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Università degli Studi di Trento

Università degli Studi di Brescia


Università degli Studi di Padova
Università degli Studi di Trieste
Università degli Studi di Udine
Università IUAV di Venezia

Elide Tomasoni

LE VOLTE IN MURATURA NEGLI EDIFICI


STORICI: TECNICHE COSTRUTTIVE E
COMPORTAMENTO STRUTTURALE

Ezio Giuriani
Irene Giustina
Dina Francesca D’Ayala

2008
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO
Dottorato di ricerca in Ingegneria delle strutture – Modellazione,
Conservazione e Controllo dei Materiali e delle Strutture
XX ciclo

Coordinatore del dottorato: Davide Bigoni

Commissione esaminatrice:
Prof. Giorgio Cacciaguerra, Università di Trento
Prof. Donato Sabia, Politecnico di Torino
Prof. Andrea Benedetti, Università di Bologna
SOMMARIO

Vista la grande importanza delle strutture storiche in muratura e vista


la necessità di tutelare il patrimonio architettonico del passato, il presente
lavoro è stato indirizzato verso lo studio delle coperture voltate e della loro
interazione con i sistemi di sostegno, con l’obiettivo di comprenderne il
comportamento strutturale, di valutare la sicurezza delle strutture esistenti
e di elaborare nuove teorie di calcolo e metodi semplificati per la
definizione dello stato di sforzo nelle volte in muratura e per il
dimensionamento di presidi strutturali efficaci e allo stesso tempo
compatibili con le strutture storiche.
La prima parte del lavoro è stata diretta verso l’analisi delle più
diffuse tecniche costruttive delle volte in muratura negli edifici antichi:
attraverso un’attenta indagine archivistico-documentaria e
l’interpretazione critica della letteratura tecnica più diffusa in Italia tra il XV
e il XIX secolo, si è cercato di individuare i principali orientamenti desunti
dalla trattatistica e dalla manualistica, confrontandoli poi con la prassi
costruttiva, a volte lontana dalle regole dell’arte e legata piuttosto a fattori
economici e locali e alle capacità tecniche delle maestranze.
Questa indagine preventiva ha consentito di acquisire un bagaglio di
conoscenze indispensabile per un approccio corretto verso lo studio di
strutture storiche e verso la progettazione di interventi di consolidamento
reversibili e non invasivi in grado di ripristinare la stabilità delle coperture
voltate.
Nella seconda parte del lavoro, si è passati quindi all’analisi del
comportamento strutturale delle volte in muratura, con particolare

i
SOMMARIO

attenzione ad alcuni aspetti che, probabilmente per la loro complessità,


non sono stati ad oggi sufficientemente indagati dalla letteratura
scientifica.
Lo studio si è quindi focalizzato sulla formulazione di una teoria per la
valutazione degli sforzi nelle strutture voltate, rigorosa e allo stesso tempo
sufficientemente flessibile da poter essere applicata anche a volte
complesse, sviluppata sulla base di un precedente lavoro condotto dalla
prof. Dina D’Ayala dell’University of Bath.
Questa teoria, basata sull’analisi limite, attraverso una procedura
computazionale relativamente semplice e facilmente applicabile a
qualsiasi tipo di volta, consente di determinare la superficie delle pressioni
e il corrispondente stato di sforzo nelle volte, tenendo conto anche degli
effetti tridimensionali di interazione tra gli archi che si possono sviluppare
in tali strutture. Tali effetti, trascurabili per alcuni tipi di volte, quali per
esempio le volte a botte, diventano invece rilevanti per le volte complesse,
quali per esempio le volte a padiglione, nelle quali, a causa della loro
geometria e della cuspide lungo le diagonali, si sviluppano dei
meccanismi nel piano del fuso che non possono essere colti dal classico
schema ad archi affiancati.
Il principale scopo del presente lavoro è stato proprio di
comprendere il comportamento strutturale delle volte a padiglione, mai
indagato precedentemente, cercando di fornire una trattazione esaustiva
sui meccanismi e sulle azioni che si generano al loro interno, e di proporre
validi strumenti di calcolo semplificati in grado di cogliere gli elementi
essenziali per un eventuale intervento di consolidamento.
L’ultimo aspetto indagato attraverso il presente studio riguarda il
problema flessionale nelle volte. Attraverso un’indagine sperimentale su
una porzione di volta a botte in muratura, si è cercato di individuare la
soluzione progettuale più valida ed efficace per ridurre la flessione e per il
ripristino strutturale di volte di edifici di valore storico e architettonico.

ii
SUMMARY

The historic buildings have not only an architectural and aesthetic


value, but also historic, documentary, economic, social and symbolic
values.
The great importance of historical architectural heritage and the need
for preservation of historical structures has directed this work towards the
study of masonry vaults and the interaction between the vaults and the
supports, with the objective to understand the static mechanisms
developed in these vaults, to evaluate the safety factor to existing
structures and to develop new methods for the structural analysis of
masonry vaults.
This is of great importance with regard to strengthening interventions
because this work provides a useful contribution to the determination of
the stress field in complex vaults.
The first part of this work aims to investigate the most frequent
building techniques in the historical masonry vaults: toward a careful
research including the analysis of historical documents and the critical
interpretation of technical literature between the XV and XIX century, the
main trend gather from the technical literature are compared with the
actual usual construction.
This survey is very important to acquire an essential store of
knowledge for a correct approach towards the study of historical
architectural heritage and toward the conservation and preservation that
can ensure the structural integrity and durability of the building ensuring
respecting its form and historical evidences.

iii
SUMMARY

In the second part of this work, the structural behaviour of masonry


vaults are investigate, with great care to the aspects that, probably for
their complicacy, never was studied previously by the technical literature.
This work aims to develop a computational procedure, which allows to
define the 3D structural behaviour of complex masonry vaults.
Using limit state analysis with finite friction, the proposed analytical
method, based on lower bound approach, allows the identification of the
optimal thrust surface and hence this method allows to obtain, for a
generic type of vault, the actual crack pattern, the stress field and the
horizontal thrust at the supports.
The 3D effects can be neglected for simple vault (for example for
barrel vaults), but they are very important for more complex vaults, like the
pavilion vaults, because the complicated mechanisms developed in their
web don’t allow to reduce the vault to a series of adjacent arches, without
transversal connection.
Sure enough, the main object of this work is to understand the actual
structural behaviour of pavilion vaults, providing a comprehensive and
rigorous dissertation about the structural mechanisms that develop in
which.
The last aspect studied concerns the flexional problem in the vaults.
By means of laboratory texts, the structural behaviour of a portion of
barrel vault and its interaction with the backfill are investigate. This study
allows to identify the most indicate strengthening methods for limiting the
flexural effect in the vaults of historical buildings.

iv
RINGRAZIAMENTI (ACKNOWLEDGEMENTS)

Desidero esprimere la mia gratitudine alla prof.ssa Irene Giustina e al


prof. Ezio Giuriani per avermi dato la possibilità di fare questa esperienza.
La prof.ssa Irene Giustina mi ha sempre guidato e consigliato al meglio; la
sua precisione, preparazione e il suo interesse per questi argomenti sono
stati per me da esempio e per questo vorrei rivolgerle un particolare
ringraziamento.
Grazie anche al prof. Ezio Giuriani, che ha messo a mia disposizione la
sua esperienza e che, attraverso preziosi consigli e interessanti
discussioni, in questi anni mi ha insegnato davvero moltissimo.
Un ringraziamento speciale va alla prof.ssa Dina D’Ayala per avermi
indirizzato con brillanti indicazioni e perché, con la sua passione per la
ricerca e la grande competenza dimostrata, mi ha permesso di ottenere
risultati insperati.
Grazie anche al prof. Paolo Riva e al prof. Giovanni Plizzari per gli utili
suggerimenti che mi hanno fornito e grazie ai tecnici del laboratorio Pietro
Pisa dell’Università degli Studi di Brescia, in particolare al sig. Sebastiano
Curcio e al sig. Luca Martinelli, che hanno reso possibile il perfetto
svolgimento delle prove sperimentali.
Vorrei inoltre ringraziare i miei amici e compagni di studio che hanno reso
più piacevole quest’esperienza e in particolare Elisa Sala.
Ma soprattutto desidero ringraziare i miei genitori e Valerio che, più di
chiunque altro, hanno sempre creduto in me, mi sono stati vicini e mi
hanno sostenuto anche nei momenti più difficili.

v
vi
Ai miei genitori

vii
INDICE

Sommario

PARTE PRIMA:
LE VOLTE IN MURATURA DALL’ANTICHITÀ AL XX SECOLO: LE
PIÙ DIFFUSE TECNICHE COSTRUTTIVE E I PRINCIPALI
ORIENTAMENTI DI STUDIO DEL COMPORTAMENTO STATICO-
STRUTTURALE

1. INTRODUZIONE............................................................................... 3

2. LE TECNICHE COSTRUTTIVE........................................................ 7

2.1. CARATTERI FORMALI E COSTRUTTIVI DELLE COPERTURE VOLTATE

DALL’ANTICHITÀ ALL’ETÀ MODERNA ............................................................. 7

2.1.1. Le origini delle strutture voltate 7


2.1.2. Lo sviluppo delle tecniche costruttive presso i romani 12
2.1.3. Tecniche di alleggerimento delle volte 155
2.1.4. Le volte nell’architettura bizantina 200
2.1.5. La costruzione delle volte nel periodo Medievale 233

ix
INDICE

2.1.6. Sviluppo formale e tecnico a partire dal XV secolo 26


2.2. LE VOLTE IN MURATURA: “LA REGOLA D’ARTE” NELLA LETTERATURA

TECNICA TRA IL XV E IL XIX SECOLO......................................................... 28

2.2.1. La centina e le armature di sostegno 35


2.2.2. Esecuzione della volta in muratura 48
2.2.3. Il disarmo 59
2.2.4. Accorgimenti per il miglioramento della resistenza 61
2.3. LE VOLTE IN MURATURA: LA PRATICA DEL COSTRUIRE IN ETÀ

