Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
FACOLTA’ DI INGEGNERIA
guida al corso di
ARCHITETTURA TECNICA 1
prima parte
principi complessi per la sicurezza statica
principi per il comfort ambientale
principi per la percezione della forma
Per la preparazione di questa parte del corso gli studenti hanno come riferimento il
volume E. Mandolesi- Edilizia 1- ed. UTET- Torino 1978, ma tale volume risulta
essere soltanto la base da cui prendere spunto per una serie di riflessioni e di col-
legamenti, che non sempre risultano facili e immediati.
Le pagine che seguono vogliono essere proprio una sorta di approfondimento e
riflessione su quanto scritto nel 3° capitolo di Edilizia 1, per permettere agli studen-
ti una migliore preparazione dell’esame e contemporaneamente permettere loro di
entrare nel vivo dell’insegnamento.
3
te si troveranno a lavorare con sistemi trilitici o intelaiati, ma è opportuno trattarli in
quanto tutti pariteticamente adottati invece nelle costruzioni moderne. Conoscere i
sistemi costruttivi porta ad una visione critica e consapevole dell’architettura, sia
quando ci si trova a confronto con nuove costruzioni (le tecniche moderne condu-
cono a soluzioni sempre più ardite, in genere però rapportabili a principi statici sem-
plici), sia quando invece si ha davanti un impianto antico, del quale si devono esa-
minare non soltanto le volumetrie, ma se ne devono comprendere le modalità
costruttive.
Ancora un aspetto importante, sul quale si sono voluti dare degli approfondimenti, è
la definizione dell’immagine che si vuole trasmettere dell’organismo edilizio nel
momento delle scelte progettuali. Proprio proseguendo le considerazioni fatte fin
ora, l’architettura moderna non lascia quasi mai il campo all’applicazione di un prin-
cipio materico, in quanto c’è una esaltazione del rivestimento di facciata, applican-
do tutti i materiali conosciuti; spesso anche quando si vedono pareti con laterizi in
vista (si pensi alle architetture di R. Piano), questi non sono altro che la pelle ester-
na di una parete ventilata, e ancora tutte le applicazioni dei materiali metallici (dalle
architetture di Liebenskin a quelle di Gehry) richiedono per il comportamento dello
stesso metallo una ventilazione retrostante; pochi sono invece gli architetti contem-
poranei che preferiscono mettere in evidenza il sistema costruttivo (esempio di una
tale espressione è l’architettura di T. Ando con le pareti in calcestruzzo a vista).
4
il procedimento costruttivo e la sicurezza statica
principi complessi
PRINCIPIO COSTRUTTIVO DEL TRILITE
O DELL'ARCHITRAVE
centrico, e il diagramma delle pressioni, all'interno del solido verifica allo scorrimento il solido scorre: R è
esterna all’angolo di
S
risulta essere di tipo rettangolare, quindi il solido é uniforme- attrito f
Verifica al ribaltamento
Il solido sottoposto alla forza orizzontale S e alla forza verti-
cale P oltre a poter scorrere sulla superficie di appoggio AB,
può anche ribaltarsi.
La forza orizzontale S produce rispetto al polo B della sezione
di base un momento ribaltante dato da MR= Sd, dove d é la
distanza del punto di applicazione della forza S rispetto alla
base di appoggio, mentre il solido sempre rispetto all stesso
polo B produce un momento stabilizzante MS=Pt, dove t é pari
alla metà della base di appoggio. Si avrà stabilità se MS>MR
ma per rimanere in sicurezza MS> 1.5 MR.
Se effettuiamo la verifica graficamente la risultante R tra le
forze S e P deve cadere all'interno della base di appoggio per
avere la stabilità del solido; se R cade all'esterno della base di
appoggio il solido si ribalta. Per tener conto del coefficiente di
il solaio in elementi prefabbricati alveolari in
calcestruzzo come applicazione moderna del
sicurezza si può utilizzare una forza S1 =1.5S.
principio del trilite
Una volta effettuate le verifiche si possono adottare vari accor-
gimenti in funzione del problema evidenziato.
Se si verifica che la smax>so, cioè si ha una rottura per schiac-
ciamento del materiale, si può aumentare il materiale resi-
stente e per far ciò si può allargare la superficie di appoggio
del solido, cioè la sezione maggiormente sollecitata, ad esem-
pio costruendo un piedritto a scarpa; oppure si deve agire sui
carichi agenti diminuendoli, ad esempio sostituendo l'architra-
ve in pietra con uno in legno più leggero.
Se la verifica allo scorrimento dimostra che il solido scorre sul
piano di appoggio, S>Pa, si può intervenire sul coefficiente di
attrito, conferendo una maggiore scabrosità alla superficie di
contatto tra solido e terreno, oppure aumentare P, ad esempio
ponendo un ricarico sul solido in questione.
Se la verifica al ribaltamento dimostra che il solido é instabile,
cioè MR>MS quindi Sd>Pt si può agire su due fattori: sul peso,
aumentando P attraverso il posizionamento di un ricarico sul
solido; sulla superficie di appoggio realizzando un piedritto a
principio del trilite scarpa, oppure creando un muro a contrafforti.
