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LEZIONE 18 4/12/12

Piastre membrane e gusci parte 2


Dunque proseguiamo a parlare di elementi piastriformi così come abbiamo fatto le volte scorse, però oggi ci
riferiamo a gusci, che costituiscono una famiglia particolare di piastre, perché come noi abbiamo definito la
piastra definita come una superficie media piana, un guscio invece presenta una superficie media non piana
ma è curva e quindi in generale sarà dotata di una doppia curvatura, quindi ha tutto quello che noi abbiamo
detto (teoremi di Manier, Eulero ecc), ma in questo caso è molto più semplice di quello che affrontammo
negli effetti locali, anche perché i gusci che si utilizzano nella realtà hanno una geometria relativamente
semplice e per quello che ci riguarda i gusci che noi utilizziamo prevalentemente, poiché terminiamo le
nostre chiacchierate a un certo punto, allora rispondono in un modo particolare ed appartengono a quella
famiglia che costituiscono i serbatoi, le volte, cioè quello che per i civili si chiamano tensostrutture e non
sono altro che dei gusci membranali e quindi appartengono alla stessa specie. Nel definire i gusci vedremo
che ripeteremo in una veste leggermente diverse quello che abbiamo detto per le piastre piane, però
dobbiamo meglio precisare come esprimiamo le componenti di deformazione e di tensione.

Questa è una idea di Timoshenko, la sua idea è di dire, guardata che se ho un elemento di una piastra che ha
una doppia curvatura, in un piano di una delle curvature principali (ma non necessariamente principali, noi ci
limitiamo a questo caso), il guscio si potrà deformare in maniera inestensionale oppure estensionale, cioè noi
facciamo riferimento alla fibra media, che si può allungare o stirare oppure no. Facciamo il caso in cui non si
stiri. È come quando parlammo delle piastre piane, dicemmo che esiste una u0 v0 e una w, poi per una gran
parte della trattazione di u0 e v0 ci siamo dimenticati, poi le abbiamo rimessi in ballo in un secondo
momento. Qui stiamo facendo la stessa cosa, cominciamo a pensare che la ds0 non cambi, cioè la lunghezza
della fibra media elementare non cambi. Il guscio è curvo, quindi praticamente questo ds0 è un arco di
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cerchio e il raggio di curvatura locale vale rx , quindi rx/dso insiste un angolo dϕ. Se ds0 non cambi
evidentemente la deformazione possibile è solo una rotazione delle facce laterali del concetto intorno alla
fibra media. Per questo motivo il raggio di curvatura cambierà da rx a r’x così come l’angolo che insiste su
ds0 passerà da dϕ a dϕ’. Quindi la lunghezza di ds0 la possiamo esprimere prima della deformazione come la
1 e dopo la deformazione come la 2, ovviamente nel caso inestensionale dato che non c’è stata variazione di
lunghezza allora la 1 e la 2 sono uguali. Alla distanza z dalla fibra media, la lunghezza iniziale dell’arco
ovviamente sarà la 3, come dopo la deformazione sarà la 4. Queste relazioni le portiamo a fattore rx cosi
otteniamo la 3.2 e la 4.2. quando scriviamo la deformazione per un elemento posto a distanza z dalla fibra
media, otteniamo la 5, e quindi sviluppando i calcoli ottengo la 6, che è la forma che abitualmente otteniamo
per questa deformazione inestensionale, il segno meno sta ad indicare solo come è orientato l’asse, mentre la
parte in parentesi quadra è la variazione della curvatura. Di solito, siccome noi abbiamo detto che i gusci non
sono altro che delle piastre curve ed avendo definito le piastre come un elemento strutturale nel quale due
dimensioni sono prevalenti rispetto alla terza, abitualmente z/rx è molto piccolo, perché lo spessore è
piccolo, mentre questi gusci hanno in genere dei raggi di curvatura vistosi, e quindi vedremo che questo
termine noi lo faremo cadere esprimendo gride di contentezza (è quel termine al denominatore del 6).

Se c’è una deformazione che è estensionale, otre a questa variazione di curvatura (rotazione intorno alla
fibra media) ovviamente avremo anche una allontanamento delle due facce terminale, quindi avremo uno
stiramento della superficie media che abitualmente portiamo in questa forma, oltre a ruota intorno alla fibra
media le facce esterne si allontanano pure, quindi quello che era un ds0 è diventato un ds’0 che è dato dalla
1. Dopo di che ripetendo quello che abbiamo detto prima, nella struttura indeformata a distanza z io ho un
arco la cui lunghezza è data dalla 2, in quella deformata avrò una lunghezza che sarà data dalla 3. Quando
andiamo a calcolare la deformazione in direzione tangenziale (cioè la εx )facciamo la solita operazione della
slide di prima, e sarà data alla 4. Quindi la relazione precedente è modificata ed infatti ho ottenuto la 5, in cui
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sia per la presenza dello stiramento in questo primo termine della curvatura e sia per questo altro termine che
è il termine prettamente estensionale (leggi appunti slide). Se epslon1 è molto più piccolo di 1 allora lo
trascuro e quindi ottengo la 6.

Quello che abbiamo scritto per una direzione (la x), vale anche nell’altra direzione, per cui anche nella
direzione normale a quella vista, e in questa direzione normale insiste(o esiste) un raggio di curvartura ry, e
possiamo scrivere la stessa cosa, cioè la 2.

Se z è trascurabile rispetto ai raggi di curvatura allora ottengo la 1.2 e la 2.2, ove il termine tra parentesi
quadre la indico con χ che è la variazione delle curvature. Se guardate questa relazione (la 2) vi rendete conto
che è esattamente la stessa, vi accorgete che è una espressione assolutamente equivalente a quella che
avevamo per delle piastre piane. Infatti noi scrivevamo epslon =epslon0 (che era lo stiramento del piano
medio) meno zd2w/dx2 (cioè meno z * 1/ρ). Ricordate la linea elastica, in cui la derivata seconda dello
spostamento è una curvatura. Quindi lì avevamo stiramento – termine dovuto alla curvatura, qua ovviamente
la piastra è già curva di per se, quindi non sarà una curvatura ma una variazione di curvatura e quindi è
assolutamente equivalente questa espressione rispetto a quella che abbiamo trovato per le piastra piane.
Logicamente nel momento in cui avevamo ricavato le epslon, ci possiamo ricavare le componenti di tensione
attraverso le equazioni di Navier ricordando che come nelle piastre anche qui essendo lo spessore piccolo
allora le tensioni perpendicolari alla superficie medie le trascuriamo, questo comporta la comparsa di questo
coefficiente E/1-ν2 che una volta veniva chiamato modulo di elasticità a contrazione laterale impedita. La
sigmaz quindi è nulla ma ciò non implica che epslonz sia nulla, ma in genera la trascuriamo e queste tensioni
dipendono dalla parte estensionale della deformazione e dalla variazione delle curvature lungo x e lungo y. la
tau dipende similmente dallo scorrimento del piano medio e dalla variazione delle curvature ove chixy è più
complicato ma non ci interessa molto entrare nel dettaglio di questo termine.

