindi
dR dN
Ψ= =E = EΦ (J m-2)
dA dA

Rateo di fluenza (flusso) di energia

Derivando la Ψ rispetto al tempo si può definire il rateo di fluenza di energia o la


densità di flusso di energia

dΨ d dR
ψ = = (J m-2 s-1)
dt dt dA
1.1 Distribuzioni differenziali
Le grandezze precedenti non tengono conto del fatto che le particelle che attraversano
la sfera possono avere una certa distribuzione in energia e che il campo di radiazioni
può essere anisotropo.

Fig. 2 Elemento di angolo solido in un sistema di coordinate polari

Vengono perciò definite le distribuzioni differenziali in funzione dell’energia e degli


angoli di incidenza (polare θ e azimutale β): ψ ' (θ , β , E ) per la densità di fluenza di
energia e ϕ ' (θ , β , E ) per la densità di fluenza di particelle. Esse sono definite in modo
tale che ϕ ' (θ , β , E )dΩdE , per esempio, rappresenti il numero di raggi con energia
compresa fra E ed E+dE, che passano attraverso l’elemento di angolo solido dΩ ad
un dato θ e ad un dato β, prima di colpire la piccola sfera posta intorno a P, per unità
di area del cerchio massimo della sfera. Da queste distribuzioni differenziali si
possono ottenere quelle integrali definite prima, integrandole su tutto l’angolo solido
e su tutto lo spettro energetico:

π 2π Emax
ψ = ∫ dθ ∫ dβ ∫ ψ ' ( E,θ , β ) sin θ dE
0 0 0
π 2π Emax
ϕ = ∫ dθ ∫ dβ ∫ ϕ ' ( E ,θ , β ) sin θ dE
0 0 0

1.2 Definizione alternativa di fluenza


Chilton ha dimostrato la validità di una definizione alternativa di fluenza, ossia:

La fluenza in un punto P è numericamente uguale al valore di aspettazione della


somma delle lunghezze di traccia (assunte rettilinee) che si verificano in un volume
infinitesimo dV intorno a P, diviso per il volume stesso dV.

Questa affermazione è valida per un qualsiasi tipo di campo (anche non isotropo) e
per una qualsiasi forma del volume considerato. Questo risulta estremamente utile nei
calcoli della fluenza con metodo Monte Carlo.
2. Sezione d’urto

L’interazione della radiazione con la materia viene descritta per mezzo della sezione
d’urto.

Consideriamo un fascio di particelle monoenergetiche diretto perpendicolarmente


verso un bersaglio di spessore x (abbastanza piccolo da poter considerare constante
l’intensità del fascio in tutto lo spessore) di cui colpisce una sezione S, e che contiene
n nuclei al cm3. Sia I l’intensità del fascio, ossia il numero di particelle che in ogni
secondo colpiscono l’unità di superficie del bersaglio. Si trova che il rate di reazioni,
ossia il numero di reazioni per unità di tempo che si verificano nel bersaglio è
proporzionale all’intensità del fascio I, alla densità nucleare n e al volume del
bersaglio colpito. Ossia:
Numero di reazioni al secondo ∝ I ⋅ n ⋅V = I ⋅ n ⋅ S ⋅ x
Numero di reazioni al secondo = σ ⋅I ⋅n⋅S ⋅ x
La costante di proporzionalità σ è detta sezione d’urto del processo considerato. Dalla
relazione precedente si può scrivere

Numero di reazioni al secondo


σ=
I ⋅n⋅S ⋅ x
Essendo n ⋅ S ⋅ x = nV il numero totale di nuclei contenuti nel bersaglio, la sezione
d’urto rappresenta il numero di reazioni che si verificano nell’unità di tempo quando
un fascio di intensità unitaria colpisce un bersaglio che contiene un solo nucleo per
unità di volume. Inoltre osserviamo che il rapporto fra il numero di reazioni per unità
di tempo che si verificano in tutto il bersaglio e il numero di particelle al secondo che
colpiscono l’intero bersaglio rappresenta la probabilità per unità di tempo che si
verifichi una reazione nella zone del bersaglio colpita dal fascio. Questo rapporto può
essere scritto tramite la sezione d’urto come
σ ⋅I ⋅n⋅S ⋅ x σ σ
= n⋅S ⋅ x = n ⋅V
I ⋅S S S
e ricordando che nV è il numero totale di nuclei nel bersaglio, la quantità σ/S
rappresenta proprio, per ogni nucleo situato nella zona del bersaglio investito dal
fascio, la probabilità per unità di tempo che quel nucleo interagisca con una
particella incidente, e la σ può essere interpretata coma la superficie efficace offerta
da un singolo nucleo per quella data interazione. Chiaramente la σ ha le dimensioni
di una superficie; viene misurata in m2 e una unità speciale comunemente usata è il
barn
1 barn = 10 −24 cm 2
La sezione d’urto appena definita viene chiamata sezione d’urto microscopica; viene
inoltre definita una sezione d’urto macroscopica come

Σ = nσ cm-3cm2 = cm-1

dove n è uguale al numero di nuclei per unità di volume del materiale considerato; Σ
ha le dimensioni dell’inverso di una lunghezza e rappresenta la probabilità per unità
di lunghezza che la particella subisca un’interazione mentre attraversa un materiale di
data sezione d’urto macroscopica; il suo inverso rappresenta la distanza media
percorsa dalla particella prima di subire un’interazione.