10
PRINCIPIO COSTRUTTIVO DEL TELAIO
23
il procedimento costruttivo e il comfort ambientale
25
Parlare di principi per il comfort ambientale significa individua-
re le relazioni intercorrenti tra organismo edilizio, procedimen- principio del deflusso diretto
to costruttivo idoneo a realizzarlo e accorgimenti riguardanti la
protezione dagli agenti atmosferici, nonché l'isolamento termi-
co e acustico.
principio della raccolta e del
successivo smaltimento
Ai fini della protezione dagli agenti atmosferici possono esse-
re individuati due sistemi costruttivi atti a realizzare gli ele-
menti di copertura, che incidono sulla forma dell'organismo;
da un lato si può conformare la copertura in modo da far principio del corpo unico
defluire l'acqua il più rapidamente possibile e quindi adottare
un principio del deflusso diretto, dall'altra creare al di sopra
della copertura un "catino stagno" tale da contenere la pioggia
e eliminarla poi attraverso appositi sistemi di deflusso, si trat- principio del corpo multiplo
ta di adottare il principio della raccolta e del successivo smal-
timento delle acque.
Manti vegetali
Si basano sulla realizzazione di un fitto strato di elementi
lineari flessibili sovrapposti (canne, paglia in fasci o in stuoie)
e sono tipici delle costruzioni tradizionali di campagna della
Germania e dell'Inghilterra (cottage); la pendenza del tetto giunti di collegamento per manti in lamiera
non risulta inferiore ai 45° per zone piovose e lo spessore ai metallica
29
30-35cm. Se è ben realizzato il manto ha buone capacità di
impermeabilizzazione, isolamento e durata. Oggi è poco diffu-
so ed è applicato soltanto laddove particolari ragioni di rispet-
to ambientale lo richieda, mentre è ancora in uso nelle fasce
tropicali.
* * *
Ai fini dell'isolamento termico e acustico dell'organismo edili-
zio rispetto allo spazio circostante si possono individuare due
modalità di realizzazione degli elementi di confine (chiusure
orizzontali di copertura e chiusure verticali ) e precisamente
secondo il principio del corpo unico o il principio del corpo mul-
tiplo.
La parete ventilata, che risulta formata da uno strato interno, da uno strato isolante, da una inter-
capedine con aria in movimento e da un rivestimento esterno, ha avuto origine dall’intento di otti-
mizzare il comportamento termoigrometrico delle pareti. Il sistema di isolamento dall’esterno pro-
tegge la parete come nel caso del “cappotto”, ma il rivestimento separato da una intercapedine,
nella quale l’aria è libera di muoversi per l’”effetto camino” provocato dal suo riscaldamento, con-
sente di allontanare il vapore acqueo e contemporaneamente di limitare il calore sull’isolante per
effetto dell’irraggiamento solare.
In sostanza attraverso la parete ventilata si ottengono vari risultati quali una eliminazione comple-
ta dei ponti termici (con l’adozione di un isolante esterno); una minore sollecitazione termica della
parete (sempre per la posizione dell’isolante); un innalzamento della temperatura superficiale della
parete in inverno e abbassamento in estate rispetto alle temperature esterne; una riduzione del
pericolo di condensa (per effetto della ventilazione dell’intercapedine); una protezione dell’isolante
attraverso gli strati di finitura esterna e di intercapedine ventilata.
Dal punto di vista del comportamento termoigrometrico, occorre però distinguere tra stagione inver-
nale ed estiva: nel periodo estivo il problema più rilevante è l’azione della radiazione solare sulla
parete e in questo caso la presenza del rivestimento migliora la situazione in quanto come già detto
schemi assonometrici degli agganci di pareti ventilate con rivestimenti esterni in lamiera a pannelli verticali, a pannelli orizzontali a
quadrotti.
36
il materiale e la percezione della forma
37
38
Basandosi sull’esigenza di creare uno spazio abitabile l’uomo
ha da sempre realizzato delle “forme” che variano a seconda
della funzione dell’edificio stesso, del materiale utilizzato,
della tecnica costruttiva adottata e dell’immagine che dell’og-
getto edilizio si intende far percepire all’esterno.
Sull’immagine che della forma dell’oggetto si vuole dare all’e-
sterno incidono il procedimento costruttivo adottato nella rea-
lizzazione dell’oggetto stesso e in particolar modo il tratta-
mento di finitura che viene attuato.
Schematicamente si possono individuare due principi ben dif-
ferenziati: il principio materico e il principio geometrico.
Muratura a faccia-vista
Per ottenere una buona muratura a faccia-vista occorre utiliz-
zare un mattone di elevata qualità, che deve essere privo di
difetti, come scagliature o variazioni cromatiche, di efflore-
scenze, non deve essere gelivo, non deve avere inclusioni
40 40
calcaree; per questo motivo viene ottenuto da argille pregiate
e selezionate.
Il mattone da faccia-vista può essere di due tipi: pieno, pres-
sato a pasta molle, o semipieno, estruso.
