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Lezione 15 – archi e volte

In questa lezione è stato trattato il rapporto fra le strutture spingenti e la costruzione storica.
La presenza di strutture voltate o archi all'interno di un edificio rappresenta sempre una criticità e una
problematica da affrontare, proprio perché, in quanto strutture spingenti, sono differenti le modalità di
trasmissione dei carichi. Al contrario delle strutture pesanti, queste presentano una componente orizzontale,
detta proprio spinta, di cui risentono le murature. Se non si prevedono degli accorgimenti adeguati, seguono
dissesti. Nelle costruzioni storiche, i dissesti non sono causa di errori di progettazione o di posa in opera. Si
manifestano in genere per due motivi: o perché l'azione orizzontale subisce una variazione repentina (causa
possibile: fenomeni sismici), oppure perché nel corso dei decenni la struttura ha subito delle modifiche che
hanno fatto variare le sollecitazioni (causa possibile: interventi non consapevoli sugli edifici).
La geometria della struttura spingente dipende dalla disponibilità costruttiva del cantiere: alcune scelte
dipendono dalla disponibilità di materiali. L'evoluzione di queste strutture dipende infatti dall'evoluzione
tecnologica del cantiere.

Gli archi rientrano fra gli elementi costruttivi monodimensionali o lineari, così come pilastri e architravi (in
particolare, rispettivamente verticali e orizzontali), in particolare fra quelli curvilinei, in grado di trasferire
carichi anche notevoli in porzioni della muratura ben definite. Si ha il passaggio dalle strutture
monodimensionali a quelle bidimensionali, a cui appartengono le volte, oltre che i muri ed i solai. Volte e
cupole derivano dalla traslazione lungo una direttrice o dalla rotazione di una figura piana e sono molto
utilizzate nella costruzione storica. La volta può essere intesa infatti come somma di più archi, anche nei
calcoli strutturali.

La foto a destra è emblematica, rappresenta la tonnara di


puntatita. È un esempio eccezionale del funzionamento dell'arco:
i conci sono quasi completamente erosi dall'azione eolica e la
superficie di contatto fra i vari conci è limitata. I carichi agenti
sono effettivamente ridotti e l'arco continua ad essere stabile
mantenendo la linea di trasmissione dei carichi, che passa proprio
fra la sottile linea di contatto fra i vari conci. Sarebbe in grado di
rispondere a carichi più grandi perché le azioni trasmesse da
concio a concio sono dirette ortogonalmente rispetto la linea dei
giunti (è il principio su cui si basa il metodo di Mary per la verifica
degli archi). In questo modo il materiale è soggetto solo a compressione, per cui la struttura riesce a resistere.

NOMENCLATURA COMPONENTI ARCO:


La linea di estradosso definisce superiormente l'arco, mentre la linea di intradosso lo definisce inferiormente.
La linea di imposta è la linea sulla quale ricade il centro dell'arco. Il concio di imposta (detto anche pulvino) è
il primo a formare l'arco, in adiacenza al piano di imposta. Il concio in corrispondenza della mezzeria è definito
concio in chiave. I giunti sono le facce di corrispondenza fra i conci. Lo spessore dell'arco è la distanza fra la
linea di intradosso e quella di estradosso, concetto diverso da quello di larghezza dell'arco, cioè la distanza
fra le due facce dell'arco, in genere coincide con lo spessore del muro. L'arco in genere poggia su piedritti,
quindi pilastri o colonne, ma può poggiare anche su murature continue, per cui parliamo più correttamente
di spalle dell'arco. La luce dell'arco è la distanza fra i piedritti o le spalle; la distanza fra la linea d'imposta e
l'intradosso è detta saetta o monte dell'arco. Importanti sono le cosiddette linee alle reni (per le volte, piani),
che formano un angolo di 30° col piano d'imposta. Al di sotto delle reni i conci si comportano come
prolungamenti dei piedritti, al di sopra l'azione è scomposta e si ha la spinta.