MODERNA ATTRAVERSO ALCUNI CASI ESEMPLARI....................................... 68

2.3.1. Apparecchiature e metodi di irrigidimento 69


2.3.2. Le volte a vela della chiesa di San Fedele a Milano (XVI
secolo) 76
2.4. BIBLIOGRAFIA ............................................................................ 81

3. SINTESI STORICA DEI PRINCIPALI STUDI SCIENTIFICI SUL


COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE VOLTE........................ 963

3.1. CONOSCENZE FINO AL XV SECOLO ............................................... 93


3.2. PRIME INTUIZIONI (XV-XVII SECOLO)........................................... 95
3.3. STUDI SCIENTIFICI (XII-XIX SECOLO)............................................ 98
3.4. BIBLIOGRAFIA............................................................................ 107

4. INTUIZIONI STATICHE E COMPORTAMENTO STRUTTURALE A


CONFRONTO: IL CASO DELLE CUPOLE APPOGGIATE SU
QUATTRO PILONI LIBERI .................................................................... 111

4.1. INTRODUZIONE ......................................................................... 111


4.2. INQUADRAMENTO STORICO: LO SVILUPPO DELL’IMPIANTO A QUINCUNX
............................................................................................................ 114
4.3. LE PRINCIPALI VICENDE PROGETTUALI E COSTRUTTIVE DELLA CUPOLA
DI SANT’ALESSANDRO A MILANO. .......................................................... 118
4.4. MODELLO AD ELEMENTI FINITI .................................................... 124
4.4.1. Comportamento strutturale delle calotte 130

x
INDICE

4.4.2. Comportamento strutturale del sistema costituito da cupola,


tamburo e sistema di sostegno 134
4.5. SCHEMA SEMPLIFICATO PER LA COMPRENSIONE DEL

COMPORTAMENTO STRUTTURALE DEL SISTEMA DI SOSTEGNO E PER LA

VALUTAZIONE DEL COEFFICIENTE DI SICUREZZA DELLA STRUTTURA .......... 135

4.6. COMPORTAMENTO STRUTTURALE DEL TAMBURO E DEL TIBURIO ... 142


4.7. VERIFICA DELLA VALIDITÀ DELLO SCHEMA PROPOSTO E

DIMENSIONAMENTO DELLE CATENE ......................................................... 145

4.8. DISCUSSIONE SULLA VALIDITÀ DEI PRESIDI STRUTTURALI UTILIZZATI IN


SANT’ALESSANDRO ............................................................................... 148
4.9. CONCLUSIONI ........................................................................... 152
4.10. BIBLIOGRAFIA ......................................................................... 154

5. CONCLUSIONI ............................................................................. 161

6. BIBLIOGRAFIA GENERALE ....................................................... 163

PARTE SECONDA:
COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE VOLTE IN
MURATURA

1. INTRODUZIONE........................................................................... 175

2. STATO DELL’ARTE E PRINCIPALI ORIENTAMENTI SCIENTIFICI


................................................................................................................ 179

2.1. INTRODUZIONE .......................................................................... 179


2.2. STUDI SCIENTIFICI SULLE COPERTURE VOLTATE .......................... 180
2.3. BIBLIOGRAFIA ........................................................................... 185

3. PRESENTAZIONE DI UN NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO


DELLE VOLTE IN MURATURA ............................................................ 191

3.1. INTRODUZIONE .......................................................................... 191

xi
INDICE

3.2. PRESENTAZIONE DELLA TEORIA BASATA SULL’ANALISI LIMITE ....... 192


3.2.1. Ipotesi sulla resistenza del materiale 193
3.2.2. Approccio statico 197
3.3. CONCLUSIONI............................................................................ 199
3.4. BIBLIOGRAFIA............................................................................ 200

4. LE VOLTE A PADIGLIONE......................................................... 203

4.1. INTRODUZIONE ......................................................................... 203


4.2. INQUADRAMENTO STORICO ....................................................... 205
4.3. GEOMETRIE E TECNICHE COSTRUTTIVE ....................................... 213
4.4. PATOLOGIE STRUTTURALI DELLE VOLTE A PADIGLIONE ................. 221
4.5. STATO DELL’ARTE SUGLI STUDI DEL COMPORTAMENTO STRUTTURALE
DELLE VOLTE A PADIGLIONE ................................................................... 225
4.6. MODELLI AD ELEMENTI FINITI: ANALISI NON LINEARI ...................... 232
4.6.1 Presentazione dei modelli 232
4.6.2. Valutazione degli sforzi e delle spinte all’imposta 236
4.6.2.1. Sforzi meridiani σm ............................................................... 240
4.6.2.2. Sforzi paralleli σp .................................................................. 243
4.6.2.3. Sforzi di taglio τmp................................................................. 248
4.6.2.4. Sforzi di taglio τpn ................................................................. 249
4.6.2.5. Sforzi di taglio τmn................................................................. 249
4.6.2.6. Spinte all’imposta ................................................................. 250
4.6.2.7. Deformata e quadro fessurativo ........................................... 252
4.6.3 Interpretazione dei risultati delle analisi numeriche 253
4.7. MODELLO ANALITICO ................................................................. 254
4.7.1.Descrizione del modello teorico basato sull’analisi limite 255
4.7.2. Analisi dei risultati 267
4.7.3. Considerazioni sulla soluzione ottimizzata 281
4.7.4. Valutazione del coefficiente di sicurezza della volta 285
4.8. CONFRONTI FRA I RISULTATI DEL MODELLO ANALITICO E DELLE

ANALISI AD ELEMENTI FINITI .................................................................... 286

xii
INDICE

4.9. DISCUSSIONE SUL COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE VOLTE A

PADIGLIONE .......................................................................................... 293

4.10. MODELLI DI CALCOLO SEMPLIFICATI .......................................... 302


4.10.1. Teoria membranale classica 303
4.10.2. Schema ad archi 315
4.11. CONSIDERAZIONI SULLA VALIDITÀ DEI MODELLI SEMPLIFICATI ..... 322
4.12. CONCLUSIONI ......................................................................... 330
4.13. BIBLIOGRAFIA ......................................................................... 333

5. LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE ............ 337

5.1. INTRODUZIONE ......................................................................... 338


5.2. INQUADRAMENTO STORICO ....................................................... 339
5.3. STATO DELL’ARTE ..................................................................... 347
5.4. STUDIO SPERIMENTALE DEL CONTRIBUTO IRRIGIDENTE OFFERTO DAI

FRENELLI .............................................................................................. 358

5.4.1. Descrizione del modello sperimentale 358


5.4.2. Caratteristiche dei materiali impiegati 364
5.4.3. Condizioni al contorno 365
5.4.4. Applicazione dei carichi 366
5.4.5. Strumentazione 370
5.4.6. Modalità di prova 373
5.4.7. Risultati delle prove sperimentali 374
5.5. CONSIDERAZIONI SUI RISULTATI DELLE PROVE SPERIMENTALI ...... 392
5.6. CONFRONTI TRA DIVERSI METODI DI IRRIGIDIMENTO FLESSIONALE 395
5.6.1. Risultati delle prove sperimentali su una volta con
riempimento in materiale alleggerito 395
5.6.2. Confronti e considerazioni finali 406
5.7. CONCLUSIONI ........................................................................... 407
5.8. BIBLIOGRAFIA ........................................................................... 409

6. CONCLUSIONI ............................................................................. 415

7. BIBLIOGRAFIA GENERALE ....................................................... 419

xiii
INDICE

APPENDICI ....................................................................................... 428

APPENDICE A. GRAFICI DEGLI SFORZI NELLE VOLTE A


PADIGLIONE RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI .................. 430

A.1. GRAFICI DEGLI SFORZI σm.......................................................... 432


A.2. GRAFICI DEGLI SFORZI σp .......................................................... 437
A.3. GRAFICI DEI MOMENTI mM .......................................................... 442
A.4. GRAFICI DEI MOMENTI mp .......................................................... 447
A.5. GRAFICI DEGLI SFORZI DI TAGLIO τmn,τmp E τpn ............................ 452

APPENDICE B. GRAFICI DELLE AZIONI INTERNE NELLE VOLTE


A PADIGLIONE AL VARIARE DEL RAPPORTO FRECCIA/LUCE..... 457

B.1. VOLTA A PADIGLIONE CON FRECCIA DI 2 m (F/L = 1/3) ................. 458


B.2. VOLTA A PADIGLIONE CON FRECCIA DI 1,5 m (F/L = 1/4) .............. 466
B.3. VOLTA A PADIGLIONE CON FRECCIA DI 1,2 m (F/L = 1/5) .............. 474

xiv
PARTE PRIMA

LE VOLTE IN MURATURA DALL’ANTICHITÀ AL XX


SECOLO: LE PIÙ DIFFUSE TECNICHE COSTRUTTIVE
E I PRINCIPALI ORIENTAMENTI DI STUDIO DEL
COMPORTAMENTO STATICO-STRUTTURALE
1. INTRODUZIONE

