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17/10/22, 22:29 L’analisi strutturale delle costruzioni in muratura

L’analisi strutturale delle costruzioni in muratura

Pietro Lenza

1. Premessa.
Chi affronti l’analisi strutturale di una costruzione in muratura deve
confrontarsi con una problematica profondamente diversa rispetto
all’analisi di costruzioni realizzate con le tecniche costruttive
contemporanee più comuni quali il c.a. e l’acciaio.
Innanzitutto per le costruzioni in muratura si tratta quasi sempre di
analizzare edifici esistenti mentre per le altre prevale in genere il
progetto e quindi l’analisi di nuove costruzioni. Non è però questo l’aspetto,
certamente importante, che si vuole qui discutere quanto piuttosto quello
inerente la modellazione e le procedure di analisi per la valutazione della
capacità della struttura, con particolare riferimento al problema sismico.
Nel caso, ad esempio, di un edificio intelaiato in c.a., tema sicuramente
prevalente nell’attività professionale, non si nutrono incertezze nella
scelta del modello strutturale di riferimento. Il telaio, inteso come insieme
di aste, corrisponde bene anche geometricamente alla realtà strutturale.
La monoliticità dei nodi, la netta prevalenza della deformazione flessionale
rispetto a quella estensionale e (salvo qualche eccezione) tagliante sono
aspetti pacificamente recepiti. Si assumono con fiducia i vincoli dei ritti di
base del telaio, generalmente incastri, essendo il sistema fondale per
motivi geotecnici più massivo e quindi nettamente più rigido della struttura
in elevazione. L’impalcato, generalmente assimilabile ad un diaframma
rigido e resistente nel piano orizzontale, costituisce quel vincolo interno
che lega i singoli telai piani in un sistema spaziale (c.d. telaio spaziale).
Adoperiamo con fiducia un’analisi elastica lineare in presenza di un
materiale strutturale che assicura un comportamento bilaterale.
Ove si voglia affrontare un’analisi non lineare la plasticizzazione limitata
ad alcuni tratti (generalmente di estremità) delle aste consente, con buona
approssimazione, di ricorrere a modelli a plasticità concentrata utilizzando
le c.d. cerniere plastiche.
Si opera cioè in un quadro di ragionevole certezza e fiducia negli strumenti
di analisi e, nel caso inevitabile di ricorso a strumenti di software
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commerciale, non è difficile il controllo, sempre necessario, dei risultati


numerici.
Nel caso delle costruzioni in muratura il contesto è profondamente diverso
ed è caratterizzato da grande incertezza sia nella scelta dei modelli che
nelle procedure di analisi.
Il materiale muratura ha un comportamento unilaterale, presentando una
trascurabile resistenza a trazione e questo renderebbe inapplicabile
un’analisi elastica lineare. Tuttavia ove si consideri l’effetto della
“precompressione naturale” dovuta ai carichi gravitazionali (con netta
prevalenza del peso proprio) la “richiesta” di trazione derivante dagli
effetti flessionali si traduce in realtà in una decompressione di una parte
della sezione. Nei limiti quindi di questa decompressione l’analisi elastica
lineare conserva una sua problematica validità.
Ancora più problematica appare l’analisi non lineare correlata alla non
linearità del materiale. Abbiamo infatti necessità di interpretare fenomeni
diversi:
- La rottura fragile a trazione delle sezioni pressoinflesse (quando si
esaurisce l’effetto della compressione gravitazionale), che determina una
parzializzazione della sezione e quindi una riduzione della sezione
resistente.
- La rottura fragile per taglio/trazione di elementi setti che quando non
determina il collasso del sistema produce comunque una repentina
ridistribuzione delle sollecitazioni.
- La plasticizzazione per compressione delle sezioni pressoinflesse per le
quali la modellazione a plasticità concentrata (cioè con cerniere
plastiche) appare problematica per la geometria degli elementi
difficilmente assimilabili ad aste snelle; a tale approccio risulta tuttavia
difficile rinunciare per mancanza di alternative che siano abbastanza
semplici per essere proposte nelle applicazioni professionali.
L’analisi plastica, intendendo con questo termine la tradizionale analisi
limite finalizzata alla determinazione del carico che determina un possibile
meccanismo, decisamente trascurata per le costruzioni contemporanee in
c.a. ed in acciaio, diviene in questo settore strumento di grande
importanza. Appare evidente tuttavia come, nel caso di organismi complessi
non riconducibili al classico caso dell’equilibrio al ribaltamento del blocco
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singolo, occorra prevedere tutti i possibili meccanismi correlati alle