NOMENCLATURA COMPONENTI VOLTA:

La volta è un elemento
architettonico tridimensionale: se in
un arco abbiamo due fronti (le due
facce del muro nel quale esso è
inserito), in una volta le due fronti
non si riferiscono al muro in cui è
inserito l'arco di facciata, ma alle
due facce che si trovano sui piani
estremi che contengono gli archi di
estremità della volta stessa. Non
parliamo più di linee, ma di piani,
quindi di piano di imposta, piano di
intradosso, piano di estradosso,
piano alle reni. La volta presenta
aggregazione di conci sia lineare che
longitudinale, visibili dall'intradosso
della stessa.
La struttura muraria cambia da volta
a volta, in termini di materiali o
scelte costruttive sull'apparecchio
della muratura. Nella foto notiamo
che il piano di imposta non coincide col piano di imposta architettonica e la distanza che esiste è detta
soprassesto, in cui i conci hanno disposizione orizzontale: dal piano di imposta in poi i conci assumono forma
trapezoidale e le azioni trasmesse presentano una componente orizzontale. Questa differenza serve a capire
dove sono presenti porzioni spingenti e dove non sono presenti.

Altri elementi di cui dover tenere conto


nelle volte sono gli elementi che
definiscono la sua funzione: se un arco
risponde all'esigenza di un'apertura, le
volte in genere vengono realizzate per
coperture o per creare piani di calpestio al
di sopra. E' necessario quindi "riempire" le
porzioni al di sotto: per volte realizzate con
conci squadrati, fino al piano alle reni si
realizza il rinfianco; al di sopra di questo si
effettua il riempimento. La differenza fra le due parti riguarda il materiale: il rinfianco è realizzato con
materiali piuttosto pesanti, come conci stessi, mentre il riempimento deve essere quanto più leggero
possibile. Infatti il riempimento è la porzione che contribuisce maggiormente alla spinta (poiché al di sopra
del piano alle reni), il rinfianco invece contribuisce alla stabilità (poiché al di sotto del piano alle reni).

Rispetto a quello che si può pensare, lo studio della geometria di archi e volte
non è una questione puramente architettonica, anzi al contrario saperla
interpretare aiuta a capire se la struttura ha subito dei dissesti. Come nella
muratura, la lettura di elementi apparentemente secondari ,come la
stratificazione dell'intonaco, ci permette di risalire i dissesti, quindi geometrie
non ben definite di archi o volte asimmetriche devono essere oggetto di
nostro interesse. Esempio, Agia Sofia: la cupola presenta delle asimmetrie che
raccontano i dissesti che la struttura ha subito. Capire qual era la struttura
originaria dell'arco è quindi importante, anche in termini di materiali utilizzati.

Abbiamo parlato di archi e volte realizzate con conci ben squadrati e regolari, in grado di trasferire
ortogonalmente rispetto le loro facce i carichi. In realtà, in tantissimi casi, archi e volte non sono realizzati in
questo modo, anzi al contrario sono caratterizzati da conci irregolari o possono essere realizzate in getto.
Due archi caratterizzati dalla stessa geometria e dimensione, trasmettono sollecitazioni molto diverse ai
piedritti o alle spalle in funzione della modalità con le quali l'arco è costruito. Una struttura realizzata in getto
si comporta come una struttura pensante, come una trave appoggiata-appoggiata. In generale si può dire
che maggiore è la coesione fra le porzioni contigue (caso estremo è quello dell'arco in getto), più il
comportamento di questa sarà vicino all'idea di una struttura pesante, quindi se il livello di coesione fra le
porzioni contigue non è alto (è il caso degli archi realizzati con conci irregolari) il comportamento della
struttura risulta essere spingente.
Dal punto di vista della stabilità intrinseca, archi e volte sono una certezza, infatti è molto difficile che questi
si dissestino per un errato dimensionamento dei conci, ma in genere accade per ribaltamento.

Non sempre la geometria dell'arco corrisponde ad un definito apparecchio dell'arco.