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Se ci ricordiamo quello che abbiamo fatto nelle piastre, una volta definito le componenti di tensione e di
deformazione e quindi abbiamo introdotto le risultanti unitarie delle tensioni. Se io considero che su questa
faccia(BB’CC’) agiscano delle sigmax, agirà un carico elementare sigmax * l’elemento d’area che sarà un
dz*ds (ove questo ds dipende dalla distanza alla quale io mi trovo dalla superficie media, e quindi lo scriverò
come (1-z/ry)*ydϕ. Per riportarmi ad una risultante unitaria io devo ritenere che (siccome noi facciamo
l’integrazione lungo lo spessore è riferita all’unità di linea), nel nostro caso all’unità di arco, è come se io
dicessi ry*dϕ=1. Ricorda che le risultanti unitarie hanno dimensioni in N/mm. E le posso quindi esprime
come il riquadro rosso che esprime la forza elementare unitarie, mentre nella 2 come forza complessiva
eseguendo l’integrazione lungo lo spessore ù.

Sono le stesse relazione che abbiamo scritto nel caso di piastre piane, solo che in questo caso purtroppo mi
compaiono i termini z/r, che nel caso precedente io non avevo. Ciò comporta delle differenze, infatti se
prendo Nxy e Nyx esse sono dovute l’una a tauxy e l’altra tauyx e noi sappiamo che sono uguali (matrice
Tensioni simmetrica), però Nxy è moltiplicata per z/ry mentre Nyx è moltiplicato per z/rx ciò vuol dire che
se questi raggi di curvatura sono sensibilmente diversi tra di loro allora quegli integrali sono sensibilmente
diversi tra di loro. (le tau sono uguali ma le superfici no, quindi le risultanti unitarie di tensioni sono diverse).
dopo di che questa integrazione non ha particolari difficolta. Se prendo la stessa Nx io inserisco all’interno la
espressione che ho già ricavata per la sigmax e poi la moltiplico per 1-z/ry e la vado ad integrare tra –h/2 e
+h/2. Se il limite di integrazione h è piccolo rispetto a ry, allora z/ry è ancora piu piccolo e quindi lo trascuro,
in questa ipotesi allora avremo che il primo termine rappresenta gli stiramenti nel piano medio in dz,
integrati tra –h/2 e +h/2 e il risultato è h, il secondo termine è z*variazione delle curvature in dz, il cui
integrale tra –h/2 e +h/2 è 0. Questo è molto importante perché lo sforzo Nx nel piano medio non dipende
dalle variazioni di curvatura ma solo dagli stiramenti. Ciò vale per le risultanti unitarie di tensioni Nx Ny e
Nxy. Quindi tagli e sforzi normali non dipendono dalle variazioni di curvatura, mentre se operiamo nella
stessa maniera per i momenti M, siccome c’è z*dz, gli stiramenti saranno moltiplicati per z*dz e quindi

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l’integrale sarà nullo, mentre le variazioni di curvatura saranno moltiplicati per z2dz il cui integrale è diverso
da zero. E viene così quella famosa costante che è Eh3/12(1-ν2)=D. le coppie flettenti dipendono dalle
variazioni di curvatura ma non dipendono dagli stiramenti. Quindi se lo spessore di questi elementi curvi è
sufficientemente piccolo, cioè è trascurabile rispetto al più piccolo dei raggi di curvatura principali, allora noi
abbiamo il disaccoppiamento delle risultanti unitarie di forza e di coppia lungo lo spessore del generico
elementino. Ma a questo punto c’è qualcosa in più che possiamo pensare, noi abbiamo detto h<ri abbiamo
questo disaccoppiamento. Questo è un guscio il quale sta reagendo sia con delle coppie e sia con delle forze,
quindi ha un comportamento tenso-flessionale e anche torsionale, non ci dimentichiamo che la Mxy
corrisponde allo svergolamento di questo guscio. Però queste quantità χ1 χ2 χxy sono le variazioni delle
curvature. Se io penso che le variazioni delle curvature siano piccole (le variazioni non le curvature) cioè
faccio l’ipotesi che i carichi applicati non comportino variazioni sensibili dei raggi di curvatura allora tutte le
coppie di annullano. E annullandosi le coppie, vedi che gli N dipendono solo dagli stiramenti cioè sono
uniformi nello spessore (senno vengono le coppie). Quando ciò avviene io dico che il mio guscio si comporta
come una membrana. Una membrana è un guscio che reagisce solo con delle forze che siano tangenti alla
superficie media (al piano osculatore medio).

Ma è possibile una cosa del genere? Sostanzialmente avviene che un guscio, in particolare i gusci
assialsimmetrici assoggettati a carico assialsimmetrico effettivamente si comportano come a delle
membrane, per il caso in cui sono soggetti ad una pressione interna come dei serbatoi. Però purtroppo anche
nel serbatoio più regolare, delle posizione nelle quali queste ipotesi non tengono più esistono sempre, perché
il nostro serbatoio non è un dirigibile ma è qualcosa appoggiato a qualche parte, quindi di fatto ci saranno dei
piedi, di solito ci sono degli anelli ove il serbatoio è vincolato, poi questo anello è fissato al suolo con dei
supporti. Questi vincoli comportano delle variazioni brusche di rigidezza che fanno si che nell’intorno di
quegli appoggi il comportamento non sia più membranale. Però questo effetto si smorza molto rapidamente
all’allontanarsi degli appoggi e quindi la maggior parte della struttura si continua a comportare come un
solido membranale. Un altro punto nel quale questa ipotesi di comportamento membranale non tiene è in
corrispondenza dell’attacco ai fondi. Perché se pensate ad un recipiente cilindrico ad un certo punto io devo
metterci un tappo e questo tappo può essere piano, oppure a tre centri (cioè compaiono 3 centri nel momento
in cui voi fate una sezione e lo dovete disegnare), in realtà si tratta di una calotta sferica e di un toro. La
resistenza alla dilatazione del recipiente cilindrico e di questo fondo è completamente diversa, per cui il
fondo trattiene il recipiente ed quindi il recipiente non può più reagire come solido membranale, quindi
vincoli e coperchi sono i due motivi fondamentali per il quale il comportamento di un serbatoio (pieno),
perché se è mezzo vuoto anche sulla corrispondenza della superficie di discontinuità compaiono degli sforzi
flessionali. Comunque di teoria flessionale dei gusci non ne parleremo e quindi praticamente possiamo
dormire tranquilli.