possibili disarticolazioni del sistema. Ed inoltre, nel caso di analisi sismica,
la natura rigido labile del modello non consente di valutare l’entità delle
azioni orizzontali legate al sisma probabilisticamente atteso in un
determinato sito né la loro distribuzione. Infatti coerentemente con la
natura rigido-labile del modello dovremmo considerare ordinate spettrali
corrispondenti a periodi nulli (nella fase iniziale) ed infiniti nella fase
cinematica, con conseguenze drammatiche sull’affidabilità del calcolo
perché si rischierebbe di non tener conto della possibile amplificazione
dell’accelerazione trasmessa dal suolo.
Per quanto riguarda l’estensione del modello (locale o globale?) si evidenzia
ancora una forte differenza rispetto alle strutture contemporanee. Le
costruzioni in muratura presentano spesso comportamenti di parti limitate
della struttura indipendenti gli uni dagli altri. Questo lascerebbe
intravedere una maggiore facilità di analisi di organismi strutturali
complessi se tuttavia fosse evidente quali siano effettivamente queste
parti. Non mancano inoltre situazioni nelle quali prevale l’esigenza di
un’analisi globale della costruzione ed infine entrambi gli approcci
potrebbero rivelarsi necessari specie se si fa riferimento prima alla
configurazione originaria e successivamente a quella modificata dagli
interventi di miglioramento.
Il quadro è pertanto complesso ed in una certa misura scoraggiante;
appare evidente come nessuna modellazione o analisi appaia affidabile e
soddisfacente anche se ciascuna di esse potrà fornirci informazioni utili.
Una sfida quindi alla capacità del progettista strutturale che comunque non
potrà sottrarsi ad una precisa assunzione di responsabilità.
Il problema nasce essenzialmente dal voler utilizzare strumenti di analisi
“pensati” per le tecniche costruttive contemporanee nelle costruzioni
storiche in muratura, magari forzandone l’impiego (quasi tirandoceli per i
capelli!) per mancanza di alternative. Ciò dipende dal fatto che la Scienza e
la Tecnica delle Costruzioni si sono dedicate nel secolo scorso quasi
esclusivamente ai nuovi materiali trascurando la murature; solo negli ultimi
decenni si è cercato di recuperare (i terremoti hanno risvegliato le
coscienze e le conoscenze) determinando il quadro culturale attuale.

2. Modelli strutturali e procedure di analisi.


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Esaminiamo con maggiore dettaglio gli strumenti disponibili.


Possiamo individuare due livelli di scelta:
A.    Modello strutturale
B.     Procedura di analisi.
Certamente i due suddetti livelli non sono variabili del tutto indipendenti
tra loro; tuttavia conviene per ora elencarne separatamente le possibili
alternative.
Modelli strutturali:
a) Continuo bidimensionale (modellazione di volte e cupole in regime
membranale o flessionale ovvero di pareti intese come lastre).
b) Continuo bidimensionale (o tridimensionale) discretizzato (modellazione
agli elementi finiti con la sua estesa gamma di varianti)
c) “Telaio” inteso come insieme di aste a rigidezza flesso/tagliante
(modellazione di pareti con aperture frequenti e regolari)
d) Sistema di blocchi rigidi (modellazione di costruzioni murarie massicce)
e) Travi ed archi (modellazione di singoli elementi strutturali piani).
Le modellazioni di cui ai punti b e c possono riferirsi all’intera costruzione,
ove se ne ipotizzi un comportamento globale, ovvero ad una sua partizione
in sub sistemi ove se ne ipotizzi una sostanziale indipendenza di
comportamento.
Procedure di analisi:
1) Lineare (elastica statica con azioni predefinite o elastica dinamica con
azioni derivanti dalla sovrapposizione pesata delle diverse forme modali
a loro volta da determinare con un’analisi agli autovalori, sempre in
campo elastico lineare). Si assume per il materiale un legame costitutivo
lineare elastico.
2) Non lineare elastica limitatamente alle non linearità geometriche.
Legame costitutivo del materiale ancora lineare elastico.
3) Non lineare plastica estesa alla non linearità meccanica. Modello
costitutivo del materiale elastico-plastico in compressione. La
plasticizzazione viene considerata limitatamente ad alcuni tratti delle
“aste” mediante le c.d. cerniere plastiche (plasticità concentrata) ovvero
diffusa mediante modellazione a fibra.
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4) Analisi limite incrementale considerando il materiale indeformabile e


resistente, tenendo conto eventualmente solo di non linearità
geometriche.
5) Analisi limite incrementale plastica ove lo spessore dei blocchi si
considera ridotto per tener conto della possibile plasticizzazione.
Nel caso di azioni variabili nel tempo (come per l’input sismico da
accelerogramma del suolo) le analisi di cui ai primi tre punti possono essere
adottate con procedimenti al passo risolvendo nei vari istanti le equazioni
di equilibrio dinamico.

