Lorenzo Macorini
1. INTRODUZIONE AL PROGETTO DI
PONTI: CONSIDERAZIONI GENERALI
Col termine ponti si intendono tutte quelle opere a servizio prevalentemente di strade e ferrovie,
realizzate per superare ostacoli quali fiumi, valli, strade esistenti ecc, che, in relazione alle loro
diverse destinazioni, vengono normalmente indicate con nomi particolari quali: viadotti, sottovia
o cavalcavia, sovrappassi, sottopassi, strade sopraelevate, ecc.
Spalla Sovrastruttura
(sottostruttura)
Soletta
Appoggi
Pila (sottostruttura)
Fondazioni (sottostruttura)
Figura 1.1. Componenti strutturali principali di un ponte.
Ogni ponte e costituito da una sovrastruttura e una sottostruttura.
La sovrastruttura è costituita dall’impalcato, ovvero dall'insieme delle strutture orizzontali che
realizzano il piano d'appoggio della strada o del binario ferroviario, mentre la sottostruttura
comprende le fondazioni, le pile e le spalle.
Le azioni dovute al peso proprio dell’impalcato e ai carichi mobili relativi al traffico transitante
sono generalmente trasferiti dall’impalcato alla sottostruttura attraverso specifici apparecchi di
appoggio, tuttavia sono possibili collegamenti rigidi (di continuità) tra l’impalcato e le strutture
verticali (pile, spalle) come ad esempio nei ponti con schemi a telaio.
− Sovrastruttura
L’impalcato è fondamentalmente una struttura tridimensionale che per semplicità di
rappresentazione e di calcolo (analisi strutturale) può essere diviso in due sistemi base: uno
schema longitudinale e una struttura trasversale.
Ponti a travata
Ponti strallati
Ponti a telaio
Ponti sospesi
Gli schemi strutturali longitudinali comunemente impiegati nella realizzazione di ponti (Fig.
1.2) comprendono lo schema a trave (trave in semplice appoggio, trave Gerber, trave continua,
schema a telaio), lo schema ad arco e le soluzioni con fune o con stralli di sospensione ed
impalcato irrigidente.
Sezione a cassone
Sezione a soletta
Sezione a cassone
Sezione trave-soletta
Sezione trave-soletta
(a) (b)
Figura 1.3. Sezioni trasversali, (a) in c.a. o in c.a.p., (b) in acciaio o miste acciaio-cls.
Le sezioni trasversali (Fig. 1.3) possono invece essere costituite, per luci modeste (< 25 m), da
una semplice soletta (elemento bidimensionale) generalmente in c.a. o, per luci via via più
significative, da un sistema accoppiato trave-soletta: soletta (in c.a. o in c.a.p.) con travi
longitudinali (in c.a.p o in acciaio), o da una sezione a cassone (in c.a.p, in acciaio o mista
acciaio-cls).
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 1.4 -
Introduzione al progetto di ponti: considerazioni generali
− Sottostruttura
La sottostruttura, composta da pile, antenne, spalle e fondazioni, è solitamente realizzata in c.a
o c.a.p e solo raramente in acciaio.
Le pile costituiscono gli appoggi intermedi dei ponti a travata e possono assumere la struttura
di colonne o di muri con sezione trasversale piena o cava (Fig. 1.4a). Le pile a muro sono
economicamente più sfavorevoli rispetto alle soluzioni a colonna e vengono impiegate solo in
particolari condizioni come ad esempio quando sono presenti, nel caso di attraversamento di un
corso d’acqua, forti spinte idrauliche.
Pile a colonna
Pile a muro
(a) (b)
Figura 1.4. (a) Sezioni trasversali di pile, (b) antenne (piloni) di ponti stallati.
Nel caso di ponti strallati al posto delle pile si realizzano le antenne che possono avere diverse
configurazioni, sezioni trasversali e composizioni costruttive. Le testate delle antenne richiedono
un particolare studio per l’ancoraggio degli stralli in modo da garantire la trasmissione di elevati
sforzi di trazione dagli stralli alle antenne stesse.
Giunto di
Soletta di dilatazione
transizione
Apparecchio di
appoggio
sez. A-A
(a) (b)
Figura 1.5. (a) Spalla con contrafforti, (b) spalla aperta.
Le spalle (Fig. 1.5) rappresentano il collegamento tra il ponte e i due terrapieni di raccordo con
il terreno circostante e devono essere progettate non solo sulla base della reazione
dell’impalcato ma anche in funzione della pressione esercitata dal terreno. Quando l’altezza del
manufatto e quindi del fronte di terreno contenuto è superiore ai 6-8 m è conveniente impiegare
una soluzione con contrafforti (Fig. 1.5a).
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Introduzione al progetto di ponti: considerazioni generali
1.2. Classificazione
Esistono diverse classificazioni per i ponti che solidamente vengono definite per evidenziare un
particolare aspetto legato ai vincoli o alle caratteristiche progettuali.
I ponti possono essere classificati sulla base del funzionamento statico, con riferimento alla
funzione svolta (ponti stradali, ponti ferroviari, ponte-canale, passerelle pedonali), sulla base
dell’ostacolo sovrapassato (ponti, viadotti, sovrappassi e sottopassi), con riferimento al
materiale costituente l'impalcato (ponte in muratura, in cemento armato, in legno, metallici) e
con riferimento alla posizione della via rispetto alle travi portanti (ponte a via superiore,
intermedia o inferiore).
Ponti con schema a trave continua sono comunemente impiegati su piccole (10-20 m) medie (20-
50 m) e grandi luci (superiori a 100 m).
Nell’ultimo caso le travi generalmente in c.a.p o in acciaio o composte acciaio-cls presentano
una sezione longitudinale con altezza variabile per ragioni strutturali, economiche (copertura
ottimizzata dei diagrammi delle sollecitazioni) ed estetiche.
Gli schemi a trave continua necessitano di fondazioni affidabili in quanto l’andamento delle
sollecitazioni in uno schema iperstatico risente di eventuali cedimenti differenziali in
corrispondenza dei vincoli.
Lo schema a travate continue è generalmente impiegato con struttura metallica (per la facilità di
assemblaggio in opera e di collegamento tra gli elementi prefabbricati) o con travi in c.a.p.
− I ponti ad arco hanno svolto un ruolo fondamentale nella storia delle strutture da ponte e
hanno rappresentato praticamente l’unico schema statico impiegabile dall’epoca romana fino al
XIX secolo (ponti ad arco in muratura), fino a quando, in seguito all’introduzione dell’acciaio
come materiale da cotruzione prima e del c.a e c.a.p poi, furono introdotti schemi statici con
elementi sollecitati da rilevanti sforzi di flessione e di trazione.
Nello schema ad arco il sistema longitudinale si presenta ad asse curvilineo e risulta soggetto
prevalentemente a sforzi assiali di compressione, la forma dell’arco viene, infatti, scelta in modo
da rendere minimi i momenti flettenti dovuti ai carichi permanenti. Attualmente i ponti ad arco,
in c.a.p. o in acciaio, possono arrivare a superare i 300 m di luce.
Come strutture principali si possono impiegare archi a tre cerniere, a spinta eliminata (“trave
Lange”) a due cerniere ed archi incastrati (Fig. 1.8). Tali strutture comunque richiedono la
realizzazione di un impalcato secondario, fatto di travi che si appoggiano sulla struttura ad arco,
sui cui avviene il transito.
− I ponti a telaio possono essere impiegati come alternativa ai ponti a travata continua e
presentano un comportamento intermedio tra i ponti a travata ed i ponti ad arco (Fig. 1.9). I telai
con piedritti verticali hanno un comportamento prossimo a quello di una travata continua, mentre
i telai con piedritti inclinati si avvicinano al comportamento di un arco.
Gli schemi a telaio non richiedono specifici apparecchi di appoggio intermedi e garantiscono un
buon funzionamento strutturale nel sopportare carichi orizzontali come le azioni dovute ad un
evento sismico, inoltre lo schema a telaio trova un sempre più largo impiego nel caso di ponti in
c.a.p in quanto si adatta efficacemente alla realizzazione per prefabbricazione di conci
successivi.
Figura 1.10. Schemi di funzionamento di ponti la cui struttura principale è sollecitata prevalentemente da azioni assiali.
Pilone, antenna
Cavo principale
Nei ponti strallati la trave è invece sostenuta da un numero limitato di funi rettilinee che sono
rinviate da un’antenna e possono essere ancorate al suolo o all’impalcato stesso formando dei
sistemi bilanciati (Fig. 1.12).
I ponti stallati hanno avuto un notevole sviluppo negli ultimi anni nel campo delle luci medio-
grandi (200÷400 m) e recentemente anche nel campo delle grandi luci (Ponte Normandia 1995,
campata principale 856 m) divenendo competitivi con i ponti sospesi che fino a pochi anni fa
rappresentavano l’unico schema impiegabile per luci comprese tra 500÷1500 m.
(a) (b)
Figura 1.13. (a) Sezioni trasversali di ponti stradali (a) e ferroviari (b).
− I ponti stradali devono essere progettati per consentire un flusso di traffico, ovvero il
transito di una certa quantità di veicoli a determinate velocità. Il flusso di traffico definisce il
“calibro” della strada: numero e larghezza di corsia, tipo di piste e larghezza totale (B = 6÷30 m,
tipo ∼12 m). La velocità di progetto definisce i raggi di curvatura verticale (RV) e orizzontale
(RH) e le pendenze longitudinali (PL) e trasversali (PT). Valori tipici di questi parametri sono:
RV > 1000÷23.000 m, RH = 40÷5000 m per V = 50÷140 km/h PL<7% (10÷12% in casi
speciali), PT ≥ 5 ÷7%.
conservatori negli schemi statici e nelle tipologie strutturali. In definitiva i ponti ferroviari
risultano in genere alquanto robusti, con schemi “tradizionali” e senza una particolare cura per
l’estetica.
strade o linee o scali ferroviari, (ii) passerelle di collegamento tra edifici, (iii) ponti in ambito
extraurbano o suburbano, di scavalco di strade e ferrovie, o di corsi d’acqua o vallate.
Nel caso di ponti in ambito urbano assumono grande importanza due aspetti: l’estetica, o
comunque la caratterizzazione architettonica e l’aspetto funzionale delle scale e delle rampe
d’accesso. Il primo aspetto richiede una particolare attenzione al dettaglio strutturale-
architettonico, oltre che allo schema generale del ponte. Il secondo aspetto richiede innanzitutto
attenzione ai problemi degli utenti disabili ed il rispetto delle normative vigenti in tema di
salvaguardia del diritto alla mobilità ed alla sicurezza di tutti i cittadini.
Per quanto riguarda i vincoli progettuali, a differenza dei ponti stradali e ferroviari, i ponti
pedonali non hanno forti vincoli di tracciato né di allineamento verticale, né planimetrico. Se il
ponte prevede anche un’utenza ciclistica i vincoli si configurano in pendenze longitudinali
sostanzialmente analoghe a quelle dei ponti stradali (p < 5÷6%) e raggi di curvatura di qualche
decina di metri. La progettazione di ponti pedonali risulta pertanto “più libera” meno vincolata
da un punto di vista strutturale e consente l’ideazione di soluzioni anche complesse che
richiedono particolare attenzione nel controllo delle deformazioni e delle vibrazioni.
− Le opere di attraversamento definite ponti sono opere necessarie per superare fiumi,
canali, bacini, bracci di mare. I vincoli per l’opera sono di natura idraulica, pertanto il progetto
dovrà essere correlato da una relazione riguardante i problemi idrologici, idrografici ed idraulici
relativi alle scelte progettuali, alla costruzione ed all’esercizio del ponte.
Ks
Figura 1.19. (a) Valori Ks per diverse forme di sezione di pila, coefficienti maggiorativi Kα per sezioni rettangolari.
fenomeni di erosione e di scalzamento (Fig. 1.18) e la definizione delle azioni idrauliche agenti
sulle pile e sulle spalle interessate dalla corrente. Per la valutazione dell’azione idraulica agente
sulle pile e sulle spalle il periodo di ritorno è assunto pari a 200 anni (NTC).
Una stima dello scalzamento massimo previsto può ad esempio essere valutato con la formula
del Neill:
dl = 1.5 ⋅ y ⋅ K s 0.7 ⋅ K α
− Le opere definite viadotti sono necessarie, quando, data la morfologia del terreno, la
strada per lunghi tratti non è in grado di appoggiarsi sulla sede del terreno naturale. I vincoli
progettuali possono essere costituiti dalla presenza di edifici o infrastrutture esistenti che
condizionano la posizione degli appoggi. Nella maggior parte dei casi è compito del progettista
la definizione della luce ottimale e quindi del numero di appoggi in funzione di valutazioni
economiche ed architettoniche.
selezionato è ammesso, per motivi validi e comprovati, derogare da quanto sopra, purché
l’altezza minima non sia minore di 4 m. Eccezionalmente, ove l’esistenza di vincoli non
eliminabili imponesse di scendere al di sotto di tale valore, si potrà adottare un’altezza minima,
in ogni caso non inferiore a 3,20 m. Tale deroga è vincolata al parere favorevole dei Comandi
Militare e dei Vigili del Fuoco competenti per territorio. In genere i sostegni vengono posti a
50÷75 cm oltre la banchina.
L’evoluzione storica nella costruzione di ponti è stata sempre legata allo sviluppo della
tecnologia dei materiali, dei metodi di costruzione, della teoria delle strutture e dei mezzi di
locomozione (passaggio dalla trazione animale alla ferrovia).
La storia dei ponti può essere suddivisa in quattro periodi fondamentali: (i) il periodo
preromano, dalle origini fino al II-III secolo a.C., (ii) l’età dell'arco, dal tempo dei Romani fino
alla fine del '700, (iii) la rivoluzione industriale con i suoi grandi ponti metallici; (iv) l’epoca
moderna.
Per i primi manufatti l'uomo utilizzò materiali reperibili direttamente
in natura, quali il legno e le funi vegetali, organizzati in schemi statici
ripresi in epoca moderna: le travate ed i ponti sospesi. Purtroppo la
deperibilità di questi materiali ha impedito la conservazione di tali
opere che, peraltro, troviamo riprodotte in alcune antiche effigi o in
ponti recenti ma costruiti seguendo tradizioni millenarie (Fig. 1.21).
L'arco, pur se già noto in precedenza, e' strettamente legato ai Romani
i quali, grazie alla messa a punto di murature con malte molto
resistenti lo utilizzarono per opere grandiose tutt'ora perfettamente
conservate. (Fig. 1.22). Il ponte ad arco e' rimasto praticamente
l'unico schema adottato per circa mille anni, poiché consente
l'impiego di materiali non resistenti a trazione, come la muratura di
Fig. 1.21. Un ponte di liane pietrame o quella di mattoni.
in Gabon.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 1.31 -
Pont du Gard.
Le uniche variazioni apportate nel corso dei secoli sono relative alle sovrastrutture ed alle
decorazioni: le prime (torri di guardia ed edicole sacre) introdotte nel Medio Evo; le seconde
(fregi, statue, stemmi nobiliari) nel Rinascimento (Fig. 1.23, 1.24).
(c)
(c)
Fig. 1.23. Ponti medioevali: (a) Charles Bridge (Praga, 1380), (b) Old London Bridge (1206), (c) Ponte Vecchio (1345).
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(a) (b)
Fig. 1.24. Ponti rinascimentali: (a) Ponte di Rialto (1591), Pont Neuf (Parigi, 1607).
(a) (b)
Fig. 1.25. Ponti della Ecole de Paris: (a) Pont Royal (Gabriel – 1689), Pont de la Concorde (Perronnet 1791).
Un sensibile sviluppo nella tecnica costruttiva dei ponti ad arco si ebbe nel 1700 (Fig. 1.25)
grazie agli studi condotti presso la Ecole de Paris (la prima scuola di ingegneria) e la Ecole des
Pont De Chaussées (fondata sempre a Parigi nel 1747) sempre su schemi ad arco (analisi delle
spinte su spalle e pile).
Una svolta drammatica nell’evoluzione della costruzione di ponti in genere fu impressa dalla
rivoluzione industriale, quando furono disponibili i materiali ferrosi: ghisa, ferro puddellato,
acciaio (Fig. 1.26) nel campo delle opere civili e nacque la ferrovia.
(a) (b)
Fig. 1.27. Esempi di ponti ad arco in ghisa: (a) Coalbrookdal bridge sul Severn (1779), (b) Mythe Bridge (1826).
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 1.36 -
Introduzione al progetto di ponti: considerazioni generali
I primi ponti in ghisa furono realizzati con forma ad arco in alternativa ai ponti in muratura.
L’utilizzo del nuovo materiale portò ad una sensibile riduzione del peso strutturale, dei costi di
costruzione e dei tempi di realizzazione.
(a) (b)
(c)
Fig. 1.29. (a) The “Mississipi Bridge (St. Luis 1874), Viaduct de Garabit (1884), Salthash Railway Bridge (1859).
(a) (b)
(c) (d)
Fig. 1.30. (a) Menai Straint Bridge (1926), (b)Firth of Forth Bridge (1883), (c) Brooklyn Bridge (1883), (d) Grandfey
Viaduct (1862).
Il novecento vide lo sviluppo dei ponti in acciaio e la comparsa dei ponti in c.a. e c.a.p.
I progressi nel campo delle costruzioni dei ponti metallici nel ‘900 sono dovuti essenzialmente
agli sviluppi ottenuti: (i) nel campo della tecnologia dell’acciaio; (ii) nelle giunzioni; (iii) nello
sviluppo della teoria delle strutture e (iiii) nell'impiego della piastra ortotropa o della soletta di
calcestruzzo quali elementi collaboranti.
(a) (b)
Fig. 1.32. (a) Golden Gate Bridge (1926), (b)Firth of Forth Bridge (1883), (c)Brooklyn Bridge (1883), (d) Grandfey Viaduct
(1862).
Nel primo novecento, nel campo dei ponti sospesi, seguendo l’esempio del celebre ponte di
Brooklyn di 486 m di luce (John Roebling 1883), furono realizzati negli Stati Uniti altri due
ponti di luce sempre maggiore ma concettualmente simili al precedente: nel 1931 il George
Washington a New York, progettato dall'ingegnere Othmar H.Amman (1879-1965) superava per
primo la soglia dei 1000 m (1067); sei anni dopo il record passava all'altrettanto famoso Golden
Gate di S Francisco che ha la luce centrale di 1280 m e, nel 1964, al Verrazzano di New York, la
cui luce e' di 1298 m.
Tutti questi ponti hanno la trave irrigidente di impalcato di tipo reticolare, relativamente alta
(circa 9 m nel Verrazzano) e pesante. Un tentativo di realizzare un impalcato con travi a parete
piena più sottili portò, nel 1940, al crollo del ponte di Tacoma (Usa) di 854 m di luce. Questo
disastro fu causato, appena dopo quattro mesi dall'inaugurazione, da un vento relativamente
modesto ed evidenziò in modo drammatico un problema fino ad allora praticamente ignorato:
l'eccitazione dinamica dovuta all'interazione del vento con la struttura.
Una risposta valida a questo problema si ebbe in Europa con l’introduzione degli impalcati a
cassone chiuso, sezioni aerodinamicamente molto efficienti che consentivano ai ponti sospesi di
superare luci significative con altezze dell’impalcato molto contenute.
(a)
(b) (c)
Fig. 1.34. (a) Störebelt (Danimarca, 1998), (b) Akashi (Giappone, 1997), (c) Tsing-Ma (Hong-Kong, 1997).
Questa stessa filosofia, tutta europea, fu ripresa nel primo ponte sul Bosforo ad Istanbul del 1973
e nel ponte sul Humber, in Inghilterra, che ha mantenuto il record del mondo della luce (1410 m)
fin quasi alla fine del secolo. Il nuovo millennio è iniziato con la supremazia dei giapponesi che
hanno completato, nei pressi di Kobe, il ponte stradale Akashi-Kaikyo, con campata centrale di
1990. E’ importante ricordare anche il ponte sospeso sullo Störebelt in Danimarca, costruito da
ditte italiane, con luce di 1624 m. Sempre in Asia, ad Hong-Kong, è operante, dal 2000, il
collegamento stradale e ferroviario di Lantau, che comprende il ponte sospeso Tsing-Ma: la sua
campata da 1377 m gli assegna il record mondiale per opere a traffico misto.
Con il rapido diffondersi del cemento armato all'inizio del ‘900, principalmente ad opera del
tedesco Emil Mörsch (1872-1950) e del francese François Hennebique (1843-1921), ha inizio la
storia dei grandi ponti in cemento armato.
L’affermazione esplicita della validità del cemento armato anche dal punto di vista formale, si
deve ad un altro grande Progettista, lo svizzero Robert Maillart (1872-1940), che negli anni venti
realizzò diversi ponti ad arco con trave collaborante lasciando il calcestruzzo in vista e
raggiungendo quella sintesi tra efficienza strutturale ed armonia delle forme propria delle grandi
opere.
Il cemento armato è stato utilizzato fino agli anni '60 principalmente per schemi ad arco,
raggiungendo luci ragguardevoli ( 390 m a Krk nel 1979 in Croazia) e consentendo eleganze
formali quali quelle del ponte sulla Fiumarella (Catanzaro) di Riccardo Morandi (1902-1989) del
1960.
(a) (b)
(c)
Fig. 1.37. (a) Ponte sulla Fiumanella (1960), (b,c) Ponte a KrK (1979).
L'elevato costo delle centine e' stato sempre il punto debole di queste strutture a cui si sono
preferite, a partire dal '60, le grandi travate in c.a.p. capaci anche di resistere ad elevati sforzi di
flessione e taglio.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 1.46 -
Introduzione al progetto di ponti: considerazioni generali
costruttiva che si affermò poi su larga scala nel dopoguerra, favorita dalla carenza di acciaio per
carpenteria metallica.
Dopo le prime applicazioni farà seguito un’impressionante produzione di serie, favorita dalla
ricostruzione dei ponti distrutti dalla guerra e poi, a partire dalla fine degli anni ‘50 fino alla
meta' degli anni ‘70, dalla formazione della rete autostradale Europea.
La necessita' di costruire un elevato numero di ponti in un tempo molto limitato ha portato a
sviluppare al massimo la prefabbricazione: il ponte, salvo eccezioni, non e' più un'opera d'arte
singolare ma diviene prodotto industriale. Viene favorita la tipologia del ponte a travata, con
l'impiego di elementi spesso prefabbricati in stabilimento.
Contemporaneamente a questa produzione di serie, valida per ponti di luce medio-piccola (30-
40 m circa), si cercano nuove soluzioni per utilizzare vantaggiosamente il precompresso anche
sulle grandi luci. Ciò e' reso possibile dalla ideazione di nuove tecniche costruttive e dalla
disponibilità di attrezzature di cantiere sempre più potenti e sofisticate.
Agli inizi degli anni 50 Ulrich Finsterwalder (1899-1987) progetta e realizza sul fiume Lahn a
Balduinstein, in Germania, il primo ponte costruito a sbalzo per conci successivi gettati in
opera. Questa tecnica consente di realizzare impalcati in c.a.p. senza l'ausilio di centine
poggiate a terra, svincolandosi così da tutti gli impedimenti sottostanti e dall'altezza dal suolo.
I primi ponti a sbalzo avevano tutti i conci gettati in opera. L'idea di impiegare conci
prefabbricati si deve ai francesi che nel 1962 costruirono il ponte di Choisy-le-Roi sulla Senna,
progettato da Jean Müller, allievo di Freyssinet. In questo ponte a tre luci (37.5-55-37.5 m) i
conci furono messi in opera per mezzo di gru da pontoni che li prelevavano direttamente dal
campo di prefabbricazione. Un altro metodo di costruzione che ha avuto numerose
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 1.49 -
applicazioni, a partire dal ponte di Krahnenberg in Germania (1961-64), e' quello del getto in
opera per campate successive utilizzando casseforme autoportanti e autovaranti: anche in
questo caso l'obiettivo e' quello di svincolare la costruzione dell'impalcato dal terreno
sottostante. Rispetto ai conci prefabbricati si hanno tempi di costruzione più lunghi e maggiori
incertezze sulla qualità dei getti, ma, per contro, l’impalcato è monolitico.
(a) (b)
Fig. 1.41. (a) idea progettuale di Faustus Veranzius (Venezia, 1617) , (b) Theodor Heuss Bridge (1957).
