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Lezione 3 11 marzo 2016

Nel modello di calcolo utilizziamo delle linee strutturali, che rappresentano


l’inviluppo dei baricentri delle sezioni trasversali degli elementi considerati.
Solitamente il calcolo è fatto rispetto alla linea, inviluppo dei punti che sto
considerando. Tuttavia tale linea può non corrispondere, all’inviluppo dei
punti rappresentati del baricentro del corpo, e quando i calcoli vengono
poi riportati sul corpo bisogna tenerlo in considerazione.

Utilizzeremo quanto più possibile queste linee semplici, come linee strutturali, facendo sempre molta
attenzione a quali punti (se i punti del baricentro o dei punti diversi) stiamo considerando.

Immaginiamo di avere un pilastro fissato al suolo tramite un incastro: la linea in rosso è la mia linea
semplice inviluppo dei baricentri.

a) Se considero agente su tale corpo una forza F centrata, la colonna è soggetta ad una compressione
centrata, ovunque è solo compressa.

b) Se la forza viene spostata verso destra sto applicando una “presso-flessione” o “compressione
eccentrica”. Ho una coppia F*e, ovvero l’effetto della forza in asse più la coppia di trasporto.

Mi aspetto che quindi il pilastro si inflette, e la sue effettiva deformata sarà:

un po’ se ne scende un po’ si inflette.

Posso tuttavia, decidere di scegliere, un’altra


linea d’asse, spostata verso destra:

in questo caso rispetto al caso b) posso


nuovamente affermare che il pilastro risulta
essere compresso, rispetto a questo schema
strutturale.
Considerando una sezione trasversale della struttura posso considerare singolarmente le tre specifiche
sollecitazioni:

- N: sforzo normale
- M: momento flettente
- T: taglio

Nel nostro caso particolare avrò solo N, mentre T e M sono nulle, tuttavia
questo non mi garantisce che la struttura sia semplicemente compressa, o
meglio soggetta a compressione centrata, in quanto il punto in cui l’ho
calcolata non risulta essere il centro.

Sulla sezione trasversale però mi accorgo subito che N è in realtà uno sforzo
normale eccentrico, in quanto non cade al centro del corpo.

Spesso l’analisi strutturale può essere fatta in maniera molto semplice, notiamo che considerando una linea
d’asse allineata allo sforzo lo studio risulta semplice, rispetto a quando questa non risulta essere allineata.
Però bisogna poi tener presente che tale schema è rappresentativo di una realtà diversa da quella che
effettivamente è.

Ricapitolando: se la linea d’asse che utilizzo per fare i conti è o meno l’inviluppo dei punti corrispondenti al
baricentro, devo comunque capire cosa con questa linea sto considerando. In quanto alla fine bisogna
sempre effettuare un discorso “multi-scala” dal modello alla realtà.

Questo oggetto ha quindi un numero fissato di gradi di libertà, nello spazio 6, nel piano 3, che vanno
bloccati, in quanto stiamo ragionando nella statica (nulla deve muoversi), dai gradi di vincolo: 3t-v, questa
relazione mi dice sempre cosa accade.

Può succedere, e accade anche molto spesso, che qualche grado di libertà non si attiva fin quando non vi è
un’azione, una sollecitazione che lo fa attivare.

Una struttura che non ha bloccati tutti i gradi di libertà si chiama “LABILE”, tali strutture possono avere in
particolari configurazioni di carico, condizioni di equilibrio. Utilizzare una struttura labile è anche
pericoloso, in quanto potrei non accorgermi di particolari azioni, in realtà esistenti per cui non sarà in
equilibrio. Nella scorsa lezione abbiamo già considerato <<l’approccio statico>> : ovvero abbiamo sostituito
al vincolo la sua entità duale, e quindi la sua reazione vincolare.

RICORDA: il vincolo agisce nel punto in cui viene applicato, quindi mi garantisce le condizioni della
cinematica solo in quel punto, non ovunque.
Approccio cinematico: TEORIA DEI CENTRI
Se esiste un centro di rotazione, l’oggetto si sposta, e più mi allontano dal centro, più l’oggetto si muove,
più velocemente a parità di rotazione.