3. Il Percorso dello strutturista.


Nell’ipotesi, sicuramente prevalente, di un edificio esistente il percorso
inizia con la conoscenza dell’edificio. In questa panoramica non si
approfondisce questo aspetto ma non si può non richiamare l’attenzione sul
rilievo geometrico e materico della fabbrica, la lettura degli schemi
strutturali (con particolare attenzione agli elementi spingenti) la
determinazione delle caratteristiche meccaniche del materiale. Questa
complessa ed importante attività conduce alla determinazione dei c.d.
Fattori di Confidenza che trovano applicazione numerica nelle procedure di
analisi. Nel caso di edifici di interesse storico artistico la predetta attività
di conoscenza va integrata con l’analisi storica della fabbrica per
riconoscere aspetti particolarmente meritevoli di conservazione. In
definitiva l’attività va inquadrata nella complessa disciplina del Restauro
Architettonico.
Dopo aver ricordato, senza approfondimenti, questa importante fase
seguiamo il successivo percorso dello strutturista. Lo attende un’attività
complessa e difficile.
In via preliminare si suggerisce di inquadrare la fabbrica in esame in una
delle due seguenti categorie:
- Edifici speciali : caratterizzati da ampi vani con coperture voltate o a
capriate lignee, destinati a funzioni di culto (Chiese o Conventi) o di
rappresentanza civile (Regge o palazzi civici).
- Edifici normali: caratterizzati da una struttura cellulare multipiano con
vani di modeste dimensioni ed impalcati orizzontali, adibiti alla normale
funzione abitativa.
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4. Edifici speciali.
Modellazione ed analisi globale.
Per una modellazione globale occorre ricorrere al metodo degli elementi
finiti, utilizzando prevalentemente elementi bidimensionali tipo
lastra/piastra. La laboriosità dell’input (anche se sono praticabili passaggi
automatici da più accessibili modelli CAD) suggerisce di acquisire un
modello il più possibile flessibile ad interpretare le possibili varianti
strutturali connesse ad incertezze interpretative o ad interventi da
progettare.

   

Fig. 1. Modellazione agli elementi finiti di un edificio speciale: Castello di


Castelvolturno (CE)
In quest’ottica si consiglia ad esempio di modellare le pareti separate tra
loro nelle croci di muro provvedendo con vincoli interni (costraints) a
ripristinarne eventualmente la continuità in funzione dell’affidabilità delle
suddette croci o degli interventi di consolidamento. Le frequenti
eccentricità di forma dei diversi ordini murari costituisce un altro aspetto
di rilievo per la modellazione. L’eccentricità degli assi può essere sostituita
da momenti di trasporto dei carichi gravitazionali superiori ovvero
modellata mediante bracci rigidi che determinano un profilo a scalini dei
paramenti. Si sconsiglia di adoperare per i suddetti bracci elementi di
elevatissima rigidezza, che potrebbero determinare problemi di instabilità
numerica nei calcoli bensì di adoperare vincoli interni che assicurino il
comportamento rigido del “braccio” diminuendo anche i gradi di libertà del
sistema.
La copertura delle ampie aule deputate alle funzioni sociali sono realizzate
o con strutture murarie curve (volte a crociera, a botte unghiate etc.)
dotate o meno di catene o con capriate lignee spesso mascherate da
cassettonati lignei. La modellazione strutturale deve tener conto del
possibile effetto di incatenamento fornito da questi elementi ove siano
ancorati alle pareti murarie. Anche in questo caso sembra consigliabile
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affidare ad eventuali vincoli interni (facilmente rimovibili dal modello)


questo eventuale ancoraggio. Così pure per le catene c.d. lente (prive di
pretensione) occorrerebbe tener conto della loro non immediata efficacia
a trazione e della loro completa incapacità in compressione. L’impiego di
elementi a resistenza unilaterale, spesso presenti nel software, trovano
applicazione solo in analisi non lineari. Si consiglia quindi in questa fase sia
di considerare che di trascurare la loro presenza.
 Per gli impalcati degli ambienti di piccola dimensione si rinvia alla
trattazione degli edifici normali svolta più avanti.
L’analisi agli autovalori fornisce prime utili informazioni. I modi di vibrare
individuano il possibile comportamento globale o, più verosimilmente, il
comportamento dei sottosistemi, ciascuno con la sua massa partecipante
ed il relativo periodo principale. I sottosistemi così individuati potranno
essere oggetto di modellazioni ed analisi locali separate.

