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LEZIONE 14 _15 APRILE

Riprendiamo a parlare delle strutture ad asse spezzato, ovvero dei cosiddetti “archi”.
Gli archi sono quelle strutture che convertono carichi verticali in spinte orizzontali.
Un arco si può formare anche spontaneamente cioè senza che siamo noi a costruirlo; ad esempio quando si
crea un’apertura all’interno di una parete, il foro genera un arco. Negli edifici in muratura, per esempio,
l’arco può formarsi su una piattabanda, ovvero su una qualunque trave che mantiene la muratura che sta al
di sopra di un passaggio; basta che la piattabanda si deformi un po’ (cosa frequente per la piattabanda in
legno in quanto il legno è soggetto a fenomeni di creep cioè scorrimenti viscosi che fanno deformare la
piattabanda) per avere la formazione di un arco spontaneo.
Quando abbiamo un cedimento di una porzione di muratura posta al di sopra di un passaggio, se non
facciamo nulla, si creano nella porzione di muratura delle fessure a taglio e potenzialmente se la luce, cioè
l’apertura, è piccola e 𝜎 > 𝜏 si ha la formazione di un arco e la porzione può cadere.

Se l’apertura è molto lunga probabilmente non si ha più una crisi a taglio ma una crisi flessionale; si
formano tre fessure cioè tre cerniere che si allineano, la struttura diventa labile e alla fine cade.

Vediamo come esempio le strutture antiche greche e romane.


Per superare una luce, i Greci costruivano strutture trilitiche massicce cioè tali da poter resistere a continui
terremoti. Queste strutture erano costituite da due colonne verticali e una trabeazione cioè un blocco
orizzontale che si estendeva da una colonna all’altra.
I Romani, invece, costruivano strutture più snelle rispetto ai Greci, in modo che queste potessero essere
messe a posto agilmente se subivano danni per effetto dei terremoti; le travi orizzontali erano molto più
leggere e potevano essere riposizionate una volta cadute.
Se guardiamo le travi del colonnato del foro a Pompei (area Archeologica), notiamo che queste sono tutte
spaccate, ma non perché sono cadute e sono state rimesse a posto, ma perché hanno una struttura
particolare. Vediamo la differenza tra sistema greco e sistema romano.
Sistema trilitico greco
(Lo troviamo in Grecia ma anche Italia in zone come Paestum)
È il “sistema trave” tipico di Stonehenge.

È caratterizzato da un momento flettente in mezzeria, una 𝜎 di trazione sotto e una 𝜎 di compressione


sopra. I materiali utilizzati erano in genere piperno e travertino, cioè materiali aventi una buona resistenza
a trazione.
Sistema romano.
(Lo troviamo agli scavi di Pompei)

La trave superiore è data dal susseguirsi di un blocchi corti e dagli spigoli inclinati.
Questa trave, in verità, non è altro che un arco, è un arco piatto, lineare ma pur sempre un arco.
È una tipica struttura che resiste per “forma”, ma che significa?
Su ogni blocco posto nel centro della trave nasce una spinta che tende a far cadere il blocco, tuttavia ogni
blocco centrale spinge sul blocco immediatamente alla sua destra e sul blocco immediatamente alla sua
sinistra. I blocchi vicini, a loro volta, fanno esattamente la stessa cosa andando a controbilanciare le spinte
subite dai blocchi vicini e in questo modo le colonne sottostanti sentono il peso dei blocchi ma non sentono
spinte perché le spinte si equilibrano tra loro a due a due.
Questa situazione si ha anche nelle voltine dei solai, fatti in putrelle e tavelloni (le putrelle sono travi di
acciaio che si trovano in genere nelle costruzioni in muratura e non in quelle di calcestruzzo armato).
Anticamente queste voltine avevano strutture ad arco del tipo:
0gni voltina spinge la trave vicino a destra e quello vicino a sinistra ma le spinte si compensano tra loro, ad
eccezione dell’ ultima trave cioè della trave di bordo che non riceve spinte da entrambe le direzioni. Molti
danni ai solai sono legati al fatto che la trave di bordo, non avendo una spinta bilanciata, tende a spostarsi
dal lato libero, facendo perdere la spinta all’altra voltina vicina e perdendo così l’effetto arco. L’arco, allora,
diventa una semplice trave, che funziona per flessione (ovvero attraverso fibre tese e fibre compresse). Se
la resistenza a trazione è sufficiente la struttura si mantiene, altrimenti cade (succede ad esempio quando
la malta è degradata). Un intervento che si fa tipicamente in questa situazione consiste nel mettere nel
saldare nel piano della struttura delle reti di acciaio, che creano una catena che sostanzialmente tende ad
assorbire la spinta generata dall’arco, in modo che la stessa spinta non debba essere contrastata dalla
trave. Questi elementi di acciaio, saldati ad esempio sotto le travi, evitano che la trave di bordo fuoriesca e
finisca l’effetto arco.
Il sistema romano, quindi, è un sistema spingente, cioè un sistema che crea problemi in presenza di
terremoti perché l’azione sismica, oltre ad un moto orizzontale, genera anche un moto che fa vibrare tutti
gli elementi verticali producendo spinte sempre più forti. Se non c’è un contrasto a queste spinte c’è il
rischio che la struttura cada.
Oggigiorno per ovviare a questo problema si aggiungono reti di acciaio alla struttura, in grado di assorbire
le spinte. Possiamo trovare catene di acciaio ad esempio nelle chiese; sono quelle barre di metallo che
vediamo estendersi da una zona all’altra oppure incastrate nella muratura in modo da cucire, tenere
insieme la muratura ed evitare che quest’ultima si apra a bocciolo.
A Pompei, invece ovviavano al problema della spinta sull’ultimo blocco utilizzando come ultimo blocco un
masso molto più lungo e lo poggiavano su due colonne.
Le strutture romane, quindi, sono tipiche strutture che portano i carichi per “forma”, cioè sopportano
carichi grazie alla loro configurazione geometrica. È la geometria che incanala i carichi verticali e li
trasforma in spinte. Ma, poi, chi controbilancia queste spinte? O altri archi o altri oggetti.
Se guardiamo questo arco