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Tra tutti i gusci quelli che maggiormente ci interessano sono i gusci di rotazione. Un guscio di rotazione è un
guscio la cui superficie media è generata dalla rotazione di una curva intorno ad un asse. Questa curva è detta
“meridiano”, avrà un proprio raggio di curvatura e sarà detto “raggio di curvatura meridiano” ed è uno dei
raggi di curvatura principali come poi esisterà punto per punto l’altro raggio di curvatura principale che sarà
il raggio di curvatura della sezione normale alla superficie nel punto che abbiamo considerato (quindi che
contiene la normale alla superficie) e che per il teorema di Eulero è perpendicolare al piano che contiene il
raggio meridiano. Questo altro raggio di curvatura con una dizione infelice prende il nome di raggio
normale, poiché la superficie è una superficie di rotazione, l’orientamento di questo piano cambia da punto a
punto e si può vedere che l’inviluppo di tutte queste posizioni è una superficie conica, dove i raggi normali
non sono altro che le generatrici. Avrò in generale un raggio meridiano e un raggio normale, l’anomalia del
meridiano la chiamo ϕ rispetto all’asse e di solito risulta conveniente utilizzare il raggio meridiano ma non
usare il raggio normale ma usare il raggio del parallelo, quindi tagliare la superficie di questo guscio con
tanti piani paralleli tra di loro (pensate sempre alla Terra che ci aiuta anche in questo, cioè io faccio tante
fette lungo i meridiani e tante fette lungo i paralleli) se vi ricordate il teorema di Manier ci ricordammo allora
che il raggio del parallelo non è un raggio principale, ma i raggi principali di una sfera sono tutti e due uguali
tra di loro e pari al raggio della sfera. Però per molti casi è comodo utilizzare il parallelo poiché è
visivamente più immediato, d’altra parte se io mi trovo in un punto che ha una anomalia ϕ lungo il meridiano
allora è chiaro che r2*sinϕ=r0 (esiste un legame diretto e questo corrisponde al teorema di Manier, perché
esso utilizza questo come angolo, poiché il teorema di Manier si basa sulla latitudine e noi qui stiamo usando
la cosiddetta colatitudine). Quindi è talmente comodo riferirsi a meridiani e paralleli che anche la regola
elementare noi la definiamo come l’elemento d’area delimitato da due archi di meridiano ruotati dθ tra di
loro e due paralleli distanti di dϕ tra di loro. Poiché il guscio noi l’abbiamo definito come un guscio di
rotazione, evidentemente se vi ricordate le componenti di deformazione e di tensione non possono dipendere
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dall’anomalia cioè da θ in presenza di carichi assialsimmetrici e data la sottigliezza o l’esiguità dello
spessore di questa membrana, la tensione perpendicolare a quest’asse (in direzione radiale) è sempre nulla.
Le componenti di tensione che noi utilizziamo sono una componente di tensione tangente al meridiano,
quindi perpendicolare a questo elemento di area di spessore per questo arco e degli sforzi diretti lungo il
parallelo nθ .questi sforzi diretti lungo il parallelo non dipenderanno da θ per l’assialsimmetria, quindi
saranno sempre uguali. Le direzioni principali sono quelli della tangente al meridiano, della normale e della
terza direzione. Ci interessa sapere quanto valga questa areola elementare (perché ci serve pdA).

Questa area elementare in realtà ha due lati che valgono la 2, poi ha un certo lato b che vale la 3 e il quarto
lato d non è proprio uguale a b, perché dθ è sempre lo stesso ma il raggio r0 nel frattempo è cambiato e
quindi sarò r0+la variazione di r0, quindi la 4. Un primo sull’equatore è lungo un miglio, ma un primo alla
nostra latitudine non è uguale ad un miglio perché è cambiato il raggio al parallelo. All’equatore il raggio del
parallelo è uguale al raggio di curvatura principale, a noi a 42° di latitudine il raggio del parallelo è uguale al
raggio di curvatura principale * il cos42° (teorema di Manier). È chiaro quindi che b e d sono diversi tra di
loro.

Dopo di che come si fa a calcolare l’area elementare? Come fa un ingegnere!!! Cioè approssimando, in
quanto diciamo che dato che è variato di poco da b a d allora finché ci riferiamo a a delle piccole variazioni
allora possiamo assimilare quell’area ad una specie di rettangolo che ha l’area pari ad una specie di
rettangolo che ha un lato pari alla 5. Essendo r0 un raggio del parallelo e quindi non è un raggio di curvatura
principale allora usiamo l’altro raggio di curvatura e quindi scriviamo la 1.

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A questo punto noi vogliamo scrivere l’equazione di equilibrio dell’elementino di guscio di rotazione, il
quale sarà assoggettato di solito ad una pressione esterna ed eventualmente ad uno sforzo diretto lungo il
meridiano, non può essere soggetto ad uno sforzo diretto lungo il parallelo altrimenti la condizione di carico
non è più assialsimmetrica e quindi tutto quello che abbiamo detto se ne va a pallino. Allora in realtà
tornando indietro(di una slide) notiamo che le risultanti unitarie delle quali noi ne teniamo conto, saranno
una forza unitaria diretta lungo la tangente al meridiano, cambierà direzione da punto a punto e l’altra diretta
lungo la tangente al parallelo e quindi agiranno su queste facce a e c. quindi la Nϕ ,cioè la risultante unitaria
di meridiano è quella tangente al meridiano e agirà normalmente ai lati b e d(cioè alla facce laterali). Mentre
la Nθ cioè la risultante unitaria tangente al parallelo sarà perpendicolare ai lati a e c, cambiando in direzione
punto per punto.

Poiché gli sforzi unitari, sono proporzionati agli stiramenti medi e poiché non ci sono flessioni, le tensioni
saranno dati dagli sforzi unitari diviso lo spessore, cioè sono uniformemente ripartite lungo lo spessore, cioè
non c’è gradiente di tensione lungo lo spessore e questo è un fatto molto importante altrimenti
dimentichiamo come sta funzionando una membrana. Parlando di struttura reali, tensostrutture avete mai
visto le vele sull’autostrada sulle stazioni di servizio? Quelle sono delle tensostrutture, quei tessuti sono curvi
e reagiscono solo lungo le tangenti locali alla superficie media.

Allora cominciamo a prendere un piano che contenga il meridiano, quindi è un piano che può corrispondere
al lato a o c della figura precedente e isoliamo un tronco di ampiezza dϕ. Per evitare di farvi piovere addosso
le equazioni, io ho preparato due o tre slide nella quale dico: prendiamo questa forza, essa ha componente
lungo questa direzione e lungo quest’altra, dopo di che quando dobbiamo assemblare le equazioni non
dobbiamo prendere altro che i termini corrispondenti che abbiamo già calcolati.
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Allora nel piano del meridiano, noi avremo due forze dirette lungo la tangente al meridiano poste sulle facce
estreme di questo elementino che qua ha lunghezze (a parte lo spessore che non ci interessa perché stiamo
considerando le risultanti unitarie) r0dθ e qua sarà (r0+∂r0/∂ϕ*dϕ)dθ. Similmente la risultante unitaria, qui
varrà Nϕ e qui varrà (Nϕ+(∂Nϕ/∂ϕ)*dϕ). Allora noi vogliamo calcolare la risultante di queste forze e
parleremo di una risultante radiale e tangente al meridiano. Come al solito qua di direzioni radiali ce ne sono
infinite, noi convenzionalmente come direzione radiale assumeremo la direzione radiale media (cioè quella
diretta lungo la bisettrice dell’angolo dϕ, per questo sulla figura abbiamo dϕ/2 e dϕ/2). La risultante di quelle
due forze nella direzione radiale media e anche quando parliamo di direzione della risultante lungo la
tangente al meridiano, parleremo in realtà della tangente media al meridiano cioè della perpendicolare alla
direzione radiale media. Rispetto a questa direzione, ciascuna di queste forze forma un angolo dϕ/2 (perché
questo è perpendicolare a questo). Allora io ho chiamato sempre R le risultanti radiali, T le risultanti lungo i
meridiano e P le risultanti lungo il parallelo. Allora le risultanti lungo la radiale saranno la somma delle
componenti di questa forza, questa forza lungo il meridiano.NϕdA*sin(dfimezzi)…cmq fai prima a leggere le
relazioni e ci ragioni. Ricorda che sin(dfimezzi)=dfimezzi, alcuni termini di sommano e se sviluppiamo il
prodotto ci sono differenziali di ordine superiore e quindi li trascuriamo. Alla fine la risultante delle forze Nϕ
in direzione radiale vale il riquadro nero in slide.

