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LEZIONE 11 – 08 APRILE 2016

Abbiamo visto che si può passare dallo sforzo normale N alle sigma dividendo semplicemente per l’area,
si può passare dal Momento flettente M dividendo per il momento d’inerzia I e moltiplicando per la x,
oppure semplicemente dividendo il momento M per W, che è il modulo di resistenza.

Abbiamo detto inoltre che se si accoppiano M ed N, possiamo ragionare con il Principio di Sovrapposizione
degli Effetti, che è valido solo se rimaniamo in campo elastico, in particolare lineare-elastico, cioè quando il
materiale non tiene conto della sua storia. Se il materiale fessura o plasticizza, quindi quando ha una
risposta che dipende dalla sua storia passata, bisogna fare qualcosa di più complicato (cosa che non è molto
diverso da ciò che abbiamo visto per la flessione dove, dal momento in cui N non è più =0, non posso più
dire che il momento statico si annulla). Di quest’aspetto vediamo ora solo dei cenni.
Eravamo arrivati sostanzialmente a questo:
𝑐
∗ 𝑆𝑛 = 𝑁
𝑥
𝑐
∗ 𝐼𝑛 = 𝑀𝑛
𝑥

Ho messo Mn e non M perché in genere il momento andava riferito all’asse neutro.

Ora, se siamo in flessione semplice, N risulta essere =0, e quindi dalla prima equazione che contiene due
incognite, 𝑐 e x, ottengo 1 equazione in 1 incognita. Abbiamo Momento statico rispetto all’asse neutro
nullo; se il Momento statico si annulla rispetto a un asse vuol dire che quell’asse è baricentrico. Quindi
scopro in flessione semplice che l’asse neutro è baricentrico.

La scorsa lezione non avevamo messo Mn perché se N è =0, il Momento lo posso riferire a qualunque polo,
perché il Momento di trasporto, cioè N * la distanza dal polo, chiaramente è =0 perché N è =0. M coincide
con Mn, ovvero col Momento preso rispetto qualunque polo, perché se trasporto uno Sforzo normale nullo
il Momento di trasporto è sempre =0.

Se invece sono in pressoflessione, e non posso usare la Sovrapposizione degli Effetti, devo allora tenere
conto di entrambe le equazioni perché avrò un N e un Mn non nulli.

Tipicamente si fa un passaggio in più. Vediamolo. Dalle due equazioni, isolando 𝑐 /x ottengo:

𝑐 𝑁 𝑀𝑛
= =
𝑥 𝑆𝑛 𝐼𝑛

Da cui:

𝐼𝑛 𝑀𝑛
=
𝑆𝑛 𝑁

Consideriamo di avere un N e un M (M e non Mn perché calcolando la struttura li ho rispetto al baricentro,


se ho scelto come linea strutturale l’inviluppo dei baricentri), Fig. 1.

N M
[Fig.1]

Ho scoperto che l’asse neutro non è detto che sia quello baricentrico, perché non è più vero che 𝑆𝑛 è nullo
(probabilmente è più sotto perché se valesse il Principio di Sovrapposizione degli Effetti al diagramma di 
uniforme dovrei sommare quello a farfalla, e quindi le compressioni aumentano provocando la discesa
dell’asse neutro. Cioè avrò sopra una frazione più compressa e sotto una meno compressa). Tutto sommato
posso dire che quel sistema è equivalente a questo (Fig. 2):

N a

dn e H/2 x

N M

N Mn

[Fig. 2]

𝑀𝑛
Ho trasportato N di una quantità pari ad e (eccentricità), che è pari a 𝑁
(ho scritto Mn, quindi il Momento
lo sto riferendo non più al polo che ho scelto, ma all’asse neutro). Però l’asse neutro non lo conosco, e
come faccio a calcolare il Momento rispetto ad un asse che non conosco? Non posso farlo direttamente.
Però è come se avessi portato il sistema N e Mn più sotto, in corrispondenza dell’asse neutro.

Possiamo battezzare la distanza del centro di pressione dall’asse neutro BRACCIO DELLA COPPIA INTERNA
dn, perché è proprio la distanza della forza dall’asse neutro dove la forza è nulla.

Mi ritrovo un’equazione con dn e Sn incognite, ma in realtà entrambi sono funzioni di x (la quota di
quest’asse incognito, l’asse neutro) che risulta essere l’unica incognita.

