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La chiesa di Nostra Signora della Misericordia, detta anche Mater Misericordiae, è una chiesa parrocchiale che si trova a Baranzate,

nella città
metropolitana di Milano.
Costruita dal 1956 al 1957 su progetto di Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti, costituisce uno degli esempi più importanti di architettura ecclesiale
moderna nella diocesi ambrosiana[1], e in assoluto quella che meglio ne interpreta lo spirito di rinnovamento radicale dell'epoca[2]. La chiesa è anche detta
"Chiesa di Vetro" per via delle pareti perimetrali realizzate in vetro traslucido.
Storia
[3]
La chiesa, finanziata da donazioni private, venne costruita dal 1956 al 1957 per servire la località di Baranzate, allora in forte crescita demografica; fu
progettata dagli architetti Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti, coadiuvati per la parte strutturale dall'ingegnere Aldo Favini[1][3][4].
[5]
La nuova chiesa venne eretta in parrocchia con decreto del 12 luglio 1958 dell'arcivescovo cardinale Montini ; essa venne consacrata il successivo 7
[6]
novembre dallo stesso Montini, che nel suo discorso le attribuì il significato simbolico di rappresentazione della luce divina , tacitando così le perplessità
degli ambienti curiali che ne criticavano l'aspetto eccessivamente moderno e privo di richiami alla tradizione[7].
Nonostante gli architetti avessero progettato la chiesa pensando ad una sua replicabilità seriale in altri quartieri dell'area milanese[8], ciò non avvenne mai,
anche a causa del precoce e rapido degrado da cui l'edificio fu affetto: i materiali innovativi si dimostrarono poco durevoli, e il clima dell'ambiente interno
[7] [1]
risultò poco gradevole , tanto da suggerire la sostituzione dei pannelli isolanti in polistirolo espanso con altri in politene bianco .
Nel 1979 la chiesa fu oggetto dell’esplosione di un ordigno incendiario che causò gravi danni; venne riaperta al culto l’anno successivo, restando però in
stato di grave degrado[9]. Nel 1984-85 venne costruito il campanile, progettato da Morassutti con Favini e C. Piper[7].
Nel 1994 Mangiarotti e Morassutti proposero un progetto di restauro, a cui seguì cinque anni dopo un progetto di ampliamento, ma queste proposte
restarono senza seguito. Solo nei primi anni 2000, anche a seguito dell’apposizione di un vincolo da parte della Sovrintendenza e del DARC, si iniziarono i
[6][10]
lavori di rifacimento , conclusisi alla fine del 2014 dallo studio SBG architetti.

4/01/2016 - E' stato completato il restauro della chiesa di Nostra Signora della Misericordia a Baranzate, il noto capolavoro dell'architettura moderna italiana, disegnato negli anni
Cinquanta da Angelo Mangiarotti, Bruno Morassutti e Aldo Favini. Il lungo intervento è stato avviato nel 2004 dallo stesso Morassutti e portato a termine, dopo la scomparsa del
maestro, da SBG architetti.

Il restauro ha riportato la celebre 'Chiesa di vetro' all'originario splendore. All’esterno è stato ripristinato l'iconico involucro in vetro, mentre all’interno, è stata fedelmente riprodotto il
disegno della pavimentazione originale.

Come spiega Giulio Barazzetta, di SBG architetti, il progetto e la sua realizzazione "hanno avuto il costante obiettivo di ripristinare il complesso architettonico, tenendo come
riferimento l'edificio inaugurato nel 1958, in una situazione particolare del restauro che consiste nella 'riscrittura', assieme agli autori, di una stessa opera".

Casalgrande Padana ha partecipato alla realizzazione del delicato intervento, come unico fornitore di tecnologie evolute e prodotti ceramici, con la messa in opera di 1000 metri
quadrati di lastre in grès porcellanato, utilizzate per la pavimentazione interna della grande navata unica.

Le lastre ceramiche ripropongono il formato originale di cm 14x28 utilizzato dai progettisti nel 1958, al fine di rispettarne rigorosamente il disegno di posa. La trama delle piastrelle
riproduce fedelmente la cromia degli elementi originali.