Per quanto riguarda le componenti lungo la tangente al meridiano è chiaro che saranno le stesse di prima solo
che usi cos(dfimezzi), in più una è diretta verso le fi che si riducono, quest’altra è diretta verso le fi che
aumentano e che consideriamo positiva… cos(dfimezzi)=1, sviluppando i termini i termini finiti si
sottraggono e non si sommano, quindi la forza è legata a qualche variazione e se li sviluppiamo mi
compaiono questi due termini che è un infinitesimo di ordine superiore, alla fine ottengo quel differenziale
perfetto in riquadro rosso. Questi sono gli effetti delle forze dirette lungo il meridiano Nfi.

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Vediamo adesso le Ntheta.

Sull’Ntheta noi dobbiamo fare una osservazione e cioè che praticamente le Ntheta sono dirette lungo il
parallelo quindi sono dirette lungo un piano trasversale all’asse di rotazione, quindi se faccio la stessa
considerazione della risultante Ntheta che tra l’altro non cambiano lungo la circonferenza per quello che
abbiamo detto, quindi lungo questo asse in realtà io avrò che la loro risultante è una forza che è
perpendicolare all’asse di rotazione. Quindi l’effetto lungo la radiale o l’effetto lungo il meridiano io
l’ottengo facendo prima questa risultante e poi proiettando una volta lungo il raggio e una volta lungo il
meridiano. allora questa Ntheta hanno una risultante DRtheta che sarà, dato che Ntheta non cambia e l’arco
non cambia in quanto è sempre R1*dϕ, quindi ciò qua Ntheta*r1*dϕ e qua Ntheta*r1*dϕ, ciascuno dei quali
è inclinato di dthetamezzi rispetto alla perpendicolare al meridiano, la risultante sarà due volte
Nthetar1dϕ*sin(dthetamezzi), 2 e 2 se ne vanno e quindi la risultante perpendicolare all’asse di rotazione,
questo asse ha traccia qui, e sarà Ntheta*r1dfidtheta. Se questa è l’inclinazione del raggio medio fi lungo il
meridiano, rispetto alla radiale dRfi sarà lineare in dfi, quindi avrà una azione radiale che sarà Rfi*sen(fi), e
una azione tangenziale che sarà per cos(fi). Quindi noi abbiamo una componente radiale data dalla 1 e una
componente lungo il meridiano data dalla 2. T è P. lungo il parallelo avrò due componenti uguale e contrarie
come la 3 e sarà uguale a 0. Se fosse diverso da 0 vorrebbe dire che gli Ntheta dipendono dall’angolo, cosa
che non è compatibile con l’assialsimmetria dei carichi.

Se noi vogliamo scriverci l’equazione di equilibrio di un guscio elementare, non dobbiamo fare altro che
sommare i termini che abbiamo prescritto oltre ad inserire i carichi esterni. Io ho indicato Zda che è entrante
lungo la radiale ed un YdA diretta lungo la tangente al meridiano. Non possiamo avere XdA perché
altrimenti il carico non sarebbe assialsimmetrico. Allora facciamo la traslazione lungo la tangente al

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meridiano, ove la somma dei carichi deve essere uguale a 0, allora carico esterno sarà YdA…leggi slide che
fai prima dicendo che infine avevamo il carico radiale dovuto a Ntheta che andava verso l’alto e quindi è
negativo rispetto a quello che stavamo considerando. La 1 è la prima equazione di equilibrio.

La seconda equazione di equilibrio secondo la radiale, sarà per quello che riguarda diciamo direttamente la
formula nel riquadro.

E queste sono le equazioni indefinite di equilibrio che noi abbiamo per un guscio di rotazione soggetto ad un
carico assialsimmetrico. Dopo di che io dovrei dire andiamo a vedere quali sono le componenti di
deformazione e integriamoci queste due relazioni appena trovate. Però sarebbe troppo bello se finisse qua
quindi cerchiamo di semplificare. Allora io ho due equazione indefinite di equilibrio (ricorda le equazioni
indefinite di equilibrio che erano un sistema di 3 equazioni differenziali alla derivate parziali in 6 funzioni
incognite). Mentre qua abbiamo due equazioni indefinite di equilibrio in due funzioni incognite e per di più
una delle equazioni è in termini finiti, possiamo mai lasciarci sfuggire una situazione cosi felice, no? È
possibile costruirsi un’altra relazione finita tra Ntheta e Nfi e i carichi esterni in modo tale che io posso
rinunciare a quella equazioni differenziale e quindi considerare solo 2 equazioni algebriche? La risposta è SI

Però questo equilibrio io nn lo posso fare in senso locale ma in senso globale. Devo scrivere una equazione
di equilibrio globale della struttura. Consideriamo perciò il nostro guscio di rotazione, notate che non ho
fatto più un elementino ma ho fatto una intera parte di questa struttura ed andiamo a sezionare la struttura in
due utilizzando il raggio r2 cioè il raggio principale corrispondente al parallelo, vedete che forma la falda
conica la r2. Consideriamo le condizioni di equilibrio alle quale deve trovarsi questo elemento finito di
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sezione tra i carichi applicati e le azioni esercitate tra le restanti parti. La risultante dei carichi che agisce su
questa sezione l’ho chiamata R (anke pippo). A seconda del particolare problema che devo risolvere la
particolarizzeremo in una maniera o nell’altra. È importante che avendo sezionato con piani principali
caratterizzati da un raggio di curvatura r2, il carico che rimane è una Nfi, perché praticamente io sto sempre
lungo la normale al meridiano, quindi praticamente questo qui è una forza tangente al meridiano, e se la
colatitudine del mio recipiente è fi, sarà anche fi l’angolo formato tra Nfi e la direzione del parallelo.
Ovviamente questa Nfi avrà due componenti, una diretta lungo l’asse del recipiente e sarà Nfi per l’elemento
d’arco che è la sua area (r0*dtheta) *sin(fi). Ed avrà una componente radiale che sarà Nfi *r0dtheta*cos(fi).
Per come ho costruito il recipienti, queste componenti Nfi r0 dtheta cos(fi) sono tutte forze radiali e
centrifughe(ma questo dipende dalla geometrica). La cosa importante è che sono tutte forze uguali tra di loro
perché non posso avere delle variazioni lungo theta altrimenti non ci sarebbe più l’assialsimmetria dei
carichi, quindi sono tutte forze uguali tra di loro radiali e quindi la loro risultante è zero. Quelle che invece
avrà una risultante diversa da 0 sarà il carico assiale che sarà l’integrale tra 0 e 2PiGreco di dFz…leggi.
Quindi la Fz cioè l’azione che l’elemento fa parte di strutture che io ho eliminato esercita sulla parte che ho
in figura, sarà quello in riquadro. Questa forza deve equilibrare la R.

In questa maniera noi riusciamo a risolvere molti problemi legati ai gusci membranali di rotazione scrivendo
queste due semplicissime equazioni, tute e due in termini algebrici che ci legano Ntheta e Nfi ai carichi
esterni. In più una sola di queste equazioni contiene una sola incognita, quindi la soluzione è più facile.

