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Elide Tomasoni
Ezio Giuriani
Irene Giustina
Dina Francesca D’Ayala
2008
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO
Dottorato di ricerca in Ingegneria delle strutture – Modellazione,
Conservazione e Controllo dei Materiali e delle Strutture
XX ciclo
Commissione esaminatrice:
Prof. Giorgio Cacciaguerra, Università di Trento
Prof. Donato Sabia, Politecnico di Torino
Prof. Andrea Benedetti, Università di Bologna
SOMMARIO
i
SOMMARIO
ii
SUMMARY
iii
SUMMARY
iv
RINGRAZIAMENTI (ACKNOWLEDGEMENTS)
v
vi
Ai miei genitori
vii
INDICE
Sommario
PARTE PRIMA:
LE VOLTE IN MURATURA DALL’ANTICHITÀ AL XX SECOLO: LE
PIÙ DIFFUSE TECNICHE COSTRUTTIVE E I PRINCIPALI
ORIENTAMENTI DI STUDIO DEL COMPORTAMENTO STATICO-
STRUTTURALE
1. INTRODUZIONE............................................................................... 3
2. LE TECNICHE COSTRUTTIVE........................................................ 7
ix
INDICE
x
INDICE
PARTE SECONDA:
COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE VOLTE IN
MURATURA
1. INTRODUZIONE........................................................................... 175
xi
INDICE
xii
INDICE
xiii
INDICE
xiv
PARTE PRIMA
3
CAPITOLO 1
4
INTRODUZIONE
5
CAPITOLO 2
2. LE TECNICHE COSTRUTTIVE
7
CAPITOLO 2
8
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 5. Kerč, tumulo Carskij, ingresso Fig. 6. Kerč, tumulo Carskij, particolare
del sepolcro, IV secolo a.C. dell’interno, IV secolo a.C.
(Buti G, 1972, vol VI, tav. 352) (Buti G, 1972, vol XIII, tav. 40)
9
CAPITOLO 2
Fig. 7. Volta a botte realizzata con filari inclinati. (Choisy A., 1883, 33)
10
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
11
CAPITOLO 2
12
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 9. Piattabanda, Kalat Siman. (V secolo Fig. 10. Piattabanda con arco di
d.C.) (Mainstone R., 2001, 103) scarico, Larario di Pompei, 60 d.C.
circa. (Adam J. P., 1998,188)
Fig. 11. Tempio di Giove Anxur Fig. 12. Volta a botte in opus caementicium
databile intorno alla prima metà del I con nervature in semilateres. (Lugli G., 1957,
secolo a.C. (Lancaster L.C., 2005, 5) 667, tratta da Choisy A, L’art de batir)
13
CAPITOLO 2
Fig. 13. Volta con nervature in cui i Fig. 14. Volta realizzata con un manto
vuoti vengono sfruttati per realizzare di mattoni bessali sul quale venivano
decorazioni a cassettoni. (Lugli G., posati altri mattoni di dimensioni minori
1957, 668, tratta da Choisy A, L’art de posti in piano e bessali di coltello che
batir) avevano la funzione di creare
un’ammorsatura. (Lugli G., 1957, 681,
tratta da Choisy A, L’art de batir)
14
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
15
CAPITOLO 2
Fig. 15. Terme di Caracalla, 212-216 d.C., Vista dei diversi tipi di caementa
utilizzati nella semicupola dell’esedra. Dal basso verso l’alto si possono osservare:
mattoni, tufo, pietra vulcanica. (Lancaster, 2005, Plate IX)
16
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
mausoleo di Sant’Elena (fig. 17), detto infatti tor Pignattara (326-330 d.C.)
e molti altri. Tuttavia l’inserimento di tali olle non mostra una corretta
applicazione del concetto di alleggerimento in quanto, come si può
osservare, venivano inserite nelle reni della volta, andando quindi ad
indebolire quella zona che necessiterebbe di maggiore spessore e
resistenza15. Un uso più consapevole delle olle laterizie lo si ritrova invece
nel tempio di Minerva Medica (prima metà del IV secolo d.C.). Solo qui la
tecnica raggiunse quel grado di comprensione non raggiunta nei primi
esempi: le anfore, infatti, furono posizionate sopra le finestre, andando a
scaricare le zone più deboli, e la parte superiore della volta venne
alleggerita impiegando come caementum la pietra pomice (fig. 18).
Nonostante alcuni testi16 assimilino le strutture alleggerite con olle
laterizie a quelle realizzate con tubi fittili, è importante sottolineare che
queste due tecniche rappresentano sistemi costruttivi completamente
differenti: la prima è una tecnica di alleggerimento della massa in opus
caementicium, mentre la seconda è una modalità costruttiva a sé stante in
cui i tubi fittili, tubi cavi che si incastrano l’uno nell’altro, realizzati
appositamente per questo scopo, venivano posizionati in serie circolari e
concentriche con diametro che diminuiva gradualmente.
I tubi fittili furono impiegati nelle province dell’Africa romana fin dal II
secolo d.C. e si diffusero successivamente anche nelle province più a
nord. Inizialmente i tubi fittili venivano legati con malta di gesso e
impiegati come centina permanente per piccoli archi in opus
caementicium. Tra il IV e il VI secolo, volte, cupole e semicupole degli
edifici di culto paleocristiani iniziarono invece ad essere realizzate
interamente in tubi fittili, senza l’impiego di opus caementicium. Grazie al
loro comportamento a guscio, tali coperture voltate risultavano
particolarmente resistenti e leggere e ciò consentì di realizzare strutture
murarie molto più snelle e con una maggiore quantità di finestre, porte,
colonnati o arcate, portando così vantaggi sia economici che estetici.
Alcuni esempi di utilizzo di questa tecnica si possono trovare a
Ravenna: in San Vitale (521-547 d. C.), che presenta una cupola con luce
di 16m, e nel battistero della cattedrale, con cupola avente una luce di
9m17.
17
CAPITOLO 2
Fig. 16. Tipi di anfore Fig. 17. Mausoleo di Sant’Elena, detto tor Pignattara
trovate nelle volte (Roma, 326-330 d.C.), con il particolare delle olle
romane. (Lancaster, ancora presenti.
2005, 70)
18
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 18. Tempio di Minerva Medica (Roma, prima metà del IV secolo d.C.).
L’immagine mostra la posizione delle anfore (grigio scuro) e l’impiego della pietra
pomice (grigio chiaro). (Lancaster, 2005, 78)
Fig. 19. Semiconi cavi in Fig. 20. Veduta del Consols Transfer Office
terracotta utilizzati nella (Bank of England) che mostra le pareti prive
costruzione delle volte nella Bank di intonaco e la cupola costruita fino alla
of England. (Abramson D., 2000, base della lanterna con materiale refrattario
237) costituito da mattoni cavi in argilla.
(Abramson D., 2000, 237)
19
CAPITOLO 2
Fig. 21. Campionatura di Fig. 22. Particolare di una volta a Grumo Appula
“pignatelli” rinvenuta in (Ba) in cui si posso notare i pignatelli disposti
Molise. (Rutigliano G., verticalmente. (Rutigliano G., 1996, 132)
1996, 130)
20
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 23. Pianta e sezione della chiesa di Santa Sofia a Istanbul. (Mango, C., 1978)
21
CAPITOLO 2
Fig. 24. Particolare delle semicupole poste a contrasto della spinta della cupola
centrale nella chiesa di Santa Sofia a Istanbul.
Fig. 25. A sinistra: pianta della chiesa dei Santi Sergio e Bacco a Istanbul (Mango,
C., 1978); a destra: pianta della chiesa di San Vitale a Ravenna (Toman R., 1999).
22
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
applicato per esempio nella chiesa dei Santi Sergio e Bacco e poi ripreso
in San Vitale a Ravenna (fig. 25). Questa soluzione consiste in una
cupola22 che grava su nicchie con calotta sferica, aperte con un doppio
ordine di arcate con colonne, che sono a loro volta sorrette dalle volte
dell’ambulacro ottagonale23.
Infine, un altro espediente utilizzato dai bizantini per contrastare in
maniera attiva la spinta della cupola centrale è quello di affiancarle altre
cupolette, collegandole con volte a botte o archi a tutto sesto. Questa
composizione, tipica degli impianti planimetrici a quincunx24, si è poi
diffuso anche in Italia a partire dall’XI secolo25 (per maggiori dettagli
sull’impianto a quincunx si veda il capitolo 4).
23
CAPITOLO 2
24
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 26. Arcs Doubleaux di una cattedrale del XII secolo. (Viollet le Duc E., 1875)
25
CAPITOLO 2
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
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CAPITOLO 2
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
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CAPITOLO 2
Fig. 28. Esempi di volte a fasce, a fasce piane e piane. (G.Guarini, 1989, tav.
XVII)
30
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 29. Le sei tipologie di volte proposte da Palladio. (Palladio A., 1980, 73)
31
CAPITOLO 2
32
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 30. Volta a botte. Fig. 31. Volta a botte con lunette.
33
CAPITOLO 2
Fig. 32. Volta a botte con teste Fig. 33. Volta a specchio o a schifo.
di padiglione.
34
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
35
CAPITOLO 2
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
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CAPITOLO 2
C ' E = CE ' = AC 2 − DC 2
38
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
n' D o'
n' D o' m' p'
m' p'
q' l' q'
l'
A a' b' d' c f' g' h' B A a' b' d' c f' g' h' B
a
b a
d b
l
l c d
f
m
m g c
n h
n f
D B' g
o
p q
D
o h
p
q B'
39
CAPITOLO 2
A E C E' B A C B
a b
E'
Una volta stabilita la forma delle centine si procedeva alla loro messa
in opera.
Le centine dovevano essere disposte ad una distanza variabile da 50
cm a 1 m l’una dall’altra a seconda del peso della volta e, nel caso di volte
composte, dovevano innalzarsi almeno negli spigoli e nel mezzo dei muri
d’imposta, in direzione a loro perpendicolare, per potervi sovrapporre il
manto.
Secondo i precetti di Philibert Delorme (1514-1570), ripresi
successivamente dal Curioni, le tavole componenti le centine potevano
avere la lunghezza di metri 1,50 mentre la larghezza e lo spessore
avrebbero dovuto variare in funzione della maggiore o minore corda
dell’arco58.
La disposizione e le dimensioni degli elementi che componevano
l’armatura, infatti, variavano in funzione sia della luce sia dello spessore
delle volte.
Così, per volte e archi con luci fino a circa 1,5 m e con frecce limitate,
veniva impiegato il cosiddetto tamburo, una struttura costituita da due o
più tavolati, sorretti da ritti fiancheggianti le spalle, che presentavano il
contorno superiore corrispondente alla curva dell’intradosso e che
venivano collegati fra loro con listelli formanti il manto59 (fig. 40). A volte i
tavoloni di legno potevano essere irrobustiti con altre tavole inchiodate,
40
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
41
CAPITOLO 2
Fig. 40. Centinatura in legname realizzata con il tamburo, una struttura costituita
da due tavolati, sorretti da ritti fiancheggianti le spalle. (Cattaneo L., tav 23, in
Manuale della Città di Castello)
Fig. 41. Centine per piccole aperture (4-5 m) composte da due puntoni (P), dal
monaco (M),dal tirante (T) e dalle forme (F) applicate direttamente sui puntoni (a)
oppure, per archi con grande freccia, su colonnette poste fra i puntoni e le forme
stesse (b). (Levi C., 1932, 421)
Fig. 42. Centina per luci fino a 10-12m, con puntoni e monaco principali (P e M) e
quattro puntoni perimetrali con due monaci. (Levi C., 1932, 421)
42
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 43. Centine per volte di grande luce. Nella figura 1 gli architravi A poggiano
sulle colonne B e i due saettoni C si assicurano con “ganasse” D agli architravi; i
cosciali F di travicello o di piana G col saettoncino H si appoggiano al pilastro ad
una testa E. Nella figura 2 è rappresentata una centina a sbalzo. (Valadier, 1992,
Tav. CCLXIV)
43
CAPITOLO 2
44
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
45
CAPITOLO 2
Fig. 44. Armatura composta da tavole accoppiate. Sotto al piano d’imposta della
volta era posto un ponte di servizio costituito da ritti verticali in legno. (Levi C.,
1932, 310)
Fig. 45. Centina circolare formata da due ordini di tavole sovrapposte chiodate.
(Curioni G., 1870, tav XXVI)
46
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 46. Armature fisse per volte di grandi dimensioni. (Curioni G., 1870, tav.
XXVIII)
47
CAPITOLO 2
48
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
cotta, come mattoni, mattonetti, mattoni cavi, mattoni vuoti, vasi leggieri;
si chiamano volte alla rinfusa, di getto o cementizie quelle che risultano
dall’impiego di buon calcestruzzo; e finalmente si dicono volte miste
quelle che sono formate con muramenti di struttura diversa”75.
Secondo la trattatistica ottocentesca, la volta più solida e duratura era
realizzata in pietra da taglio, nonostante nella prassi costruttiva venisse
preferita per questioni di economia e di maggiore leggerezza, la volta di
laterizi76.
Anche Jean-Baptiste Rondelet (1743-1829) nei dieci volumi
dell’opera Trattato teorico e pratico dell’arte del ben costruire, fornendo
precise istruzioni sul trattamento superficiale dei conci, sulla loro messa in
squadro con la centinatura e sulla delicata questione delle giunzioni, non
tralascia di considerare le difficoltà tecniche legate alla costruzione di
volte in pietra da taglio e la carenza di maestranze in grado di eseguirle.
Secondo Rondelet la costruzione delle volte in pietra da taglio è
preferibile, soprattutto “per le volte d’un grandissimo diametro, a quelle in
mattoni o in rottami, quando non si può dare ad esse che un pochissimo
spessore”77.
Con i conci in pietra molto più spesso veniva realizzata l’ossatura
portante della volta, la quale veniva poi completata con mattoni in
laterizio.
Alberti afferma che i conci con cui si costruisce l’arco devono essere, a
suo giudizio, di pietre squadrate e, dove possibile, di grandi dimensioni78.
Generalmente l’impiego della pietra da taglio era limitato ai casi più
importanti a causa delle difficoltà di lavorazione e dell’alto costo e quindi
era consigliato soprattutto per realizzare i “monumenti che sono destinati
a perpetuare la memoria degli uomini illustri…Così vediamo essere stati
sempre costrutti in pietra da taglio, gli archi di trionfo, le colonne alla
memoria degli imperatori.”79.
Le volte in pietra concia, infatti, nonostante la loro resistenza,
necessitavano di complesse lavorazioni per la preparazione dei singoli
conci, i quali dovevano essere squadrati in modo da combaciare
perfettamente tra loro per trasmettere in modo uniforme le relative
tensioni80. Era inoltre necessario provvedere all’esecuzione di disegni
49
CAPITOLO 2
50
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 47. Apparecchio in conci di pietra per volte a vela su muratura continua.
(Codazza, 1844, tav XV)
Fig. 48. Apparecchiatura per volte a botte: apparecchiatura a filari longitudinali (a);
apparecchiatura con mattoni a 45° rispetto ai lati della pianta (b). (Levi C., 932,
311)
51
CAPITOLO 2
risultava più indicata per volte non intonacate grazie alla maggiore
regolarità della costruzione87 (fig. 49).
La disposizione per filari trasversali era invece frequentemente usata
in quanto, creando una serie di archi paralleli ed uguali all’arco di testa, si
aveva il vantaggio di creare archi che, una volta chiusi, iniziavano da
subito a sorreggersi, sgravando così la centina sottostante. In questo
modo si poteva anche realizzare la volta per porzioni successive, con
notevole risparmio di legname per le armature (fig. 50).
Per le volte a padiglione, costituite da fusi ricavati dalla volta a botte,
venivano generalmente utilizzate le stesse apparecchiature impiegate
nelle volte a botte e quindi i filari venivano in genere disposti in ciascuno
dei fusi, rettilinei e paralleli alla rispettiva retta d’imposta88. Le diagonali
costituivano però un punto debole, infatti frequentemente si lesionavano,
come verrà puntualizzato nella seconda parte di questo lavoro; per evitare
questo inconveniente veniva spesso utilizzata una disposizione con filari
perpendicolari alle diagonali, come verrà illustrato nel paragrafo 2.3.
Nel caso di volte a padiglione su pianta poligonale (in genere
ottagonale), poiché lo spigolo non forma un angolo di 45°, era necessario
tagliare i mattoni per riuscire a creare il collegamento lungo la diagonale.
Spesso i filari potevano allora essere posati a spinapesce (fig. 51),
nonostante anche questa disposizione richiedesse particolari cure nella
realizzazione dei collegamenti al centro del fuso, lungo il quale si
creavano sovente delle fessure89.
Per le volte a botte con teste di padiglione, invece, la tessitura più
usata comportava la collocazione di filari paralleli alle imposte per tutti e
quattro i lati fino a circa un terzo della freccia. Si procedeva quindi
realizzando filari diagonali in corrispondenza di ogni angolo fino a quando
questi non si fossero incontrati sul lato più corto e, infine, si proseguiva
disponendo i filari paralleli al lato più corto90. Questa tecnica consentiva di
smussare leggermente gli angoli nelle zone in cui i mattoni erano disposti
a 45° rispetto all’imposta, nel tentativo di creare un maggiore
collegamento e di rinforzare quella zona in cui, come verrà spiegato
meglio nella seconda parte del presente studio, si sviluppano gli sforzi
maggiori (fig. 52).
52
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 49. Apparecchiatura per volte a Fig. 50. Apparecchiatura per volte a
botte con mattoni posti a 45°. Grazie botte con filari trasversali. (Astrua G.,
alla regolarità della disposizione dei 1996)
filari questa apparecchiatura era
indicata per volte non intonacate.
(Breymann G. A., 2003, 39)
53
CAPITOLO 2
Fig. 51. Apparecchiatura per volte a Fig. 52. Apparecchiatura per volte a
padiglione. (Protti E., 1935, 85) botte con teste di padiglione. (Protti E.,
1935, 83)
54
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
55
CAPITOLO 2
56
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 53. Apparecchiatura per volte a Fig. 54. Apparecchiatura per volte a
schifo con filari longitudinali per le schifo con mattoni disposti a 45°, detta
porzioni di volte a botte e mattoni posti anche a “spinapesce”. (Breymann,
a 45° per la parte centrale. (Breymann, 2003, 88)
2003, 88)
57
CAPITOLO 2
Fig. 55. Apparecchiatura per volte a crociera. (Protti E., 1935, 89)
Fig. 56. Apparecchiatura per volte a Fig. 57. Apparecchiatura per volte a vela
vela con filari disposti secondo i paralleli con filari disposti ad archi a 45° oppure
dell’intradosso e anelli centrali con filari ad anelli convessi verso l’alto, normali ai
diretti lungo le due linee mediane piani frontali degli archi di contorno. (Levi
diagonali. (Levi C., 1932, 312) C., 1932, 312)
58
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
2.2.3. Il disarmo
59
CAPITOLO 2
60
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
a) b)
Fig. 58. Sistemi di disarmo delle volte: cunei (a) e sacco riempito con sabbia (b).
(Cattaneo L., 1889, tav 11)
Fig. 59. Sistemi di disarmo delle volte: scatole in legno o in ferro riempite di sabbia
compressa.