Supponiamo che i due archi siano intonacati: avrebbero la stessa
forma. In realtà, la disposizione dei conci è completamente
diversa. A sinistra, l'imposta geometrica che si trova sotto non
coincide con l'imposta strutturale. Più in alto è posizionata
l'imposta, maggiore sarà la possibilità di ribaltamento del
piedritto. A destra, invece, il piano di imposta geometrico coincide
con quello strutturale. Pertanto, si definisce geometria
dell’elemento costruttivo un’astrazione teorica che necessita di
specifiche costruttive. Lo spessore si considera nullo, intradosso ed
estradosso coincidenti; in realtà, molto spesso, la superficie di intradosso e quella di estradosso sono diverse.
Si definisce inoltre apparecchio la modalità di disposizione di elementi costruttivi di base di dato materiale e
data geometria per realizzare un elemento di fabbrica. Tracciato o tessitura che guida la disposizione dei
conci e la sequenza di esecuzione.L'arco a tutto sesto è quello più semplice dal punto di vista geometrico, ma
questo può essere realizzato con configurazioni differenti.

Per ogni soluzione vi sono vantaggi o svantaggi, esempio in foto: quella in alto presenta
un unico blocco monolitico intagliato ad arco all'intradosso, il comportamento è
pesante. Quella in basso, presenta una configurazione a protoarco, poiché composta da
due elementi contrapposti, che caricati verticalmente agiscono con un'azione
orizzontale in corrispondenza del piano di imposta.
Definiamo il funzionamento dell'arco a partire dai due classici elementi
contrapposti: si parla di protoarco poiché struttura spingente ma realizzata
con due elementi. Se all’architrave si sostituiscono due elementi che si
reggono in equilibrio per mutuo contrasto, si ottiene un sistema spingente.
Le azioni sui piedritti non sono più verticali ma generano una spinta che
tende a ribaltarli. Il valore della spinta è in rapporto all’inclinazione dei due
elementi. Pur impiegando materiali lapidei di dimensioni ridotte, un arco
può coprire luci superiori a quelle che normalmente si riesce a coprire con
il sistema trilitico.

Rispetto a questa soluzione semplice, Vitruvio richiama nel suo


trattato l'esistenza di soluzioni spingenti per la realizzazione di
elementi lineari. Lo stesso Vitruvio indica come possibili soluzioni
al problema delle rotture dell'architrave la realizzazione di archi di
scarico e archi ad intradosso piano (arco-trave o piattabanda).
La presenza della piattabanda in sostituzione dell'architrave è un
vantaggio per una questione di costi (realizzare conci più piccoli
costava meno), ma anche perché è in grado di resistere meglio a
deformazioni della struttura perché a seguito di dissesti i vari conci
sono soggetti a slittamenti reciproci e riescono a trovare un'altra
configurazione di equilibrio. In queste condizioni, ad esempio, un
traverso si romperebbe.

Dal punto di vista storico, gli archi vengono trattati analiticamente nel 1840 col metodo di Mery, ma nascono
in epoca romana con Leonardo da Vinci nel 400, attraverso gli studi che effettua sulla stabilità dei corpi su
piani inclinati. Prima del 1684 siamo ancora in tempi di sperimentazione diretta e non si effettuavano calcoli,
ma in quell'anno De la Hire formula la prima teoria per il calcolo degli archi, non considerando però l'attrito
fra i conci, cosa che fa Coulomb nel 1776.

Riguardo la questione della statica delle strutture arcuate è possibile intendere l'arco come un pilastro
deformato. I conci che lo costituiscono infatti sono soggetti a compressione e, allo stesso modo, lo sono nelle
strutture voltate, quindi è come parlare di un muro che è stato curvato, ma il comportamento è lo stesso.
Questo parallelismo è utile per ragionare sulle deformazioni subite da una struttura arcuata.

In foto, Ponte Milvio: il terzo arco presenta una deformazione evidente


che può essere spiegata in questo modo. In SDC si è parlato dei
fenomeni di instabilità correlati al carico di punta, per strutture snelle.
Se consideriamo un arco come un pilastro curvato, capiamo che la
dimensione dei conci è molto ridotta e sono soggetti a compressione,
quindi anche in questo caso si può arrivare a rotture per carico di
punta. La deformazione visibile è dovuta allo svergolamento ed i conci
si sono adattati a questa deformazione, per cui assumono una forma
complessiva diversa da quella perfettamente arcuata.