In funzione delle capacità di prestazioni del muro nei confron-
ti della sicurezza statica questo può essere portante o porta-
to; nel primo caso la muratura svolge anche un ruolo struttu-
rale, mentre nel secondo soltanto un ruolo di tamponamento;
in ambedue i casi deve garantire, da sola o attraverso l’ag-
giunta di altri strati appositi, il comfort ambientale dello spazio
confinato. A secondo che la muratura risulti portante o portata
varierà lo spessore e di conseguenza la tessitura della super-
ficie esterna (muro a una, due, tre teste, ecc).
corretta esecuzione dei giunti di malta
Per avere una buona utilizzazione dei mattoni e non ricorrere
a tagli inopportuni è necessario in fase di progetto dimensio-
nare le murature considerando il mattone come il modulo-
oggetto che regola la costruzione e quindi realizzare il muro
lavorando sui multipli e sottomultipli del mattone, consideran-
do che i tagli sul mattone vengono preferibilmente fatti a ¼, ½,
¾. Comunque in cantiere è indispensabile effettuare una
prova preliminare di posizionamento dei mattoni a secco in
modo da operare sui giunti per arrivare correttamente negli
angoli. L’orizzontalità dei ricorsi deve essere controllata
costantemente mediante un filo scorrevole teso orizzontal-
mente.
I mattoni vengono in genere bagnati per 24 ore prima della
posa per evitare che assorbano l’acqua di impasto della
malta, e impediscano quindi il corretto svolgimento del feno- esecuzione non corretta dei giunti
meno di idratazione e presa della malta stessa.
Per quanto riguarda le malte è preferibile usare malte di sola
calce (calce idraulica e sabbia) o malte bastarde (calce idrau-
lica, cemento e sabbia), più plastiche e quindi più facilmente
lavorabili, per avere una migliore aderenza sul laterizio; le
malte a base di cemento possono contenere elementi secon-
dari, come loppe o ceneri, che comportano fenomeni di efflo- il diverso sfalsamento dei giunti dipende dallo
rescenza sui mattoni. Per esaltare la trama della muratura il spessore della muratura e influisce sul dise-
giunto di malta può essere colorato in pasta aggiungendo gno della superficie esterna della stessa
degli additivi coloranti alla malta (ossidi).
L’accurata esecuzione dei giunti di malta nelle murature a fac-
cia-vista è di grande importanza ai fini statici, estetici e di tenu-
ta all’acqua della muratura. Per quanto riguarda la tenuta
all’acqua si può migliorare la impermeabilità della malta utiliz-
zando additivi in fase di impasto quali siliconi, elastomeri, sali
stabilizzanti, idrorepellenti, asfalti; si deve però garantire una
permeabilità al vapore che consente un corretto smaltimento
del vapore acqueo proveniente dallo spazio abitato, nonché
dell’umidità di costruzione della muratura stessa, o derivata da
infiltrazioni.
Nell’esecuzione dei giunti si deve tener conto anche del risul-
tato formale che si intende raggiungere oltre che naturalmen-
te del loro allineamento e della loro regolarità (naturalmente
se i mattoni utilizzati sono volutamente molto irregolari per
ottenere un effetto di muratura rustica, anche i giunti risulte- tipi di piunti stilati e modalità di realizzazione
41
ranno irregolari). I giunti eseguiti nella realizzazione del setto
vengono poi rifiniti attraverso due tecniche: la costipazione e
la stratificazione.
La costipazione viene eseguita durante la formazione dei
corsi; la malta ancora morbida viene lisciata con un ferro
opportunamente sagomato. Questa operazione detta stilatura
soluzioni decorative di facciata ottenute con
del giunto dal punto di vista formale crea un giuoco di luce e
diversi tipi stilature dei giunti e differente alli- ombra che mette in risalto il singolo concio; più il giunto viene
neamento dei mattoni approfondito, maggiore è l’ombra e maggiormente si accentua
l’effetto percettivo materico; se invece il giunto è rasato si uni-
sce alla percettività materia un effetto geometrico di superficie
liscia, il setto viene visto con la sua grana pur nella sua unita-
rietà. Da un punto di vista della impermeabilità del setto, stila-
re il giunto significa creare tanti gocciolatoi tra un mattone e
l’altro e favorire così lo smaltimento dell’acqua dalla superficie
del setto stesso; con giunti non stilati l’acqua, se la malta è
poco impermeabile, potrebbe infiltrarsi più facilmente per
ristagno.
La stratificazione prevede l’asportazione per graffiatura della
malta di allettamento più esterna del giunto per una profondi-
tà massima di 1,5-2 cm, effettuata con un ferro a unghia
quando la malta non è ancora indurita, e il successivo riempi-
mento con malta grassa di cemento e sabbia fine (malta molto
il convento della Tourrette di Le Corbusier impermeabile); la malta di stuccatura inserita viene poi costi-
pata con ferri sagomati come nel caso precedente.
I giunti possono essere stilati con diversi tipi di ferri per otte-
nere diversi profili del giunto stesso, con chiare diversità for-
mali. La stilatura poi può essere effettuata su tutti i giunti, sia
orizzontali che verticali, per evidenziare il singolo mattone, ma
può anche essere effettuata soltanto sui giunti orizzontali
lasciando i verticali a raso, ottenendo così l’effetto di una
muratura “a righe orizzontali”.