Una volta che calcolo Nfi e Ntheta, divido per s che è lo spessore della membrana e conosco le tensioni. Io
ho un solo problema che è quello geometrico, cioè io mi devo ricavare per ogni punto, ove voglio conoscere
Ntheta e Nfi, i raggi di curvatura principali. E quindi poi nel riferimento che ho utilizzato r0 il raggio del
parallelo. La teoria per ricavarci i raggi di curvatura principali ce la siamo fatta (effetti locali: formula di
Gauss di primo e secondo genere sulla superficie, andarsi a ricavare le direzioni principali, tra queste i raggi
e cosi via). Essendo un guscio di rotazione la cosa è più semplice, perché se io conosco il profilo Z(r) allora i
raggi di curvatura in un punto possono essere ricavati da queste espressioni (ultima riga) che le ritrovammo
quando vedemmo le superfici del secondo ordine. È banale il problema

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Se ho una sfera di raggio a, ho un punto su questa sfera che presenta una ordinata z e una ascissa r,
l’equazione Z=f(r ) è la 1. Da questa ricavo la derivata prima di z e la derivata seconda. Quando le utilizzo in
quelle espressioni della slide precedente mi trovo che i due raggi di curvatura principali sono uguali ad a, è
meno a, perché rispetto all’origine che io ho introdotto nel centro della sfera questa superficie è concava sia
in una direzione che nell’altra quindi il raggio di curvatura è negativo, mentre superficie convessa ha raggio
di curvatura positiva. Se ero cosi folle di descrivere questa superfice con origine posizionata qui rispetto
all’origine questa era convessa e io mi trovavo più a e più a.

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Un caso più elaborato è questo paraboloide. Il meridiano ha l’equazione di una parabola come la 1, dove r è
un raggio del parallelo. Dato z e r0 ricavo k e i due raggi di curvatura, ove il meridiano è 21 metri e r2 è 2,1
metri(10%). Voglio fare una verifica diversa, quindi mi prendo il punto r=2 z=3, mi faccio la derivata z’ che
non è altro che la tang(fi), mi ricavo fi che è 71°, ricavo r2 e mi trovo giusto come prima.

Ma questa è geometria, a noi interessano i gusci.

Il primo guscio che vi presento è un esempio famoso, la volta sferica pesante, cioè che cosa è una cupola. Io
suppongo che questa cupola abbia un peso q per unità di area. Tale volta sferica ha raggio a, l’area
elementare è data da 1. Il dR sarebbe qdA, ma siccome non c’è variazione in direzione parallela all’asse di
rotazione ce lo possiamo integrare rispetto a dtheta direttamente. Da cui ottengo la 2. Ho messo u per non
mettere fi, in quanto con fi ho indicato dove finisce la volta sferica. Quindi se il carico R che io verifico fino
all’angolo fi sarà l’integrale di dR rispetto a fi per u che varia da zero a fi, da cui la 3 mi dà la risultante R.

Dall’equazione di equilibrio globale, una volta che so R, e che r0=asin(fi). Da tutto ciò ricavo Nfi, essa è
negativa perché le azioni che questa parte esplicano su quest’altra sono diretti in questa direzione. La cupola
spinge, cerca di allargare le pareti sulle quali poggia e quindi è giusto che sia negativo, infatti molti archi
danno luogo ad uno sforzo “meridiano” il quale ammette una componente che tende ad allargare le pareti,
tant’è vero che gli archi antichi hanno delle catene per collegare le due pareti sakkara piramide a gradone
2700 A.C.

Per calcolare l’altro, utilizziamo l’altra equazione di equilibrio elementare ed abbiamo ntheta. Se fi=0,
ottengo Ntheta=0. Ciò avviene sempre perché quando io ho un punto la direzione tangente, cioè la direzione

505
del parallelo, praticamente il risultato è evidente. Quello che è simpatico è che se fi è piccolo allora ntheta è
negativa, cioè tenendo presente che Ntheta agisce perpendicolarmente ad un meridiano, quindi vuol dire che
dalle due facce del meridiano c’è uno sforzo di compressione che tiene chiusa la cupola trasversalmente,
dopo 51,82° questa forza cambia segno diventa di trazione, questo vuol dire che questa cupola tende a
rompersi ed ad aprirsi lungo il meridiano, questo è il motivo per cui gli antichi non riuscivano a fare cupole
complete sferiche di 90°, tipo SANPIETRO, xke a 50 gradi si rompe tutto (oggi con anelli). Vedi storia
brunelleschi.

Serbatoio per gas sferico. La R non è altro che se io mi metto a un certa quota in corrispondenza di una
colatitudine fi, avrò un raggio del parallelo che è pari a r0, quindi il carico esterno non sarà altro che la
pressione del gas che è la stessa dovunque per la sezione ottenuta con il parallelo e quindi sarà la 1. I raggi
principali sono tutti e due uguali ad a, quindi scrivo la 2 (ove Z è la pressione -p) e l’equilibrio globale è data
dalla 3. Ricavo Nfi e Ntheta che risultano uguali, cosa che mi devo aspettare perché quando ho una sfera il
meridiano può avere qualsiasi direzione e quindi questi due sforzi sono sempre uguali a a p*a/2. Se
dividiamo per lo spessore otteniamo pa/2s e sono le tensioni meridiana e parallela (quella che noi chiamiamo
circonferenziale sigmat). La sigmar non c’è perché l’elemento è sottile, quando vado a scrivere Von Mises
pa/2s. quando ho un serbatoio sferico di gas è facile xke mi ricordo pa/2s.

506
lievemente più complicato è lo studio di un serbatoio cilindrico. Esso ha direttrice circolare, soggetto a
pressione interna, ed ha un raggio di curvatura minimo che è quello della direttrice ed è uguale ad a, e raggio
di curvatura massima che è infinita. Per di più facciamo due casi, un caso è del tubo senza fondi, non
essendoci fondi la R=0 xke non ha modo di agire sulla struttura la pressione interna in direzione della
generatrice e quindi quando scrivo l’equazione di equilibrio globale, ho la 1 da cui Nfi =0. Quindi la azione
Nfi tangente al meridiano, cioè una azione assiale manca e se quindi io divido per lo spessore e dico che
sigmafi è la tensione assiale e se il cilindro è senza fondi l’azione assiale dunque non c’è.

Per la seconda equazione ho Ntheta=p*a. Ntheta agisce lungo il parallelo quindi è perpend. alla generatrice,
la tensione che si determina è una sigmat, cioè tangenziale e sarà pa/s. siccome sigmaa=0,sigmar=0 la sigma
di von mises è pa/s cioè la sigma circonferenziale. Se invece ci sono dei fondi la R c’è e vale la 3. La prima
equazione sarà la 4 da cui ricavo Nfi. La sigma assiale quindi Nfi/s=pa/2s.

Nella seconda equazione non cambia niente perché Nfi è diverso da 0, ma r1=infinito quindi manca quel
termine, quindi la Ntheta non è influenzata dalla presenza dei fondi è sempre p*a, quindi la tensione
circonferenziale sarà pa/s (fondi o senza fondi è la stessa). La sigma circonferenziale è il doppio di quella
assiale: questo spiega che se io ho un recipiente cilindrico come la bombola, la tensione circonferenziale
essendo il doppio di quella assiale, quindi da un punto di vista visivo una sigma determina una frattura
perpend. alla sua direzione, quindi una sigmat apre lungo una generatrice e dà una lesione longitudinale,
mentre una sigmaa apre lungo la direttrice e quindi dà una spaccatura circonferenziale. Quando si hanno dei
problemi con le bombole si apre sempre lungo una generatrice si apre, anche il tubo soggetto ad una
pressione interna eccessiva fa una bolla caratteristica che ha una direzione longitudinale, questo perché la
sigmat è importante. Nella meccanica della frattura, nei disegni si guardava la bombola e le cricche tutte
dirette lungo le generatrici.