Nel corso dei secoli le tecniche costruttive e i materiali impiegati per


la realizzazione delle volte sono variati in funzione sia delle capacità
tecniche dei costruttori sia del risultato formale che si voleva ottenere.
Anche il fattore economico ha contribuito allo sviluppo e all’ideazione
di nuove tecniche, ma è soprattutto grazie all’esperienza maturata nel
corso dei secoli, alle indicazioni dei trattatisti sul dimensionamento in
chiave geometrica e alle prime intuizioni statiche che è stato possibile
realizzare strutture ardite e di indiscussa suggestione e bellezza.
Capimastri, architetti e ingegneri dei tempi antichi ideavano e
realizzavano le strutture avvalendosi dei mezzi a loro disposizione,
affidandosi spesso all’intuito, all’esperienza pratica, acquisita per lo più in
cantiere, e, in alcuni casi, a basi matematiche e a conoscenze di
geometria pratica.
È quindi importante conoscere come gli originali costruttori
concepivano le loro opere, comprendere le fasi di edificazione delle
strutture voltate, i materiali impiegati e le soluzioni più frequentemente
adottate nel tentativo di migliorarne la resistenza e questo al fine di
acquisire un bagaglio di conoscenze indispensabile per un approccio
corretto verso lo studio di volte e cupole e verso la progettazione di
interventi di consolidamento efficaci e allo stesso tempo compatibili con le
strutture storiche.
Questa indagine può essere svolta innanzitutto attraverso l’analisi
della letteratura ufficiale, dalla quale si può dedurre un quadro completo
delle conoscenze e delle tecniche costruttive impiegate in età moderna.
Nel presente lavoro, quindi, dopo un excursus storico indispensabile per

3
CAPITOLO 1

l’inquadramento dell’evoluzione formale e tecnica che ha accompagnato


la costruzione delle volte, sono state raccolte tutte le informazioni, spesso
frammentarie e sintetiche, dedotte dai trattati e dai manuali di architettura,
cercando di dar loro una veste organica e cercando di ripercorrere, con
particolare attenzione alle soluzioni tecniche tese a migliorare la
resistenza della struttura, le fasi di edificazione e i principali indirizzi di
carattere formale, legati alle proporzioni e alle forme delle volte.
Le indicazioni fornite dalla trattatistica e dalla manualistica di
architettura tra il XV e il XIX secolo per la realizzazione delle volte a
“regola d’arte”, hanno influito notevolmente sulle scelte progettuali degli
architetti, soprattutto per gli edifici di maggiore importanza, tuttavia gli
orientamenti nella reale prassi costruttiva potevano rivelarsi a volte diversi
dalla “regola d’arte” perchè condizionati da fattori economici e locali e, in
molti casi, anche dalle capacità tecniche delle maestranze.
Attraverso l’analisi di alcuni casi reali di strutture voltate sono state
quindi mostrate le più diffuse discrepanze tra l’arte di costruire e la reale
prassi di cantiere, rinvenute in esempi di edilizia minore, e la conformità
alle indicazioni della trattatistica, che porta spesso ad un evidente
miglioramento del comportamento statico della struttura, di alcuni
importanti cantieri lombardi.
Infine, nell’ottica di comprendere la concezione originaria delle opere
del passato, risulta di estrema importanza ripercorrere, seppur
brevemente, l’evoluzione degli studi sulle strutture voltate, al fine di
spiegare alcune scelte progettuali altrimenti ritenute ingiustificate.
Dopo aver analizzato, anche attraverso l’interpretazione di documenti
originali, i principali studi riguardanti archi, volte e cupole e lo stato di
conoscenze sul loro comportamento strutturale, prendendo spunto dalle
vicende inerenti alla prima cupola della seicentesca chiesa di
Sant’Alessandro a Milano e dagli esiti disastrosi della sua esecuzione,
che portarono alla demolizione della stessa cupola, si è proposta una
rilettura, alla luce delle conoscenze attuali, di alcune scelte progettuali
operate dagli architetti e dai costruttori del passato. Seguendo quindi una
metodologia di ricerca scientifica tesa ad incrociare gli strumenti di
indagine propri della disciplina storica, ancorata alle fonti archivistico-

4
INTRODUZIONE

documentarie, e quelli più specificamente appartenenti alle discipline


ingegneristico-strutturali, quali, ad esempio, l’analisi limite e le analisi ad
elementi finiti, si è cercato di comprendere, in assenza di studi sistematici
su questo argomento, il comportamento strutturale globale del nucleo
centrale degli impianti a quincunx, costituiti da una croce greca inscritta in
un quadrato, giungendo a fornire utili indicazioni di carattere generale
sull’efficacia degli accorgimenti e dei presidi strutturali utilizzati in passato
in simili strutture cupolate appoggiate su piloni liberi. Lo studio proposto
ha inoltre consentito di esprimere considerazioni che investono anche il
campo delle scelte formali e compositive (strettamente connesse,
soprattutto in presenza di tali sistemi, con quelle strutturali) intraprese a
partire dal XVI.
Sulla scorta delle acquisizioni fatte, è stato inoltre possibile estendere
il lavoro al caso più generale di cupole su piloni liberi, ottenendo,
attraverso una particolare applicazione dell’analisi limite, il coefficiente di
sicurezza per le strutture esistenti e proponendo formule di progetto per
eventuali interventi di recupero.

5
CAPITOLO 2

2. LE TECNICHE COSTRUTTIVE

2.1. Caratteri formali e costruttivi delle coperture voltate


dall’antichità all’età moderna

2.1.1. Le origini delle strutture voltate

Nonostante le coperture voltate siano state utilizzate in tutte le loro


forme e in maniera estensiva nell’architettura romana, tanto da divenirne
uno degli elementi caratterizzanti, è necessario ricordare che già in Egitto
e in Mesopotamia si possono ritrovare primitivi esempi di archi, volte e
cupole risalenti al III millennio a.C. In realtà tali coperture si rifanno al
principio del sistema trilitico: sono infatti costituite da blocchi sovrapposti
posati progressivamente con una lieve sporgenza e convergenti nel
vertice, il quale risulta chiuso con una lastra o un architrave di modeste
dimensioni. A partire dal II millennio a.C. tali coperture vennero impiegate
diffusamente nell’architettura micenea (tholoi) e in altre civiltà del
Mediterraneo (per esempio i nuraghi sardi, i “sesi” di Pantelleria, le
“navetas” delle Baleari e alcuni tumuli nell’area scitica) 1 (fig. 1-6).
Spesso queste coperture vengono definite con il temine di
“pseudovolte” o “pseudocupole”, in realtà però possono essere
considerate delle vere e proprie volte in quanto ogni concio, seppur
disposto orizzontalmente, trasferisce ai conci attigui azioni non solo

7
CAPITOLO 2

verticali, come accade nel sistema trilitico, ma anche orizzontali, come


mostrato in recenti studi sui nuraghe sardi. Lo studio effettuato da
Mirabella Roberti e Spina mostra anche come il riempimento superiore,
che in alcuni casi veniva realizzato in terra, sia di estrema importanza, in
questo tipo di strutture, per impedire il ribaltamento dei blocchi2.
Un’altra particolare tecnica costruttiva diffusa soprattutto in
Mesopotamia, in Assiria, in Egitto e successivamente nell’Oriente
Bizantino è costituita da volte, in genere a botte, formate da una
successione di archi inclinati composti da mattoni disposti a coltello.
Attraverso tale tecnica era possibile realizzare volte senza l’ausilio di
centine, in quanto il primo arco veniva appoggiato al muro di testa del
vano da coprire e ogni arco successivo veniva sorretto dal precedente
(fig.7).

Fig. 1. Micene, tesoro di Atreo, veduta del Fig. 2. Micene, tesoro di


”dromos”, XIV secolo a.C. La porta consentiva Atreo, veduta dell’interno.
l’accesso al tholos, ovvero ad una stanza a pianta La volta è stata ottenuta
circolare con una cupola conica. dalla sporgenza di 33 anelli
di blocchi concentrici
(diametro: 14,5 m; altezza:
13,2 m).

8
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 3. Micene, tesoro di “Clitennestra”, Fig. 4. Sant’Antine, Sassari, corridoio


particolare dell’interno. Secolo XV a.C. del Nuraghe, VIII-IX secolo a.C.
(Buti G, 1972, vol XIII, tav. 40) (Buti G, 1972, vol.XIII, tav 38)

Fig. 5. Kerč, tumulo Carskij, ingresso Fig. 6. Kerč, tumulo Carskij, particolare
del sepolcro, IV secolo a.C. dell’interno, IV secolo a.C.
(Buti G, 1972, vol VI, tav. 352) (Buti G, 1972, vol XIII, tav. 40)

9
CAPITOLO 2

Sempre tra le opere degli Assiri e dei Babilonesi si possono


individuare i primi esempi di archi a conci radiali, per esempio la porta del
palazzo di Sardon II a Dur Sarrukin e la porta di Ishtar a Babilonia3 (fig. 8).
Tali archi, che in genere erano posti a copertura delle porte urbiche, erano
nella maggior parte dei casi archi a tutto sesto ed erano realizzati con
conci in mattoni crudi disposti radialmente, ma con i giunti convergenti
verso un punto più in alto rispetto al centro di curvatura dell’arco stesso4.

Fig. 7. Volta a botte realizzata con filari inclinati. (Choisy A., 1883, 33)

10
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 8. Porta di Ishtar a Babelonia, secolo VII-VI a.C., ricostruzione di Koldewey,


Staatliche Museen, Berlino.