Un problema non grave, ma sicuramente antiestetico, da evi-
tare nella realizzazione di una muratura è quello delle efflore-
scenze, quelle macche biancastre che possono apparire sulla
superficie della muratura una volta terminate le operazioni di
posa; queste possono derivare dalla presenza di elementi in
calcestruzzo, dalla presenza di sali all’interno della muratura
gli Endo Laboratories di P. Rudolph stessa provenienti dall’uno o dall’altro dei suoi componenti o
assorbiti per capillarità dal terreno; in genere il fenomeno si
esaurisce per dilavamento da parte degli agenti atmosferici.
Calcestruzzo a faccia-vista
Considerato che l’impiego tradizionalmente più importante del
calcestruzzo è quello strutturale, con preminente funzione sta-
tica, in genere per esso non vengono richiesti particolari attri-
buti dal punto di vista formale, ma la caratteristica fondamen-
tale risulta quella della resistenza meccanica.
Al calcestruzzo però possono essere richieste anche specifi-
che valenze formali; non mancano esempi nell’architettura
moderna di organismi realizzati interamente o quasi con cal-
cestruzzi a faccia-vista (dalle architetture di Le Corbusier, a
il palazzo dello sport di Roma di P.L. Nervi quelle di P. Rudolph, a quelle di P.L. Nervi); per ottenere que-
42
sto risultato oltre a realizzare il calcestruzzo a regola d’arte,
che per costituzione si presenta compatto e uniforme e quindi
di aspetto estetico già soddisfacente, occorre soltanto rispet-
tare delle regole in fase di getto e adottare delle particolari
procedure dettate dal progettista a secondo dell’effetto forma-
le voluto.
Il conglomerato cementizio indurito riproduce la forma del cas-
sero nel quale è stato gettato, quindi la cassaforma risulta
importantissima per ottenere l’effetto desiderato; in prima
istanza si possono distinguere due procedimenti per ottenere
un calcestruzzo a faccia-vista:
- i procedimenti che non richiedono interventi successivi al
disarmo, nei quali è la cassaforma stessa a determinare la
superficie del getto, liscia, sagomata o disegnata; procedimento adottato da P. Rudolph per otte-
- i procedimenti che richiedono interventi successivi al disar- nere il calcestruzzo “a coste”
mo, nei quali il risultato ottenuto con il cassero viene poi modi-
ficato con trattamenti di finitura superficiale, quali lavatura,
sabbiatura, spazzolatura, graffiatura, bocciardatura, scalpella-
tura, martellatura.
A questo punto è importante parlare delle casseforme più
adatte per ottenere dei getti da lasciare in vista, nonché degli
accorgimenti che in fase di montaggio delle stesse debbono
essere seguiti per ottenere un buon risultato finale.
Le casseforme in legno grezzo, in genere tavole di abete o
pino a superficie ruvida, vengono utilizzate frequentemente
perché poco costose; il numero dei reimpieghi possibili è però
limitato in quanto le caratteristiche delle tavole con l’uso si
alterano (progressiva impermeabilizzazione delle stesse) e
non possono essere usate tavole nuove con tavole vecchie; il
legno deve essere stagionato per evitare deformazioni, l’e-
sposizione al sole può provocare l’ingiallimento del legno con
conseguenti macchie sul getto, le tavole debbono essere
bagnate prima del getto e trattate con un disarmante per evi-
tare l’assorbimento dell’acqua di impasto del calcestruzzo, i
nodi delle tavole possono creare anch’essi variazioni di colo-
la grana superficiale del getto varia a secondo
re nel getto, causati dal diverso assorbimento. L’effetto di della percentuale e del colore dei componenti
stampa delle venature del legno sulla superficie del calce- usati
struzzo è però un risultato formale ottenibile con queste cas-
seforme e tale effetto può essere accentuato attraverso una
lavorazione della superficie delle tavole con sabbiatura o
bagno di soluzione ammoniacale che asporta la parte più
molle delle venatura lasciando dei solchi ben evidenti.
Le casseforme in legno lavorato sono di frequente realizzate
con legni duri e consentono, oltre al risultato già detto di evi-
denziare le venature, di ottenere delle superfici perfettamente
piane attraverso la piallatura delle tavole e la finitura dei bordi
delle stesse per un perfetto accoppiamento.
Le casseforme in legno possono prevedere l’uso per il manto
anziché di tavole, di compensati, sia in fogli sottili di rivesti-
mento interno per ottenere una superficie del getto liscia, sia
in fogli di grosso spessore atti a costituire da soli la cassafor-
ma, utilizzando soltanto degli elementi di rinforzo; i pannelli in il disegno delle tavole di legno si trova al
compensato possono essere trattati con resine sintetiche in negativo sul getto finito
43
modo da essere reimpiegati più volte e ottenere delle superfi-
ci di getto perfettamente lisce.
Oggi, sempre a base di legno, vengono prodotti pannelli per
manti di casseforme in impasto di trucioli e cemento, che rea-
lizzano una cassaforma persa isolante (ad esempio risolvono
il problema del ponte termico del pilastro).