Il progetto del restauro della chiesa di Nostra Signora della Misericordia di Baranzate, ha come obbiettivo ripristinare l'aspetto originario del complesso
architettonico adeguandolo alle esigenze e di comfort delle condizioni d'uso richieste. Esso ha come riferimento l'edificio inaugurato il 7 novembre 1958 e il
suo progetto del 1956-1957 di Angelo Mangiarotti e Bruno Morassutti con Aldo Favini per le strutture. Questo enunciato comporta una interpretazione di
“restauro” laddove il rifacimento dell’edificio pone la questione della distinzione delle parti, dell’interpretazione di “aggiunto” ed “originale”. Sono stati gli
stessi autori a individuare con evidenza i nuovi componenti distaccandoli dal contesto originario per posizione e caratteri, come ad esempio è già stato per
il campanile nel 1985. Il progetto condotto dagli autori individua il diaframma delle murature e della facciata come luogo delle nuove installazioni e dei
nuovi elementi costruttivi, ne ricava lo spazio nel limite fra interno ed esterno, negli strati della materia, evidenziando lo scarto fra vecchio e nuovo in un
progetto che sta tutto nella differenza “fra” i materiali “dentro” la costruzione.

Le immagini che seguono, comprese fra quelle d’inzio lavori (giugno 2013) e quella della fine del montaggio del rivestimento, (aprile-giugno
2014) mostrano lo stato dei lavori in corso della parrocchia di Nostra Signora della Misericordia di Baranzate. Fra queste le fotografie di
Marco Introini hanno accompagnato il tempo del cantiere, ricalcando espressamente i punti di ripresa che appartengono alla
tradizione iconografica di questo edificio, per come essa è stata stabilita dal lavoro di Giorgio Casali in stretta collaborazione con Angelo
Mangiarotti e Bruno Morassutti durante la sua costruzione. I disegni sono quelli originali del progetto del 1957 che si confrontano con quelli
prodotti dal progetto 2006-2008 e dal progetto esecutivo appaltato per il cantiere in corso.
La conclusione del lungo lavoro di progettazione per il restauro e l’adeguamento di questo edificio esemplare dell’architettura italiana
contemporanea si avvicina. Opera di Angelo Mangiarotti, Bruno Morassutti e Aldo Favini, fu progettata e costruita tra il 1956 e il 1958, per
il programma del cardinal Montini per le nuove chiese della periferia metropolitana milanese, inaugurata l’8 novembre 1958.[1]
La chiesa, un volume prismatico rivestito in vetro alto 9 metri a pianta rettangolare di 14 metri per 28 coperto in cemento armato, ha la
dimesione di una cappella o un oratorio piuttosto che di una parrocchiale, ed è appoggiata a due metri dal piano di campagna su un
rilievo raccordato con il suolo da un pendio erboso.
La chiesa è racchiusa da un recinto che ne delimita lo spazio sacro a pianta rettangolare di 30 per 60 metri, costruito da un curvo muro a
scarpa di calcestruzzo e ciottoli a vista. Il recinto porta all’interno le formelle della Via Crucis scolpite da Cosentino che circondano il
volume bianco dell’aula liturgica. Varcandone l’unica soglia di fronte alla chiesa ci si trova di fronte due scalinate affiancate, a sinistra una
che sale verso l’aula risplendente di vetro bianco, a destra un’altra in discesa verso un ingresso in ombra, a fianco della vasca d’acqua
prospiciente il fonte battesimale.
Entrando in chiesa dal basso, come si dovrebbe, dalla penombra degli ambienti seminterrati inferiori si sale attraverso lo scalone interno alla
sovrastante luce diafana dell’aula vetrata.
All’interno quattro colonne portano la copertura ricca di rilievo e penombra. Due travi principali, gettate in opera, reggono, incastrate, sei
travi longitudinali, la cui ossatura è formata da trenta conci prefabbricati montati e post-tesi. Lo spazio è infine coperto da
pannelli prefabbricati appoggiati fra le travi. La struttura della copertura così articolata diviene ordine architettonico che decora le più corte
facciate di accesso e retro, mostrando la sezione a «X» delle travi nell’ordine architettonico. La carpenteria metallica leggera del rivestimento