I limiti per tutte le soluzioni in acciaio, c.a. e c.a.p. derivano dalle fasi costruttive che
comportano una distribuzione delle sollecitazioni dovute al peso proprio (che rappresenta
l’azione di gran lunga più importante e diversa da quella finale). Ad esempio per luci superiori
ai 200 m l’altezza delle mensole, nei ponti a sbalzo in c.a.p. raggiunge valori invalicabili sia dal
punto di vista estetico che tecnologico.
Il superamento di questi limiti si è avuto con i ponti strallati, la cui diffusione è stata tale da
farli divenire le strutture simbolo della fine del millennio appena passato.
Mentre in Germania gli stralli venivano proposti esclusivamente per gli impalcati in acciaio
(Theodor Heuss Bridge, costruito a Düsseldorf nel 1957, con luci 108+260+108m), Riccardo
Morandi intuiva per primo le grandi possibilità che questo schema offriva anche al cemento
armato. Nel 1957 inizia la progettazione delle campate da 235 m per il ponte sulla laguna di
Maracaibo, Venezuela, che verrà completato nel 1961 e che, con le sue stampelle indipendenti
collegate da travi tampone, e' il padre di tutti i ponti strallati a più luci in c.a.p.
(a)
(b)
Fig. 1.43. Skarsundet (Norvegia 1991), (b) Tatara Bridge (Giappone, 1999).
Le prime opere di questo tipo avevano un numero limitato di stralli e, di conseguenza, travate
relativamente alte. Le applicazioni più moderne, al cui sviluppo molto ha contribuito il francese
Michel Virlogeux, prevedono un numero molto elevato di funi ed impalcati estremamente sottili.
L’interasse ridotto degli stralli, 8÷12 m, facilita la costruzione a sbalzo e consente la sostituzione
di uno di essi senza bisogno di chiudere il ponte al traffico, favorendo quindi la manutenzione
dell’opera.
Un opera significativa con sovrastruttura in c.a.p è il ponte Skarsundet (Norvegia 1991) che ha
una campata di 530 m ed un impalcato di appena 2,15 m di spessore. Significativi sono ancora il
ponte Tatara (Giappone 1999) e il ponte di Normandia alla foce della Senna in Francia, le cui
luci centrali misurano rispettivamente, 890 e 856 m.
Nel complesso procedimento alla base di una corretta progettazione di strutture da ponte, dovuto
alla combinazione di analisi strutturali, valutazioni economiche e progettazioni architettoniche, è
necessario tener conto di numerosi fattori che fanno riferimento alla lunghezza delle luci
richieste, al processo costruttivo, a condizioni locali quali ad esempio la qualità della
manodopera e le caratteristiche del terreno di fondazione.
Figura 1.45 Dimensioni delle campate realizzabili con i diversi schemi statici: valori normali e luci limite.
Inoltre nell’analisi dei costi occorre effettuare non solo un’attenta valutazione del costo di
costruzione, ma anche della spesa associata al mantenimento dell’opera realizzata.
Fattore Ragioni
La posizione delle pile è spesso determinata dalla presenza di corsi
Posizione degli ostacoli da superare
d’acqua, binari ferroviari o carreggiate stradali.
La dimensione della luce massima può essere limitata da un’altezza
Altezza di costruzione
massima ammissibile per l’impalcato.
Quando l’altezza delle pile è superiore ai 15÷20 m è preferire ridurre il
Altezza dell’impalcato dal suolo
numero delle pile ed aumentare la luce dell’impalcato.
Carichi Carichi significativi indirizzano verso luci modeste.
σQ
Coefficiente di rendimento di un ponte: K st =
σQ + σG
Kst corrisponde al rapporto tra le sollecitazioni (tensioni) dovute ai carichi accidentali (Q) e
quelle dovute ai carichi totali, permanenti + accidentali (G+Q), nelle sezioni maggiormente
sollecitate. Per valori di tale rapporto troppo bassi il ponte risulta antieconomico e sarà
necessario, al crescere della luce, cambiare materiale o schema statico.
Figura 1.46. Luce economica, luce massima realizzata e luce limite teorica al variare dello schema statico .
La luce limite teorica viene raggiunta nella condizione limite Kst = 0 (il ponte è in grado di
sostenere soltanto il peso proprio). Normalmente valori Kst < 0.15÷0.20 per ponti in calcestruzzo
e valori Kst < 0.40÷0.50 per ponti di acciaio risultano antieconomici.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 1.56 -
Introduzione al progetto di ponti: considerazioni generali
Per gli attraversamenti più importanti ovvero per una lunghezza del ponte (viadotto) significativa
è necessario effettuare un’analisi economica approfondita considerando diverse soluzioni.
(a) (b)
Figura 1.47.(a) Diagramma dei costi al variare della luce delle campate, (b) incidenze medie dei materiali.
(b)
(a) (c)
Figura 1.47. Procedimenti costruttivi: (a) ponti strallati, (b) sollevamento, (c) varo.
Riferimenti bibliografici
• Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
M. P. Petrangeli (IV edizione, MASSON, 1997).
• ESDEP, Structural Steelwork Eurocodes: Development of a Trans-national Approach (1998).
• Manual of Bridge Engineering, Edited by M.J. Ryall, G.A.R. Parke and J.E. Harding (Thomas
Telford, 2000).
• Ponti a struttura d’acciaio. F. de Miranda (Collana tecnico-scientifica per la progettazione di
strutture in acciaio, Distribuzione CISIA – 1972).
• Innovazioni e futuro dei ponti di grande luce. M. P. Petrangeli.
• http://en.structurae.de/structures/stype/index.cfm
2. ANALISI STRUTTURALE
DI PONTI: AZIONI
2
– Eurocodici
Gli Eurocodici sono basati su un approccio moderno (di tipo probabilistico) al problema della
sicurezza strutturale: “Una struttura deve essere progettata e costruita in modo che, con
accettabile probabilità, rimanga adatta all’uso per il quale è prevista, tenendo nel dovuto conto
la sua vita presupposta e il suo costo; con adeguati livelli di accettabilità sia in grado di
sopportare tutte le azioni o influenze, cui possa essere sottoposta durante la sua realizzazione e
il suo esercizio e abbia adeguata durabilità in relazione ai costi di manutenzione”.
Le strutture e gli elementi strutturali devono pertanto essere progettati, eseguiti e mantenuti
soddisfacendo i requisiti fondamentali di resistenza ultima, di funzionalità e di robustezza.
x La resistenza ultima è la capacità della struttura di sopportare tutte le azioni che possono
verificarsi durante l’esecuzione e l’uso della struttura stessa. Questo implica la necessità di
tener conto in fase progettuale dei valori estremi delle azioni, caratterizzati da un determinato
periodo di ritorno, nonché dai danneggiamenti indotti dalla fatica e dalla corrosione (acciaio).
x La funzionalità è la capacità della struttura di rimanere adeguata al normale uso per cui è stata
concepita.
x La robustezza, infine, è l’attitudine della struttura a contenere i danni derivanti da eventi quali
incendi, esplosioni, urti ed errori umani entro limiti proporzionali all’entità della causa.
Durabilità
Resistenza ultima
Funzionalità
Robustezza
Per quanto concerne il peso delle pavimentazioni, le attuali pavimentazioni stradali costituite da
7-10 cm di conglomerato bituminoso pesano 1.5-2.5 kN/m2, mentre sui ponti ferroviari il
mantenimento della massicciata porta a sovraccarichi permanenti elevati dell’ordine di 11-15
kN/m2.
Relativamente al carico mobile da considerare nel progetto di ponti, un intenso lavoro di ricerca
è stato svolto nel recente passato per la definizione di un modello di traffico per i ponti stradali.
Il risultato conseguito corrisponde ad un modello semplificato che tiene conto di un’ampia
variabilità di veicoli e della loro distribuzione sull’impalcato, nonché degli effetti dinamici legati
al transito dei veicoli stessi. Un veicolo che transita con una certa velocità su di un ponte induce
delle azioni di natura dinamica che possono essere sensibilmente superiori a quelle che si
avrebbero se lo stesso carico fosse applicato al ponte staticamente.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 2.9 -
Incrementi dinamici in funzione del tipo di veicolo e della funzione fondamentale del ponte.
L’approccio formulato apparentemente “deterministico”, viene infatti fissato il valore dei carichi
massimi sotto il cui effetto deve essere verificata la stabilità dell’opera, è basato su
considerazioni di tipo statistico. Nei modelli di carico sviluppati si è considerato che:
x la probabilità che il ponte, o una sua parte, sia interamente interessato dai carichi mobili
decresce al crescere della lunghezza del tratto caricato;
x maggiore è il numero di corsie e minore è la probabilità che esse siano tutte caricate
contemporaneamente;
x la frequenza dei carichi, cioè il numero di volte che essi impegnano il ponte, è caratterizzato da
una distribuzione statistica.
Azioni ambientali
Azioni
Azioni permanenti
1. Peso proprio degli elementi strutturali e non strutturali: g1
2. Carichi permanenti portati: g2 (pavimentazione stradale, marciapiedi, sicurvia, parapetti,
attrezzature stradali, rinfianchi e simili).
3. Altre azioni permanenti: g3 (spinta delle terre, spinte idrauliche, ecc.).
Deformazioni impresse
1. Distorsioni e presollecitazioni di progetto: H1.
Ai fini delle verifiche si devono considerare gli effetti delle distorsioni e delle presollecitazioni
eventualmente previste in progetto.
Il caso più noto di coazioni impresse è quello della precompressione nel cemento armato, ma si
possono avere anche presollecitazioni in strutture metalliche mediante tesatura di cavi o di
sollecitazioni indotte mediante l’impiego di martinetti.
Ad esempio un sistema usato per far nascere uno stato di sollecitazione voluto in strutture
ipostatiche è quello di provocare un cedimento dei vincoli di entità programmata.
Nel caso di strutture formate da materiali soggetti a fenomeni lenti quali la viscosità o il
rilassamento gli effetti positivi dovuti alle coazioni impresse tendono a ridursi nel tempo (es.
caduta di tensione nel c.a.p).
Le azioni legate agli effetti termici sono causate sia da variazioni uniformi di temperatura di tipo
stagionale (variazioni dell’ordine dei 30-50° in relazione al tipo di materiale) che da escursioni
termiche giornaliere, dovute all’irragiamento solare, all’effetto vento e ad altri fattori climatici,
che possono provocare distribuzioni non uniformi di temperatura all’interno di una stessa
sezione e temperature medie diverse in elementi strutturali di uno stesso ponte.
Travi inflesse
Una variazione termica produce una deformazione ad essa
proporzionale tramite il coefficiente di dilatazione termica
D:
HT D'T
Se la variazione di temperatura è uniforme sull’altezza
della trave, tutte le fibre parallele all’asse subiscono la
stessa deformazione HT, se la variazione di temperatura
agisce su una trave di lunghezza l, isostatica assialmente,
produce un allungamento 'l = HTl.
Quando invece le diverse fibre longitudinali subiscono variazioni di temperatura tra di loro diverse, ad es. variabili linearmente e pari a 'Ts al
lembo superiore e 'Ti al lembo inferiore, le deformazioni che ne derivano presentano la stessa legge di variazione. Ne segue una rotazione
relativa tra due sezioni poste a distanza infinitesima dx
H Ti HsT 'T T 'TsT
dMT dx D i dx e e un allungamento medio pari a quello della fibra baricentrica: dl T HGT dx D'TGTdx
h h
Le deformazioni e perciò qualsiasi sforzo risultante, sono dipendenti dalla geometria e dalle
condizioni al contorno dell’elemento che si sta considerando e dalle proprietà fisiche del
materiale impiegato. L’effetto termico deve essere considerato con particolare attenzione quando
sono impiegati materiali, assemblati in modo composito, con differenti coefficienti di espansione
lineare.
fase di riscaldamento (superficie superiore più calda) e una massima variazione di temperatura in
fase di raffreddamento (superficie inferiore più calda).
La differenza di temperatura verticale può produrre effetti all’interno di una struttura a causa di:
- limitazione della curvatura libera dovuta alla forma della struttura (per esempio intelaiatura a
portale, travi continue, ecc.);
- attrito agli appoggi rotazionali;
- effetti geometrici non-lineari (effetti del secondo ordine):
.
Impalcati a struttura in c.a. (c.a.p).
Componenti orizzontali
In generale, occorre considerare la componente di differenza di temperatura solo in direzione
verticale. Tuttavia si raccomanda che, in casi particolari (per esempio quando l’orientamento o la
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 2.21 -
configurazione del ponte è tale che un lato risulta essere molto più esposto alla luce del sole
rispetto all’altro lato), sia considerata una componente di differenza di temperatura orizzontale.
3. Cedimenti vincolari: H4
Dovranno considerarsi gli effetti di cedimenti vincolari quando, sulla base delle indagini e delle
valutazioni geotecniche, questi risultino significativi per le strutture.
a) se le parti sono separate da una barriera di sicurezza fissa, ciascuna parte, incluse tutte le
corsie di emergenza e le banchine, è autonomamente divisa in corsie convenzionali.
b) se le parti sono separate da barriere di sicurezza mobili o da altro dispositivo di ritenuta,
l’intera carreggiata, inclusa la zona spartitraffico centrale, è divisa in corsie convenzionali.
La disposizione e la numerazione delle corsie va determinata in modo da indurre le più
sfavorevoli condizioni di progetto. Per ogni singola verifica il numero di corsie da considerare
caricate, la loro disposizione sulla carreggiata e la loro numerazione vanno scelte in modo che
gli effetti della disposizione dei carichi risultino i più sfavorevoli. La corsia che, caricata, dà
l’effetto più sfavorevole è numerata come corsia Numero 1; la corsia che dà il successivo effetto
più sfavorevole è numerata come corsia Numero 2, ecc.
Quando la carreggiata è costituita da due parti separate portate da uno stesso impalcato, le corsie
sono numerate considerando l’intera carreggiata, cosicché vi è solo una corsia 1, solo una corsia
2 ecc, che possono appartenere alternativamente ad una delle due parti.
Quando la carreggiata consiste di due parti separate portate da due impalcati indipendenti, per il
progetto di ciascun impalcato si adottano numerazioni indipendenti. Quando, invece, gli
impalcati indipendenti sono portati da una singola pila o da una singola spalla, per il progetto
della pila o della spalla si adotta un’unica numerazione per le due parti.
Per ciascuna singola verifica e per ciascuna corsia convenzionale, si applicano gli Schemi di
Carico definiti per una lunghezza e per una disposizione longitudinale, tali da ottenere l’effetto
più sfavorevole.
Schemi di Carico
Le azioni variabili del traffico, comprensive degli effetti dinamici, sono definite dai seguenti
Schemi di Carico:
x Schema di Carico 1: è costituito da carichi concentrati su due assi in tandem, applicati su
impronte di pneumatico di forma quadrata e lato 0.40 m, e da carichi uniformemente distribuiti.
Questo schema è da assumere a riferimento sia per le verifiche globali, sia per le verifiche
locali, considerando un solo carico tandem per corsia, disposto in asse alla corsia stessa. Il
carico tandem, se presente, va considerato per intero.
x Schema di Carico 2: è costituito da un singolo asse applicato su specifiche impronte di
pneumatico di forma rettangolare, di larghezza 0.60 m ed altezza 0.35 m. Questo schema va
considerato autonomamente con asse longitudinale nella posizione più gravosa ed è da
assumere a riferimento solo per verifiche locali. Qualora sia più gravoso si considererà il peso
di una singola ruota di 200 kN.
x Schema di Carico 3: è costituito da un carico isolato da 150kN con impronta quadrata di lato
0.40 m. Si utilizza per verifiche locali su marciapiedi non protetti da sicurvia.
x Schema di Carico 4: è costituito da un carico isolato da 10 kN con impronta quadrata di lato
0.10 m. Si utilizza per verifiche locali su marciapiedi protetti da sicurvia e sulle passerelle
pedonali.
x Schema di Carico 5: costituito dalla folla compatta, agente con intensità nominale,
comprensiva degli effetti dinamici, di 5.0 kN/m2. Il valore di combinazione è invece di 2.5
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 2.26 -
Analisi strutturale di ponti: azioni
kN/m2. Il carico folla deve essere applicato su tutte le zone significative della superficie di
influenza, inclusa l’area dello spartitraffico centrale, ove rilevante.
Schema di carico 3
(dimensioni in m)
Schema di carico 4
Schema di carico 2 (dimensioni in m) (dimensioni in m)
Schema di carico 5
Categorie stradali
Sulla base dei carichi mobili ammessi al transito, i ponti stradali si suddividono nelle tre seguenti
categorie:
x 1a Categoria: ponti per il transito dei carichi mobili con il loro intero valore;
x 2 a Categoria: ponti per il transito dei carichi mobili con valori ridotti dei carichi;
x 3 a Categoria: ponti per il transito dei soli carichi associati allo Schema 5 (passerelle pedonali).
Disposizione dei carichi mobili per realizzare le condizioni di carico più gravose
Il numero delle colonne di carichi mobili da considerare nel calcolo dei ponti di 1a e 2a Categoria
è quello massimo compatibile con la larghezza della carreggiata, comprese le eventuali banchine
di rispetto e per sosta di emergenza, nonché gli eventuali marciapiedi non protetti e di altezza
inferiore a 20 cm, tenuto conto che la larghezza di ingombro convenzionale è stabilita per
ciascuna colonna in 3.00 m.
In ogni caso il numero delle colonne non deve essere inferiore a 2, a meno che la larghezza della
sede stradale sia inferiore a 5.40 m. La disposizione dei carichi ed il numero delle colonne sulla
carreggiata saranno volta per volta quelli che determinano le condizioni più sfavorevoli di
sollecitazione per la struttura, membratura o sezione considerata.
Intensità dei carichi per i ponti di 1a Categoria
Posizione Carico asse Qik [kN] qik [kN/m2]
Per i ponti di 2a Categoria si devono considerare sulla Corsia N.1 un Carico asse Q1k = 240 kN
ed un carico distribuito qik = 7.20 [kN/m2]. Sulle altre corsie vanno applicati i carichi associati ai
ponti di 1a Categoria.
Per i ponti di 3a Categoria si considera il carico associato allo Schema 5 (folla compatta)
applicato con la disposizione più gravosa per le singole verifiche.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 2.30 -
Analisi strutturale di ponti: azioni
Ai fini della verifiche globali di opere singole di luce maggiore di 300 m, in assenza di studi
specifici ed in alternativa al modello di carico principale, si disporrà sulla corsia n. 1 un carico
qL,a, sulla corsia n. 2 un carico qL,b, sulla corsia n. 3 un carico qL,c e sulle altre corsie e sull’area
rimanente un carico distribuito di intensità 2.5 kN/m2. I carichi qL,a, qL,b e qL,c si dispongono in
asse alle rispettive corsie.
Strutture secondarie di impalcato
I carichi concentrati da considerarsi ai fini delle verifiche locali ed associati agli Schemi di
Carico 1, 2, 3 e 4 si assumono uniformemente distribuiti sulla superficie della rispettiva
impronta.
Diffusione dei carichi concentrati nelle solette. Diffusione dei carichi concentrati negli
impalcati a piastra ortotropa.
relative fondazioni. Tale forza agisce lungo l’asse della corsia e viene data in funzione dei
carichi verticali.
dove wl corrisponde alla larghezza della corsia ed L alla lunghezza della zona caricata.
Tale forza è assunta uniformemente distribuita sulla lunghezza caricata e include gli effetti di
interazione.
Azione centrifuga
La forza centrifuga si ha solo nei ponti in curva di raggio R ed agisce ortogonalmente all’asse
del ponte. Solitamente espressa in funzione di velocità v e raggio di curvatura R, la forza
centrifuga viene trasmessa alla sottostruttura da tutti gli apparecchi di appoggio che impediscono
gli spostamenti trasversali all’asse del ponte.
Secondo le NTC, l’azione centrifuga Q4, corrispondente ad ogni colonna di carico, viene
applicata a livello della pavimentazione e si valuta convenzionalmente pari a:
1500 R 0.00
essendo Qv = i 2Qik il carico totale dovuto agli assi tandem dello schema di carico 1 agenti sul
ponte.
Azione del vento
L’azione del vento può essere convenzionalmente assimilata ad un carico orizzontale statico,
diretto ortogonalmente all’asse del ponte e/o diretto nelle direzioni più sfavorevoli per alcuni dei
suoi elementi (ad es. le pile). Tale azione si considera agente sulla proiezione nel piano verticale
delle superfici direttamente investite. L’azione del vento può essere valutata come azione
dinamica mediante un’analisi dell’interazione vento-struttura.
La superficie dei carichi transitanti sul ponte esposta al vento si assimila ad una parete
rettangolare continua dell’altezza di 3 m a partire dal piano stradale. L’azione del vento si può
valutare come sopra specificato nei casi in cui essa non possa destare fenomeni dinamici nelle
strutture del ponte o quando l’orografia non possa dar luogo ad azioni anomale del vento.
Per i ponti particolarmente sensibili all’eccitazione dinamica del vento si deve procedere alla
valutazione della risposta strutturale in galleria del vento e, se necessario, alla formulazione di
un modello matematico dell’azione del vento dedotto da misure sperimentali.
Azioni sismiche
Azioni idrauliche
Le azioni idrauliche sulle pile poste nell’alveo dei fiumi andranno calcolate tenendo conto, oltre
che dell’orientamento e della forma della pila, anche degli effetti di modificazioni locali
dell’alveo, dovute, per esempio, allo scalzamento atteso in fase transitoria rapida.
Le combinazioni di carico da considerare ai fini delle verifiche devono essere stabilite in modo
da garantire la sicurezza strutturale.
Ai fini della determinazione dei valori caratteristici delle azioni dovute al traffico, si dovranno
considerare, generalmente, i gruppi di azioni riportati nella tabella:
Carichi su marciapiedi e
Carichi sulla carreggiata
piste ciclabili
Carichi verticali Carichi orizzontali Carichi verticali
Gruppo Modello principale Forza
Veicoli Folla: Frenatura Carico uniformemente
di azioni (Schemi di carico centrifuga
speciali Sch. di carico 5 q3 distribuito.
1, 2, 3, 4, 6) q4
Schema di carico 5 con valore di
1 Valore caratteristico
combinazione 2.5 kN/m2
Valore
2a Valore frequente
caratteristico
Valore
2b Valore frequente
caratteristico
Schema di carico 5 con valore
3 (*) caratteristico 5.0 kN/m2
Schema di carico 5
con valore Schema di carico 5 con valore
4 (**) caratteristico = 5.0 caratteristico 5.0 kN/m2
kN/m2
Valore
Da definirsi per il singolo
5 (***) progetto
caratteristico o
nominale
(*) Ponti di 3a categoria; (**) da considerare solo se richiesto dal particolare progetto (ad es. ponti in zona urbana); (***) da
considerare solo se si considerano veicoli speciali.
mentre i valori dei coefficienti parziali delle azioni da assumere nell’analisi per la
determinazione degli effetti delle azioni nelle verifiche agli stati limite ultimi (SLU) sono
riportati nella tabella:
Coefficiente EQU(1) A1 STR A2 GEO
JG2 coefficiente parziale dei pesi propri degli elementi non strutturali;
JQ coefficiente parziale delle azioni variabili da traffico;
JQi coefficiente parziale delle azioni variabili.
Il coefficiente parziale della precompressione si assume pari a JP=1;
I valori dei coefficienti \0j, \1j e \2j per le diverse categorie di azioni sono riportati nella tabella:
Per le opere di luce maggiore di 300 m è possibile modificare i coefficienti indicati in tabella previa autorizzazione del
Servizio Tecnico Centrale del Ministero delle Infrastrutture, sentito il Consiglio Superiore dei lavori pubblici.
Verifiche di sicurezza
Devono essere effettuate le verifiche allo stato limite ultimo (SLU), compresa la verifica allo
stato limite di fatica, e le verifiche agli stati limite di servizio (SLS) riguardanti gli stati di
fessurazione e di deformazione.
Verifiche agli Stati Limite Ultimi
Si dovrà verificare che sia: Ed Rd, dove Ed è il valore di progetto degli effetti delle azioni ed Rd
è la corrispondente resistenza di progetto.