3. Coefficiente di attenuazione

Consideriamo un fascio monocromatico di fotoni incidente perpendicolarmente sulla


superficie di un materiale omogeneo di spessore L, come è schematizzato in figura 3.

Figura 3 Attenuazione esponenziale semplice

Indicando con μ la probabilità che una particella interagisca in uno spessore unitario,
la probabilità che l’interazione si verifichi nel tratto dl è μ⋅dl; e se N è il numero di
particelle incidenti su uno strato di spessore dl, in dl interagiranno un numero di
particelle dN dato da:

dN = μdl ⋅ N

La variazione subita dal fascio in un tratto dl, se ogni particella che interagisce in dl
viene eliminata dal fascio, è data da

dN
= − μ ⋅ dl
N
E, quindi, la variazione su un tratto finito di spessore L, se indichiamo con N0 le
particelle in ingresso e con NL quelle in uscita, è dato da

NL dN L
∫N0 N
= − ∫ μ ⋅dl
0

N L = N 0 e − μL

Il coefficiente μ è espresso in m-1 o in cm-1 ed è chiamato coefficiente di


attenuazione lineare; esso è equivalente alla sezione d’urto macroscopica Σ = nσ
definita prima dove n è uguale al numero di bersagli per unità di volume del materiale
considerato e σ sezione d’urto microscopica del processo in esame. L’inverso del
coefficiente di attenuazione (come nel caso della sezione d’urto macroscopica), ha le
dimensioni di una lunghezza, è detto libero cammino medio delle particelle primarie
ed esprime la distanza media che una particella percorre nel mezzo prima di subire
un’interazione.
Nell’ipotesi che la particella possa subire vari processi d’interazione, il coefficiente
di attenuazione lineare totale è uguale alla somma dei coefficienti dei singoli
processi, ossia:

μ = μ1 + μ 2 + μ3 + ....
e conseguentemente abbiamo:

N L = N 0e − ( μ1 + μ 2 + μ 3 +....) L
Dividendo il coefficiente di attenuazione lineare di un dato materiale per la sua
μ
densità ρ viene definito il coefficiente di attenuazione massico di quel materiale
ρ
cm 2
solitamente misurato in . L’uso di queste unità rende più agevole il confronto
g
dei valori del coefficiente di attenuazione dei vari materiali.
3.1 Cattiva e buona geometria

Per studiare più in dettaglio il fenomeno dell’attenuazione, supponiamo di avere una


sorgente di radiazioni, un rivelatore sensibile alla radiazione in esame e vari spessori
del materiale attenuante.
Generalmente la radiazione primaria
1. raggiunge il rivelatore al di là dello schermo perché non ha subito alcuna
interazione;
2. oppure non raggiunge il rivelatore perché subisce un’interazione in cui viene
assorbita o deviata;
oppure può essere prodotta della radiazione secondaria che raggiunge il rivelatore.

Possono essere definite due disposizioni che caratterizzano la dimensione del fascio
e la posizione relativa fra sorgente e rivelatore:
1. disposizione in buona geometria
2. disposizione in cattiva geometria.
FASCIO COLLIMATO NARROW-BEAM GEOMETRY
BUONA GEOMETRIA

In buona geometria il fascio primario viene strettamente collimato prima dello


schermo e il rivelatore dopo lo schermo viene messo ad una adeguata distanza e
collimato in modo da rendere trascurabile la frazione di radiazione secondaria che lo
possa raggiungere.
FASCIO LARGO BROAD-BEAM GEOMETRY
CATTIVA GEOMETRIA
In cattiva geometria sul rivelatore arrivano sia la radiazione primaria che quella
secondaria.
Ci sono vari processi di interazione in cui vengono generate delle particelle
secondarie che a loro volta possono raggiungere il rivelatore.

Alcuni esempi di disposizioni in cattiva geometria

La figura riporta l’andamento della dose (legata all’intensità del fascio) in funzione
dello spessore di attenuatore interposto fra sorgente e rivelatore; mette in evidenza:
1. andamento esponenziale in buona geometria
2. scostamento dall’andamento esponenziale in cattiva geometria a causa della
radiazione secondaria che giunge sul rivelatore.
3.2 Fattore di buildup

Nella disposizione di fascio largo, o di cattiva geometria, la risposta del rivelatore


non ha più un andamento esponenziale in funzione dello spessore del materiale
interposto; è necessario introdurre un fattore correttivo B detto fattore di buildup che
viene a dipendere sia dallo spessore considerato, sia, attraverso μ, dall’energia della
radiazione:

I L = I 0e − μL → I L = B (μL )I 0e − μL

B è definito come rapporto fra le intensità della totalità della radiazione (primaria,
secondaria, diffusa …) che giunge sul rivelatore e di quella primaria:

I p + Is + Id
B=
Ip
B dipende fortemente dalla geometria del fascio e dal tipo di materiale attraversato; il
suo valore può essere determinato sperimentalmente e si trova tabulato.