Fig. 2. Il primo modo di vibrare vede la partecipazione di una sola parete


che oscilla fuori dal proprio piano.
Ove si voglia utilizzare la modellazione globale per analisi tensionali
occorre tener conto di quanto segue.
Per quanto attiene la condizione non sismica, correlata praticamente ai soli
carichi gravitazionali, occorre fare attenzione agli elementi spingenti. La
modellazione con elementi lastra/piastra per le superfici curve o con
elementi ”trave” per gli archi conduce sicuramente ad una sottostima delle
spinte. Per una più realistica e conservativa valutazione delle spinte
occorrerebbe infatti modellare le superfici e gli elementi curvi con
elementi non flessionali (lastre per le superfici e pendoli per gli elementi
monodimensionali). In questo caso però si andrebbe incontro a problemi di
labilità sia per le superfici (tranne in qualche caso quelle a doppia
curvatura) che per gli archi. E’ consigliabile quindi eliminare nel modello

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volte ed archi e riportare sul contorno di essi sia i carichi verticali che le
spinte anche se solo speditivamente determinate (si utilizzi ad esempio lo
schema di arco a tre cerniere per gli archi e le volte cilindriche).
Per quanto attiene le condizioni sismiche si può utilizzare un’analisi
dinamica (sovrapposizione modale) facendo attenzione a coinvolgere un’alta
percentuale della massa del sistema. Questo significa spesso tener conto
di diverse centinaia di modi di vibrare alcuni dei quali significativi solo per
singoli sottosistemi. Il calcolo è sicuramente laborioso e concettualmente
irrazionale ma le prestazioni degli attuali personal computer consentono di
superare queste obiezioni.
Le verifiche tensionali devono tener conto delle seguenti considerazioni.
L’output di un’analisi agli elementi finiti restituisce valori puntuali delle
sollecitazioni con diffusi valori anche di trazione. Si suggerisce pertanto di
individuare le sezioni significative degli elementi strutturali e di
determinare, come risultanti delle sollecitazioni puntuali, le
caratteristiche di sollecitazione (momenti, tagli e sforzo assiale). Con
queste risultanti si effettueranno le verifiche delle sezioni utilizzando le
formulazioni fornite dalla normativa che si fondano sulla verifica di sezioni
di materiale non resistente a trazione. Può sembrare che non vengano presi
in considerazione formazione di meccanismi correlati al ribaltamento di
elementi murari. In realtà la crisi tensionale, ove si consideri il materiale
non indefinitamente resistente a compressione, precede sempre la perdita
di equilibrio per ribaltamento sicchè questa verifica rimane inglobata in
quella tensionale. Anche la crisi per scorrimento dei blocchi può essere
utilmente surrogata dalla verifica tensionale a taglio e sforzo normale.
Si opera comunque con l’ evidente contraddizione di utilizzare una
discretizzazione del continuo con elementi di materiale resistente a
trazione e di verificarne le macrosezioni tenendo conto più correttamente
del carattere unilaterale del materiale
Ci stiamo muovendo per ora nell’ambito di un’analisi elastica lineare con
tutte le riserve del caso. Al momento l’uso di codici di calcolo non lineare
agli elementi finiti sembra proponibile per l’impego nella ricerca scientifica
più che nella prassi professionale.
Modellazioni ed analisi locali.

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Alcune criticità sembrano potersi superare nell’esame delle analisi locali


riferite cioè a quei sottosistemi che possono avere un comportamento
indipendente dal resto dal complesso della fabbrica.
Abbiamo già evidenziato come l’analisi globale lineare elastica può essere
utile per individuare i submodelli e fornirne la massa partecipante ed il
periodo principale tuttavia essi possono essere anche individuati sulla base
dell’evidenza e dell’esperienza. Tipico esempio di submodello è la sezione
strutturale dell’aula della fabbrica, la c.d. sezione maestra che è costituita
da due o più sistemi verticali collegati da strutture curve o catene (lignee
o metalliche). Ancora da considerare le pareti del fronte o della zona
absidale e comunque possibili comportamenti di pareti o porzioni di esse
fuori dal loro piano.