Se esiste un centro la struttura non è in equilibrio, diventa LABILE.

c) È proprio la cerniera il centro (ho un grado di libertà, se gli impongo una φ, ruota secondo φ)
d) Esistono in questo caso infiniti centri, ho infatti due gradi di libertà, nell’istante in cui si attiva un
centro potrebbe sopraggiungere anche uno spostamento. Anche in questo caso se impongo una φ,
il vincolo ruota secondo φ. I centri sono ovunque sulla linea del carrello, incluso all’infinito.

Centro all’infinito o centro improprio (non è un punto fisico) :


1
se ho un centro ad una distanza r , la curvatura risulta essere 𝑟 , se il raggio
aumenta la curvatura diventa via via più piccola. Se il raggio è ∞ la curvatura
1
è ∞
=0, diventa quindi “piatto”, come se fosse semplicemente uno
spostamento.

I centri quindi in d) si trovano sulla retta d’azione del vincolo.

NOTA: gli spostamenti sono comunque sempre piccoli, il campo che consideriamo ovvero quello delle
strutture prevede sempre spostamenti molto piccoli; gli spostamenti grandi si trovano nel campo delle
macchine. Le rigidezze delle nostre strutture sono comunque così grandi che per rendere nulla una forza,
basta uno spostamento molto piccolo, o meglio: la forza si annulla quando lo spostamento è piccolo, visto
che le strutture sono molto rigide. Se per esempio adesso metto 5 carrarmati sul tetto dell’università,
l’edificio se ne scende di poco rispetto alla struttura: su 15 metri forse 1 centimetro. I grafici che
consideriamo sono amplificati, ma gli spostamenti sono comunque sempre piccoli.

b) il centro è solo uno: il centro all’infinito. Questo vincolo è compatibile con un centro all’∞.

a) l’incastro non genera alcun centro. Quando la struttura è ferma, il centro manca.

In realtà vogliamo sempre che il centro non ci sia, ma abbiamo bisogno di determinati strumenti per capire
quando il centro non esiste.

Infine abbiamo il doppio doppio pendolo:


questo genera solo centri all’infinito. I centri quindi sono
infiniti e all’infinito. È come il carrello, un vincolo
semplice.

Il nostro scopo è dunque quello di eliminare i centri, il centro è a tutti gli effetti il “padrone” del corpo, se
esiste, il corpo ubbidisce a quel centro e si muove intorno ad esso.

Un primo modo per eliminare un centro è farne nascere un altro:

questo corpo ha due cerniere, per obbedire ad un centro


(quello della cerniera inferiore) dovrebbe ruotare in un certo
modo, tuttavia il secondo centro (quello della cerniera
superiore) gli impone una rotazione diversa, questa
impossibilità di obbedire a due diversi moti rende il corpo
privo di centri e quindi fermo.

In realtà non sto facendo altro che imporgli 4 vincoli, uno in


più rispetto a quelli che mi servirebbero per saturare i miei
gradi di libertà.

La struttura prende in nome di iperstatica: ho inserito più vincoli di quelli necessari.

𝑙 −𝑖
i= gradi di iperstaticità

posso riscrivere tale equazione anche come:

3𝑡 − 𝑣 = 𝑙 − 𝑖
3t= 3 gradi di libertà (sempre considerati nel piano) per tratto della struttura

v= gradi di vincolo

l= gradi di labilità

i= gradi di iperstaticità

Ritornando a noi: ogni vincolo mi genera un insieme di centri, se ho più vincoli il centro vero della
struttura sarà ottenuto dall’intersezione (in senso insiemistico) dei centri relativi ai vincoli presenti.

Nel nostro caso quindi utilizzando due cerniere, dall’intersezione dei due centri, mi esce zero, e quindi non
ci sarà alcun centro e nessuna rotazione.

Ho una struttura con un carello:


la struttura è labile, tuttavia se aggiungo un cerniera:

3(𝑡 = 1) − 3(𝑣) = 0 ho azzerato lo scarto tra gradi di libertà e gradi


di vincolo, ma è sempre labile.