Le casseforme in acciaio sono molto resistenti e possono
essere riutilizzate per lungo tempo; con esse possono essere
effettuati getti anche di grandi dimensioni e vengono utilizzate
in officina per il getto di elementi prefabbricati (in questo caso
sono del tipo basculante, cioè il getto viene effettuato in oriz-
zontale e poi viene ruotata l’intera cassaforma per il disarmo),
sopportano bene infatti le sollecitazioni dovute alla vibrazione
dei getti e con appositi accorgimenti possono essere riscalda-
te per ottenere una maturazione accelerata dei getti; la loro
manutenzione deve essere accurata in quanto possono ossi-
darsi (ruggine) e quindi macchiare il getto; debbono essere
cassaforma in materiale plastico per la realiz- trattate con disarmanti per consentire una corretta sformatura;
zazione di solette nervate in calcestruzzo
con le casseforme in acciaio si ottengono getti con superficie
liscia e omogenea, ma l’inconveniente più frequente è la for-
mazione di bolle d’aria causata dalla impermeabilità all’aria
della cassaforma.
Le casseforme in materiali plastici (termoplastici espansi: poli-
stirolo, polistirene, PVC espanso, poliuretano in schiuma; ter-
moindurenti: resine poliestere o epossidiche) consentono la
realizzazione di pezzi particolarmente complessi; si ottengono
per stampaggio su modelli e quindi la superficie interna del
cassero può risultare levigata o ruvida a secondo del tratta-
mento impresso; tutti i materiali suddetti possono essere rin-
il mancato allineamento delle tavole porta a forzati con fibre di vetro per ottenere casseforme particolar-
una non planarità nel setto
mente resistenti, al limite anche la lasciare in fase di esercizio
per ottenere particolari risultati di comfort.
Le casseforme in cartone (di elevato spessore) vengono uti-
lizzate per il loro basso costo ad esempio per ottenere pilastri
tondi o lacunari di solette nervate; la superficie che si ottiene
è perfettamente liscia.
Le casseforme in cemento o in ferro-cemento sono state intro-
dotte da P.L. Nervi per la realizzazione dei conci speciali delle
nervature del Palazzo dello Sport di Roma; sono degli ele-
menti parzialmente prefabbricati da completare con getto in
opera, quindi costituiscono rispetto ad una semplice cassafor-
ma persa un elemento con caratteristiche portanti.
Per ottenere una qualsiasi finitura superficiale tra la cassafor-
ma vera e propria e il getto possono essere interposti dei sot-
tili strati di rivestimento, che hanno anche la funzione di pro-
tezione del cassero stesso.
Per facilitare il distacco del getto dalla cassaforma si utilizza-
no prodotti disarmanti; quelli tradizionali sono oli di origine ani-
male, vegetale o minerale o emulsioni di acqua nell’olio; que-
sti prodotti debbono formare una sottile pellicola di separazio-
ne tra cassaforma e getto e vengono stesi in maniera unifor-
la sistemazione dei tiranti in fase di getto porta me sulla superficie interna del cassero con spazzole, rulli,
ad un disegno sulla superficie finita pennelli o spruzzatori, in modo da evitare concentrazioni in un
44
punto che potrebbero provocare macchie nel getto. Per evita-
re l’inconveniente delle bolle d’aria sulla superficie del getto
che si formano con casseforme impermeabili all’aria (acciaio)
è utile applicare come disarmante una emulsione di olio addi-
zionato con un tensioattivo in quantità ridotta. Il disarmante
non deve attaccare il materiale della cassaforma, ma non
deve neanche nuocere alla superficie del getto; si debbono
evitare gli oli di scarto della macchine. Esistono prodotti in
forma di pasta colorata da utilizzare sulle casseforme lisce,
che però non funzionano per getti di calcestruzzi bianchi e per
getti a faccia-vista in quanto possono dare contaminazioni
colorate sulla superficie del getto; per evitare questo è conve-
niente usare prodotti a base di cera o di paraffina per casse-
forme in acciaio o in plastica. Altro aspetto importante è la
tenuta alle alte temperature del disarmante quando questo
viene utilizzato per getti in officina che richiedono una matura-
zione accelerata dei getti con trattamento termico. Da ultimo
alcuni prodotti disarmanti hanno un leggero effetto ritardante
sulla presa, che facilita le operazioni di disarmo ed è utile spe-
cialmente quando debbono essere effettuate delle operazioni
di trattamento superficiale come la lavatura.
Altro problema da considerare nella realizzazione di un buon
getto a faccia-vista è quello della realizzazione dei giunti tra gli
elementi della cassaforma che possono dar luogo a fuoriusci-
te di cemento con conseguente formazione di ringrossi antie-
stetici, oppure di un mancato allineamento con conseguente
mancata planarità della superficie. Per ovviare al primo incon-
veniente nel caso si utilizzino casseforme in materiali imper-
meabili il giunto può essere sigillato con nastri di schiuma pla-
stica che, applicati sul bordo degli elementi di cassero, inibi-
scono la fuoriuscita del latte di cemento (boiacca); nel caso si
usino casseforme in legno le tenuta stagna del cassero si
ottiene bagnando lo stesso (le tavole bagnate rigonfiano e
sigillano il giunto), adottando tavole a maschio e femmina
(procedimento poco diffuso per il costo del materiale), usando
bande sigillanti come per l’acciaio (occorre fare attenzione
perché queste potrebbero aderire al getto anziché al cassero).