Nella figura seguente viene riportato B per due diversi materiali (acqua e piombo) per
fotoni di diversa energia che incidono perpendicolarmente su mezzo seminfinito. Lo
spessore del materiale è riportato come numero di liberi cammini medi
L’equazione per l’attenuazione

I L = I 0e − μL → I L = B (μL )I 0e − μL

può essere riscritta come

I
= Be − μL = e − μ 'L
I0
Che ci permette di definire il coefficiente di attenuazione efficace μ’
ln B
ln B − μL = − μ ' L ⇒ μ ' = μ −
L
Grandezze caratteristiche dell’interazione radiazione-materia

All’inizio del capitolo abbiamo visto alcune grandezze usate per descrivere un campo
di radiazioni; ora passiamo a studiare alcune grandezze non stocastiche utili alla
descrizione dell’interazione della radiazione con la materia. Queste grandezze sono:
1. il kerma K, che descrive il primo step del trasferimento di energia da parte
della radiazione indirettamente ionizzante alla materia, cioè, il trasferimento di
energia a particelle cariche ionizzanti che depositeranno energia nella materia;
2. la dose assorbita D, che descrive l’energia impartita alla materia da parte di
tutti i tipi di radiazione e che viene poi effettivamente depositata da parte delle
particelle cariche;
3. l’Esposizione X, che descrive i campi di raggi X e γ in termini della loro
capacità di ionizzare l’aria.

Kerma

Il kerma K viene definito per mezzo delle grandezze stocastiche “energia trasferita
εtr”e “dell’energia radiante R” ( energia associata alla radiazione esclusa la massa a
riposo).
Prima di definire l’energia trasferita, consideriamo questa figura:

+ (Rout )n
nonr rad
( Rout ) n = ( Rout ) n
L’energia trasferita in un volume V, da parte di radiazione non direttamente
ionizzante, è definita come
ε tr = ( Rin ) n − ( Rout ) n nonr + ∑ Q
(Rin)n = energia associata alle particelle neutre entranti in V;
(Rout)nnonr = energia associata alle particelle neutre che lasciano V, eccetto quella dei
fotoni prodotti in fenomeni di dissipazione radiativa subita da particelle cariche
messe in moto nel volume V (raggi X di bremsstrahlung, annichilazione in volo di
positoni …);
∑Q = energia derivante dalle trasformazioni di massa a riposo in energia, e
viceversa, che si verificano in V (Q è positivo se della massa si converte in energia,
negativo se l’energia si trasforma in massa).

Se a è la particella (es. il n) che interagisce col nucleo A, e b e B sono i nuclei o le particelle prodotte la
reazione nucleare si scrive:
a+ A→b+ B+Q
a( A, B)b
Q = Q – valore della reazione
Dal principio di conservazione dell’energia totale:

Ta + TA + ( M a + M A )c 2 = Tb + TB + ( M b + M B )c 2
(Tb + TB ) − (Ta + TA ) = [( M a + M A ) − ( M b + M B )]c 2

Qvalore = [( M a + M A ) − ( M b + M B )] c 2
1. Se Q > 0 reazione esotermica. Aumento dell’energia cinetica delle particelle
2. Se Q < 0 reazione endotermica. |Q|= minima energia cinetica di A ed a nel sistema del centro di
massa, perché la reazione possa avvenire.

In base alla sua definizione, si può osservare che l’energia trasferita non è altro che
l’energia cinetica trasferita dalla radiazione neutra alle particelle cariche nel volume
V specificato. Attraverso l’energia trasferita viene definito il Kerma K nell’intorno di
un punto P:
d (ε tr ) aspett . dε tr
K= ≡
dm dm
in cui (ε tr ) aspett è il valore di aspettazione dell’energia trasferita in V, e dεtr si riferisce
al volume infinitesimo dV che contiene una massa dm.
Quindi il kerma è il valore di aspettazione dell’energia cinetica trasferita alle
particelle cariche per unità di massa nell’ intorno del punto di interesse, inclusa
l’energia che potrebbe essere liberata nelle perdite radiative dalle particelle cariche
messe in moto in V.

Le unità di misura del kerma sono il gray (Gy) e il rad, così definiti:

1 Gy = 1 J⋅Kg-1 1 rad = 100 erg⋅g-1 e quindi 1 Gy = 100 rad


Relazione tra kerma e fluenza di energia per i fotoni

Il kerma è esprimibile come prodotto di una quantità radiometrica, che descrive le


caratteristiche del campo di radiazione, e di un coefficiente di interazione, che
dipende dalle proprietà della radiazione e del mezzo in cui si verifica l’interazione.