507
Queste relazioni sono note da tempo immemorabile, ben prima che venisse elaborata la teoria sui gusci,
tant’è vero che sono note con nomi diversi: formula delle caldaie e dei cannoni, sono sempre elementi
cilindrici soggetti a pressione interna con spessore contenuto. Infatti per risolvere questo problema bastano le
equazioni di equilibrio globale, per esempio se io voglio conoscere la sigmaa di un recipiente con fondi, io
taglio in questa maniera il recipiente, allora avrò una sigmaa*l’area che è 2PiGreco*a*s, quindi
sigmaa*2Pigreco*a*s=carico interno, quindi p*pigreco*a^2, quando le eguaglio ottengo facilmente
sigmaa=p/2s. per sigmat, invece taglio in quest’altra maniera il recipiente, l’azione prodotta dal carico, che
sarà pressione*area proiettata, quindi sarà p*2volte il raggio, quindi p*2a *1(spessore), questo sarà uguale a
sigmat*s*1 + sigmat*s*1, quindi 2sigmat*s=p*2° da cui pa/s. bastavano queste piccolissime indicazioni.
Quando watt fece queste cose con queste formule e non la teoria delle membrane, le caldaie scoppiavano xke
soggette a fatica termica si innescavano le frattura e scoppiavano.

Un altro caso che possiamo fare è quello di un serbatoio conico per gas. La pressione è sempre la stessa, ad
un altezza h ho un raggio parallelo pari ad r0, R sarà data dal riquadro rosso. Rispetto al caso da cui abbiamo
tirato fuori le equazioni delle caldaie, pensatela girata di 180°, però la posizione che noi facciamo assumere è
questa. Ovviamente ad una altezza h il raggio del parallelo r0 è legato alla semiapertura della superficie
conica essendo h*tgalfa=r0. Siccome r2 sarebbe r0 diviso il cos(alfa), allora il raggio r2 sarà il riquadro blu.
Dopo di che abbiamo le nostre solite espressioni, dati i raggi principali di r1 e r2, l’equazione di equilibrio
elementare Nfi/r1 scompare. Ntheta tende ad aprire perpendicolarmente ad una generatrice. Per calcolare Nfi
uso la seconda equazione ed è la metà di Ntheta ed è diretta lungo una generatrice. Se dividiamo entrambi
questi valori per lo spessore, posso ricavare le tensioni e da queste posso scrivermi la tensione equivalente.
Vedete che le tensioni sono massime a man a mano che vado verso la sommità.

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Appena più complicato è il caso di serbatoio conico per liquidi, perché il liquido è pesante e quindi
praticamente in questa sezione il serbatoio viene tirato dal peso di tutta la colonna d’acqua che agisce sulle
pareti del serbatoio e quindi è legato al volume di questo cono più il volume di questo cilindro (il cilindro dà
luogo a tutto il carico R non alla pressione che agisce sul punto). La pressione sarà in generale se il recipiente
è alto H ad una quota h la pressione sarà pari alla pressione esterna più la legge di Stevino , cioè il peso della
colonna d’acqua, quindi γ(H-h). la reazione sarà p0*superficie che è quella che proietta quella resistenza
dell’altezza H più il peso di tutta quanta questa colonna, quindi gamma*volume. Il volume è 1/3h * Pi * r0^2
+ …leggi slide.

Scrivo le due equazioni di equilibrio, ove r1 va all’infinito e quindi supponendo che la pressione esterna sia
nulla ricavo…

509
…Ntheta e Nfi.

Dopo di che questo problema si studia come si studia qualsiasi problema tensionale. Vado a vedere quanto
valgono le tensioni in punti particolari oppure vado a vedere dove stanno i punti stazionari delle tensioni.
Posso dire che per h=0 cioè al vertice ho leggi slide

Per h=H ho leggi slide.

Questi sono valori per punti particolari. Io cerco in quali punti le tensioni abbiano un valore massimo. Per
esempio posso dire dove ho massima Nfi? Derivo rispetto ad h la Nfi ed ottengo che il massimo si ha ad una
altezza h=3/4H. scrivo Nfi in 3/4H e vedo che sigmafi e sigmatheta hanno lo stesso valore.

Dove è che la Ntheta è massima? È a metà H. Ntheta è un quarto, cioè 4/16 di Nthetamax quindi è un po’ più
grande. Nthetain h2 è più piccola di Ntheta in h1.

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I Serbatoi possiamo starci tanto tempo, tra l’altro dovremmo parlare di quando il guscio non si comporta
come una membrana, ma ci fermiamo qui con i gusci membranali.

Affrontiamo sempre dei solidi delimitati da una superficie curva, ma riferiamoci più specificamente a
superfici quando z/r non è trascurabile (vedi inizio slide). È il caso dei cosiddetti recipienti cilindrici in
parete spessa.

Si incontrano in molti casi. Posso partire dalle equazioni scritte nelle prime slide ma è inutile, quindi
partiamo dall’idea classica che sia un solido assialsimmetrico soggetto a pressione interna o esterna il quale
sarà sollecitato in modalità triassiale, anche se per motivi che saranno evidenti studieremo SPT. Data
l’assialsimmetria della geometria e poiché parliamo di pressione interna ed esterna allora vale anche per i
carichi, le direzioni e tensioni principali saranno sempre una radiale, una circonferenziale ed una assiale.
Quindi in questo caso, attesa l’assialsimmetria dei carichi e della geometria, io so già quali sono le direzioni
principali e di conseguenza come sono dirette le tensioni principali. Se parto da una o SPT la sigmaa=0 ed è
l’equivalente di un recipiente cilindrico senza fondi. Evidentemente quindi, lo stato tensionale essendo
r1=infinito e poiché la pressione dovuta all’interno è uniforme, il sistema di spostamento di tensione non può
dipendere dalla coordinata assiale quindi non può variare lungo l’asse e poiché non ci sono variazione lungo
il theta, cioè la circonferenza allora la variazione con theta di una qualsiasi grandezza è nulla e lo
spostamento circonferenziale è sicuramente nullo, allora l’unica equazione di equilibrio rimane quella di
equilibrio alla traslazione radiale la 1. Questa dovremmo integrarla lungo la coordinata r (xke theta non può
cambiare niente per assialsimmetrica, idem per z). dobbiamo quindi vedere come cambiano sigmar e sigmat
lungo il raggio, quando sul sistema agisce una pressione interna ed esterna. Questa equazione non è
sufficiente per risolvere il problema xke è una funzione differenziale con due funzioni incognite. Abbiamo
bisogno di un’altra equazione. Uso quella di congruenza (che in realtà è un risultato analitico, xke se
511
ricordate le componenti di deformazione in coordinate cilindriche per un solido generico noi abbiamo critto
epslonr se u era la componente radiale dello spostamento e v quella circonferenziale ed avevamo detto
ur=du/dr ut=u/r+1/rdv/dtheta da cui essendo assialsimmetrico allora valgono le 2. Se io considero epslont e
faccio la derivata ottengo la 3, da cui ricavo l’equazione (*). Dall’esame di queste due espressioni (la 1 e la
(*)) io mi rendo conto che sono collegate tra di loro, perché l’equazione di congruenza fa si che non ci siano
compenetrazioni di materiali o la creazione di vuoti, cioè sia mantenuta la continuità del materiale. Cmq
sono della stessa forma queste equazioni. Quindi nella 1 ho due funzione incognite e una equazioni, per la *
scrivendo le epslon in funzione delle relazioni di navier ed avrò ottenuto un’altra equazione tra le
componenti di tensioni.