Il giunto però può essere evidenziato per una precisa scelta particolare costruttivo e vista interna del
formale (getto dei setti di T. Ando) e per ottenere ciò si deve Padiglione a Weil am Rhein (prog. T. Ando)
con setti in calcestruzzo a faccia vista
agire ancora sul cassero: per ottenere dei giunti a rilievo con
casseforme complanari occorre smussare gli spigoli delle due
tavole adiacenti (il pericolo sta nella fase di disarmo in cui il
giunto può saltare); per ottenere un giunto incassato occorre
sovrapporre nel giunto dei listelli di legno che una volta disar-
mato creano un effetto di bassorilievo sulla superficie; il giun-
to però può anche volutamente risultare imperfetto utilizzando
delle tavole del manto di spessori diversi per evidenziare la
discontinuità del getto.
L’allineamento della cassaforma e il parallelismo delle due
facce deve essere mantenuto attraverso delle legature metal-
liche, in genere inserite in guaine in materiale plastico per evi-
tare l’ossidazione a presa avvenuta; le guaine rimangono a
presa avvenuta e possono essere sigillate a raso o lasciate in
45
vista con sigillatura profonda per evidenziare le fasi di costru-
zione del setto e quindi l’applicazione del principio materico.
Oltre ai problemi che derivano dalla realizzazione della cas-
saforma, il getto di calcestruzzo, come già detto, deve essere
eseguito a regola d’arte per ottenere un materiale omogeneo
e compatto.
Per evitare la segregazione dei componenti è importante che
l’impasto risulti coesivo e per ottenere questo occorre che la
quantità di acqua sia quella strettamente necessaria per la
presa e che quindi la quantità di cemento e sabbia sia alta; per
avere una maggiore lavorabilità si può intervenire con additivi
plastificanti. La segregazione del calcestruzzo può avvenire
però anche durante il trasporto per scossoni ricevuti dalla
betoniera oppure durante le operazioni di getto, per caduta
della massa di calcestruzzo da altezza elevata, per l’urto della
stessa sulle casseforme o sulle armature o per lo scorrimento
su superfici inclinate. Il risultato della segregazione è la for-
mazione sulla superficie del calcestruzzo di vuoti o di irrego-
larità come la concentrazione in punti di malta fine o di inerti
(nidi di ghiaia).
Per eliminare invece le bolle d'aria che si formano per la per-
la segregazione del cls in fase di getto, la manenza dell'aria tra il getto e la cassaforma e che risultano
mancata vibrazione e il getto dall’alto portano particolarmente evidenti quando la cassaforma è impermeabi-
alla formazione di nidi di ghiaia le, occorre che il getto venga eseguito contemporaneamente
alla vibrazione; cosa da evitare è eseguire prima il getto com-
pleto e poi procedere alla sua vibrazione, in quanto la super-
ficie del getto si indurisce e le bolle d'aria fanno più fatica ad
uscire; gettando l'impasto vicino al vibratore in funzione le
bolle d'aria tendono a spostarsi verso la fonte della vibrazione
e ad uscire; per questo è preferibile utilizzare un vibratore ad
ago, che agisce internamente all'impasto, piuttosto che appli-
care una vibrazione direttamente sulla cassaforma (cosa che
avviene per gli elementi prefabbricati), infatti in questo modo
le bolle tendono ad accumularsi proprio verso la superficie del
trattamento superficiale con inerti in vista
getto.
Altro accorgimento da adottare per un calcestruzzo a faccia-
vista è garantire che la essiccazione del getto avvenga in
modo lento e omogeneo nella massa: una essiccazione rapi-
da produce uno schiarimento del colore, che sarebbe visibile
in superficie a chiazze.
Dopo il disarmo il calcestruzzo andrebbe coperto con un telo
di plastica per evitare che la sua superficie sia macchiata da
sostanze esterne.
Occorre anche evitare che si formino efflorescenze che for-
mano sulla superficie del calcestruzzo macchie biancastre
permanenti. Una possibile formazione di efflorescenze è
indotta da un getto effettuato con tempo freddo e umido, con
conseguente lento indurimento del calcestruzzo; l'umidità del-
l'aria o la pioggia attirano in superficie l'idrossido di calcio che
a contatto con l'anidride carbonica presente nell'aria deposita
carbonato di calcio sulla superficie.
Per proteggere le superfici di calcestruzzo a vista dalle intem-
procedimento per lasciare gli inerti in vista perie, che tendono a macchiarlo e a sporcarlo, si può trattare
46
con vernici idrorepellenti a base siliconica traspiranti. 1
Per quanto riguarda i trattamenti successivi al disarmo la lava-
tura consiste nella asportazione dello strato più superficiale
del copriferro mettendo a nudo gli inerti; si ottiene lavando con
acqua e spazzolando le superficie del getto, ma per ottenere
un risultato migliore è preferibile intervenire quando la malta è
ancora plastica e non completamente indurita (in condizioni
normali 3-6 ore dopo il getto).
La sabbiatura consiste invece nella asportazione della pellico- 2
la superficiale del copriferro attraverso un getto di sabbia a
forte pressione; questa operazione deve avvenire quando il
getto è completamente indurito, ma variando la durezza del
supporto e la pressione del getto di sabbia si possono ottene-
re risultati formali molto diversi, con superfici aggredite più o
meno in profondità; utilizzando mascherine prestabilite si pos-
sono realizzare anche disegni sulla superficie.