In un campo di fotoni il kerma in un punto P è collegato alla fluenza di energia Ψ in


quel punto attraverso un fattore detto “coefficiente di trasferimento di energia”
(μtr/ρ)E,Z che dipende dall’energia incidente E dei fotoni e dal numero atomico Z del
mezzo assorbitore.

Il coefficiente di trasferimento, in analogia con quello di attenuazione, viene definito


come segue:

μ 1 dN μ 1 dε tr
= ⇒ tr =
ρ ρ dl N ρ ρ dl E
che rappresenta la frazione dell’energia incidente che viene trasferita alle particelle
cariche come energia cinetica, per unità di percorso. Attraverso questo coefficiente
possiamo calcolare il kerma dalla fluenza di energia:

μ tr
K = Ψ⋅( ) E ,Z
ρ
Se nel punto P i fotoni non sono monoenergetici, ma hanno una distribuzione
spettrale Ψ’(E), allora il kerma in P può essere ottenuto integrando su tutto il range
energetico:

E Max
μ tr
K= ∫
E =0
Ψ' ( E )( ) dE
ρ E ,Z

Il valore medio di (μtr/ρ) sullo spettro Ψ’(E) è dato da :

μ tr
μ tr K ∫ Ψ' ( E ) ρ
dE
( )= =
ρ Ψ ∫ Ψ' ( E )dE
Relazione tra kerma e fluenza per i neutroni

Pur essendo la relazione tra il kerma e le grandezze radiometriche sostanzialmente la


stessa per fotoni e neutroni, l’uso ha voluto che i fattori di conversione fossero
espressi diversamente per le due particelle. Si definisce allora una relazione tra il
kerma e la fluenza di energia per i fotoni, e tra il kerma e la fluenza di particelle per i
neutroni.

Perciò, per neutroni monoenergetici, il kerma è dato da

μ tr μ
K = Ψ ⋅( ) E , A = Φ ⋅ E ⋅ ( tr ) E , A = Φ ⋅ ( Fn ) E , A
ρ ρ
μtr
in cui Φ è la fluenza dei neutroni, ed ( Fn ) E , A = E ⋅ ( ) E , A , è il fattore kerma per i
ρ
neutroni.

Per neutroni la cui fluenza è distribuita secondo lo spettro in energia Φ’(E), il kerma è
dato da
E Max

K= ∫ Φ' ( E ) ⋅ ( F )
E =0
n E, A dE

Il valor medio del fattore di kerma sullo spettro Φ’(E) è la quantità:

K ∫ Φ ' ( E ) ⋅ Fn dE
( Fn ) = =
Φ ∫ Φ' ( E )dE
Componenti del kerma

L’energia cinetica degli elettroni può essere dissipata attraverso le perdite per
collisione e quelle per radiazione; nelle perdite per collisione l’energia provoca
eccitazioni e ionizzazioni mentre nella perdita radiativa vengono emessi fotoni di
bremsstrahlung. Per questo motivo il kerma viene diviso in due componenti:

K = Kc + K r
1. Kc si riferisce all’energia cinetica che le particelle cariche spendono nelle
collisioni (e che portano ad un rilascio locale di energia nell’intorno del punto
in cui è stata messa in moto la particella carica);
2. Kr si riferisce all’energia cinetica spesa in perdite radiative con emissione di
fotoni; in questo caso i fotoni trasportano energia in punti lontani da quello in
cui la particella carica l’aveva ricevuta. Quando le particelle neutre primarie
sono i neutroni, i secondari carichi messi in moto sono particelle pesanti (p, α
…); in questo caso le perdite radiative sono trascurabili; pertanto Kr è
anch’esso trascurabile, e il kerma è praticamente tutto di collisione.

Si può definire il kerma di collisione in termini di un’altra grandezza stocastica,


chiamata energia trasferita netta, che nel volume V è data da:

ε trn = ( Rin )n − ( Rout )n + ∑ Q


ε trn = ( Rin ) n − ( Rout ) n nonr − (Rout )rad
n
+ ∑ Q = ε tr − ( R )rad
out n

cioè è l’energia trasferita alle particelle cariche meno l’energia persa per radiazione.

Attraverso l’energia trasferita netta viene definito il coefficiente di assorbimento di


μ
energia en come
ρ
μ en 1 dε trn
=
ρ ρ dl E
che si riferisce solo a quella parte di energia trasferita alle particelle cariche che sarà
dissipata per collisione; perciò il kerma di collisione è dato da
dε trn ⎛ μ en ⎞
Kc = = Ψ ⎜⎜ ⎟⎟
dm ⎝ ρ ⎠ E ,Z
dove dm è la massa contenuta in dV.
Esposizione

L’esposizione è una delle prime grandezze non stocastiche definite nella fisica delle
radiazioni. E’ definita solo per la radiazione elettromagnetica. Si definisce
esposizione X la quantità

dQ
X =
dm

dove dQ è la carica totale degli ioni di un segno prodotti in aria quando sono
completamente fermate in aria tutte le particelle cariche (e+ ed e-) liberate dai
fotoni nel volume di aria dV e massa dm.
Per definizione l’esposizione non include la ionizzazione derivante dai fotoni prodotti
nelle perdite radiative; in questo modo risulta che l’esposizione X è la ionizzazione
equivalente al kerma di collisione Kc in aria, per raggi X e γ.