11
CAPITOLO 2

2.1.2. Lo sviluppo delle tecniche costruttive presso i romani

I romani, pur riprendendo tecniche greche ed etrusche penetrate in


Italia, le perfezionarono ed elaborarono al punto da assumerne la
completa padronanza sia per quanto riguarda i materiali impiegati che le
modalità realizzative e, sulla base più dell’esperienza maturata in seguito
alla grande applicazione delle volte che dell’intuizione statica, mostrarono
di aver acquisito la consapevolezza dei problemi legati all’utilizzo delle
volte, ossia la necessità di irrigidire la volta e il fatto che questa sia una
struttura spingente.
I romani utilizzavano prevalentemente archi a tutto sesto nei quali i
mattoni o i conci presentavano giunti tutti convergenti verso il centro di
curvatura, andando così a formare opere caratterizzate da una grande
regolarità. Inoltre, a partire dal III secolo a.C., le porte urbiche vennero
costruite con archi perfetti e spesso con mattoni o blocchi di pietra
conformati a cuneo per ridurre al minimo gli spessori di malta e per
conferire una maggiore robustezza5.
I romani utilizzarono raramente archi a sesto ribassato6, tuttavia
fecero uso di piattabande formate da cunei opportunamente sagomati
disposti ad incastro7 (fig. 9). Spesso le piattabande erano sormontate da
archi di scarico a tutto sesto, che avevano la funzione di reggere il peso
della muratura soprastante, riducendo così il carico gravante sulle
piattabande stesse. Gli archi di scarico avevano probabilmente la
funzione di andare a sostituire l’arco naturale di scarico che si sarebbe
creato nella muratura in seguito al cedimento della piattabanda (fig. 10).

12
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 9. Piattabanda, Kalat Siman. (V secolo Fig. 10. Piattabanda con arco di
d.C.) (Mainstone R., 2001, 103) scarico, Larario di Pompei, 60 d.C.
circa. (Adam J. P., 1998,188)

Fig. 11. Tempio di Giove Anxur Fig. 12. Volta a botte in opus caementicium
databile intorno alla prima metà del I con nervature in semilateres. (Lugli G., 1957,
secolo a.C. (Lancaster L.C., 2005, 5) 667, tratta da Choisy A, L’art de batir)

13
CAPITOLO 2

Fig. 13. Volta con nervature in cui i Fig. 14. Volta realizzata con un manto
vuoti vengono sfruttati per realizzare di mattoni bessali sul quale venivano
decorazioni a cassettoni. (Lugli G., posati altri mattoni di dimensioni minori
1957, 668, tratta da Choisy A, L’art de posti in piano e bessali di coltello che
batir) avevano la funzione di creare
un’ammorsatura. (Lugli G., 1957, 681,
tratta da Choisy A, L’art de batir)

In un primo momento l’architettura romana fece largo uso di archi


realizzati con grossi conci di pietra o con mattoni disposti radialmente,
inserendo tra questi, all’estradosso, schegge più piccole e malta. Fu con il
miglioramento delle tecniche costruttive e soprattutto con l’introduzione di
malte pozzolaniche8, particolarmente resistenti, miste a inerti di varia
pezzatura, che iniziò a diffondersi la tecnica delle volte in opus
caementicium9. Fra i primi esempi di volte in opus caementicium si può
annoverare il tempio di Giove Anxur a Terracina, databile intorno alla
prima metà del I secolo a.C.10 (fig. 11), ma fu nell’età imperiale che questa
tecnica, associata a quella a grandi blocchi, si diffuse e si sviluppò in tutto
l’impero.
In teoria le volte in opus caementicium avrebbero dovuto comportarsi
come un monolite, ossia come un unico blocco di pietra che non avrebbe
dovuto esercitare spinte orizzontali sui muri di sostegno. Tuttavia queste
volte, a causa della limitata resistenza a trazione dell’opus caementicium,
si fessuravano e tornavano ad agire sulle pareti come se fossero
costituire da conci staccati. Fu probabilmente questo il motivo per cui, a
patire dal I secolo d.C., i Romani iniziarono a realizzare le volte in opus
caementicium con nervature meridiane di mattoni semilateres che, più

14
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

avanti, collegarono tra loro con mattoni di bipedali11 disposti ad intervalli


regolari12 (fig. 12). Il fatto di realizzare volte nervate, infatti, consentiva di
frazionare la massa di malta che veniva gettata tra i vuoti lasciati tra le
nervature e di assecondare la naturale fessurazione che si sarebbe
venuta a creare all’interno della struttura. In alcuni casi venivano sfruttati i
vuoti lasciati fra le nervature per realizzare decorazioni a cassettoni (fig.
13).
Nell’età di Domiziano e sotto Traiano, a partire dal II secolo d.C. si
diffuse il sistema costituito da un manto di mattoni bessali posti in piano
posati sopra la centina tra i quali, in alcuni casi, venivano inseriti altri
bessali posti di coltello che avevano la funzione di creare
un’ammorsatura.
Per volte di piccole dimensioni, spesso il manto di bessali veniva
cementato con malta a pronta presa e fungeva direttamente da centina
sulla quale venivano poi posati altri mattoni di dimensioni minori (fig. 14).

2.1.3. Tecniche di alleggerimento delle volte

Con l’aumento delle dimensioni delle volte, iniziò a nascere


l’esigenza di creare strutture più leggere e allo stesso tempo resistenti.
Per la prima volta nel Pantheon venne realizzata una struttura in cui la
composizione degli inerti costituenti il riempimento in opus caementicium
variava all’interno della massa muraria. A questo grandioso esempio ne
seguirono numerosi altri: Tempio di Diana a Baia; Tor de’ Schiavi; la
cupola del ninfeo dei giardini Liciniani; la semicupola dell’esedra nelle
terme di Caracalla; ecc.13 (fig. 15).

15
CAPITOLO 2

Fig. 15. Terme di Caracalla, 212-216 d.C., Vista dei diversi tipi di caementa
utilizzati nella semicupola dell’esedra. Dal basso verso l’alto si possono osservare:
mattoni, tufo, pietra vulcanica. (Lancaster, 2005, Plate IX)

Un altro metodo escogitato dai romani probabilmente per alleggerire


le volte e per ridurre la spinta orizzontale consisteva nell’inserimento di
olle laterizie all’interno della gettata in opus caementicium. In genere
venivano inserite olle usate per contenere olio o pesce e che quindi
difficilmente avrebbero potuto essere riutilizzate. Queste olle, che
potevano essere innestate a madre e figlia oppure isolate14, presentavano
una superficie esterna grezza che consentiva una migliore aderenza della
malta (fig. 16). Uno dei primi esempi dell’impiego di anfore nelle volte
romane è nella volta a crociera dei magazzini traianei a Ostia (126 d.C.
circa); si possono poi ricordare la villa alla Vignaccia (130 d.C. circa); il

16
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

mausoleo di Sant’Elena (fig. 17), detto infatti tor Pignattara (326-330 d.C.)
e molti altri. Tuttavia l’inserimento di tali olle non mostra una corretta
applicazione del concetto di alleggerimento in quanto, come si può
osservare, venivano inserite nelle reni della volta, andando quindi ad
indebolire quella zona che necessiterebbe di maggiore spessore e
resistenza15. Un uso più consapevole delle olle laterizie lo si ritrova invece
nel tempio di Minerva Medica (prima metà del IV secolo d.C.). Solo qui la
tecnica raggiunse quel grado di comprensione non raggiunta nei primi
esempi: le anfore, infatti, furono posizionate sopra le finestre, andando a
scaricare le zone più deboli, e la parte superiore della volta venne
alleggerita impiegando come caementum la pietra pomice (fig. 18).
Nonostante alcuni testi16 assimilino le strutture alleggerite con olle
laterizie a quelle realizzate con tubi fittili, è importante sottolineare che
queste due tecniche rappresentano sistemi costruttivi completamente
differenti: la prima è una tecnica di alleggerimento della massa in opus
caementicium, mentre la seconda è una modalità costruttiva a sé stante in
cui i tubi fittili, tubi cavi che si incastrano l’uno nell’altro, realizzati
appositamente per questo scopo, venivano posizionati in serie circolari e
concentriche con diametro che diminuiva gradualmente.
I tubi fittili furono impiegati nelle province dell’Africa romana fin dal II
secolo d.C. e si diffusero successivamente anche nelle province più a
nord. Inizialmente i tubi fittili venivano legati con malta di gesso e
impiegati come centina permanente per piccoli archi in opus
caementicium. Tra il IV e il VI secolo, volte, cupole e semicupole degli
edifici di culto paleocristiani iniziarono invece ad essere realizzate
interamente in tubi fittili, senza l’impiego di opus caementicium. Grazie al
loro comportamento a guscio, tali coperture voltate risultavano
particolarmente resistenti e leggere e ciò consentì di realizzare strutture
murarie molto più snelle e con una maggiore quantità di finestre, porte,
colonnati o arcate, portando così vantaggi sia economici che estetici.
Alcuni esempi di utilizzo di questa tecnica si possono trovare a
Ravenna: in San Vitale (521-547 d. C.), che presenta una cupola con luce
di 16m, e nel battistero della cattedrale, con cupola avente una luce di
9m17.

17
CAPITOLO 2

Fig. 16. Tipi di anfore Fig. 17. Mausoleo di Sant’Elena, detto tor Pignattara
trovate nelle volte (Roma, 326-330 d.C.), con il particolare delle olle
romane. (Lancaster, ancora presenti.
2005, 70)

L’impiego di tubi cavi in laterizio è rintracciabile anche in tempi più


recenti. Per esempio in Gran Bretagna, tra il XVIII e il XIX secolo, John
Soane (1753-1837), per ridurre il peso sulle murature perimetrali, impiegò
mattoni cavi per la costruzione delle coperture di alcuni ambienti della
Banca d’Inghilterra a Londra. Questi tubi, definiti “mattoni a bottiglia”,
presentavano un’estremità a forma quadrata e l’altra rotonda e venivano
disposti verticalmente18 (figg. 19 e 20).
Anche nell’Italia meridionale, fino al XIX secolo, vennero costruite
volte a vela a sesto ribassato, a schifo, a crociera e a quarto di crociera,
impiegando mattoni cavi con un corpo cilindrico chiuso da entrambe le
estremità ed aventi dei piccoli fori necessari a far fuoriuscire l’aria durante
la cottura in forno19 (fig. 21). Questi vasi, a causa della loro
conformazione, non potevano essere incastrati l’uno nell’altro per creare
strutture curve, ma venivano poggiati in posizione verticale sulla centina o
su un manto di mattoni e poi legati con malta di gesso o malta di calce
(fig. 22).