61
CAPITOLO 2
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
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CAPITOLO 2
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LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 60. Tiranti metallici per volte e cupole: particolari degli ancoraggi con i
capichiave e i cunei e particolari dei nodi intermedi realizzati nelle catene formate
da due o più elementi. (Misuraca, 1916, in De Cesaris, 1996, 101)
65
CAPITOLO 2
Fig. 61. Catena metallica Fig. 62. Catena metallica estradossale con
posizionata in corrispondenza del braghettoni. (Cattaneo L., tav 25, in
concio di chiave, con particolare del Manuale della Città di Castello)
capochiave. (Cattaneo L., tav 23, in
Manuale della Città di Castello)
66
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
67
CAPITOLO 2
68
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 64. Esempio di volta a botte con disposizione a filari paralleli all’imposta, in cui
si nota che la volta non poggia sulla muratura di testata.
69
CAPITOLO 2
Fig. 65. Volta a botte lunettata della chiesa di San Pietro in Vincoli a Roè Vociano.
Disposizione a spinapesce della navata centrale (sinistra) e disposizione dei
mattoni tra la lunetta e la volta principale (destra).
70
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 66. Estradosso della volta a padiglione del palazzo Martinengo delle Palle
(XVII secolo). La volta presenta una disposizione dei filari paralleli all’imposta.
71
CAPITOLO 2
Fig. 67. Intradosso della volta a padiglione del palazzo Martinengo delle Palle
(XVII secolo). La disposizione dei filari paralleli all’imposta genera lungo le
diagonali dei giunti deboli, causando un’estesa fessurazione in queste zone.
Invece, in una volta a padiglione del XV-XVI secolo che si trova nell’ex
monastero di San Faustino a Brescia132, collocata a copertura di una sala
al piano terreno, tra il chiostro dell’Abate e il chiostro della Campanella133,
i filari di mattoni presentano un orditura ortogonale alla diagonale, con
un’inclinazione di 45° rispetto all’imposta (fig. 68), in perfetto accordo con
le indicazioni della trattatistica. Tale disposizione, associata ad una
accurata tecnica costruttiva, garantisce una grande solidità della struttura.
La volta originale134, in parte ricostruita secondo il modello esistente
nel corso del XIX secolo per consentire l’inserimento di una scala, è su
base all’incirca quadrata (fig. 69) e, oltre alla disposizione con filari
ortogonali alla diagonale, presenta ulteriori accorgimenti per migliorare il
comportamento strutturale della volta. In particolare, per l’irrigidimento
estradossale della volta, sono stati realizzati frenelli riempiti, tra gli spazi
vuoti, con materiale incoerente ben compattato (fig. 70); i frenelli avevano
72
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 68. Estradosso di una a padiglione rinvenuta nel complesso di San Faustino a
Brescia (XV-XVI secolo). I filari sono disposti perpendicolarmente alle diagonali.
Fig. 69. Particolare dei frenelli di irrigidimento realizzati all’estradosso della volta a
padiglione posta a copertura di una sala al pianterreno nel complesso di San
Faustino a Brescia.
73
CAPITOLO 2
Fig. 70. Rilievo dell’estradosso di una volta a padiglione rinvenuta nel complesso
di San Faustino a Brescia (XV-XVI secolo). La tecnica costruttiva è molto
accurata: i filari sono disposti perpendicolarmente alle diagonali e, per limitare la
flessione, nella volta sono stati realizzati dei frenelli con riempimento tra gli spazi
vuoti.
Fig. 71. Frenelli con riempimento tra i vuoti lasciati tra i muretti. (Durand J. N. L.
1991, tav. 4)
74
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 73. Costoloni di rinforzo realizzati all’estradosso della volta a padiglione del
palazzo Martinengo delle Palle a Brescia (XVII secolo).
75
CAPITOLO 2
Fig. 74. Costoloni di rinforzo realizzati all’estradosso della volta a ombrello sita
all’interno del complesso di Santa Chiara a Brescia (XVIII secolo).
2.3.2. Le volte a vela della chiesa di San Fedele a Milano (XVI secolo)
76
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 75. Intradosso delle volte di San Fig. 76. Rilievo dell’estradosso delle
Fedele a Milano (XVI sec.). volte di San Fedele a Milano (XVI
sec.). (Della Torre S., Schofield R.,
1994)
Le volte a vela vennero realizzate alla fine del XVI secolo con un
sistema di copertura voltata molto diverso da quello progettato dal Tibaldi
nel 1568: nel 1568 il Tibaldi, infatti, propose una copertura a botte
unghiata, tra il 1578 e il 1583 furono proposte due volte a crociere
impostate su tre archi di timpano trasversali e, infine, vennero eseguite
due volte a vela138.
Non esistono documenti che attestino in maniera probante la
paternità della copertura, tuttavia, secondo studi recenti139, è da attribuire
allo stesso Pellegrino Tibaldi, autore tra l’altro del trattato L’architettura.
L’unico disegno rappresentante la soluzione della copertura con volte
a vela (F 251 Inf. 60 dell’Ambrosiana, fig. 77) non rispecchia esattamente
le volte realizzate. Le volte infatti presentano otto nervature e un rosone
centrale, dei quali non si trova traccia nel disegno dell’Ambrosiana. Tale
disegno, eseguito probabilmente attorno al 1630, era volto a proporre
soluzioni relative alla zona presbiteriale e dunque risulta poco preciso per
quanto riguarda la restituzione della struttura già esistente.
77
CAPITOLO 2
Fig. 77. Sezione longitudinale della chiesa di San Fedele a Milano ad opera di un
anonimo del XVII secolo (BAM F 251 Inf. 60).
78
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
Fig. 78. Rilievo della sezione longitudinale della chiesa di San Fedele a Milano.
(Cassina, 1844)
Fig. 79. Particolare del rilievo della sezione longitudinale della chiesa di San
Fedele a Milano in cui si nota il differente profilo delle due volte in corrispondenza
del rosone centrale. (Cassina, 1844)
79
CAPITOLO 2
Fig. 80. Particolare del rosone della Fig. 81. Particolare del rosone della
volta a vela eseguita sulla prima volta a vela eseguita sulla seconda
campata della navata della chiesa di campata della navata della chiesa di
San Fedele a Milano. San Fedele a Milano.
80
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
2.4. Bibliografia
81
CAPITOLO 2
82
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
83
CAPITOLO 2
84
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
85
CAPITOLO 2
86
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
NOTE:
1
Buti G., 1972, Vol. XIII, 118
2
Mirabella Roberti G., Spina O., 2001. 719-728.
3
Lugli, 1957, p. 336-337
4
Buti G., 1972, Vol. XIII, 119-120
5
Un esempio di applicazione di questa tecnica lo si può ritrovare nella porta di
Falerii Novi e nella porta di Volterra, realizzata con cunei in tufo tagliati con
estrema cura.
6
Fra i pochi esempi di arco a sesto ribassato, si possono ricordare quelli
nell’anfiteatro di Pompei (78 a.C.) e nella porta S Lorenzo ad Equino.
7
Per esempio nella porta del lato sud-ovest del Tabularium e per le nicchie
degli emicicli nel foro di Augusto
8
La pozzolana è un materiale di origine vulcanica estratto principalmente nella
zona di Pozzuoli, impiegato dai romani per conferire alla malta proprietà
idrauliche.
9
L’opus caementicium deriva dal termine caementa, che indica i frammenti di
pietra o di altro materiale (terracotta, marmo) che la compongono; nell’opus
caementicium la malta viene unita agli inerti creando un composto particolarmente
resistente e duraturo.
10
Lancaster 2005, 5.
11
Le forme più diffuse per i mattoni nel periodo romano erano i bessali, i
pedali, i sesquipedali e i bipedali, ai quali poi ne venivano aggiunti altri derivanti da
questi e ottenuti attraverso un taglio lungo le diagonali o lungo le mediane. I
mattoni di forma triangolare così ottenuti prendevano il nome di semilateres.
I bessali erano mattoni di forma quadrata, che misurava 2/3 del piede romano cioè
19,7 centimetri. I bipedali erano mattoni di forma quadrata con lato pari a due
piedi romani cioè 59,14 cm.
12
Buti G., 1972, Vol. XIII, 122.
13
Lugli G., 1957, 467, Lancaster, 2005, 111.
14
Lugli G., 1957, 671.
15
Anche l'Alberti, nel suo trattato De re Aedificatoria, mostra di conoscere la
tecnica in uso presso i romani di alleggerire le volte con olle laterizie, scrive infatti:
“Gli spazi vuoti che restano tra la curva della volta inalzantesi e i muri cui questa si
appoggia, chiamati dai muratori cosce, si riempiranno non già di terra o detriti
secchi alla rinfusa, ma piuttosto con la normale e solida tecnica costruttiva,
collegando di volta in volta il materiale alle pareti. Bene si regolano coloro che per
non sovraccaricare la volta, riempono gli spazi delle cosce con vasi per acqua di
terra cotta vuoti, fissi e a testa in giù, purché non si appesantiscano riempendosi
di umidità, versandovi poi sopra un miscuglio pietroso leggero ma tenace”.
87
CAPITOLO 2
88
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
piane scrive: “questa sorte di volte è mia particolare, e l’ho posta in opera non
senza molta varietà e soddisfazione delle genti” (G. Guarini, 1968, 278-279).
37
Palladio A., 1980, 73.
38
La generatrice è una linea che si sposta nello spazio parallelamente a se
stessa e che, appoggiandosi sulla curva direttrice, genera la superficie di
intradosso della volta.
39
Cattaneo L., 1889. 10.
40
Alberti L. B., 1989, 124-125 e Di Giorgio Martini F., 1967, 92.
41
Milizia F., 1972, 72-173.
42
Cattaneo L., 1889, 10.
43
Cantalupi A., 1867, 517.
44
Bosc E.,1877-1880, 484.
45
Per “operazioni da eseguirsi dopo il disarmo” si intende l’inserimento di
catene e la realizzazione dei frenelli o del riempimento.
46
Con il termine serraglio veniva indicato il concio di chiave.
47
Valadier G., 1992, vol. IV 48.
48
Milizia F., 1972, 282-283.
49
Salimbeni L., 1787, libro quarto.
50
Sanpaolesi P., 1971.
51
Vitruvio, 1987, 314.
52
Breymann G. A., 1995, 26, Curioni G., 1870, 570 e Protti E., 1935, 49.
53
Curioni G. 1870., 328
54
Codazza G., 1844, appendice, 307.
55
Breymann G. A., 1995, 15.
56
Levi C., 1932, 287.
57
Curioni G. 1870, 372.
58
Curioni G. 1870, 371.
59
Levi C., 1932, 286
60
Ivi, 421.
61
Bonavia M., 1989, 84.
62
Valadier, 1992, vol. IV, 61-64.
63
Levi C., 1932, 309.
64
Curioni G. 1870, 371.
65
Bonavia M., 1989, 84
66
Ibidem.
67
La centina venne definita dall’Alberti, nel suo trattato De re aedificatoria, una
“struttura lignea rozza e provvisoria, terminata da superfici curve, la cui copertura
sarà ottenuta con graticci o canne, o altro materiale di poco prezzo, al fine di
sorreggere il riempimento della volta finchè non abbia fatto presa la malta”. Alberti
L. B., 1989, 129.
89
CAPITOLO 2
68
Questo interasse è riportato sia da Vitruvio al libro VII, capitolo III de I dieci
libri dell’architettura, pag. 314, sia da V. Scamozzi al libro VIII, capitolo XV de
L’idea dell’architettura universale, 325.
69
L’aggraziatura è costituita da uno strato di terra fine o sabbia, posto sulla
superficie lignea in modo da eliminare le irregolarità tra i giunti delle assi. Astrua
G., 1996, 147-148.
70
Alberti, Durand, Curioni e altri.
71
Alberti L. B., 1989, 129.
72
Ibidem.
73
Durand J. N. L. 1986, 36.
74
Alberti L. B., 1989, 130-131.
75
Curioni G., 1870, 328.
76
Valadier G., 2000, vol. IV.
77
Rondelet J.B., tomo IV, 313.
78
Alberti L. B., 1989, 126.
79
Citazione di Cantalupi in Breymann G. A., 1995, 35.
80
È noto che la scienza che studia il taglio delle pietre per i conci delle volte e
degli archi si chiama stereotomia. Giovanni Codazza, nel suo trattato Nozioni
teorico-pratiche sul taglio delle pietre e sulle centine delle volte, si dilunga su
complesse descrizioni geometriche necessarie per il taglio dei conci dei vari tipi di
volte.
81
Cattaneo L., 1889, 10.
82
Rondelet J.B., tomo II, 62.
83
Protti E., 1935, 81-82.
84
Levi C., 1932, 310-311.
85
Questa disposizione viene definita dal Breymann come spinapesce.
86
Secondo la terminologia usata dai muratori si dice che i mattoni devono
“baciarsi”.
87
Breymann G. A., 2003, 39.
88
Levi C., 1932, 310-311.
89
Protti E., 1935, 84.
90
Ivi, 83-84.
91
Breymann G. A., 1995, 38.
92
Protti E., 1935, 98 e Breymann G. A., 1995, 88.
93
Valadier, 1992, vol. IV, 4-5.
94
Levi C., 1932, 313.
95
Ivi, 310-311.
96
Protti E., 1935, 89.
97
Levi C., 1932, 312.
98
Ivi, 310-311.
90
LE TECNICHE COSTRUTTIVE
99
Bosc E., 1877-1880, tomo 4 voce Voûte, 485.
100
De Cesaris F, 1996, 85.
101
Cantalupi A., 1867, 517-518.
102
Cantalupi A., 1867, 518-519. Anche Luigi Cattaneo parla del serraggio della
volta sottolineando però che “La chiave dell’arco che si mette per ultimo deve
serrare la struttura senza però essere troppo forzata a colpi di mazza”. Cattaneo
L., 1889, 10.
103
Vittone B., 1760 e Milizia F., 1972.
104
Milizia F., 1972, 534-535.
105
Il Rondelet scrive: “le volte in mattoni debbono lasciarsi più tempo sulle
centine per evitare il maggiore abbassamento di cui sono capaci, e che potrebbe
produrre disunioni talvolta pericolose quando si levano le centinature prima che la
malta abbia acquistato una certa consistenza”. Rondelet J.B., 1831, 60-61.
106
Spesso veniva predisposta la centina con una freccia leggermente
maggiore (alcuni millimetri) rispetto a quella progettata per la volta per bilanciare i
cedimenti conseguenti a questo tipo di disarmo.
107
Scamozzi V., 1982, 325-326.
108
Alberti L. B., 1989, 131-132.
109
Curioni G., 1870, 390-393.
110
Ivi, 391.
111
Questo sistema fu probabilmente inventato da Bouziat, un appaltatore di
ponti che lo impiegò nella costruzione delle sue opere.
112
Cantalupi A., 1867, 520-521.
113
Valadier G., 1992, vol. IV, 4-5.
114
Alberti L. B., 1989, 124-125.
115
Il Pellegrini aveva l’abitudine di far uso di catene, sia intradossali e quindi
a vista come in San Fedele, sia nascoste, come per esempio nel tempietto del
battistero del Duomo di Milano. Nota 4 in Tibaldi P., 1990, 90.
116
Giustina I., 1996, 217.
117
Di Giorgio Martini F., 1967, 92.
118
Gallacini T., 1970, 51.
119
Della Torre S., 1990.
120
Giustina I., 1996, 216.
121
Levi C., 1932, 293.
122
Era noto che la zona di più probabile rottura si trovava, per archi a tutto
sesto, nella zona delle reni a circa 30° dal piano d’imposta.
123
I paletti vennero sostituiti, alla fine dell’800, da piastre rinforzate.
124
De Cesaris F, 1996, 100.
125
Giustina I., 1996, 216-217.
126
Bonavia M., 1989, 83.
91
CAPITOLO 2
127
Giustina I., 1996, 217.
128
Si veda a tal proposito Dotti F., Esame sopra la forza delle catene a braga,
Stamp. Bolognese di San Tommaso D’Aquino, Bologna 1730 (Giustina I., 1996,
nota 43)
129
Breymann G. A., 2003, 38-39.
130
D’Ayala D., 1994.
131
Levi C., 1932, 310-311.
132
San Faustino a Brescia è un antico monastero, il cui nucleo originario risale
al IX secolo, ma che ha subìto notevoli modifiche sopratutto nel corso del XV, XVI
e XX secolo. Nel complesso di San Faustino sono state rinvenute numerose sale
coperte da volte con diverse geometrie.
133
Mezzanotte G., Mariani Travi L., 1986, 22.
134
La volta originale è stata in parte ricostruita nel corso del XIX secolo per
consentire l’inserimento di una scala. Il restauro ha tuttavia previsto il ripristino
della situazione originale mediante il rifacimento della fascia mancante in accordo
con la volta esistente, impiegando mattoni pieni e seguendo la disposizione della
volta originale.
135
Durand J. N. L., 1991, 77.
136
Della Torre S, Schofield R., 1994 e Poletti M., Terrugi S., 2202-2003.
137
In San Fedele di Milano si possono individuare tre diverse fasi temporali
dello svolgersi del cantiere. La prima fase riguarda l’edificazione sul primo lotto e
si realizza dal 1568 al 1579; la seconda fase va dal 1591 al 1596 e coincide con la
costruzione della chiesa eretta sul secondo lotto; la terza fase va dal 1581 al 1833
ed è dedicata alla costruzione della tribuna e ai completamenti.
138
Della Torre S, Schofield R., 1994.
139
Poletti M., Terrugi S., 2002-2003.
92
3. SINTESI STORICA DEI PRINCIPALI STUDI SCIENTIFICI
SUL COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE
VOLTE
93
CAPITOLO 3
B C
B C
A D A D
E E
94
GLI STUDI SCIENTIFICI
funzione del rapporto tra freccia e luce e, per archi con luce inferiore a 4-5
m, in assenza di sovraccarichi, conduceva agli stessi risultati di regole più
rigorose e motivate dei primi teorici del XVIII secolo.
La semplice geometria pratica era dunque l’unico strumento che i
costruttori medioevali possedevano per dimensionare e studiare le
strutture voltate, ma questo non impedì di realizzare strutture ardite e di
indiscussa bellezza.
95
CAPITOLO 3
96
GLI STUDI SCIENTIFICI
97
CAPITOLO 3
98
GLI STUDI SCIENTIFICI
99
CAPITOLO 3
a) b)
Fig. 6. Rappresentazione grafica delle conclusioni di Couplet. (Benvenuto E.,
1991, 343)
100
GLI STUDI SCIENTIFICI
101
CAPITOLO 3
del corretto calcolo a rottura, è la frase conclusiva della sua opera: “Ora,
per poco che uno vi faccia attenzione, si vede che se si divide la parte
superiore della volta verso la chiave e si suppone che la volta stessa si
rompa in quattro punti anziché in tre, la forza di pressione delle parti
superiori sarà assai maggiore di quella che si determina col metodo del
Signor De la Hire e le dimensioni dei piedritti fissate dal suo metodo
saranno insufficienti”19.
Tra le righe si può chiaramente leggere il suggerimento ad
accantonare il popolare metodo di De la Hire e la vecchia concezione
dell’arco visto come un cuneo spingente sui fianchi, per iniziare ad
affrontare la rigorosa analisi del cinematismo di collasso rappresentato
dalla figura 7.