Per scrivere la relazione che lega l’esposizione alla fluenza di energia dei fotoni, è
necessario prima definire una nuova grandezza: l’energia media necessaria ad una
particella carica per produrre una coppia di ioni in aria ( W ). Ricordiamo che siamo
interessati alla ionizzazione equivalente al kerma di collisione; quindi nella
definizione di W non dobbiamo includere la parte di energia cinetica persa per
fenomeni radiativi. Supponiamo di avere a che fare con elettroni di diversa energia
cinetica di partenza e che si muovono in aria; sia Ti l’energia cinetica iniziale dell’i-
esimo elettrone messo in moto da un fotone nel volume infinitesimo di aria dV,
centrato nel punto P. Sia gi la frazione di Ti spesa dall’elettrone in interazioni
radiative lungo l’intero suo percorso in aria; allora 1-gi sarà la frazione di energia
spesa per collisione.
La somma di tutte le energie cinetiche dissipate per collisione dai vari elettroni
prodotti in uno specifico intervallo di tempo t si può scrivere come:
Ttot = ∑ Ti (1 − gi )
Sia ora Ni il numero totale delle coppie di ioni prodotte in aria dall’i-esimo elettrone
di energia Ti, e sia invece g’i la frazione di queste coppie che sono state generate dai
fotoni prodotti nelle perdite radiative. Allora 1-g’i è la frazione delle coppie di ioni
prodotte nelle collisioni che si verificano lungo la traccia della particella. Così il
numero totale di coppie di ioni prodotte nelle interazioni di collisione da tutti gli
elettroni originati in dV nel tempo t è:
N tot = ∑ N i (1 − g ' i )
Assumendo che la somma sia estesa a un numero sufficientemente grande di
particelle cariche da consentire a W di raggiungere il suo valore di aspettazione nel
gas in questione, si può scrivere:

W =
∑ T (1 − g )
i i

∑ N (1 − g ' )
i i
Usualmente W è espresso in eV/(coppia di ioni), e il suo valore corrente in aria secca
è 33.97 eV/coppia. Dividendo W per la carica dell’elettrone in coulomb, e
convertendo l’energia da elettonvolt a joules si ottiene
Waria
= 33.97 J/C
e
Naturalmente una discussione analoga vale per gli eventuali positroni prodotti nelle
interazioni.
Relazione tra esposizione e fluenza di energia

Per mezzo delle grandezze definite in precedenza, l’esposizione nel punto P, prodotta
dalla fluenza di energia Ψ da un fascio di fotoni monocromatici di energia E si può
scrivere come:

μtr 1 μ en 1
X = Ψ ⋅( ) E ,aria (1 − g ) ⋅ = Ψ ⋅( ) E ,aria ⋅
ρ ⎛W ⎞ ρ ⎛W ⎞
⎜⎜ ⎟⎟ ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ e ⎠ aria ⎝ e ⎠ aria
1 (K )
= ( K c ) aria ⋅ = c aria
⎛W ⎞ 33.97
⎜⎜ ⎟⎟
⎝ e ⎠ aria

La stessa relazione è valida per fotoni la cui fluenza di energia è distribuita secondo
lo spettro Ψ’(E): in questo caso il kerma è ottenuto integrando su tutto lo spettro.

EMax
μen 1
X = ∫(ρ ) E ,aria ⋅
⎛W ⎞
Ψ ' ( E )dE
E =0
⎜ ⎟
⎝ e ⎠ aria

Nel Sistema Internazionale le unità di misura dell’esposizione sono i C/Kg, ma è


molto più usuale che questa grandezza venga espressa in roentgen (R), definito come
l’esposizione che produce 1 esu di carica di ciascun segno in 0.001293 g di aria (cioè
la massa di 1 cm3 di aria alla pressione di 1 atm e a 0 °C) irraggiata da fotoni.