Avendo definito:

- a come la distanza del centro di pressione dal lembo di sopra (che stia sopra o sotto il lembo è
indifferente, ma avrà segno diverso, positivo se al di sopra della sezione)

- H/2 come la quota del baricentro dal lembo di sopra

Possiamo dire che:


𝐻
𝑒 = +𝑎
2

𝑑𝑛 = 𝑥 + 𝑎

Da cui, sapendo che 𝑒 = 𝑀/𝑁:

𝐻 𝑀 𝐻
𝑎=𝑒− = −
2 𝑁 2
𝐻 𝑀
𝑑𝑛 = 𝑥 − +
2 𝑁
Sono arrivato ad un’equazione che so risolvere perché l’unica incognita è la x.

Tutto ciò è nato perché non potevamo applicare il Principio di Sovrapposizione degli Effetti, né in caso di
Fessurazione nè in caso di Plasticità.

Nel caso di Fessurazione (ricordiamo, quando ho una resistenza a trazione molto più bassa di quella di
compressione) possiamo però applicare un trucco. Una struttura che ha i requisiti per fessurare, lo farà
sicuramente: è un comportamento fisiologico. Una volta che si è aperta la fessura, potrà entrare al suo
interno materiale corrosivo e la situazione può peggiorare col tempo. Quindi per evitare che queste
strutture fessurino devo prendere dei provvedimenti.

Per semplificarsi la vita possiamo utilizzare gli stumenti e i calcolatori, ma è importante avere una certa
manualità e sensibilità sui conti, per capire se i risultati ottenuti dal calcolatore sono plausibili e in generale
verificarli.

Esempio: Sto facendo una struttura in stato piano. Ci metto ad un certo punto una forza fuori piano. Ma
non avendo il grado di libertà, il software non calcola la terza dimensione.
ad esempio ho una shell, una struttra piana, e immaginiamo di volerci aggiungere una mensola. Le shell in
genere, vengono analizzate solo nel piano perché non sono interessato alle ϕ. Quindi, quando lancio
l’analisi, il software non calcolerà le relazioni relative alla rotazione, cosa sbagliata, perché la mensola può
ruotare e quindi risulta labile.

Torniamo alla struttura analizzata in Fig.2. Se questa struttura fessura, e se immaginiamo di avere uno
sforzo normale ad una quota diversa da quella del baricentro (ricordiamo che l’eccentricità massima perché
la sezione fosse tutta compressa era H/6, cioè un sesto dell’altezza), e se lo sforzo normale si trova ad una
quota maggiore di un sesto dell’altezza, accade che al contributo del calcestruzzo N/A devo sommare il
contributo M/W. Visto che risulta M > N*H/6 (vuol dire che sono uscito dalla zona che mi mantiene
compressa l’intera sezione; N*H/6 l’avevamo chiamato Momento di decompressione, cioè quello che mi
porta a diagrammi di tensione triangolari). Cioè, visto che ho superato la configurazione triangolare,
accade la seguente situazione (Fig. 3):

N/A M/W

H’ N M

[Fig. 3]

Se il materiale fessura, tutto quello che ho fatto cade in più punti:


Quando scrivo M/W, studiare separatamente questo caso è impossibile, perché tutta la parte tesa chi me la
da? (non può nascere se il materiale non resiste a trazione). Potrei far finta di considerare che regge, salvo
poi controllare che alla fine, sommando gli effetti,è tutto compresso oppure no (che era un pò il caso che
abbiamo fatto l’altra volta, avendo un momento M < N*H/6. Al diagramma delle sigma dovuto a N dovevo
aggiungere una farfalla M/W. Quello che toglievo non era in grado di annullarmi le compressioni né
tantomeno di mandarmi un parte della struttura in trazione: restava tutto compresso, Fig. 4).

𝑁𝐻
caso 𝑀 < 6

[Fig. 4]

Allora è vero che sono passato nella Sovrapposizione degli Effetti per una fase errata, perché, se il materiale
non resiste a trazione, non ha fisicamente senso calcolarsi questo diagramma con il triangolo di trazione là
sotto e dire che metà della sezione è tesa.