Stati Limite di Esercizio
Per gli Stati Limite di Esercizio si dovrà verificare che sia: Ed Cd, dove Cd è un valore
nominale o una funzione di certe proprietà materiali legate agli effetti progettuali delle azioni
considerate, Ed è il valore di progetto dell’effetto dell’azione determinato sulla base delle
combinazioni di carico.
Per la valutazione del danneggiamento provocato dalla ripetizione dei cicli solitamente si usa la regola di Miner che si basa
sulle seguenti ipotesi:
x L’ordine di applicazione dei carichi non influenza il risultato finale
x ¦ n i N i 1 , le tensioni massime V1, V2, V3, .. vengono applicate n1, n2, n3, .. volte, mentre N1, N2, N3, .. sono il
numero di cicli che avrebbero portato a rottura l’elemento per i lavori V1, V2, V3, ..
Per strutture, elementi strutturali e dettagli sensibili a fenomeni di fatica vanno eseguite
opportune verifiche. Le verifiche saranno condotte considerando spettri di carico differenziati, a
seconda che si conduca una verifica per vita illimitata o una verifica a danneggiamento.
x Il modello di carico di fatica 1 è costituito dallo schema di carico 1 con valore dei carichi
concentrati ridotti del 30% e valori dei carichi distribuiti ridotti del 70%. Per verifiche locali si
deve considerare, se più gravoso, il modello costituito dall’asse singolo dello schema di carico
2, considerato autonomamente, con valore del carico ridotto del 30%.
x Il modello di carico di fatica 2, può essere impiegato in alternativa al modello 1, applicando
sulla corsia lenta i carichi in tabella:
Tipo di
pneumatico Assi del veicolo
Verifiche a danneggiamento
Le verifiche a danneggiamento consistono nel verificare che nel dettaglio considerato lo spettro
di carico produca un danneggiamento D1. Il danneggiamento D sarà valutato mediante la legge
di Palmgren-Miner, considerando la curva S-N caratteristica del dettaglio e la vita nominale
dell’opera. In assenza di studi specifici, per verifiche di danneggiamento, si considererà sulla
corsia lenta il flusso annuo di veicoli superiori a 100 kN dedotto dalla tabella:
Flusso annuo di veicoli di
Categorie di traffico peso superiore a 100 kN
sulla corsia lenta
1 - Strade ed autostrade con 2 o più corsie per senso di marcia, caratterizzate da intenso
2.0x106
traffico pesante.
2 - Strade ed autostrade caratterizzate da traffico pesante di media intensità. 0.5x106
3 - Strade principali caratterizzate da traffico pesante di modesta intensità. 0.125x106
4 - Strade locali caratterizzate da traffico pesante di intensità molto ridotta. 0.05x106
Le verifiche saranno condotte considerando lo spettro di tensione indotto nel dettaglio dal
modello di carico di fatica 3, costituito da un veicolo “di fatica” simmetrico a 4 assi, ciascuno
di peso 120 kN, come riportato nella figura precedente, o in alternativa, quando siano necessarie
valutazioni più precise, dallo spettro di carico equivalente costituente il modello di fatica n. 4,
riportato in tabella:
dove è rappresentata anche la percentuale di veicoli da considerare, in funzione del traffico che
interessa la strada servita dal ponte.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 2.49 -
Riferimenti bibliografici
x Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
M. P. Petrangeli (IV edizione, MASSON, 1997).
x ESDEP, Structural Steelwork Eurocodes: Development of a Trans-national Approach (1998).
x Manual of Bridge Engineering, Edited by M.J. Ryall, G.A.R. Parke and J.E. Harding (Thomas
Telford, 2000).
x D.M. Infrastrutture e Trasporti 14 settembre 2005. Norme tecniche per le costruzioni.
Analisi dei fenomeni lenti nel progetto dei ponti dott. ing. Lorenzo Macorini
La viscosità o creep è la proprietà del calcestruzzo di deformarsi nel tempo quando rimane
costante e diverso da zero lo stato di tensione. La viscosità nel calcestruzzo è stata scoperta da
Hatt nel 1907 e può essere rilevata mediante la prova di creep, cioè registrando la deformazione
di un provino sottoposto, a partire da un certo istante t 0 , ad uno stato di tensione monoassiale
costante nel tempo σc (t 0 ) .
1
Molti materiali adottati nell’ingegneria strutturale, quali il calcestruzzo, il legno, gli acciai ad alto limite di snervamento e i materiali polimerici,
sono caratterizzati da un comportamento rate-dependent. La legge costitutiva di questi materiali dipende, infatti, dalla velocità di applicazione del
carico, quindi a parità di carico, la deformazione ottenuta è tanto maggiore quando più lentamente esso è applicato. Questi materiali possiedono
un comportamento di tipo reologico o viscoso e manifestano deformazioni crescenti nel tempo anche se soggetti ad un carico costante. L’analisi
del comportamento dei materiali viscosi risulta piuttosto complessa, poiché il legame costitutivo dipende anche dal tempo (time-dependent) e
quindi, in generale, si passa da un’equazione algebrica tra le componenti dei tensori di deformazione e di tensione ad una legge di tipo
differenziale o integrale. A differenza dell’acciaio strutturale, che è caratterizzato da un comportamento time-dependent solo ad alte temperature
o quando è sottoposto a tensioni molto elevate, le deformazioni nel calcestruzzo crescono nel tempo anche se le tensioni applicate sono assai
inferiori alla resistenza del materiale. I fenomeni reologici negli elementi di calcestruzzo determinano non solo la risposta strutturale in esercizio,
ma possono anche influenzare il comportamento in condizioni ultime ed il carico di collasso (creep buckling).
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 3.2 -
Analisi dei fenomeni lenti nel progetto dei ponti dott. ing. Lorenzo Macorini
Legame σ-ε per il cls (per tensioni in esercizio) e Andamento delle deformazioni in un provino di cls soggetto ad una
modulo elastico secante Ec tensione che si mantiene costante nel tempo.
Per distinguere i vari meccanismi che determinano la viscosità del calcestruzzo, Neville (1981)
ha introdotto una nomenclatura usata ancora oggi: si definisce basic creep la deformazione
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 3.3 -
Analisi dei fenomeni lenti nel progetto dei ponti dott. ing. Lorenzo Macorini
dipendente dal tempo che si determina quando il calcestruzzo viene sollecitato in assenza di
scambio di umidità con l’ambiente (provini sigillati), mentre si definisce drying creep la
deformazione aggiuntiva rispetto al basic creep che si osserva quando lo stesso calcestruzzo
viene sollecitato in ambiente che consente l’essicamento. In tal modo la viscosità del
calcestruzzo è pari alla somma del basic creep e del drying creep. A differenza del basic creep, il
drying creep dipende dalle dimensioni e dalla forma dell’elemento strutturale per l’influenza che
esse hanno sullo sviluppo del processo d’essiccamento.
Il ritiro è infine la proprietà del calcestruzzo di variare nel tempo il proprio volume, quindi di
deformarsi, pur in assenza di tensioni applicate. Il ritiro presuppone una diminuzione di volume
legata al processo di diffusione dell’umidità dal materiale verso l’ambiente esterno. Questo
fenomeno può essere osservato ad esempio realizzando un provino di calcestruzzo e misurando
la deformazione assiale nel tempo εcs = εcs ( t, t s ) a partire dall’istante ts scelto come origine dei
tempi e generalmente assunto pari al tempo di indurimento del materiale.
Anche la deformazione da ritiro in un provino di calcestruzzo, come la deformazione viscosa,
risulta pari alla somma di due contributi: il ritiro da essiccamento (drying shrinkage) dovuto
essenzialmente al processo di diffusione dell’acqua presente nella pasta di cemento verso
l’ambiente esterno ed il ritiro endogeno o chimico (outogenous or endogeneous shrinkage) che
corrisponde ai cambiamenti in volume associati alle reazioni chimiche della pasta di cemento
durante il processo d’idratazione e non è influenzato dalle dimensioni dell’elemento strutturale.
La componente endogena rappresenta solo il 5% del ritiro da essiccamento nel caso di
calcestruzzo normale (NC), mentre per i calcestruzzi ad alta resistenza (HPC), realizzati con
rapporti acqua-cemento molto bassi ( a c < 0.35) questa componente assume valori simili al
contributo da essiccamento e deve essere considerata nei calcoli.
Lo studio dei fenomeni lenti del calcestruzzo viene usualmente condotto adottando la teoria della
viscoelasticità per valutare gli effetti prodotti dal creep ed assumendo una deformazione
anelastica per modellare il ritiro. La teoria della viscoelasticità si basa su due ipotesi
fondamentali:
− legame lineare tra sforzi e deformazioni;
Analisi dei fenomeni lenti nel progetto dei ponti dott. ing. Lorenzo Macorini
− indipendenza della deformazione e della tensione dall’andamento nel tempo della temperatura
e del contenuto d’acqua.
Con la prima ipotesi s’impone che ad ogni istante lo stato di tensione sia proporzionale alla
deformazione. Sperimentalmente si è rilevato che l’ipotesi di linearità è rispettata per tensioni sul
calcestruzzo inferiori a 0.4 f cm , essendo f cm la resistenza cilindrica media a compressione. La
linearità, inoltre, implica la validità del principio di sovrapposizione degli effetti (Boltzmann,
1874).
La seconda ipotesi, corretta nel caso di strutture di calcestruzzo massicce esposte ad una
temperatura costante, viene comunemente adottata nell’analisi di elementi strutturali di qualsiasi
forma e dimensione, in cui il contenuto d’acqua e la temperatura non varino notevolmente o
rapidamente nel tempo. La deformazione e la tensione in ciascuna fibra sono considerate quindi
funzionali della sola storia tensionale o deformativa. Con queste ipotesi sono stati formulati
modelli di tipo globale (CEB 1993), rappresentativi del comportamento medio sulla sezione
della struttura; tali modelli trascurano le variazioni locali di umidità e di temperatura e la
formazione delle microfessure. Recentemente sono state proposte delle formulazioni di tipo
locale, che tengono conto cioè delle variazioni locali di umidità e di temperatura (Bažant e
Baweja 1996), tali modelli però richiedono, per la loro definizione, una caratterizzazione di tipo
sperimentale. In altri termini, allo stato attuale non è possibile esprimere tali modelli in funzione
della composizione e della resistenza del calcestruzzo. Comunque i modelli di tipo globale
garantiscono risultati sufficientemente accurati nell’analisi di strutture convenzionali.
Impiegando un modello di tipo globale l’andamento nel tempo delle deformazioni totali εc(t)
dovute a viscosità e ritiro di un elemento in calcestruzzo soggetto a partire da un certo istante t0
da una tensione di compressione costante σc (t0) si può calcolare con la formula semplificata:
σ (t ) σ (t )
ε (t) = ⋅ [1 + ϕ ( t, t )] + ε ( t, t ) dove ε ( t, t ) =
c 0 c
⋅ ϕ ( t, t )
0
E (t ) E (t )
c 0 cs s vis 0 0
c 0 c 0
dove il termine ϕ(t,t0) rappresenta il coefficiente di viscosità che è funzione del tempo di carico
t0 e del tempo t al quale la deformazione viene calcolata. Il coefficiente ϕ rappresenta il rapporto
tra la tensione viscosa e la tensione istantanea elastica e il suo valore diminuisce al crescere di t0
ed aumenta al crescere dell’intervallo temporale (t-t0). Quando ad esempio t0 = 1 mese e t =
infinito, il coefficiente ϕ varia tra 2 e 4 in funzione della qualità del calcestruzzo, dell’umidità e
temperatura ambientale e delle dimensioni dell’elemento analizzato. Per il calcolo accurato
dell’evoluzione delle deformazioni nel tempo è necessario impiegare un adeguato modello di
previsione per la viscosità ed il ritiro.
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CEB 90, tale modello fornisce l’evoluzione nel tempo della resistenza a compressione, del
modulo di elasticità, del coefficiente di viscosità e della deformazione anelastica da ritiro.
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RH
1−
100 ; 5.3 1
ϕ RH = 1+ β ( f cm ) = ; β ( t0 ) =
0.46 ⋅ 3 h 0 h 0 f cm f cmo 0.1 + t 0.2
0
Calcolo delle deformazioni viscose per una storia tensionale variabile nel tempo
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Nei calcoli il coefficiente χ può essere ricavato da apposite tabelle e/o grafici e comunque può
generalmente assumere valori compresi tra 0.6<χ<0.9.
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La determinazione passo a passo della risposta de formativa per una determinata storia
tensionale (nota), viene ricavata suddividendo il periodo di analisi [ t 0 , t ] in un numero discreto
di istanti t 0 , t1 , ......, t i e nei rispettivi intervalli di tempo ∆t j = t j − t j−1 con j = 1, 2, ......., i , si
assume inoltre che la variazione di tensione venga applicata alla metà del generico intervallo j-
esimo. Per un incremento istantaneo di tensione si assume che l’intervallo temporale abbia
lunghezza nulla. Si definiscono tj-1/2, tj, tj+1/2 i valori degli istanti temporali rispettivamente
all’inizio, a metà e alla fine dell’intervallo j-esimo e si scrive l’equazione integrale come una
sommatoria finita:
i ⎡ 1 + ϕ ( t i+1 2 , t j ) ⎤
εc ( t i+1 2 ) = ∑ ⎢ ( ∆σc ) j ⋅ ⎥ + εcs ( t i+1 2 , t 0 )
i =1 ⎣ Ec ( t j ) ⎦
Nota la storia deformativa è possibile determinare la storia tensionale. L’incremento di tensione
al termine dell’intervallo i-esimo può essere determinato riscrivendo in modo opportuno
l’equazione riportata sopra:
1 + ϕ ( t i+1 2 , t i ) i −1 ⎡ 1 + ϕ ( t i+1 2 , t j ) ⎤
εc ( t i+1 2 ) = ( ∆σc )i ⋅ + ∑ ⎢( ∆σc ) j ⋅ ⎥ + εcs ( t i+1 2 , t 0 )
Ec ( t i ) i =1 ⎣ Ec ( t j ) ⎦
⎡ 1 + ϕ ( t i+1 2 , t j ) ⎞ ⎤
⎛ i−1 Ec ( t i )
( ∆σc )i = ⎢ εc ( t i+1 2 ) − εcs ( t i+1 2 , t 0 ) − ⎜ ∑ ( ∆σc ) j ⋅
⎟⎥ ⋅
⎢⎣ ⎝ i=1 Ec ( t j ) ⎠ ⎥⎦ 1 + ϕ ( t i+1 2 , t i )
Successive applicazioni dell’ultima equazione per i=1,2…., consentono di calcolare tutta la
i
storia tensionale: σc ( t i+1 2 ) = ∑ ( ∆σc ) j e di calcolare la funzione di rilassamento.
i =1
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σc ( t i+1 2 ) = εc r ( t i+1 2 , t 0 )
assumendo: εc=costante=1 è possibile calcolare r(t,t0) in funzione di Ec e ϕ.
L’acciaio sollecitato da una tensione superiore al 50% della sua resistenza manifesta un
comportamento viscoso. Nelle applicazioni correnti l’acciaio da precompressione è sollecitato ad
una tensione pari al 50%-80% della sua resistenza, pertanto se un tirante (cavo da
precompressione) viene allungato (teso) ed ancorato a due punti fissi la deformazione si
mantiene costante nel tempo mentre le tensioni descrescono progressivamente a seguito della
viscosità del materiale. Questo rilassamento delle tensioni di trazione determina le perdite di
tensione nei cavi da precompressione e in generale l’andamento delle tensioni nella sezione in
c.a.p.
L’effetto della viscosità (rilassamento dei cavi da precompressione) può essere valutato
mediante un apposito test di rilassamento. Il rilassamento valutato in caso di deformazione
costante (test a lunghezza costante) viene definito rilassamento intrinseco (intrinsic relaxation)
∆σpr e può essere valutato al generico tempo τ con l’espressione (impiegata diffusamente in USA
e Canada):
∆σ pr log ( τ − t 0 ) ⎛ σ p0 ⎞
=− ⎜ − 0.55 ⎟
σ p0 10 ⎝ f py ⎠
dove fpy rappresenta la tensione di snervamento (tensione in corrispondenza a εp=0.01) e (t-t0)
corrisponde al tempo in [ore] durante il quale il cavo viene teso e σp0 la tensione di trazione.
Il rilassamento intrinseco può essere stimato in accordo al MC 90 e all’EC2 impiegando i grafici
riportati nella figura che segue:
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 3.19 -
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∆σ pr∞
= −η ( λ − 0.4 )
2
oppure attraverso l’espressione:
σ p0
dove λ=σp0/fptk (con fptk = resistenza caratteristica) e η coefficiente adimensionale che dipende
dal tipo di acciaio. Per λ < 0.4 il rilassamento intrinseco è trascurabile.
un elemento che viene mantenuto a lunghezza costante) e questo a causa del ritiro e della
viscosità del calcestruzzo stesso. Nei calcoli dello stato tensione in elementi di c.a.p può essere
impiegato il valore:
∆σ pr = χ r ∆σ pr
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Le sezioni trasversali di travi da ponte sono generalmente costituite da più materiali con
caratteristiche reologiche differenti: calcestruzzo (gettato in più fasi), acciaio da
precompressione, acciaio per armature lente, acciaio strutturale (da carpenteria). In generale se
tutti i materiali che compongono la sezione fossero separati subirebbero deformazioni differenti
nel tempo anche se sollecitati dalla medesima tensione. In realtà, grazie all’aderenza, gli
scorrimenti tra le fibre di diverso materiale risultano nulli (le variazioni di deformazione sono
impedite) e quindi nascono delle tensioni interne il cui andamento nel tempo dipende dal ritiro e
dalla viscosità del calcestruzzo e dal rilassamento dell’acciaio.
Generalmente in una sezione di c.a.p si verifica una riduzione della tensione nei cavi da
precompressione, una riduzione della compressione nel calcestruzzo e un aumento delle tensioni
nelle barre lente.
Convenzioni:
N: sforzo assiale positivo se di
trazione;
M: momento flettente positivo se
tende le fibre inferiori.
Nel seguito si calcolano le variazioni nel tempo delle tensioni all’interno di sezioni trasversali
composte da più materiali sulla base delle seguenti ipotesi:
• le sezioni trasversali hanno un asse di simmetria e sono soggette a presso-flessione retta (lo
sforzo normale può essere dovuto a carichi esterni o a forze di precompressione);
• si assume perfetta aderenza tra acciaio e calcestruzzo;
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Per l’analisi delle tensioni, la sezione reale, composta da più materiali, viene trasforma in una
sezione fittizia omogeneizzata: l’area reale Ai e il momento di inerzia Ii della parte i-esima vanno
sostituiti con un’area (Ei/Eref)Ai e un momento d’inerzia (Ei/Eref)Ii fittizi, dove Eref è un modulo
elastico scelto come riferimento e corrisponde al modulo della sezione omogeneizzata.
Nell’analisi delle tensioni dovute a forze che agiscono nel tempo si impiega, per le parti di
calcestruzzo, il modulo fittizio al posto del modulo elastico.
Nei calcoli si assume come centro O, del sistema di riferimento nel piano della sezione, un punto
arbitrario sull’asse di simmetria della sezione stessa.
Per ogni fibra che dista y dall’origine O la deformazione ε vale:
ε = ε0 + ψy (εo = deformazione in corrispondenza della fibra in O, ψ=curvatura).
La corrispondente tensione vale:
σ = E i ( ε 0 + ψy )
integrando sulla sezione si ottiene:
N = ∫ σdA ; M = ∫ σydA
m m m m
N = ε0 ∑ E i ∫ dA + ψ ∑ E i ∫ ydA ; M = ε0 ∑ E i ∫ ydA + ψ ∑ E i ∫ y 2dA
i =1 i =1 i =1 i =1
(m numero di parti di diversi materiali di cui è composta la sezione).
m m m m
N = ε0 ∑ E i ∫ dA + ψ ∑ E i ∫ ydA ; M = ε0 ∑ E i ∫ ydA + ψ ∑ E i ∫ y 2dA
i =1 i =1 i =1 i =1
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−1
⎡ A B⎤ 1 ⎡ I − B⎤ ⎧ε ⎫ 1 1 ⎡ I − B⎤ ⎧ N ⎫
con ⎢ ⎥ = si ha ⎨ o ⎬ = ⎥⎨ ⎬
⎣B I ⎦ ( AI − B ) ⎢⎣ − B A ⎥⎦
2 2 ⎢
⎩ ψ ⎭ E ref ( AI − B ) ⎣ − B A ⎦ ⎩ M ⎭
Calcolo dei valori iniziali (all’atto dell’applicazione del carico esterno e/o precompressione)
• si combina l’effetto delle azioni esterne con l’azione da precompressione:
⎧N⎫ ⎧ N − ∑ Pi ⎫
⎨ ⎬ =⎨ ⎬ (si ipotizza che la precompressione avvenga in una sola fase)
⎩ M ⎭eq. ⎩ M − ∑ Pi y psi ⎭
• si calcola il valore istantaneo delle deformazioni, al tempo t0:
⎧εo ( t 0 ) ⎫ 1 ⎡ I − B⎤ ⎧ N ⎫
⎨ ⎬= 2 ⎢ ⎥ ⎨ ⎬ (A, B, I vanno valutati al tempo t0)
⎩ ψ ( t 0 ) ⎭ E ref ( AI − B ) ⎣ − B A ⎦ ⎩ M ⎭eq.
• si calcolano le tensioni istantanee, al tempo t0:
σc ( t 0 ) = [ E c ( t 0 )]i [ εo ( t 0 ) + ψ ( t 0 ) y ] (tensione sull’elemento i-esimo di calcestruzzo)
σ ns ( t 0 ) = E ns [ εo ( t 0 ) + ψ ( t 0 ) y ns ] (tensione sull’elemento i-esimo di acciaio lento)
σ ps ( t 0 ) = ( σ ps )iniz. + E ps ⎡⎣ ε o ( t 0 ) + ψ ( t 0 ) y ps ⎤⎦ (tensione sull’elemento i-esimo di acciaio preteso)
dove ( σ ps )iniz. è la tensione nell’acciaio preteso prima del contatto con il calcestruzzo mentre
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⎧ ∆N ⎫ ⎧ ∆N ⎫ ⎧ ∆N ⎫ ⎧ ∆N ⎫
⎨ ⎬=⎨ ⎬ +⎨ ⎬ +⎨ ⎬
⎩ ∆M ⎭ ⎩ ∆M ⎭ vis ⎩ ∆M ⎭rit ⎩ ∆M ⎭ril
Se nel periodo (t-t0) il calcestruzzo fosse libero di deformarsi, per effetto della viscosità le
deformazioni aumenterebbero delle quantità εc(t0)ϕ(t,t0) e ψ(t0)ϕ(t,t0), pertanto le forze
necessarie ad annullare tali variazioni di deformazione valgono:
⎧ ∆N ⎫ m
⎧ ⎡ Ac Bc ⎤ ⎧εo ( t 0 ) ⎫ ⎫
⎨ ⎬ = − ∑ ⎨ Ecϕ ⎢ ⎨ ⎬⎬ il pedice i si riferisce all’i-esima parte in calcestruzzo.
⎩ ∆M ⎭ vis i =1 ⎩ ⎣ Bc I c ⎦⎥ ⎩ ψ ( t 0 ) ⎭ ⎭i
Le forze necessarie ad impedire le deformazioni da ritiro valgono:
⎧ ∆N ⎫ m
⎧ ⎡ Ac ⎤ ⎫
⎨ ⎬ = − ∑ ⎨ E c εcs ⎢ ⎥ ⎬ il pedice i si riferisce all’i-esima parte in calcestruzzo.
⎩ ∆M ⎭rit i =1 ⎩ ⎣ Bc ⎦ ⎭i
Mentre le forze necessarie per impedire le deformazioni dovute al rilassamento dell’acciaio
preteso valgono:
⎧ ∆N ⎫ ⎧ A ps ∆σ pr ⎫
⎨ ⎬ = ∑⎨ ⎬ il pedice i si riferisce all’i-esima fila di cavi pretesi.