Sappiamo che i due pezzi presi singolarmente cadono per effetto della gravità, ma messi insieme riescono a
mantenersi stabili grazie alla loro forma geometrica. Secondo la concezione galileiana un arco non è altro
che una fortezza causata da due debolezze e le due debolezze sono rappresentate proprio dai due pezzi
disegnati in figura.
Torniamo alle strutture ad arco. Riprendiamo la struttura della volta scorsa.

Un arco è tale se da un’azione puramente verticale fa nascere una sollecitazione anche orizzontale.
Abbiamo scritto le equazioni cardinali della statica con le quali siamo riusciti a comprendere come vanno le
reazioni alla base. Oltre alle ECS, comunque, c’è anche un altro metodo puramente grafico.
Vediamo quindi graficamente come vanno le reazioni vincolari.

Abbiamo delle cerniere: le cerniere generano reazioni vincolari passanti per il loro centro ed orientate
in qualunque modo. Se fosse presente un incastro, allora, la direzione potrebbe essere qualunque, ma
poiché abbiamo delle cerniere allora abbiamo direzioni obbligate ed inoltre la reazione può avere
qualsiasi entità. Può avere anche un valore enorme.
La reazione sulla cerniera allora è inclinata in una maniera qualsiasi

tuttavia poiché questa porzione di struttura è scarica in quanto non ha carichi, le uniche forze che nascono
devono essere autoequilibrate ossia tutte le reazioni vincolari devono farsi equilibrio tra loro. La reazione in
B e la reazione in C, quindi, devono essere equilibriate tra loro. Tiriamo fuori dalla struttura la porzione che
contiene le cerniere B e C
Affinché le reazione in B e in C si facciano equilibrio tra loro, le due reazioni non possono che essere uguali
e opposte ovvero non possono che avere stessa direzione ma verso opposto. È evidente che la direzione
delle due reazioni vincolari è proprio la direzione della retta congiungente le due cerniere B e C. Se le due
cerniere generassero reazioni non uguali e opposte ma in una qualunque altra direzione, infatti, si
produrrebbe una coppia perché vi sarebbe un braccio tra le due reazioni.
Il fatto che le reazioni in B e C sono uguali e opposte si traduce in termini di ECS nelle condizioni
𝐻𝐵 = 𝐻𝐶 e 𝑉𝐵 = 𝑉𝐶

ovvero nell’uguaglianza delle componenti verticali ed orizzontali delle due reazioni 𝑅𝐵 e 𝑅𝐶 .

Oltre alle cerniere B e C abbiamo anche la cerniera A e la forza F. Vediamo che anche la reazione in A, pur
potendo assumere tutte le direzioni, nella pratica, può avere solo una direzione in quanto, affinché il
sistema sia in equilibrio è necessario che la forza che nasce in A chiuda il poligono delle forze. Quindi, La
reazione in A, 𝑅𝐴 deve avere direzione tale da formare un poligono con F ed 𝑅𝐶 .