Però, andando avanti sommando i vari effetti, si vede che in realtà resta tutto compresso, quindi il risultato
è comunque valido. Quindi, anche se il materiale fessura non mi importa perché non va mai in trazione.

Nel caso di sopra invece (quello con M > N*H/6), andando avanti sommando i vari effetti, vediamo che nel
risultato finale una porzione è tesa, cosa non possibile perché il materiale fisicamente non resiste a
trazione. Quindi questo risultato si calcola ma è fisicamente incompatibile. Allora dobbiamo seguire un’altra
strada.

Il diagramma che abbiamo ottenuto ci sta dicendo che la porzione di sopra è compressa e la porzione di
sotto è tesa.

Immaginiamo di scartare la parte tesa (perché il materiale fessura, non ce la fa, si rompe, e viene meno), e
di rifare tutto il discorso considerando solo l’altezza H’, quella relativa alla parte compressa. Risulta ancora
che M > N*H’/6, quindi di nuovo si formerà un asse neutro, posizionato più sopra di quello precedente, ci
sarà una porzione che fessura, e quindi che dobbiamo scartare. Questo si ripete in maniera ciclica, fin
quando ad un certo punto arriviamo ad una condizione plausibile.

Definendo u come la distanza del centro di pressione dal lembo di sopra, se prendo un H’ = 3u, succede che
rispetto alla sezione che ho individuato, l’eccentricità della forza è proprio 1/6*3u.

Il fatto pratico è che il centro di pressione si trova proprio a H’/6.

Il sistema di cui stiamo parlando è equivalente a questo qui di seguito, Fig. 5:

u 

u N

u
FESSURATO [Fig. 5]

Ottengo un diagramma delle sigma dove la porzione di sotto del materiale si è tutta fessurata.

In conclusione, avevo un’eccentricità quindi un centro di pressione che era fuori il terzo medio (cioè era tale
per cui la sua eccentricità era > H/6).

In questo modo abbiamo fatto sì che l’asse neutro tagli il materiale in due porzioni, di cui una risulta essere
tesa. Questa porzione non è compatibile con il materiale, quindi non va considerata.

Questo discorso vale fin quando il centro di pressione è posizionato dentro la struttura (perché sto
trovando un triangolo di sigma , che è in grado di essere in equilibrio con la N, e il triangolo ha il suo
baricentro nel terzo di sopra). Quindi se voglio generare una triangolo che faccia equilibrio con N, il
triangolo avrà la risultante N proprio a un terzo da sopra e due terzi da sotto.

Quindi, ricapitolando, se sto considerando delle u ≤ H/3, posso applicare, anche se impropriamente, il
Principio di Sovrapposizione degli Effetti, perché ci porterà a un risultato comunque valido.

Se u è > H/3, non posso più applicare il metodo precedente, ma devo individuare una porzione alta 3u, tale
da considerare esclusivamente la parte compressa, per la quale posso invece applicare il metodo visto.

Quanto detto conduce alla seguente considerazione: questo tipo di strutture possono fessurare, ma questo
non altera minimamente la lora capacità portante (cioè la capacità di generare un diagramma di che si
opponga allo sforzo N, equilibrando la situazione). Queste strutture, soggette a fesurazione, non collassano,
ma tendono a portarsi ad una loro configurazione che funziona.

Allora, tutto questo che ci siamo detti prevede che dobbiamo prendere gli sforzi N e M che ho punto per
punto sulla mia trave attraverso il calcolo strutturale, oppure posso fare in una maniera più comoda che
discutiamo di seguito.

Riesco a dire se questa trave, con una sezione di questo tipo, regge, senza fare il calcolo punto per punto?
Questo significa creare un dominio di resistenza, praticamente creare una superficie tale per cui posso
affermare che, se sono all’interno di questa superficie con i punti rappresentativi delle sollecitaiozni, la
struttura sta in sicurezza, se sono sul bordo di questa superficie la struttura sta al limite, se sono fuori dal
dominio la struttura sta in crisi (evidentemente questa è una zona fittizia perché la struttura fisicamente
non ci arriverà mai).

Questo concetto si chiama dominio e in particolare posso farlo per M e N, quindi per le tensioni normali.

Di seguito preannunciamo un concetto che svilupperemo più in là, cioè i Criteri di Resistenza, (cioè quant’è
la σ massima? Se si accoppia con la τ, qual è la condizione di crisi?) Per capire questo concetto
immaginiamo di fare una prova di trazione su una barra: quando la barra si rompe, quella è la σ massima.