complanare alla copertura reggeva pannelli composti da due lastre di vetro rigato resi isolanti da un foglio di polistirene interposto.
L’isolante garantiva il carattere dell’involucro rendendo all’esterno abbagliante il volume bianco della chiesa, mentre all’interno diffondeva
la luce solare filtrata dalla materia biancastra. La sera l’aula diventava una lanterna diafana che irradia debolmente lo spazio circostante del
recinto sacro.
Uno spazio semplicemente straordinario di cui lo stesso Montini ebbe a dire all’inaugurazione: «… scorgo un profondo simbolismo che
richiama l’essenza della casa del Signore, questa chiesa di vetro infatti ha un suo linguaggio che può essere ricavato dall’Apocalisse dove è
detto: vidi la città santa che discendeva dal cielo, le sue pareti erano cristalli…».Nella «chiesa di vetro» di Baranzate la tecnica
della costruzione viene assunta come fondamento dell’architettura, la struttura e la limitazione dello spazio si congiungono nella loro
armonica differenza, ingegneria e architettura si intrecciano nell’opera. In questa costruzione la tettonica dell’abrì souverain si compone con
la leggerezza del tamponamento che consiste nella materializzazione della luce. Un tetto animato dal chiaroscuro, sorretto da quattro
colonne e racchiuso da un sipario che conforma l’interno in un luogo immateriale di raccoglimento, transfigurandone lo spazio protetto dal
rigore assoluto della struttura. Considerata l’immagine di esordio della prefabbricazione italiana quest’opera illustra le tecniche del cemento
armato precompresso e la realizzazione con cura artigianale di un modello di esecuzione interamente predisposto nella progettazione,
esemplare preludio alla produzione dello spazio modulare e delle tecniche seriali di montaggio. In realtà si realizza qui un buon esempio di
sperimentazione avanzata di una tecnica «mista» che ottimizzi risultati produttivi, comportamenti dei materiali e carattere
architettonico nell’ambito della costruzione contemporanea.[2]
Lo stato della chiesa fino al 2012, prima del cantiere in corso, era il risultato del degrado dei materiali nel tempo e dei cambiamenti imposti
dall’uso. Ciò nonostante la parrocchiale di Baranzate è rimasta comunque contrassegnata dal percorso di accesso all’aula dal basamento
sottostante, dal contrasto tra l’involucro luminoso opalescente con la penombra di calcestruzzo del seminterrato e infine dal volume
della chiesa composto con il recinto che lo contiene. La campagna a nord di Milano degli anni Cinquanta è ora la conurbazione metropolitana
milanese, ma proprio il recinto ha conservato il carattere di questo luogo al mutare del circostante.
Il rivestimento originale della cella, demolito da un attentato e sostituito (1980) con una lastra di vetro retinato e una di policarbonato
alveolare, con interposto un sottile materassino poliuretanico, era talmente degradato e inadeguato all’uso dell’edificio da non consentire
altro che una attenta sostituzione.
L’aspetto del calcestruzzo della copertura all’interno annerito non ha compromesso lo stato della copertura precompressa prefabbricata che è
ottimo seppur dilavato anche all’esterno. L’efficienza statica della struttura è stata confermata dal collaudo nel 2002. Buone condizioni di
conservazione tali da rendere necessari interventi minimi di lavaggio e il ripristino di pochi punti di affioramento dei ferri nelle due
travi principali in c.a. ordinario.
In seguito vi sono state le aggiunte impiantistiche e di arredo anche agli spazi esterni e le richieste di ampliamento e adeguamento della
parrocchia. Dagli anni novanta il degrado del rivestimento sollecitava un rinnovamento, che si è avviato fra polemiche sulla
inadeguatezza funzionale dell’edificio e il valore dell’opera. Il vincolo ministeriale (2003) riconoscendo l’importanza artistica della chiesa di
Baranzate le ha attribuito un carattere monumentale e ha legato il restauro al progetto degli autori.[3]
Infine per iniziativa di Bruno Morassutti nel 2006 si è formato un gruppo di progettazione composto dai tre autori affiancati da altri