Disegnando tutte le reazioni abbiamo:

Quindi questo metodo grafico ci permette velocemente di controllare la direzione e il verso delle reazioni
vincolari che si generano nella nostra struttura.

A questo punto riprendiamo un concetto.


Immaginiamo di voler calcolare il momento flettente e il taglio nel punto ①.
Ovviamente conviene studiare il momento flettente più che il taglio, in quanto sappiamo che studiando le
variazioni del momento flettente, in realtà, abbiamo indicazioni anche sul taglio anche senza avere davanti
il diagramma del taglio.
Poniamoci nel punto ①.
Se guardiamo verso il basso (non conviene guardare verso l’alto perché ci sono molte cose da dover
analizzare) abbiamo solamente la reazione 𝑅𝐶 che dà momento flettente.
Il momento flettente in 1, allora, è dato da 𝑅𝐶 e ha valore pari a 𝑅𝐶 per la distanza d (distanza del punto ①
dalla retta di applicazione di 𝑅𝐶 ).
Spostando il punto 1 lungo l’asse verticale x, il momento flettente cambia in quanto varia la distanza d del
punto dalla retta di applicazione di 𝑅𝐶 . Se tracciamo tutte le distanze d come in figura,

otteniamo un diagramma che ci dà indicazioni sul momento; non è proprio il diagramma del momento a
cui siamo abituati, ma è piuttosto un “diagramma delle pressioni”.

Se guardiamo questo diagramma, infatti, non leggiamo il momento flettente in senso stretto, ma possiamo
vedere come varia il braccio d che 𝑅𝐶 ha per generare il momento flettente.
Si vede facilmente che il punto in cui il momento flettente è più elevato è quello in cui la distanza d è
maggiore ovvero il punto posto nello spigolo.
Se ci poniamo in un punto (ad esempio punto ②) posto poco sotto allo spigolo e quindi ancora
sull’elemento verticale della nostra struttura e disegniamo la sezione trasversale in questo punto,
otteniamo:
abbiamo: un certo N (cioè 𝑉𝐶 =componente verticale di 𝑅𝐶 ) e un certo taglio pari ad 𝐻𝐶 che ci dicono
come è disposta 𝑅𝐶 e un momento 𝑀𝐶 . Il problema è che 𝑅𝐶 non sta nel baricentro ma ha un braccio che
bisogna conoscere per poter valutare il momento flettente.
Introducendo l’angolo 𝛼

abbiamo:

𝑏𝑟𝑎𝑐𝑐𝑖𝑜 = 𝑑 = 𝑥 · cos 𝛼

𝐻𝐶 = 𝑅𝐶 · cos 𝛼

Il momento in un punto di ascissa x sarà:

𝑀𝐶 = 𝑅𝐶 · 𝑑 = 𝑅𝐶 · x · cos 𝛼 = 𝐻𝐶 · x.

Poiché abbiamo 𝑅𝐶 e una coppia 𝑀𝐶 possiamo operare una traslazione della reazione 𝑅𝐶 per effetto del
momento 𝑀𝐶 . Dividendo 𝑅𝐶 nelle due componenti 𝑉𝐶 e 𝐻𝐶 , abbiamo la possibilità di traslare anche solo la
componente 𝑉𝐶 di una certa quantità.
𝑀𝐶
Trasliamo 𝑅𝐶 grazie alla coppia di trasporto 𝑀𝐶 di una quantità pari a ovvero trasliamo 𝑅𝐶 di una
𝑅𝐶
quantità pari proprio al braccio d, individuando il centro di pressione.
Sostanzialmente è come se avessimo una situazione del tipo

in cui la forza 𝑅𝐶 non è applicata nel punto 1 (baricentro della sua sezione) accoppiata alla coppia Mc, ma è
spostata nel “ centro di pressione”. La linea

viene chiamata “poligono funicolare dei carichi” e rappresenta il luogo geometrico dei centri di pressione.
Spostando il punto 1 più in basso o più in alto e rifacendo questo discorso, possiamo vedere che il centro
di pressione in cui si applica 𝑅𝐶 si sposta, ma cammina sempre lungo questa retta.
Il flusso di tensione della nostra struttura si muove camminando lungo la retta dei carichi. Ma cos’è un
centro di pressione?
Ricordiamo che il centro di pressione non è altro che il baricentro del diagramma delle 𝜎 che nascono per
effetto di una forza. Al variare della posizione di N, per esempio, cambia il diagramma delle 𝜎 .
Se N agisce nel centro il diagramma delle pressioni è rettangolare e si oppone direttamente a questa forza .