⎩ ∆M ⎭ril ⎩ A ps y ps ∆σ pr ⎭i
Successivamente tali forze ∆N e ∆M vengono rimosse mediante l’applicazione di forze uguali e
contrarie sulla sezione composta e si calcolano gli incrementi di deformazione cercati:
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⎧ ∆εo ⎫ 1 ⎡ I − B⎤ ⎧ −∆N ⎫
⎨ ⎬= ⎥⎨ ⎬
(
2 ⎢
)
⎩ ∆ψ ⎭ E ref AI − B ⎣ − B A ⎦ ⎩ −∆M ⎭
dove tutte le quantità inerziali (area, momento statico, momento di inerzia) sono valutate
introducendo i moduli efficaci per le parti di calcestruzzo.
La variazione delle tensioni ∆σc nel calcestruzzo al tempo t saranno pari alla somma delle
tensioni σimp dovute alla viscosità e al ritiro “impediti”:
σimp = − E c ( t, t 0 ) [ϕ ( t, t 0 ) εc ( t, t 0 ) + εcs ]
con le tensioni dovute agli incrementi ∆εo, ∆ψ
∆σc = σimp + E c ( t, t 0 ) [ ∆εc + y∆ψ ] .
Nell’acciaio non preteso si ha una variazione di tensione: ∆σ ns = E ns [ ∆εc + y ns ∆ψ ] .
Mentre la variazione di tensione nell’acciaio preteso vale: ∆σ ps = ∆σ ps + E ps ⎡⎣ ∆εc + y ps ∆ψ ⎤⎦ .
Tensioni e deformazioni dovute ad una variazione di temperatura non lineare (nella sezione)
Il calcolo delle deformazioni dovute a variazioni termiche può essere condotto con la stessa
formulazione adottata per il calcolo degli effetti di viscosità, ritiro e rilassamento.
Si considera una variazione di temperatura T(y) con andamento qualsiasi nella sezione.
E’ utile ricordare come una variazione uniforme o lineare di temperatura produca, nel caso di strutture isostatiche, solo una
variazione delle deformazioni mentre risulta nullo l’incremento di tensione.
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Es 3.1: Calcolo dell’andamento nel tempo (t-t0) delle tensioni in una sezione in c.a.p con cavi post-tesi
Al tempo t0
⎛N⎞ ⎛ −P ⎞ ⎛ N ⎞ ⎛ −1400 ⎞ ⎛ kN ⎞
⎜ := ⎜ ⎜ =⎜ ⎜
⎝M⎠ ⎝ MGk − P ⋅ 0.45 ⎠ ⎝ M ⎠ ⎝ −240 ⎠ ⎝ kNm ⎠
Caratteristiche meccaniche
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Calcestruzzo:
Bc0 := 1.2 ⋅ 0.3 ⋅ 0 − 3000 ⋅ 10 − 6 ⋅ 0.45 − 1500 ⋅ 10 − 6 ⋅ 0.55 + 1000 ⋅ 10 − 6 ⋅ 0.55 Bc0 = −1.625 × 10 − 3 m3
1 3 −6 2 −6 2 −6 2 4
Ic0 := ⋅ 0.3 ⋅ 1.2 − 3000 ⋅ 10 ⋅ 0.45 − 1500 ⋅ 10 ⋅ 0.55 − 1000 ⋅ 10 ⋅ 0.55 Ic0 = 0.0418 m
12
Ac0 := Ac0 ⋅ 10 6 Bc0 := Bc0 ⋅ 10 9 Ic0 := Ic0⋅ 10 12
Ips0 := 0 m4
A0 := ⎜
⎛ Ac0⋅ Ec0 + Ans0⋅ Ens + Aps0 ⋅ Eps ⎞ A0 = 3.712 × 10 5 mm2
⎝ Eref0 Eref0 Eref0 ⎠
I0 := ⎜
⎛ Ic0⋅ Ec0 + Ins0⋅ Ens + Ips0⋅ Eps ⎞ I0 = 4.688 × 10
10
mm
4
⎝ Eref0 Eref0 Eref0 ⎠
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Tensioni nella fibra superiore σt0t e inferiore σt0b della sezione di calcestruzzo
Calcestruzzo:
Ec0
Ectt0 := Ectt0 = 8.824 × 10 3 MPa
1 + χ ⋅ φtt0
Ereft := Ectt0 (modulo elastico di riferimento al tempo t)
Act := Ac0
Bct := Bc0
Ict := Ic0
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Calcolo delle forze fittizie dovute alla viscosità al ritiro e al rilassamento impediti:
tensioni nella fibra superiore ∆σctt e inferiore ∆σctb della sezione di calcestruzzo
⎛ ∆εt0 ⎞
∆σpstt := ∆σpr + Eps ⋅ ( 1 450 ) ⋅ ⎜ ∆σpstt = ( −185.76 ) MPa
⎝ ∆ψ t0 ⎠
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3.3. Andamento nel tempo delle sollecitazioni in strutture iperstatiche non omogenee
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Esempio. Con riferimento allo schema statico riportato nella figura precedente, consideriamo ad esempio il caso di tre travi
prefabbricate, precompresse e messe in posizione al tempo t0 e rese continue subito dopo. Le deformazioni istantanee al
tempo t0 sono dovute al peso proprio e si calcolano in uno schema in semplice appoggio impiegando un modulo elastico
Ec(t0). Ulteriori deformazioni si sviluppano nel tempo per effetto della viscosità. Le deformazioni angolari in B e C devono
essere compatibili pertanto le azioni interne varieranno nel tempo (variazione dei momenti flettenti in B e C nel tempo).
Per il calcolo della variazione delle azioni interne {∆A} dovute ai fenomeni lenti è necessario
considerare gli effetti di viscosità, ritiro, rilassamento ed eventuali cedimenti differenziali. Si
impiega lo stesso schema di calcolo introducendo le modifiche specificate nel seguito.
Nello Step 2 vanno calcolate le deformazioni viscose associate ai carichi esterni {D}car , alle
perdite di pretensione {D}ril , al ritiro {D}rit e ai cedimenti vincolari {D}ced :
{D} = {D}car + {D}ril + {D}rit + {D}ced
• Le deformazioni viscose associate ai carichi esterni {D}car vanno calcolate sommando agli
effetti dovuti all’eventuale carico da precompressione, applicato al tempo t0 ed assunto costante
fino al tempo t (tempo di fine analisi), il contributo dovuto ai carichi permanenti. Nel calcolo
delle deformazioni viscose i valori istantanei vanno moltiplicati per il coefficiente di viscosità
ϕ(t,t0); se il carico viene applicato al tempo t0 mentre la continuità al tempo t1 > t0 va introdotto
il coefficiente di viscosità [ ϕ ( t, t 0 ) − ϕ ( t1 , t 0 )] con t > t1.
• {D}ril rappresenta lo spostamento dovuto alla viscosità e alla perdita di pretensione nei cavi da
precompressione nel tempo t-t0. La perdita di pretensione (schematizzabile con una forza di
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 3.43 -
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Nello Step 3 si calcola la matrice di flessibilità “age adjusted” ⎡⎣ f ⎤⎦ , ogni termine f ij rappresenta
il valore dello spostamento istantaneo e viscoso in corrispondenza in corrispondenza dell’i-
esimo vincolo rimosso dovuto alla forza Fj=1 che si sviluppa gradualmente nel tempo t-t0.
Pertanto nel calcolo degli spostamenti si impiega il modulo efficace per il calcestruzzo:
E c ( t, t 0 )
E c ( t, t 0 ) =
1 + χϕ ( t, t 0 )
Nello Step 4, applicando le equazioni di congruenza, si calcolano gli incrementi delle reazioni
iperstatiche {∆F} :
⎡⎣ f ⎤⎦ {∆F} = − {∆D}
La procedura generale che consente di calcolare la variazione delle azioni interne in strutture
iperstatiche si completa in due fasi: nella prima fase vengono calcolate le azioni interne
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 3.44 -
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considerando le forze applicate al tempo t0 e assunte costanti per tutto il periodo t-t0, mentre
nella seconda fase sono calcolati gli incrementi di forze dovute ai fenomeni lenti. Le azioni finali
al tempo t si calcolano sommando i due contributi.
Per il calcolo degli abbassamenti possono essere impiegate le azioni interne calcolate mediante
questa procedura però bisogna considerare il contributo dell’armatura decisivo per un calcolo
accurato delle deformazioni assiali e delle curvature che determinano gli spostamenti lungo la
struttura.
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Es 3.2: Calcolo dell’andamento delle sollecitazioni in una trave continua costruita in due fasi.
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dove Fist è il valore della reazione o della forza interna provocata dal cedimento δ applicato
istantaneamente al tempo t0.
• Se il cedimento si sviluppa gradualmente nel tempo: al tempo t0 δ=0 e al tempo t1 > t0 δ=δ.
I valori delle reazioni vincolari e delle sollecitazioni lungo la struttura agli istanti t1 e t2 > t1
possono essere calcolati con le espressioni:
1 ⎛ E ( t ) ϕ ( t 2 , t e ) − ϕ ( t1 , t e ) ⎞
F ( t1 ) = Fist ; F ( t 2 ) = F ( t1 ) ⎜ 1 − c 1 ⋅
1 + χϕ ( t1 , t 0 ) ⎝ Ec ( t e ) 1 + χϕ ( t 2 , t1 ) ⎟⎠
dove te è un istante temporale t0 > te > t1 che può essere calcolato risolvendo l’equazione per
tentativi:
1 1
[1 + ϕ ( t1 , t e )] = [1 + χϕ ( t1 , t 0 )]
Ec ( t e ) Ec ( t 0 )
il tempo te è tale per cui una forza applicata al tempo te e mantenuta costante fino a t1 > te
produce nella struttura uno spostamento uguale a quello provocato dalla medesima forza
applicata gradualmente dal tempo t0 al tempo t1.
Per chiarire le espressioni precedenti consideriamo la trave su tre appoggi riportata nella figura
precedente. Un cedimento istantaneo δ produce una reazione in B Fist pari a:
6
Fist = ⎛⎜ 3 E c ( t 0 ) I c ⎞⎟ δ
⎝l ⎠
Sotto l’effetto della forza F (t1) la viscosità “libera” produce un incremento di spostamento:
⎛ l3 ⎞
∆δ = ⎜ ⎟ F ( t1 ) [ ϕ ( t 2 , t e ) − ϕ ( t1 , t e ) ]
⎝ 6E c ( t e ) I c ⎠
Nell’equazione precedente si assume che la forza F(t1) risulta applicata ad un istante t0 > te > t1.
Poiché il cedimento δ non cambia nel periodo t2-t1 per congruenza nasce un incremento di forza
reattiva:
⎛ l3 ⎞ E c ( t1 )
∆δ + ⎜ ⎟ ∆F = 0 con E c ( t 2 , t1 ) =
⎝ 6E c ( t 2 , t1 ) I c ⎠ 1 + χϕ ( t 2 , t1 )
⎛ E ( t ) ϕ ( t 2 , t e ) − ϕ ( t1 , t e ) ⎞
La forza al tempo t2 vale pertanto: F ( t 2 ) = F ( t1 ) + ∆F = F ( t1 ) ⎜ 1 − c 1 ⋅
⎝ Ec ( t e ) 1 + χϕ ( t 2 , t1 ) ⎟⎠
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Riferimenti bibliografici
• Concrete Structures - Stresses and Deformation. A Ghali, R Favre and M Elbadry (Third
Edition, Spon Press, 2002).
• CEB-FIP Model Code 90. CEB Bull. No. 213/214. Comité Euro-International du Béton (1993,
Lausanne).
Nel caso di elementi strutturali soggetti a carichi mobili (travi da ponte) interessa conoscere
come varia un determinato effetto provocato dai carichi (ad es. il momento in una data sezione)
al variare della posizione di questi e, in modo particolare, il valore massimo raggiunto da tale
effetto e la corrispondente posizione dei carichi. La prima questione si studia mediante le linee di
influenza (Winkler, Mohr 1868), la seconda mediante i diagrammi delle massime e minime
sollecitazioni.
Si considera una struttura comunque vincolata e sollecitata da un carico P
agente in una sezione qualsiasi di ascissa x. Si ammette che il carico si sposti
mantenendosi parallelo ad una data direzione (ad es. verticale). Se si
considera una generica sezione S di ascissa xs, una qualsiasi grandezza G
(sollecitazione, reazione, spostamento ecc.) sarà descritta da una funzione:
G = G(x, x s , P)
- xs variabile: si hanno i diagrammi di stato della grandezza considerata
(diagrammi delle caratteristiche della sollecitazione N, T, M, deformata
elastica ecc.).
- x variabile: è il caso delle linee di influenza (l.d.i)
- x e xs variabili: si ottiene la funzione di influenza della grandezza in esame
che descrive l’andamento della l.d.i. al variare della posizione di S.
1
Le linee di influenza hanno le dimensioni di una “grandezza” diviso una forza per cui si ha:
l.d.i. dei momenti M [F][L]/[F] = [L]
l.d.i. di N e T [F]/[F] = num. piro
l.d.i. degli abbassamenti [L]/[F]
Mediante una linea di influenza si può valutare l’effetto provocato da carichi mobili di varia
specie: un carico unitario, un carico P, un gruppo di carichi P1, P2, …, Pn, un carico ripartito
totale o parziale di intensità uniforme o varia. Inoltre si determinano le condizioni di carico che
rendono l’effetto massimo o minimo e si valutano i corrispondenti valori dell’effetto.
∑P ⋅η .
i =1
i i
G = ∫ q ( x )dx ⋅ η
x1
G = q ∫ ηdx = q ⋅ Ω x1,x 2
x1
Quando una l.d.i ha dei tratti con ordinate positive e dei tratti con
ordinate negative essa mostra per quali posizioni del carico l’effetto
è positivo e negativo. Inoltre essa determina quali zone si devono
supporre caricate e quali non caricate per rendere l’effetto massimo o
minimo (massimo negativo). Così se la trave è percorsa da un carico
uniforme, l’effetto diventa massimo o minimo caricando come in
figura: Gmax = qΩ2; Gmin = - q(Ω1+Ω3).
2
Quest’area si deve calcolare ricordando che l’ascissa x è una lunghezza da leggere nella scala del disegno, e che le ordinate η possono essere delle forze, dei momenti o delle
lunghezze, ma in una scala che può essere diversa da quella di x.
Casi semplici: travi isostatiche caricate con un carico concentrato P=1. Le linee di influenza
delle caratteristiche della sollecitazione N, T, M in una sezione qualsiasi sono costituite da una o
più rette.
l−x
M s ( x, x s ) = ⋅ x s − [1 ⋅ ( x s − x )] per x < xs
l
l−x
M s ( x, x s ) = ⋅ x s per x > xs
l
Trave a mensola
l.d.i del taglio T della sezione S.
T = 0 per x < xs
T = 1 per x > xs
Esempi di calcolo
Momento massimo in S
dovuto ad un sistema di
carichi P1 e P2 che
viaggiano mantenendosi a
distanza costante d.
Esempio di calcolo
Disegnare le l.d.i di T ed M
per una sezione S.
Le travi reticolari
I carichi gravano generalmente sopra un’impalcatura che è sostenuta dalla trave reticolare in corrispondenza dei nodi e che
trasmette a questa i carichi concentrati in corrispondenza dei nodi. Perciò la trave è soggetta a carico indiretto.
Si considera l’effetto di un carico che sta nel campo (in corrispondenza della sezione di Ritter σ) dell’asta analizzata,
distinguono tre casi:
(i) asta o di un corrente con polo m’ che sta a destra della sezione σ (carico indiretto).
(ii) asta u di un corrente con polo m che sta sotto la traversa (carico diretto).
(iii) asta d di parete (carico indiretto).
In una trave reticolare si ha sempre che lo sforzo S in un’asta è proporzionale al momento Mm rispetto al polo m dell’asta.
Perciò come linea di influenza dello sforzo S si può impiegare la stessa linea Mm purché il momento Mm calcolato per mezzo
di essa si divida per la distanza rm di m dall’asta.
Linea Ts:
Se θ è l’angolo che la sezione S forma con la verticale, quando P=1 è a destra di S si ha:
TS = 1 ⋅ cos θ − H se n θ = senθ ⋅ ⎜ 1 ⋅ ctgθ − H ⎞⎟ .
⎛
b b
l ⎝ l ⎠
Quando P=1 è a sinistra di S, si ha invece: TS = 1 ⋅ cos θ − H se n θ − 1 ⋅ cos θ = senθ ⋅ ⎛⎜ 1 ⋅ ctgθ − H − 1 ⋅ ctgθ ⎞⎟
b b
l ⎝ l ⎠
Esempi di calcolo
I metodi diretti per il tracciamento delle l.d.i scaturiscono dall’analisi diretta dei casi che si
considerano e variano da caso a caso. La teoria generale consente invece di ottenere le l.d.i. con
metodi generali (Krohn 1884, Mohr 1885, Land 1887), validi per qualunque tipo di trave, che
riducono il problema alla costruzione di speciali linee elastiche o deformate dell’asse
geometrico, corrispondenti a determinate condizioni. Le linee di influenza di spostamenti si
ottengono mediante un metodo generale fondato sul teorema di Maxwell3, mentre le linee di
influenza delle sollecitazioni Ms, Ts, Ns in una sezione S delle reazioni dei vincoli della trave si
ottengono, in generale, mediante un metodo fondato sul teorema di Land il quale è a sua volta
una conseguenza del teorema di reciprocità di Betti4.
3
Dato un corpo elastico di forma qualsiasi avente i vincoli esterni rigidi oppure cedevoli elasticamente,
supponendo valida la sovrapposizione degli effetti, consideriamo un primo sistema di forze costituito da una sola
forza Pa=1 agente in un punto a e in una direzione α, e un secondo sistema costituito da una sola forza Pb=1 agente
in un punto b e in una direzione β. Se indichiamo con δab lo spostamento di a avalutato nella direzione α
provocato dalla forza unitaria Pb e con δba lo spostamento di b avalutato nella direzione β provocato dalla forza
unitaria Pa per il teorema di reciprocità (Betti) di ha: Pa ·δab = Pb· δba da cui δab = δba.
Lo spostamento di un punto a valutato nella direzione α e dovuto ad una forza unitaria agente in un punto b
secondo una direzione β è uguale allo spostamento di b valutato nella direzione β e dovuto ad una forza unitaria
agente in a secondo la direzione α.
4
Il lavoro indiretto che compie un sistema di forze A) già applicato ad un corpo elastico durante l’applicazione di
un sistema di forze B) è uguale al lavoro indiretto che compirebbe il sistema B) se fosse già applicato allo stesso
corpo elastico durante l’applicazione del sistema A).
ηs ηps= ηsp
ηps= ϕsp
ϕsp
La l.d.i influenza di uno spostamento ηs, ξs, ϕs è dunque ricondotta alla costruzione di una linea
elastica relativa ad una forza P=1 verticale, od orizzontale, o a una coppia M=1 applicata in S
alla stessa trave coi suoi vincoli invariati.
5
Se la trave è curva nel qual caso ogni punto dell'asse subisce in generale uno spostamento obliquo δs, si può tracciare in
modo analogo la linea di influenza dello spostamento verticale ηs e quello dello spostamento orizzontale ξs del baricentro di
una sezione provocati da un carico verticale P=1 viaggiante sulla trave. Infatti, se poniamo una forza P=1 verticale in S e
tracciamo il diagramma degli spostamenti verticali di tutti i punti dell’asse, un’ordinata di questo, letta sotto un punto C,
rappresenta per costruzione lo spostamento verticale ηcs di C provocato da P=1 verticale posta in S; quindi (Maxwell)
rappresenta anche lo spostamento verticale ηsc di S provocato da P=1 verticale posta in C. Ossia tale diagramma è anche la
l.d.i cercata.
Esempi di calcolo:
Linee di influenza di Ts e Ms
Le l.d.i per Ts e Ms si ottengono direttamente dalla l.d.i per la reazione A:
Linee di influenza di Ts e Ms
Consideriamo una sezione S nella prima campata. Quando P=1 agisce a destra
o a sinistra si ha rispettivamente:
Ts=A, Ts=A-1
Quindi nel tratto SB la linea Ts è data dalla stessa linea A, mentre nel tratto AS
è data dalla linea A riferita alla parallela per A1 alla A1’B1.
Se xs è l’ascissa di S, quando P=1 è a destra o a sinistra di S si ha
rispettivamente:
Ms=A·xs, Ms=A·xs - 1·x’’ = xs· (A - 1·x’’/ xs)
Quindi vale quanto detto per il caso di trave appoggiata incastrata.
Teorema di Land:Le linee di influenza delle sollecitazioni M, T, S in una sezione S di una trave
coincidono coi diagrammi dei spostamenti verticali h* dei punti dell’asse geometrico nelle
distorsioni che risultano tagliando la trave in S e applicando alle due facce due sistemi uguali e
contrari di forze fittizie, scelte rispettivamente in modo da produrre soltanto una rotazione
relativa ϕ − ϕ = 1 , uno spostamento relativo τ − τ = 1 o ν − ν = 1 .
s
*
d
*
s
*
d
*
s
*
d
*
Osservazioni:
- se la trave che si studia è isostatica, i due tronchi che
si ottengono tagliandola nella sezione S risultano
labili, e possiedono tre gradi di libertà di movimento
relativo. Pertanto manifestano un moto relativo di
tipo rigido (non elastico) e le l.d.i sono caratterizzate
da tratti rettilinei.
Per la verifica di una struttura (trave) sollecitata da un ben determinato sistema di carichi
mobili è utile conoscere i digrammi dei valori massimi e minimi che le sollecitazioni possono
raggiungere in ogni sezione. Diagrammi che consentono di dimensionare tutte le sezioni della
struttura in base alle sollecitazioni più gravose che in esse possono verificarsi e di assicurare così
in ogni caso la resistenza della struttura.
⎧ ⎛l ⎞ P ⋅ x 's Tmin = g ⋅ ⎛⎜ − x s ⎞⎟ −
l P ⋅ xs
⎪⎪Tmax = g ⋅ ⎜⎝ 2 − x s ⎟⎠ + l , ⎝2 ⎠ l
⎨
⎪ M = g ⋅ x s ⋅ x 's + P ⋅ x s ⋅ x ' s , M min =
g ⋅ x s ⋅ x 's
⎪⎩ max 2 l 2
Trave appoggiata percorsa da un carico uniforme (che può occupare la trave in tutto o in parte).
Diagrammi di Tmax e Tmin
Ogni carico agente a destra di S contribuisce a produrre TS positivo, mentre
ogni carico a sinistra di S produce TS negativo. Perciò il massimo valore di TS
si ottiene caricando il più possibile a destra e niente a sinistra ossia estendendo
il carico da S a B. Il valore minimo di TS si ottiene caricando da A ad S:
q ⋅ x 's ⋅ x 's 2 q ⋅ x 's 2 q ⋅ xs2
Tmax = A = = , Tmin = − B =
l 2l 2l
⎧ ⎛ l − x ⎞ + q ⋅ x 's , Tmin = g ⋅ ⎛⎜ − x s ⎞⎟ −
q ⋅ xs2
2
l
⎪⎪ T = g ⋅ ⎜ ⎟
⎝2 ⎠ ⎝2 ⎠
max s
2l 2l
⎨
⎪M = ( g + q ) ⋅ x ⋅ x ' g ⋅ x s ⋅ x 's
s s
, M min =
⎪⎩ max 2 2
Il taglio TS può essere massimo solo quando uno dei carichi si trova su S,
solitamente quando su S si trova il primo carico e gli altri tutti a destra
(situazione normale).
Per calcolare il diagramma di Tmax si può procedere per punti ovvero calcolare
il Tmax per varie sezioni S assumendo che il taglio massimo si verifica nella
situazione normale:
Tmax = A = ∑ Pi ⋅ bi l
Il momento MS può essere massimo solo quando uno dei carichi si trova su S,
ciò riduce il problema della determinazione di Mmax a pochi tentativi.
Facendo variare la posizione (x,y) del carico si otterrà una superficie che potrà essere
descritta tramite tabelle o curve di livello6.
Sfruttando il principio di sovrapposizione degli effetti, come per le l.d.i, si può valutare
facilmente l’entità di una grandezza G (tensione, spostamento ecc.) dovuta ad un insieme di
carichi:
i) per più carichi concentrati Pi: G ( x , y ) = ∑ P ( x, y ) ⋅ Γ ( x, y;x , y ) ; 0 0 i 0 0
i
6
L’utilizzazione pratica delle superfici di influenza è legata al fatto che esse sono le stesse per piastre di dimensioni diverse purché aventi lo stesso rapporto dei lati.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 4.30 -
I carichi mobili: linee di influenza dott. ing. Lorenzo Macorini
Riferimenti bibliografici
• Scienza delle Costruzioni – Vol.2. O. Belluzzi (Zanichelli, 1942).
• Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
M. P. Petrangeli (IV edizione, MASSON, 1997).
5.1. Gli effetti locali nel calcolo delle solette di travi da ponte
Un’analisi rigorosa della risposta strutturale di impalcati da ponte comporta uno studio del
comportamento tridimensionale della struttura stessa, oggi possibile ad esempio mediante
opportune schematizzazioni agli elementi finiti. Spesso però conviene effettuare un calcolo
semplificato (sempre necessario in fase di predimensionamento), basato sulla definizione dei
meccanismi resistenti principali e sullo studio di problemi generalmente monodimensionali o, al
limite, bidimensionali.
In quest’ottica assume particolare importanza l’analisi degli effetti locali ovvero lo studio
delle problematiche che stanno alla base del dimensionamento degli elementi strutturali (le
solette: piastre in c.a. o in c.a.p, piastre ortotrope in acciaio) su cui agiscono direttamente i
carichi dovuti ai veicoli in transito. Esse corrispondono praticamente alle parti dell’impalcato
che fungono da supporto per la pavimentazione stradale (massicciata ferroviaria).
Nel passato tali elementi erano indipendenti dalla struttura principale su cui gravavano
come carichi permanenti (vedi figura precedente), mentre nei moderni impalcati da ponte, essi
sono indispensabili non solo nel sopportare localmente i carichi e nel trasferirli alle strutture
resistenti principali (percorso a), ma anche collaborano con queste per riportare i carichi sugli
elementi verticali di appoggio (percorso b).
Gli effetti locali propriamente detti si riferiscono alla prima funzione sopra menzionata e
corrispondono prevalentemente a delle sollecitazioni flessionali che interesseranno la soletta
localmente, in prossimità delle superfici direttamente interessate dal carico accidentale (impronta
di carico).
Generalmente il calcolo degli effetti locali si conduce in due fasi:
i) Nella prima fase si analizza la soletta, modellata come elemento bidimensionale,
ipotizzando inizialmente nulli gli spostamenti in corrispondenza delle strutture principali
(travi, traversi ecc.) Nel caso di ponti a travata o a cassone la soletta può essere trattata
come una piastra orizzontale vincolata elasticamente alle anime delle travi che risultano
impegnate flessionalmente in un piano ortogonale al loro asse. Con questo schema si
valutano quindi azioni flessionali e taglianti sia per la soletta che per le travi principali.
ii) Dopo aver calcolato le reazioni ai vincoli fittizi e aver quindi riportato i carichi sulle
strutture principali, travi longitudinali e trasversali (se presenti), si rimuovono i vincoli
provvisori e si effettua il calcolo della struttura principale caricata con le reazioni
vincolari appena determinate e cambiate di segno.
Tensioni normali nella soletta dovuti alla flessione nella trave principale.
In questa seconda fase nella piastra di impalcato si avranno principalmente sforzi normali
nel piano, funzionando essa, o una sua parte detta “larghezza efficace” da corrente per la trave
stessa. Si avranno anche ulteriori sforzi di flessione e taglio dovuti all’abbassamento
differenziale delle anime delle strutture principali per carichi non simmetrici causati dalla perdita
di forma della sezione e che andranno sommati alle sollecitazioni calcolate nelle fasi precedenti.
Sollecitazioni flessionali dovute alla perdita di forma della sezione trasversale per
effetto di carichi non simmetrici.
Le solette di impalcati da ponte sono generalmente costituite da piastre in c.a. (c.a.p) nel
caso di ponti in c.a. o c.a.p o in struttura mista acciaio-calcestruzzo, oppure da piastre ortotrope
interamente di acciaio.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 5.6 -
Analisi degli effetti locali dott. ing. Lorenzo Macorini
Impalcati composti acciaio-calcestruzzo: una soletta in c.a. (c.a.p) costituisce il supporto per la pavimentazione.
Impalcati di solo acciaio: una piastra ortotropa in acciaio riceve direttamente le azioni dovute al transito dei veicoli.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 5.7 -
Le solette in cemento armato sono impiegate negli impalcati da ponte in c.a.p o in strutture
miste acciaio-calcestruzzo e generalmente sostengono una pavimentazione in conglomerato
bituminoso dello spessore di 8÷10 cm. Nel calcolare gli effetti dovuti ai carichi accidentali
associati al transito di mezzi pesanti si considera una diffusione a 45° dell’impronta di carico
fino al piano medio della piastra.
Per impronte rettangolari a0xb0 si ottiene una superficie caricata
di calcolo:
a = a0 + 2S1 + S; b = b0 + 2S1 + S
Per impronte circolari di raggio r0 l’impronta di calcolo, tenendo
conto della diffusione attraverso la sola struttura resistente, si può
calcolare attraverso la teoria di Westergaard valida per piastre
isotrope:
r =2[(0.4r02 + S2)1/2 - 0.675S] per r0 ≤ 3.45S
A parte deve essere poi calcolata la diffusione attraverso la
pavimentazione.
Dopo aver definito le superfici di carico è possibile eseguire il calcolo degli effetti locali
tramite due differenti approcci che permettono di ricondurre il problema generale
tridimensionale a dei problemi piani:
i) modello a piastra;
ii) modello a telaio.
Modello a piastra
Nel calcolo degli effetti locali mediante una schematizzazione a piastra si analizza la
porzione di soletta direttamente caricata tenendo conto della presenza del resto della struttura:
soletta adiacente, travi e traversi, attraverso una scelta opportuna delle condizioni di vincolo.
Una volta definiti i vincoli al contorno, il problema del calcolo degli effetti locali
corrisponde all’analisi di una piastra rettangolare.
Equazione differenziale della superficie elastica:
d4 w d4w d 4 w q ( x, y )
4
+2 2 2 + 4 =
dx dx dy dy D
E ⋅s 3
∞ ∞
⎛ mπx ⎞ ⎛ nπx ⎞
q ( x, y ) = ∑∑ q mn sin ⎜ ⎟ sin ⎜ ⎟
m =1 n =1 ⎝ a ⎠ ⎝ b ⎠
4 a b
⎛ mπx ⎞ ⎛ nπx ⎞
q mn = ∫ ∫ q ( x, y ) sin ⎜ ⎟ sin ⎜ ⎟ dxdy
ab 0 0 ⎝ a ⎠ ⎝ b ⎠
1 ∞ ∞ q mn ⎛ mπx ⎞ ⎛ nπx ⎞
w = 4 ⋅ ∑∑ sin ⎜ ⎟ sin ⎜ ⎟
π D m=1 n =1 ⎛ m 2 n 2 ⎞ ⎝ a ⎠ ⎝ b ⎠
+
⎜ a 2 b2 ⎟
⎝ ⎠
Alternativamente le tensioni interne e l’inflessione w in piastre non irrigidite possono essere calcolate con un metodo
tabellare in funzione di specifici coefficienti:
kw è il coefficiente per l'inflessione della piastra appropriato alle condizioni al contorno della piastra fornite nei prospetti dei
dati.
kσbx è il coefficiente per la tensione flessionale σbx della piastra appropriato alle condizioni al contorno della piastra fornite
nei prospetti dei dati.
kσby è il coefficiente per la tensione flessionale σby della piastra appropriato alle condizioni al contorno della piastra fornite
nei prospetti dei dati.
Si definiscono: q: valore di progetto del carico applicato (rappresenta il valore della risultante)
a: lato corto della piastra.
b: lato lungo della piastra.
s: spessore della piastra.
E: modulo elastico.
Tensioni interne:
Le tensioni flessionali σbx e σby in un pannello di piastra possono essere determinate mediante le equazioni seguenti:
k σbx ⋅ q ⋅ a 2 k σby ⋅ q ⋅ a 2
σbx = ; σ bx =
s2 s2
Tensioni interne:
Le tensioni flessionali σbx e σby in un pannello di piastra possono essere determinate mediante le equazioni seguenti:
k σbx ⋅ q ⋅ a 2 k σby ⋅ q ⋅ a 2
σ bx = ; σ bx =
s2 s2
Nel caso delle piastre in c.a. di solette di ponti, poiché la distanza tra i traversi è generalmente
molto maggiore della distanza trasversale tra le travi o tra le anime del cassone (ly/lx > 2), in sede
di predimensionamento è lecito riferirsi al caso di piastra di lunghezza infinita ly=∞.
M = −ν ⋅ D ⋅
dy
y 2
Modello a telaio
Con tale metodo si valuta più accuratamente l’interazione tra la soletta e le atre piastre che
compongono l’impalcato (anime delle travi, solette adiacenti ecc.).
Noti i valori delle 8 componenti di tensione (che possono essere calcolati tramite una
schematizzazione agli elementi finiti) è possibile condurre un calcolo di un elemento
bidimensionale in c.a. distinguendo due casi:
i) elemento non fessurato,
ii) elemento fessurato.
Nel primo caso basta verificare che la tensione principale massima (di compressione) sia
inferiore alla resistenza fcd del materiale, eventualmente tenendo conto anche dell’effetto
favorevole dovuto ad una compressione multiassiale.
- Per verificare se l’elemento risulta fessurato o non fessurato bisogna verificare che lo stato
di tensione sia interno al dominio di resistenza elastico, ovvero verificare la disuguaglianza:
con:
- Se la sezione è fessurata gli strati esterni possono essere verificati come elementi
membranali considerando le forze:
dove:
zx e zy sono le braccia di coppia interna per flessione in x e y;
yxs, yxi, yys, yyi sono le distanze dei baricentri delle armature dal piano medio della sezione in relazione ai momenti flettenti
in x e y, quindi zx= yxs+yxi and zy= yys+ yyi;
yyxs, yyxi, yxys, yxyi sono le distanze dei baricentri delle armature dal piano medio della sezione in relazione al momento
torcente e alle forze di taglio, quindi zyx= yyxs+ yyxi e zxy=yxys+ yxyi.
Le forze taglianti fuori piano vEdx e vEdy sono applicate allo strato centrale, per la verifica di tale
strato si considera il taglio risultante:
• I traversi hanno in ogni caso forma a T rovescio e vengono posti ad un interasse di 1.5÷2 m nel
caso di costole aperte e ad un iterasse circa doppio nel caso di costole chiuse.
• La lastra superiore può avere spessore variabili comunque mai inferiori ai 10 mm per evitare
•
1
secondo le DIN 1079: spessore min 12 mm con interasse costole di 300 mm, mentre spessore min 14 mm con interasse costole di 350 mm
Calcolo semplificato
Stato di tensione complessivo pari alla somma dei tre contributi parziali.
In genere è poco probabile che si abbiano le massime sollecitazioni per i tre stati e quindi per le
verifiche si considera accanto alle tensioni del terzo stato σIII solo una parte di quelle relative al
secondo σII: α ⋅ σ + σ ≤ f con α 0.5
II III d
Oss: i) La curva 1 si applica a tutte le altre nervature o irrigidimenti non coperti dal punto ii).
ii) La curva 2 si applica a nervature o irrigidimenti posizionati sotto le corsie di traffico più pesantemente caricate
entro 1.2 m dall'anima della travatura principale.
con D = E t 12 ⋅ (1 − ν ν
x x
3
x )
y
rigidezza flessionale rispetto x;
D =E t
y y
3
12 ⋅ (1 − ν ν ) rigidezza flessionale rispetto y.
x y
⎛ t ⎞ 3
⎝ ⎠ xy
x y
Piastra di impalcato
Criteri di rigidezza e resistenza
• Per evitare cricche da fatica nella piastra di impalcato e fessurazione nel manto di asfalto, lo spessore della piastra di
impalcato dovrebbe essere limitata a:
a) per la carreggiata:
tmin ≥ 12 mm per manto di asfalto ≥ 70 mm;
tmin ≥ 14 mm per manto di asfalto < 70 mm ma ≥ 40 mm.
Lo spessore del manto di asfalto dovrebbe essere normalmente non minore di 40 mm.
• La spaziatura dell'appoggio alla piastra di impalcato offerto dalle anime delle nervature dovrebbe essere:
a) per la carreggiata:
e ≤ 300 mm e e/t ≤ 25
b) per altre aree della piastra:
e ≤ 400 mm per t = 10 mm e e/t ≤ 40
Quando sono rispettati i limiti precedenti non sono necessarie le verifiche allo stato 1.
Irrigidimenti
Criteri di rigidezza e resistenza
• Irrigidimenti realizzati con sezioni cave di tipo a V, trapezoidali o circolari dovrebbero avere uno spessore di lamiera
minimo di t ≥ 6 mm.
• Per irrigidimenti con sezione aperta lo spessore della lamiera dovrebbe essere t ≥ 10 mm.
Travi trasversali
Criteri di rigidezza e resistenza
• In caso di nervature continue con aperture si raccomanda che le travi trasversali dovrebbero essere progettate per l'azione
Vierendeel derivante dalle aperture.
Ponti a travata
Creitz Road, Lansing, Michigan. (From Modern Welded Steel Structure, III, JFL Arc Welding Foundation, Cleveland, OH,
1970, B-10. Courtesy of the James F. Lincoln Arc Welding Foundation.).
Ponti a cassone
Ponti ad arco
Ponti sospesi
Riferimenti bibliografici
• Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
M. P. Petrangeli (IV edizione, MASSON, 1997).
• Manual of Bridge Engineering, Edited by M.J. Ryall, G.A.R. Parke and J.E. Harding (Thomas
Telford, 2000).
• Bridge Engineering Handbook, Edited by W.F. Chen and L. Duan (Boca Raton: CRC Press,
2000).
• ENV 1993-1-7:2002. Eurocodice 3 - Progettazione delle strutture di acciaio - Parte1-7: Regole
generali - Regole supplementari per lastre ortotrope caricate al di fuori del loro piano.
• ENV 1993-2:2002. Eurocodice 3 - Progettazione delle strutture di acciaio - Parte 2: Ponti di
acciaio.
• ENV 1992-2:2006. Eurocodice 2 - Eurocodice 2 - Progettazione delle strutture di calcestruzzo -
Parte 2: Ponti di calcestruzzo - Progettazione e dettagli costruttivi.
L’impalcato dei ponti a travata con profili aperti è costituito da più elementi longitudinali
rettilinei (travi) collegati tra loro dalla soletta e spesso anche da elementi rettilinei trasversali
(traversi). Tale tipologia di impalcato viene correntemente realizzata mediante struttura
prefabbricata in c.a. e c.a.p. o struttura mista acciaio-calcestruzzo. Nel primo caso il campo di
impiego è quello delle luci medio-piccole fino a circa 40-50 m in uno schema statico di trave in
semplice appoggio (consente operazioni semplici di montaggio) con soletta di continuità; mentre
nel caso di struttura mista acciaio-calcestruzzo si può arrivare anche a luci più significative fino
a 100 m.
I carichi transitanti sui ponti sono generalmente applicati in posizione eccentrica rispetto
all’asse principale della struttura, pertanto il calcolo dell’impalcato deve considerare la
ripartizione trasversale dei carichi fra i diversi elementi portanti.
Devono distinguersi due casi fondamentali:
• travata da ponte formata da tre o più travi principali longitudinali portanti (graticcio di travi);
• travata da ponte costituita da due sole travi principali.
Nel primo caso la travata da ponte può essere assimilata ad un graticcio di travi, nel
secondo è prevalente il comportamento di trave soggetta a flessione e a torsione.
Il valore della larghezza “efficace” collaborante, definita come la larghezza della flangia
ideale di una trave a T che trasmette lo stesso sforzo normale complessivo che interessa la soletta
reale ma con una distribuzione uniforme delle tensioni normali σ, pari al valore reale massimo,
dipende dalla deformabilità a taglio nel proprio piano della soletta a sua volta funzione del
rapporto b1/L, del tipo di carico e del tipo di schema statico.
Larghezza efficace ai fini della diffusione per taglio del carico ("shear lag") agli stati limite di servizio e di fatica.
La larghezza efficace beff legata all'effetto dello "shear lag" in condizioni elastiche può essere calcolata con l'espressione:
beff = β⋅b0
Una volta riportato lo schema statico a quello di un graticcio piano è possibile eseguire il
calcolo in modo automatico (ad esempio mediante una modellazione agli elementi finiti) oppure
impiegare dei metodi approssimati (utili in fase di predimensionamento) basati su ipotesi
semplificative. Tali metodi sono basati su due strategie alternative: (i) ricondurre il problema
piano ad un problema monodimensionale dopo aver ripartito trasversalmente i carichi, (ii)
modellare il graticcio come una struttura equivalente continua (piastra ortotropa) che è possibile
risolvere in forma chiusa.
P = r ⋅P
j i,j i
se Pi ≠ 1
Modelli di calcolo
Oss: la deformata trasversale del ponte è proporzionale alla linea di influenza del coefficiente di
ripartizione della trave caricata.
Nel caso di graticcio con due traversi h e k si ha: wi,h / wi,k = cost
- i traversi sono infinitamente rigidi: la deformata di entrambi è una
retta e i due traversi sono indipendente l’uno dall’altro.
- i traversi sono deformabili: la deformata di h è curvilinea così
come quella di k. Un traverso k con curvature diverse da zero
risulta quindi sollecitato e opera una ridistribuzione degli sforzi
nel graticcio.
Metodo di Courbon
Metodo di Engesser
I traversi infinitamente rigidi sono in numero finito e occupano la posizione reale.
(i) Si considerano in una prima fase degli appoggi
provvisori in corrispondenza dei nodi e ogni trave si
comporta in modo indipendente come trave
continua su appoggi fissi. Si calcolano sollecitazioni
e reazioni agli appoggi.
(ii) Si rimuovono i vincoli fittizzi e si applicano alla
trave le reazioni vincolari del p.to (i) che saranno
distribuite mediante i traversi alle altre travi
longitudinali
(iii) le sollecitazioni risultanti saranno la somma di
quelle calcolate in (i) e in (ii).
OSS: già con 3 traversi gli sforzi flessionali
calcolati in (ii) sono molto maggiori di quelli
valutati in (i) e quindi si può operare con il metodo
di Courbon, mentre gli sforzi si taglio devono essere
sempre calcolati con il metono di Engesser.
Le sollecitazioni nei traversi
Le sollecitazioni nei traversi si calcolano in funzione dei coefficienti di ripartizione trasversali
costruendo le l.d.i delle sollecitazioni sul traverso (Ms = Σri⋅yi – 1⋅yp). Prima si considera il caso
di carico che si sposta lungo il traverso (teorema di Land con ipotesi di traverso rigido) poi il
caso di carico lungo le travi.
M s = ηi,h ⋅ R i,h
Metodo di Guyon-Massonnet
Rispetto ai metodi precedenti il metodo di Guyon-Massonnet ha il duplice vantaggio di non
trascurare né la flessibilità elastica dei traversi (rilevante nel caso di ponti molto larghi) né le
azioni mutue torcenti esistenti fra due ordini di travi.
Le ipotesi su cui si basa il metodo di Guyon-Massonnet sono:
(i) schematizzazione della struttura come un graticcio di travi a maglia infinitesima avente le
stesse rigidezze “medie” flessionali e torsionali;
(ii) particolari condizioni di vincolo (piastra appoggiata su due lati e libera sugli altri due);
(iii) distribuzione dei carichi di tipo sinusoidale in direzione dei lati liberi.
OSS: solo nel caso di trave semplicemente appoggiata soggetta ad un carico sinusoidale è possibile condurre l’analisi
armonica della struttura2, la forma del carico coincide, infatti, con quella della deformata ed il rapporto carico p deformata w
è costante lungo la linea d’asse della trave:
⎛ n πx ⎞ ⎛ nπx ⎞
p n sen ⎜ ⎟ w n sen ⎜ ⎟ = pn w n
⎝ l ⎠ ⎝ l ⎠
2
L’incognita del problema cinematico corrisponde alla sola costante wn e non ad una funzione arbitraria w(x)
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 6.18 -
Ponti a travata dott. ing. Lorenzo Macorini
L’ipotesi (i) permette di considerare ripartite sia in senso longitudinale che trasversale le
rigidezze flessionali e torsionali delle travi:
Kx, Ky: rigidezze flessionali unitarie.
EJ l EJ t
Kx = ; Ky = Cxy, Cyx: rigidezze torsionali unitarie.
b1 l1
E: modulo di elasticità del materiale.
GK l GK t
Cxy = ; C yx = Jl, Jj: momenti di inerzia longitudinale e trasversale delle travi.
b1 l1
Kl, Kj: costanti di torsione longitudinale e trasversale delle travi3.
∂4w ∂4w ∂4w
Equazione fondamentale del graticcio: K x 4 + 2H 2 2 + K y 4 = p ( x, y ) (eq. di Huber)4
∂x ∂x ∂y ∂y
hb3
3
Costante di torsione nel caso di sezione rettangolare (base b altezza h): K = 3b3h 3 10 ( b2 + h 2 ) . Nel caso di rettangolo snello: K = . Nel
3
caso di sezioni chiuse con pareti sottili: K = 4A 2
4
∑s i ti .
∂M x ∂M xy ∂2w ∂2w
+ = Tx M x = −Kx ; My = −Ky
∂x ∂y ∂x 2 ∂y 2
∂M yx ∂M y ∂2w ∂2w
+ = Ty M xy = −C xy ; M yx = −C yx
∂x ∂y ∂x∂y ∂x∂y
∂Tx ∂Ty 1
∂x
+
∂y
= − p ( x, y ) H=
2
( Cxy + Cyx )
OSS: Nel caso di grigliato a maglie infinitesime non si ha la continuità fisica del
materiale pertanto non vale il principio di reciprocità delle tensioni tangenziali e i
coefficienti di Poisson sono nulli: νx =νy =0
Il calcolo dell’equazione di Huber può essere condotto sulla base dei due coefficienti:
H b Kx
α= parametro di torsione; θ= parametro di deformabilità trasversale.5
Kx Ky l Ky
5
Il metodo di Courbon è in grado di risolvere un caso particolare in cui α = θ = 0.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 6.20 -
Ponti a travata dott. ing. Lorenzo Macorini
w ( y,e )
Si definisce coefficiente di ripartizione trasversale: K = .
w
La conoscenza di K consente di risalire alla distribuzione delle sollecitazioni prodotte
dall’azione di carichi concentrati sull’impalcato.
Consideriamo il valore del momento Mx:
∂ 2 w π2
• carico lineare: M x = − K x = K x w ( y,e ) sen ( πx l ) ;
∂x 2 l 2
∂ 2 w π2
• carico uniforme: M x = − K x = K x wsen ( πx l ) .
∂x 2 l 2
w ( y,e ) Mx
⇒ ρ= =
w Mx
6
È sufficiente fornire i coefficienti Kα per α=0 e α=1, per valori intermedi di α è possibile impiegare una legge di interpolazione lineare:
K α = K 0 + ( K1 − K 0 ) ⋅ α0.5 (vedi Petrangeli).
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 6.21 -
La diffusione del metodo in esame è dovuta alla disponibilità di un gran numero di tabelle che
forniscono oltre al coefficiente Κ anche altri coefficienti per il calcolo dei momenti torcenti
(coefficiente τ) e delle sollecitazioni nei traversi (coefficiente µ).
o Le sollecitazioni nella generica trave longitudinale i si ottengono tracciando, con l’ausilio delle tabelle la
linea di influenza di Κi e determinando la distribuzione trasversale dei carichi che fornisce il valore massimo del rapporto:
ψ i = ∑ K j Pj ∑P .
j
Si valutano poi i valori medi Tm e Mm di taglio e momento per le n travi longitudinali dell’impalcato:
M m = M tot n , Tm = Ttot n .
I valori cercati per la trave i-esima valgono: M i = ψ i M m e Ti = ψ i Tm
M tr = ( ∑ µ j Pj ) b ∫ sen ( πx l )
0
Nel caso di impalcati bi-trave l’impiego dei metodi a graticcio introduce delle approssimazioni eccessive pertanto non
risulta adatto al calcolo dello stato tensionale conseguente alla distribuzione trasversale del carico con risultante eccentrica
rispetto l’asse della travata. E’ quindi necessario studiare il problema con un approccio differente partendo dall’analisi dei
quattro casi limite riportati nella figura precedente.