102
GLI STUDI SCIENTIFICI
103
CAPITOLO 3
104
GLI STUDI SCIENTIFICI
105
CAPITOLO 3
delle forze fisiche poste in azione in questa parte degli edifici. Il più
accorto raziocinio non bastò al Brunelleschi a tutto conoscere nello
sciogliere il problema che aprì la strada alle più vaste imprese
dell’Architettura moderna, né a Michelangelo quando concepì l’opera più
ardita di cui si vantino le nostre arti. Entrambi non avvisarono a danni che
procedono alle Cupole per l’eccessivo gravitare della Lanterna, che
ambedue ne giudicavano il molto peso attivissimo a mantenere allegate le
parti della volta sottoposta. Ma dopo le felici applicazioni che si fecero
delle Mattematiche a questa parte dell’architettura, le condizioni
indispensabili per l’equilibrio d’una Cupola vennero stabilite. La diversa
solidità che procede dalle curve, la grossezza dei muri destinati a
sorreggerle, la disposizione dei materiali, la mole dei Contrafforti, il peso
che non è lecito oltrepassare nella Lanterna, tutto rimane stabilito, e
dacchè la dimostrazione fu portata alla maggior evidenza ogni questione
su di ciò dovrebbe sparire. È dunque una vera compassione il modo con
cui si disputa da molti sul come debbasi voltare la Cupola della nostra
Cattedrale, quasi fossimo ricaduti nella povertà de’lumi scientifici di alcuni
secoli addietro, e dall’incerto consiglio di alcuni pratici, ma poi non altro
che pratici, possa tuttavia dipendere una deliberazione di tanta
importanza”24.
Dalle sue parole emerge chiaramente la denuncia verso quegli
architetti che, nonostante gli importanti progressi scientifici, fondavano
ancora le loro scelte su considerazioni proporzionali.
Egli afferma inoltre che “Col mezzo della Stereometria si dettermina
la pressione di una Cupola. I Signori Mazzoli ed Antolini25 esposero per
essa la diversità de’ pesi nella nostra secondo i vari progetti di
costruzione. Ma con la sola Mattematica Applicata si penetra il modo con
cui bilanciare nelle Cupole la resistenza alla spinta. De la Hire, Couplet,
Belidor, Bossut, Venturoli, ed altri, calcolarono le formule per detterminare
quest’equilibrio. Io ho trascritte le lodatissime del Bossut registrate negli
atti dell’Accademia di Parigi del 1774, e perché offrono un applicazione
facilissima al nostro caso, e perché servirono a proporzionare la
resistenza di una delle quattro più ragguardevoli cupole d’Europa, pel suo
106
GLI STUDI SCIENTIFICI
3.4. Bibliografia
AA. VV., Lo specchio del cielo, a cura di Conforti C., Electa, Milano
1997.
Becchi A., Foce F., Degli archi e delle volte: arte del costruire tra
meccanica e stereotomia, Marsilio, Venezia 2002.
Benvenuto E., An introduction to the history of structural mechanics,
volume 2, Springer-Verlog, New York 1991.
Benvenuto E., Evoluzione tipologica delle volte in muratura ed
evoluzione dei sistemi di calcolo nelle costruzioni a volta, in Le volte in
muratura fra tecnologia antica e tecnologia moderna: atti del convegno.
Padova, 16 dicembre 1989, Eurograf, Padova 1989.
Benvenuto E., La scienza delle costruzioni e il suo sviluppo storico,
Sansoni, Firenze 1981.
Benvenuto E., Corradi M., Foce F., Sintesi storica sulla statica di
archi, volte e cupole nel XIX secolo, in “Palladio”, n. 2/1988.
Di Pasquale S., L’arte del costruire. Tra conoscenza e scienza,
Marsilio, Venezia 2003.
Foce F., Sinopoli A., Le svolte di pensiero nella riflessione scientifica
sulla statica degli archi in muratura, in “Costruire in laterizio”, n. 52/53
1996, Editoriale PEG s.p.a., Milano.
Huerta S., Galileo Was Wrong: the geometrical design of masonry
arches, in “Nexus Network Journal”, vol. 8, n. 2, 2006.
107
CAPITOLO 3
NOTE:
1
Per una trattazione più estesa sull’argomento si rimanda al testo esaustivo e
insuperato di Benvenuto E., 1981 e al lavoro di Di Pasquale S., 2003. Un’ampia
bibliografia è rinvenibile nel testo Becchi A., Foce F., 2002.
2
Anche se la provenienza di questa semplice regola geometrica non è sicura,
il Rondelet la attribuisce a padre Francois Dérand e assicura che, ancora nel XVII
secolo, Blondel, così come molti altri, ne facesse largo uso.
3
Benvenuto E., 1981, 323.
4
Marconi N., 1997, 231-243.
5
Ivi, Libro I, Capitolo XII, pp. 47.
6
Si veda a tal proposito il capitolo 2 del presente lavoro.
7
Marcolongo R., 1937, 237.
8
Di Pasquale S., 2003, 243.
9
Serlio S., 1987.
108
GLI STUDI SCIENTIFICI
10
Fontana C., 1673 e Fontana C., 1694.
11
Marconi N., 1997, 231.
12
Benvenuto E., 1981, 330-331.
13
Marconi N., 1997, 237.
14
Couplet C.A., Seconde partie de l’examen de la poussée des voûtes, in
Benvenuto E., 1981, 38.
15
Pozzi R., 1991, 41.
16
Bossut C., Recherches sur l’equilibre des voutes, Paris 1777
17
I Bossut C., Nouvelles recherches sur l’equilibre des voutes, Paris 1778.
18
Benvenuto E., 1981, 361-362.
19
Ivi, 366.
20
Ivi, 390-391.
21
Alcuni testi a carattere monografico indagarono la struttura e la tecnica di
tali modelli in modo approfondito: tra questi vi è il celebre trattato di Giovanni
Poleni, incaricato nel 1743 di verificare la stabilità della cupola vaticana. Le
Memorie Istoriche della Gran Cupola del Tempio Vaticano risultarono
fondamentali per la conoscenza e la comprensione del comportamento statico e
delle cause del manifestarsi di alcuni fenomeni fessurativi, non solo per la cupola
di San Pietro, ma anche per gran parte delle cupole in muratura, nonché per
l'analisi di criteri e tecnologie impiegati nei diversi interventi di consolidamento
susseguitisi nel corso dei secoli. Peraltro, il fatto che Poleni abbia applicato alla
sezione della cupola di San Pietro, e dunque a una sezione realmente costruita,
la teoria della curva catenaria quale metodo di verifica per la stabilità, costituisce
un precoce esempio di rigore scientifico.
22
I lavori per la realizzazione del Duomo di Brescia iniziarono nei primi anni
del XVII secolo, ma le dispute e le incertezze che accompagnarono la scelta
formale dell’impianto e la soluzione per la facciata dilatarono enormemente i tempi
per la costruzione e, solo nel 1804, riprese il dibattito riguardante le modalità di
realizzazione della cupola.
Tra il 1815 e il 1817 terminò la costruzione del tamburo e l’attenzione si
focalizzò sul problema della grande calotta centrale, sostenuta dai quattro piloni
liberi e dai quattro arconi già realizzati.
23
Cartella 60 ACCBS (Archivio del Capitolo della Cattedrale di Brescia).
Memoria dell’architetto sig.re Vantini agli illustri deputati alla fabbrica del Nuovo
Duomo, 30 luglio 1819.
24
Cartella 60 ACCBS, 30 luglio 1819, Brescia.
25
Mazzoli e Antolini furono due fra i numerosi architetti interpellati dalla
Deputazione per esprimere un parere sulla stabilità della cupola.
26
Cartella 60 ACCBS, 30 luglio 1819, Brescia.
109
4. INTUIZIONI STATICHE E COMPORTAMENTO
STRUTTURALE A CONFRONTO: IL CASO DELLE
CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
4.1. Introduzione
111
CAPITOLO 4
112
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
113
CAPITOLO 4
114
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Fig. 1. Filerete, pianta del tempietto della dea Copia (sinistra); Leonardo, analisi
volumetrica del S. Pietro bramantesco (destra).
Fig. 2. Leonardo, studi di chiese a pianta centrale, 1487-90. (Adorni B., 2002, 62)
115
CAPITOLO 4
Fig. 3. Pianta e sezione assonometrica della Chiesa di Santa Maria delle cinque
Torri a Cassino. (Sinistra: di A.Pantoni, destra: di V.Jorga)
116
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
117
CAPITOLO 4
Fig. 4: Pianta della Chiesa di Santa Maria Fig. 5: Pianta del progetto
presso San Satiro. (Bruschi A., 1997) bramantesco per la Basilica di
San Pietro. (Uffizi 1A)
118
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
119
CAPITOLO 4
120
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Fig. 7. Studio per la pianta di San Fig. 8. Studio per la pianta di San Pietro a
Pietro a Roma: progetto di Roma: progetto di Michelangelo secondo
Bramante (Uffizi 20A). Dupérac.
121
CAPITOLO 4
Fig. 11. Sezione della chiesa di Fig. 11. Sezione della chiesa di
Sant’Alessandro secondo il progetto di Sant’Alessandro secondo il progetto di
Binago (Milano, Archivio Storico Ricchino (Milano, Archivio Storico
Civico, Raccolta Bianconi, VII, f. 12). Civico, Raccolta Bianconi, VII, f. 13).
122
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
123
CAPITOLO 4
124
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
125
CAPITOLO 4
126
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Fig. 14. Assonometria dei modelli utilizzati per le analisi ad elementi finiti: a)
modello della cupola di Binago; b) modello della cupola di Ricchino.
127
CAPITOLO 4
a b
Fig. 15. a) Schema della cupola a sesto acuto progettata dal Ricchino. b)
Schema della cupola a tutto sesto progettata dal Binago .
128
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
5,1°
Costolone
1,7°
Vela 4,2° 2,15°
Fig. 16. Pianta del tamburo della mesh utilizzata per la schematizzazione
della chiesa di Sant’Alessandro (progetto di Lorenzo Binago).
129
CAPITOLO 4
θ θ
0,300
0,250
0,200 intradosso
0,150
(tutto sesto)
intradosso
0,100
(sesto acuto)
Sforzi σm[MPa]
0,050
estradosso
0,000 (tutto sesto)
-0,050 0 10 20 30 40 50 60 70 80 estradosso
-0,100 (sesto acuto)
-0,150
-0,200
-0,250
-0,300
θ
Fig. 18. Andamento degli sforzi σ m diagrammati al centro della vela (i grafici si
riferiscono alle analisi condotte sul modello costituito da cupola e tamburo).
130
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
0,300
θ θ
0,250
0,200
0,150 intradosso
(tutto sesto)
0,100
intradosso
Sforzi σp[MPa]
0,050 (sesto acuto)
0,000 estradosso
0 10 20 30 40 50 60 70 80 (tutto sesto)
-0,050
estradosso
-0,100 (sesto acuto)
-0,150
-0,200
-0,250
-0,300
θ
Fig. 19. Andamento degli sforzi σp diagrammati al centro della vela (i grafici si
riferiscono alle analisi condotte sul modello costituito da cupola e tamburo).
131
CAPITOLO 4
132
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
0,300
0,250
θ
0,200
0,150
intradosso (cupola e
0,100 tamburo)
Sforzi σp[MPa]
0,050
intradosso (cupola e
0,000
tamburo+piloni,pen
0 10 20 30 40 50 60 70 80
-0,050 nacchi e arconi)
-0,200
estradosso (cupola
-0,250 e tamburo+piloni,
pennacchi e arconi)
-0,300
Fig. 20. Confronto fra i valori delle σp ottenute dall’analisi numerica eseguita sul
sistema costituito da cupola e tamburo e da quella eseguita sull’intera struttura
(cupola di Binago).
133
CAPITOLO 4
134
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
σZ
p
a) b)
135
CAPITOLO 4
136
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
PC ⋅ e C1 − PP1 ⋅ e P1
HC = =173kN (1)
h1
[ ] [ ]
Pp1 = h 1 ⋅ A ⋅ γ = 6.9[m] ⋅ 13.24 m 2 ⋅ 18.50 kN m 3 = 1690kN (3)
137
CAPITOLO 4
Pennacchio
a)
A
Arcone Pilone
Sezione A-A A
B
Sezione A-A
Cerniera
plastica
C PC PC C
h1 Pp1
HC
Cerniera
PD
PD
plastica
HD
D
D
Pp
HD Pp2
h2
Cerniera
E
plastica
E
R ep1 ec1
b) c)
ep2
eDE
Fig. 22. Schema statico del nucleo centrale di un impianto planimetrico a quincunx
con cupola su quattro piloni liberi.
138
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
eC1 = 1.39m
ep1 = 1.03m
P 1
HD = D ⋅ l ⋅ =575 kN (4)
2 f
139
CAPITOLO 4
PD/2 PD/2
P P
Portale
naturalel
f
Arcone
613
ra
D D
HD HD
613
Fig. 23. Vista frontale del sistema con indicati i puntoni PD e le spinte orizzontali
trasferite ai piloni.
Portale
naturale P
P
Arconi
Fig. 24. Schema dei puntoni PD. Come si può notare l’area reagente si riduce
lungo il piano d’imposta del tamburo.
140
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
HD
HD = ⋅ 2 =814 kN (5)
2
( )
M rib = H C + HD ⋅ h 2 =13 336 kNm (6)
Dove h2 = 13.4 m.
Il momento stabilizzante vale:
Dove:
[ ] [ ]
Pp 2 = h 2 ⋅ A ⋅ γ = 13.4[m] ⋅ 13.24 m 2 ⋅ 18.50 KN m 3 = 3282kN (8)
eDE = 2.18 m
ep2 = 1.15 m
M stab
ψ= = 1.25 (9)
Mrib
141
CAPITOLO 4
Fig. 25. Deformazioni radiali nel tamburo con indicate le azioni Hc trasmesse dai
pennacchi e la spinta esercitata dalla cupola. a) Pianta all’imposta della cupola; b)
Assonometria.
142
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Fig. 26. Modello del tamburo. a) cedimenti verticali; b) archi naturali di scarico.
0,05
0
-0,05 0 15 30 45 60 75 90
-0,1
-0,15
-0,2 Arconi
-0,25
Arconi
Piloni
-0,3
-0,35
-0,4
Fig. 27. Grafico degli sforzi circonferenziali lungo il bordo inferiore del tamburo
(cupola di Binago).
143
CAPITOLO 4
cedevole, risultano più rigidi rispetto agli arconi. Ciò è confermato dalle
analisi che, in effetti, mostrano che il tamburo si comporta come una
lastra su più appoggi, ossia, nella parte inferiore, in corrispondenza dei
pennacchi il cedimento verticale è minore rispetto quello che si verifica
sugli arconi, mentre al bordo superiore è all’incirca costante. La variazione
degli spostamenti verticali nel tamburo comporta l’instaurarsi di archi
naturali, in cui gli sforzi sono diretti come indicato in figura 26b. Tali sforzi,
seppur piccoli (dalle analisi eseguite sul solo tamburo sollecitato da forze
orizzontali e verticali si è visto che sono il 10% degli sforzi totali) andranno
ad aggiungersi a quelli che si generano nel tamburo in seguito agli effetti
già illustrati in precedenza.
Le deformazioni generano quindi degli sforzi flessionali che
provocano trazioni all’intradosso del tamburo in corrispondenza dei piloni
e all’estradosso in corrispondenza degli arconi (fig. 27). Tali trazioni
tuttavia risultano in genere inferiori alla resistenza a trazione della
muratura24.
È necessario precisare che, con riferimento alla figura 27, le analisi
numeriche mostrano che, in corrispondenza della chiave degli arconi, per
un tratto che si estende anche oltre la base del tamburo, le trazioni
interessano l’intero spessore della muratura. Tale fenomeno, confermato
anche dai documenti di fabbrica della chiesa di S. Alessandro, che
attestano come le lesioni più preoccupanti fossero localizzate e rilevate
proprio in questi punti del nucleo centrale, è dovuto al fatto che gli sforzi
flessionali generati dalla spinta dei pennacchi si sommano a quelli di
trazione che si sviluppano alla chiave degli arconi in seguito alla
formazione dei “portali naturali”.
Lo studio effettuato permette infine di formulare importanti
considerazioni riguardo la funzione del tiburio, particolarmente diffuso
nell’area lombarda25. L’intuitiva convinzione che tale elemento costruttivo,
impiegato in maniera così estensiva fin dalla tarda antichità in Lombardia
per la copertura dell’estradosso delle cupole e presente nei progetti di
Binago per la cupola di S. Alessandro, potesse avere una funzione
stabilizzante è giustificata dal fatto che a livello locale il tiburio può portare
effettivamente ad una riduzione della spinta della cupola nella fascia
144
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
PD / 2 ⋅ l
H' D = = 1377 KN (10)
f
dove f ≈ 6,13m e l ≈ 8m
145
CAPITOLO 4
PD
FC orizz. FC orizz.
an
arco a
naturale arcone
h2
f '=613
ra
D D
H'D H'D
l'
h1
Fig. 28. Vista frontale del sistema arconi-piloni con indicato l’arco naturale che si
genera in seguito all’applicazione della forza FC orizz.
FV FV
FC orizz. FC orizz.
a
arcone
h2
r a
D D
H'D H'D
h1
E E
Fig. 29. Meccanismo di collasso del sistema arconi-piloni e punti di applicazione
delle forze necessarie per contrastare tale meccanismo.
146
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
H' D ⋅h 1
FC orizz = ≈ 910 KN (11)
h1 + h 2
1
Fv = σ t max ≈ 4255 KN (12)
1 X ptoappl .
+
A W
RD M
σ t max = + = 2168 KN / m 2 (13)
A W
147
CAPITOLO 4
148
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
Sezione DD
Compressione massima
(21,5 Kg/cmq)
Area fessurata
(sforzi nulli)
D D
149
CAPITOLO 4
2,00
1,50
σc (MPa)
1,00
sigma di
0,50 compressione
0,00
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5
x (m)
Fig. 31. Grafico degli sforzi lungo la diagonale del pilone nella sezione in
corrispondenza dell’imposta dell’arcone.
150
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
151
CAPITOLO 4
4.9. Conclusioni
152
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
errore progettuale nella scelta della curvatura, la sua sostituzione con una
cupola meno spingente non avrebbe certamente migliorato la situazione
del sistema di sostegno. Le analisi hanno infatti evidenziato che il
comportamento della calotta non avrebbe comunque influito sul sistema
portante sottostante, contrariamente a quanto poteva essere supposto da
progettisti e maestranze sulla base delle diffuse conoscenze empiriche.
È importante però sottolineare che la cupola prevista
successivamente da Ricchino, a sesto acuto, oltre ad esercitare una
spinta inferiore sul tamburo, grazie alla geometria della sua curva
direttrice, non avrebbe probabilmente presentato lesioni, mostrando una
corretta intuizione strutturale dell’architetto.
La formazione di profonde lesioni in corrispondenza della chiave
degli arconi e dei piloni fu determinata perciò dal grande carico gravante
sugli arconi e sui pennacchi, e dall’assenza di sufficienti contraffortamenti
proprio in corrispondenza di questi elementi. Attraverso gli schemi statici
semplificati è stato possibile fornire un’indicazione attendibile sul
comportamento strutturale globale del sistema e determinare, attraverso
semplici calcoli, il valore delle trazioni nei punti critici, fornendo così, in
assenza di studi sull’argomento, elementi utili per una prima
comprensione del comportamento di strutture simili a quella centrale della
chiesa di S. Alessandro a Milano, rinvenibili in altri impianti a quincunx e
in impianti con cupola maggiore appoggiata eccentricamente su quattro
piloni liberi mediante pennacchi e arconi.