Perciò, volendo passare da un’unità all’altra:

1 R=(1 esu/0.001293g)×(C/2.998×109 esu)×(103 g/Kg)=2.580×10-4C/Kg

Si trovano dunque i fattori di conversione:

1 R = 2.58 × 10-4 C⋅Kg-1; 1 C⋅Kg-1 = 3876 R


Fig. 4.15 Flusso di gamma equivalente a 1 Roentgen h-1, in funzione dell’energia dei fotoni (da
-4
“Radiological Health Handbook, 1960) 1R=2.580×10 C/Kg

Importanza dell’esposizione

L’esposizione è una grandezza molto conveniente per caratterizzare i campi di raggi


X e γ, per i seguenti motivi:

1. per una data energia del fotone, l’esposizione è proporzionale alla fluenza di
energia;
2. la miscela degli elementi dell’aria è tale da avere un numero atomico efficace
abbastanza simile a quello dei tessuti biologici molli (il muscolo, ad esempio),
il che rende l’aria un materiale “tessuto equivalente” per quanto riguarda
l’assorbimento di raggi X e γ; quindi se uno è interessato all’assorbimento dei
fotoni in tessuto può usare l’aria come mezzo sensibile nel rivelatore.
Ricordando le espressioni fra il kerma di collisione in un mezzo Z e l’esposizione in
aria:

⎛μ ⎞ μ en 1
K c = Ψ⎜⎜ en ⎟⎟ e X = Ψ( ) E , aria ⋅
⎝ ρ ⎠ E,Z ρ ⎛W ⎞
⎜⎜ ⎟⎟
⎝ e ⎠ aria
si vede che
⎛ μ en ⎞
⎜⎜ ⎟⎟
Kc ⎝ ρ ⎠ E,Z

X ⎛ μ en ⎞
⎜⎜ ⎟⎟
⎝ ρ ⎠ E , aria
Ossia il rapporto fra il kerma di collisione in un dato materiale e l’esposizione in aria
è proporzionale al rapporto fra i coefficienti di assorbimento di quel materiale e
quello dell’aria.
Come si vede nella figura, nel caso del muscolo e dell’acqua tale rapporto rimane
circa costante (entro qualche percento) per il muscolo e per l’acqua da 4 KeV a quasi
10 MeV.

Nella figura seguente viene mostrato un altro esempio che riguarda l’osso:
Dose assorbita

La dose assorbita può essere definita attraverso la correlata quantità stocastica


energia impartita. L’energia impartita dalla radiazione ionizzante ad un mezzo di
massa m in un volume finito V è definita come:
ε = ( Rin ) n − ( Rout ) n + ( Rin ) c − ( Rout ) c + ∑ Q

dove (Rin)n e (Rout)n rappresentano l’energia associata rispettivamente alle particelle


neutre entranti e a quelle uscenti dal volume V; (Rin)c e (Rout)c l’energia associata alle
particelle cariche entranti e a quelle uscenti dallo stesso volume, e ∑Q è la somma
delle trasformazioni di energia in massa e di massa in energia che avvengono in V. Si
definisce dose assorbita in ogni punto P appartenente a V la grandezza:

D=
dm
dove ε è il valore di aspettazione dell’energia impartita nel volume finito V, in un
determinato intervallo di tempo, e dε è la stessa quantità riferita ad un volume
infinitesimo dV, di massa dm, centrato intorno al punto P di interesse. Quindi la dose
assorbita D è il valore di aspettazione dell’energia impartita alla materia per unità
di massa in un dato punto. Le dimensioni e le unità di misura della dose sono uguali
a quelle del kerma, e cioè, rispettivamente, energia per unità di massa e gray
(1Gy=1J/Kg).

Come vedremo più avanti, solo in casi particolari è possibile scrivere una relazione
che collega la dose alle grandezze radiometriche, a differenza di quanto avviene per il
kerma che può essere calcolato dalla fluenza di energia o di particelle attraverso il
coefficiente di trasferimento. Questo dipende dal fatto che, generalmente, non tutta
l’energia ricevuta dalle particelle cariche in V viene ceduta alla materia contenuta in
V; una parte di essa può essere ceduta anche fuori da V; inoltre in V può essere
assorbita anche una data quantità di energia che è stata ceduta alla particelle cariche
all’esterno di V.

Equilibrio di radiazione ed equilibrio di particelle cariche

La dose assorbita pur essendo una grandezza fondamentale nella fisica delle
radiazioni, è quella più difficile da calcolare, perchè strettamente legata alla
radiazione secondaria e al punto in cui l’energia viene effettivamente assorbita.
Tuttavia, esistono particolari situazioni in cui è possibile stabilire relazioni di
uguaglianza tra la dose e il kerma il cui calcolo è meno problematico. Questo accade
se sono soddisfatte le condizioni di equilibrio di radiazione o, a volte, anche
semplicemente l’equilibrio di particelle cariche.

Equilibrio di radiazione

Si consideri un volume esteso, V contenente una sorgente distribuita, e sia v un


piccolo volume interno, centrato intorno al punto di interesse, P. Si richiede che V sia
grande abbastanza da consentire che la massima distanza di penetrazione d di ogni
radiazione emessa e dei suoi secondari sia inferiore alla minima separazione s delle
superfici di V e v.
Se la sorgente emette radiazione indirettamente ionizzante, (neutroni o fotoni) la cui
attenuazione nel mezzo ha un andamento esponenziale, non è definibile un percorso
massimo oltre il quale la particella non penetra. Perciò, la condizione su V deve
essere modificata: si richiede quindi che V sia grande abbastanza da permettere una
riduzione desiderata dell’intensità della radiazione che penetra in v.
Si dice che in v c’è equilibrio di radiazione se sono soddisfatte le seguenti
condizioni:

( Rin ) n = ( Rout ) n e
( Rin ) c = ( Rout ) c
cioè l’energia delle particelle cariche e neutre che entrano in v è bilanciata
dall’energia di quelle che escono da v.