Nella trattazione che segue si considerano le
seguenti ipotesi:
• si suppongono sempre presenti dei
diaframmi rigidi trasversali in corrispondenza
della sezione sugli appoggi;
• si fa riferimento allo schema di trave in
semplice appoggio;
• il carico sull’impalcato (con risultante Σq ed
eccentricità e) può essere scomposto in due
condizioni fondamentali:
a) carico totale Σq centrato rispetto all’asse di
simmetria;
b) carichi antisimmetrici: ±Σq⋅e/b agenti
verticalmente in corrispondenza delle due
travi principali ed equivalenti a coppie
torcenti Σq⋅e applicate alla sezione
trasversale della travata.
i) elemento 1:
- forza P diretta verticalmente verso il basso
applicata all’estremo libero z=0.
- sforzi longitudinali N(z) agenti a livello
dell’ala superiore parallelamente all’asse
della trave. Questi sforzi hanno il compito di
ripristinare la continuità fra la trave 1 e la
soletta 3 e possono essere riportati sull’asse
baricentrico della trave aggiungendo i
momenti di trasporto N(z)⋅a(z).
ii) elemento 2:
- forza (-P) diretta verticalmente verso l’alto
applicata all’estremo libero z=0.
- sforzi longitudinali N(z) eccentrici agenti a
livello dell’ala superiore parallelamente
all’asse della trave come per l’elemento 1.
iii) elemento 3:
z
In una generica sezione di ascissa z detta: F ( z ) = ∫ N ( z )dz la risultante degli sforzi N(z) la tensione al bordo superiore della
0
trave 1 vale:
P⋅z F (z ) F (z ) ⋅ a (z )
σ1 ( z ) = − − .
W1,s ( z ) A1 ( z ) W1,s ( z )
Nello stesso punto del sistema considerato appartenente alla lastra 3 si ha:
F (z ) ⋅ b b F ( z ) ⋅ b2
σ3 ( z ) = − ⋅ =− .
I 3y 2 2I 3y
Analogamente nei punti di contatto degli elementi 2 e 3 della sezione trasversale di ascissa z si ha:
F ( z ) ⋅ b2 P⋅z F (z ) F (z ) ⋅ a (z )
σ3 ( z ) = + , σ3 ( z ) = − + + .
2I 3y W2,s ( z ) A 2 ( z ) W2,s ( z )
Le condizioni di congruenza ε1(z) = εi+1(z) scritte per ciascuna sezione della struttura consentono di determinare F(z) e
quindi calcolare le tensioni in ogni punto.
7
Poiché l’angolo di torsione θ1 è lo stesso per tutti i rettangoli che formano la sezione, il massimo valore della tensione tangenziale si può calcolare suddividendo il momento
torcente in parti Mit proporzionali ai valori ai⋅bi3.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 6.29 -
In travi composte da rettangoli allungati hanno un’influenza non trascurabile le tensioni normali secondarie σz e σz . Le
prime possono essere calcolate in funzione delle τmax:
⎧ 2
E ⎛ a ⎞ τ2max e risultano sensibilmente inclinate rispetto all’asse di torsione ed il momento rispetto al centro di
⎪⎪σz ,max = ⋅ ⎜ ⎟ ⋅ torsione delle loro componenti sul piano della sezione trasversale può contribuire in misura
G ⎝ b ⎠ 12
⎨ notevole ad equilibrare il momento torcente esterno Mt.
⎪σz ,min = 1 σz ,max
⎪⎩ 2
Le σz si sviluppano invece quando per alcune condizioni dei vincoli esterni sia impedito l’ingobbamento delle sezioni
trasversali (ortogonali all’asse di torsione), oppure nel caso di momento torcente variabile lungo l’asse della trave (in questo
caso le sezioni rette non si ingobbano tutte ugualmente).
La soluzione analitica del problema nel caso di sezione a doppio T simmetrica si ottiene scrivendo l’equazione di equilibrio
alla rotazione intorno all’asse di torsione:
M τ + M a + M t = 0 ovvero M τ + Ta ⋅ b + M t = 0
I p dθ
con Mτ = G ⋅
q dz
d2y b b d2θ b d 3θ b 2 d 3θ
M a = EI a ⋅ essendo y = θ ⋅ si ha M a
= EI a
⋅ ⋅ quindi Ta
= EI a
⋅ ⋅ e Ta
⋅ b = EI a
⋅ ⋅
dz 2 2 2 dz 2 2 dz 3 2 dz 3
d 3θ dθ 2 G ⋅ Ip 2
Si ottiene l’equazione di Timoshenko per la torsione non uniforme: − α2 = βM t dove α2 = 2 ⋅ e β= .
dz 3
dz b q ⋅ EI a EI a ⋅ b 2
Le tre costanti arbitrarie per l’equazione differenziale del III ordine nella rotazione θ(z) si determinano attraverso le
condizioni al contorno mentre ed il suo integrale consente di determinare tutte le grandezze del problema:
⎧ I p dθ
⎪⎪ M τ = G ⋅ q ⋅ dz
⎨
⎪ M = − EI a ⋅ b ⋅ d θ
2 3
⎪⎩ a
2 dz 3
OSS: nel caso di sezioni differenti dalla sezione a doppio T devono essere introdotti i valori opportuni per la rigidezza
torsionale G⋅Ip/q.
Riferimenti bibliografici
• Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
M. P. Petrangeli (IV edizione, MASSON, 1997).
• Ponti a struttura d’acciaio. F. de Miranda (Collana tecnico-scientifica per la progettazione di
strutture in acciaio, Distribuzione CISIA – 1972).
• Manual of Bridge Engineering, Edited by M.J. Ryall, G.A.R. Parke and J.E. Harding (Thomas
Telford, 2000).
• Bridge Engineering Handbook, Edited by W.F. Chen and L. Duan (Boca Raton: CRC Press,
2000).
• ENV 1993-1-7:2002. Eurocodice 3 - Progettazione delle strutture di acciaio - Parte1-7: Regole
generali - Regole supplementari per lastre ortotrope caricate al di fuori del loro piano.
• ENV 1993-2:2002. Eurocodice 3 - Progettazione delle strutture di acciaio - Parte 2: Ponti di
acciaio.
• ENV 1992-2:2006. Eurocodice 2 - Eurocodice 2 - Progettazione delle strutture di calcestruzzo -
Parte 2: Ponti di calcestruzzo - Progettazione e dettagli costruttivi.
7. PONTI A CASSONE
Gli impalcati a cassone sono costituiti da un insieme di piastre piane collegate tra loro in un
modo da formare una o più sezioni scatolari chiuse.
Questa tipologia di impalcato è stata diffusamente impiegata negli ultimi anni sia per
soluzioni in acciaio che in calcestruzzo grazie a:
• elevata rigidezza torsionale;
• manutenzione semplificata;
• possibilità di far passare eventuali servizi all’interno del cassone;
• aspetto estetico più “attraente” rispetto agli impalcati a travata (basso rapporto altezza/luce).
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 7.2 -
Ponti a cassone dott. ing. Lorenzo Macorini
A questi vantaggi si contrappone una maggiore difficoltà costruttiva nel caso di c.a. e c.a.p.
Infatti qualora l’impalcato sia gettato in opera si ha l'onere del recupero della cassaforma interna
mentre, nel caso della prefabbricazione, gli elementi da manovrare risultano spesso molto
pesanti.
Evoluzione della sezione trasversale dell’impalcato: a) impalcato a travata; b) cassone bicellulare c) cassone monocellulare;
d) cassone monocellulare a pareti sub-verticali.
Comunque, nonostante queste difficoltà esecutive, grazie alla tecnica di costruzione per
conci successivi e alla possibilità di prefabbricare e varare intere campate a spinta, la
maggioranza dei nuovi ponti di una certa importanza è a cassone.
Nel passato la sezione a cassone in c.a./c.a.p veniva efficacemente impiegata nei ponti
realizzati a sbalzo con conci, gettati in opera o prefabbricati. Tali tipi strutturali, in genere, si
prestano a soluzioni isolate su luci medio alte 80÷150 m ed ancora oggi mantengono la loro
funzionalità e campo di applicazione. Per quanto concerne le luci di impiego oggi si tende,
particolarmente per viadotti di notevole sviluppo, ad operare in una fascia tra i 40÷80 m per
campata. Si può dire che le applicazioni degli anni 50-60 con viadotti a travate prefabbricate
sono praticamente abbandonate. Anche la prefabbricazione di serie, in officina, è orientata verso
la realizzazione di travi a cassone assemblate longitudinalmente in opera per assicurare la
continuità statica.
Infine tali impalcati sono dotati di traversi di irrigidimento unicamente alle estremità, in
corrispondenza degli appoggi. L'assenza di diaframmature in campata è legata a problemi di
ordine tecnologico connessi al controcassero interno. Il complesso delle caratteristiche di tali
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 7.5 -
sezioni a cassone, (e cioè spessori ridotti, rapporto tra la larghezza della sezione utile e la
larghezza del nucleo a cassone molto maggiore dell'unità, assenza di diaframmature correnti),
non permette di ritenere queste sezioni trasversalmente rigide come richiesto dalla teoria classica
o quanto meno impone verifiche più approfondite che devono indagare sugli effetti statici della
deformabilità trasversale del profilo. Per condizioni non simmetriche di carico gli spigoli
possono subire spostamenti relativi, la sezione trasversalmente non rispetta la sua geometria,
nascono sollecitazioni trasversali, sollecitazioni normali, globalmente equilibrate, tipiche delle
strutture a lastre (Folded plate).
Modellazione
Deformazione associata alla perdita di forma della sezione trasversale (assenza di diaframmi rigidi).
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 7.9 -
I cassoni unicellulari sono la tipologia più frequente impiegata in quanto gli spessori minimi
imposti alle anime da ragioni costruttive o dai pericoli di corrosione per l'acciaio sono in genere
sovrabbondanti per assorbire gli sforzi di taglio.
Un calcolo semplificato che tiene conto della perdita di forma della sezione può essere condotto
ipotizzando uno schema di semplice appoggio alle estremità ove siano anche presenti dei setti
indeformabili.
w m ( x ) = ⎡⎣ w1 ( x ) + w 2 ( x )⎤⎦ 2
w ( x ) = w1 ( x ) − w m ( x )
Il carico simmetrico wm sollecita la trave nel suo insieme a flessione, mentre il carico
emisimmetrico w determina torsione e flessione differenziale delle due pareti.
Sistema A
La porzione di carico (w-2p)
provoca flessione differenziale
delle anime mentre la parte
Sistema di forze che agisce sulla sottostruttura a membrana. rimanente viene portata per
torsione.
1
Queste due parti in cui si è idealmente scomposto il cassone si trasmetteranno delle azioni mutue, incognite a priori ma costituenti
necessariamente un sistema equilibrato.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 7.13 -
Φ corrisponde alla distorsione della striscia trasversale unitaria (sottostruttura B) per il sistema
di forze autoequilibrate con p=1.
I cassoni pluricellulari, generalmente in c.a. e c.a.p, vengono impiegati per impalcati di notevole
larghezza, sono composti da diverse pareti verticali longitudinali (anime del cassone) e spesso,
per ragioni costruttive, non presentano setti trasversali intermedi (in campata).
Risentono quindi della perdita di forma della
sezione trasversale provocata da carichi
eccentrici, fenomeno amplificato dal basso
rapporto altezza/larghezza che caratterizza la
sezione retta.
Nel calcolo è possibile tenere conto in modo
approssimato della deformabilità delle
sezioni trasversali modellando il cassone
mediante un grigliato equivalente (metodo
Guyon-Massonnet).
Inoltre:
iiii) la rigidezza flessionale delle travi corrisponde a quella delle sezioni a doppio T ottenute con
i tagli ideali del cassone;
iiiii) la rigidezza flessionale dei trasversi è quella delle sezioni a doppio T costituite dalla soletta,
controsoletta e da anime ideali di area opportuna.
OSS: Tale area per l’anima dei traversi va calcolata per tener conto in modo opportuno della
distorsione che può subire la sezione retta della struttura.
I cassoni unicellulari interconnessi in c.a. e c.a.p vengono impiegati per impalcati di notevole
larghezza quando si vuole prefabbricare elementi di lunghezza di un’intera campata.
2
Si può trascurare la presenza della soletta per la ripartizione trasversale dei carichi, quindi dopo aver calcolato gli effetti locali si può calcolare
direttamente lo schema di carico nodale.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 7.18 -
Ponti a cassone dott. ing. Lorenzo Macorini
Carichi simmetrici:
• Si possono assumere come incognite i momenti
flettenti m in mezzeria del traverso. Essendo taglio e
rotazione nulli per simmetria si ha il seguente sistema
di n equazioni in n incognite (i valori mi):
∑ ϑij ⋅ ( Pj ⋅ b − m j ) − mi ⋅ c E ⋅ J t,i = 0
n
per i=1...n
j=1
dove Jt,i è il momento di inerzia del traverso i-esimo e θij è il coefficiente di influenza delle
rotazioni nel singolo cassone considerato come trave appoggiata (rotazione in i provocata da un
momento unitario in j).
OSS: per traversi infinitamente rigidi: Jt,i = ∞ risulta mi =Pi⋅b (non si ha torsione nei cassoni).
Carichi emisimmetrici:
• Si possono assumere come incognite gli sforzi di
taglio T nella mezzeria del traverso. Essendo, per
emisimmetria, nulli i momenti e gli abbassamenti si
ha il seguente sistema di n equazioni in n incognite (i
valori Ti):
∑ δij ⋅ ( ∆Pj − Tj ) − ∑ ϑij ⋅ ⎡⎣Tj ⋅ ( b + c ) + ∆Pj ⋅ b ⎤⎦ ⋅ ( b + c )
n n
j=1 j=1
dove δij è il coefficiente di influenza degli abbassamenti nel singolo cassone considerato come
trave appoggiata (abbassamento in i provocata da un momento unitario in j).
OSS: per cassoni infinitamente rigidi a torsione e traversi infinitamenti rigidi a flessione risulta
∆Pi = Ti (i carichi emisimmetrici non provocano flessione e qualsiasi carico si distribuisce in
egual misura tra i due cassoni). Se in vece le due rigidezze tendono a zero tutto il carico emi-
simmetrico impegna i cassoni a flessione e non si ha ripartizione trasversale del carico.
OSS: se si sviluppa il carico in serie di Fourier lungo l'asse x del cassone, le deformate saranno
anch'esse sinusoidali e così il momento ed il taglio incogniti lungo la mezzeria della soletta
centrale. Anche in questo caso quindi l'analisi riconduce il problema della ricerca di una
funzione incognita, a quello molto più semplice del calcolo di una sola incognita.
1 E ⋅ s3
Nota la rigidezza flessionale della soletta D = ⋅ si può calcolare:
(
12 1 − ν 2 )
mn ⋅ c
• per carico simmetrico: ϑ⋅ ( p n ⋅ b − m n ) − = 0;
D
t n c3
• per carico emisimmetrico: δ ⋅ ( ∆p n − t n ) − ϑ ⎡⎣ ∆p n ⋅ b + t n ⋅ ( b + c )⎤⎦ ⋅ ( b + c ) − = 0;
3D
l2 l4
con ϑ = e δ =
n 2 ⋅ π2 ⋅ G ⋅ K l n 4 ⋅ π4 ⋅ E ⋅ J l
ϑ e δ sono rispettivamente la rotazione e l’abbassamento in mezzeria della trave a cassone
quando viene sollecitata da un momento torcente ovvero da un carico sinusoidale lungo x e di
valore massimo unitario.
OSS: nel caso di carico uniformante distribuito p0 è possibile riferirsi al primo termine dello
sviluppo in serie: n=1 e p1=4/π ⋅ p0
Riferimenti bibliografici
• Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
M. P. Petrangeli (IV edizione, MASSON, 1997).
• Ponti a struttura d’acciaio. F. de Miranda (Collana tecnico-scientifica per la progettazione di
strutture in acciaio, Distribuzione CISIA – 1972).
• Ponti e viadotti: concezione, progetto, analisi, gestione. Atti dei corsi di aggiornamento
1998/99 presso il Politecnico di Milano.
8. TRAVATE RETICOLARI,
PONTI AD ARCO, PONTI STRALLATI
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Le travate reticolare, solitamente impiegate per ponti in acciaio nel campo delle luci medio-
grandi L=150÷400 m, sono realizzate da un insieme di aste rettilinee collegate tra loro in modo
da formare una struttura a maglie triangolari capace di sopportare i carichi esterni principalmente
con forze assiali nelle aste componenti. Gli schemi statici impiegati comprendono la travata
continua, lo schema a trave Gerber o la trave semplicemente appoggiata.
Un ponte a trave reticolare è costituito da:
a) un impalcato a piastra ortotropa o a soletta in c.a.;
b) delle travi trasversali che sopportano l'impalcato e
riportano i carichi ai nodi delle strutture principali;
c) dalle travi reticolari propriamente dette che portano
i carichi verticali e che costituiscono la struttura
principale;
d) le strutture di controventamento che resistono a
tutte le azioni orizzontali e garantiscono la stabilità di
forma del ponte.
OSS: rispetto ai ponti costituiti da travi a parete piena le travate
reticolari garantiscono un risparmio sui materiali ed in genere
un’elevata rigidezza dovuta all’altezza significativa che gli elementi
possono raggiungere. Per contro si ha un maggior numero di
giunzioni da effettuare ed una maggiore difficoltà di manutenzione.
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Modellazione e calcolo
Le travature reticolari ideali sono caratterizzate da: i) aste incernierate agli estremi, ii)
carichi sono nodali, iii) tutti gli assi delle aste che concorrono in un nodo si incontrano in un
punto. Pertanto tali travature sono contraddistinte da aste componenti sollecitate solo da sforzi
assiali.
Nel caso di travature reticolari da ponte le
tre ipotesi precedenti non sono rispettate
perché le aste sono connesse rigidamente ai
nodi e le inevitabili imperfezioni di
montaggio portano ad eccentricità delle aste
rispetto ai nodi teorici. Infine i carichi non
sono mai esclusivamente nodali, poiché
almeno il peso proprio delle aste è
Nodo rigido con imperfezione di montaggio. uniformemente ripartito su di esse.
Pertanto nelle aste sono presenti anche sollecitazioni di flessione e taglio tanto più elevate
quanto più le aste sono tozze. Queste sollecitazioni in genere danno uno scarso contributo alla
portanza dei carichi esterni, rispetto al funzionamento di trave reticolare ideale; la loro entità va
però valutata in quanto possono portare a rottura per fatica in prossimità dei nodi ove queste
sollecitazioni secondarie sono più elevate e dove si hanno cause concomitanti che possono
innescare le rotture, quali intagli, fori per bulloni, saldature eccetera. Il calcolo delle
sollecitazioni secondarie nelle travi reticolari risulta molto semplice in quanto basta trattare la
struttura come un qualsiasi telaio a nodi rigidi.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.4 -
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Strutture di controvento
Nei ponti a travata reticolare sono necessarie delle strutture di controvento per sopportare
tutte le azioni orizzontali (vento, frenatura, forza centrifuga ecc.) e trasferirle ai vincoli. I
controventi sono inoltre indispensabili per evitare che le strutture principali si deformino fuori
dal loro piano per fenomeni di instabilità e formano con la struttura principale una sezione
scatolare unicellulare.
In corrispondenza degli appoggi sono necessari dei robusti portali o dei traversi reticolari (ponti
a via superiore) per riportare ai vincoli le reazioni orizzontali delle travi reticolari formate dai
controventi orizzontali.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.5 -
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Nel caso di ponti a via inferiore in cui l’altezza delle travi principali non raggiunge l’altezza
minima richiesta per il transito dei sovraccarichi non è possibile inserire un controvento
superiore. Le azioni orizzontali sul corrente superiore vengono quindi riprese da una serie di
robusti telai a U che hanno anche la funzione di impedire lo sbandamento laterale del corrente
compresso fuori dal piano della trave.
d4w d2w dw
Equazione della linea elastica: EJ ⋅ 4 + N ⋅ 2 + K ⋅ =0
dx dx dx
dove EJ è la rigidezza flessionale del corrente e K la rigidezza su suolo elastico (rigidezza
ripartita del telaio).
d2w
condizioni al contorno: = w = 0 per x=0 e x=l.
dx 2
⎛ nπx ⎞
Assumendo la deformata: w = w 0 ⋅ sen ⎜ ⎟
⎝ l ⎠
n 2 π2 EJ Kl 2
si ricava il valore del carico N per l’n-esima deformata critica: N (n)
crit = + 2 2
l2 n π
dN
il valore minimo di N (n)
crit è il carico critico =0 → N crit = 2 EJK
dn
La lunghezza di libera inflessione (da impiegare per un calcolo “convenzionale” di Ncrit) può
essere calcolata come:
1/ 4
π2 EJ ⎛ EJ ⎞
= 2 EJK → l0 = π ⎜ ⎟
l02 ⎝ 4K ⎠
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Criteri di calcolo
Nota la linea d’asse e la linea delle pressioni1 relativa ad un dato sistema di forze è possibile
calcolare le azioni sollecitanti:
M s = H ⋅ ( y p − ys )
N s = − R s ⋅ cos ( ϕ p − ϕs ) ≈* − R s = − H cos ϕ
Ts = R s ⋅ sen ( ϕ p − ϕs ) ≈* 0
* per piccoli spostamenti ϕp = ϕs = ϕ .
Def. Linea delle pressioni: la linea la cui tangente in ciascun punto coincide con
la retta d’azione della risultante di tutte le forze comprese le reazioni vincolari
che precedono quel punto.
Essa gode della proprietà che il momento rispetto ad un suo punto di tutte le forze
che lo precedono è nullo. Da ciò si ricava che:
yp = M y H
dove My è il momento dovuto a tutti i carichi verticali che precedono la sezione
analizzata.
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Linee di influenza delle reazioni e delle caratteristiche della sollecitazione per un arco a tre cerniere.
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Linee di influenza delle reazioni e delle caratteristiche della sollecitazione per un arco a due cerniere.
• Caduta di spinta
Si consideri un arco parabolico con linea
d’asse coincidente con la curva delle
pressioni, lo sforzo normale è costante e
vale:
N s = H 3c cos ϕ
con H3C reazione nel caso di arco a 3
cerniere.
Lo sforzo normale produce un
accorciamento dei singoli conci (di
lunghezza ds) pari a:
H 3c ds
− ⋅
cos ϕ EA
ds
L’accorciamento complessivo risulta: ∆l = − H 3c ⋅ ∫ EA
arco
ds
per congruenza con i vincoli esterni deve nascere una forza ∆H che si oppone a tale spostamento: ∆H = − H 3c ⋅ ∫ EA
u'
arco
tale forza è di segno opposto rispetto a H3C.
In un arco a due cerniere si ha sempre una spinta inferiore rispetto all’arco a tre cerniere
corrispondente dovuta all’accorciamento elastico dell’arco provocato dallo sforzo normale.
Come conseguenza della caduta di spinta si hanno dei momenti flettenti provocati dai carichi
permanenti g anche nel caso ideale in cui la linea d’asse coincida con il poligono funicolare dei
carichi esterni. Nella generica sezione di coordinata y tale momento (positivo) vale: Mg = ∆H·y
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.17 -
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
• Instabilità
Gli archi essendo strutture prevalentemente compresse risentono dei fenomeni di instabilità
nel loro piano e fuori dal piano.
Instabilità nel piano dell’arco
Nel caso di arco generico è possibile calcolare il
carico critico associato all’instabilità nel piano
mediante la formula proposta da Timoshenko:
EJ
pcr = γ ⋅ 2 x ,
l
dove EJx è la rigidezza flessionale in chiave, l la luce dell’arco e γ
un coefficiente tabellato.
Per un calcolo approssimato del carico critico per instabilità fuori dal piano dell’arco è
possibile schematizzare la struttura reale come un arco parabolico caricato con carichi
uniformemente distribuiti ed avente sezioni che variano con la legge A = Ac/cosφ (Ac sezione in
chiave).
Il carico critico della spinta H coincide, per questa struttura semplificata, con il carico
critico di un’asta incernierata agli estremi di sezione pari alla sezione ad un quarto dell’arco e
lunghezza di libera inflessione l0 = β · l.