Gli schemi semplificati hanno infine permesso di circoscrivere con
maggiore precisione il ruolo strutturale del tiburio, che è risultato assai
negativo per i nuclei cupolati appoggiati eccentricamente, mediante
pennacchi e arconi, su quattro piedritti liberi. Si è mostrato, infatti, che in
questi sistemi tale elemento, pur fortemente radicato nella tradizione
costruttiva lombarda e adottato anche da Binago in S. Alessandro,
nonostante l’effetto benefico locale in prossimità dell’imposta della
cupola, porta ad un incremento degli sforzi di trazione proprio nei punti
critici, ossia sull’arcone e sui piloni. Tale osservazione permette quindi di
aprire nuovi indirizzi di ricerca storica volti a riconsiderare una parte
consistente delle scelte costruttive e formali adottate fin dalla tarda
153
CAPITOLO 4
4.10. Bibliografia
154
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
155
CAPITOLO 4
156
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
NOTE:
1
I costruttori cercavano di assicurare ai piedritti una cospicua sezione, sia
nella fondazione, sia in alzato, con muratura possibilmente realizzata a regola
d’arte. Nel caso però di piedritti con sezione non sufficientemente ampia, come è
già stato illustrato nel capitolo 2, si tendeva a contenere le spinte di volte e cupole
con catene e cerchiature, preferibilmente metalliche, e/o utilizzando curvature e
geometrie riconosciute come meno spingenti, e/o agendo opportunamente sulle
zone più sollecitate, corrispondenti alle reni nelle volte e alla fascia inferiore della
calotta nelle cupole. Si tendeva inoltre ad alleggerire il peso complessivo della
volta, con l’impiego di murature più sottili e/o di materiali costruttivi leggeri.
Sull’atteggiamento tenuto nella temperie culturale tardo cinquecentesca milanese
in relazione a questi problemi durante la ricostruzione della cupola della basilica
paleocristiana di San Lorenzo, si veda. Giustina I., 2003.
2
Si prenda ad esempio il notissimo caso della cupola giustinianea di Santa
Sofia a Costantinopoli e lo spanciamento dei piedritti di sostegno che si verificò
poco dopo la conclusione della cupola. Cfr. Mark R., Cakmak A. S., 1993 e
Mainstone R., 1997. Un altro esempio è il caso della ricostruzione tardo
cinquecentesca della cupola della basilica paleocristiana di San Lorenzo a Milano,
sostenuta da quattro arconi su quattro piedritti liberi, che vide alcuni dei maggiori
protagonisti della cultura architettonica italiana pronunciarsi in relazione alla
stabilità della nuova copertura; cfr. Ferrari F. B., 1771; Rocchi G., 1991; Giustina
I., 2003.
157
CAPITOLO 4
3
Durante la realizzazione della Basilica di San Pietro, il cui progetto è stato
condizionato dall’iniziale impianto a quincunx scelto da Bramante, avevano
preoccupato reiteratamente la statica dei piloni, e in particolare la geometria e il
dimensionamento della loro sezione anche in relazione alle necessità spaziali,
funzionali e alle esigenze liturgiche e di raccolta dei fedeli, la statica degli arconi
con i pennacchi, di cui già lo stesso Bramante e poi Antonio da Sangallo e
Michelangelo dovettero a più riprese occuparsi, i dissesti del tamburo e dalla
calotta di Michelangelo e Giacomo Della Porta, a cui mise riparo solo intorno alla
metà del XVIII secolo Giovan Battista Poleni. Sui problemi statici di San Pietro la
bibliografia è ricchissima e difficilmente sintetizzabile. Si vedano almeno Poleni G.
B., 1748; Di Stefano R., 1980; Como M., 1999,. 245-260. Sui progetti, il cantiere, i
problemi costruttivi rinascimentali precedenti all’intervento di Michelangelo si veda
Bruschi A., Frommel C. L., Wolf Metternich G., Thoenes C., 1996
4
Tra gli architetti rinascimentali che si occuparono delle piante centrali si
possono ricordare Filerete, Bramante, che realizzò il progetto del S. Pietro a
Roma, e Leonardo da Vinci, che produsse un attento studio sulle piante centrali e
un’interessante analisi formale e volumetrica dell’idea bramantesca.
5
Belluzzi O, 2002, 37-47.
6
Krautheimer R., 1986.
7
Günther H., 1995, 41-78, cui si rimanda anche per la diffusione dell’impianto
nella cultura altomedievale e soprattutto rinascimentale italiana, con ampia
bibliografia. Si veda anche Visioli M 1996, 103-134.
8
Sannazzaro G. B 1992, 5-27.
9
Giustina I., 2002 a, Giustina I, 2003, Visioli M, 1996, Sannazzaro G. B., 1992.
10
Parte del presente lavoro è stato pubblicato in: Giustina I., Tomasoni E.,
Giuriani E., Arte del costruire in Lombardia nel primo XVII secolo e la cupola di
Sant’Alessandro a Milano: un primo studio sul comportamento del nucleo
strutturale principale nell’architettura religiosa con impianto a quincunx, in
Technical Report, n. 15, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di
Brescia 2004 e Giustina I., Tomasoni E., Giuriani E., The Early Dome of
Sant’Alessandro in Milan (1627): a First Study on the Behaviour of the Structural
Core with Dome Resting on Four Free-Standing Pillars, in the Second
International Congress on Construction History, Construction History Society,
Cambridge 2006, in cui l’analisi delle problematiche storiche relative alle vicende
progettuali della cupola di Sant’Alessandro a Milano sono da ascriversi alla
prof.ssa Irene Giustina.
11
L’attività di Lorenzo Binago, sotto forma semplici pareri, disegni,
sorpralluoghi e progetti, è documentata in almeno ventisei fabbriche barnabitiche
sul territorio italiano e in numerosi altri cantieri non barnabitici, tra cui, solo per
citarne alcuni, il Duomo di Acqui e quelli di Bergamo, Brescia, Milano. Sull’attività
158
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI
159
CAPITOLO 4
25
Giustina I, 2003.
26
Nel secondo Quattrocento Amadeo aveva inserito all’estradosso di ciascuno
dei quattro archi di sostegno del tiburio del Duomo di Milano un arcone di scarico
in pietra, espediente inizialmente previsto da Guiniforte Solari; si vedano Ferrari
da Passano C., Brivio E., Majo A., Migliavacca L., 1986; Ferrari da Passano C
1988. Sull’intervento di Michelangelo sugli arconi di San Pietro a Roma, cfr. Poleni
G. B., 1748; Di Stefano R., 1980.
27
Milano, Archivio Storico dei Barnabiti, Cartella Grande, I, Mazzo I, fasc. III.
160
5. CONCLUSIONI
161
CAPITOLO 5
162
6. BIBLIOGRAFIA
163
CAPITOLO 6
164
BIBLIOGRAFIA GENERALE
165
CAPITOLO 6
166
BIBLIOGRAFIA GENERALE
167
CAPITOLO 6
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171
CAPITOLO 6
172
PARTE SECONDA
COMPORTAMENTO STRUTTURALE
DELLE VOLTE IN MURATURA
1. INTRODUZIONE
175
CAPITOLO 1
176
INTRODUZIONE
177
2. STATO DELL’ARTE E PRINCIPALI ORIENTAMENTI
SCIENTIFICI
2.1. Introduzione
Gli studi sugli archi e le volte in muratura sviluppati negli ultimi anni
sono numerosi e si basano su metodologie diverse, che vanno dai metodi
semplificati per la valutazione immediata di alcuni elementi utili ai fini di un
intervento di consolidamento, come per esempio lo schema ad archi
affiancati non interagenti, ai metodi più complessi, che si appoggiano ad
analisi ad elementi finiti in campo non lineare.
La maggior parte di questi studi, tuttavia, si concentra sui
meccanismi che si possono generare negli archi e assimila le volte ad una
serie di archi affiancati non interagenti, trascurando gli effetti
tridimensionali di interazione tra archi adiacenti.
A fianco al modello ad archi, è stata sviluppata in letteratura la teoria
membranale, che tiene conto degli effetti tridimensionali, ossia
dell’interazione tra gli archi che idealmente costituiscono la volta, ma che
ha però il limite di non essere in grado di individuare la reale posizione
della superficie funicolare del carico e di non poter valutare l’eventuale
ridistribuzione degli sforzi conseguente alla fessurazione.
Per introdurre la teoria proposta nel capitolo successivo, sviluppata
sulla base dello studio di D’Ayala D. e Casapulla C. (2001), nel presente
capitolo è fornita una sintesi dei principali orientamenti di studio e delle
179
CAPITOLO 2
180
STATO DELL’ARTE
181
CAPITOLO 2
182
STATO DELL’ARTE
183
CAPITOLO 2
184
STATO DELL’ARTE
2.3. Bibliografia
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Creazza G., Matteazzi R., Saetta A., Vitaliani R., Analyses of
masonry vaults: a macro approach based on three-dimensional damage
model, in “Journal of Structural Engineering”, vol. 128, n. 5, 2002, 646-
654.
Como M., On the Equilibrium and Collapse of Masonry Structures, in
“Meccanica”, vol. 27, 1992.
Como M., Abruzzese D., Lanni G., Some Results on the Strength
Evaluation of vaulted masonry Structures, in Architectural Studies,
Materials and Analysis STREMA 95, Computational Mechanics
Publications, Boston, 1995.
Como M., On the role played by settlements in the Statics of Masonry
Monuments, in atti del Convegno Geotechnical Engineering for the
Preservation of Monuments and Historic Sites, Napoli, 3-4 Ott.1996,
Balkema ed.1997.
Cundall A., A discontinuous future for numerical modelling in
geomechanics?, in “Geotechnical Mechanics”, vol. 149, n. 1, 2001, 41-47.
186
STATO DELL’ARTE
187
CAPITOLO 2
188
STATO DELL’ARTE
189
3. PRESENTAZIONE DI UN NUOVO APPROCCIO PER LO
STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA
3.1. Introduzione
191
CAPITOLO 3
192
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA
193
CAPITOLO 3
194
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA
195
CAPITOLO 3
z' Sj+1
Ηp Txϑ p γj+1
x'
Tϑx j+1
Tϑx j
γj Txϑ p+1Ηp+1
Sj
ϑi
ϑj
a)
x
ϑi
z'
Sj Tϑx j Ηp+1
γj Txϑ p+1
Txϑ p x'
γj+1
Ηp Tϑx j+1
α l Sj+1
b)
196
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA
197
CAPITOLO 3
Tj ≤ T0 + N j µ (1)
z'
θi
z'
θj
γj θ j
L in e o f th ru st
Nj B
φ
Sj
Tj
A
Fig. 3. Schema delle componenti normale (Nj) e tangenziale (Tj), della forza
meridiana Sj, agenti all’interfaccia di un elemento, con indicati i punti A e
B rappresentanti i limiti definiti dal criterio di resistenza di Coulomb.
198
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA
3.3. Conclusioni
199
CAPITOLO 3
3.4. Bibliografia
Casapulla C., D’Ayala D., Lower bound approach to the limit analysis
of 3D vaulted block masonry structures, in Computer Methods in
Structural Masonry (STRUMAS V), Proc. 5th intern. symp., Roma 2001.
D’Ayala, D., In tema di comportamento strutturale delle cupole in
muratura, Tesi di dottorato, Dipartimento di Ingegneria strutturale e
geotecnica, Università La Sapienza, Roma 1994.
D’Ayala D., Casapulla C., Limit state analysis of hemispherical
domes with finite friction, in Historical Constructions, Possibilities of
Numerical and Experimental Techniques, 2001.
Drucker D. C., Coulomb friction, plasticity and limit loads, in “Journal
of Applied Mechanics”, vol. 21, 1953, 71-74.
Flügge W., Stresses in shells, Springer & Verlag, Berlin 1973.
Gilbert M., Casapulla C., Ahmed H. M., Limit analysis of masonry
block structures with non-associative frictional joints using linear
programming, in “Computer & Structures”, n. 84, 2006, 873-887.
Hendry A. W., Statica delle strutture in muratura di mattoni, Patron
Editore, Bologna 1986.
Heyman J., The stone skeleton, in “International Journal of Solids
and Structures”, vol. 2, 1966, 249-279.
Heyman, J., Coulomb's memoir on statics: an essay in the history of
Civil Engineering, Cambridge University Press, Londra 1972.
Heyman J., The masonry arch, Ellis Horwood Lim., Chichester 1982.
Heyman, J., The Stone Skeleton. Structural Engineering of Masonry
Architecture. Cambridge University Press, Cambridge 1995.
Heyman J., Arches, vaults and buttresses, Variorum, Norfolk 1996.
Huerta S., Mechanics of masonry vaults: The equilibrium approach,
in Historical Constructions, Eds. Lourenço P.B., Roca P., Guimarães,
2001.
Livesley R. K., Limit Analysis of structures formed from rigid blocks,
in “Int J Numer Meth Eng”, 12, 1978, 1853-1871.
200
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA
NOTE:
1
Parte dei risultati di questo lavoro saranno presentati al Convegno
Internazionale SACH, che si terrà a Bath nel 2008 (Tomasoni E., D’Ayala D.,
2008).
2
D’Ayala D., Casapulla C., 2001.
201
4. LE VOLTE A PADIGLIONE
4.1. Introduzione
203
CAPITOLO 4
204
LE VOLTE A PADIGLIONE
205
CAPITOLO 4
Nella sala Ottagona della Domus Aurea, la cupola, che copre il vano
ottagonale, nasce come una volta a padiglione per poi trasformarsi, nella
parte alta, in una cupola sferica vera e propria4 (fig. 2).
Nelle terme invece la volta a padiglione ricopriva generalmente le
sale termali, impostate su sei o otto lati (fig. 3, 4).
Fig. 1. Roma, pianta del Tabularium (78 Fig. 2. Assonometria della sala
a.C.) con evidenziata la galleria coperta da ottagona situata all’interno della
volte a padiglione impostate su pianta Domus Aurea (64-68 d.C.).
quadrata. (Scurati Manzoni, 1991, 429) (Scurati Manzoni, 1991, 430)
Fig. 3. Pianta d’insieme delle Terme di Antonino a Cartagine (145-160 d.C.), in cui
gli ambienti su pianta ottagonale erano coperti con volte a padiglione. (Gros P.,
1996, 459)
206
LE VOLTE A PADIGLIONE
207
CAPITOLO 4
208
LE VOLTE A PADIGLIONE
209
CAPITOLO 4
210
LE VOLTE A PADIGLIONE
considerata, con quella del Pantheon, la più grande volta di mattoni che
gli antichi furono in grado di costruire12.
Nel Trattato di architettura civile, Guarino Guarini afferma che le volte
sono la componente più importante di un edificio e, passando in rassegna
le varie tipologie di volte, illustra dettagliatamente la geometria di quella a
padiglione, specificando che si ricava partendo da un semi cilindro
“tagliato per diagonale” 13. Guarini inoltre precisa che la pianta su cui si
imposta la volta a padiglione può essere la più svariata: dalla quadrata si
può infatti passare a quella triangolare, esagonale, pentagonale o
ottagonale, e l’unica differenza che si riscontra è l’ampiezza dell’angolo al
vertice.
Passando a descrivere il modo di disegnare le volte, Guarini afferma
che le volte a padiglione saranno tanto più belle tanto meno saranno
“svelte14, perché facendosi nelle camere per ordinario che non hanno
molta altezza, se si fanno di poca elevazione renderanno la stanza più
svelta”15. Nonostante ciò però Guarini consiglia di contenere l’altezza
della volta fra un quinto e un quarto del diametro e specifica che, per farle
apparire piane, basta creare “la cornice sopra cui si posa nello spiccarsi
del volto dal muro dopo essersi principiata la volta”16.
Se fin qui gli autori, seppur in maniera defilata si sono interessati alla
volta a padiglione, dopo Guarini le informazioni relative a questa
particolare tipologia di volta scompaiono o, quanto meno, si fanno molto
rade.
Francesco Milizia ad esempio nel trattato Principi di architettura civile
del 1791 inserisce una semplice citazione sulla volta a schifo definita
come una volta composta17.
Solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo i manuali di
architettura iniziano a riportare informazioni pratiche sulla geometria e
sulla realizzazione della volta a padiglione e delle sue principali varianti.
Particolarmente significativo è il contributo di Alberto Castigliano che nel
1882 pubblica il Manuale pratico per gli ingegneri, in cui l’autore definisce
la volta a padiglione impostata su pianta quadrata come l’unione di
quattro fusi cilindrici che compongono la superficie di intradosso18; i fusi
hanno per direttrici i due archi di cerchio EVF e GVH, dove E, F, G e H
211
CAPITOLO 4
sono i punti medi dei lati del quadrato di base e V è il vertice della volta
(fig. 9).
(
S = 4 ⋅ a2 + f 2 )
Per determinare il volume complessivo delle murature invece,
l’autore sottrae al volume compreso fra il piano d’imposta e la superficie
dei rinfianchi, il volume del vano compreso fra lo stesso piano d’imposta e
la superficie d’intradosso, ottenendo così, per la volta a padiglione, la
seguente equazione:
V=
2
3
(
⋅ f ⋅ 3⋅ a2 + f 2 )
Fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, quindi, la volta a
padiglione comincia ad attirare l’attenzione dei trattatisti che, nei loro
lavori, la presentano dedicandole ampio spazio e mettendola finalmente
212
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 10. Assonometria di una volta a botte con indicate le unghie e i fusi.
213
CAPITOLO 4
214
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 11. Volta a botte con teste di Fig. 12. Volta a spechio o a schifo.
padiglione. (Breymann G.A., 1885, 9) (Breymann G.A., 1885, 11)
Fig. 13. Schema di una volta a Fig. 14. Palazzo Vertemate Franchi a
specchio lunettata. Piuro di Chiavenna (XVI secolo); volta
a specchio lunettata (detta anche a
peducci) della sala di Giove e Mercurio.
215
CAPITOLO 4
216
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 15. Curve utilizzate per la realizzazione delle centine per una volta a
padiglione su pianta quadrata. (Levi C., 1932, 300)
Fig. 16. Schema di carpenteria fissa per l’armatura di una volta a padiglione. (De
Cesaris F., 1996, 86, da Misuraca et al., 1916)
217
CAPITOLO 4
218
LE VOLTE A PADIGLIONE
219
CAPITOLO 4
220
LE VOLTE A PADIGLIONE
221
CAPITOLO 4
222
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 23. Rottura delle catene lignee in una volta a padiglione di palazzo
Vertemate Franchi (So). L’eccessiva spinta all’imposta ha portato alla rottura dei
presidi strutturali e al conseguente allontanamento delle imposte.
Fig. 24. Volta a padiglione di una sala del palazzo Martinengo delle Palle a
Brescia: lungo le diagonali si possono notare evidenti lesioni che, partendo
dall’imposta, si sviluppano fino a circa metà altezza della volta.