Per cui ho messo un vincolo, il carrello che non fa avvenire spostamenti


verticali, poi ho messo una cerniera anche questa non mi fa avvenire
spostamenti verticali, per cui matematicamente parlando quest’ultima
risulta essere una combinazione lineare del carrello, in realtà non ho
aggiunti niente di nuovo.

Se considero la teoria dei centri infatti, il carello ha infiniti centri sull’asse, mentre la cerniera ha un solo
centro nel suo punto di applicazione. L’intersezione tra i vari centri, mi restituisce un centro in comune,
ovvero proprio il punto di applicazione della cerniera. Se esiste un centro la struttura è labile, con labilità 1.

3(𝑡 = 1) − 𝑣 = 1(𝑙) − 1(𝑖) = 0


Non sono riuscito quindi ad eliminare i centri.

Consideriamo un altro esempio: una trave a cui aggiungo un pendolo, ovvero un vincolo semplice:

3(𝑡 = 1) − 1(𝑣) = 2(𝑙) − 0(𝑖) , tale struttura risulta essere labile


2 volte, i centri sono infiniti.

Aggiungo quindi un ulteriore pendolo (somiglianza al pattino):

3 (𝑡 = 1) − 2(𝑣) = 1 (𝑙) − 0(𝑖) la struttura risulta ancora labile;


effettuando l’intersezione tra i centri relativi ai due vincoli: il primo
pendolo ha centri infiniti lungo il proprio asse di applicazione, il
secondo pendolo ha centri infiniti lungo il proprio asse di
applicazione; i centri propri vengono eliminati, resta però il centro all’infinito.

La struttura continua ad avere un centro improprio, ovvero un centro all’infinito; essa ha infatti come unica
possibilità di moto, il moto orizzontale.

Posso tentare di rendere tale struttura isostatica aggiungendo un ulteriore vincolo semplice, quindi un altro
pendolo.

Tuttavia si nota che la struttura continua ad essere labile, ancora


una volta l’intersezione tra i centri dei tre vincoli non è vuota, ma c’è
sempre un centro all’infinito.

3 (𝑡 = 1) − 3 (𝑣) = 1(𝑙) − 1(𝑖)


Potrei decidere di insistere aggiungendo un ulteriore vincolo semplice, un pendolo,

3 (𝑡 = 1) − 3 (𝑣) = 1(𝑙) − 2(𝑖)

In realtà sto semplicemente inserendo dei vincoli inutili, tutti sostanzialmente sono combinazione lineare
degli altri. L’aggiunta di ulteriori pendoli rende ridondante quello che già facevano gli altri, anzi mi sta
complicando la vita, ottengo effetti controproducenti, in quanto se la struttura fosse soggetta a distorsioni
termiche potrebbe cedere, in quanto si potrebbero verificare sollecitazioni anche molto grandi.

Una struttura iperstatica di questo tipo (4 pendoli), risulta quindi essere controproducente, perché rende
comunque il calcolo più complicato, ha una marea di incognite mentre le equazioni rimangono sempre le
tre equazioni della statica, a fronte di queste tre equazioni ho già 4 incognite, e man mano che aggiungo
pendoli le incognite aumentano mentre le equazioni no. Per riuscire a calcolare le altre incognite ho
bisogno di ulteriori condizioni di compatibilità, cioè devo capire come il corpo si “deforma”.

Ricapitolando: aumentare il numero di vincoli, oltre a quelli strettamente necessari genera complicazioni.
Se e solo se la mia struttura è plastica tali vincoli sono vantaggiosi, in quanto sono tutte plasticizzazioni
potenziali che possono nascere senza però portare al collasso della struttura; ogni plasticizzazione risulta
essere uguale ad una perdita di vincolo.

Aggiungere vincoli compatibili, significherebbe, nel nostro esempio, aggiungere un pendolo inclinato, anche
di poco:

con i primi due pendoli faccio fuori i centri propri, con il


terzo pendolo inclinato, i centri all’infinito, infatti
l’intersezione è nulla in quanto i due centri all’infinito si
trovano su due assi diversi.