Sostanzianzialmente sto strasformando una verifica analitica in una verifica grafica. In particolare, se vale il
Principio di Sovrapposizione degli Effetti, possiamo definire la σ come di seguito (Binomia di Navier):
𝑁 𝑀
𝜎= ±
𝐴 𝑊

Il “più” mi da la sigma max, il “meno“ mi da la sigma min.

Per individuare le condizioni di non crisi, la σ deve risultare sempre più grande della resistenza a
compressione (sulla formula seguente ho messo il “meno” perché fc, essendo una resitenza, è sempre un
numero puro, ma una sigma di compressione è una sigma negativa); dall’altro lato le sigma non possono
essere troppo grandi perché potrebbero superare la soglia di resitenza a trazione che indichiamo con ft.

− 𝑓𝑐 ≤ 𝜎 ≤ 𝑓𝑡

Posso anche esprimere ft in quest’ altro modo:

𝑓𝑡 = α𝑓𝑐

Dove α è una frazione di fc, (se il materiale è isoresistente, cioè ha la stessa resistenza a compressione e
trazione risulta α = 1, se il materiale non resiste a trazione risulta α = 0, se resiste il 50% risulta α = 0.5, etc).
α può essere anche maggiore di 1 (quando il materiale resiste più a trazione piuttosto che a compressione),
ma non è un caso tipico che affronteremo.

E dividendo tutto per fc, ottengo:

𝑁 𝑀
−1≤ ± ≤α
𝐴𝑓𝑐 𝑊𝑓𝑐

Teniamo ben presente che stiamo portando avanti un ragionamento ipotizzando di conoscere con
precisione M, N e fc della struttura, che dipenderanno però dai carichi ai quali la struttura sarà sottoposta,
cosa che apriori non possiamo conoscere con precisione. Ma, per stabilire ciò, possiamo usare un approccio
probabilistico. Ma vedremo meglio quest’argomento nelle prossime lezioni.

A*fc possiamo battezzarlo come l’N di crisi o di rottura, l’N limite, oppure più propriamente l’N di failure
(cioè non di rottura o crisi, ma che non rispetta la soglia di una verifica).
Allo stesso modo possiamo battezzare W*fc come il M di failure.

Quindi otteniamo:

𝑁 𝑀
−1≤ ± ≤α
𝑁𝑓 𝑀𝑓

N/Nf e M/Mf sono due numeri adimensionali, e ci danno indicazione della frazione della crisi in cui sta la
struttura, al variare degli sforzi N e M a cui essa è soggetta.

Attraverso questa rappresentazione che andiamo ora a sviluppare, riusciremo a cogliere le interazioni tra N
e M.

Individuiamo allora due assi, N/Nf e M/Mf , che per praticità comunque indicheremo x e y (Fig. 6).

Stavamo dicendo che dobbiamo evitare la crisi di schiacciameto. Per evitare la crisi di schiacciamento (per
non eccedere con una sigma oltre fc) devo fare in modo che sia rispettata la seguente relazione (la
disuguaglianza di destra contempla invece la trazione):
−1≤𝑥± 𝑦≤α

E quindi che siano rispettate le seguenti relazioni:

a) −1≤𝑥+ 𝑦 c) 𝑥+ 𝑦≥α

b) −1≤𝑥− 𝑦 d) 𝑥− 𝑦≥α

M/Mf=y

a) d)

N/Nf=x
-1 1

b) c)

[Fig. 6] -1

Per il grafico abbiamo considerato α=1.

Possiamo guardare anche la seguente figura, Fig. 7

[Fig. 7]
Se sono in compressione centrata, posso arrivare fino allo sforzo limite Nf, ma ci metto anche una flessione
M, N non può più arrivare al valore di Nf senza che il materiale ceda, perché uscirei fuori dal dominio. Allo
stesso modo, se volessi arrivare a Mf non posso dare uno sforzo N, ma dovrei dare solo momento flettente
M. La retta a) rappresenta il limite oltre il quale la struttura ha una crisi per compressione. In altre parole,
solo nelle condizioni di sollecitazione unica posso arrivare alla soglia, per qualunque combinazione di
sollecitazioni invece mi devo mantenere più sotto.