223
CAPITOLO 4
224
LE VOLTE A PADIGLIONE
225
CAPITOLO 4
Fig. 26. Modello sperimentale Fig. 27. Vista dell’intradosso della volta
studiato da Portioli F. et al. (2003). analizzata da Portioli F. et al. (2003),
con il particolare del tirante per
l’applicazione dei carichi applicati in
chiave.
226
LE VOLTE A PADIGLIONE
227
CAPITOLO 4
228
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 28. Diagramma delle spinte verticali esercitate sulla volta a padiglione
ottenuto con il metodo di Mery e riproposto da numerosi autori. (Defez A.,1991,
135)
Fig. 29. Localizzazione delle fessure nelle volte a padiglione. (Cigni G., 1978,
225)
229
CAPITOLO 4
230
LE VOLTE A PADIGLIONE
231
CAPITOLO 4
232
LE VOLTE A PADIGLIONE
233
CAPITOLO 4
Fig. 30. Particolare di una muratura fessurata, in cui gli sforzi di taglio vengono
trasferiti per ingranamento tra i conci sfalsati.
234
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 31. Particolare dei contact elements posti fra due elementi shell: gli elementi
disposti diagonalmente hanno la funzione di trasferire gli sforzi di taglio.
Fig. 32. Modello della volta a Fig. 33. Modello della volta a
padiglione analizzata. padiglione, con evidenziate le zone in
cui sono stati inseriti i contact
elements.
235
CAPITOLO 4
σc
[MPa]
2,0
1,5
0,3E-3 2,0E-3
εc
Fig. 34. Legame sforzo-deformazione adottato.
236
LE VOLTE A PADIGLIONE
Per ogni elemento è stato possibile ricavare le σm, ossia gli sforzi che
agiscono nella direzione dei meridiani, le σp, ossia gli sforzi che agiscono
nella direzione dei paralleli, e gli sforzi di taglio τmp , τzp e τmz indicate in
figura 36.
Il programma fornisce i valori degli sforzi σ e τ al top e al bottom
dell’elemento, ossia all’estradosso e all’intradosso della volta, ciò significa
che è possibile ricavare gli sforzi membranali e la relativa eccentricità e, di
conseguenza, anche il momento agente. Come indicato infatti in figura 37,
la σ membranale vale:
σ + σC
σ memb = A (1)
2
s σ −σC (2)
e= ⋅ A
3 σ A +σC
237
CAPITOLO 4
Fig. 36. Particolare di un elemento della volta con evidenziate tutte le azioni
agenti su di esso.
σA A B A B
σC C D C D
238
LE VOLTE A PADIGLIONE
infatti osservato che l’andamento degli sforzi per i tre modelli con vincoli di
rigidezza differente risulta pressoché identico.
Nell’appendice A sono riportati i diagrammi di tutti gli sforzi agenti in
forma estesa.
239
CAPITOLO 4
σ m lungo il meridiano 0
0,7
0,6
x
0,5
σm [kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m ]
σ m lungo il meridiano 5
0,7
0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
Fig. 39. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 5, distante 0,93 m
da quello centrale.
240
LE VOLTE A PADIGLIONE
σ m lungo il meridiano 10
0,7
0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
Fig. 40. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 10, distante 1,76m
da quello centrale.
σ m lungo il meridiano 15
0,7
0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
Fig. 41. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 15, distante 2,43m
da quello centrale.
241
CAPITOLO 4
σ m lungo il meridiano 20
0,7
0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
Fig. 42. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 20, distante 2,85m
da quello centrale.
242
LE VOLTE A PADIGLIONE
32°
65
°
3,00 m
Fig. 43. Andamento della funicolare del carico per il meridiano centrale.
243
CAPITOLO 4
σ p lungo il parallelo 25
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p [kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
244
LE VOLTE A PADIGLIONE
σ p lungo il parallelo 20
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p [kg/cmq] 0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
σ p lungo il parallelo 15
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p [kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
245
CAPITOLO 4
σ p lungo il parallelo 10
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p [kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
σ p lungo il parallelo 5
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p[kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
246
LE VOLTE A PADIGLIONE
σ p lungo il meridiano 0
0,45
0,4
0,35
x
0,3
σp [kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m ]
σ p lungo il meridiano 5
0,45
0,4
0,35
x
0,3
σ m [kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
Fig. 50. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 5, distante 0,93 m
da quello centrale.
247
CAPITOLO 4
Gli sforzi di taglio τmp, per ovvie ragioni di simmetria, risultano nulli
lungo tutto il meridiano centrale e aumentano gradualmente lungo i
paralleli (fig.52): questo significa che gli archi con sviluppo minore
tendono a sorreggere quelli attigui, che risultano invece maggiormente
deformabili.
Fig. 51. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli
sforzi di taglio τmp.
τ m p lungo il parallelo 20
0,2
0,15
0,1
τ mp [kg/cmq]
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,05
-0,1
-0,15
-0,2
y [m]
Fig. 52. Andamento degli sforzi di taglio τmp lungo il parallelo 20.
248
LE VOLTE A PADIGLIONE
I valori degli sforzi di taglio τpn risultano molto inferiori rispetto alle σ e
alle τmp (mediamente due ordini di grandezza in meno) e per tale motivo
potrebbero essere trascurati.
Fig. 53. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli
sforzi di taglio τnp.
249
CAPITOLO 4
Fig. 54. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli
sforzi di taglio τmp.
τ m n lungo il meridiano 0
0,2
0,15
x
0,1
0,05
τ mn [kg/cmq]
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,05
-0,1
-0,15
-0,2
x [m ]
Fig. 55. Andamento degli sforzi di taglio τmn lungo il meridiano centrale.
250
LE VOLTE A PADIGLIONE
in figura 56 la spinta negli spigoli risulta circa 1/2, 1/3 e 1/5 di quella
massima, rispettivamente per una volta con vincoli rigidi, con muratura
perimetrale da 70 cm e con muratura perimetrale da 50 cm: ovviamente
maggiore è la rigidezza del vincolo all’imposta e maggiore è la spinta.
L’andamento della spinta all’imposta evidenzia l’interazione tra gli
archi che costituiscono la struttura, infatti tale spinta, pur decrescendo,
non si annulla negli spigoli e questo è da imputare probabilmente al
trasferimento di parte del carico dal centro del fuso verso le diagonali.
Bisogna tuttavia segnalare che la spinta all’imposta qui mostrata non
coincide con la reale spinta che la muratura esercita sui muri d’ambito, in
quanto quest’ultima, come verrà ampiamente illustrato in seguito, deve
essere valutata nel punto in cui l’eccentricità è massima.
60
Spinta [kg/m]
45
vincoli rigidi
30
muro perimetrale di 70 cm
muro perimetrale di 50 cm
15
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
Fig. 56. Andamento della spinta all’imposta per il modello vincolato rigidamente,
vincolato con murature perimetrali aventi spessore di 70 cm e vincolato con
murature perimetrali aventi spessore di 50 cm.
251
CAPITOLO 4
Fig. 57. Deformata della volta a padiglione impostata su vincoli rigidi (fattore di scala
circa 105).
252
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 58. Deformata della volta a padiglione impostata su vincoli rigidi (fattore di
scala circa 105).
253
CAPITOLO 4
254
LE VOLTE A PADIGLIONE
255
CAPITOLO 4
per i 1 a m e =1 a n.
256
LE VOLTE A PADIGLIONE
R z f
θi
θj
x
l
Fig. 59. Volta a padiglione schematizzata come una serie di spicchi costituiti da
blocchi rigidi (a sinistra) e caratteristiche geometriche della curva direttrice (a
destra).
Z z'
m=1 m=2 i θ
m=3 m=4
m=5
....
....
x'
θi
geom
Y zi
m
li
geom
αk n
xi
geom yi
geom
....
n=2
n=1
X
Fig. 60. Volta a padiglione schematizzata come una serie di spicchi costituiti da
blocchi rigidi con l’indicazione delle coordinate x, y e z per l’identificazione degli
elementi.
257
CAPITOLO 4
258
LE VOLTE A PADIGLIONE
Linea media
γj-1
funicolare
γj
αk
x it = x igeom (7)
y it = y igeom (8)
z it = z i (incognita) (9)
z it + x it ⋅ tan γ j
z tj = (10)
tan ϑ j
1+ ⋅ tan γ j
cos α k
259
CAPITOLO 4
x tj = z tj ⋅ tan ϑ j
tan ϑ j
l tj = z tj ⋅ (12)
cos α k
dove γj, come indicato in figura 61, è l’angolo che la tangente alla
superficie funicolare forma con l’asse orizzontale all’interfaccia tra i conci
e vale:
z it+1 − z it
γ j = arctan (13)
lit+1 − l it
( ) ( )
− S j ⋅ sen γ i − γ j − S j+1 ⋅ sen γ j+1 − γ i − W ⋅ cos γ i = 0 (14)
260
LE VOLTE A PADIGLIONE
ϑi
z'
Sj Tϑx j Ηp+1
γj Txϑ p+1
Txϑ p x'
γj+1
Ηp Tϑx j+1
α l Sj+1
x
Fig. 62. Particolare delle forze agenti su un elemento appartenente alla volta a
padiglione.
− W ⋅ cos γ i
Sj = (15)
( ) (
sen γ i − γ j + sen γ j+1 − γ i )
W =
(
ϖR 2 1 − cos ϑ j+1 ) − ϖR (1 − cos ϑ )
2
j
(16)
n n
261
CAPITOLO 4
z tj+1 − z tj
γ i = arctan (17)
l tj+1 − l tj
(T xϑ p )
+ Txϑ p +1 ⋅ cos α' k ⋅senϑ i ⋅ (tgα p +1 − tgα p )
Tϑx j+1 = − Tϑx j (19)
ϑ j+1 − ϑ j
dove α’k corrisponde all’angolo αk proiettato nel piano tangente alla linea
delle pressioni al centro dell’elemento (fig. 64). Si ha quindi:
(
α' k = sen −1 cos γ j ⋅ senα k ) (20)
262
LE VOLTE A PADIGLIONE
Sj
Tϑx jTxϑ p+1
ΗTp xϑ p Ηp+1
Tϑx j+1
Sj+1
Fig. 63. Vista dall’alto di una volta a padiglione, con indicate le forze agenti su un
elemento.
α'k
γj ακ γi
γi
γj+1
ακ Sj+1
Fig. 64. Particolare di un elemento con l’indicazione degli angoli α’k , αk., γj e γi.
263
CAPITOLO 4
264
LE VOLTE A PADIGLIONE
S j−1senγ j−1 + W
γ * = −tg −1 (26)
S j−1 cos γ j−1
2
x geom
R it = (l ) + (z )
geom 2
i
t 2
i = ( )
+ z it
2
(27)
cos α k
geom
dove l i è la proiezione orizzontale della distanza tra il centro di
massa dell’elemento e l’origine del sistema di riferimento globale.
Mentre la distanza fra l’origine degli assi nel sistema di riferimento
globale e la superficie media è pari a:
2
x geom
R geom
i = i
(
+ z igeom )
2
(28)
cos α k
e = ∆R = R igeom − R mi (29)
265
CAPITOLO 4
e = max ∆R (30)
Tjmerid ≤ T0 + Nmerid
j µ (31)
dove N merid
j e T jmerid rappresentano rispettivamente la componete di Sj
normale e tangenziale all’interfaccia:
N merid
j = S ⋅ cos(ϑ − γ j ) (32)
266
LE VOLTE A PADIGLIONE
spicchio 4
spicchio 3
spicchio 2
spicchio 1
Fig. 65. Suddivisione della volta a padiglione in fusi, con l’indicazione della
coordinata orizzontale x.
267
CAPITOLO 4
268
LE VOLTE A PADIGLIONE
700
600
500
400
S [kg]
Fig. 66. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
269
CAPITOLO 4
700
600
500
400
S [kg]
Fig. 67. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
700
600
500
400
S [kg]
Fig. 68. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
270
LE VOLTE A PADIGLIONE
700
600
500
400
Fig. 69. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
Hp lungo la diagonale
500
400
300
200
[kg]
100
0 Hp
0 1 2 3 4 5
-100
-200
x' [m ]
271
CAPITOLO 4
γj
Nmerid S*
Tmerid
merid
Fig. 71. Particolare delle forze S* , N e Tmerid agenti su un concio.
272
LE VOLTE A PADIGLIONE
700
600
500
400
300
[kg] 200
100
0
0 1 2 3 4
-100 S*
-200
Nmer
-300
x [m ] T mer
merid
Fig. 72. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 1.
700
600
500
400
300
[kg]
200
100
0
0 1 2 3 4
-100
S*
-200
Nmer
-300
x [m ] T mer
merid
Fig. 73. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 2.
273
CAPITOLO 4
700
600
500
400
300
[kg]
200
100
0
0 1 2 3 4
-100 S*
-200
Nmer
-300
x [m ] T mer
merid
Fig. 74. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 3.
700
600
500
400
300
[kg]
200
100
0
0 1 2 3 4
-100
S*
-200
Nmer
-300
x [m ] T mer
merid
Fig. 75. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 4.
274
LE VOLTE A PADIGLIONE
275
CAPITOLO 4
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]
0,15
eccentricità
0,1
(soluzione non
0,05 ottimizzata)
0
-0,05 0 1 2 3 4
eccentricità
-0,1 (soluzione
-0,15 ottimizzata)
x [m ]
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]
0,15
eccentricità
0,1
(soluzione non
0,05 ottimizzata)
0
-0,05 0 1 2 3 4
eccentriità
-0,1 (soluzione
-0,15 ottimizzata)
x [m ]
276
LE VOLTE A PADIGLIONE
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m] 0,15
eccentricità
0,1
(soluzione non
0,05 ottimizzata)
0
-0,05 0 1 2 3 4
eccentricità
-0,1 (soluzione
-0,15 ottimizzata)
x [m ]
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]
0,15
eccentricità
0,1
(soluzione non
0,05 ottimizzata)
0
-0,05 0 1 2 3 4
eccentricità
-0,1 (soluzione
-0,15 ottimizzata)
x [m ]
277
CAPITOLO 4
100
80
60
40
.e [kg.m]
20
0
0 1 2 3 4 M=N.e (spicchio 1)
-20
M=N
-40
M=N.e (spicchio 2)
-60
-100
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]
278
LE VOLTE A PADIGLIONE
279
CAPITOLO 4
300 y
250
200
[kg/m]
150
100
spinta (soluzione
non ottimizzata)
50
spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Fig. 81. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.
250
200
150
[kg]
100
50 componente
orizzontale di S*
(soluzione
0 ottimizzata)"
0 1 2 3 4
y [m ]
Fig. 82. Andamento della componente orizzontale della forza S* lungo lo spicchio
1.
280
LE VOLTE A PADIGLIONE
281
CAPITOLO 4
Fig. 83. Parametri impiegati all’interno del risolutore automatico di Excel per
ottenere la soluzione 1.
282
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 84. Parametri impiegati all’interno del risolutore automatico di Excel per
ottenere la soluzione 2.
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]
0,15 eccentricità
0,1 (soluzione non
ottimizzata)
0,05
eccentricità
0
(soluzione
-0,05 0 1 2 3 4 ottimizzata 1)
-0,1 eccentricità
-0,15 (soluzione
ottimizzata 2)
x [m ]
283
CAPITOLO 4
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]
0,15 eccentricità
0,1 (soluzione non
ottimizzata)
0,05
eccentriità
0
(soluzione
-0,05 0 1 2 3 4 ottimizzata 1)
-0,1 eccentriità
-0,15 (soluzione
ottimizzata 2)
x [m ]
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]
0,15
0,1 eccentricità
0,05 (soluzione non
ottimizzata)
0
eccentricità
-0,05 0 1 2 3 4
(soluzione
-0,1 ottimizzata 1)
-0,15 eccentriità
x [m ] (soluzione
ottimizzata 2)
284
LE VOLTE A PADIGLIONE
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]
0,15 eccentricità
0,1 (soluzione non
ottimizzata)
0,05
eccentricità
0
(soluzione
-0,05 0 1 2 3 4 ottimizzata 1)
-0,1 eccentriità
-0,15 (soluzione
ottimizzata 2)
x [m ]
285
CAPITOLO 4
t
Ψ= (35)
t min
286
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 89. Mesh realizzata per il confronto fra i risultati teorici e quelli ad elementi
finiti.
Nelle figure 90, 91. 92 e 93 sono riportati i grafici dei confronti fra le
forze S ottenute dal modello teorico e quelle ricavate dalle analisi ad
elementi finiti. Come si può osservare, la curva ottenuta con il modello
teorico ricalca esattamente l’andamento della curva ottenuta dalle analisi
non lineari; anche il cambiamento di pendenza, significativo perché indica
la comparsa di lesioni lungo gli spicchi, è colto esattamente dal modello
teorico. Tuttavia, a favore di sicurezza, i valori di S calcolati risultano
ovunque leggermente superiori a quelli ricavati dalle analisi ad elementi
finiti.
Anche le componenti Nmerid di S ottenute con il modello teorico, che per
semplicità vengono mostrate solo per lo spicchio adiacente alla diagonale
(fig.94), presentano lo stesso andamento di quelle del modello ad
elementi finiti, con valori di circa il 10% superiori. Le componenti Tmerid,
invece, per entrambi i modelli risultano ovunque molto modeste, anche
se, nel modello teorico, si evidenzia un incremento di tali valori nel tratto
in prossimità dell’imposta.
287
CAPITOLO 4
700
600
500
400
S [kg]
300 S (modello
teorico)
200
100 S (modello ad
elementi f initi)
0
0 1 2 3 4
x [m ]
Fig. 90. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti
lungo lo spicchio 1.
700
600
500
400
S [kg]
300 S (modello
teorico)
200
100 S (modello ad
elementi f initi)
0
0 1 2 3 4
x [m ]
Fig. 91. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti
lungo lo spicchio 2.
288
LE VOLTE A PADIGLIONE
700
600
500
400
100 S (modello ad
elementi finiti)
0
0 1 2 3 4
x [m ]
700
600
500
400
S [kg]
300 S (modello
teorico)
200
100 S (modello ad
elementi f initi)
0
0 1 2 3 4
x [m ]
Fig. 93. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti
lungo lo spicchio 4.
289
CAPITOLO 4
600
500
400
300
200
[kg]
100
0 Nmer (teoria)
0 1 2 3 4
-100 Tmer (teoria)
merid merid
Fig. 94. Confronto fra le componenti N e T di S ottenute dal modello
teorico e quelle ricavate dal modello ad elementi finiti lungo lo spicchio 4.
290
LE VOLTE A PADIGLIONE
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m] 0,15 eccentricità (da
0,1 analisi ad
elementi finiti)
0,05
eccentricità
0
(soluzione
-0,05 0 1 2 3 4 ottimizzata 1)
-0,1 eccentriità
-0,15 (soluzione
ottimizzata 2)
x [m]
Fig. 95. Confronto fra i valori delle eccentricità lungo lo spicchio 4 ottenuti dalle
analisi ad elementi finiti e dal modello teorico (soluzione ottimizzata n.1 e
soluzione ottimizzata n. 2).
0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]
0,15
eccentricità (da
0,1
analisi ad
0,05 elementi f initi)
0 eccentricità
-0,05 0 1 2 3 4 (soluzione
ottimizzata 1)
-0,1
eccentriità
-0,15 (soluzione
x [m ] ottimizzata 2)
Fig. 96. Confronto fra i valori delle eccentricità lungo lo spicchio 3 ottenuti dalle
analisi ad elementi finiti e dal modello teorico (soluzione ottimizzata n. 1 e
soluzione ottimizzata n. 2).