progettisti da loro indicati: Giulio Barazzetta con sbg architetti, Anna Mangiarotti e Ingrid Paoletti, Tito Negri, integrati da Giancarlo Chiesa
per la progettazione degli impianti.
Si sono così assicurati l’autorialità e il profilo richiesto dal compito per la sua elaborazione durata dal 2006 al 2008, la continuità di
progettazione e le competenze architettoniche, tecnologiche, strutturali e impiantistiche.[4]
Questo progetto – che ha l’obbiettivo di ripristinare il complesso architettonico adeguandolo alle esigenze e allo standard di comfort richiesti
dalle condizioni d’uso, avendo come riferimento l’edificio inaugurato l’8 novembre 1958 – riflette una situazione particolare che consiste
nella «riscrittura» di una stessa opera, necessariamente accoppiato ai termini della «conservazione» di un bene architettonico
e dell’adeguamento» di un edificio vissuto dalla comunità parrocchiale come «inutilizzabile» in piena stagione invernale e estiva.[5]
La «riscrittura» degli stessi artefici del medesimo edificio propone la definizione concreta di alcuni termini. In primo luogo la questione del
«vero» e del «verosimile » nelle divulgazione di questa come di altre architetture moderne e contemporanee, ma posta in questo caso dalla
straodinaria importanza documentaria e iconografica delle fotografie di Casali. Poi la pratica di un «rifacimento» ha posto la questione
della «imitazione» dell’originale da riprodurre con diverse tecnologie, ma anche la necessaria distinzione delle parti, dello scarto fra «nuovo»
e «originale» laddove vi è modificazione o aggiunta di elementi. A presiedere questo dialogo si è individuato il luogo delle
nuove installazioni e dei nuovi elementi costruttivi nel diaframma delle murature e della facciata, negli strati interposti fra le pavimetazioni e
la struttura presistente o il terreno. Qui, nello spazio ricavato nel limite fra interno ed esterno, negli strati della materia si trova lo scarto fra
vecchio e nuovo. Una interpretazione del termine «restauro» che sta tutto nella differenza «fra» i materiali e «dentro» la costruzione.
Per il rivestimento da sostituire ciò ha significato un attento campionamento per l’individuazione del grado di imitazione, alla ricerca
dell’aspetto necessario a evocare il gioco della luce riflessa e rifratta, che si deve bilanciare fra la effettiva possibilità materiale
dell’opalescente predisposto dalle stratigrafie e caratteristiche dei vetri e l’assenza della materia isolante da attraversare. Ciò è avvenuto
praticando nel progetto l’individuazione delle differenze dei nuovi elementi nel testo originario, per posizione e caratteri per ottenere il
più possibile nel restauro la conservazione dei caratteri della chiesa di Baranzate. Un criterio già adottato nel 1985 per il campanile costruito
da Morassutti e Favini. È stata la discussione di varie proposte a evidenziare che in questo caso si tratta di non consentire l’adozione di un
adeguamento a «tutti i costi» agli standard degli edifici nuovi, per altro non effettivamente necessario stante il vincolo, viste le caratteristiche
dell’edificio, le sue necessità d’uso e la normativa particolare per gli edifici di culto. Ciò rischiava di comportare inoltre lo slittamento del
carattere dell’edificio verso una costruzione ad alta tecnologia, risultante da un trasferimento integralista e formalista di tecnologie avanzate.
Un procedere simile ne avrebbe alterato la forma costruita, ottenuta mediante la composizione di materiali correnti assieme a materiali nuovi,
formati in un cantiere artigianale con tecniche fortemente innovative, tratto sostanziale di questa costruzione così rispondente alla sua
architettura essenziale.
Edificio iconico nella storia dell’architettura e dell’ingegneria italiana, la chiesa di Nostra Signora
della Misericordia, la “chiesa di vetro”, venne progettata a Baranzate dagliarchitetti Bruno Morassutti e
Angelo Mangiarotti e dall’ingegnere Aldo Favini, affiancati dall’artista Gino Cosentino, all’interno del