18
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 18. Tempio di Minerva Medica (Roma, prima metà del IV secolo d.C.).
L’immagine mostra la posizione delle anfore (grigio scuro) e l’impiego della pietra
pomice (grigio chiaro). (Lancaster, 2005, 78)

Fig. 19. Semiconi cavi in Fig. 20. Veduta del Consols Transfer Office
terracotta utilizzati nella (Bank of England) che mostra le pareti prive
costruzione delle volte nella Bank di intonaco e la cupola costruita fino alla
of England. (Abramson D., 2000, base della lanterna con materiale refrattario
237) costituito da mattoni cavi in argilla.
(Abramson D., 2000, 237)

19
CAPITOLO 2

Fig. 21. Campionatura di Fig. 22. Particolare di una volta a Grumo Appula
“pignatelli” rinvenuta in (Ba) in cui si posso notare i pignatelli disposti
Molise. (Rutigliano G., verticalmente. (Rutigliano G., 1996, 132)
1996, 130)

2.1.4. Le volte nell’architettura bizantina

Con il trasferimento della capitale da Roma a Bisanzio (330 d.C.) e,


poi, con la suddivisione politica in Impero d’Oriente e Impero d’Occidente
(395 d.C.) si aprì un nuovo capitolo nella storia: sorse l’Impero Bizantino,
che durò sino al 1453. Con esso si sviluppò anche un nuovo linguaggio
figurativo, ricco di influssi ellenistici, della Siria, della Persia e dell’Egitto.
L’Italia entrò in contatto con la cultura bizantina quando, nella metà del VI
secolo, Ravenna divenne sede dell’esarca (governatore) di
Costantinopoli; le forme espressive dell’Oriente arricchirono quindi le
tradizioni tardo-imperiali e cristiane della Penisola, dove l’influenza
dell’arte bizantina rimase fondamentale fino all’inizio del secolo XIII20.
Una caratteristica dell’architettura bizantina fu l’ideazione e l’impiego
di cupole su piloni liberi. La tipologia di copertura preferita dai bizantini fu
infatti la cupola; questa, già impiegata dai romani, aveva però un limite:

20
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

richiedeva un muro continuo circolare per il suo sostegno. La grande


innovazione dei bizantini fu riuscire a impostare cupole, con direttrice
circolare, su piante quadrate attraverso l’inserimento dei pennacchi.
Questo rese possibile la creazione di spazi aperti, con articolazioni
spaziali complesse, grazie alle quali, in seguito anche all’impiego di
mosaici colorati, venivano creati suggestivi giochi chiaroscurali.
Anche le tecniche costruttive impiegate nell’architettura bizantina
rappresentano una novità rispetto al periodo precedente; infatti, le volte
non venivano più realizzate in opus caementicium, ma interamente in
muratura, garantendo così maggiore leggerezza e più elasticità.
La complessità degli spazi consentì anche di creare strutture in cui le
spinte delle cupole potevano essere contrastate da altre strutture voltate.
L’esempio che più di ogni altro rappresenta l’innovativa svolta sia
nello sviluppo formale sia nel sistema statico delle strutture voltate e dei
relativi sistemi di sostegno è sicuramente la chiesa di Santa Sofia di
Costaninopoli21 (532 d.C.), nella quale il sistema costituito dalle
semicupole, dai deambulatori coperti con volte a botte e dalle volte a
crociera delle navate laterali poste su due piani è stato ideato per
contrastare in maniera attiva la spinta dell’enorme cupola centrale (figg.
23 e 24).

Fig. 23. Pianta e sezione della chiesa di Santa Sofia a Istanbul. (Mango, C., 1978)

21
CAPITOLO 2

Fig. 24. Particolare delle semicupole poste a contrasto della spinta della cupola
centrale nella chiesa di Santa Sofia a Istanbul.

Fig. 25. A sinistra: pianta della chiesa dei Santi Sergio e Bacco a Istanbul (Mango,
C., 1978); a destra: pianta della chiesa di San Vitale a Ravenna (Toman R., 1999).

Un analogo sistema sviluppato dai bizantini, ma già conosciuto dai


romani per gli edifici a pianta poligonale, per contrastare le spinte della
cupola centrale e consentire lo sviluppo di spazi aperti e articolati, è stato

22
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

applicato per esempio nella chiesa dei Santi Sergio e Bacco e poi ripreso
in San Vitale a Ravenna (fig. 25). Questa soluzione consiste in una
cupola22 che grava su nicchie con calotta sferica, aperte con un doppio
ordine di arcate con colonne, che sono a loro volta sorrette dalle volte
dell’ambulacro ottagonale23.
Infine, un altro espediente utilizzato dai bizantini per contrastare in
maniera attiva la spinta della cupola centrale è quello di affiancarle altre
cupolette, collegandole con volte a botte o archi a tutto sesto. Questa
composizione, tipica degli impianti planimetrici a quincunx24, si è poi
diffuso anche in Italia a partire dall’XI secolo25 (per maggiori dettagli
sull’impianto a quincunx si veda il capitolo 4).

2.1.5. La costruzione delle volte nel periodo Medievale

Il cantiere medievale è, in genere, un cantiere povero, contraddistinto


dalla difficoltà di trasporto dei materiali, dalla forte presenza di
manodopera poco specializzata, dai tempi dilatati di costruzione. Solo
alcune eccezioni, soprattutto costituite dalle grandi fabbriche monastiche
e dai principali edifici religiosi e civili, presentano accorgimenti tecnici
particolari, indicativi di sofisticati intenti estetici e costruttivi e della
presenza di maestranze itineranti e specializzate. Da questo tipo di
costruzione è quindi possibile delineare uno sviluppo dell’architettura
medievale, in cui il passaggio dalla fase romanica al periodo gotico è
segnato dall’applicazione di strutture voltate sempre più ardite.
Per quanto riguarda le soluzioni tecniche utilizzate per le coperture
voltate delle grandi navate delle basiliche, il principio costruttivo delle volte
medievali è molto diverso rispetto a quello impiegato dai romani. Infatti le
volte del primo periodo imperiale romano, come già detto, erano un
blocco unico, rigidissimo, realizzato in opus caementicium con grande
capacità legante e con inerti costituiti da materiali leggeri come tufi e
pomici. Nell’architettura medievale, invece, i costruttori, pur guardando al
repertorio di forme romane, non possedevano i mezzi tecnici per metterle

23
CAPITOLO 2

perfettamente in pratica; i loro edifici non offrivano un insieme compatto e


i pilastri e i muri, formati da paramenti in pietra con riempimento di malta
spesso mediocre, subivano frequentemente assestamenti disuguali che
causavano fessurazioni. Le murature a sostegno delle volte e delle cupole
non erano tanto solide quanto quelle romane e perciò, a partire dall’XI
secolo, le volte iniziarono ad essere realizzate in laterizio o con conci di
pietra di dimensioni ridotte affiancati l’un l’altro. La volta diventava così un
sistema meno rigido rispetto alle volte romane in opus caementicium e in
grado di assecondare eventuali movimenti delle murature perimetrali.
Questa prima modifica nella realizzazione delle volte però non era
sufficiente a garantire che la struttura non crollasse e quindi, a distanza
regolare, in corrispondenza dei punti di appoggio più resistenti, si
iniziarono ad inserire degli arcs-doubleaux in pietre squadrate, centinati
sotto l’intradosso delle volte. Secondo Viollet le Duc, che, nel suo
Dictionnaire raisonnè de l’architecture francaise (1875), analizza
estensivamente i materiali e le tecniche costruttive medievali e fornisce
interessanti interpretazioni statiche sul comportamento delle strutture
medievale, gli arches doubleaux erano una sorta di centine permanenti
elastiche composte da conci che seguivano i movimenti dei piloni e che si
prestavano al loro assestamento, al loro divaricamento e sostenevano,
come avrebbe fatto una centina in legno, la muratura costruita sopra di
esse (fig. 26)26.
In realtà l’efficacia dei costoloni è stata messa in discussione già
qualche anno più tardi da Pol Abraham che, nel suo lavoro Viollet-le-Duc
et le rationalisme médiéval, pubblicato nel 193527 contesta l’ipotesi di
Viollet le Duc e sostiene che il ruolo strutturale dei costoloni nelle volte
medievali sia poco significativo.
Numerosi studi28 si sono occupati di questo problema, cercando di
comprendere, attraverso l’analisi di casi esemplari, il ruolo strutturale delle
varie parti delle volte a crociera. Tali studi hanno mostrato le enormi
difficoltà legate alla valutazione dell’effettiva efficacia degli elementi
strutturali che costituiscono le volte del periodo medievale, variabili a
seconda del periodo storico, delle caratteristiche dei materiali e delle
tecniche costruttive impiegate.