3(𝑡 = 1) − 3(𝑣) = 0(𝑙) − 0(𝑖) = 0


Se aggiungo un ulteriore vincolo la mia struttura diventa iperstatica, sempre con labilità nulla:

3(𝑡 = 1) − 4(𝑣) = 0(𝑙) − 1(𝑖) = −1


Ho messo un vincolo di troppo ma almeno ho un set di
vincoli che mi permettono di non avere centri, quindi in
altre parole ho un set di vincoli che mi rendono la struttura
isostatica, e altri vincoli in eccesso.

Importante: quando studiamo una struttura conviene sempre trovare prima di tutto i vincoli che mi
rendono la struttura isostatica e poi quelli in eccesso.

Facciamo un esempio:

consideriamo una mensola con un incastro, tale struttura risulta


isostatica (l’incastro rende sempre la struttura isostatica) , se però ad
essa vengono aggiunti due pendoli con asse inclinato, questi risultano
essere due vincoli in eccesso che mi rendono la struttura iperstatica.

Nell’esempio precedente, asta verticale con due cerniere, il vincolo in più risultava essere la cerniera
superiore, per rendere tale struttura isostatica bastava infatti metterci un pendolo orizzontale.
Adesso consideriamo:

 Tre centri propri allineati rendono labile la mia struttura, in quanto ho


sempre un centro all’infinito

 In questo caso i centri non sono allineati e la mia struttura non è labile.

Consideriamo un corpo con due vincoli, due cerniere, quindi 4 gradi di vincolo, per un tratto, 3 gradi di
libertà.

Noto subito che tale struttura non ha centri.

Sostituiamo ai vincoli le reazioni vincolari.

Posso scrivere quindi le equazioni cardinali della statica:

↑ 𝑅𝑉𝐴 + 𝑅𝑉𝐵 − 𝐹 = 0 (1𝑎 𝐸𝐶𝑆)


{ → 𝑅𝐻𝐴 + 𝑅𝐻𝐵 = 0 (2𝑎 𝐸𝐶𝑆)
↻ (𝑝𝑜𝑙𝑜 𝐴) 𝐹 ∗ 𝑎 − 𝑅𝑉𝐵 ∗ 𝑙 = 0 (3𝑎 𝐸𝐶𝑆)

Prima di tutto una considerazione: dalla prima equazione cardinale della statica noto che in questo caso la
scelta del verso è del tutto arbitraria, anche se considero ↓ l’equazione che ottengo è del tutto equivalente
a quella già scritta.

𝐹∗𝑎
Ho quindi 3 equazioni in 4 incognite ottengo dalla 3𝑎 𝐸𝐶𝑆 ⇒ 𝑅𝑉𝐵 = 𝑙

Dalla 1𝑎 𝐸𝐶𝑆 ⇒ 𝑅𝑉𝐴 = −𝑅𝑉𝐵 + 𝐹 da tale equazione però posso fare alcune considerazioni, in quanto
ho due reazioni vincolari che mi contrastano la forza a seconda del proprio peso. Lo scopo di una struttura è
scaricare le azioni a terra, devo appunto capire come avere una serie di vincoli capaci di assorbire quelle
azioni.

L’equazione 2𝑎 𝐸𝐶𝑆, è proprio la condizione di iperstaticità, se non avevo le reazioni vincolari tale
equazione sarebbe stata banalmente pari a : 0=0, nonostante questo la condizione di equilibrio sarebbe
stata ugualmente verificata (anche se la struttura era labile). Se invece avessi avuto solo una reazione
vincolare avrei scoperto che questa sarebbe stata uguale a zero: ex. 𝑅𝐻𝐴 = 0. Se le metto entrambe noto
che esse sono auto equilibrate tra loro: 𝑅𝐻𝐴 = −𝑅𝐻𝐵 ATTENZIONE: notiamo da questo risultato che uno
dei due versi delle reazioni è stato direzionato male.

Tuttavia da questo capisco una cosa importante che queste sono uguali ed opposte 𝑅𝐻𝐴 = 𝑅𝐻𝐵

Questo risultato indica che il sistema è in equilibrio qualunque sia il valore di 𝑅𝐻𝐴 e 𝑅𝐻𝐵 , ma ancora non
sono in grado di stimare tale valore.