 Fig. 3. Alcune sezioni maestre di edifici di culto


Il sub sistema, comunque individuato, si caratterizza per elementi
relativamente snelli che consentono di proporre una modellazione ad aste-
travi, riportando su di essi le spinte e gli scarichi degli archi e tenendo
conto delle eccentricità d’assi, come già discusso in precedenza. Si tratta
di sistemi isostatici o debolmente iperstatici a causa del possibile
collegamento in testa dei piedritti.
L’analisi elastica lineare può fornirci i periodi fondamentali ed il profilo
delle azioni sismiche da combinare nell’analisi dinamica modale;
sommandone le sollecitazioni con quelle da carico gravitazionale si
effettuano le verifiche delle sezioni considerando la resistenza unilaterale
del materiale, sia pure con le incongruità logiche già commentate in
precedenza.
E’ però proponibile anche un approccio meccanicamente e geometricamente
non lineare mediante l’analisi statica non lineare. Con la modellazione ad

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aste è possibile definire le potenziali cerniere plastiche di estremità


tenendo conto dello sforzo assiale presente. La condizione da carico
verticale, sia per le eccentricità di forma che per le spinte di archi e volte,
determina anche in sistemi di piedritti simmetrici diversi livelli di
plasticizzazione nei confronti di azioni sismiche orizzontali. In definitiva è
possibile determinare la sollecitazione correlata ad una assegnata PGA ed
un assegnato spettro ovvero la massima PGA sostenibile o capacità sismica
della struttura. Spesso la condizione limite è individuata non dallo stato
tensionale ma dall’entità degli spostamenti assoluti o relativi tra i piedritti.
Si pensi ad esempio ad uno spostamento relativo che determini la perdita
di appoggio di capriate lignee o la rottura in chiave di volti a botte.

  
Fig. 4. Spostamento relativo dei piedritti e conseguente cimento della
chiave di volta dell’arco.
Si sottolinea comunque che l’analisi lineare agli autovalori deve
necessariamente precedere quella non lineare per determinare il periodo
fondamentale e quindi il profilo delle azioni orizzontali da applicare con
successivi incrementi monotoni al sistema, tenendo eventualmente conto
del c.d. effetto P-Delta e cioè dell’eccentricità dei carichi verticali a
seguito degli spostamenti orizzontali del sistema. La semplicità dei sistemi
in esame e la loro modellazione semplificata ad aste consente anche
l’impiego dell’analisi dinamica non lineare generalmente poco applicata
nell’attività professionale.
Nel caso di sistemi ancora più semplici come pareti o porzioni di pareti
cimentate fuori dal proprio piano l’analisi proposta trova immediata
applicazione.
Modellazione a blocchi ed analisi limite.

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La modellazione a blocchi apre la strada alle applicazione dell’analisi limite.


Si tratta di una modellazione che supera la semplificazione di considerare
gli elementi privi di spessore (modellazione a filo di ferro); il ribaltamento
di un blocco rispetto a quello inferiore avviene intorno ad uno spigolo (in
assenza di plasticizzazione) e produce quindi anche un sollevamento delle
masse ponderali superiori completamente ignorato nelle analisi elastiche
esaminate in precedenza.
L’applicazione del principio dei Lavori Virtuali al sistema di blocchi
consente di determinare il moltiplicatore dei carichi verticali che produce
un meccanismo di ribaltamento o scorrimento (tra quelli possibili).
La Circolare esplicativa delle NTC08 richiama l’espressione C8A.4.1. che
fornisce il moltiplicatore dei carichi orizzontali come percentuale di quelli
verticali.
E’ evidente che il suddetto moltiplicatore può intendersi come
l’accelerazione spettrale “sentita” dal sistema, eguale per tutte le masse
ponderali nonostante la loro articolazione in verticale. Il limite di questa
analisi è quindi quello di considerare un’accelerazione costante in verticale
e la difficoltà a tradurla in un’accelerazione del suolo attraverso uno
spettro. A rigor di logica essendo il sistema rigido labile (T=0)
l’accelerazione spettrale coincide con la PGA ma è evidente che questa
conclusione logica non possa essere sempre accolta in quanto non
conservativa.
La normativa quindi cerca di superare queste difficoltà proponendo una
procedura applicativa che però fa perdere all’analisi il rigore logico e, direi,
l’eleganza del metodo. Ci riferiamo alle regole applicative della c.d. analisi
cinematica (nella versione lineare e non lineare).

Fig. 5. Analisi cinematica di alcune sezioni di un edificio di culto.