Se N si sposta verso il basso il diagramma delle pressioni diventa trapezoidale in modo che il baricentro del
diagramma sia posizionato alla stessa altezza della sollecitazione.

1
Se N si sposta nel terzo medio il diagramma diventa triangolare e il baricentro si sposta a dell’altezza
3
della sezione.
Quindi il baricentro ci dice come sta camminando il flusso delle sollecitazioni.

Attraverso il diagramma delle pressioni, quindi, abbiamo indicazioni sulla situazione del nostro sistema. Per
esempio possiamo vedere quale punto è soggetto a sollecitazioni più grandi e cioè quello con braccio più
grande. Se stiamo tranquilli in questo punto allora approssimativamente possiamo dire che stiamo
tranquilli anche se ci poniamo in altri punti ( ammesso che le condizioni di resistenza restino invariate).
La linea che collega le due cerniere prende il nome di poligono funicolare dei carici e sostanzialmente è
l’inviluppo delle risultanti delle sollecitazioni interne ovvero dei centri di pressione. Un centro di pressione è
un punto tale che, se piazziamo in quel punto la forza, otteniamo gli stessi effetti del nostro sistema.
Se per esempio abbiamo una forza N posizionata in basso (nel terzo inferiore della sezione)
possiamo anche posizionare questa N più in alto, nel baricentro, purché applichiamo un momento M pari
𝐻
a 𝑁 ∙ 6 . Il punto di applicazione di N sarà il centro di pressione (ovvero il punto dove trovo solo N e non ho
alcun momento di trasporto).
Facendo questo gioco per tutti i punti della struttura e rappresentando tutti i centri di pressione otteniamo
appunto il poligono funicolare.

Torniamo alle reazioni vincolari del sistema di partenza.

Quanto valgono le funzioni N, T ed M lungo il primo pilastro?


Finora abbiamo scritto N, M e T solo nei tratti in cui queste funzioni erano continue e abbiamo saltato le
zone di discontinuità. I salti di queste funzioni possono essere dovuti ad enti esterni (come le forze) ma
anche a vincoli interni (che staticamente sono comunque forze). Le funzioni, inoltre, possono variare anche
in seguito a variazioni degli assi. Se l’asse cambia è evidente che bisogna riscrivere anche la funzione.
Poniamoci nel punto ③ e calcoliamo N.

Facciamo un taglio in ③ e guardiamo o solo sopra o solo sotto. In questo caso conviene guardare sotto in
quanto abbiamo solo 𝑉𝐴 mentre sopra abbiamo molte reazioni da considerare.
𝑉𝐴 è diretta verso l’alto, è positiva ed è una forza di compressione, quindi

𝑁 = −𝑉𝐴
Ovviamente a qualunque x fissiamo il punto 3 lungo la colonna, non cambia il valore di N.
Per essere precisi dovremmo scrivere 𝑁(𝑥) = 𝑉𝐴 per ciascun valore di x interno alla colonna.
Poniamoci nel punto ③ e calcoliamo T.
Facciamo un taglio in 3 e guardiamo sotto. Il taglio è dato dalla 𝐻𝐴 che è uscente a sinistra, per cui

𝑇 = −𝐻𝐴

Ovviamente anche per il taglio questa relazione è vera per qualsiasi x interna alla colonna perché se è vera
al punto ③ lo è per ogni x e cioè 𝑇(𝑥) = −𝐻𝐴 .

Poniamoci nel punto ③ e calcoliamo M.


Individuiamo l’angolo 𝛽 in maniera analoga all’angolo 𝛼.

Avremo:

𝐻𝐴 = 𝑅𝐴 ∙ cos 𝛽

e quindi

𝑀𝐴 = 𝐻𝐴 · 𝑥 = 𝑅𝐴 ∙ cos 𝛽 · 𝑥

Ricordando che cos 𝛽 ∙ 𝑥 è la distanza del punto dalla retta.

Come scegliamo il segno? In questo caso è difficile decidere un verso positivo del momento (in linea di
massima con un taglio negativo, il momento decresce rispetto alla cerniera dove è nullo) e allora conviene
fare un diagramma del momento dal lato delle fibre tese.
Il momento flettente nel primo tratto della struttura è fatto così:
il diagramma del momento ha delle cuspidi (o punti angolosi) perché ricordiamo che la sua pendenza è il
taglio e il taglio varia per effetto delle forze . Abbiamo una situazione del tipo:

in cui la pendenza è proprio il taglio è cioè 𝐻𝐴 .