Dall’equazione di navier io ottenendo che l’equazione di congruenza diventa questa (triangolo).

Mo leggi slide che fai prima. Si nota che sigmat è la derivata del prodotto di r*sigmar rispetto a r. alla fine
ottengo la verde. Equazione differenziale del secondo ordine che la risolvo stepby step. Cioè scrivo

512
Cioè scrivo y=dsigmar/drda cui la 1 che andrà risolta per separazione di variabili. Ottengo la 2 da cui la 3 da
cui la 4 e integrando una seconda volta ho la 5. Da cui la 6. Tutto ciò viene scritto con l’equazione in
riquadro nero. Questa è l’espressione che abbiamo usato per risolvere il problema di Krich(effetti locali) per
risolvere il problema della piastra con foro circolare.

Questa forma fa si che io debba ricavare le costanti A e B con le condizioni al contorno. Supponendo che al
bordo interno ci siamo una pressione pi e al bordo esterno ci sia una pressione pe allora ho le (*), il segno
meno perché sono di compressione. Da cui ottengo l’ultima relazione da non imparare a memoria.

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L’equazione da non imparare a memoria viene scritta in modo leggermente diverso e cioè introduciamo un
rapporto beta tra ri e re e un rapporto K tra le pressioni, poi adimensionalizzo il raggio per re, però metto
pi/pe=k e non come sta fatto sulla slide. Otteniamo così la nuova equazione nel riquadro blu

514
Se pe=0 ho il recipiente cilindrico sottoposto a pressione interna p. quindi K=0 ed abbiamo le seguenti
espressioni: leggi slide. La sigmarinterna è –p quindi è di compressione, mentre quella circonferenziale è
data dalla slide. Al bordo esterno, ro=1, leggi slide e la sigma radiale è nulla mentre quella circonferenziale è
minore della sigma circonferenziale interna.

Se diagrammo le tensioni, ho un cilindrone in parete spessa con un foro soggetto a pressione, la sigmar è
sempre negativa, parte da –p ed arriva a 0 sul bordo esterno, mentre la sigma circonferenziale, cioè quella
che tende ad aprire il recipiente, è sempre positiva ed è massima al bordo interno e minima al bordo esterno.
Quindi la sigmar aumenta ma è sempre di compressione, e la sigmat va diminuendo ed è massima al bordo
interno. E la sigmaa? Se in SPT la sigmaa=0, ma se dall’altra parte ci troviamo in SPD (stato piano di
deformazione) con epslona=0 e quindi sigmaa sarà uguale a (*) che è costante, non dipende dal raggio è
sempre la stessa ed è legata alla pressione, quindi non è la più grande o più piccola delle tensioni ed è
costante, quindi studiamo tutto il sistema con uno stato piano di tensione poi se c’è una sigmaa con il
principio di sovrapposizione degli effetti ho un cilindro con carico assiale uniforme e lo studio come sforzo
normale.

L’altra possibilità è che se ci sono fondi, allora la sigmaa* l’area della corona circolare resistente, deve
essere uguale alla reazione del fondo da ciò sigmaa è intermedia ed è uniforme, non dipende dal raggio e
quindi mi studio la sua influenza per sovrapposizione degli effetti.

Quesiti: qual è il criterio di resistenza che io devo usare per studiare una struttura del genere?

Si adopera Guest, massima tensione tangenziale, la quale ci dice che la tensione di confronto è uguale alla
differenza tra la tensione principale massima e la tensione principale minima, sappiamo che sigmat è la
principale massima e la sigmar è la principale minima xke addirittura negativa. Da cui ottengo la 1. Sul
bordo interno in cui ro=beta ho la 2. E la sigma di confronto secondo tresca assume il valore massimo sul
515
bordo interno come la 2. A questo punto ci viene l’idea se per caso non stiamo sbagliando, perché stiamo
facendo tutto questo discorso in cilindri in parete spessa, vediamo in parete sottile. (in parete spessa è più
accurato che non in quello in parete sottile, ove quest’ultima prevede che la tensione sia costante lungo lo
spessore, mentre in parete spessa la tensione varia lungo lo spessore). Allora facciamo il confronto delle
tensioni, la tensione di confronto massimo per un recipiente a parete spessa premuto dall’interno, nel
recipiente in parete sottile non c’è variazione lungo lo spessore, quindi non c’è la tensione di confronto
massima e minima, ma esiste solo una tensione di confronto, siccome non c’è tensione assiale, come non
l’abbiamo considerata in recipienti cilindrici in parete spessa ma non c’è nemmeno tensione radiale perché il
recipiente sottile reagisce solo lungo il meridiano o lungo il parallelo, evidentemente una tensione di
confronto per un recipiente cilindrico in parete sottile è una sigmat, cioè pr/s, ove r è il raggio medio e s=re-
ri, da cui la 3.

Facendo il rapporto delle due tensioni di confronto ottenute, ottengo la 4. Se beta tende a 1, cioè il recipiente
è effettivamente molo sottile, allora y=1 e le due formulazioni vanno benissimo ugualmente, ma se beta=0,
cioè r1=0 cioè diventa un solido, y=0,25 cioè la teoria del recipiente in parete sottile ci dà delle tensioni che
sono un quarto di quelle reali ed ovviamente ho espresso la mia bravura a diagrammare la funzione y.

Un altro problema è il problema del dimensionamento, ho una certa pressione interna, il materiale ha una
certa tensione ammissibile, che spessore devo utilizzare?, lo debbo fare utilizzando come progetto la tensione
di confronto massima. Da ciò mi ricavo il valore di beta, di solito ri lo conosco, perché magari so la portata
del fluido ecc, e quindi guardata qui cosa accade, se p>sigmaamm/2 ho radice negativa e non si può fare. La
teoria dei recipienti in parete spessa verificata col criterio di tresca ci dice che non possiamo mai fare un
recipiente che lavori con una pressione maggiore della metà della sigma ammissibile, quindi in funzione

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della pressione io devo utilizzare un materiale diverso. Magari un altro criterio di resistenza lo potrebbe fare.
A questo punto esiste un criterio di resistenza migliore?

Vediamo Hencky e von Mises, mettiamo in uno SPT, sigmaa=0 sigmar, sigmat ce li siamo calcolati da cui
ottengo la 2 che è la sigma di confronto. Dunque la sigma di confronto secondo tresca era massima per
ro=beta, mettendoci allo stesso punto ottengo la 3. 3+po^4<4, da cui la rad<2, quindi la tensione di confronto
massima secondo von mises è più piccola della tensione di confronto secondo guest o tresca, quindi tresca è
più conservativo e ci mette in condizioni di maggiore sicurezza. Questo bordo ro=1 abbiamo lo stesso
risultato.

In presenza di fondi le tensioni di confronto secondo von mises sono sempre minori di quelli di tresca.

La teoria di von mises è più scomoda, meno conservativa, tanto vale nello studio dei recipienti cilindrici in
parete spessa si utilizza guest o tresca o massima tensione tangenziale perché è maggiormente conservativa.