piano di costruzione di nuove chiese parrocchiali voluto dal cardinale Montini per i centri in rapida crescita
dell’hinterland milanese.
La chiesa, più vicina in dimensioni a una cappella che a una chiesa parrocchiale, viene inaugurata l’8
novembre 1958 ed è piuttosto piccola. Parallelepipedo alto 9 m dal diafano involucro bianco vetrato, è
impostata su una base rettangolare di 14×28 m e racchiusa dentro un recinto a sezione curva di 30×60 m in
calcestruzzo e ciottoli di fiume a vista in cui sono incastonate le stazioni della via crucis realizzate da
Cosentino. Suddivisa internamente in due livelli, pone l’aula liturgica, spazio aperto e senza barriere, in
posizione elevata rispetto al terreno circostante e l’ingresso principale al livello inferiore (che ospita anche la
sagrestia), parzialmente interrato dopo una piccola discesa. All’interno, una scala permette la simbolica
ascesa allo spazio liturgico ed è tramite del passaggio tra la penombra e la luminosità diurna di un’aula che di
notte si illumina come una lanterna nel buio. Essenzialità e assenza pressoché totale di decorazione sono i
caratteri di un interno in cui le capacità espressive dell’architettura e le valenze plastiche del cemento a vista
diventano mezzo privilegiato di realizzazione e rivelazione dello spazio sacro. Gli unici elementi presenti,
oltre ai banchi per i fedeli, sono infatti l’altare sul suo basamento di marmo e l’opposta cantoria che, come
tradizione, è collocata in posizione sopraelevata dentro una struttura in legno e metallo nella controfacciata
della chiesa.
A una pianta perfettamente simmetrica, corrisponde una struttura semplice e perfettamente
simmetrica realizzata attraverso un sistema misto di prefabbricazione, lavorazioni in opera e artigiane che
anche Pier Luigi Nervi stava sviluppando nelle parallele opere olimpiche a Roma.
La copertura, piana, è impostata su una coppia di travi incemento armato gettato in opera a sezione
rettangolare sostenute ognuna da due pilastri circolari raccordati in cima. Al di sopra, sei travi longitudinali
prefabbricate con sezione a X, che determinano anche la scansione degli elementi del telaio dell’involucro di
chiusura, si incastrano nelle due travi e reggono una successione di conci prefabbricati il cui intradosso
riproduce lo stesso motivo che sui lati corti dell’esterno diventa elemento decorativo. Le sei travi sono
costituite da elementi prefabbricati poi accostati in cantiere e poi precompressi mediante cavi e cunei
seguendo un brevetto dello stesso Favini.
L’involucro esterno, fondamentale elemento architettonico, è realizzato mediante posa su telai metallici di
pannelli sandwich da 90×270 cm originariamente composti da elementi a vetrocamera da 35 mm assemblati
in opera composti da due lastre di vetro rigato e un foglio di polistirene bianco, con finalità isolante e
protettiva di un interno che sarebbe stato sempre a vista. Danneggiati alla fine degli anni settanta da un
attentato e atti vandalici, erano stati sostituiti da pannelli infrangibili composti da vetro armato, fogli di
politetene bianco e una lastra di policarbonato alveolare.
L’idea di intervenire con un attento progetto di restauro e adeguamento funzionale e impiantistico di un
edificio nel frattempo vincolato dalla Soprintendenza si affaccia a inizio millennio, quando la chiesa è
danneggiato dal tempo e dal degrado dei materiali. Dietro la committenza della Parrocchia di Nostra Signora
della Misericordia, i lavori vengono affidati ai milanesi SBG architetti(Massimo Sacchi, Giulio Barazzetta e
Sergio Gianoli) ed eseguiti con la supervisione degli stessi Morassutti, Mangiarotti e Favini(scomparsi
rispettivamente nel 2008, 2012 e 2013).
L’ottimo stato degli elementi in calcestruzzo, sia tradizionale che prefabbricato precompresso, e il
mantenimento della funzione portante confermato da un collaudo statico eseguito nel 2002, ha portato
interventi minimi sulla struttura, dove il restauro si è limitato al ripristino delle lacune che in vari punti
avevano lasciato scoperti i ferri di armatura e al lavaggio delle superfici annerite.