È nata un’incognita iperstatica ovvero una forza, una reazione, che qualunque valore assume mi garantisce
l’equilibrio per la mia struttura.

In questo esempio tale valore banalmente è quello nullo, ma se già la forza agente sulla struttura fosse
stata inclinata, avrei avuto una componente normale da considerare.

Posso tuttavia calcolare tale valore, considerando una sollecitazione agente sul corpo, un allungamento,
che me lo deforma, in questo caso particolare posso appunto trovare l’unico valore della forza che me lo fa
tornare in B, che quindi mi annulla lo spostamento; in questo modo sto utilizzando un criterio cinematico
per risolvere un problema statico.

Posso quindi scrivere: 𝑅𝐻𝐵 : 𝑢𝐵 = 0 condizione di compatibilità, ovviamente per definirla bisogna
conoscere il valore di 𝑢𝐵 . 𝑅𝐻𝐵 può assumere qualunque quantità.

Quindi questo mi permette di dire che se non ho una forza orizzontale agente sulla struttura, era
indifferente posizionare un carello o una cerniera, in quanto resta tutto fermo, tutto uguale.

Se invece la forza applicata era inclinata, oppure avevo una distorsione termica, ovvero un allungamento, e
la mia struttura non è dotata di un vincolo capace di contrastare tale forza, essa si deforma; ma se la mia
struttura è dotata di un vincolo iperstatico, il vincolo riesce a contrastare quanto basta affinché il punto B
resti fermo. La dilatazione allunga la struttura la reazione vincolare me la contrae, contrastando la
deformazione “principio di sovrapposizione degli effetti”.

Ritornando al nostro esempio o elimino 𝑅𝐻𝐴 oppure elimino la2𝑎 𝐸𝐶𝑆, ciò non influisce in alcun modo sulla
nostra struttura.

𝑙
Se 𝑎 = 2 ⇒ in questo caso la somma delle due reazioni deve fare F, che si
trova ad una distanza uguale da entrambe, per cui posso dire che
𝐹
𝑅𝑉𝐴 = 𝑅𝑉𝐵 = . Se è presente una simmetria bisogna sfruttarla sempre.
2

Se 𝑎 = 0 ⇒ 𝑅𝑉𝐴 = 𝐹 𝑒 𝑅𝑉𝐵 = 0, più sposto la F vicino al vincolo A, più do


fastidio a tale vincolo rispetto all’altro.

𝐹∗𝑏.
In generale : 𝑅𝑉𝐴 = 𝐹 ∗ 𝑎/l e 𝑅𝑉𝐵 = 𝑙

Esercizi:
Consideriamo una mensola con un incastro e soggetta ad una forza:

↑ 𝑅𝑉𝐴 = 𝐹

↺ 𝑅𝑀𝐴 = 𝐹 ∗ 𝑙

Ma se considero un punto P, cosa succede in tale punto? Cosa sta


facendo questa porzione di struttura rispetto all’altra?

Il mio vincolo è un incastro, il quale impedisce gli spostamenti


verticali, orizzontali e le φ, rispetto a se stesso.

Se io considero solo il pezzo b) potrei essere curioso di sapere quanto vale questa reazione interna
verticale. Tale reazione verticale interna, essendo ortogonale all’asse, prende il nome di TAGLIO.

T è la reazione verticale dell’incastro interno: 𝑻−𝑭=𝟎 ⇒ 𝑻=𝑭

Sostanzialmente sto scrivendo l’equilibrio di una porzione più piccola del corpo, ovvero quella che resta dal
sezionamento in poi. Ma essendo un equilibrio ed essendo in equilibrio il tutto, (se è in equilibrio il tutto,
lo è anche ogni sua parte), T è in equilibrio con tutto ciò che da taglio sulla struttura, ovvero con tutte le
forze che hanno componente parallela a T.

Potrei anche vederla al contrario, in questo caso ciò che mi dà equilibrio nella parte che ho tolto, è proprio
il taglio, e quindi la forza, essendo l’unica componente verticale.