Se il taglio cambia di segno in A allora avremo una cuspide, altrimenti avremo un punto angoloso.
Vediamo che la cuspide è verso sinistra (se scambiavamo il diagramma delle pressioni con quello del momento
avremmo avuto una cuspide dal lato opposto, ma appunto il diagramma delle pressioni NON è il diagramma del
momento).
Come passiamo al tratto successivo? C’è continuità ma è una situazione particolare perché l’asse della struttura si
spezza: prima la x va verso l’alto e poi verso destra. Per studiare questa porzione di struttura facciamo una foto al
nodo cioè tiriamo fuori (sezioniamo) la parte in cui c’è il nodo e facciamo l’ “equilibrio al nodo”.

Sappiamo che se tiriamo un pezzo da una struttura in equilibrio allora anche il pezzo della struttura sarà in equilibrio.
Tutte le azioni presenti in questa porzione di struttura quindi, dovranno essere tali da garantire l’equilibrio.
Sul nodo avremo :
sforzo normale: 𝑁 = −𝑉𝐴
(infatti se ci poniamo nel nodo e guardiamo sotto abbiamo come forza assiale solo 𝑉𝐴 )

taglio: 𝑇 = −𝐻𝐴

e momento flettente : 𝑀 = 𝐻𝐴 ∙ ℎ
(infatti se ci poniamo nel nodo vediamo che 𝐻𝐴 genera una coppia, mentre 𝑉𝐴 non genera coppie perché
ha braccio nullo)
La coppia tende le fibre di sinistra e infatti il diagramma del momento dal lato delle fibre tese era costruito
a sinistra.
La porzione di struttura con solo queste tre azioni non è in equilibrio quindi abbiamo bisogno di altre azioni
che facciano equilibrio.

Qual sarà lo sforzo normale? N e dovrà contribuire all’equilibrio in orizzontale. Avremo 𝑁 = 𝐻𝐴 (sforzo
normale negativo di compressione)
Qual sarà il taglio? T e dovrà fare equilibrio in verticale. Avremo 𝑇 = 𝑉𝐴 diretta verso il basso (taglio
positivo).
Manca una coppia per portare il sistema all’equilibrio. La coppia sarà 𝑀 = 𝐻𝐴 ∙ ℎ diretta come in figura.
Ora il sistema è in equilibrio. Ovviamente se aggiungiamo una forza o un coppia nel nodo allora andranno
aggiunte anche un’altra coppia o forza per mantenere l’equilibrio.
Notiamo che, poiché l’angolo del nodo è retto, quello che è sforzo normale nel tratto verticale diventa
taglio nel tratto orizzontale e viceversa quello che è taglio nel tratto verticale diventa sforzo normale lungo
il tratto orizzontale. Mentre il momento cammina invariato alle variazioni di asse.
Se, invece, l’angolo del nodo è diverso da 90°
una componente del taglio diventa una componente dello sforzo normale e una componente dello sforzo
normale diventa una componente del taglio (si va per componenti). Il momento invece resta invariato.
Il passaggio per il nodo quindi, provoca queste sostituzioni: complete se l’angolo è retto, o parziali ( cioè per
componenti) se l’angolo è diverso da 90°.

Trasformiamo questa situazione graficamente.


Poniamoci poco dopo il nodo, per esempio nel punto ④.

Chi dà taglio?
𝑉𝐴 ed è uscente a destra quindi positivo (il taglio ha cambiato segno dopo il nodo, infatti prima era
negativo e valeva 𝐻𝐴 ora è positivo e vale 𝑉𝐴 )

𝑇 = 𝑉𝐴
Chi dà sforzo normale?
Guardiamo a sinistra e troviamo 𝐻𝐴 . Lo sforzo normale vale proprio −𝐻𝐴 quindi resta negativo e cioè di
compressione anche dopo il nodo
Lo sforzo normale non ha cambiato segno dopo il nodo come è successo per il taglio e ciò è un bene;
se, per esempio, abbiamo un arco in muratura con scarsa resistenza a trazione, il fatto che all’interno di
questa struttura si mantenga sempre uno sforzo normale di compressione, infatti, garantisce che in questa
struttura si ha capacità a flessione anche senza avere resistenza a trazione.
È proprio questa l’essenza dell’arco, ossia far nascere delle compressioni che tengono insieme le pietre
anche a secco cioè senza malta.