Vale lo stesso discorso per la retta b), anch’essa è una retta limite per compressione (e la disuguaglianza mi
impone di restare alla sua destra), cioè quando con le sollecitazioni N e M supero questa retta sto
schiacciando il mio materiale.

Allo stesso modo anche c) e d) rappresentano due rette limite, in questo caso per la condizione di trazione
cioè quando, se sforate, il materiale ha superato la sua soglia di trazione.

Quindi se prendo N e M, posso fare due cose: o mi calcolo Nf e Mf, moltiplico questo diagramma per questi
valori e ottengo il diagramma vero, oppure gli N e M che ho, li divido per Nf e Mf, e li piazzo sul diagramma.

Se il punto si trova all’interno delle rette limite, la verifica è soddisfatta, se sta fuori non lo è, se sta sulla
frontiera il materiale è alla sua soglia (in questo caso limite più precisamente accade che, se il materiale è
fragile, si rompe; se il materiale è duttile, può ancora reggere, deformandosi).

Se invece di prendere un materiale isoresistente (α=1), prendessi un materiale con resistenza a trazione più
bassa di quella a compressione (α=0.5 ), il diagramma si modificherà, Fig. 8:

[Fig. 8]

Il dominio è diventato più piccolo, quindi in questo caso il materiale sopporta meno combinazioni di sforzi
N e M rispetto al caso precedente. Inoltre, il massimo momento flettente tollerabile non ce l’ho più per
N=0, ma per una combinazione di sollecitazioni, questo avviene perché se io gli do un po’ di compressione,
allontano il materiale dal limite di trazione, perché mi tiro tutte le sigma e le mando in compressione.

Di seguito ci spieghiamo meglio.

Dando solo Momento flettente, arrivo al punto 1, limite dopo il quale ho crisi per trazione; ma se, arrivati al
punto 1, imprimo uno sforzo normale, cioè di compressione, mi sposto verso sinistra, allontanandomi dal
limite di trazione e avvicinandoci al limite per compressione, arriviamo al punto 2. Se ora voglio muovermi
verso l’altro devo aumentare la coppia (aumentare la coppia significa aumentare la curvatura) e arrivo nel
punto 3.

Possiamo anche vederlo su quest’altro diagramma, Fig. 9:

[Fig. 9]

Le due rette rappresentano le due soglie ft e fc, e la retta tratteggiata rappresenta l’origine, il punto 0.

Sto dando momento flettente, quindi si forma la farfalla sul diagramma delle σ: ho dato un M, quindi
rispetto a 0 le sigma di trazione e di compressione sono cresciute (in realtà quelle di compressione sono
diminuite, ma lasciamo stare i segni, esprimiamoci in modulo). Aumentando solamente M, vado in crisi per
trazione perché il primo limite che incontro è quello di trazione. Mi devo fermare anche se osservo che a
compressione ce la facevo ancora.

Se do una compressione provoco una traslazione del diagramma delle sigma in direzione del limite di
compressione; in questo modo il diagramma si sarà allontanato dai due limiti. Se ora aumento la coppia
(aumentare la coppia significa aumentare la curvatura, la pendenza del diagramma) arrivo nel punto 3.

Spieghiamoci ancora meglio vedendo i passaggi step by step, Fig. 10:

[Fig.10]

Partendo dal punto 1, osserviamo che il materiale è arrivato al limite della resistenza per trazione, ma non
ancora al limite per resistenza a compressione; se noi diamo un po’ di sforzo normale, cioè comprimo, ci
allontaniamo dal limite di trazione e ci avviciniamo al limite di compressione (punto 2), ma ne restiamo
comunque distanti; posso allora portarmi nel punto 3, e quindi tornare in una condizione di crisi, fornendo
un momento più grande (graficamente la pendenza ci da un’indicazione proprio di M perché la pendenza è
data da M/I , ma I è costante).
Però, arrivati al punto 2, potevo anche dare maggiore compressione e il diagramma delle σ andava a
sbattere contro la retta di crisi per compressione, punto 4.

Ultimo caso: prendo un materiale con α=0 (materiali no-tension), cioè con nessuna resistenza a trazione,
Fig. 11.