Si può dimostrare che ciò avviene se sono soddisfatte le seguenti quattro condizioni:

1. la composizione atomica del mezzo è omogenea;


2. la densità del mezzo è omogenea;
3. la sorgente radioattiva è uniformemente distribuita;
4. non sono presenti campi elettrici o magnetici che perturbino il percorso delle
particelle cariche.

Dalla definizione dell’energia impartita, la cui intera espressione è

ε = ( Rin ) n − ( Rout ) n + ( Rin ) c − ( Rout ) c + ∑ Q


si vede che essa, in condizioni di equilibrio di radiazioni diventa semplicemente:

ε = ∑Q

quindi in condizioni di ER l’energia impartita al volume v è uguale a quella parte di


massa a riposo di v che è stata convertita in energia cinetica, ossia l’energia rilasciata
nel decadimento radioattivo.
La dose assorbita nel punto P è ora facilmente calcolabile, ed è precisamente:

dε ∑ Q
D= =
dm dm
Equilibrio di particelle cariche (EPC)

Quando non si realizzano le condizioni di equilibrio di radiazioni, a volte si possono


realizzare le condizioni più semplice di equilibrio di particelle cariche (EPC). Esiste
equilibrio di particelle cariche nel volume v se l’energia portata dentro da particelle
cariche è uguale a quella portata fuori da v da particelle cariche; ossia è verificata
l’uguaglianza:
( Rin ) c = ( Rout ) c
Facendo ancora riferimento alla figura precedente in cui in V grande è stato
delimitato un volume v in modo che le superfici di v e V siano separate almeno da
una distanza superiore al range dei secondari carichi, si può dimostrare che in v esiste
equilibrio di particelle cariche se in V sono realizzate le seguenti condizioni:
1. la composizione atomica del mezzo è omogenea;
2. la densità del mezzo è omogenea;
3. il campo di radiazione indirettamente ionizzante è uniforme (l’attenuazione
della radiazione primaria deve essere trascurabile durante l’attraversamento di
V);
4. gli eventuali campi elettrici o magnetici esterni presenti non sono disomogenei.

Le condizioni richieste per l’esistenza di EPC sono simili a quelle di ER. La


condizione 4 è meno stringente di quella precedentemente espressa per ER, e può
sostituire la richiesta di assenza di campi elettrici e magnetici senza compromettere la
realizzazione di ER.

Si dimostra che in condizioni di CPE la dose assorbita è numericamente uguale al


Kerma di collisione
CPE
D = Kc
Richiamiamo la definizione di energia impartita, che è la quantità coinvolta nella
definizione della dose:
ε = ( Rin ) n − ( Rout ) n + ( Rin ) c − ( Rout ) c + ∑ Q
Che, in condizioni di CPE ( Rin ) c = ( Rout ) c si riduce a

ε = ( Rin ) n − ( Rout ) n + ∑ Q ≡ ε n tr
Ossia, in condizioni di equilibrio di particelle cariche si giunge all’uguaglianza
ε = ε n tr
che comporta anche che sia

dε dε n tr
=
dm dm
e quindi si trova finalmente che, in condizioni di EPC

CPE
D = Kc
Quindi, l’equilibrio di particelle cariche permette di ricavare la dose dal kerma di
collisione; ossia una grandezza difficile da calcolare e da misurare, risulta
numericamente uguale ad una grandezza calcolabile.

Se abbiamo due mezzi A e B, in condizioni di CPE, possiamo trovare una semplice


relazione che lega le dosi nei due mezzi; infatti possiamo scrivere:
CPE ⎛μ ⎞
D A = ( K c ) A = ΨA ⎜⎜ en ⎟⎟ e
⎝ ρ ⎠A
CPE ⎛ μ en ⎞
DB = ( K c ) B = ΨB ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ ρ ⎠B