𝑁 = −𝐻𝐴
Chi dà momento?
Prima il momento era dato soltanto da 𝐻𝐴 ∙ ℎ. Ora abbiamo ancora questo termine, ma a questo si
aggiunge il contributo dovuto alla reazione 𝑉𝐴 che comincia ad avere braccio non nullo a mano a mano
che il punto ④ si sposta su x’. Il momento flettente nel punto 4 sarà allora:
𝑀 = 𝐻𝐴 ∙ ℎ − 𝑉𝐴 ∙ 𝑥′

Se abbiamo 𝑥 ′ = 0 siamo sul nodo e infatti si ha: 𝑀 = 𝐻𝐴 ∙ ℎ


Se abbiamo 𝑥 ′ ≠ 0 allora è presente un braccio x’ per la reazione 𝑉𝐴 e si ha 𝑀 = −𝐻𝐴 ∙ ℎ + 𝑉𝐴 ∙ 𝑥′.
Da notare che questo discorso vale per valori di x’ minori dell’ascissa a cui è posta F, perché dopo avremo
contributi dati anche da F. In particolare F da contributi in termini di taglio e momento ma non di sforzo
normale, infatti N è costante su tutta l’asse orizzontale. La cerniera interna trasferisce lo sforzo normale e
verticale quindi attraversando la cerniera non cambia né il taglio né lo sforzo normale, mentre la coppia
varrà zero sulla cerniera.
In verità c’è un incongruenza di segno (come evidenziato prima); se andiamo ad integrare il taglio per
trovare l’espressione del momento avremo i segni cambiati cioè otteniamo 𝑀 = −𝐻𝐴 ∙ ℎ + 𝑉𝐴 ∙ 𝑥′. Ma ci
interessa principalmente disegnare il diagramma del momento dal lato delle fibre tese.

Proviamo a fare i diagrammi di N, T ed M per la nostra trave.

Sforzo normale)

Sul primo pilastro solo la reazione verticale 𝑉𝐴 dà sforzo normale e lungo tutto il pilastro la situazione è la
stessa, quindi 𝑁 = −𝑉𝐴 .
Sul tratto orizzontale lo sforzo normale si mantiene costante e pari a −𝐻𝐴 , in quanto né la forza F né la
cerniera interna lo modificano.
Sul secondo pilastro, infine, abbiamo solo 𝑉𝐶 che dà sforzo normale e quindi lo sforzo vale costantemente
𝑁 = −𝑉𝐶 .
Notiamo che il diagramma dello sforzo normale ma anche quello del taglio può essere fatto da qualsiasi
lato; solo il diagramma del momento flettente va fatto obbligatoriamente dal lato delle fibre tese.
Per evidenziare i segni del diagramma possiamo disegnare pure cosi:
Momento flettente)
Conviene fare prima questo diagramma e dopo quello del taglio perché per rappresentare quest’ultimo può
aiutare conoscere l’andamento del momento.

Il momento ha andamento lineare in tutta la struttura perché non sono presenti carichi e quindi il
diagramma di M è senza curvatura.
Nel tratto ① c’è una forza orizzontale verso l’interno che determina l’andamento di M visto prima poiché
la forza ha un braccio che cresce salendo lungo il pilastro. Nel tratto ② abbiamo un nodo e quindi
dobbiamo ricordare che avviene un ribaltamento. Disegniamo il nodo e vediamo quali coppie agiscono:

dobbiamo posizionare un’altra coppia in modo da garantire l’equilibrio.


Nel tratto orizzontale abbiamo prima una forza (tratto ③) che farà cambiare la pendenza al
diagramma di M ovvero provocherà o una cuspide o un punto angoloso verso il basso e subito dopo
una cerniera (tratto④) in cui il momento si annullerà. La pendenza del grafico prima e dopo la
cerniera è sempre la stessa perché la pendenza del momento è il taglio e il taglio non varia passando
per la cerniera interna in quanto ci sono due forze uguali e opposte che agiscono. In prossimità del
secondo pilastro la situazione è simile a quella che si ha al primo pilastro. Nel tratto⑥ c’è una forza
orizzontale verso l’interno e al tratto ⑤ un altro nodo con coppie:
Taglio)
Guardando il diagramma del momento vediamo che esso è lineare (non ci sono carichi) ed è costituito
da tanti tratti costanti.

Sui due pilastri verticali il taglio avrà segno opposto.