[Fig. 11]

Le rette limite per trazione migrano ancora, e il dominio è diventato ancora più piccolo (osserviamo che è
un quarto dell’area che avevamo con α=1). Le combinazioni di N e M tollerabili sono ancora minori e tutte
dal lato degli N negativi (questo vuol dire che ora N non potrà mai andare in trazione). Per N=0, M può solo
essere anch’esso =0. Quindi per poter dare una coppia devo dare un minimo di sforzo normale. Per dare il
momento massimo devo dare uno sforzo pari alla metà dello sforzo normale massimo.

Ci spieghiamo meglio guardando ancora la Fig. 11 e la seguente Fig. 12:

[Fig.12]

Ora la retta dell’origine coincide con quella del limite ft, quindi posso andare a muovermi solo a destra,
verso il limite di compressone fc. Se dessi ora una flessione sforerei subito in trazione, perché il muro della
trazione qusta volta coincide con 0.
Se invece do uno sforzo normale centrato pari a Nf/2 arrivo a fc/2 (punto 1’). A questo punto posso dare
una coppia che mi fa ottenere il classico diagramma delle sigma a farfalla (punto 1’’), che osserviamo essere
quello con la massima pendenza che può esistere (e la pendenza è funzione di M).

Abbiamo concluso la parte sulle sigma, ora dobbiamo introdurre le modalità di verifica.

Immaginiamo di avere un dominio di questo tipo, Fig. 13:

R S R N

[Fig. 13]

Affinché la struttura regga, non posso uscire da questo dominio.

Ipotizziamo che la mia struttura sia inizialmente scarica, quindi di trovarmi nel punto (N=0;M=0).

Primo caso: ho una barra che posso comprimere oppure tendere (Fig.14, caso 1), quindi posso spostarmi
dal punto 0, nel diagramma di Fig. 13 in avanti o indietro sull’asse delle ascisse fino a S, punto di
sollecitazione attuale.

Caso 1 Caso 2 F

[Fig. 14] L L

M=F*L

Mi chiedo: che sicurezza ha questa struttura? Per rispondere a questa domanda devo calcolare il
Coefficiente di Sicurezza o il Margine di Sicurezza.

Definiamo con S la sollecitazione e con R la Resistenza (possiamo chiamarle anche Domanda e Offerta; la
Domanda è S, e mi chiedo: a quale Offerta posso arrivare? Che resistenza R mi offre?).

Definiamo il Coefficiente di Sicurezza, Safety Factor, come il rapporto tra R e S. Per essere in condizioni di
sicurezza dovrà sempre risultare:

𝑅
≥1
𝑆
Se ad esempio la resistenza è il doppio della sollecitazione (l’offerta è il doppio della domanda), il S.F. è = 2.
Se la resistenza è pari alla sollecitazione, risulta S.F. = 1, e siamo nella situazione limite.
Se invece ho un S.F. < 1, vuol dire che la sollecitazione è maggiore della resistenza, e abbiamo superato la
soglia della resistenza.

Essendo un’espressione frazionaria, il S.F. non è agevole da utilizzare per alcuni calcoli. Per questo si
introduce il Margine di Sicurezza, espresso come differenza tra R e S, per il quale dovrà, banalmente,
sempre risultare:

𝑅−𝑆 ≥0

Il Margine di Sicurezza è più comodo dal punto di vista calcolativo, ma è meno oggettivo (perché più
variabile, essendo soggetto ai valori numerici degli sforzi in gioco). Inoltre il S.F. è un numero
adimensionale, mentre il Margine di Sicurezza ha una dimensione (ad esempio kN).

Graficamente, sul diagramma di Fig. 13, l’R può stare nel vertice estremo a destra o nel vertice estremo a
sinistra, a seconda del verso di N. È una cosa che bisogna di volta in volta stabilire, per capire in che verso si
muoverà la sollecitazione andando verso la crisi (cioè lo sforzo normale massimo).

Al contrario, consideriamo di aver fissato il verso e l’intensità di N, e di avere un’azione orizzontale F


variabile (Fig. 14, caso 2). Quant’è la forza massima F che posso dare?

Se faccio crescere F, il diagramma del momento vale F*L, avendo indicato con L la lunghezza.

Se F varia, ed N resta costate, varia anche M. Questo comporta che adesso la R si troverà in punti diversi da
quelli precedenti; R (che ora rappresenta il momento massimo) potrà stare sopra oppure sotto (Fig. 15).