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Si considera innanzitutto la forma del meccanismo come una forma modale


il che consente di determinare una massa partecipante (C8A.4.3) che
rapportata al tagliante può restituirci l’accelerazione spettrale
dell’oscillatore semplice equivalente, infilandoci con l’occasione
prudenzialmente anche il c.d. Fattore di confidenza FC (C8A.4.4).
Le espressioni (C8A.4.9 e 4.10), con riferimento allo stato limite di
salvaguardia della vita restituiscono infine la PGA tenendo conto della
deformabilità del sistema che eventualmente si interponga tra quello in
esame ed il suolo (C8A.4.10) e del fatto che anche dopo il raggiungimento
del meccanismo il sistema conserva una ulteriore capacità di escursione in
termini di spostamenti, definibile come una “duttilità cinematica”. Per
questo aspetto specifico si introduce nelle suddette formulazioni un
“nebuloso” coefficiente di struttura q.
La versione non lineare dell’analisi cinematica cerca di tener conto come
nell’escursione degli spostamenti orizzontali si determinino pericolose non
linearità geometriche. Per effettuare il confronto tra lo spostamento
ultimo disponibile e quello richiesto dal sisma occorre tracciare una curva
di capacità (riferita all’oscillatore semplice equivalente). La modellazione
rigido-labile del sistema restituirebbe a rigore una curva costituita da un
ramo rigido (verticale) ed un ramo labile decrescente linearmente fino
all’annullarsi della capacità. Si valuta quindi come spostamento ultimo il
40% di quello corrispondente ad ordinata nulla. Si corregge inoltre il ramo
rigido con una retta inclinata e raccordata al 40% dello spostamento
massimo prima precisato (quindi il 16% di quello ad ordinata nulla). Abbiamo
quindi assegnato al sistema rigido una deformabilità convenzionale che ci
consente di definire il periodo T* dell’oscillatore equivalente e di
conseguenza, attraverso un assegnato spettro, la richiesta di spostamento.
Le verifiche vengono sintetizzate nelle espressioni C8A.4.11 e 4.12.
E’ tipico della cultura dell’Ingegnere rinunciare al rigore della modellazione
per cercare di tener conto, sia pure in maniera approssimata, della
complessità del fenomeno. In questo caso però i compromessi da accettare
sono tanti e la convenzionalità di taluni parametri determinano nell’utente
una giustificata diffidenza.
Rimane il pregio di tener conto del sollevamento dei blocchi per la
posizione eccentrica dei centri di rotazione (spigoli dei blocchi) rispetto

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agli assi. Tuttavia in alcuni casi questo sollevamento potrebbe essere


impedito o fortemente contrastato sicché la modellazione a “filo di ferro”
potrebbe risultare più attendibile, come vedremo esaminando più avanti un
caso ricorrente negli edifici.

5. Edifici Normali.
Si farà riferimento ad una nota classificazione tipologica qui brevemente
richiamata:
- 1° classe, integralmente in muratura con impalcati voltati;
- 2° classe , con pareti verticali in muratura ed impalcati piani costituiti da
solai con travi in legno o ferro, che non interrompono la continuità delle
murature verticali
- 3° classe, con pareti verticali in muratura e solai laterocementizi (o ad
essi assimilabili) che interrompono la continuità delle pareti
interponendovi cordoli armati; i vani sono sovrastati da piattabande in
c.a..
L’edificio si può considerare come un insieme (o sistema) di pareti verticali
collegate dagli impalcati con efficacia meccanica diversa nelle tre classi.
Solo nella terza l’impalcato può considerarsi (a meno di difetti e/o carenze
nella realizzazione) come un affidabile diaframma rigido come nei moderni
edifici intelaiati in c.a. Nelle altre due si possono prendere in
considerazione nel piano orizzontale modelli ad arco ovvero a puntoni che
possono conferire all’impalcato una capacità distributiva delle azioni
orizzontali complessive tra le varie pareti ma questo solo in presenza di
catene lungo le fasce murarie delle pareti o, in mancanza di esse, nei limiti
della loro debole resistenza a trazione.

Fig. 6. Modelli di impalcati non assimilabili a diaframmi tensoresistenti

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Modellazioni ed analisi proponibili.


