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q: carico
l: luce
E: modulo elastico del materiale di cui è costituita la trave
𝐵𝐻 3
I: momento di inerzia (per sezioni rettangolari 𝐼 = 12
)
Se battezzo la figura 2 (senza colla) come Sistema 1 e la figura 3 (con colla) come sistema 2 per i 2 sistemi è
tutto uguale, l’unica cosa che varia è I -momento di inerzia- perché se indico con H l’altezza della singola
tavola e B la base delle tavole (uguali per entrambi i sistemi) il momento di inerzia del sistema 1 𝐼1 è pari a 2
volte il momento di inerzia della tavola 𝐼𝑡 perché le 2 tavole sono libere l’una rispetto all’altra:
𝐵𝐻 3
𝐼1 = 2𝐼𝑡 = 2
12
Il sistema 2, invece, presenta una differenza; siccome le tavole sono state incollate e quindi “lavorano”
insieme devo aggiungere il momento di inerzia di trasporto -teorema di Huygens- nel nuovo baricentro del
sistema (nel sistema 1, le tavole, lavoravano ognuna rispetto al proprio baricentro). Ma senza considerare
tutto ciò, nel caso del sistema 2, ragiono su un blocco unico di altezza pari a 2H e quindi posso scrivere
l’inerzia della trave 2 𝐼2 come:
𝐵(2𝐻)3 8𝐵𝐻 3
𝐼2 = = = 4𝐼1
12 12
Il sistema 2 ha un’inerzia 4 volte più grande del sistema 1 (nelle stesse condizioni di carico, se la trave 1 si
abbassa di 4 mm, la trave 2 si abbassa di 1 mm).
Il sistema 2 funziona meglio e il miglior funzionamento è dovuto alla colla/chiodi che abbiamo applicato
perché assorbono lo scorrimento che non è altro che un taglio.
La differenza tra i 2 sistemi si evince anche dalle σ:
𝑞𝑙 2
le 𝜎𝑚𝑎𝑥 del sistema 1 sono date da 𝜎max 1 = 8𝑊 dove W è il modulo di resistenza che per una sezione
𝐵𝐻 2
rettangolare vale 𝑊 = 6
, però metà momento “se lo prende” la tavola di sotto e metà momento “se lo
Figura 4
che ho una variazione del momento flettente dovuta alla presenza di un taglio.
Il taglio può generare uno scorrimento tra i piani di questa sezione, per cui se mi metto ad una certa quota so
che nascono delle τ sotto la parte di concio evidenziato (figura 4).
Tiro fuori in 3D il pezzo di concio (figura 5) che avrà una sua spazialità e, in
particolare, se la struttura è in equilibrio anche il pezzo estratto sarà in
equilibrio. Come posso scrivere questo equilibrio?
Sulla faccia 2 (sotto) ho le τ (derivanti dallo scorrimento, impedito), sulla
faccia 1 e 3 agiscono le porzione di σ evidenziate.
Scriviamo l’equazione di equilibrio alla traslazione per questo solido in
orizzontale:
∎ ∎
∫(𝑑𝜎)𝑑𝐴 = 𝜏𝐵𝑑𝑥
𝑀
Siccome 𝜎 = 𝐼
𝑦
y è la distanza dall’asse neutro (ho un sistema di riferimento che ha origine nell’asse neutro)
𝑀
𝐼
a meno di E, modulo di Young, è la pendenza del diagramma delle ε (curvatura)
𝑑𝑀
Quindi 𝑑𝜎 = 𝐼
𝑦
La variazione di σ c’è perché c’è una variazione di M, in quanto I è costante. La σ varia da una sezione
all’altra solo perché sto cambiando M (perché M varia da una x all’altra) Lungo un dx ho un dM perchè
ho un carico. Inoltre posso esprimere 𝑑𝑀 = 𝑇𝑑𝑥 e quindi:
𝑇𝑑𝑥
𝑑𝜎 = 𝐼
𝑦 sostituisco nell’integrale
∎ ∎
𝑇𝑑𝑥
∫(𝑑𝜎)𝑑𝐴 = ∫ ( 𝑦) 𝑑𝐴 = 𝜏𝐵𝑑𝑥
𝐼
L’area campita è l’area sulla sezione trasversale tagliata da una corda alla quota del piano dove sto
valutando le τ
Semplifico ad ambo i membri dx (ovviamente il discorso è valido a prescindere dal dx scelto)
T (taglio) e I (momento di Inerzia) sono indipendenti dall’area, perché il taglio c’è a prescindere dalla striscia
che ho preso (fissata una x e una corda). Il momento d’inerzia non dipende dall’area ma dalla sezione che ho
scelto; quindi T ed I sono costanti rispetto all’integrale e possono essere portati fuori dall’integrale:
∎
𝑇 𝑇𝑆 ∎
𝜏= ∫ 𝑦𝑑𝐴 =
𝐵𝐼 𝐵𝐼
∎
∫ 𝑦𝑑𝐴 momento statico
N.B. fino ad ora il momento statico l’abbiamo calcolato rispetto all’intera sezione con riferimento
all’asse neutro; in questo caso è calcolato ancora con riferimento all’asse neutro però è solo esteso
all’area segnata (non tutta la sezione trasversale)
𝑆 ∎ momento statico dell’area campita (è variabile perché dipende dall’area)
Verifichiamo se quest’espressione è corretta dimensionalmente:
Guardo alla sezione trasversale del concio e mi costruisco il diagramma delle τ (figura 7):
Istantaneamente, se ho delle τ all’estremità superiore della sezione, avrò delle τ uguali anche all’estremità
inferiore per un fatto di simmetria.