Sul primo pilastro il taglio è uscente a sinistra per cui vale−𝐻𝐴 . Sul tratto orizzontale abbiamo prima
la forza F e poi la cerniera. Vediamo che, prima di F, solo 𝑉𝐴 dà taglio ed è uscente a destra per cui T è
positivo. Poi c’è la forza F che provoca un salto nel taglio pari proprio a F.
Se estraiamo un concio in prossimità di F vediamo che:

a sinistra abbiamo una forza verso l’alto ossia uscente a destra (𝑉𝐴 ) e la forza F diretta verso il basso. A
destra, invece abbiamo una forza 𝑉𝐶 diretta verso l’alto ossia una forza che compensi la differenza tra
F e 𝑉𝐴 (in genere 𝑉𝐴 è più piccola di F in quanto è una delle reazioni che nascono per controbilanciare
F, ma ci sono casi in cui questa cosa non è vera). Quindi prima di F il taglio sarà positivo e pari a 𝑉𝐴 e
dopo F il taglio farà un salto diventando negativo e pari, in modulo, a 𝑉𝐶 .
Andando avanti lungo il tratto orizzontale troviamo una cerniera interna che non dà alcun fastidio al
taglio perché lascia passare il taglio senza problemi; se prima della cerniera T ha un valore costante 𝑉𝐶 ,
dopo la cerniera T avrà ancora lo stesso valore costante.
Sul secondo pilastro verticale (tratto ③) c’è solo 𝐻𝐶 che dà taglio ed è uscente a destra per cui il taglio
è positivo e pari ad 𝐻𝐶 .
Ridisegniamo il diagramma del taglio evidenziandone i segni:

Con questo metodo grafico riusciamo a valutare tutte le azioni che intervengono sul sistema. Ma se
siamo interessati a calcolare una sola sollecitazione? Utilizziamo anche in questo caso il principio dei
lavori virtuali.

PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI

Supponiamo di voler calcolare 𝐻𝐴 . A tal fine abbattiamo di un grado il vincolo che genera 𝐻𝐴 e
determiniamo l’ 𝐻𝐴 che mantiene la struttura invariata; scegliendo un 𝐻𝐴 troppo piccolo o troppo
grande il punto A può spostarsi verso destra o verso sinistra.

Prima che perdesse un grado, il vincolo ci garantiva spostamento orizzontale nullo, per cui tra gli
infiniti valori che può assumere 𝐻𝐴 noi cerchiamo proprio quello che ci assicura che A non si sposti né
a destra né a sinistra. Se la struttura è in equilibrio prima di abbattere un vincolo, allora la struttura
deve rimanere in equilibrio anche dopo aver perso questo vincolo (perdendo il vincolo la struttura
diventa labile, e lo sostituiamo con la reazione duale).
In base al principio dei lavori virtuali, ci serve conoscere di quanto si sposta virtualmente ogni forza e
di quanto ruota ogni coppia: più nel dettaglio, ci serve sapere di quanto si sposta in orizzontale il
punto A e di quanto si sposta in verticale F. Come si procede?
Tracciamo la fondamentale (è verticale perché il diagramma degli spostamenti è ortogonale alla
fondamentale) e troviamo i centri. Poiché la struttura è labile i centri saranno allineati. Dividiamo la
struttura in corpo I e corpo II.
Nel corpo I il centro è lungo l’asse passante per A:
e può stare anche all’infinito.
Per il corpo II il centro è posto proprio all’interno della cerniera C ed è un centro assoluto

il terzo centro è posto all’interno della cerniera interna B ed è un centro relativo (dice come ruotano
uno rispetto all’altro).

Nel punto 1,2 sappiamo che gli spostamenti dei due corpi sono uguali.
I tre centri si devono allineare, avremo una retta passante per il centro 1, per il centro 1,2 e per il
centro 2.

Il punto 1, intorno al quale ruota la struttura, non necessariamente deve appartenere alla struttura; in
questo caso infatti non appartiene ed è semplicemente un punto fisso intorno al quale la struttura può
ruotare (i punti della struttura posti più lontani dal centro si sposteranno di più rispetto a punti posti
più vicino).
Per un corpo avente un grado di labilità esiste un grado di libertà, per cui possiamo introdurre un
parametro libero, ad esempio una φ.
Va notato che nel caso in cui i centri sono impropri, il parametro libero non è una φ, ma uno
spostamento in quanto con un centro all’infinito la struttura non ruota ma si sposta, e il parametro
libero che lo individua è uno spostamento.
Scegliamo arbitrariamente una φ1 per il corpo I e tracciamo una linea che individua tutti gli
spostamenti che hanno i punti; più ci allontaniamo dal punto 1 più gli spostamenti crescono.

Lo spostamento del punto A è 𝛿𝐴 = φ1 ∙ 𝑎.