Per gli edifici della terza classe.
Condizione di carico non sismica.
Si possono considerare schemi a telaio costituiti da fasce di pareti
verticali (ritti) sui quali scaricano i solai e le fasce di solaio (traversi). Il
telaio può considerarsi a piani fissi perché gli spostamenti orizzontali sono
contrastati dalle pareti trasversali rigide nel proprio piano. Generalmente
è sufficiente un’analisi elastica lineare anche se in letteratura sono state
proposte analisi che tengano conto (con procedimento iterativo) della
parzializzazione dei ritti murari per la loro non resistenza a trazione.

 Fig. 7. Il telaio piano può essere semplificativamente considerato una


trave continua o disarticolata agli appoggi di piano
Si tratta di studi risalenti all’epoca pre-personal computer che forniscono,
attesa la laboriosità del calcolo all’epoca manuale, anche tabelle per
determinare la diminuita rigidezza flessionale dei ritti.
Condizione di carico sismica.
Prevale il modello globale dell’intero edificio inteso come un telaio spaziale
costituito da pareti piane collegate da impalcato rigido e resistente. La
criticità nella modellazione si concentra sulle pareti. Queste vengono
prevalentemente concepite come telai equivalenti costituiti dai maschi
(ritti) e da fasce di piano (traversi) entrambi con tratti rigidi di estremità
(nella zona di sovrapposizione delle fasce con i maschi) e considerando
sempre anche la deformabilità a taglio.

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Fig. 8. Modellazione a telaio equivalente di pareti con aperture regolari e
non.
Notevoli incertezze affliggono la modellazione delle fasce che solo in
presenza di cordoli e piattabande in c.a. assumono affidabile rigidezza
flessionale (per la mancanza di significativo sforzo assiale) che si consiglia
comunque di valutare orientativamente al 50% di quella corrispondente
all’assetto geometrico. E’ evidente che lo schema spaziale complessivo
prevede nelle cantonali e nelle croci di muro un doppio ritto appartenenti
ciascuno ad una parete in una direzione (figura)

Fig. 9. Modellazione spaziale di un edificio con pareti/telaio


In alternativa la parete può essere modellata agli elementi finiti con
elementi lastra di mesh adeguatamente accurata e con elementi
monodimensionali per i cordoli. Esistono in letteratura comparazioni tra i

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due modelli che conducono a risultati prossimi tra loro al punto da far
preferire il meno laborioso modello di telaio equivalente.
Con questi modelli è possibile effettuare un’analisi elastica lineare (e quindi
anche dinamica modale) verificando, con l’incongruenza già evidenziata, sia
i maschi che le fasce con formulazioni attinenti le sezioni non resistenti a
trazione.
Consideriamo ora i possibili sviluppi non lineari, distinguendo gli effetti
della parzializzazione delle sezioni (per la non resistenza a trazione) e
della plasticizzazione (per la non illimitata resistenza a compressione).
Per quanto attiene i primi troviamo in letteratura procedure approssimate
o iterative applicabili alla modellazione a telaio. Per le modellazioni agli
elementi finiti non mancano programmi di calcolo, impiegati per lo più nel
campo della ricerca scientifica, che richiedono particolare padronanza
nell’uso e nella corretta interpretazione dei risultati.
Per quanto attiene le non linearità per plasticizzazione il modello a telaio
equivalente consente sviluppi non lineari facilmente accessibili utilizzando
un approccio a plasticità concentrata (cerniere plastiche a momento e
taglio) mentre per le modellazioni agli elementi finiti valgono le
considerazioni fatte precedentemente.
Aggiungiamo qualche considerazione ulteriore sull’utilizzo delle cerniere
plastiche in questo sofferto modello di telaio equivalente per sottolinearne
alcune specificità.
Un aspetto positivo deriva dal poter modellare le cerniere
pressoflessionali nei ritti considerando praticamente costante lo sforzo
assiale (l’accoppiamento delle fasce è in genere modesto).
Un’altra specificità è correlata alle cerniere “a taglio”. Nei telai in c.a. la
rottura fragile a taglio nei ritti viene considerata una condizione ultima
mentre per i ns telai in muratura è possibile proseguire l’analisi confidando
in una ridistribuzione del taglio tra i rimanenti ritti. Occorre quindi
modellare le cerniere a taglio in maniera che sia consentito, dopo la
rottura, un escursione dello scorrimento con sollecitazione praticamente
nulla. La ridistribuzione restituisce una curva di pushover che presenta un
ramo discendente (softening) dopo il massimo (è ammissibile una riduzione
del 20%). Si sottolinea che in questo caso il tratto discendente della curva

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non costituisce un ramo instabile (che sarebbe molto difficile seguire


numericamente) ma un tratto ancora stabile ma discendente “a gradini” per
la rottura di qualche ritto quindi per successive modifiche dell’assetto
resistente del sistema.
La modellazione a blocchi e la conseguente analisi limite (c.d. cinematica
lineare e non lineare) trova minore interesse applicativo in questa tipologia.
Per applicarla alla singola parete piana (non appare praticabile infatti
l’esame di un sistema tridimensionale) si richiede l’analisi di tutti i possibili
meccanismi e si confermano tutte le criticità già evidenziate trattando gli
edifici speciali.