24
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 26. Arcs Doubleaux di una cattedrale del XII secolo. (Viollet le Duc E., 1875)

Ciò che è certo è che le volta a crociera, razionalmente composta da


archi di sostegno ogivali, che si intersecano diagonalmente, e da archi
perimetrali, due trasversali alla navata e due perpendicolari, scarica il
peso non sull’intera muratura perimetrale, ma su punti determinati dei
supporti e per questo fu possibile sostituire ai muri finestre o sottili divisori.
Gli architetti gotici cercarono di neutralizzare le spinte con controspinte
(per esempio con archi rampanti) o verticalizzando la spinta mediante
pesi verticali (pinnacoli), andando così a creare un sistema dinamico, che,
seppur in maniera molto più articolata, riprende il sistema di spinte e
controspinte già sperimentato dai bizantini.
Il sistema statico elaborato dagli architetti medievali, quindi, si fonda
essenzialmente sul concetto di affidare alla struttura portante delle navate
laterali il compito di garantire la stabilità della navata maggiore. Le
cattedrali gotiche sono perciò caratterizzate da volte a crociera
costolonate con archi a sesto acuto, dallo svuotamento della massa
muraria e dall’assottigliamento delle strutture, tanto da renderle solo uno
scheletro. Le strutture che affiancano la navata centrale si affinano
progressivamente e i cambiamenti che coinvolgono la copertura della
navata centrale si ripercuotono sulle navate laterali, dove si nota, a partire
dal XII secolo, l’introduzione degli archi rampanti, necessari per
contrastare la spinta delle volte della navata centrale29.

25
CAPITOLO 2

Anche dal punto di vista formale, l’architettura medievale introduce


alcune innovazioni importanti. A partire dalla fine dell’XI secolo le volte a
crociera iniziarono ad essere costruite non più come intersezione di volte
a botte, con archi diagonali ellittici, bensì con archi diagonali ad arco di
cerchio, più semplici da realizzare e più stabili in quanto gli archi
longitudinali, trasversali e diagonali diventano strutture portanti, messe in
risalto da costoloni e membrature. Questo comporta inoltre che le chiavi di
incontro delle centine diagonali si trovino ad un livello più alto rispetto agli
archi generatori della volta, in questo modo viene svincolata la chiave
delle volte a crociera.
L’arco a sesto acuto comincia ad essere utilizzato a partire dal 1120-
1130 nell’Ile de France e, quasi contemporaneamente, si sviluppa anche
in Inghilterra30. L’introduzione degli archi a sesto acuto come archi
trasversali e longitudinali, oltre al vantaggio di tipo statico, porta anche un
ulteriore vantaggio formale, in quanto consente di portare la chiave della
volta e la chiave degli archi alle quote volute. La pianta non deve più
necessariamente essere quadrata, ma può essere anche rettangolare, la
chiave può essere alzata e si può superare l’alternanza tra le quote in
chiave di archi trasversali, longitudinali e diagonali.

2.1.6. Sviluppo tecnico e formale a partire dal XV secolo

A partire dal XV secolo, con l’avvio del Rinascimento, nell’architettura


vi fu una riscoperta delle forme utilizzate negli edifici romani: le volte a
vela, le cupole, le volte a padiglione, per lungo tempo inutilizzate,
ritornarono in auge e furono applicate in maniera estensiva, sia
nell’architettura religiosa sia in quella civile.
Le tecniche costruttive erano tuttavia definitivamente mutate e le
volte venivano realizzate quasi esclusivamente in laterizio o in pietra.
Nel Rinascimento veniva prestata grande attenzione ai collegamenti
tra le volte e le murature e i mattoni venivano posizionati secondo
apparecchiature differenti a seconda della tipologia di volta e uniti gli uni

26
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

agli altri mediante l’utilizzo di gesso o di malte di calce con buone


caratteristiche meccaniche (per una trattazione più esaustiva si veda il
paragrafo 2.2.2).
Al di sopra della volta veniva poi collocato il materiale di riempimento
che poteva essere costituito da pietrisco grossolano o ghiaia e che si
opponeva alle deformazioni flessionali della volta stessa, andando tuttavia
ad incrementare il carico su di essa. In alternativa venivano utilizzati
frenelli o costoloni di rinforzo oppure venivano disposte delle lunette nella
regione delle reni: queste aperture avevano il doppio vantaggio di
contrastare la flessione nelle volte e ridurre il volume del riempimento e di
garantire maggiore illuminazione.
I precedenti tipologici antichi rappresentavano un vasto repertorio di
forme e tecniche costruttive a cui ispirarsi e tra il XV e il XVI secolo tali
modelli influenzarono in maniera determinante le scelte formali degli
architetti. L’inventio, ossia il ritrovamento delle proporzioni nascoste, dà
vita ad una nuova architettura e favorisce lo sviluppo di impianti centrici
cupolati31. La cupola inizia ad assumere un ruolo primario all’interno della
concezione degli edifici religiosi e il più celebre esempio di questa nuova
tendenza è certamente rappresentato dalla cupola di Santa Maria del
Fiore, progettata da Filippo Brunelleschi e realizzata con una tecnica,
ideata dallo stesso architetto, in grado di garantire l’autoportanza della
cupola stessa in fase costruttiva32.
Gli esempi di cupole e volte realizzate a partire dal XV secolo
potrebbero essere infiniti, ma ciò che maggiormente può interessare ai fini
del presente lavoro è la comprensione delle principali tecniche impiegate
per la loro realizzazione, e ciò è reso possibile solo attraverso un’attenta
rilettura della trattatistica e della manualistica che si sviluppa a partire dal
XV secolo. Per questo, nei capitoli seguenti, verranno presentati i
principali orientamenti delineatisi tra il XV e il XIX secolo per la
costruzione delle coperture voltate, per il dimensionamento delle parti che
le compongono e per la valutazione della loro stabilità.

27
CAPITOLO 2

2.2. Le volte in muratura: “La regola d’arte” nella letteratura tecnica


tra il XV e il XIX secolo

Per quanto riguarda il tema delle coperture voltate, l’analisi della


trattatistica italiana sembra evidenziare due primi macroscopici problemi:
assegnare un’adeguata nomenclatura ai numerosi tipi di volte adottati
nella prassi costruttiva, antica e moderna, e stabilire quale sia la curva
migliore da assegnare all’intradosso.
Già Leon Battista Alberti (1404-1472), verso la metà del XV secolo,
intendendo far maggiore chiarezza sui nomi da assegnare alle volte, nel
suo trattato De re Aedificatoria, le classifica in volte a botte, volte a
crociera, volte sferiche (cupole) e “altre che sono costituite da una data
parte di queste”33, ossia le semicupole, le volte a vela e quelle a crociera
composte, ossia a creste e vele.
Successivamente, in numerosi altri trattati si ritrova la distinzione tra i
vari tipi di volte in base alla forma dell’intradosso, ma vengono
considerate anche forme nuove. Francesco di Giorgio Martini34 (1439-
1502) nel terzo volume del suo Trattato di Architettura Ingegneria e Arte
Militare, cita le volte a vela, con peducci e con lunette, definendole
“moderne”, mentre Guarino Guarini (1624 -1683), nel suo trattato
Architettura civile, servendosi della geometria descrittiva e della
stereotomia, scienze introdotte solo a partire dal XVII secolo, le distingue
per la prima volta in semplici e composte35, individuando sei forme
elementari dalle quali derivano tutte le altre (fig. 27). In particolare egli
afferma che dalla volta cilindrica, derivano le volte a crociera e le volte a
padiglione, o a conca, e illustra una serie di volte di sua invenzione, come
per esempio quelle che nascono dal cono, quelle a fasce o quelle a fasce
piane, precisando che tali volte sono state da lui sperimentate con grande
successo36 (fig. 28).
Anche Andrea Palladio (1508-1580) nel primo de I quattro libri
dell’architettura illustra, attraverso una descrizione molto concisa e una
serie di figure, i sei modi per realizzare le volte (fig. 29).

28
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig.27. Forme geometriche delle volte. (G.Guarini, 1989, tav. XVII)

29
CAPITOLO 2

Fig. 28. Esempi di volte a fasce, a fasce piane e piane. (G.Guarini, 1989, tav.
XVII)

30
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 29. Le sei tipologie di volte proposte da Palladio. (Palladio A., 1980, 73)

L’architetto spiega inoltre che le cupole, le volte a crociera, a fascia,


a remanato sono sempre state usate anche dagli antichi, mentre quelle a
lunette e a conca “sono stata ritrovate dai moderni”37.
La terminologia utilizzata dal Palladio è alquanto ricca di riferimenti
linguistici e dialettali veneti, ma osservando le immagini che riporta nel
testo (fig. 29) e sfruttando le note al capitolo XIV del Libro III, si può
dedurre che l’autore chiama a fascia le volte a botte, a remanato le volte
costituite da porzioni di semicerchio, a conca le volte a botte con teste di
padiglione, a lunette le volte a conca lunettate ed infine rotonde le cupole.
A partire poi dal XVIII secolo, le volte iniziano ad essere distinte in
base al sesto della loro direttrice o alla forma della generatrice38.
Francesco Milizia (1725-1798) per esempio specifica che le volte a botte
possono essere a pieno centro o a tutto sesto, rialzate o sceme, oppure,
in funzione della curva direttrice, rette, rampanti, anulari o a spirale.