È ovvio che avendo scelto arbitrariamente φ1 , esso si dovrà semplificare nel corso del calcolo di 𝐻𝐴 ,
altrimenti otteniamo valori di 𝐻𝐴 diversi in base al φ1 scelto.
Il corpo II, invece, avrà spostamento nullo nel centro 2 e stesso spostamento del corpo I nel centro 1,2.
L’angolo φ2 del corpo II non sarà libero in quanto l’unico parametro libero è stato fissato scegliendo
φ1 , per cui il corpo II si muoverà a catena con il corpo I.
Geometricamente abbiamo:
φ2 ∙ 𝑏 = φ1 ∙ 𝑐

ossia
𝑐
φ2 = φ1
𝑏
quindi una volta fissato φ1 ; φ2 si adegua al primo secondo questa relazione.

Applichiamo il principio dei lavori virtuali: la somma dei lavori è nulla.

Abbiamo:
𝐻𝐴 che compie lavoro per 𝛿𝐴 ( 𝐻𝐴 e 𝛿𝐴 sono concordi quindi il lavoro è positivo);
m che compie lavoro per φ2 (φ2 ed m sono concordi perché sono entrambi orari, quindi il lavoro è
positivo). m, coppia esterna, non era presente nell’esempio precedente ma è stata aggiunta ora. F
che compie lavoro per 𝛿𝐹, dove 𝛿𝐹 è uno spostamento verticale (discorde a F).
𝐻𝐴 ∙ 𝛿𝐴 + 𝑚 ∙ φ2 − 𝐹 ∙ 𝛿𝐹 = 0

Dalla relazione per calcolare 𝐻𝐴 serve conoscere lo spostamento 𝛿𝐹 verticale. Allora tracciamo un asse
orizzontale e proiettiamo i centri. Avremo:

Il corpo I ruota in senso antiorario, quindi intorno al centro I la retta del moto sarà antioraria e la
rotazione varrà φ1 ; per il corpo II, invece, otteniamo un angolo φ2 orario.

Possiamo dire che

φ1 ∙ 𝑑 = φ2 ∙ 𝑒

e quindi
𝑑
φ2 = φ1
𝑒
Gli spostamenti “ b” e “c” sono negli stessi rapporti degli spostamenti “d” ed “e” ovvero

𝑑 𝑐
=
𝑒 𝑏
Calcoliamo a questo punto il 𝛿𝐹

𝛿𝐹 = φ1 ∙ 𝑓
Il lavoro che compie F è negativo poiché la forza va verso il basso e il punto di applicazione si sposta
verso l’alto, quindi è corretto il segno – davanti a F nell’equazione dei lavori virtuali.
Si ottiene:

𝑑
𝐻𝐴 ∙ φ 1 ∙ 𝑎 + 𝑚 ∙ φ 1 ∙ − 𝐹 ∙ φ1 ∙ 𝑓 = 0
𝑒
da cui semplificando φ1 ricaviamo 𝐻𝐴

𝑓 𝑑 1
𝐻𝐴 = 𝐹 ∙ −𝑚∙ ∙ =0
𝑎 𝑒 𝑎
Possiamo scrivere 𝐻𝐴 anche in funzione di 𝛿𝐹 , cioè

𝛿𝐹
𝐻𝐴 = 𝐹 ∙
𝛿𝐴

Da questa relazione vediamo che più è grande il 𝛿𝐹 più è grande 𝐻𝐴 . Ciò significa che la posizione più
sfavorevole di F per la reazione in A è proprio quella sulla cerniera, perché nella cerniera si ha il 𝛿𝐹
maggiore. Nei due punti A e B la reazione orizzontale è nulla e nella cerniera la reazione orizzontale è
𝑒
massima. In base a dove è collocata la cerniera interna (cioè in base al rapporto ) è più conveniente
𝑑
spostare la cerniera verso il primo tratto o verso il secondo tratto.
Se guardiamo la coppia m, invece, notiamo che indipendentemente dalla sua posizione nel tratto, m
compie lavoro sempre per lo stesso valore. Ma quale tratto ruota di più il primo o il secondo?
𝑒
Dipende sempre dal rapporto 𝑑 ; se la cerniera sta spostata di più verso sinistra allora è peggio mettere
la coppia verso sinistra se la cerniera sta a destra è peggio mettere la coppia verso destra.

Se la coppia sta nel tratto che ruota di più allora 𝐻𝐴 diventa più grande, se la coppia sta nel tratto che
ruota di meno allora 𝐻𝐴 è più piccola.
Ultima nota: se la forza F è inclinata possiamo tracciare una fondamentale inclinata e procedere
graficamente proiettando i centri e proseguendo come il caso verticale. È solo più scocciante perché le
distanze sono tutte inclinate nel piano.

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