291
CAPITOLO 4
y
300
250
200
[kg/m]
150
100
spinta (da analisi
ad elementi finiti)
50
spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Fig. 97. Confronto fra la spinta alle reni ottenuta con il modello teorico e con le
analisi ad elementi finiti.
292
LE VOLTE A PADIGLIONE
Infine anche l’estensione delle lesioni lungo le diagonali sono colte con
grande precisione dal modello teorico presentato.
293
CAPITOLO 4
archi naturali di
scarico
a) b)
Fig. 98. Confronto tra la spinta orizzontale esercitata dalla volta a padiglione sulle
murature perimetrali ricavata dallo schema ad archi affiancati non interagenti (a) e
quella reale, ottenuta attraverso le analisi ad elementi finiti e la teoria basata
sull’analisi limite (b).
294
LE VOLTE A PADIGLIONE
ϑ=30°
ϑ=65°
x
Fig. 99. Possibile meccanismo che si può generare negli spicchi costituenti la
volta in seguito alla formazione delle cerniere.
Tjmerid ≤ T0 + Nmerid
j µ (36)
295
CAPITOLO 4
296
LE VOLTE A PADIGLIONE
0,25
0,2
e [m]
0,15
0,1
0,05
0
0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1
µ
Fig. 100. Eccentricità della superficie funicolare del carico ottenuta con la teoria
basata sull’analisi limite presentata al variare del coefficiente di attrito assunto per
la muratura.
297
CAPITOLO 4
298
LE VOLTE A PADIGLIONE
700
600
500
S ottimizzato (f=2m)
400
S [kg]
S ottimizzato (f=1,5m)
300
S ottimizzato (f=1,2m)
200
S prima della
100 fessurazione (f=2m)
S prima della
0 fessurazione (f=1,5m)
0 1 2 3 4 S prima della
x [m ] fessurazione (f=1,2m)
Fig. 101. Confronto fra la risultante S degli sforzi meridiani sullo spicchio 1 prima
della fessurazione e dopo l’ottimizzazione per volte a padiglione con rapporto
freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5.
700
600
500
S ottimizzato (f=2m)
400
S [kg]
S ottimizzato (f=1,5m)
300
S ottimizzato (f=1,2m)
200
S prima della
100 fessurazione (f=2m)
S prima della
0 fessurazione (f=1,5m)
0 1 2 3 4 S prima della
x [m ] fessurazione (f=1,2m)
Fig. 102. Confronto fra la risultante S degli sforzi meridiani sullo spicchio 4 prima
della fessurazione e dopo l’ottimizzazione per volte a padiglione con rapporto
freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5.
299
CAPITOLO 4
Hp lungo la diagonale
500
400
300
200
[kg]
100 f=2m
f=1,5m
0
0 1 2 3 4 5 f=1,2m
-100
-200
x' [m ]
600
500
400
[kg/m]
300
0 spinta (f=1,2m)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Fig. 104. Confronto fra la spinta all’imposta dir volte a padiglione con rapporto
freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5.
300
LE VOLTE A PADIGLIONE
Fig. 105. Andamento qualitativo degli archi naturali di scarico per le tre volte
considerate.
301
CAPITOLO 4
302
LE VOLTE A PADIGLIONE
303
CAPITOLO 4
dϑ ∂n dϑ
− n ϑ ⋅ sen dx − n ϑ + ϑ r∂ϑ ⋅ sen dx − g cos ϑ ⋅ rdϑdx = 0 (37)
2 r∂ϑ 2
n ϑ = −g ⋅ r cos ϑ (38)
dove g = γ m ⋅ s .
304
LE VOLTE A PADIGLIONE
dϑ ∂n dϑ
− nϑ ⋅ cos dx + nϑ + ϑ r∂ϑ ⋅ cos dx − n xϑ ⋅ rdϑ +
2 r∂ϑ 2
(39)
∂n
+ n xϑ + xϑ dx ⋅ rdϑ + g ⋅ senϑ ⋅ rdϑdx = 0
∂x
dϑ
Semplificando e assumendo cos ≈ 1 , si ha:
2
∂ n ϑ ∂ n ϑx
+ + g ⋅ sen ϑ = 0 (40)
r∂ϑ ∂x
∂n ∂n
− n x ⋅ rdϑ + n x + x ∂x ⋅ rdϑ − n xϑ dx + n xϑ + xϑ rdϑ ⋅ dx = 0 (41)
∂x r∂ϑ
Da cui:
∂n x ∂n xϑ
+ =0 (42)
∂x r∂ ϑ
1 ∂(r cos ϑ)
n xϑ = g ⋅ ⋅ − senϑ ⋅ x + c 1 (43)
r ∂ϑ
∂n xϑ
n x = −∫ dx + c 2 (44)
r∂ϑ
305
CAPITOLO 4
ds
n
ω
nX rdϑ
q nXϑ
nϑX
nϑ
dx
Fig. 107. Elemento triangolare a ridosso della diagonale di una generica volta a
padiglione, con evidenziate le azioni interne.
306
LE VOLTE A PADIGLIONE
g 2
nx = ⋅ x ⋅ cos ϑ + c 2 (ϑ) (47)
r
dove:
rdϑ
ds =
cos ω
dx = rdϑ ⋅ tgω
1
n⊥ = g ⋅ (− ⋅ x2 ⋅ cos ϑ ⋅ cos2 ω + r ⋅ cos ϑ ⋅ sen2ω +
r (49)
− 2x ⋅ senϑ ⋅ cos ω ⋅ senω − 2x ⋅ senϑ ⋅ senω ⋅ cos ω) − c 2 ⋅ cos2 ω
dϑ
n ⊥ ⋅ cos ϕ ⋅ ds = 2 ⋅ N ⋅ sen (50)
2
307
CAPITOLO 4
uguagliando:
Fig. 108. Sforzi sulla diagonale generati dalla componente di n ⊥ ortogonale alla
diagonale stessa, nel piano verticale.
308
LE VOLTE A PADIGLIONE
Inoltre:
dx ⋅ 2 dx
= (54)
cos ϑ senω
da cui:
A
rdϑ
ω
A' 45° ϑ
D' C
ϕ
90°
D
ϑ 45°
dx
Fig. 109. Elemento triangolare a ridosso della diagonale con indicati gli angoli ω,
ϕ, ϑ e ϑ .
309
CAPITOLO 4
D' D 2 + DC 2 − D' C 2
cos ϕ = (56)
2 ⋅ D' D ⋅ DC
dove:
dϑ
D' D = D' B ⋅ senϑ = r ⋅ cos ϑ ⋅ senϑ ⋅ (57)
2
BC dϑ
D' C = = r ⋅ cos ϑ ⋅ (59)
2 2
da cui:
sen 2 ϑ 1
+ cos 2 ω −
cos ϕ = 2 2 (60)
senϑ
2⋅ ⋅ cos ω
2
DB BC ⋅ senω BC
D' B = = = (61)
cos ϑ 2 ⋅ senω 2
n ⊥ ⋅ cos ϕ ⋅ rd = N (62)
310
LE VOLTE A PADIGLIONE
N
= g ⋅ ( −r ⋅ sen 2 ϑ ⋅ cos ϑ ⋅ cos 2 ω + r ⋅ cos ϑ ⋅ sen 2 ω +
cos ϕ ⋅ rd (63)
− 4r ⋅ senϑ ⋅ senϑ ⋅ senω ⋅ cos ω) − c 2 ⋅ cos ω 2
da cui:
ds = rd dϑ (66)
uguagliando:
r dϑ
rd = ⋅ (67)
cos ω dϑ
cos ϑ
ϑ = cos −1 (tan ω) = cos −1 tan sen −1 (68)
2
cos ϑ
dcos −1 tan sen −1
2
dϑ
= (69)
dϑ dϑ
311
CAPITOLO 4
r senϑ 1
rd = ⋅ ⋅ ⋅
cos ω
( )
2
2 cos ϑ
1 − tan sen −1
2
(70)
1 1
⋅ ⋅
cos ϑ cos ϑ
2
cos 2 sen −1
1−
2 2
mentre N vale:
Nv
N= (71)
sen ϑ
ϑf
Poiché:
ϑf
P = g ⋅ ∫ r ⋅ (ϑ f − ϑ) ⋅ r ⋅ cos ϑ ⋅ dϑ =
0 (73)
= g ⋅ r ⋅ ϑ f ⋅ senϑ − cos ϑ − ϑ ⋅ senϑ 0 = g ⋅ r ⋅ (1 − cos ϑ f )
2 ϑf 2
si ha:
(
Nv = g ⋅ r 2 ⋅ cos ϑ ⋅ sen2ϑ − (1 − cos ϑ) ) (74)
312
LE VOLTE A PADIGLIONE
nx =
g
r
( )
⋅ cos ϑ ⋅ x 2 − r 2 ⋅ sen 2 ϑ + gr ⋅ cos 3 ϑ +
(75)
n⊥
− 4rg ⋅ sen 2 ϑ ⋅ cos ϑ −
cos 2 ω
dove:
n⊥ =
(
2gr ⋅ 2 cos ϑ − cos 3 ϑ − 1 ) (76)
1 − cos ϑ
4
313
CAPITOLO 4
Fig. 110. Andamento degli sforzi nϑ, nx in una generica volta a padiglione su base
quadrata.
n⊥
Fessure
Fig. 111. Andamento degli sforzi n ⊥ lungo la diagonale di una generica volta a
padiglione su base quadrata.
314
LE VOLTE A PADIGLIONE
Vz = Nx ⋅ tgα (77)
dove α è l’angolo che la tangente alla curva forma con il piano orizzontale.
Estraendo dalla struttura i meridiani de e fg e il parallelo ef, il
comportamento statico della volta a padiglione può essere schematizzato
come in figura 114, dove de e fg sono gli archi collegati dal puntone ef, Rx
e Rz sono le reazioni orizzontali e verticali dei vincoli posti agli estremi
degli archi sulla linea d’imposta della volta e p è il peso proprio della
struttura.
315
CAPITOLO 4
Fuso 3
Fuso 1 Fuso 2
b
a c
e f
d g
Fuso 4
Nx
Fm Vz
α
e
x
imposta
z
d
316
LE VOLTE A PADIGLIONE
e f
x
d g
p p z
e f
Rx Rx
d g
Rz Rz
p Nx Nx Nx Nx p
e f
Rx Rx
d g
x
Rz Rz
Fig. 115. Modello schematico di due archi e del corrispondente puntone con
evidenziate le azioni interne.
317
CAPITOLO 4
Nx
Vz==?
R* ?
Fm
Nx
318
LE VOLTE A PADIGLIONE
Vz
Nx = (79)
tgα
P ⋅ (l − x G )
Vz = (80)
ze
− (l − x e )
tgα
319
CAPITOLO 4
l - Xe Xe
Fm
VR*z
P
α Nx
e
G Ze
z
d
x
l - XG XG
l
320
LE VOLTE A PADIGLIONE
70
60
50 x
40
Nx [kg]
30
Nx
20
10
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
Fig. 119. Grafico delle forze Nx calcolate attraverso lo schema ad archi per volte
con rapporto freccia/luce pari a 1/5.
45
40
35
x
30
Vz [kg]
25
20
15 Vz
10
5
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
Fig. 120. Grafico delle forze Vz calcolate attraverso lo schema ad archi per volte
con rapporto freccia/luce pari a 1/5.
321
CAPITOLO 4
322
LE VOLTE A PADIGLIONE
1,2
S o ttimizzato (f=3m)
1
S o ttimizzato (f=2m)
[kg/cmq]
S o ttimizzato (f=1,2m)
0,6
S prima della
fessurazio ne (f=3m)
0,4
S prima della
fessurazio ne (f=2m)
0,2 S prima della
fessurazio ne (f=1,5m)
S prima della
0 fessurazio ne (f=1,2m)
0 1 2 3 4
x [m ]
Fig. 121. Grafico, per diversi rapporti freccia/luce, del confronto fra gli
sforzi meridiani calcolati al centro del fuso con la teoria basata sull’analisi
limite e con quella membranale.
323
CAPITOLO 4
324
LE VOLTE A PADIGLIONE
500
400
[kg/m]
200
spinta da teoria
membranale (f=3m)
100
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Fig. 122. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla teoria basata
sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/2).
325
CAPITOLO 4
500
400
[kg/m]
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Spinta orizzontaleall'imposta
per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/4
y
600
500
400
[kg/m]
200
spinta da teoria
100 membranale (f=1,5m)
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Fig. 124. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla teoria basata
sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/4).
326
LE VOLTE A PADIGLIONE
Spinta orizzontaleall'imposta
per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/5
y
600
500
400
[kg/m]
300 spinta da analisi limite
(f=1,2m)
200
spinta da teoria
membranale (f=1,2m)
100
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
500
400
[kg/m]
300
spinta da analisi limite
(f=3m)
200
100
spinta da teoria
membranale valutata
0 nel a 52° (f=3m)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Fig. 126. Confronto fra la spinta orizzontale ottenuta dalla teoria basata
sull’analisi limite e la spinta valutata ad un angolo ϑ pari a 52° applicando
teoria membranale (f/l=1/2).
327
CAPITOLO 4
328
LE VOLTE A PADIGLIONE
700
600
x
500
Spinta da
[kg/m] 400
modello
ad archi
300
Spinta da
200 analisi
limite
100
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
Fig. 127. Confronto fra la spinta orizzontale ottenuta dalla teoria basata sull’analisi
limite e la spinta ottenuta con lo schema ad archi affiancati, per una volta con
rapporto freccia/luce pari a 1/5.
329
CAPITOLO 4
4.12. Conclusioni
330
LE VOLTE A PADIGLIONE
331
CAPITOLO 4
332
LE VOLTE A PADIGLIONE
4.13. Bibliografia
333
CAPITOLO 4
334
LE VOLTE A PADIGLIONE
NOTE:
1
D’Ayala D., Casapulla C., 2001.
2
Lugli G., 1957, 688.
3
Scurati Manzoni P., 1991, 429, 432.
4
Ivi, 432.
5
Alberti L. B., 1989, 240.
6
Palladio A., 1980, 73.
335
CAPITOLO 4
7
Ibidem.
8
Scamozzi V., 1982, 321.
9
Ivi, 309.
10
Ivi, 321.
11
Ivi, 320.
12
Valadier G., 1992, 11.
13
Ivi, 278-279.
14
Il termine “svelte”, più volte ripetuto dall’autore, è un termine dialettale che
significa alte.
15
Guarini G., 1968, 284.
16
Ibidem.
17
Milizia F., 1972, 519.
18
Castigliano A., 1882, 39.
19
Levi C., 1932, 300.
20
Curioni G, 1970, 376, 377.
21
Breymann G. A., 1885, 43, 44, 45.
22
L’aggraziatura, come già specificato nel capitolo 2 della prima parte di
questo lavoro, è costituita da uno strato di terra fine o sabbia, posto sulla
superficie lignea in modo da eliminare le irregolarità tra i giunti delle assi.
8
G. Astrua, 1996, 147, 148.
23
Protti E., 1935, 83-84.
24
Protti E., 1935, 98 e Breymann G. A., 1995, 88.
25
lo studio citato costituisce la tesi di laurea dell’autrice del presente lavoro, in
seguito pubblicata come Tecnical report presso l’Università degli Studi di Brescia
nel 2002.
26
Cigni G., 1978.; Defez A. 1991; Giuffrè A., 1996; Cangi, 2004 e molti altri.
27
Cigni G., 1978, 223.-225.
28
Cangi G., 2005.
29
Parte dei risultati di questo lavoro saranno presentati al Convegno
Internazionale SACH, che si terrà a Bath nel 2008 (Tomasoni E., D’Ayala D.,
2008).
30
Hendry, 1986.
31
Scamozzi V., 1982, 321.
32
Palladio A., 1980, 73.
33
Guarini G., 1968, 284.
34
Alcuni testi, fra cui Flugge W., 1973, determinano la costante c2 attraverso
l’equilibrio in direzione tangente alla diagonale. Nel presente lavoro tale costante è
valutata, invece, attraverso l’equilibrio in direzione normale alla diagonale, infatti
questo metodo risulta più semplice e immediato.
336
5. LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
5.1. Introduzione
337
CAPITOLO 5
338
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Uno degli aspetti legati alla costruzione delle volte del quale si
occuparono, seppur in maniera marginale, già gli architetti del passato
riguarda la realizzazione di un adeguato riempimento, in grado di
garantire, da un lato, la stabilità flessionale della volta e, dall’altro, il minor
aggravio possibile sulle strutture di sostegno.
Sebbene i termini rinfianco e riempimento vengano spesso confusi,
essi costituiscono due parti ben distinte della volta: mentre il rinfianco è
realizzato in muratura, è generalmente costruito contemporaneamente
alla struttura voltata e, dal punto di vista strutturale, essendo collocato alle
reni, si può considerare ancora parte dei piedritti, il riempimento è
costituito da materiale incoerente, spesso di risulta, ed è posizionato al di
sopra dell’arco (fig. 1).
Il materiale con cui è realizzato il riempimento è quasi sempre un
conglomerato di qualità più scadente rispetto a quello dell’arco, ma
nonostante questo la sua presenza garantisce l’assorbimento di
sollecitazioni alle quali l’arco da solo non sarebbe in grado di resistere.
Riempimento
Rinfianco
30°
339
CAPITOLO 5
340
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
341
CAPITOLO 5
Fig. 4. Sezione trasversale della volta lunettata del refettorio del complesso di San
Faustino a Brescia. All’estradosso si possono notare delle controvolte di
alleggerimento. (Mezzanotte G. 1997, 84)
342
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
volte sono quelli, che si trovano fra i piedi e la groppa, o schiena, e perché
quanto più è aggravata la volta, tanto maggiormente i fianchi spingono
fuori le spalle delle mura: e perciò vogliono esser da ambe le parti molto
gagliarde, forti e sicure: per il che è da avvertire che da’ piedi fino a’
fianchi le volte si possono fare di buona grossezza, e unirla bene con le
muraglie; ma d’indi in su verso la schiena della volta bisogna andare
molto riservati, e farle assai leggiere, e di buonissima materia: essendo
che quanto più peso hà la schiena della volta; tanto maggior fatica ella
accresce a’ fianchi, i quali con molta forza, e violenza spingono verso le
spalle”10.
Il suggerimento si rivela ancora più interessante se si considera che
è cronologicamente vicino alla pubblicazione degli studi dei matematici
francesi della seconda metà del Seicento, i quali non tarderanno molto a
definire il meccanismo di rottura e il ruolo dell’attrito nella statica di archi e
volte. Infatti, mentre fino al XVI secolo le indicazioni dei trattatisti e la
produzione letteraria erano prevalentemente orientate verso la pratica
costruttiva, a partire dalla prima metà del XVII secolo iniziano a
comparire le prime teorie statiche e si comincia a comprendere la
necessità strutturale di riempire le volte, dai piedritti fino alle reni, con
muratura in grado di rinfiancare e opporre resistenza alla spinta.