S N

[Fig. 15]

In Fig. 13 il percorso di carico era orizzontale, in Fig. 15 il percorso di carico è verticale.

Se ad esempio mi accorgo che sforo (in Fig. 15) perché ho una F troppo grande (quindi sforo con M), per
rientrare nel dominio posso prendere una N più piccola (in modulo). Aumentando N posso aumentare F, e quindi M,
spostandomi sulla diagonale sul bordo oppure all’interno del dominio.
Se il materiale è fragile non posso camminare sul bordo, perché il materiale si rompe; se il materiale è
duttile posso invece spostarmi sulla frontiera, anche se potrebbe essere pericoloso, perché il materiale si
plasticizzerà.

Facciamo ora un altro caso: consideriamo di avere una forza eccentrica agente su una struttura (Fig. 16).
Disegnamo il diagramma dello sforzo normale, che è costante (N = F), e il diagramma del momento, il quale
prima cresce con il braccio, poi arrivato sul nodo si ribalta ed è costante (M = F*e), Fig. 16.

F F F

N M

[Fig. 16] N=F M = F*e

Ipotizzando di partire da (0;0), comincio a far crescere F, ed N cresce con F, mentre M cresce con F*e. Posso
individuare un R’, e con esso una F’ limite (la F tale che sbatto sulla frontiera, oltre la quale ho crisi).

Questo è un calcolo fatto al primo ordine, cioè ho calcolato tutto sulla struttura come se rimanesse sempre
ferma. Nella realtà questa struttura si inflette, essendo soggetta all’effetto P-δ (cfr. Lez. 07), Fig.17.

e Δ

[Fig. 17]

Il punto di applicazione della forza si sposta, si inflette

Quindi in realtà M è dato da F*e + F*Δ

𝑀 =𝐹∗𝑒+𝐹∗𝛥

E’ successo che man mano che F cresceva, il momento non valeva F*e, ma ci dovevo aggiungere F*Δ, che è
un effetto del secondo ordine, perché la sollecitazione cresce per il fatto che la struttura si sposta. Questo
accade in genere quando sono gli sforzi normali che si spostano.

Vediamolo nella Fig. 18.

R’ R’’

F’ F’’ Fcr
[Fig. 18]

M cresce in maniera maggiore rispetto a prima, individuando un R’’ diverso dal precedente R’, il quale a sua
volta individua una F’’ limite più bassa della precedente F’. Per questo dobbiamo fare attenzione quando
trascurariamo gli effetti del secondo ordine.

Se la struttura non riesce mai a trovare una configurazione stabile, questa si continuerà a spostare,
amplificando sempre più gli effetti (la struttura si sposta; nasce un momento aggiuntivo; il momento
aggiuntivo fa spostare un altro po’ la struttura; nasce un momento aggiuntivo; il momento aggiuntivo fa
spostare un altro po’ la struttura, ecc. ecc.), fin quando la struttura non crollerà del tutto (ho uno
snapback). In corrispondenza di questa situazione individueremo l’F critico (Fcr , definito così perché si
collega con il carico critico e la instabilità). Abbiamo quindi una crisi per instabilità, cioè la struttura non
crolla per una crisi del materiale, ma per un fatto geometrico, cioè la sua deformata è stata talmente rapida
che non si è più contenuta, si è autoamplificata, e il sistema è andato al collasso lui solo.

In quest’ultimo caso, non è stato il carico che ha fatto rompere la struttura. Se immaginiamo di poter fare
dei fotogrammi, mi accorgo che la crisi inizia quando il carico è ancora lontano dalla crisi. E’ l’effetto di
instabilità che spara fuori (in verticale nel dominio), ma in realtà la crisi è avvenuta quando N si ferma e
parte con la tangente verticale. Siccome la tangente è verticale, ho perso il controllo della mia struttura.
Posso essere solo fortunato se nasce una reazione di verso opposto che me la ributta dentro, altrimenti il
sistema è collassato.

Quindi man mano che trascuro queste cose, sto trascurando una perdita di capacità portante. Esistono
delle regole per valutare l’entità della perdita. Se è contenuta si considerano dei coefficienti di sicurezza; se
è elevata va calcolata, ma noi non lo faremo.

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