Il valore di β dipende dalla freccia dell’arco e dal momento di inerzia per flessione fuori
piano Jy.
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Un calcolo semplificato dei ponti ad arco in muratura può essere condotto con due metodi
alternativi:
- Metodo di Méry (calcolo a rottura, materiale a comportamento elastico non resistente a trazione e con resistenza
limite a compressione);
- Metodo di Hayman (analisi limite applicata alla muratura).
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.20 -
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Metodo di Méry
La teoria di Mery prevede che la curva
delle pressioni sia contenuta entro il
terzo medio dell’arco, passando il suo
estremo superiore in chiave e per il suo
estremo inferiore al giunto di rottura
nelle sezioni di imposta (φi=60°).
Essa è quindi una curva limite,
corrispondente allo stato in cui l’arco è
sul punto di aprirsi nelle sezioni
critiche per l’insorgere di sforzi di
trazione tali da superare l’aderenza
della malta.
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Metodo di Heymann
Il metodo di Heymann fa riferimento al teorema
statico dell’analisi limite: “se è possibile trovare un
qualsiasi sistema di sollecitazioni interne in
equilibrio con il carico esterno e tale che in nessuna
sezione sia superata la resistenza allo
schiacciamento, allora la struttura nel suo
complesso è stabile.”
Pertanto se è possibile definire un qualunque
poligono funicolare (ossia una curva delle pressioni)
all’interno dello spessore dell’arco, questo è stabile.
Quindi per dimostrare che l’arco può assolvere le
sue funzioni è necessario soltanto dimostrare che
esiste almeno un sistema di forze interne
compatibile: equilibrio con le forze esterne, assenza
di trazioni, tensioni inferiori a quelle di rottura.
La stabilità della struttura in muratura è assicurata
non dalla sua resistenza, ma da una corretta
geometria globale, corretta in riferimento
all’andamento delle pressioni che la struttura deve
sopportare.
Ipotesi di base:
- la pietra/mattone non offre alcuna resistenza a
trazione;
- la resistenza a compressione della pietra/mattone
si assume infinita2;
- i conci di pietra/mattoni non possono scorrere
l’uno rispetto all’altro;
2
è possibile anche tener conto della resistenza reale a compressione.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.23 -
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
• Calcolo semplificato
Ipotesi:
- la distanza tra i montanti è piccola rispetto alla luce l dell’arco (distribuzione continua dei
montanti);
- i montanti sono incernierati alle estremità e sono assunti indeformabili assialmente (bielle
infinitamente rigide);
- la trave irrigidente (impalcato) ha momento di inerzia costante lungo la luce.
Sulla base di queste ipotesi è possibile condurre un calcolo semplificato considerando due
situazioni limite: (i) caso di arco sottile, (ii) caso di arco con rigidezza flessionale finita.
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Il momento complessivo M che agisce sulla struttura è pari alla somma del momento nella trave
Mt e del momento nell’arco Ma:
M = Ma + Mt.
dove: Ma(x) = -Ea·Ja·cosφ·va’’, Mtx) = -Et·Jt·vt’’
Per la compatibilità negli spostamenti nei due sistemi si ha: va = vt
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I ponti strallati possono essere realizzati secondo diversi schemi: a ventaglio o ad arpa
oppure secondo uno schema misto arpa-ventaglio.
Nello schema a ventaglio l'antenna è prevalentemente compressa e tutti gli stralli sono rinviati da
un unico punto che è collegato al suolo dal cavo di ormeggio e quindi può subire spostamenti
limitati. Nello schema ad arpa, invece, gli stralli inferiori hanno un’efficacia ridotta poiché i
punti di attacco all'antenna subiscono spostamenti a causa della deformabilità delle travi di riva;
inoltre ciò provoca azioni flessionali nell'antenna assenti nello schema a ventaglio. Lo schema ad
arpa ha però il vantaggio di avere gli attacchi dei cavi alla travata tutti eguali e di evitare i
problemi di congestione presenti nello schema a ventaglio dovuti all'arrivo di tutti i cavi in un
unico punto dell'antenna, ove nascono concentrazioni locali di sforzi.
Quando l'andamento del terreno lo permette risulta molto conveniente ancorare tutti gli stralli di
riva al suolo, migliorando così le prestazioni degli stralli nella campata centrale.
Si possono realizzare ponti strallati in schemi con una sola luce principale e due campate di riva
(una sola negli schemi dissimetrici) oppure, più raramente, ponti strallati a più luci, per lo più in
c.a.p., composti da più moduli formati da un’antenna e dall’impalcato con due sbalzi sorretti
dagli stralli.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.28 -
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Gli stralli possono essere tutti su di un piano verticale (a) o su due piani distinti (b).
(a) (b)
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.31 -
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Nel primo caso l’impalcato trasversalmente si comporta come due mensole incastrate nel piano
medio verticale che contiene gli stralli; eventuali carichi non simmetrici devono essere portati
per torsione dell’impalcato che deve essere a cassone. Nel caso di stralli su due piani il
comportamento trasversale dell’impalcato è quello di una trave semplicemente appoggiata alle
estremità.
Stralli
I cavi impiegati nei ponti strallati possono essere costituiti da singoli elementi (fili, trefoli)
avvolti a spirale, oppure formati da unità elementari disposte in parallelo.
Le funi spiroidali possono essere del tipo chiuso o aperto. Le funi spiroidali hanno grande vantaggio
di poter essere avvolte in bobine di raggio
relativamente contenuto, ciò ne rende
possibile la prefabbricazione in officina e il
trasporto in cantiere nella configurazione
finale. Per contro esse hanno lo svantaggio
di avere un modulo di elasticità apparente
relativamente basso, 140000÷170000 MPa,
dovuto all'avvolgimento dei fili. Pertanto
tali funi vanno presollecitate in officina per
permettere l'assestamento dei fili; va fatto
Nelle funi chiuse i fili esterni hanno una sezione speciale,
cioè una sorta di rodaggio della fune che,
generalmente a z, che fa sì che ciascuno di essi per effetto
se molto lunga, richiede attrezzature
dell'avvolgimento eserciti una pressione radiale su quello
complesse. La resistenza statica ed a fatica
adiacente. Nelle funi spiroidali aperte, invece, tutti i fili sono
di una fune spiroidale è piuttosto bassa in
circolari, generalmente del diametro di 1.1 mm.
quanto nei fili si hanno sollecitazioni
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.32 -
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
parassite dovute all'avvolgimento ed alle tensioni trasversali trasmesse tra fili adiacenti. Inoltre i fili non
sono egualmente sollecitati per cui (se si escludono fenomeni di fatica) si assume un coefficiente di sicurezza
piuttosto elevato in genere pari a: v = 2.4.
Nei moderni ponti strallati le funi spiroidali tendono ad essere
sostituite con cavi ad elementi paralleli. Questi sono
generalmente formati da trefoli ma possono essere costituiti
da fili o da barre di acciaio speciale del diametro di 16÷32
mm. Questi cavi, molto simili a quelli utilizzati per il c.a.p.
ma con portate maggiori, devono necessariamente essere
confezionati in cantiere in quanto il parallelismo dei trefoli (o
fili) non ne permette l'avvolgimento e quindi il trasporto.
I cavi ad elementi paralleli sono poi caratterizzati da un
modulo di elasticità coincidente con quello dei singoli
elementi costituenti, E =195000÷205000 MPa, ed il
coefficiente di sicurezza a rottura, per carichi statici, può
essere assunto pari ad 1.75 (sono assenti le sollecitazioni
trasversali parassite e tutti i fili sono egualmente sollecitati).
Generalmente i cavi vengono posti in guaine di polietilene ad alta densità (HDPE), resistente ai raggi
ultravioletti. Per proteggere l'acciaio dalla corrosione i fili od i trefoli possono essere preventivamente
zincati. La guaina viene riempita con materiale protettivo: un grasso speciale nel caso di funi spiroidali
preconfezionate; malta di cemento nel caso di cavi confezionati in cantiere. Oppure è possibile adottare una
doppia protezione: il singolo trefolo, eventualmente zincato, viene posto in una guaina di vipla entro cui può
scorrere grazie alla presenza di un grasso che funge anche da protezione anticorrosione. Tutti i trefoli
inguainati vengono poi posti all'interno della guaina in HDPE in cui viene fatta l'iniezione finale. Con questa
disposizione è possibile teoricamente sostituire anche uno o parte dei trefoli costituenti il cavo.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.33 -
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3
Essendo aumentato il tiro T, diminuisce la freccia f e quindi a parità di S aumenta C.
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Essendo γ il peso specifico del cavo (compreso il contributo di guaine ecc.), σ la tensione nel cavo.
parte fissi ed in parte elastici. Risulta pertanto fondamentale definire la costante di elasticità di queste molle e
i parametri la influenzano.
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La deformabilità della molla da sostituire allo strallo in D si ottiene dall’abbassamento verticale ∆D del
punto D provocato da una forza unitaria:
l1 l2 tgβ
∆D = + + ∆A ⋅
A1E1sen 2 α ⋅ cos α A 2 E 2 cos3 β ⋅ tg 2α tgα
OSS1: l’efficacia del tirante è tanta maggiore quanto più il tirante in campata tende alla verticale (α grande)
e quanto più quello di riva tende all’orizzontale (β piccolo).
Le considerazioni che si possono fare sulla deformabilità degli stralli riguardano i carichi mobili in
quanto durante le fasi costruttive ed a costruzione ultimata si può sempre agire sulle funi regolandone la
tensione e quindi la lunghezza. In particolare uno dei criteri comunemente più seguiti è quello di regolare a
fine costruzione la tensione negli stralli in modo che l'impalcato si comporti come una trave continua su
appoggi fissi. Lo sforzo di trazione Ti nella generica fune quindi dovrà essere tale che la sua componente
verticale sia pari proprio alla reazione Ri dovuta ai carichi permanenti che si avrebbe nella trave continua
equivalente: Ri = Ti · senαi
Per un numero di stralli elevato il diagramma dei
momenti tende praticamente a zero e la trave è
soggetta a solo sforzo normale.
Si può anche regolare la tensione negli stralli in
modo diverso, provocando volutamente una
distribuzione dei momenti differente e tale da avere
un diagramma dei massimi e minimi più favorevole
(ad esempio introducendo momenti positivi nelle
zone ove i carichi accidentali provocheranno i
massimi momenti negativi e viceversa).
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 8.38 -
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Nel caso dei ponti in c.a.p. va peraltro notato che l'effetto della viscosità del calcestruzzo riduce nel tempo
questi vantaggi ed il diagramma dei carichi permanenti tende comunque a quello della trave continua su
appoggi fissi, in modo simile a quanto visto nel caso di cedimenti vincolari.
Al passaggio dei carichi accidentali i tiranti si comportano quindi come molle e quindi la distribuzione delle
sollecitazioni è governata dal rapporto Z tra la rigidezza della trave e quella delle molle:
6 ⋅ Et ⋅ J t
Z= ⋅ω
b13
con Et, Jt modulo di elasticità e momento di inerzia della trave, ω deformabilità della molla e b1 interasse
delle molle.
Ponti a travi reticolari, ponti ad arco, ponti strallati dott. ing. Lorenzo Macorini
Riferimenti bibliografici
• Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
M. P. Petrangeli (IV edizione, MASSON, 1997).
• Ponti a struttura d’acciaio. F. de Miranda (Collana tecnico-scientifica per la progettazione di
strutture in acciaio, Distribuzione CISIA – 1972).
• Manual of Bridge Engineering, Edited by M.J. Ryall, G.A.R. Parke and J.E. Harding (Thomas
Telford, 2000).
• ENV 1993-2:2002. Eurocodice 3 - Progettazione delle strutture di acciaio - Parte 2: Ponti di
acciaio.
9. METODI DI COSTRUZIONE
è possibile ove l’impalcato è poco alto da terra e se l’ostacolo da superare è accessibile con
autogru per l’assemblaggio, pertanto è possibile in assenza di corsi d’acqua profondi.
Fasi della costruzione del ponte ad arco sul San Bernardino a Verbania. 2003 - 2004.
Il ponte a travata Nielsen con maglia multipla di diagonali è costituito da una coppia di sottili
archi tubolari disposti su piani inclinati che sostengono un impalcato formato da traversi e travi
principali ad asse curvilineo. La messa in opera del ponte, che ha una lunghezza di 85 m, è
avvenuta col sistema tradizionale delle stilate provvisorie per impalcato e archi.
(ii) Il montaggio per assemblaggio a “piè d’opera” in cantiere o fuori dal cantiere e successiva
“movimentazione” è una procedura che viene generalmente impiegata per un campo di luci
compreso tra 40÷150 m, e può essere realizzato mediante:
• Traslazione longitudinale
• Traslazione laterale e
rotazione
(iii) Il montaggio per macro prefabbricazione fuori opera, trasporto via mare sollevamento e
montaggio in opera è una procedura efficace per luci di circa 60÷200 m in quanto minimizza
l’impiego di mano d’opera nelle fasi di montaggio riduce l’interazione con il traffico di
navigazione ma richiede la disponibilità di grandi mezzi di sollevamento.
Il montaggio a sbalzo e’ stato il metodo impiegato per realizzare i grandi ponti a travata dell’800
ed è correntemente utilizzato nei grandi ponti ad arco mediante strallature provvisorie e per la
costruzione dei ponti strallati.
Il montaggio con funi viene invece impiegato nella realizzazione di ponti sospesi.
Per luci maggiori è preferibile la costruzione a conci, che prevede per il singolo concio una
lunghezza pari ad una frazione della lunghezza della campata.
Nel caso di costruzione per conci successivi la
sezione trasversale è quasi sempre a cassone e
l'avanzamento della costruzione può avvenire
sostanzialmente in due modi:
a) procedendo a sbalzo simmetricamente da
ciascuna pila, nel qual caso ciascun concio
viene gettato o montato nella sua posizione
finale;
b) "spingendo" l'impalcato in avanti a partire da
una spalla. In questo caso i conci vengono
gettati tutti in un'unica posizione e poi spinti in
avanti mano a mano che la costruzione procede.
Nel caso a) i conci possono essere sia gettati "in
situ" che prefabbricati e montati in opera
impiegando resine per garantire il contatto tra
conci prefabbricati contigui. In entrambi i casi
le strutture di servizio che sorreggono il concio
nella fase di presa, se gettato in opera, ovvero
nella fase di montaggio, se prefabbricato,
possono operare a sbalzo dalla parte già
costruita ovvero poggiare su due pile successive
e quindi funzionare come un carro varo.
Nei ponti "spinti" (caso b)), detti anche a volte impropriamente "estrusi", il getto o montaggio dei conci avviene evidentemente in condizioni molto più favorevoli.
Nei ponti "spinti" (caso b) il getto o montaggio dei conci avviene evidentemente in condizioni molto più
favorevoli. Per contro si ha il costo delle attrezzature per spingere e far scorrere la travata che, nel caso di
trave continua a più luci, può arrivare a pesare parecchie migliaia di tonnellate. Durante l'avanzamento, nelle
varie sezioni della trave si ha inversione delle sollecitazioni con conseguente necessità di avere una
precompressione centrata o quasi; questo tipo di costruzione pertanto risulta particolarmente vantaggioso per
i ponti in cui si ha una forte incidenza dei sovraccarichi rispetto al peso proprio e quindi una parte
percentualmente rilevante della precompressione può essere data a fine costruzione.
essa richiede, per contro, la possibilità di muovere e varare pezzi molto pesanti e cioè
attrezzature tali da essere proponibili solo per viadotti molto lunghi.
Nel caso (ii) i pezzi prefabbricati, cioè le singole travi, sono molto più leggeri e possono anche
essere realizzati in stabilimento con maggiori garanzie sulla costanza della produzione. Le
singole travi possono essere del tipo a doppio T oppure a V; nel secondo caso, dopo la
costruzione della soletta, si avrà una struttura con una rigidezza torsionale maggiore e quindi
capace di operare una migliore ripartizione dei carichi accidentali.
conveniente per grandi luci, sopra i 100 + 120 m, in quanto conci prefabbricati sarebbero troppo
pesanti e quindi l'attrezzatura per il loro varo troppo costosa.
Nella costruzione con conci prefabbricati
questi vengono costruiti in un’officina di
prefabbricazione con speciali casseri che
usano il concio immediatamente
precedente a quello in costruzione come
parete di fondo per il getto. Si garantisce
così un contatto perfetto nel giunto in
opera che in genere viene realizzato con
l'interposizione di un sottile strato di resina
epossidica, dello spessore finale di pochi
decimi di millimetro. Gli elementi
prefabbricati vengono posti in opera per
mezzo di carri-varo, oppure, quando si può
accedere al di sotto del ponte, con pontoni
o autotreni al servizio di gru mobili che
avanzano all'estremità dello sbalzo.
Ciascun segmento viene tenuto tempora-
neamente in posizione per mezzo di una
precompressione provvisoria che permette
di liberare immediatamente le attrezzature
di varo senza attendere i tempi di presa
delle resine e quelli relativi al alla tesatura
dei cavi definitivi-
Lo schema statico più frequente per gli impalcati costruiti a conci è quello della trave
continua di lunghezza complessiva fino a 1000 m ed oltre. Gli spostamenti dovuti alle variazioni
termiche, ritiro ecc. sono consentiti o dalla flessibilità delle pile, se molto alte (nel qual caso
l'impalcato è rigidamente connesso alle pile stesse), o dall'introduzione di appoggi opportuni. In
questo caso nelle fasi costruttive bisognerà collegare provvisoriamente l'impalcato alla pila.
Il calcolo va condotto analizzando per ogni fase costruttiva, cioè per ogni nuovo concio che
nasce, lo stato di sollecitazione e di deformazione dell’'intera struttura tenendo conto dei
fenomeni lenti che interessano in modo differente i vari conci, tutti di età diversa.
Esempi di influenza delle modalità costruttive sullo stato di sollecitazione per peso proprio per
ponti in c.a.p.
1. Ponti a travata continua su più appoggi a sezione trasversale omogenea
Modalità costruttive possibili:
- centinatura dell’intero viadotto dal basso, getto contemporaneo di tutte le campate, maturazione,
precompressione, disarmo: schema statico per peso proprio uguale allo schema statico finale.
- Costruzione per campate successive, con progressiva realizzazione della continuità: lo schema statico varia
progressivamente, passando da una campata semplicemente appoggiata ad una serie di campate continue su
un numero crescente di appoggi. Corrisponde generalmente alla costruzione mediante centine autovaranti,
con getti in sito interrotti sulle pile o ai quarti della luce.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 9.22 -
Metodi di costruzione dott. ing. Lorenzo Macorini
- Posa iniziale di tutte le travi su uno schema isostatico, e quindi connessione delle campate (generalmente
mediante precompressione) a creare uno schema continuo: lo schema statico cambia da sequenza di travi
semplicemente appoggiate a schema continuo “ad un certo istante t0”. Corrisponde generalmente alla posa di
elementi prefabbricati mediante gru o mediante tralicci di varo, da connettere successivamente.
- Costruzione dell’impalcato su una spalla e spinta longitudinale mediante martinetti, facendo scorrere
l’impalcato su slitte o rulliere poste sulle pile: lo schema statico cambia continuamente; un qualsiasi punto A
del ponte si trova di volta in volta in diverse posizioni rispetto agli appoggi, assumendo sollecitazioni
flettenti e taglianti anche di segno diverso.
2. Ponte semplicemente appoggiato, con sezione resistente generata per fasi successive.
Corrisponde all’utilizzo, per esempio, di travi prefabbricate autoportanti che vengono completate in opera
mediante getti integrativi (generalmente della soletta). Lo schema statico globale non cambia, ma cambia la
sezione resistente: il peso proprio viene sopportato dalla trave prefabbricata, i sovraccarichi permanenti e i
carichi accidentali dalla sezione composta.
3. Ponte realizzato con avanzamento a sbalzo progressivo simmetrico a partire da una pila, con
realizzazione di un sistema di mensole da connettere successivamente in mezzeria.
Lo schema statico cambia da un sistema di mensole isostatiche, incastrate definitivamente o
provvisoriamente sulle pile, ad uno schema continuo (trave continua o telaio).
Esempi di Influenza delle modalità costruttive sullo stato di sollecitazione per peso proprio per
ponti in acciaio e acciaio-calcestruzzo
1. Ponte semplicemente appoggiato, con sezione resistente mista (acciaio – calcestruzzo) generata per
fasi successive.
Corrisponde all’utilizzo, per esempio, di travi metalliche autoportanti che vengono completate in opera
mediante il getto della soletta (generalmente su casseri autoportanti - predalles). Lo schema statico globale
non cambia, ma cambia la sezione resistente: il peso proprio dell’acciaio e della soletta viene sopportato
dalla trave metallica, i sovraccarichi permanenti e i carichi accidentali dalla sezione composta. E’ peraltro
possibile modificare tale procedura introducendo degli appoggi provvisori in fase di getto.
2. Ponti interamente metallici, varati su schemi statici diversi da quello finale.
I ponti metallici offrono varie possibilità di essere posti in opera mediante “autovaro”, generalmente per
spinta da un estremo verso l’altro, con l’ausilio di attrezzature leggere. È possibile che le procedure parziali
di costruzione creino sollecitazioni intermedie di cui la struttura mantiene memoria. Generalmente è
possibile “correggere” lo stato di sollecitazione risultante verso quello desiderato mediante deformazioni
imposte.
Procedure costruttive per un ponte a travata a due luci: comparazione di tre metodi costruttivi e
relativi stati di sollecitazione.
Nello schema non puntellato il peso proprio della soletta grava totalmente sulla struttura metallica; la
soletta stessa, invece, collabora con l’acciaio per l’assorbimento delle sollecitazioni successive
(sovraccarichi permanenti ed accidentali), mentre nello schema non puntellato il calcestruzzo collabora
anche per sopportare il peso del calcestruzzo.
Esempio:
Riferimenti bibliografici
• Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
M. P. Petrangeli (IV edizione, MASSON, 1997).
• I Ponti Pedonali: Evoluzione e Innovazione nella concezione strutturale, M. de Miranda
presentazione per un seminario presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia
(2004).
• L’influenza delle modalità esecutive sul regime di sollecitazione e deformazione dei ponti, M.
Organte, Corsi brevi di progettazione in zona sismica ponti in zona sismica: criteri di progetto e
aspetti normativi.
1
Per stabile si intende: “la cui resistenza non è rapidamente degradante”.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 10.2 -
Apparecchi di appoggio, pile e spalle di ponti. dott. ing. Lorenzo Macorini
Inoltre il proporzionamento della struttura deve essere tale da favorire l'impegno plastico
del maggior numero possibile di pile. Il comportamento inelastico dissipativo deve essere di tipo
flessionale, con esclusione di possibili meccanismi di rottura per taglio.
Gli elementi ai quali non viene richiesta capacità dissipativa, e devono, quindi, mantenere
un comportamento sostanzialmente elastico, sono: l'impalcato, gli apparecchi di appoggio, le
strutture ed il terreno di fondazione, le spalle. Per garantirne il comportamento elastico, questi
elementi devono essere progettati per resistere alle massime azioni che gli elementi dissipativi
possono loro trasmettere, adottando il criterio della "gerarchia delle resistenze".
Per questi elementi strutturali le sollecitazioni di calcolo non si valutano sulla base dello
spettro di progetto del ponte, ma in base alle sollecitazione che vengono trasmesse dagli
elementi dissipativi, amplificate per tenere conto dell’effetto di sovra resistenza.
Stato Limite Ultimo SLU: si progetta con riferimento ad un evento sismico di forte intensità che
ha probabilità di occorrenza del 10% in 50 anni, ovvero un periodo medio di ritorno
commisurato all'importanza dell'opera non inferiore a 475 anni (azione sismica di progetto).
Per tale evento, i danni strutturali subiti dal ponte sono tali da non comprometterne la transitabilità, e da
consentire una capacità ridotta di traffico sufficiente per le operazioni di soccorso post-sisma.
Stato Limite di Danno SLD: fa riferimento ad un evento sismico caratterizzato da un periodo
medio di ritorno commisurato all’importanza dell'opera, ma non inferiore a 72 anni e che ha,
quindi, una significativa probabilità di verificarsi più di una volta nel corso della durata utile
dell'opera.