Fig. 10. Modellazione di una parete a blocchi e possibili meccanismi (da uno
studio di M. Como del 1983)
Fenomeni locali
Nella tipologia della terza classe forse l’unico modello locale è quello della
parete di un generico ordine di piano, vincolata superiormente ed
inferiormente agli impalcati e sollecitata fuori dal proprio piano. In questo
caso sia la modellazione a blocchi con conseguenziale analisi limite che
quella a trave con analisi elastica sono proponibili.

Fig. 11. Analisi limite vs analisi elastica del modello locale di parete tra due
impalcati.

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Nonostante la semplicità dello schema non mancano motivi di attenzione se


si pretende (con ragione) di ottenere risultati numericamente simili con le
due analisi.
Innanzitutto per confrontare il modello a blocchi con quello a filo di ferro
della trave occorre considerare uno schema di trave ad asse spezzato.
Inoltre il sollevamento del blocco superiore dovrebbe comportare la
migrazione dello sforzo N verso lo spigolo esterno. Infine il sollevamento
potrebbe essere impedito o fortemente contrastato dalla parte superiore
dell’edificio (si pensi agli ordini di piano inferiori).
Per gli edifici della 1° e 2° classe.
Condizione non sismica.
Il singolo elemento locale costituito dal setto murario (che può assumere
forma ad L , T o similare) viene considerato nella sua estensione verticale,
con rastremazioni anche eccentriche, dalla fondazione alla copertura; esso
è soggetto al peso proprio ed allo scarico di solai o volte (in questo caso
con azione spingente) sempre tenendo conto delle eccentricità di forma.
Un calcolo elementare elastico conduce alla verifica delle sezioni sempre
con le formule per materiale non resistente a trazione.

Fig. 12. Verifica in condizione non sismica dei piedritti verticali.

Condizione sismica.

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Le incertezze nella modellazione sono notevoli.


Si può prendere in considerazione un modello globale (almeno per sismi di
lievi entità) con le seguenti differenze rispetto al modello globale assunto
nella prima classe:
- Nelle pareti telaio le fasce di piano vanno considerate come elementi
pendolo;
- Gli impalcati vanno modellati con una serie di puntoni; nel caso di volte,
schematizzabili come due archi diagonali, si assume un puntone curvo,
stabilizzato dall’altra diagonale. Tale assetto richiede che le fasce delle
pareti funzionino come catene tensoresistenti. (rivedi Fig. 6).
E’ comunque doveroso considerare anche un modello locale a pareti singole
prescindendo quindi da qualsiasi funzione ripartitrice dell’impalcato. La
parete viene sollecitata sia nel piano che fuori da esso ed è questo secondo
caso il più temibile.

Fig. 13. Il primo modo di vibrare del modello globale dell’edificio evidenzia
il comportamento locale indipendente della singola parete fuori dal proprio
piano.

Per tali modellazioni l’analisi elastica lineare costituisce strumento più


praticabile rispetto alla analisi limite, anche per il possibile semplice
sviluppo non lineare.

6. Conclusioni (?)

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Il termine conclusioni è del tutto inappropriato ed al più può essere


provocatorio. Si è infatti cercato di illustrare una rassegna, sicuramente
non completa, della complessa problematica che affligge l’analisi delle
costruzioni murarie anche se in questa rassegna non si è riusciti a non
esprimere una personale propensione verso alcune delle possibilità
disponibili.
Quello che si può pacificamente concludere è che l’argomento è ancora
molto aperto e richiede da parte del progettista strutturale grande
prudenza e senso critico nelle modellazioni e nelle analisi che condurrà ed
in particolare una profonda consapevolezza delle ipotesi di base sulle quali
si basa il software che si sta per usare. Sembra anche inevitabile il
ricorrere a diverse modellazioni ed analisi per ottenere dal confronto una
certa rassicurazione della validità dei risultati numerici.
Chi opera sul campo sicuramente soffre questa situazione ma uno scambio
di osservazioni ed esperienze potrà sicuramente dare un contributo al
miglioramento della situazione.

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