31
CAPITOLO 2

Ovviamente la scelta della forma dipende dalla geometria dell’area


da coprire, dalla forma degli appoggi e dalla freccia massima di cui si può
o si vuole disporre39. La forma più comune per le piante da coprire è
quella quadrata o rettangolare, alle quali ben si adattano le volte a botte, a
botte lunettate, a botte con teste di padiglione, a schifo, a padiglione, a
crociera, a vela (figg. 30-36). Queste sono ovviamente le più diffuse,
citate dalla maggior parte dei trattatisti, tuttavia ne esistono svariati tipi. Il
Breyman (1845-1925) descrive per esempio anche le volte a imbuto
(anche dette a ventaglio) su pianta quadrata e avente per direttrice un
arco a tutto sesto (fig. 37) e la volta ad imbuto su pianta rettangolare,
avente per direttrice un arco a sesto acuto.
Per quanto riguarda il sesto delle volte, l’arco a tutto sesto, anche in
omaggio all’architettura antica, viene generalmente indicato come il più
solido e come un arco che non necessita di incatenamenti, tuttavia, dal
punto di vista estetico, vengono preferite le volte con una freccia inferiore
alla semiluce, nonostante queste abbiano bisogno di catene metalliche
assicurate nei due lati del muro40. Le volte policentriche, inoltre, vengono
preferite a quelle a sesto ribassato.
Nel XVIII secolo, per le volte realizzate a copertura degli ambienti, la
freccia è legata all’altezza degli ambienti stessi, infatti Milizia scrive: “i
soffitti a volta sono più dispendiosi de’ piani, ma sono anche più belli, e
questi sono promiscuamente impiegati nelle grandi, e nelle piccole
camere, ed occupano fino da 1/5 fino a 1/3 dell’altezza della camera,
secondo essa è più, o meno alta. Se la camera è bassa relativamente alla
sua larghezza, la volta deve parimenti esser bassa; e quando quella è
alta, anche la volta deve esserlo: in questa guisa l’eccesso dell’altezza si
va a render meno percettibile. Ma dove l’architetto ha la libertà di
proporzionare l’altezza della camera alle sue dimensioni superficiali, la
proporzione più eligibile per la volta è 1/4 dell’intera altezza. Nelle camere
parallelogramme il mezzo del soffitto è generalmente formato di un gran
riquadro piano, o dipinto, o adorno di compartimenti, o di altri ornamenti,
secondo la decorazione è ricca, o semplice. Questo riquadro, col suo
bordo che lo circonda, occupa dalla 1/2 fino ai 3/5 della larghezza della
camera.

32
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

La figura della volta è generalmente un quadrante di circolo, o di una


ellissi, che per essere ben veduta dall’estremità del luogo deve nascer un
poco sopra la cornice, e finire al bordo, che circonda il gran riquadro nel
centro “.41
Nel XIX secolo sembra essere ormai chiaro che la freccia delle volte
non è solo una questione proporzionale, ma è legata anche alla stabilità
della volta stessa e infatti Luigi Cattaneo, nella sua Arte muratoria (1889),
afferma che “la freccia delle volte, quando non dipende dalla forma, è
preferibile intera come quella che, a eguale apertura, produce minor
spinta. Nelle case d’abitazione ove si deve render minima l’altezza dei
piani, si ricorre alle volte sceme. La resistenza alla spinta essendo
maggiore nei muri inferiori, sovraccaricati dai superiori, si suole variare la
monta delle volte dai piani inferiori ai superiori. Ritenuto 1/12 il limite
minimo del rapporto fra saetta e corda, si vuole adottare pel piano terreno
questo rapporto fra 1/10 e 1/11, pel primo piano fra 1/9 e 1/10, pel
secondo piano fra 1/8 e 1/9, pel terzo piano fra 1/7 e 1/8: nei sotterranei
sarà preferibile la volta a tutto sesto, o non al di sotto del rapporto di
1/5”42.

Fig. 30. Volta a botte. Fig. 31. Volta a botte con lunette.

33
CAPITOLO 2

Fig. 32. Volta a botte con teste Fig. 33. Volta a specchio o a schifo.
di padiglione.

Fig. 34. Volta a padiglione. Fig. 35. Volta a crociera.

Fig. 36. Volta a vela. Fig. 37. Volta a imbuto o a ventaglio su


pianta quadrata. (Breyman, 2003, 12)

34
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

2.2.1. La centina e le armature di sostegno

Come è ben evidenziato nel manuale di architettura di Cantalupi43 e


anche in testi successivi44, sono quattro le fasi essenziali per la
costruzione delle volte: la costruzione dell’armatura e delle centine;
l’esecuzione della volta sull’armatura; il disarmo; i lavori complementari da
eseguirsi dopo il disarmo45.
Per la costruzione di una volta era necessario realizzare una struttura
lignea provvisoria, chiamata centina o armatura. La centina doveva
innanzitutto essere in grado di sostenere la struttura prima che la volta
fosse completata e che la malta avesse fatto presa e, inoltre, doveva
creare una superficie curva avente la forma dell’intradosso, che avrebbe
dovuto fungere da guida per la posa dei conci.
Nei trattati di architettura viene dedicato ampio spazio a questo
argomento in quanto la messa in opera delle armature per le volte di
grandi dimensioni, sia per la difficoltà geometrica nel tracciamento della
curva di intradosso, sia per il fatto che queste avrebbero dovuto essere
abbastanza resistenti da poter reggere, in corso d’opera, l’intero peso
della volta, ha sempre costituito una delle fasi più delicate dell’intero
processo costruttivo e ha sempre rappresentato una delle imprese più
impegnative con cui l’ingegno dei costruttori ha avuto modo di scontrarsi.
Scrive infatti il Valadier (1762-1839): “per conoscere quanto interessante
sia la formazione delle armature, convien riflettere, che se nel costruire un
arco o una volta, l’armatura sulla quale si affida il peso delle pietre o
materiale componente questa costruzione venisse a cedere, prima di
stringere il tutto col serraglio46, anche in piccolissima parte, tutto il lavoro
insensibilmente si scomporrebbe, se fosse poco il cedimento; e potrebbe
anche precipitar tutto, se il cedimento fosse molto”47.
A partire dalla seconda metà del XVIII secolo si ritrovano manuali e
trattati in cui viene dedicato ampio spazio al calcolo del peso delle volte
sull’armatura e alla determinazione dello spessore della stessa. Per
esempio Milizia nel 1785, nella parte terza del suo trattato, specifica che
le armature non devono sostenere tutto il peso delle volte in quanto parte
del peso sarà sorretto dai piedritti48, mentre Leonardo Salimbeni nel suo

35
CAPITOLO 2

Degli archi e delle volte descrive in maniera dettagliata i calcoli da farsi


per determinare le azioni agenti sull’armatura in fase costruttiva49.
Un ulteriore problema nella costruzione delle centine era legato al
recupero del legname necessario per la loro realizzazione.
Per questo, in alcuni casi, l’uso delle centine poteva essere limitato
ad alcune zone delle volte, come accadde per esempio per le volte
nervate del periodo medievale, oppure riservato alla zona compresa fra le
reni. In questo caso, per la zona in prossimità dell’imposta, la stabilità
della struttura in fase costruttiva era affidata alla capacità dei conci di
resistere allo scorrimento grazie alla forza di attrito che si veniva a creare
tra i giunti che, essendo poco inclinati, erano in grado effettivamente di
reggersi senza l’ausilio di centine.
Un altro espediente, utilizzato ampiamente dai romani, ma ripreso
anche in epoche più recenti per ridurre l’impiego del legname, consisteva
nel realizzare, specialmente per volte e cupole impostate a grande
altezza, armature a sbalzo ancorate nel piedritto o armature aeree
appoggiate direttamente all’imposta ossia nel punto d’innesto della volta o
dell’arco. In questo caso venivano preparate delle sporgenze, che
potevano anche assumere funzione decorativa di cornici, a livello
dell’ultimo filare orizzontale e su queste sporgenze si installavano le
centine (si vedano per esempio il Pantheon e il Pont du Gard).
Eccezionalmente il problema legato al rinvenimento del materiale e
alla realizzazione della carpenteria fu aggirato, in maniera geniale,
ideando strutture voltate autoportanti: basti pensare al celebre esempio
della cupola di Santa Maria del Fiore, o anche alle piccole cupole
autoportanti diffuse a Firenze nel XV secolo50.
Per la realizzazione delle centine, comunque, venivano
generalmente impiegati materiali già presenti in cantiere, come tavole,
tavoloni, montanti, corde e chiodi, anche se Vitruvio consigliava di
prestare attenzione all’essenza utilizzata, suggerendo di impiegare quei
legni che raramente vengono attaccati da parassiti, come ad esempio il
cipresso e il rovere, mentre sconsigliava vivamente la quercia perché
“torcendosi nelle opere, dove è posta, si fende”51. Secondo il parere di
molti trattatisti, infatti, la centina dovrebbe essere fatta con un buon

36
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

legname, essere stabile e indeformabile e presentare un manto


perfettamente corrispondente al sesto della volta52.
L’armatura era costituita da due parti principali: la centinatura o
incavallatura, che andava a formare la struttura resistente e un’atra
chiamata manto, completamente sostenuta dalla prima, destinata a creare
la superficie curva sulla quale si costruisce la volta53.
Nella trattatistica e nella manualistica del XIX secolo iniziano ad
essere esaustivamente analizzate le due principali fasi costruttive delle
centine. La prima fase era quindi quella di preparare la curva
dell’intradosso. Giovanni Codazza, nel suo manuale Nozioni teorico-
pratiche sul taglio delle pietre e sulle centine delle volte (1844), scrive:
“Quando la volta debba costruirsi in muratura, allora sull’insieme delle
centine si stabilisce il manto formato di tavole o assicelle pieghevoli
inchiodate sulle centine istesse per cui si ottiene quella superficie quasi
continua che deve confondersi coll’intradosso della volta. Quindi la
difficoltà geometrica è ridotta ad assegnare la curvatura esatta delle
centine che devono sostenere il manto e la loro più conveniente
distribuzione”54 e dedica tutta la seconda parte del trattato al tracciamento
delle curve dell’intradosso, sottolineando la difficoltà geometrica nel
tracciare tali curve specialmente per le volte “penetrantesi”, ossia per le
volte composte.
Anche Breymann, nel suo trattato Costruzioni in pietra e strutture
murali, illustra alcuni semplici metodi per il tracciamento delle curve usate
più frequentemente (ellissi, policentriche, ecc.).
Per esempio per il tracciamento dell’ellisse, utilizzata per le diagonali
delle volte a padiglione, Breymann descrive il metodo detto delle
proiezioni, che permette di definire alcuni punti della curva, che poi
sarebbe stata completata a mano libera.
Tale metodo (fig. 38, dove AB è la corda e CD la monta dell’arco)
prevedeva prima di tutto il tracciamento di una retta AB’=2CD, formante
un angolo qualunque con la retta AB, e la descrizione su AB’ di una
semicirconferenza. Era poi necessario dividere la linea AB’ (per maggiore
comodità simmetricamente dal centro verso i due estremi) in un numero
qualunque di parti ab, bd,.., ed elevare dagli estremi dei segmenti