A seguito di tali eventi sismici, i danni strutturali sono di entità trascurabile, tali da non richiedere alcuna
riduzione del traffico né interventi urgenti di ripristino.
• Zonizzazione simica
Il parametro che si utilizza nella
nuova classificazione del
territorio nazionale è ag =
accelerazione orizzontale
massima su suolo di categoria A
(roccia) per un terremoto che ha
probabilità del 10% di avvenire
in 50 anni, ovvero con periodo
Fattore di importanza γI di ritorno di 475 anni.
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 10.4 -
Apparecchi di appoggio, pile e spalle di ponti. dott. ing. Lorenzo Macorini
• Azione sismica
Se si considera il moto sismico in un punto, l'effetto combinato dell'ampiezza
dell'accelerazione massima, del contenuto di frequenze e della durata, può essere
convenientemente descritto attraverso lo spettro di risposta elastico (analisi statica/ analisi
dinamica modale). In alternativa si devono usare più accelerogrammi specifici per quel sito
(analisi time history).
Spettro di risposta elastico
Lo spettro elastico di progetto è ottenuto a partire da molti eventi sismici, ma non è riferito ad
alcuno specifico terremoto reale. Lo spettro che caratterizza il sito si ottiene come inviluppo di
più spettri di risposta. Lo sviluppo di spettri di risposta specifici per un particolare sito richiede
uno studio accurato delle caratteristiche geologiche e sismologiche dell’area di appartenenza del
sito stesso. E’ noto, infatti, che le caratteristiche del moto sismico sono influenzate dalla
sorgente che origina il sisma, dal percorso che le onde compiono fino al sito ed, infine, dalle
condizioni locali.
Modifica della risposta sismica per effetto del terreno:
amplificazione locale
Il fattore di struttura q tiene conto della duttilità del ponte ovvero della capacità
caratteristica degli elementi duttili di resistere alle azioni sismiche in campo plastico,
danneggiandosi ma non collassando. Tale coefficiente è da applicare: (i) alle singole pile per
ciascuna delle due direzioni principali, nei casi di ponti isostatici, (ii) all’intera opera, ma ancora
separatamente per le due direzioni, per i ponti a travata continua. In quest’ultimo caso si
assumerà il valore di q più basso delle pile che fanno parte del sistema resistente alle azioni
sismiche per ciascuna delle due direzioni. Si possono usare valori diversi di q nelle diverse
direzioni di applicazione dell’azione sismica. Si possono avere strutture con diversi elementi
resistenti duttili, in questo caso è bene usare il q corrispondente all’elemento duttile che
contribuisce maggiormente alla resistenza sismica del ponte.
Massimo per il fattore di struttura q = 3.5. Riduzioni: (i) per pile tozze, (ii) per il calcolo delle
spalle, (iii) per pile fortemente compresse, (iiii) per ponti a geometria “non regolare”.
In molti casi al posto del sistema globale si possono utilizzare sotto-sistemi. Il sistema può
essere trattato diversamente in direzione longitudinale e in direzione trasversale. Nell’analisi
2
Se l'analisi viene eseguita in campo non lineare mediante integrazione al passo, le componenti L e T (e quella verticale*, ove appropriato)
devono venire applicate simultaneamente alla struttura.
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Apparecchi di appoggio, pile e spalle di ponti. dott. ing. Lorenzo Macorini
• Masse
Le masse sono valutate considerando i carichi permanenti.
Analisi statica equivalente. Le masse entrano
nella definizione delle forze statiche
equivalenti. Si utilizza una massa efficace pari
alla massa dell’impalcato afferente alla pila e
alla massa della metà superiore della pila (se
questa è inferiore al 20% della massa
dell’impalcato).
Metodi dinamici. Per utilizzare i metodi
dinamici le masse sono in genere assegnate al
modello come masse concentrate posizionate ai
nodi.
• Rigidezze
La rigidezza degli elementi in c.a. deve essere valutata tenendo conto dell'effettivo stato di
fessurazione.
Metodi di analisi
• Analisi modale
Si riconduce l’analisi di un sistema M-GDL (con n g.d.l.) soggetto a sisma a quello di n sistemi
1-GDL, indipendenti. Per ogni sistema i modi propri di vibrare sono in numero pari al numero
dei g.d.l. e costituiscono le oscillazioni periodiche libere del sistema elastico non smorzato.
Quando il sistema oscilla secondo uno dei modi propri tutte le masse oscillano con la stessa
pulsazione (pulsazione corrispondente al modo) e la stessa fase, mantenendo immutati i rapporti
tra le ampiezze. Per ogni oscillazione le masse raggiungono il punto di massimo spostamento nel
medesimo istante. OSS: è possibile esprimere una qualsiasi deformata vibratoria del sistema
come combinazione lineare dei modi propri.
Criteri di progettazione
I criteri di progettazione sono volti esplicitamente al soddisfacimento del requisito di non
collasso, ma implicitamente coprono anche quello di limitazione del danno. È necessario
scegliere il tipo di comportamento che si vuole che il ponte abbia durante l’evento sismico di
progetto.
La scelta del tipo di comportamento dipende dalla sismicità del sito, dalle dimensioni e
geometria del ponte e dalla presenza di isolatori o di altri vincoli che possano modificare in
modo sostanziale la risposta alle azioni sismiche.
OSS: è opportuno che le cerniere plastiche si formino nelle pile, che sono i componenti
strutturali principali più facilmente riparabili e meno direttamente coinvolti nel transito dei
veicoli. Per quanto possibile si deve fare in modo che le cerniere plastiche si formino in punti
accessibili per ispezione ed eventuale riparazione. In genere l’impalcato deve rimanere in campo
elastico. La formazione di cerniere plastiche è consentita nelle solette di continuità (piastre
duttili a flessione). La formazione di cerniere plastiche non è ammessa in sezioni in c.a. in cui la
forza assiale normalizzata sia maggiore di 0.6.
• Criterio della gerarchia delle resistenze (GR)
Il criterio GR consiste nel determinare le azioni di progetto per i meccanismi (resistenza a
taglio di tutti gli elementi), e per gli elementi strutturali (appoggi, fondazioni, spalle) che devono
mantenersi in regime lineare sotto l'azione sismica di progetto, assumendo che in tutte le zone
dove è prevista la formazione di cerniere plastiche agiscano momenti flettenti da considerare
quali frattili superiori degli effettivi momenti resistenti, e dati dall'espressione: γ0·MRd,i
Il fattore γ0 (fattore di "sovraresistenza") viene calcolato mediante l'espressione: γ0 = 0.7 + 0.2q
≥ 1, nella quale q è il valore del coefficiente di struttura utilizzato nel calcolo.
Le sollecitazioni calcolate a partire dai momenti resistenti amplificati (e dai carichi permanenti
distribuiti sugli elementi) si definiscono ottenute con il criterio della gerarchia delle resistenze.
OSS: (i) il criterio della gerarchia delle resistenze si applica solamente nel caso in cui si faccia ricorso alla duttilità della
struttura per la dissipazione di energia; (ii) lo scopo di questo approccio progettuale è quello di garantire che le cerniere
plastiche nascano là dove previsto, e non altrove, evitando l’introduzione di labilità oppure meccanismi di collasso fragile.
Tutte le zone in cui non è prevista la formazione di cerniere plastiche (e quindi devono rimanere in campo elastico) devono
essere dotate di una adeguata “sovraresistenza” non tanto riguardo alle sollecitazioni derivanti dall’analisi, ma soprattutto
rispetto a quelle sollecitazioni che potrebbero nascere sulla struttura immediatamente prima che si formino cerniere plastiche
laddove è previsto che si formino.
b) appoggi mobili unidirezionali, trasmettono forze orizzontali in una sola direzione: δx= 0 δy
libero (o viceversa);
c) appoggi mobili multidirezionali, non trasmettono forze orizzontali (escluse quelle parassite):
δx e δy liberi.
Ciascuno di questi appoggi può consentire la rotazione θx, nel qual caso è detto sferico, ovvero
impedirla (cilindrico).
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Apparecchi di appoggio, pile e spalle di ponti. dott. ing. Lorenzo Macorini
In ogni caso nel valutare l'entità degli spostamenti va tenuto presente che i vincoli non sono quasi mai
disposti in corrispondenza della fibra neutra della trave, ma al suo intradosso: ne consegue che si hanno
spostamenti δx anche per azioni che non provocano variazioni di lunghezza dell'asse della trave ma solo
rotazioni agli appoggi.
a) consentire il trasferimento alle pile e alle spalle (e da queste al terreno) delle azioni
orizzontali in tutte le direzioni (condizione di equilibrio)
b) consentire le deformazioni, soprattutto in senso longitudinale (parallelo all’asse del
ponte), non dipendenti da forze esterne, quali ritiro (calcestruzzo) e variazioni termiche; molto
spesso tali deformazioni, se contrastate, danno luogo a sollecitazioni di entità intollerabile.
Le due esigenze sono tra loro contrastanti: un sistema di vincoli orizzontali iperstatico
consente una migliore ripartizione delle forze orizzontali sui vincoli (minor concentrazione di
forze), ma, per contro, farebbe nascere delle azioni per coazione (deformazioni impedite o
contrastate).
Schemi di vincolo per azioni orizzontali
• Campata singola
a) Disposizione iperstatica, equivalente ad una trave
incastrata ad un’estremità ed appoggiata all’altra.
Tale disposizione non consente spostamenti trasversali
relativi tra pile contigue.
b) Disposizione isostatica (equivalente ad una trave
semplicemente appoggiata), che consente di determinare
con certezza (ricorrendo alle sole condizioni di equilibrio)
le reazioni orizzontali sugli appoggi.
Avvertenza importante: gli appoggi fissi o unidirezionali impediscono il movimento relativo fra
impalcato e struttura sulla quale sono posti gli appoggi, non gli spostamenti assoluti. Per questa
ragione, in presenza di pile sufficientemente snelle e deformabili, è assolutamente necessario
tener conto della loro deformabilità per la determinazione delle forze sugli appoggi.
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Apparecchi di appoggio, pile e spalle di ponti. dott. ing. Lorenzo Macorini
Attualmente sono in disuso, visto le migliori prestazioni garantite dagli appoggi elastomerici
armati.
• Appoggi elastomerici armati
Sono costituiti da strati di acciaio (1-2 mm) combinati con strati di gomma (naturale o
artificiale) di 10-12 mm. Le lamiere d’acciaio rendono questi appoggi quasi incompressibili
(limitando l’espansione laterale della gomma) mentre non modificano la mobilità orizzontale e la
Corso di Costruzione di Ponti - a.a. 2007/08 - Pag. 10.29 -
• Appoggi in acciaio
Il funzionamento è basato sul rotolamento di due o più superfici d’acciaio in contatto tra
loro. Il sistema si comporta come una cerniera cilindrica o sferica, a seconda della tipologia.
Dispositivi antisismici
Corrispondono a dei dispositivi di vincolo che sono in grado di modificare in senso
favorevole la risposta della struttura in caso di sisma. Questi organi possono essere fisicamente
distinti dagli apparecchi di appoggio “classici”, che garantiscono il funzionamento del ponte in
esercizio; ovvero possono essere inglobati in questi costituendo un unico oggetto che svolge due
funzioni concettualmente distinte.
I dispositivi antisismici vanno progettati e realizzati in modo da sopportare il massimo
sisma prevedibile senza collassare. Essi possono peraltro, in questo caso, subire plasticizzazioni
o rotture locali tali da dover essere sostituiti dopo questi eventi: per questo motivo essi devono
essere facilmente accessibili ed ispezionabili in tutte le loro parti. I dispositivi attualmente
prodotti possono essere raggruppati in due categorie a seconda del loro funzionamento: i)
isolatori sismici, ii) dissipatori.
L’isolamento sismico garantisce una forte riduzione dell’energia in ingresso, mediante
l’impiego di dispositivi orizzontalmente molto flessibili. I dissipatori consentono invece di
dissipare una grande quantità dell’energia in ingresso.
Mediante l’isolamento sismico si disaccoppia il moto della struttura da quello del terreno
per ridurre gli effetti distruttivi del terremoto. Il disaccoppiamento, ottenuto attraverso
dispositivi detti ISOLATORI, solitamente interposti tra le pile/spalle e l’impalcato, consente di
ridurre le accelerazioni trasmesse alla sovrastruttura, che si comporta come un corpo rigido al di
sopra degli isolatori. Quindi mediante l’isolamento sismico si riduce l’energia in ingresso Ei.
N.B. l’energia in ingresso non è una proprietà intrinseca del terremoto, in quanto oltre che dallo spostamento
del terreno dipende dalla risposta strutturale. Essa dipende principalmente dal periodo fondamentale di
vibrazione, oltre che dall’accelerogramma applicato.
Isolatori elastomerici
Appoggi antisismici in elastomero armato realizzati
con mescole elastomeriche ad elevata capacità
dissipativa, caratterizzati da una rigidezza orizzontale
sufficientemente bassa da consentire un sensibile
incremento del periodo proprio della struttura.
Verifiche in esercizio
Nelle verifiche in esercizio occorre considerare
tutte le combinazioni dei carichi previste nelle
norme. Ogni forza agente provocherà in genere
sia sforzo normale (N) che momenti flettenti
nel piano longitudinale (Ml) e trasversale (Mt).
Se I si tratta di forze orizzontali quali il vento,
la frenatura ecc. si avranno poi anche forze di
taglio secondo le due direzioni principali (Tl e
Tt) . Nel caso dei ponti a travate emplicemente
appoggiate, particolare attenzione va posta alla
eccentricità e, delle reazioni delle travi.
L'eccentricità longitudinale diventa poi
importante nel caso dei ponti a stampella.
Analoghe considerazioni valgono per definire
la posizione del carico trasversalmente, cioè il
numero di corsie da caricare, potendosi
rendere massimo Mt o N, per cui le situazioni
di carico che bisognerebbe considerare
risultano teoricamente pari a due volte il
numero delle corsie.
Più semplice è il caso di travi continue in quanto si ha un’unica serie di appoggi posti in asse alla pila, e
quindi sono nulli tutti i momenti longitudinali dovuti alle reazioni verticali dell'impalcato.
Pile snelle
Molto spesso le pile dei ponti a travata sono alte rispetto alle dimensioni della loro sezione,
per cui devono essere presi in considerazione i fenomeni di instabilità flessionale.
La definizione della lunghezza libera di inflessione non risulta peraltro sempre immediata. La
schematizzazione corrente di una pila, infatti, è quella di una mensola, cioè di un'asta
perfettamente incastrata alla base e libera in sommità. In questo caso è noto che si ha l0 = 2H.
Questa schematizzazione
ignora però due fatti,
opposti, che possono essere
molto importanti: (i) la
fondazione della pila non
costituisce mai un incastro
perfetto poiché si ha la
deformabilità (elastica ed
anelastica) del suolo e
degli eventuali pali. Ciò fa
scadere il grado di incastro
e quindi fa aumentare l0;
(ii) la sommità della pila può risultare vincolata elasticamente alle travate che poggiano su di
essa.
10.5. Le spalle
Le spalle dei ponti a travata costituiscono l'elemento strutturale di transizione tra il rilevato
stradale ed il ponte. Esse da un lato forniscono l'appoggio ad una travata e quindi assolvono alle
funzioni proprie delle pile, mentre dall'altro contengono il terreno costituente il rilevato,
svolgendo il compito di muri di sostegno.
quarto di cono formato dal rilevato e quindi di arretrare il piede della scarpata; in alternativa ai
muri di risvolto possono aversi i muri d'ala (f);
g) fondazione che, come per le pile, può essere diretta, su pali, su pozzo ecc. a seconda della
natura del suolo.
Dal punto di vista tipologico una prima grossa distinzione riguarda, analogamente a quanto
avviene per i muri di sostegno, le dimensioni del muro frontale. Si hanno così le spalle a gravità
e le spalle a pareti sottili. Nel secondo caso gli elementi sono sollecitati da rilevanti sforzi di
flessione e per altezze superiori agli 8÷10 m è conveniente dotare la spalla di speroni.
A volte quando la morfologia del sito lo permette, e cioè in zone pianeggianti, può essere
conveniente impiegare spalle a rilevato passante. Queste possono essere viste come delle spalle a
speroni a cui è stata eliminata fa soletta frontale per ridurre l'entità della spinta del terreno.
Per ciò che riguarda le reazioni trasmesse dalla travata valgono le considerazioni svolte per
le pile sulle possibili condizioni di carico. Naturalmente andrà definito il tipo di vincolo che la
travata ha sulla spalla per decidere se considerare o meno le forze di frenatura agenti
sull'impalcato.
Riferimenti bibliografici
• Progettazione e costruzione di Ponti con cenni di patologia e diagnostica delle opere esistenti.
Modellazione di impalcati da ponte mediante codici di calcolo agli EF dott. ing. Lorenzo Macorini
ing. Pasquale Lucia
ing. Roberto Zamparo
11.1.Concetti di modellazione FE
Attraverso tali elementi può essere discretizzato un qualsiasi problema strutturale avendo
cura di caratterizzare al meglio le condizioni di vincolo esterne, le connessioni interne, le
sezioni, i sistemi locali di riferimento e i carichi applicati. Si tenga inoltre presente che in molti
software commerciali è fondamentale la connettività dei nodi agli elementi e il loro grado di
libertà relazionato allo spazio di modellazione (tipicamente 2D o 3D) e che ogni nodo è
comunque dotato di 6 gradi di vincolo i quali dovranno essere debitamente “bloccati”.
I sei seguenti punti influenzano notevolmente il costo e l’accuratezza del modello e
dovrebbero essere tenuti sempre presente:
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3. La dimensione degli elementi deve essere scelta in modo tale che essi siano bene
proporzionati (rapporto massimo tra il lato maggiore e lato minore non deve superare
1:5) possibilmente 1:1;
Prima di cominciare una qualsiasi modellazione si deve aver sempre cura di controllare e
settare:
1. Unità di misura (Figura 4), assicurarsi sempre durante la modellazione di operare con
le unità desiderate!!!
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2. Nel caso vi sia un post processore di verifica disponibile, impostare la normativa di
riferimento e il sito di progetto;
Una volta settati i parametri dell’ambiente di lavoro, attraverso le seguenti regole
procedurali, si potrà condurre una modellazione ed un’analisi di una struttura con l’ausilio del
calcolatore:
2°
Figura 6: Gradi di libertà del sistema, caso 3D Figura 7: Gradi di libertà del sistema, caso 2D Figura 8: Definizione sezione rettangolare in c.a.
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Il bridge modeller di SAP2000
Attraverso l’ausilio dello strumento parametrico di
assistenza alla modellazione di ponti a disposizione del
SAP2000 in pochi passaggi si crea il modello di un ponte
caricato e pronto per il lancio di un’analisi mono, bi e
tridimensionale. Di seguito vengono riportati i principali
passaggi necessari al conseguimento di tale scopo.
1. Per avviare il modulo dal menu di SAP2000
Figura 9: Finestra principale del wizard ponti di SAP2000
2° 1°
3°
4°
Figura 10: Quick Start per la definizione dell’asse sia orr. Che ver.
Figura 11: Finestra di definizione dell’asse principale del modello Figura 12: Finestra di definizione dei dati dell’asse orizzontale
progetto, quali pile spalle e nel caso forma e posizione dei conci);
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3. Definizione della sezione dell’impalcato (Figura 14), nell’esempio viene riportata la
definizione di una sezione a graticcio.
B
verticalmente rispetto
all’estradosso della
trave stessa;
C C: Diaframma di
pila;
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ÅPosizione dell’elemento
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8. Definizione dei veicoli e delle relative classi di carico, nell’esempio riportato ci si
riferisce al carico standard da TU2005 per ponti di prima categoria;
A: Definizione della condizione di
carico viaggiante per la definizione
delle linee di carico per il momento
e/o per altri propositi;
Figura 20: Esempio di carichi e condizioni di carico generate nell’esempio in accordo con il TU2005
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Combinazioni di carico statiche
Vengono realizzate un numero limitato di combinazioni di carico di tipo statico per
simulare il passaggio delle colonne di carico.
Le posizioni sono state scelte in modo tale da studiare i massimi momenti positivi misurati
ai quarti della luce della campata. E quindi in questo caso le campate sono state caricate in
maniera alternata.
Per determinare invece i momenti massimi in valore negativo la posizione individuata è
stata quella in corrispondenza degli appoggi intermedi. In questo caso sono state caricate le
campate adiacenti all’appoggio in esame, con il carico Q1k a cavallo di questo.
I massimi tagli si generano anche in questo caso in prossimità degli appoggi e sono stati
rilevati posizionando il carico Q1k nelle immediate vicinanze dell’appoggio
La modellazione degli impalcati a cassone deve tener conto delle complesse deformazioni
che le sezioni trasversali di questo tipo di struttura subiscono. La deformata complessiva può
essere vista come somma di quattro effetti distinti:
x flessione longitudinale
x flessione trasversale
x torsione
x distorsione
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Tipolgie di modellazione
Nella modellazione degli impalcati a cassone la modalità più intuitiva è quella di utilizzare
elementi di tipo shell.
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Una modellazione alternativa, vista con la finalità di ridurre i tempi di computazione in fase di
soluzione della struttura, è quella che utilizza esclusivamente elementi di tipo frames.
Mediante questa rappresentazione la struttura viene descritta come una travatura reticolare.
Gli elementi diventano rappresentanti della capacità resistenti delle varie parti del cassone. Essi
vengono così rappresentati:
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Dove:
A sono i frames che rappresentano la soletta, hanno la rigidezza della larghezza a definita in
figura;
B sono i traversi della reticolare, hanno la rigidezza di una striscia di soletta di dimensione pari
al loro interasse, distanza b di figura;
C sono i diagonali superiori, rappresentano il sistema resistente di forfe che si genera sulla
soletta per effetto del carico torcente;
D, serie di frames che segue la tracciatura degli elementi di tipo A, riproducono la parte
superiore della trave in acciaio ed ha la rigidezza della piattabanda superiore e di metà
dell’anima;
E analogamente rappresenta la rigidezza di metà controsoletta e di metà anima;
F sono i montanti della struttura reticolare e nel testo di E. C. Hamly vengono considerati con la
rigidezza dell’anima di larghezza pari al loro interasse;
G sono aste diagonali delle anime la cui rigidezza nasce da valutazioni sulla teoria delle travi
alte;
H sono elementi diagonali della controsoletta per cui valgono le considerazioni degli elementi
precedenti
Per dotare la struttura così realizzata, della rigidezza torsionale tipica delle strutture a cassone,
devono essere collocati opportuni traversi rigidi, evitando così il disaccoppiamento tra le due
pareti verticali del cassone.
Essendo la struttura costituita da elementi di una travatura reticolare, essa deve essere soggetta
nelle sue parti esclusivamente a sforzo normale. Per evitare che vi sia trasmissione di momento
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tra le aste, queste devono essere svincolate a momento alle estremità. Il comando corrispondente,
in ambiente di lavoro SAP2000, è l’end release.
Si ottiene in conclusione una struttura costituita da pochi elementi, tutti bidimensionali. L’analisi
di questo tipo di strutture risulta quindi molto rapida. Questa velocità di soluzione però ha come
contro una maggior complessità nell’interpretazione dei risultati, dovendo di volta in volta
tradurre sforzi assiali sulle aste, in tensioni massime su parti della sezione stessa.
Con questo tipo di metodologia di modellazione si possono realizzare verifiche globali della
struttura, perdendo però comportamenti particolari, quali per esempio lo shear leg.
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Esempio di ponte ad arco in legno lamellare
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La struttura modellata è costituita da elementi frame collegati rigidamente ai nodi. Aòòe
estremità vengono vincolati i nodi inserendo delle cerniere. La cerniera in mezzeria viene
realizzata svincolando il momento degli elementi frames attraverso il comando end release.
Aste rilasciate a
momento
all’estremità
mediante end
releases
Nodi correlati
mediante constraint
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Le travi principali sono generate mediante elementi frames collocati in corrispondenza dell’asse
baricentrico, ed i traversi della struttura secondaria vengono connessi ad esse in posizione di
volta in volta diversa, ma comunque discosti dall’asse baricentrico. Per creare la necessaria
connessione tra queste coppie di nodi che così si vengono a formare è stato utilizzato il comando
joint constraint di tipologia body che genera un movimento identico e simultaneo dei due nodi.