Per dare maggiore sicurezza alla volta, generalmente si eseguiva un
rinforzo nella zona delle reni, che consisteva in un raddoppio dello
spessore ben connesso alla volta dell’intradosso e spesso, per ridurre la
massa agente sulla volta, tale rinforzo, eseguito successivamente
all’esecuzione della volta inferiore, poteva proseguire per l’intero
estradosso presentando una o più riseghe (fig.5).
Era inoltre diffuso l’uso di un espediente strutturale, adottato per
esempio nelle volte cinquecentesche del piano terreno del Conservatorio
di Santa Caterina della Rosa (Roma), in cui, in corrispondenza di una
tramezzatura che grava sulla volta, era stato posto un arcone in mattoni,
parzialmente inglobato nello spessore della volta stessa, con funzione di
rinforzo e di ridistribuzione del carico accidentale ai muri del piedritto11
oppure la soluzione, rinvenibile in una volta a ombrello posta a copertura
343
CAPITOLO 5
Fig. 5. Volta a botte estradossata in cui sono chiaramente visibili i ringrossi del
rinfianco. (De Cesaris, 1996, .89)
Fig. 6. Particolare dei costoloni di rinforzo della volta a padiglione posta al piano
terreno del complesso di San Faustino a Brescia.
344
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
345
CAPITOLO 5
346
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
347
CAPITOLO 5
348
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
349
CAPITOLO 5
350
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 10. Andamento della linea delle pressioni ad una generica iterazione (sopra) e
reale linea delle pressioni (sotto) per un arco soggetto a carico accidentale
eccentrico. (Clemente P., Occhiuzzi A., Raithel A. 1995)
.
351
CAPITOLO 5
Fig. 11. Spessore minimo in funzione di h (altezza del riempimento) per un arco di
forma circolare e per un arco di forma parabolica. (Clemente P., Occhiuzzi A.,
Raithel A. 1995)
352
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
353
CAPITOLO 5
Fig. 13. Distribuzione del coefficiente di spinta passiva per diversi valori del
cedimento verticale per un arco soggetto a carico concentrato eccentrico. (Ng K.-
H., Fairfield C. A., 2003)
354
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 14. Schema del modello fisico impiegato per lo studio sperimentale del
contributo offerto dal materiale di riempimento. (Gelfi P., Capretti A., 2001)
355
CAPITOLO 5
356
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 16. Andamento della linea delle pressioni e delle tensioni di compressione
senza e con il contributo della spinta passiva. (Gelfi P., Capretti A., 2001)
357
CAPITOLO 5
358
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
sin 60° ⋅ c − f
R= (1)
2 ⋅ sin 60° − 1
(R − f )
r=c− (2)
tan 60°
359
CAPITOLO 5
R = 1,68 m
r = 0,31 m.
Essendo la volta in scala 1:2, anche gli spessori sono stati ridotti
nella stessa scala. In particolare il tratto centrale di raggio pari a 1,68 m è
stato realizzato con uno spessore di circa 6 cm, utilizzando perciò dei
mezzi mattoni, mentre lo spessore della porzione di volta con raggio pari
a 0,31 m è di 12 cm ed è costituito da mattoni interi. Il cambio di spessore
si ritrova in quasi tutte le coperture voltate: gli antichi costruttori, infatti,
prestavano molta cura alla realizzazione del punto d’innesto tra l’arco e
l’imposta e spesso, oltre ad ammorsare i mattoni nella muratura laterale
per dare maggiore sicurezza alla volta, nella zona delle reni veniva
raddoppiato lo spessore creando in tal modo il cosiddetto rinfianco.
Fig. 17. Disegno originale del Valadier riproducente una volta ribassata e
policentrica. (Valadier, 1992, vol IV)
360
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
361
CAPITOLO 5
Fig. 19. Particolare della rete metallica con la quale è stato armato il frenello. (I.
Feigl, 1999)
362
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 21. Particolare della piastra di ancoraggio della catena estradossale posta
nella soletta.
363
CAPITOLO 5
364
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
sabbia grossa, 2 parti di calce idraulica, 1.5 parti di calce idrata e 2.6 parti
di acqua.
Le caratteristiche dei materiali impiegati sono riassunte in tabella:
Per eseguire delle prove su modelli in scala, occorre tener conto del
fatto che, mentre i carichi applicati sotto forma di forze di superficie sono
indipendenti dalle dimensioni del prototipo, le azioni di massa dipendono
dal fattore di scala. Per un modello in scala 1:2, affinché questo sia
soggetto alle stesse azioni interne di quello in scala reale, è necessario
che il suo peso specifico γ sia doppio di quello reale.
Nel modello in esame, realizzato in scala 1:2, sono stati perciò
applicati dei carichi aggiuntivi in grado di simulare un peso proprio doppio
365
CAPITOLO 5
rispetto a quella reale, in modo tale che il modello fosse sottoposto alla
stesse sollecitazioni di una volta con luce di 4 metri.
Frequentemente, inoltre, le volte a botte si trovano al piano inferiore
dei palazzi e i piedritti risultano soggetti, oltre che alla spinta orizzontale
della volta stessa, alle azioni verticali trasmesse dai piani superiori. Per
riprodurre le condizioni al contorno di un contesto reale, ipotizzando la
presenza di due piani al di sopra della volta, i piedritti sono stati
precompressi mediante quattro barre filettate Φ 10, bullonate
superiormente a due traverse in acciaio (UPN 120) posizionate sui muretti
laterali e saldate inferiormente a piastre vincolate ai piedritti con spinotti.
La forza F, applicata per simulare l’effetto dei due piani superiori, è
pari a:
dove il peso specifico della muratura γ muratura è stato assunto pari a 1850
3
kg/m , l’area A della sezione del muretto superiore è 22 cm x 45 cm e
l’ipotetica altezza di due piani sovrastanti hp vale 6m.
Tale forza è stata applicata con tesatura manuale dei tiranti disposti
sul muro e utilizzando uno strumento Withmore39 per la lettura della
deformazione e quindi della forza trasmessa. Tale carico è stato
applicato all’inizio della prova ed è stato lasciato sulla struttura per tutta la
durata della prova.
366
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Con riferimento alla figura 23, i carichi applicati nei quattro punti A, B,
C e D, aventi un’area di competenza di circa 50 cm, valgono:
P = (p / 2) · l = 239,9 kg (7)
367
CAPITOLO 5
F1 = (P / 4) + (R / 2) ≈ 70,4 kg (10)
F2 = P / 4 ≈ 60 kg (11)
F3 = (P / 4) + (Q / 2) ≈ 139 kg (12)
q=157,5 kg/m
p=239,9 kg/m
∆p=92,5 kg/m
f = 0,5m
l = 2m
368
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
F1 F2 F3 F4
A B C D
22 22
36.5
UPN 100 50
UPN 100 50
UPN 100 50
UPN 100 36.5
UPN 260
10
369
CAPITOLO 5
3.4.5. Strumentazione
370
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 25. Banco di prova con il sistema di carico e il supporto per la strumentazione.
Fig. 26. Schema del supporto realizzato per il posizionamento dei trasduttori.
371
CAPITOLO 5
372
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
373
CAPITOLO 5
Nei primi tre cicli, come è già stato detto, le prove sono state
condotte sul modello dotato di catena estradossale. Di seguito vengono
riportati i grafici relativi a questi primi tre cicli di carico.
Nel primo ciclo di carico, si è registrato uno spostamento massimo in
chiave di 1mm all’intradosso e 0,8 mm all’estradosso. La differenza fra i 2
valori è da imputare al fatto che il sistema di supporto degli strumenti
collocato all’estradosso risulta solidale con la struttura e perciò i valori
registrati rappresentano le frecce relative, mentre all’intradosso vengono
letti valori assoluti, indipendenti dai movimenti delle imposte. La stessa
differenza viene riscontrata per tutti i cicli di carico.
Di seguito vengono riportati i grafici relativi al diagramma carico-
spostamento dei primi tre cicli di carico. Il carico riportato in ordinata è la
media dei carichi applicati attraverso le quattro barre, quindi il carico
complessivo applicato si ottiene moltiplicando tale valore per quattro.
In questi tre cicli si può osservare che, nonostante l’entità dei carichi
applicati, i diagrammi hanno un andamento praticamente lineare.
374
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
700
600
500
carico (kg)
400 1 3 1' 2'
3' 2 strum.1
300
strum.2
200 strum.3
100 strum.1'
strum.2'
0
strum.3'
0 1 2 3 4
spostamento (mm)
800
700
600 1 3 1' 3' 2' 2
500
carico (kg)
400
strum.1
300 strum.2
200 strum.3
100 strum.1'
strum.2'
0
strum.3'
0 1 2 3 4
spostamento (mm)
375
CAPITOLO 5
strum.1
400 strum.2
300 strum.3
strum.1'
200
strum.2'
100 strum.3'
0
-0,5 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4
spostamento (mm)
400
strum.2
300
strum.2'
200
100
0
-100 0 1 2 3 4
spostamento (mm)
Fig. 32. Grafico carico-spostamento, misurato in chiave all’estradosso e
all’intradosso, dei primi tre cicli. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi
applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
376
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
4' 5'
0 2
4 1 3 5
-0,5 0 50 100 150 200
-1
spostamento (mm)
-1,5
-2
-2,5
-3 I ciclo (1200 kg)
II ciclo (2080 kg)
-3,5
III ciclo (2980 kg)
-4
Lunghezza della soletta (cm)
Fig. 33. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso.
377
CAPITOLO 5
4' 5'
0,5 2
4 1 3 5
0
-0,5 0 50 100 150 200
spostamento (mm)
-1
-1,5
-2
-2,5
-3 I ciclo (1200 kg)
II ciclo (2080 kg)
-3,5
III ciclo (2980 kg)
-4
Lunghezza della soletta (cm)
Fig. 33. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’intradosso.
378
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 34. Microfessure generatesi nel frenello dopo il primo ciclo con carico
massimo pari a 1200 kg.
Fig. 35. Quadro fessurativo in chiave e sulla campata destra dopo il secondo ciclo
di carico (carico massimo pari a 2080 kg).
379
CAPITOLO 5
1,00 mm 0,90 mm
0,20 mm 0,14 mm
0,00 mm
0,03 mm
380
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
1,90 mm
1,80 mm
381
CAPITOLO 5
carico. Per ogni catena, infatti, per un incremento di carico di circa 70 kg,
si è rilevato un aumento di tiro superiore ai 500 kg.
Anche la deformata della soletta mostra un comportamento anomalo,
imputabile al taglio della catena. Bisogna sottolineare che la deformata
della soletta rappresentata nel grafico in figura 42 è stata ottenuta
azzerando gli strumenti prima dell’inizio della prova. Per ottenere la
deformata totale è necessario prendere in considerazione le deformazioni
residue dei cicli precedenti, pari a circa 0,5 mm.
Quarto ciclo
Carico massimo 3500 kg
1000
1' 2' 3'
900
4' 5'
2 800
4 1 3 5
700
carico (kg)
600
500 strum.2
400 strum.1'
300 strum.2'
strum.3'
200
100
0
-2 -1 0 1
spostamento (mm)
382
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Spostamenti piedritti
Quarto ciclo
(carico massimo 3500 kg) 1' 2' 3'
carico (kg)
600
500
400 strum.4
300 strum.4'
200
strum.5
100
strum.5'
0
-8 -6 -4 -2 0 2 4
spostamento (mm)
Fig. 40. Grafico degli spostamenti orizzontali registrati sui piedritti. Il carico
riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò
risulta pari ad un quarto del valore totale.
1000
900
800
700
carico (kg)
600
500
400
300
200
100 catena anteriore
0 catena posteriore
0 250 500 750 1000 1250
tiro (kg)
Fig. 41. Tiro nelle catene durante il quarto ciclo con carico massimo di 3500 kg. Il
carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti,
perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
383
CAPITOLO 5
0,6
0,4
spostamento (mm)
0,2
0
-0,2 0 50 100 150 200
1440 kg
-0,4 2360 kg
2460 kg
-0,6 2960 kg
-0,8 3500 kg
posizione lungo la soletta (cm)
Fig. 42. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso. Il
carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti,
perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
384
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
800
carico (kg)
600
400
Fig. 43. Grafico carico-spostamento di tutti i cicli di carico eseguiti sul modello
privo di catena estradossale (dal quinto all’ottavo ciclo, carico massimo pari a
4500 kg). Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro
strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del totale.
385
CAPITOLO 5
1000
800
carico (kg)
600
400
strum.4
200 strum.4'
strum.5
0 strum.5'
-1 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5
-200
0
spostamento (mm)
Fig. 44. Grafico degli spostamenti orizzontali registrati sui piedritti. Il carico
riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò
risulta pari ad un quarto del valore totale.
1200
1000
800
carico (kg)
600
400
catena anteriore
200
catena posteriore
0
0 500 1000 1500
tiro (kg)
Fig. 45. Tiro nelle catene durante gli ultimi quattro cicli eseguiti sul modello privo di
catena estradossale. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati
dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.
386
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti
all'estradosso dal quinto al'ottavo ciclo
(Carico massimo 4500 kg)
0
0 50 100 150 200
-0,5
-1
spostamento (mm)
-1,5
-3,5
posizione lungo la soletta (cm)
Fig. 46. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso
durante gli ultimi quattro cicli.
0
spostamento (mm)
-5
posizione lungo la soletta (cm)
Fig. 47. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’intradosso
durante gli ultimi quattro cicli.
387
CAPITOLO 5
0,13 mm 0,14 mm
1,30 mm 0,80 mm
0,10 mm 0,02 mm
Fig. 48. Quadro fessurativo dopo il quinto ciclo di carico (carico massimo pari a
2100 kg).
0,14 mm 0,16 mm
1,60 mm
0,12 mm 1,00 mm
0,18 mm 0,04 mm
Fig. 49. Quadro fessurativo dopo il sesto ciclo di carico (carico massimo pari a
3500 kg).
388
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
0,18 mm 0,20 mm
2,41 mm
0,16 mm 1,70 mm
Fig. 50. Quadro fessurativo dopo il settimo ciclo di carico (carico massimo pari a
4000 kg).
0,18 mm 0,35 mm
3,10 mm
0,02 mm 2,20 mm
Fig. 51. Quadro fessurativo dopo l’ottavo ciclo di carico (carico massimo pari a
4500 kg).
389
CAPITOLO 5
Dopo gli 8 cicli di carico, vista l’entità delle fessure sui piedritti, sono
stati tolti gli strumenti all’intradosso e si è proseguito ad incrementare il
carico sulla campata di destra al fine di individuare il meccanismo di
collasso della struttura. I risultati sperimentali hanno mostrato che, al
raggiungimento di un carico pari a 6900 kg, la fessura in corrispondenza
della chiave (nel secondo giunto verso destra), si è estesa anche al
frenello, causando una perdita di carico (fig. 52)
Con la ripresa del carico si è osservato un ulteriore incremento della
freccia e la formazione della quarta cerniera, con il raggiungimento del
collasso della struttura, come indicato nelle figure 53 e 54.
Il carico massimo raggiunto è stato 9500 kg.
390
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 53. Deformata dell’arco a collasso (carico massimo pari a 9500 kg).
Fig. 54. Particolari delle quattro fessure nell’arco giunto a collasso (carico
massimo pari a 9500 kg).
391
CAPITOLO 5
392
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
800
700
600
500
carico (kg)
400
300 strum.2'
200
100
0
0 1 2 3 4
-100
spostamento (mm)
800
carico (kg)
600
400
200
strum. 2
0
0 1 2 3 4 5
-200
spostamento (mm)
Fig. 55. Grafico carico-spostamento misurato in chiave all’estradosso per gli ultimi
quattro cicli. Il grafico non mostra cambi di rigidezza tra i vari cicli di carico.
393
CAPITOLO 5
P P
Fig. 56. Arco caricato con forze concentrate e schema dell’ effetto del frenello.
394
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
p
p
q
395
CAPITOLO 5
396
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
2500
2000
carico (kg)
1500
1° ciclo
1000
2° ciclo
3° ciclo
500
4° ciclo
0
0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0
spostamento (mm)
0
0 50 100 150 200
spostamento (mm)
-0,5
-1
-1,5
IV ciclo (2600 kg)
-2
-2,5
posizione lungo la soletta (cm)
Fig. 59. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso.
397
CAPITOLO 5
Fig. 60. Evoluzione della deformazione della parete sinistra durante il quarto ciclo.
La posizione dei comparatori meccanici per la misura degli spostamenti è stata
indicata con la sigla M. In rosso sono evidenziate le fessure.
398
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 61. Evoluzione della deformazione della parete destra durante il quarto ciclo.
La posizione dei comparatori meccanici per la misura degli spostamenti è stata
indicata con la sigla M. In rosso sono evidenziate le fessure.
399
CAPITOLO 5
400
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
1' 2' 3'
spostamento in chiave all'estradosso
4' 5'
2
4500 4 1 3 5
4000
3500
3000 1° ciclo
carico (kg)
2500 2° ciclo
3° ciclo
2000
4° ciclo
1500 5° ciclo
1000 6° ciclo
ciclo a rottura
500
0
0,0 1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0
spostamento (mm)
16 kN
16 kN
Fig. 63. Deformata con carico pari a 1600 kg: quarto ciclo (sopra), quinto ciclo
(sotto).
401
CAPITOLO 5
SX DX
402
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
2,0
1,0
0,0
0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220
-2,0 1100 kg
2100 kg
-3,0
3100 kg
-4,0
4080 kg
-5,0
3750 kg
-6,0 4100 kg
-7,0
Fig. 66. Evoluzione della deformata della soletta rilevata dagli strumenti posti
all’estradosso durante il settimo ciclo (carico massimo pari a 4080 kg).
38.5 kN
Fig. 67. Quadro fessurativo prima del raggiungimento del carico massimo di 4080
kg.
403
CAPITOLO 5
37.5 kN
Fig. 68. Quadro fessurativo dopo la formazione delle due lesioni in chiave, a
carico assestato di 3750 kg.
60 cm
44.86 kN
Fig. 69. Quadro fessurativo a collasso, con la formazione della quarta cerniera
plastica localizzata nella semicampata sinistra.
404
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 70. Struttura a collasso con carico massimo pari a 4490 kg.
405
CAPITOLO 5
406
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Fig. 71. Confronto tra il meccanismo di collasso dell’arco con frenello (sinistra) e
quello dell’arco con riempimento alleggerito (destra).
5.7. Conclusioni
407
CAPITOLO 5
408
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
5.8. Bibliografia
AA. VV., Arch Bridges, Atti del Fist International Conference on Arch
Bridges, UK, 3-6 September 1995, ed. T. Telford, London 1995.
AA.VV., Storia delle tecniche murarie e tutela del costruito,
esperienze e questioni di metodo, a cura di S. Della Torre, Atti del
convegno di studi, Università di Brescia Aprile 1995, Guerini Studio,
Milano 1996.
Abruzzese D., Como M., Lanni G., Some results on the strenght
evaluation of vaulted masonry structures, in Proceedings of Fourth
International conference on Structural Studies of historical Buildings,
STREMA ’95, Crete Greece, 1995, Cal Mechanics Publications,
Southampton 1995, 431-440.
Alberti L. B., L’architettura (De re aedificatoria), a cura di Giovanni
Orlandi e Paolo Portoghesi, edizioni il Polifilo, Milano 1966.
Blasi C., Foraboschi P., Analytical approach to collapse mechanisms
of circular masonry arch, in “ASCE – Journal of Structural Engineering”,
vol. 120 n. 8, 1994.