Oltre ai protoarchi e quindi al concetto di elementi contrapposti che


generano strutture spingenti, un caso molto ritrovato nella costruzione
storica è quella dei cosiddetti finti archi, cioè elementi voltati o elementi
curvilinei in cui gli elementi sono disposti in posizione orizzontale.
La distribuzione dei carichi è completamente diversa: ricordando il
concetto di catenaria, cioè la curva nella quale, per ogni punto, l'azione
trasmessa reciprocamente fra i conci risulta tangente.
A parità di quota fra i punti, l'azione trasmessa ha una retta d'azione tangente alla curva nel punto in
considerazione, al contrario del caso classico a giunti radiali in cui l'azione è ortogonale alla faccia del concio.
Saranno anche soggetti a sollecitazioni orizzontali e quindi non sono a compressione i conci disposti
orizzontalmente. Ricorda che per la stabilità è importante che la risultante delle varie forze rientri nel
nocciolo centrale d'inerzia, quindi all'interno del terzo medio.

Passiamo alle volte:

Le volte possono costituire chiusure orizzontali intermedie o di copertura degli edifici. In quest’ultimo caso si
dicono “estradossate” se l’estradosso è a vista; se sono inoltre a pianta centrale, prendono il nome di cupole.
La cupola differisce molto dall’arco bidimensionale e dalle “volte sviluppabili” in termini di sistemi di
costruzione e di comportamento strutturale. Per la costruzione di un arco, la presenza della centinatura è
essenziale, senza di questa i conci scivolerebbero verso l’interno. Completato l’arco con la messa in opera del
concio di chiave, il trasferimento dei carichi dalla centina all’arco avveniva tramite la progressiva rimozione
di cunei di legno inseriti all’interfaccia. La costruzione di una cupola risulta teoricamente meno complessa. I
conci di un corso circolare chiuso (anello completo) non possono scivolare sulla superficie inclinata del corso
inferiore poiché l’anello è virtualmente incompressibile. Nella cupola la costruzione procede per anelli
sovrapposti, pertanto non è necessario l’inserimento di un concio in chiave.
La presenza di costoloni nelle cupole testimonia che il funzionamento “a spicchi” era probabilmente già
intuito non solo dagli architetti rinascimentali ma anche dai costruttori romani: intendiamo per
funzionamento a spicchi un insieme di elementi che si comportano come archi meridiani che spingono sugli
appoggi, che possono considerarsi come puntoni la cui reazione inclinata si trasforma in spinta sull'imposta.

La schematizzazione “a spicchi” è utilizzata nel 1748 da Poleni (Memorie Istoriche della Gran Cupola del
Tempio Vaticano, Padova, 1748) per la valutazione del quadro fessurativo che la cupola di S. Pietro
presentava a 200 anni dalla sua costruzione. Poleni osserva che le fessure avevano diviso la cupola in spicchi
semisferici e genera la teoria della funicolare.
La cupola presentava delle lesioni lungo i meridiani molto evidenti:
riduce il problema tridimensionale ad uno studio bidimensionale
che riconduce allo studio di due elementi contrapposti. Divide la
cupola in 50 spicchi, cioè in 25 archi: divide ogni arco in due
semiarchi ed ogni semiarco in conci, attribuendo ad ogni concio
un peso, per trasporre lo studio della cupola applicando ad una
fune delle sfere che hanno dei pesi proporzionali ai diversi conci.
Analizzando come si dispone la fune (analiticamente poi trattata
da Mery con la catenaria), disegna l'andamento della curva, la
ribalta sulla sezione dei due archi contrapposti che rappresentano
i suoi elementi di studio per la cupola e verifica che questa curva
si trovi sempre all'interno della sezione della cupola stessa.
Deduce quindi che nonostante la formazione delle lesioni, la
cupola risultava stabile e sicura. Questo rappresenta il primo caso
di studio applicato di analisi di struttura spingente di tale rilevanza.

Nel 1882 Gaudi nella realizzazione della Sagrada Familia realizza un modello inverso delle curve paraboliche
per studiare le volte proposte.

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