Se voglio sapere quanto vale la τ ad una determinata quota, concettualmente devo prendere un piano che
passa per quella data quota e scrivere l’equilibrio scritto sopra.
Alla quota più in alto (quota1): T, B e I hanno un certo valore; il
momento statico dell’area calcolata rispetto all’asse neutro vale
zero (perché l’area è nulla). Quindi a questa quota le τ sono nulle
e simmetricamente potrei fare lo stesso discorso anche dall’altro
lato.
non è la vera area della sezione trasversale, ma è quell’area rispetto cui se divido il taglio ottengo la τ
massima.
𝑇 𝑆⊟ 𝐼 2
Passaggio formale: 𝜏𝑚𝑎𝑥 = dove = 𝐻
𝐵 𝐼 𝑆⊟ 3
SEZIONE A DOPPIA T
Se ho una sezione a doppia T (tipico profilo di trave in acciaio)
la flessione (le σ più grandi che sono sulle aree più grandi
centrifugate) la porta le ali.
𝑇
Viceversa per il taglio so che le τ sono pari a 𝜏 = 𝐵𝐼 𝑆 ∎
𝑀
𝜎=
𝑊
Il valore di W lo prendo dalle tabelle con profili standard (sagomari)
I CERCHI DI MOHR
Adesso dobbiamo valutare lo stato tensionale.
Riepilogo: se vogliamo la 𝜏𝑚𝑎𝑥 esiste questo “trucco” di inventarsi un’area di taglio che è un’area
geometricamente fittizia; però se si spalma la τ su quest’area si ottiene la 𝜏𝑚𝑎𝑥 (metodo puramente
matematico). Se però mi trovo ad una quota dove non ho la 𝜏𝑚𝑎𝑥 la τ me la devo calcolare facendo
l’integrale, cioè valutando il momento statico dell’area intercettata dalla corda rispetto alla quale voglio le τ.
Come si combinano σ e τ?
Ho una trave (figura 9) con dei carichi; come già detto in precedenza, per
passare dalla struttura “reale” a quella matematica (modello strutturale)
devo tirare una linea e vincolo questa linea e ci metto le forze.
Se considero che:
il quadratino è il carrello (immagino che se lo voglio spostare in
orizzontale si oppone)
la pallina è un cilindretto (se lo voglio spostare in orizzontale,
Figura 9 cammina)
Quando il carrello mi genera una forza (reazione vincolare) nella realtà, a
quest’altezza cosa succede? Introduciamo le cosiddette zone di estinzione. Ho delle forze che perturbano lo
stato tensionale della mia struttura; se però mi metto un po' lontano da quel punto, ad una distanza di
estinzione (dove si estinguono gli effetti locali) io so dire tranquillamente cosa sta succedendo.
In prossimità dell’appoggio, io calcolo M, T, N.. però in realtà quando vado a fare il passaggio da N a σ e da
T a τ quello che ottengo è qualcosa di medio, perché nella realtà avrà una sua diffusione; però noi, per
definizione, non guardiamo a queste cose. Tutto quello che abbiamo detto fino ad oggi è quello che accade
lontano da queste sorgenti particolari che creano scompiglio nel quadro uniforme delle σ, delle τ, ecc.
Questa zona di estinzione è grande almeno quanto una dimensione caratteristica, nel caso delle travi è la
più grande tra base e altezza della sezione trasversale; quindi in realtà io faccio dei calcoli su un’intera
lunghezza della trave ma per un primo pezzo quello che succede è più complicato di quello che io valuto.
Esistono degli studi a parte che vedono cosa succede in quelle zone e danno delle indicazioni, ma il calcolo
standard non lo fa.