In altre parole, immaginiamo di avere un vincolo interno, un vincolo è qualcosa che si oppone ad una
sollecitazione, in questo caso impedisce degli spostamenti: verticali, orizzontali e di φ.

Posso quindi calcolarmi le reazioni vincolari, la prima reazione vincolare è quella verticale e per
convenzione viene denominata TAGLIO ed è una componente interna.

Tale reazione può essere valutata seguendo l’ottica della reazione vincolare, e risulta essere proprio pari a
F. 𝑻 = 𝑭 tale equazione di equilibrio mi sta dicendo che T è in equilibrio con le forze che agiscono sulla
struttura. Mi dà taglio tutto ciò che è parallelo al taglio, in questo caso la F è parallela a T.

Il punto P (xp ; yp) non è che un punto generico della mensola, con una generica x, e se quindi tale relazione
vale per una generica x della nostra struttura significa che è vera per ogni x; ho di fatto scritto la funzione
taglio: in qualunque x mi metto, il taglio vale sempre F: 𝑻(𝑥) = 𝑭 è una funzione continua.

La funzione taglio cambia solo se sul corpo agiscono più forze:

𝑻=𝑭

𝑻=2∗𝑭
RICORDA: Se è vero l’equilibrio di tutto quello che vedo a destra, vale anche a sinistra.

Principio del sezionamento:


Presa una struttura se considero il suo sezionamento sia verso
destra che verso sinistra : 𝑻 = 𝑭 in qualunque caso.

Ritorniamo all’esempio precedente, nel punto D per vedere chi mi dà taglio estraggo un “concio”:

la funzione taglio vale sempre F, per quanto


riguarda il segno in questo particolare caso si
utilizza una convenzione (mantenere sempre il
senso fisico). Se prendo in considerazione un
concio, il taglio è positivo se è uscente a destra.

Nel nostro caso il taglio è positivo, lo possiamo vedere in due modi:

 O considero un concio
 Oppure mettendomi in punta potevo notare che la forza è uscente a destra.

Se invece mi mettevo in P la forza che mi dà taglio è proprio 𝑅𝑉𝐴 .

Se considero una forza un po’ più centrata:

↑ 𝑅𝑉𝐴 = 𝐹

↺𝐹∗𝑎 =0

Il taglio vale zero fino ad F, dopo di che


vale proprio F.

Posso rappresentare il taglio su di un diagramma, notando che questo mostra delle variazioni: ogni
qualvolta compare una nuova forza infatti, il taglio fa un salto.

Posso leggere tutto questo anche come un equilibrio, se considero un concio il taglio a destra vale zero
mentre a sinistra vale proprio F. la presenza di una forza genera un salto tra destra e sinistra.
Nel caso più generale, noto che ho due tagli, uno relativo alla parte destra e uno relativo alla parte sinistra,
essi sono uguali ed opposti, ed in assenza di forze si eguagliano e la loro somma vale appunto zero. Il corpo
è in equilibrio.

Se ho però un forza: 𝑇𝑑 − 𝑇𝑠 − 𝐹 = 0 ⇒ 𝑇𝑑 − 𝑇𝑠 = 𝐹

Ricapitolando: se non ho forza, la loro variazione, il Δtaglio è nullo, se invece ho una forza, il Δtaglio, o
meglio il salto del taglio vale proprio F.

Ogni volta che ho una forza, mi aspetto un salto nel


diagramma del taglio.

Consideriamo:

dove non ho struttura il taglio vale zero, è nullo, poi


incontro una forza e quindi ho un salto, tale salto avviene
anch’esso nel verso della forza.

Altro esempio:

in questo caso il taglio è uscente a sinistra, negativo.

Il TAGLIO è quindi la reazione interna verticale, o meglio è la caratteristica della sollecitazione ortogonale
all’asse, quella che taglia l’asse, con le caratteristiche precedentemente descritte: ovvero è costante fin
quando non incontra una forza capace di farlo saltare.

RICORDA: un vincolo oltre ad avere una connotazione cinematica, ha una connotazione duale statica
per cui anch’esso genera una forza (o coppia).

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