Le altre lavorazioni possibili sulla superficie del calcestruzzo 3
prevedono tutte l'utilizzo di attrezzi che tendono ad asportare
materiale in maniera energica; lo scopo è in genere quello di
rendere ruvida la superficie asportando lo strato superficiale di
malta e intervenendo sugli inerti grossi superficiali; si possono
ottenere vari effetti, uno dei più caratteristici è quello voluto da
P. Rudolph per il trattamento dei calcestruzzi di molte sue
architetture: il manto della cassaforma era costituito da una
lamiera grecata e una volta disarmato il getto le greche rego-
4
lari venivano martellate fino ad ottenere un effetto che da lon-
tano fa apparire il calcestruzzo come un "velluto a coste".
Intonaco
Il modo più semplice e antico per rivestire un organismo edili-
zio e contemporaneamente proteggerlo da infiltrazioni esterne
è realizzare un intonaco.
L'intonaco è costituito da uno strato sottile (1-2 cm) di malta 5
fine ottenuta impastando sabbia, pozzolana o polvere di tufo
in grani fini con un legante (cemento o calce comune), nelle
proporzioni di una parte di legante e 2,5-3 parti di inerte.
Per ottenere regolarità nella posa si eseguono delle fasce ver-
ticali, guide, distanti tra loro circa 2m e situate su uno stesso
piano verticale; tra queste poi si getta contro il muro la malta
con la cazzuola regolarizzandone lo spessore con regoli che
si appoggiano sulle guide. Su questo primo strato, rinzaffo, si trattamento superficiale con: 1, lavatura; 2,
spazzolatura; 3, sabbiatura; 4, martellatura; 5,
stende poi uno strato sottile di malta finissima, arriccio, che bocciardatura.
viene ben spianata e lisciata regolando sempre lo spessore
con il regolo; dopo qualche ora la superficie viene strofinata
con un fratazzo bagnato eseguendo un movimento rotatorio.
Per ottenere una buona adesione con la superficie muraria in
modo che con il tempo l'intonaco non si distacchi, occorre che
questa sia preventivamente inumidita per evitare l'assorbi-
mento dell'acqua di impasto della malta da parte del muro;
occorre inoltre che la muratura sua sufficientemente ruvida
(dovendo intonacare il muro si preferiranno mattoni con super-
ficie esterna scabrosa), ma ben spianata per evitare che in
alcune zone l'intonaco risulti molto spesso e in altre molto sot- procedimento per la sabbiatura
47
tile.
Gli intonaci hanno composizione differente se sono all'interno
o all'esterno dell'edificio: nel primo caso si possono usare
anche malte poco resistenti a base di gesso, mentre nel
secondo si useranno malte a base di cemento o di calce idrau-
lica essendo esposti alle intemperie. Altro accorgimento
importante da adottare in caso di intonaci esterni è quello
della permeabilità all'aria e all'acqua dell'intonaco stesso; gli
antichi realizzavano tale intonaco in tre strati che presentava-
no porosità crescente verso l'esterno, in modo da consentire
una veloce evaporazione dell'acqua piovana assorbita e da
far traspirare la muratura di supporto. Importante risulta adot-
tare su tale intonaco ben fatto delle vernici altrettanto traspi-
il museo Guggenheim di New York (prog. F.L. ranti.
Wright) costituisce esempio di applicazione
del principio geometrico utilizzando l’intonaco.
Gli intonaci, a secondo della lavorazione dello strato superfi-
ciale, si distinguono in rustici, nei quali lo strato finale è l'arric-
cio e non è lisciato, e civili, nei quali, successivamente all'ar-
riccio viene steso un ulteriore strato di finitura particolarmente
curato in modo da poter presentare, a secondo del risultato
formale che si intende ottenere, una superficie perfettamente
liscia o una superficie trattata con diverse tecniche, da effet-
tuarsi prima o dopo l'indurimento della malta.
intonaco su rete metallica a tre strati; intonaco Se si intende ottenere una finitura più grezza in cui si eviden-
in due strati su supporto in gesso; intonaco
sottile a uno strato. zia una grana all'interno dello strato di intonaco (principio geo-
metrico che a distanza ravvicinata tende al materico, perché
si vede la grana del materiale) di può realizzare: l'intonaco
spruzzato (o a gretoncini), ottenuto con una tecnica manuale
o con apparecchi rotativi che conferiscono una grana unifor-
me; l'intonaco pettinato, graffiato o striato, ottenuto con una
lama dentata da passare sulla superficie della malta prima
dell'indurimento; l'intonaco tirato o rullato, ottenuto con il fra-
tazzo, che viene trascinato o ruotato con pressione sulla pare-
te intonacata fresca. Esempio caratteristico di finitura spruz-
zata sono gli intonaci che rivestono varie architetture di L.
Moretti.