Le zone di estinzione non sono solo un problema di calcolo, ma sono anche un problema di
sollecitazione.
Schiaccio un provino (prove su materiali) e voglio sapere quant’è la resistenza a compressione di
Figura 10 un calcestruzzo (𝜎𝑚𝑎𝑥 prima che si rompa): se faccio la prova su un cubetto (non è un provino
buono), io in realtà quella prova la devo interpretare perché sono all’interno della distanza di
estinzione; infatti quando faccio la prova il provino non si rompe in verticale (come mi aspetterei in teoria)
ma si rompe a “clessidra” (figura 10) perché ci sono i flussi di tensione che sono tutt’altro che normali,
verticali, ecc. Tutto ciò è noto, quindi il risultato che esce fuori da questa prova si scala con un coefficiente
per tenere conto di tutto questo (si perde il 17% della resistenza, viene una resistenza che è più grande:
resistenza cubo*0.83= resistenza cilindro).
Nei cantieri civili, la prova su un cubetto di calcestruzzo è la cosa più semplice ed economica da
fare anche se la prova più corretta da fare sarebbe su un cilindro con altezza almeno pari al
Figura 16
una trazione principale 𝜎1 e una compressione principale 𝜎2 , è una tensione normale pura perché non ha τ al
seguito ed è anche la più grande possibile (o la più piccola); è come se stessi tirando o comprimendo in
quella direzione il mio provino (è come se lo tiro e gli do un taglio in una diversa giacitura).
𝜎1 -P-𝜎2 è un triangolo e l’angolo 𝜎1 -𝑃̂-𝜎2 è un angolo retto (angolo interno ad un semicerchio) per cui le
direzioni principali sono sempre ortogonali; quindi se individuo solo una direzione principale l’altro
possibile verso sarà ortogonale al primo.
Tutto questo in un disegno 2D (figura 16), se lo faccio in un disegno 3D (figura
17) avrò 3 cerchi (𝜎1 , 𝜎2 e 𝜎3 3 direzioni principali); la zona campita si
chiama arbelo di Mohr ovvero la superficie dei possibili stati tensionali in 3D.
Se nel piano riusciamo ad inserire dei domini, ovvero delle linee che mi
Figura 17 indicano un’area dove se sono dentro sono in sicurezza, se sono fuori sono in
crisi, un dominio potrebbe essere quello tratteggiato in figura 17.
In questo caso si potrebbe usare il criterio di resistenza di Rankine.
Se ho uno stato tensionale su questa faccia, mi illudo che la 𝜎𝑥 è la 𝜎1 e la tensione di trazione che ho è 𝜎1 e
supponiamo valga 100; io so che quel materiale, a trazione, si rompe ad una σ di 110 quindi potrei illudermi
che essendo 100<110 sono in sicurezza. In realtà a queste σ sono accoppiate delle τ (perché nello stato
tensionale c’è anche taglio) e quindi la tensione principale diventa 𝜎1 e se la calcolo potrebbe venire più
grande di 110.
Graficamente mi tiro una linea verticale 𝑓𝑡 (figura 16) che individua 𝜎𝑚𝑎𝑥 (per qualsiasi τ) ottenuta da una
prova di trazione e considero questa come retta di crisi, se ho una 𝜎𝑥 più piccola del valore che mi aspetto
pari a 𝑓𝑡 (resistenza a trazione di questo materiale) in realtà esiste una direzione (quella principale) dove la σ
è massima ed è più grande del valore di 𝑓𝑡 e quindi mi trovo in una condizione di crisi. Il cerchio mi dice che
il materiale regge fino a 𝑓𝑡 e qualunque cerchio che sfora quella retta vuol dire che in delle direzioni supera
la condizione di crisi e si rompe. Quindi un cerchio compatibile è un cerchio che si sviluppa all’interno di
questa retta. Similmente potrei crearmi un limite a compressione, cioè fare una prova di schiacciamento,
valutare la σ minima e quello sarà la frontiera dello schiacciamento; un cerchio di Mohr deve essere sempre
all’interno di quella frontiera altrimenti se tocca vuol dire che si schiaccia. Se non valuto la tensione
principale io non colgo la crisi.
Comunque il criterio di Rankine è un criterio molto semplificato perché esiste il confinamento, e non ne
tiene conto. Se io confino so che posso arrivare ad una σ più grande (se ne parlerà più avanti).
Esiste un altro criterio per i materiali metallici che mi dice che il materiale regge una τ massima (metodi
basati su energia distorsionale).
Esistono dei criteri attritivi: se io aumento il livello di σ, la τ che portano cresce.