I danni maggiori interessavano l’elemento edilizio più delicato sia dal punto di vista tecnologico che
ambientale, i pannelli sandwich costitutivi dell’involucro, talmente degradati da richiedere una completa
sostituzione. I nuovi elementi dovevano essere compatibili sia con le esigenze del restauro che con le funzioni
e richieste di un edificio divenuto difficilmente utilizzabile sia d’inverno che d’estate: la scelta finale è quindi
caduta su pannelli a triplo vetro serigrafati con film, basso emissivi e a controllo solare. La necessità di un
adeguamento impiantistico ha portato anche al rifacimento delle pavimentazioni interne, la cui cromia e
posa il più possibile simile all’originale sono state rispettate e riprodotte tramite sostituzione delle vecchie
piastrelle con elementi in grés porcellanato di uguali dimensioni, 14×28 cm, e finitura superficiale.
Descrizione
La chiesa, in origine immersa nella campagna della frazione di Baranzate di Bollate, poggia su un basamento elevato di due metri rispetto alla quota
naturale del suolo. Ha una pianta rettangolare (di dimensioni pari a 14x28 metri) interamente dedicata all'assemblea liturgica: le funzioni accessorie - una
piccola cappella, il fonte battesimale e la sagrestia - sono infatti confinate nel seminterrato ricavato nel podio, sul cui muro perimetrale, in calcestruzzo e
ciottoli di fiume, sono collocate le stazioni di una via Crucis realizzata da Gino Cosentino. La bellezza e l'importanza storica dell'edificio risiedono
nell'attento uso di materiali e tecniche industriali, che vengono piegati alle istanze di rappresentatività imposte dalla funzione sacrale. La regolarità della
scatola liturgica viene infatti risolta in una struttura retta da quattro pilastri in cemento armato martellinato, su cui poggiano due travi principali gettate in
opera. A queste si ancorano sei travi secondarie, ottenute giuntando tra loro conci prefabbricati di cemento armato con sezione a X, saldati in opera con
cavi di precompressione e cunei secondo un procedimento brevettato da Aldo Favini nel 1951, poi riproposto per lo stabilimento Aperol di Padova (1963-
1970). All'intradosso dell'aula il sistema costruttivo viene completato da uno scenografico soffitto composto da elementi prefabbricati a nervatura
geometrica, percepibile come unica moderna concessione al tema della decorazione di uno spazio sacro. Su questo percorso progettuale si pone anche la
scelta di realizzare le pareti perimetrali della chiesa con un'orditura regolare di sottili supporti in metallo, a cui si agganciano pannelli sandwich (di
dimensioni pari a 90x270 cm.) resi traslucidi, che sembrano galleggiare nell'etere perché separati da pavimento e soffitto mediante una fascia continua di
vetri stavolta trasparenti. La finitura lattiginosa dei pannelli fa sì che durante il giorno la quantità di radiazioni solari proveniente dall'esterno sia in parte
mitigata, mentre di notte la costruzione sacra si trasforma in un affascinante landmark luminoso.

Notizie storiche
La chiesa di Nostra Signora della Misericordia ha recentemente subito un intervento di restauro, invocato spesso anche dalla popolazione per porre rimedio
al livello di degrado che affliggeva la costruzione fin dal 1979 (anno in cui l'edificio fu gravemente danneggiato da un incendio) e da necessari adeguamenti
tecnici. In occasione di un primo restauro seguito alle fiamme, i pannelli in vetro rigato con interposto un foglio di polistirolo espanso, che chiudevano
l'invaso dell'aula, sono stati sostituiti dalle attuali due lastre di policarbonato alveolare e vetro industriale armato, con fogli di polietilene bianco. Il campanile
che oggi affianca la chiesa è stato realizzato nel 1994 dal solo Morassutti. Disegnato come aerea sovrapposizione di cinque telai in acciaio Corten, ospita
la scala a spirale in alluminio che conduce alla cella campanaria.

Opere d'arte

• formelle in serpentino scolpite ad altorilievo: Via Crucis (muro perimetrale)


autore: Cosentino Gino

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