Se, inoltre, risulta che ΨA = ΨB allora

⎛ μen ⎞
⎜⎜ ⎟⎟
DA ρ ⎠A
= ⎝
CPE

DB ⎛ μen ⎞
⎜⎜ ⎟⎟
⎝ ρ ⎠B

Una relazione analoga vale nel caso dei neutroni, imponendo, oltre che le condizioni
di CPE, anche l’uguaglianza dei flussi neutronici nei due mezzi:
DA CPE (Fn )A
=
DB (Fn )B
La condizione di equilibrio di particelle cariche facilita anche la misura
dell’esposizione; questa, infatti, per definizione corrisponde alla ionizzazione
equivalente al kerma di collisione Kc in aria; per ionizzazione equivalente, si intende
la ionizzazione prodotta dagli elettroni messi in moto nel volume considerato e
quando questi elettroni sono completamente fermati (anche se vanno a finire il loro
percorso fuori dal volume di riferimento provocando ionizzazioni fuori dal volume in
cui sono stati prodotti). Ma se siamo in CPE, mediamente l’energia cinetica (e quindi
il numero di ionizzazioni prodotte) associata agli elettroni che abbandonano il volume
di riferimento è rimpiazzata da quella di altri elettroni che vi entrano; quindi posso
fare la misura considerando un volume fissato senza preoccuparmi di seguire gli
elettroni che escono dal volume sensibile.

In condizioni di EPC, la dose assorbita in aria è uguale al kerma di collisione in aria,


ossia:
Daria = ( K c )aria
E richiamando la relazione tra kerma di collisione e fluenza di energia, fra
esposizione e fluenza di energia:

⎛μ ⎞ μen 1 Kc
K c = Ψ⎜⎜ en ⎟⎟ e X = Ψ( ) E ,aria ⋅ =
⎝ ρ ⎠ E ,Z ρ
⎜ ⎟
⎛W ⎞ ⎛W ⎞
⎜ ⎟
⎝ e ⎠ aria ⎝ e ⎠ aria

Troviamo la relazione fra dose assorbita in aria ed esposizione è semplicemente:


W
Daria = ( K c ) aria = X ⋅ ( )
e
Se la dose è espressa in gray e l’esposizione in roentgen, si trova che:
Daria ( Gy ) = 2.58 ⋅10 −4 ⋅ 33 .97 ⋅ X ( R )
e quindi che il rapporto fra le due grandezze (sempre in aria) è:
Daria ⎛ Gy ⎞ −3
⎜ ⎟ = 8.76 ⋅10
X ⎝ R ⎠

Equilibrio transiente di particelle cariche (ETPC)

Vista l’importanza delle condizioni di equilibrio di radiazione, o di equilibrio di


particelle cariche facciamo ora alcune considerazioni pratiche.

Non sempre, nei casi pratici, è possibile realizzare le condizioni di EPC; tali
condizioni non si verificano quando non viene soddisfatta una delle 4 condizioni
richieste:
1. se si ha disomogeneità atomica o di densità nel mezzo (interfaccia fra un
mezzo e un altro),
2. il campo di radiazioni non è uniforme (vicinanza ad una sorgente),
3. oppure si è in presenza di campi elettrici o magnetici disuniformi.

Data una massa di tessuto (o uno strumento per misurare la dose), per creare le
condizioni di equilibrio di solito si pone intorno ad esso dell’altra massa in modo da
raggiungere dimensioni lineari almeno superiori al range dei secondari carichi; ma
non bisogna mettere troppo materiale per evitare di attenuare la radiazione primaria e
creare, così, una disomogeneità nel campo di radiazioni.

Nella tabella seguente, per esempio, viene mostrato per gamma e neutroni
l’attenuazione subita dal fascio primario, a varie energie, in uno spessore pari al range
massimo dei secondari carichi alla data energia (spessore necessario a produrre
l’equilibrio di particelle cariche). Per fotoni da 10 MeV lo spessore di equilibrio
provoca già un’attenuazione del 7%.
Analizziamo, ora, cosa succede quando un fascio di radiazione non direttamente
ionizzante colpisce un mezzo materiale (tessuto, acqua , o un materiale tessuto o aria
equivalente)

In questo caso ci troviamo di fronte ad una grande disomogeneità passando dall’aria


al fantoccio (la densità varia di un fattore 1000).
Fissiamo un’energia dei fotoni e consideriamo un mezzo in cui siano trascurabili le
perdite radiative per i secondari carichi e guardiamo l’andamento del kerma e della
dose in funzione della profondità nel fantoccio:
Come si vede dalla figura il kerma parte da un certo valore e poi decresce
esponenzialmente ma mano che si procede in profondità; la dose, invece, parte da un
valore basso, cresce fino a raggiungere un massimo e poi decresce anch’essa
esponenzialmente; tutto ciò avviene perché non siamo in condizioni di equilibrio di

particelle cariche. Tuttavia, si vede che, da una certa profondità in poi le due
grandezze rimangono parallele fra loro e, quindi, proporzionali (ma non uguali come
accade in condizioni di CPE); in questo caso si parla di equilibrio transiente di
particelle cariche (ETPC)
Nella figura seguente è mostrato cosa avviene se sono presenti anche perdite
radiative:

In questo caso il kerma totale risulta sempre maggiore della dose; ma se si assume
che tutti i fotoni prodotti nelle perdite radiative possano sfuggire dal mezzo, il kerma
di collisione (da una certa profondità in poi) risulta minore della dose e valgono le
stesse considerazioni fatte prima.

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