Con il criterio del confinamento scopro che se io aumento la tensione in un lato (quindi confino) il cerchio si
sposta, è come se stessi dando una σ di compressione a tutto; e se io comprimo, il cerchio si sposta e mi
allontano dalla soglia 𝑓𝑡 . comprimere/confinare fa bene al materiale!
Con il cerchio di Mohr, noti gli stati tensionali su 2 facce, mi posso posso ricavare gli stati tensionali per
qualsiasi altra inclinazione delle facce.
Il raggio del cerchio di Mohr può essere visto come:
la τ massima che posso avere
strumento per calcolare 𝜎1 e 𝜎2
strumento per calcolare le pendenze del piano dove ho le trazioni
massime o le compressioni massime (se ho un materiale che fessura, nella
direzione dove ho la trazione massima si formerà una fessura)
L’asse delle σ del cerchio è un asse di simmetria.
Il centro del cerchio ha come coordinate ((𝜎𝑥 + 𝜎𝑦 )/2; 0).
Figura 18
Il raggio del cerchio di Mohr, con centro di coordinate ((𝜎𝑥 + 𝜎𝑦 )/2; 0), lo possiamo calcolare come
l’ipotenusa del triangolo 𝜎𝑥 – C –𝜏𝑥𝑦 (teorema di Pitagora) (figura 18):
2
(𝜎𝑦 − 𝜎𝑥 )
𝑅 = √(𝜏𝑥𝑦
2 +
( ) )
2
(𝜎𝑦 +𝜎𝑥 ) (𝜎𝑦 −𝜎𝑥 )
Dove: − 𝜎𝑥 =
2 2
2
(𝜎𝑦 +𝜎𝑥 ) (𝜎𝑦 −𝜎𝑥 )
Quindi le tensioni principali valgono: 𝜎1/2 = 2
± √(𝜏𝑥𝑦
2 +(
2
) )
Applicazione pratica
Figura 19
Ho una trave e i rispettivi diagrammi del momento e del taglio rappresentati in figura 19.
Ci mettiamo in prossimità dell’appoggio e valutiamo cosa succede nelle posizioni 1, 2 e 3.
Il diagramma delle σ e delle τ sono rappresentati in figura; ovviamente punto per punto dobbiamo entrare
con la M e la T che gli compete e usiamo le formule già note.
Se tiro fuori dalla trave il concio 1; il concio 1 è soggetto a una τ che è nulla
perché sto in alto, il momento è molto piccolo e le tensioni che ho sono le
compressioni. Il concio 1 sarà soggetto a questo stato di sollecitazione.
3𝑇
Il concio 2 è soggetto solo a delle τ che valgono , il taglio è positivo quindi le
2𝐴
τ vanno verso l’alto sulla faccia a sinistra e per simmetria nasceranno anche
nell’altro verso.
Il concio 3 è soggetto a τ pressoché nulle (perché sono al lembo di sotto), a
Figura 20 delle σ di trazione in funzione di M (ancora piccolo).
Per 1 e 3 è inutile fare il cerchio di Mohr per valutare la tensione principale, perché già è principale (σ senza
τ); viceversa 2 è una condizione di taglio puro (solo τ senza σ): le σ
principali quanto valgono?
Se mi faccio il cerchio di Mohr (figura 21) per questa situazione
ottengo per la faccia di normale X una 𝜏𝑥𝑦 positiva e una σ nulla,
viceversa sulla faccia di normale Y ottengo la 𝜏𝑦𝑥 uscente a sinistra
(negativa) e sta sulle facce di normale Y.
Il polo sta all’intersezione di queste 2 rette, il cerchio è centrato
sull’origine degli assi. Per definizione la trazione principale e la
compressione principale valgono quanto il taglio perché il cerchio è
centrato sull’origine, quindi se tiro le direzioni avrò su una giacitura
le 𝜎1 e sull’altra giacitura le 𝜎2 .
Figura 21 Se ho un taglio puro, ho 2 direzioni principali ortogonali, cioè una
trazione pura e una compressione pura, uguali in modulo. Se giro di 45° ottengo le tensioni principali. Se
questo cubetto supera la resistenza a trazione come fessura? Fessura come mostrato in figura 22.
Come regola pratica, le fessure camminano secondo le isostatiche (inviluppo dei punti che
hanno il flusso tutto di compressione o trazione pura); se il corpo fessura lo farà con fessure
Figura 23
che sono le isostatiche di compressione (figura 23) e mi mostrano se ho un’eventuale fessurazione e come
può avvenire; all’interno del grafico la compressione forma un arco (effetto arco); se ho una trave che è
caricata questa tenderà a generare dei flussi di compressione che funzionano come un arco.