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Noi abbiamo detto che quando io voglio utilizzare un materiale che sia dotato di una sigma ammissibile, io
secondo guest non posso utilizzare delle pressioni che siano maggiori della metà di questa sigma.

Ragioniamo in altri termini, io ho un recipiente che ha un certo beta, mi chiedo che succede all’aumentare
della pressione? Aumenta la sigma di confronto e in particolare la tensione di confronto raggiunge il valore
della sigma di snervamento il materiale comincia a plasticizzare. La verifica la faccio al bordo interno dove
la tensione è maggiore. Allora se io scrivo la tensione di confronto sul bordo interno secondo tresca è ugual a
sigmaS (la 1), io posso dire che per un certo recipiente in corrispondenza di quale pressione psegnato
comincia la plasticizzazione. Quindi scrivo psegnato= la 2.

Spesso e volentieri vogliamo utilizzare per una certa geometria delle pressioni maggiori, come si fa?
Allora esistono diversi modi, oggi vediamo l’autocerchiatura, e la prossima volta parleremo della cerchiatura
senza auto-.

L’autocerchiatura è molto semplice, io sottopongo il mio recipiente dall’interno ad una pressione così forte
da farlo plasticizzare fino a un certo raggio. Quando tolgo questa pressione ovviamente resta uno stato
tensionale residuo di compressione, quindi poi dopo posso applicare delle pressioni interne anche violente, e
devo recuperare prima le tensioni negative e poi quelle positive (crack clousure, pallinatura, cemento armato
precompresso, il criterio è sempre quello). Quindi se faccio l’ipotesi di utilizzare un materiale elastoplastico
senza incrudimento, vuol dire che nella zona plasticizzata la tensione di confronto sigmat-sigmar=sigmaS.
Però nella zona plasticizzata deve essere cmq valida l’equazione indefinita di equilibrio, perché non essendo
una equazione di equilibrio elastico ma è una equazione tra forze, deve essere sempre verificato e prescinde
dal modello di materiale che noi consideriamo, quindi deve essere sempre valido.

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Quindi vale la 1, ma vale la 3 di slide precedente, quindi ottengo la 2. Ciò significa che noi possiamo
integrare la 2 per parti ed otteniamo la 4, e il risultato è la 5, la sigmat è la 6 per la 3 di slide precedente.

Il sistema sarà lo stato tensionale all’interno della zona plasticizzata. Dobbiamo ancora ricavare C. nella
zona ancora elastica vale il sistema 7, però non vale tra ri e re, perché la zona plastica non comincia con ri
ma con un certo raggio rp xke la plasticizzazione è cominciata da là quindi noi dovremo dire che la 7 vale in
realtà tra re e rp (come il sistema 8). (qui è poco chiaro perché un cogl… è entrato ed ha interrotto il prof)

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Dopo qualche passaggio, ottengo i valori di A e B, da cui ottengo il nuovo sistema 1.

Per ricavarmi C, se io dico che la sigmar deve mantenere la propria continuità quando passa dalla parte
plasticizzata a quella elastica perché se prendo un elementino tra la superficie di separazione, a sinistra ho la
parte plasticizzata a destra quella elastica, si devono equilibrare e quindi per r=rp la
sigmarplastica=sigmaRelastica, da ciò ricavo C.

Io ho in definitiva che nella zona plastica ho il sistema 2 e nella zona elastica il sistema 1.

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poiché per l’equilibrio, per r=ri, la sigmaR=-P_applicata, allora io posso usare questa applicazione
particolarizzata per ri, per sapere qual è la pressione che debbo applicare per plasticizzare il mantello fino al
raggio rp, o viceversa se io ho applicato una certa pressione, fin dove si plasticizza?. In particolare posso
pensare che Rp sia pari ad Re, cioè si è plasticizzato tutto e quindi questa quantità è nulla (leggi slide),
leggendo slide ricavo la pressione che mi plasticizza interamente il mantello.

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Accade che io ho plasticizzato il cilindro fino ad un certo raggio rp. Poi tolgo la pressione e voglio capire lo
stato tensionale residuo che mi rimane. Allora togliere la pressione ho il ritorno elastico, è come se applicassi
una tensione pari a +pp elasticamente da cui il sistema. Sommo la soluzione che ho gia e questa dovuta al
ritorno elastico e ricavo lo stato tensionale residuo.

Se leggi il sistema in slide capisci la zona interamente plasticizzata e zona interamente elastica. (tensione
residua sigmar e tensione residua secondo t).

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Ho fatto un esempio, ho un recipiente cilindrico con beta=0,2. Voglio applicare una pressione che mi porti la
plasticizzazione fino a rp/re=0,6. (da 0 a 0,6 è plastico, da 0,6 a 1 è elastico). E poi applico la pressione parti
all’80% di quella iniziale. Allora mi calcolo il valore della pressione necessaria ad avere l’autocerchiatura a
plasticizzazione fino a 0,6, mi trovo che deve essere la pp= 1,418 la sigma di snervamento. Dopo quando
devo caricare io metto l’80% di questa pressione pp.

Allora applicando 1,418sigmas ho questo andamento delle tensioni (alto a sinistra). La radiale parte da -1 ed
è il valore della pressione applicata e va fino a 0, perché a 0,6 ho il limite tra le due zone elastica e plastica
per labda=0,6 imponendo così la continuità della sigmar. La sigmat ecco qua (manca la figura che raffigura
quello che succederebbe se non si plasticizzasse). La cosa carina è all’inizio del grafico dove questo è 1,5 e
questo è 0,5 ove la differenza tra sigmat e sigmar è 1, ed è la sigma di snervamento come imposto dal criterio
di tresca che abbiamo utilizzato. A 0,6 comincia la zona elastica e quindi la sigma circonferenziale deve
ridursi anche se è applicata una pressione interna, vedete che nella plastica aumenta.

Vado a togliere il carico, quindi è come se applicassi una –p e ottengo queste tensioni residue (grafico in alto
a destra), la sigma radiale va a 0 all’interno e zero all’esterno per condizioni al contorno e poi ha un leggero
diverso da 0 in un punto intermedio del mantello, mentre la sigmat è diventata molto più complessa, qua è
0,5 qua è 2 ecc.

Quando applico la tensione di esercizio che è l’80% di quella pp, allora ottengo il grafico in basso, si nota
che sigmaS/sigmaS è -1,2 e sigmat/sigmaS leggi il grafico. Non ho riportato quello che avverrebbe se il
comportamento fosse sempre elastico e la prossima volta vi renderete conto che queste tensioni sono

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diminuite moltissimo e anche la tensione di confronto. Lo vedremo nell’esempio della cerchiatura la
prossima volta. Ricorda:

l’autocerchiatura è una plasticizzazione, cioè è un effetto benefico che io ottengo preplasticizzando la


struttura attraverso una pressione interna, la cerchiatura è un effetto benefico che io ottengo facendo il
mantello non con un guscio solo ma in due gusci o 3 come una cipolla, infilati con interferenza l’uno con
l’altro in modo tale che gli elementi esterni forzano quello interno, tali strati fanno si che quello interno dove
è più sollecitato, si comporti come un cilindro premuto dall’esterno, e siccome un cilindro premuto
dall’esterno è assoggettato a una sigmacirconferenziale negativa che è quella pericolosa, allora va a ridurre
l’effetto che poi io ho applicando il carico interno. Quindi le differenze tra autocerchiatura e cerchiatura è
questa qua.

Fine lezione 18

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