La superficie intonacata può essere anche perfettamente
graffiatura dello strato di fondo (arriccio) per
ottenere un migliore aggrappaggio dello strato liscia utilizzando gli intonaci a stucco: finto marmo, ottenuto
intermedio di intonaco (rinzaffo) con un composto di gesso, sabbia fine e acqua di colla che si
1 2 stende sulla parete già liscia, al quale sovrapporre uno strato
di polvere di gesso e di marmo diluita in acqua e colore per
formare una base omogenea sulla quale disegnare le venatu-
re; stucco lucido, consiste in un solo strato di polvere di
marmo, calce bianca e colore da disporre sulla parete già
lisciata; stucco bianco o "intonaco marmorino", consiste in uno
strato composto da polvere di marmo (3 parti) e calce crivel-
3 4 lata (1 parte), spianato con il feltro e lucidato con un ferro
caldo (45°). Con i trattamenti di lucidatura si ottengono super-
fici a specchio che esaltano la geometria dell’organismo.
Oltre alle finiture ad intonaco per esaltare il principio geome-
trico possono essere utilizzati rivestimenti in vari materiali, dal
marmo del periodo razionalista, ai metalli dell’architettura con-
esempi di finitura di un intonaco: 1,con frataz-
zo rivestito in spugna; 2, con fratazzo; 3, a temporanea, che possono essere montati in aderenza o su
spruzzo; 4, scabra. parete ventilata.
48
Bibliografia ragionata
49
TESTI GENERALI
E. Mandolesi – Edilizia 1 – Ed. UTET – Torino 1978
E. Allen – Fondamenti del costruire – Ed. McGraw-Hill – Milano 1997
A.Mutti, D.Provenzani – Tecniche costruttive per l’architettura – Ed. Kappa – Roma 1989
Voce “Prefabbricazione “– 5° appendice Enciclopedia Treccani – Istituto Enciclopedia Italiana –
Roma1992
SCHELETRO PORTANTE IN CALCESTRUZZO
R. Lione – Note informative sul calcestruzzo e sul cemento armato– Ed. Marsili– Orvieto1996
Voce “cemento armato” – Grande dizionario enciclopedico – UTET – Torino 1988
Voce “fondazioni”– Grande dizionario enciclopedico – UTET – Torino 1988
G. Carrara – Le casseforme – Quaderno 3 Istituto di architettura e urbanistica – Roma
AITEC– opuscoli didattici
AA.VV.– Atlante del cemento – UTET – Torino 1998
SCHELETRO PORTANTE IN ACCIAIO
Voce “costruzioni in acciaio” – Grande dizionario enciclopedico – UTET– Torino 1988
AA.VV.– Atlante dell’acciaio – UTET – Torino 1999
E. Mandolesi, R. Lione – Edilizia per il terziario: il grattacielo – Ed. Futura – L’Aquila 1993
SCHELETRO PORTANTE IN LEGNO
K.H.Gotz– Construire en bois – Ed. Moniteur – Paris 1983
AA.VV.– Atlante del legno – UTET– Torino 1998
Voce “legno” – Grande dizionario enciclopedico – UTET – Torino 1988
A. Frattari – Evoluzione delle costruzioni in legno per la residenza – Ed. Esa.– Roma 1984
PROCEDIMENTO A SETTI
Voce “setti, procedimento a” – Grande dizionario enciclopedico – UTET – Torino 1988
A. Acocella – Architettura dei luoghi – ed. Laterconsult – Roma 1992
A. Acocella – Architettura del mattone a faccia vista – Ed. Laterconsult – Roma 1989
N. Tubi – La realizzazione delle murature in laterizio– Ed. Laterconsult – Roma 1993
C. Latina – Muratura portante in laterizio – Ed. Laterconsult– Roma 1994
K.H.Gotz– Construire en bois – Ed. Moniteur – Paris 1983
AA.VV.– Atlante della muratura – Ed. UTET– Torino 1998
AA.VV.– Atlante della pietra – Ed. UTET– Torino 2004
CHIUSURE ORIZZONTALI
Voce “tetto” – Grande dizionario enciclopedico – UTET – Torino 1988
Voce “copertura, manto di” – Grande dizionario enciclopedico – UTET– Torino 1988
E. Mandolesi – Edilizia 3 – UTET – Torino 1991
E. Mandolesi – Edilizia 4 – UTET – Torino 1991
AA.VV.– Atlante dei tetti – UTET– Torino 1998
AA.VV.– Atlante delle terrazze – UTET– Torino 1998
CHIUSURE VERTICALI PORTATE
R. Lione – Le chiusure verticali portate – Ed. Colorsprint – Roma 1988
AA.VV. – Atlante del vetro – UTET – Torino 1999
E. Pizzi – Le chiusure verticali con blocchi– Ed. BEMA– Milano 1990
S. Cascone – Finestre e pareti vetrate – Ed. NIS – Roma 1996
PARTIZIONI INTERNE
E. Mandolesi – Edilizia 2 – UTET – Torino 1985
ELEMENTI DI COMUNICAZIONE VERTICALE
G. Tardella – Scale:analisi di un elemento di fabbrica – Università degli studi di Ancona
M. Pugnaletto – La realizzazione della scala fissa – Ed. Esagrafica – Roma 2000
M. Pugnaletto – La scala: prefabbricazione e industrializzazione – Ed. Futura – L’Aquila 1994
G. Aloi – Scale – Ed. Hoepli– Milano 1973
L. Consonni – Scale. Elementi progettuali e costruttivi – Ed. Hoepli – Milano 1990
A. Frattari – Elementi di comunicazione verticale meccanizzati – Ed. Leberit – Roma 1984
51