Bonavia M., Volte, in Manuale del recupero del Comune di Roma,
Edizioni DEI, Roma 1989.
Boothby T. E., Analysis of Masonry Arches and Vaults, in Progress in
Structural Engineering and Materials, ltd. John Wiley & Sons, July 2001.
Caleca L., De Vecchi A., Tecnologie di consolidamento delle strutture
murarie, Libreria Dario Flaccovio Editrice, Palermo 1987.
Cigni G., Il consolidamento murario: tecniche d'intervento, ed. Kappa,
Roma 1978.
Cavicchi A., Gambarotta L., Collapse analysis of masonry bridges
taking into account arch-fill interaction, in “Engineering structures”, vol. 27,
2005.
Cavicchi A., Gambarotta L., Lower bound limit analysis of masonry
bridges including arch-fill interaction, in “Engineering structures”, 2007.
Curioni G., L’arte di Fabbricare. Costruzioni civili, stradali, idrauliche,
Negro, Torino 1870.
409
CAPITOLO 5
410
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
411
CAPITOLO 5
NOTE:
1
Alberti L. B., 1989, 246.
2
Di Giorgio Martini F., 1967, 93.
3
Ibidem.
4
Tibaldi P., 1990, 111-112.
5
Ivi, p. 112.
6
Giustina I., 1996, 220.
7
Caleca L., 1994, 253-254.
8
Mezzanotte G., 1997.
9
Scamozzi V., 1982, 324.
10
Ibidem.
11
Bonavia M., 1989, 85.
12
Milizia F., 1972, 534-535.
13
Rondelet J. B., 1831, 96.
14
Durand J. N. L. 1986, 77.
15
Ivi, 183.
16
Curioni G., 1870, 191.
17
Gli speroni, secondo Carlo Levi, sono dei muretti larghi 30 o 40 cm,
realizzati all’estradosso della volta e diretti normalmente ai piedritti, con lunghezza
dipendente dall’ampiezza e dalla freccia della volta stessa (Levi C., 1932, 314.).
18
Levi C., 1932, 314..
19
Fiorani, Esposito, 1989.
20
Harvey W. J., 1988.
21
Blasi C., Foraboschi P., 1994.
22
Foraboschi P., 1995..
23
Giuliani E., Gubana A., Arenghi A., 1996.
24
Clemente P., Occhiuzzi A., Raithel A. 1995.
25
Fairfield C. A., Ponniah D. A., 1993.
26
Fairfield C. A., Ponniah D. A., 1994.
27
Ng K.-H., Fairfield C. A., 2003
28
Gelfi P., Capretti A., 2001.
29
Arco.exe è un programma di.di calcolo disponibile in internet all’indirizzo
http://civserv.ing.unibs.it/utenti/gelfi/arco.htm.
30
Cavicchi A., Gambarotta L., 2005 e Cavicchi A., Gambarotta L., 2007.
412
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
31
Feigl I., 1999.
32
Valadier G., 2000.
33
Una luce di 2 metri rappresenta realisticamente un modello in scala 1:2 di
una tipica volta dell’edilizia storica.
34
Feigl I., 1999.
35
Fiorani, 1996.
36
R. Felicetti e N. Gattesco, 1998.
37
Feigl I., 1999.
38
Valore misurato con prove di compressione, eseguite 2 mesi dopo il getto,
sulle 6 metà risultanti da 3 provini 4x4x16 cm sottoposti precedentemente a prove
di flessione.
39
Il Withmore è uno strumento mobile che misura la variazione della distanza
tra due punti contrassegnati con delle borchiette. Conoscendo il modulo elastico
del materiale è possibile risalire alla trazione applicata alle barre attraverso la
formula:
∆l
σ = E⋅
d
dove E è il modulo elastico dell’acciaio, ∆l è la variazione di lunghezza
registrata dallo strumento e d è la distanza fra le due placchette collocate sulla
barra (d è solitamente pari a 30 cm).
40
Gli strain-gages utilizzati hanno una precisione di 1 micron / 1 metro.
41
I carichi sono stati applicati manualmente avvitando i bulloni posizionate
sulla traversa superiore.
42
Sarebbe stato più corretto applicare il peso proprio R del materiale di
riempimento, nel baricentro del volume da esso occupato, ma esso non è molto
differente a quello in cui è stata applicata la forza R; la coordinata x G del
baricentro risulta infatti essere pari a 25.86 cm, quindi praticamente coincidente
con il punto 1.
43
La misura degli spostamenti sia all’intradosso che all’estradosso è servita
anche come verifica per eventuali malfunzionamenti della strumentazione.
44
Sulla semicampata di sinistra sono stati posizionati dei pesi noti,
mentre su quella di destra si è raggiunto lo stesso valore operando
manualmente sulle quattro barre munite di strain-gauges.
45
Nel calcolo del carico da applicare si è tenuto conto del peso dei vari
elementi costituenti il banco di prova (traverse in acciaio e tiranti), sottraendolo dal
peso totale da aggiungere.
46
Giuriani E., Gubana A., 1995.
47
Salvadori S., 2002.
413
6. CONCLUSIONI
415
CAPITOLO 6
416
CONCLUSIONI
417
CAPITOLO 6
418
7. BIBLIOGRAFIA GENERALE
• AA. VV., Arch Bridges, Atti del Fist International Conference on Arch
Bridges, UK, 3-6 September 1995, ed. T. Telford, London 1995.
• AA.VV., Storia delle tecniche murarie e tutela del costruito,
esperienze e questioni di metodo, a cura di Della Torre S., Atti del
convegno di studi, Università di Brescia Aprile 1995, Guerini Studio,
Milano 1996.
• Abruzzese D., Como M., Lanni G., Some results on the strenght
evaluation of vaulted masonry structures, in Proceedings of Fourth
International conference on Structural Studies of historical Buildings,
STREMA ’95, Crete Greece, 1995, Cal Mechanics Publications,
Southampton 1995, 431-440.
• Alberti L. B., L’architettura (De re aedificatoria), a cura di Orlandi G. e
Portoghesi P., edizioni il Polifilo, Milano 1966.
• Amadei B., Ling C. T., Shing B., Mirabella G., Binda L., Modelling the
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(DDA) method, in 3dt International Symposyum on Computer Methods in
Structural Masonry, Lisbona 1995.
• Andreu A., Gil L. Roca P., Computational Analysis of masonry
structures with funicolar model, in “Journal of engineering mechanics”,
Vol. 133, n. 4, 2007, 473-480.
• Arenghi A., Giuriani E., Giustina I., Tomaselli S., Tomasoni E., Studio
del comportamento strutturale delle volte a padiglione in muratura,
“Technical Report” n.17, Dipartimento di Ingegneria Civile, Facoltà di
Ingegneria, Brescia 2002.
419
CAPITOLO 7
420
BIBLIOGRAFIA GENERALE
421
CAPITOLO 7
422
BIBLIOGRAFIA GENERALE
423
CAPITOLO 7
424
BIBLIOGRAFIA GENERALE
425
CAPITOLO 7
• Ponniah D. A., Fairfield C. A., Fill stresses in a new brick arch bridge
subject heavy axle-load tests, in “Proceedings of the Institution of Civil
Engineers, Structures and Buildings”, vol. 122, n. 2, 1997, 173-185.
• Portioli F., Foraboschi P. e Landolfo R., Comportamento strutturale di
volte a padiglione con e senza rinforzi in FRP, in “Costruire in laterizio”,
n.95, 2003.
• Protti E., Archi, volte, scale nella moderna edilizia, Edizioni tecniche
utilitarie, Bologna 1935.
• Rondelet J. B., Trattato teorico e pratico dell’arte di edificare, a cura
di Soresina B., Tomo II, seconda parte, Tomo III, Editrice coi tipi di L.
Caranenti, Mantova 1831.
• Salvadori S., Indagine sperimentale sull’interazione tra volta e
materiale di riempimento alleggerito, Tesi di laurea, Università degli studi
di Brescia, A.A. 2001/2002.
• Scamozzi V., L’idea dell’architettura universale (1615), Gregg,
Ridgewood 1964.
• Schueremans L., Smars P., Van Gemert D., Safety of arches. A
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• Scurati Manzoni P., L’architettura romana dalle origini a Giustiniano,
Guerini Studio, Milano 1991.
• Smars P., Etudes sur la stabilité des arcs et voûtes, PhD thesis,
Leuven Katholieke Universiteit, 2000.
• Tibaldi P., L’Architettura, a cura di G.Panizza, Il Polifilo, Milano 1990.
• Tomasoni E., D’Ayala D., Study on structural behaviour of masonry
vaults: limit state analysis with finite friction, keynote in the VI International
Conference on Structural Analysis of Historical Constructions, Bath 2008.
• Valadier G., L’architettura pratica dettata nella scuola e cattedra
dell’insigne accademia di S. Luca (1831), Editorgrafica, Roma 1992.
• Vitruvio, I dieci libri dell’architettura, a cura di Barbaro D., Edizioni Il
Polifilo, Milano 1987.
426
APPENDICI
APPENDICE A. GRAFICI DEGLI SFORZI NELLE VOLTE A
PADIGLIONE RICAVATI DALLE ANALISI NON
LINEARI
429
APPENDICE A
Per agevolare la lettura degli sforzi, ogni fuso della volta a padiglione
è stato suddiviso in paralleli e meridiani, come indicato in figura 2.
P0
P5
P 10
P 15
P 20
P 25
M0 M5 M 10 M 15 M 20 M 25
430
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
σ m lungo il parallelo 25
1,2
0,8
σ m [kg/cmq]
0,6
0,4
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
σ m lungo il parallelo 20
1,2
0,8
σ m [kg/cmq]
0,6
0,4
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
431
APPENDICE A
σ m lungo il parallelo 15
1,2
0,8
σ m [kg/cmq]
0,6
0,4
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
σ m lungo il parallelo 10
1,2
0,8
σ m [kg/cmq]
0,6
0,4
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
432
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
σ m lungo il parallelo 5
1,2
0,8
σ m [kg/cmq] 0,6
0,4
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
σ m lungo il meridiano 0
1,2
1
x
0,8
σm [kg/cmq]
0,6
0,4
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m ]
433
APPENDICE A
σ m lungo il meridiano 5
1,2
1
x
0,8
σ m [kg/cmq]
0,6
0,4
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
σ m lungo il meridiano 10
0,7
0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
434
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
σ m lungo il meridiano 15
0,7
0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq] 0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
σ m lungo il meridiano 20
0,7
0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
435
APPENDICE A
σ p lungo il parallelo 25
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p [kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
σ p lungo il parallelo 20
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p [kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
436
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
σ p lungo il parallelo 15
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p [kg/cmq] 0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
σ p lungo il parallelo 10
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p [kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
437
APPENDICE A
σ p lungo il parallelo 5
0,45
0,4
0,35
0,3
σ p[kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]
σ p lungo il meridiano 0
0,45
0,4
x
0,35
0,3
σ p [kg/cmq]
0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m ]
438
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
σ p lungo il meridiano 5
0,45
0,4
0,35
x
0,3
σ p [kg/cmq] 0,25
0,2
0,15
0,1
0,05
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
σ p lungo il meridiano 10
0,7
0,6 x
0,5
σ p [kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
439
APPENDICE A
σ p lungo il meridiano 15
0,7
0,6
x
0,5
σ p [kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
σ p lungo il meridiano 20
0,7
0,6 x
0,5
σ p[kg/cmq]
0,4
0,3
0,2
0,1
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]
440
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
mm lungo il parallelo 25
60
50
40
30
20
m m [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
mm lungo il parallelo 20
60
50
40
30
20
m m [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
441
APPENDICE A
mm lungo il parallelo 15
60
50
40
30
20
m m [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
mm lungo il parallelo 10
60
50
40
30
20
m m [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
442
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
mm lungo il parallelo 5
60
50
40
30
20
mm [kg.m/m] 10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
mm lungo il meridiano 0
60
50
40
x
30
20
m m [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
443
APPENDICE A
mm lungo il meridiano 5
60
50
40
x
30
20
m m [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
mm lungo il meridiano 10
60
50
40 x
30
20
m m [kg.m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
444
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
mm lungo il meridiano 15
60
50
40 x
30
20
m m [kg.m/m] 10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
mm lungo il meridiano 20
60
50
40
x
30
20
mm [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
445
APPENDICE A
mp lungo il parallelo 25
60
50
40
30
20
m p [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
mp lungo il parallelo 20
60
50
40
30
20
m p [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
446
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
mp lungo il parallelo 15
60
50
40
30
20
m p [kg.m/m] 10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
mp lungo il parallelo 10
60
50
40
30
20
m p [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
447
APPENDICE A
mp lungo il parallelo 5
60
50
40
30
20
m p [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]
mp lungo il meridiano 0
60
50
40 x
30
20
m p [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
448
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
mp lungo il meridiano 5
60
50
40
x
30
20
m p [kg.m/m] 10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
mp lungo il meridiano 10
60
50
40
x
30
20
10
m p [kg.m]
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
449
APPENDICE A
mp lungo il meridiano 15
60
50
40 x
30
20
m p [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
mp lungo il meridiano 20
60
50
40
x
30
20
m p [kg.m/m]
10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]
450
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
Fig. 43. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli
sforzi di taglio τmp, τpn e τmn.
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
tmn
-0,4
tmp
-0,6
tpn
-0,8
-1
y [m]
Fig. 44. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
venticinquesimo parallelo.
451
APPENDICE A
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn
-0,6 tmp
tpn
-0,8
-1
y [m]
Fig. 45. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
ventesimo parallelo.
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn
-0,6 tmp
tpn
-0,8
-1
y [m]
Fig. 46. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
quindicesimo parallelo.
452
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn
-0,6 tmp
tpn
-0,8
-1
y [m]
Fig. 47. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
decimo parallelo.
0,2
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn
-0,6 tmp
tpn
-0,8
-1
y [m]
Fig. 48. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il quinto
parallelo.
453
APPENDICE A
0,2
0 x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
tmn
-0,4
tmp
-0,6
tpn
-0,8
-1
x [m]
Fig. 49. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
meridiano centrale.
0,2
0 x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn
-0,6 tmp
tpn
-0,8
-1
x [m]
Fig. 50. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il quinto
meridiano.
454
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI
0,2
0 x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn
-0,6 tmp
tpn
-0,8
-1
x [m]
Fig. 51. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
decimo meridiano.
0,2
0
x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn
-0,6 tmp
tpn
-0,8
-1
x [m]
Fig. 52. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
quindicesimo meridiano.
455
APPENDICE A
0,2
0 x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn
-0,6 tmp
tpn
-0,8
-1
x [m]
Fig. 53. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
ventesimo meridiano.
456
APPENDICE B. GRAFICI DELLE AZIONI INTERNE NELLE
VOLTE A PADIGLIONE AL VARIARE DEL
RAPPORTO FRECCIA/LUCE
(l + f 2 )
R= (1)
2f
(R − f )
ϑ = arccos (2)
R
457
APPENDICE B
z f
x
l
R θ a
Fig. 1. Schema della direttrice delle volte a padiglione analizzate, con indicati la
freccia f e il raggio di curvatura R.
600
500
400
S [kg]
300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
458
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
500
400
S [kg]
300
S prima della
200 fessurazione
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
500
400
S [kg]
300
S prima della
200 fessurazione
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
459
APPENDICE B
600
500
400
S [kg]
300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
0,08
0,06
0,04
0,02
e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
-0,08 eccentricità
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
460
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
0,06
0,04
0,02
e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
eccentriità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
0,08
0,06
0,04
e [m]
0,02 eccentricità
(soluzione non
ottimizzata)
0
0 1 2 3 4
-0,02 eccentricità
(soluzione
-0,04 ottimizzata)
x [m ]
461
APPENDICE B
0,02
e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
500
400
300 Tmerid
[kg]
200
100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 10. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 1.
462
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
500
400
300 Tmerid
[kg]
200
100
0 S*
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 11. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 2.
500
400
300 Tmerid
[kg]
200
100
S*
0
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 12. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 3.
463
APPENDICE B
500
400
300 Tmerid
[kg]
200
100
S*
0
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 13. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 4.
15
10
5
.e [kg.m]
0
0 1 2 3 4 M=N.e (spicchio 1)
M=N
-5
M=N.e (spicchio 2)
-10
M=N.e (spicchio 3)
-15
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]
464
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
Hp lungo la diagonale
500
400
300
200
[kg]
100
0 Hp
0 1 2 3 4 5
-100
-200
x' [m ]
450 y
400
350
300
250
[kg]
200
150
spinta (soluzione
100 non ottimizzata)
50
spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Fig. 16. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.
465
APPENDICE B
600
500
400
S [kg]
300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 17. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
500
400
S [kg]
300
S prima della
200 fessurazione
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 18. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
466
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
500
400
S [kg]
300
S prima della
200 fessurazione
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 19. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
600
500
400
S [kg]
300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 20. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
467
APPENDICE B
0,08
0,06
0,04
0,02
e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
-0,08 eccentricità
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
0,06
0,04
0,02
e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
eccentriità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
468
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
0,04
0,02
e [m] 0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
0,02
e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
469
APPENDICE B
500
400
300 Tmerid
[kg]
200
100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 25. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 1.
500
400
300 Tmerid
[kg]
200
100
0 S*
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 26. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 2.
470
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
500
400
300 Tmerid
[kg]
200
100
S*
0
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 27. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 3.
500
400
300 Tmerid
[kg]
200
100
S*
0
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 28. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 4.
471
APPENDICE B
15
10
5
.e [kg.m]
0
0 1 2 3 4 M=N.e (spicchio 1)
M=N
-5
M=N.e (spicchio 2)
-10
M=N.e (spicchio 3)
-15
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]
Hp lungo la diagonale
500
400
300
200
[kg]
100
0 Hp
0 1 2 3 4 5
-100
-200
x' [m ]
472
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
450 y
400
350
300
250
[kg] 200
150
spinta (soluzione
100 non ottimizzata)
50
spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Fig. 31. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.
473
APPENDICE B
600
500
400
S [kg]
300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 32. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
600
500
400
S [kg]
300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 33. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
474
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
600
500
400
S [kg] 300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 34. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
600
500
400
S [kg]
300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]
Fig. 35. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.
475
APPENDICE B
0,08
0,06
0,04
0,02
e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
-0,08 eccentricità
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
0,06
0,04
0,02
e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
eccentriità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
476
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
0,04
0,02
e [m] 0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
0,02
e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)
-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]
477
APPENDICE B
500
400
300 Tmerid
[kg]
200
100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 40. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 1.
600
500
400
Tmerid
[kg]
300
200
100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 41. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 2.
478
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
600
500
400
Tmerid
[kg] 300
200
100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 42. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 3.
600
500
400
Tmerid
[kg]
300
200
100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer
merid
Fig. 43. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 4.
479
APPENDICE B
15
10
5
.e [kg.m]
0
0 1 2 3 4 M=N.e (spicchio 1)
M=N
-5
M=N.e (spicchio 2)
-10
M=N.e (spicchio 3)
-15
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]
Hp lungo la diagonale
500
400
300
[kg]
200
100
Hp
0
0 1 2 3 4 5
-100
x' [m ]
480
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L
450 y
400
350
300
250
[kg] 200
150
spinta (soluzione
100 non ottimizzata)
50
spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]
Fig. 46. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.
481