37
CAPITOLO 2

individuati le perpendicolari alla AB’, che avrebbero incontrato la


semicirconferenza nei punti l, m, n, ...
Anche la retta AB doveva essere divisa in altrettante parti uguali fra
loro o proporzionali ai segmenti individuati sulla AB’ e dai punti a’, b’, c’ si
sarebbero dovute tracciare le ortogonali alla AB di lunghezza pari
rispettivamente alle perpendicolari condotte da a,b,d,… ottenendo così i
punti l’, m’, n’, appartenenti all’ellisse cercata55.
Un altro metodo per il tracciamento dell’ellisse descritto dal
Breymann, più semplice rispetto al precedente, consisteva nel
determinare i fuochi tracciando una circonferenza centrata in un estremo
dell’asse minore e con raggio pari alla metà dell’asse maggiore (fig. 39) la
circonferenza disegnata intersecava l’asse maggiore nei punti E ed E’ di
modo che DE fosse uguale a DE’ e a AC, oppure:

C ' E = CE ' = AC 2 − DC 2

dove AC è la semicorda e DC la monta.


A questo punto, fissando due spilli nei fuochi e avvolgendo attorno a
questi un filo senza fine, la cui lunghezza deve essere uguale al perimetro
del triangolo EDE’ (fig. 39 a) o EBE’ (fig. 39 b), era possibile tracciare
l’ellisse cercata disponendo semplicemente una matita nel filo e
muovendola tenendo sempre teso il filo compreso fra gli spilli (questo
metodo era comunemente chiamato “metodo del giardiniere”).
Era piuttosto frequente utilizzare, al posto dell’ellisse, la linea
policentrica (detta a paniere) sia per l’intento di creare un arco più
resistente nei punti d’imposta e di chiave, anche se in realtà dove si
succedono due archi di cerchio di diversa curvatura si veniva a creare
nell’arco della volta un punto più debole, sia per la difficoltà di costruzione
dell’ellisse in assenza di conoscenze geometriche certe.
Questa linea era costituita da una serie di archi di cerchio,
caratterizzati da raggi e da centri diversi, disposti in modo da succedersi
l’un l’altro senza discontinuità. Il raggio maggiore difficilmente aveva una
lunghezza superiore al doppio della corda dell’arco, perché questo in
chiave non diventasse troppo piatto, mentre il raggio più piccolo aveva

38
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

sempre una dimensione tale per cui la linea policentrica al piede


assumesse una certa ripidità ed acquistasse con ciò una maggiore
apertura.
La forma dell’intradosso della volta veniva segnata sul terreno e,
disponendovi sopra le tavole di legno, queste venivano tagliate secondo
la linea tracciata e chiodate56. Scrive infatti il Curioni (1831-1887): “le
centine di cui si è parlato vengono costrutte preparandosi sul terreno una
superficie piana e per quanto si può orizzontale, descrivendo su detta
superficie in grandezza naturale la curva secondo cui superiormente deve
essere foggiata la centina, e tagliando i diversi pezzi di tavole in modo
che, disponendoli sul sito che loro spetta, vengano precisamente ad
adattarsi colla loro parte convessa a detta curva. Una volta preparati tutti i
pezzi che devono comporre un’armatura, si procede al loro
inchiodamento”. 57

n' D o'
n' D o' m' p'
m' p'
q' l' q'
l'

A a' b' d' c f' g' h' B A a' b' d' c f' g' h' B
a
b a
d b
l
l c d
f
m
m g c
n h
n f
D B' g
o
p q
D
o h
p
q B'

Fig. 38. Metodo della proiezione utilizzato per il tracciamento di un’ellisse.

39
CAPITOLO 2

A E C E' B A C B

a b
E'

Fig. 39. Metodo per il tracciamento dell’ellisse.

Una volta stabilita la forma delle centine si procedeva alla loro messa
in opera.
Le centine dovevano essere disposte ad una distanza variabile da 50
cm a 1 m l’una dall’altra a seconda del peso della volta e, nel caso di volte
composte, dovevano innalzarsi almeno negli spigoli e nel mezzo dei muri
d’imposta, in direzione a loro perpendicolare, per potervi sovrapporre il
manto.
Secondo i precetti di Philibert Delorme (1514-1570), ripresi
successivamente dal Curioni, le tavole componenti le centine potevano
avere la lunghezza di metri 1,50 mentre la larghezza e lo spessore
avrebbero dovuto variare in funzione della maggiore o minore corda
dell’arco58.
La disposizione e le dimensioni degli elementi che componevano
l’armatura, infatti, variavano in funzione sia della luce sia dello spessore
delle volte.
Così, per volte e archi con luci fino a circa 1,5 m e con frecce limitate,
veniva impiegato il cosiddetto tamburo, una struttura costituita da due o
più tavolati, sorretti da ritti fiancheggianti le spalle, che presentavano il
contorno superiore corrispondente alla curva dell’intradosso e che
venivano collegati fra loro con listelli formanti il manto59 (fig. 40). A volte i
tavoloni di legno potevano essere irrobustiti con altre tavole inchiodate,

40
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

ottenendo così strutture ancor meno deformabili, ma con l’impiego di


maggiore quantità di legname.
Per volte con luci limitate (4-5 m) bastavano due puntoni e un monaco
per sostenere le tavole formanti la curvatura e il manto (fig. 41). Per volte
con luci maggiori (fino a 12 m) era necessario mettere ulteriori rinforzi in
chiave e alle reni e dividere l’armatura in due parti, aggiungendo un
puntone sotto ogni colonnetta e unendole con un monaco (fig. 42)60.
Le centine per le volte di grande luce erano evidentemente le più
complesse e robuste. In genere si mettevano in opera centine a catena o
poligonali a incavallatura doppia, per le quali occorrevano essenze di
legname diverse secondo la funzione strutturale di ciascun elemento: di
solito corde, monaci e saette erano di castagno, mentre piane e tavole
erano di quercia o di abete, essenze aventi analoghe caratteristiche di
durezza; trovavano pure applicazione legni dolci, ma resistenti all’umidità,
tra cui l’olmo, l’ontano, e il pioppo bianco che costituivano le armature per
i lavori minuti61.
I modi per realizzare tali centine erano molteplici, alcuni esempi noti
nel primo XIX secolo sono forniti dal Valadier nel suo trattato L’architettura
pratica dettata nella scuola e cattedra dell’insigne accademia di S. Luca
(fig. 43) 62, in cui l’autore descrive, con dovizia di particolari, le parti che
compongono l’armatura e i modi per assemblarle.

41
CAPITOLO 2

Fig. 40. Centinatura in legname realizzata con il tamburo, una struttura costituita
da due tavolati, sorretti da ritti fiancheggianti le spalle. (Cattaneo L., tav 23, in
Manuale della Città di Castello)

Fig. 41. Centine per piccole aperture (4-5 m) composte da due puntoni (P), dal
monaco (M),dal tirante (T) e dalle forme (F) applicate direttamente sui puntoni (a)
oppure, per archi con grande freccia, su colonnette poste fra i puntoni e le forme
stesse (b). (Levi C., 1932, 421)

Fig. 42. Centina per luci fino a 10-12m, con puntoni e monaco principali (P e M) e
quattro puntoni perimetrali con due monaci. (Levi C., 1932, 421)

42
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 43. Centine per volte di grande luce. Nella figura 1 gli architravi A poggiano
sulle colonne B e i due saettoni C si assicurano con “ganasse” D agli architravi; i
cosciali F di travicello o di piana G col saettoncino H si appoggiano al pilastro ad
una testa E. Nella figura 2 è rappresentata una centina a sbalzo. (Valadier, 1992,
Tav. CCLXIV)

43
CAPITOLO 2

Levi suggerisce un altro modo piuttosto insolito, noto nel XX secolo,


per creare le centine. Per le volte delle fabbriche egli consiglia
un’armatura composta da tavole accoppiate, simili a quelle usate per gli
archi, e tavole superiori formanti il manto su cui, per avere l’esatta
superficie di intradosso, veniva steso un sottile strato di sabbia. Per
sostenere le centine Levi suggerisce di disporre, a circa a 30 cm sotto al
piano d’imposta della volta, un ponte di servizio costituito da ritti verticali
in legno posti lungo le pareti e al centro della volta, da travi correnti lungo i
muri e colleganti le teste dei ritti e da traversoni poggianti sui correnti in
corrispondenza dei ritti e diretti normalmente ai muri; su questi traversoni
suggerisce di chiodare le tavole che servivano a collegarli, a dare un
piano di passaggio e a sostenere i corti puntelli che vengono distribuiti
sotto ogni centina a distanza di circa 1 m l’uno dall’altro63 (fig. 44).
Come già detto, le modalità realizzative delle centine variavano non
solo in funzione della luce della volta, ma anche in relazione allo spessore
della stessa. I manualisti ottocenteschi, come ad esempio Curioni,
distinguono infatti le volte in sottili e grosse. Le volte sottili sono quelle di
piccolo spessore, che si costruivano generalmente con un unico corso di
mattoni, quelle grosse invece venivano realizzate con grossi cunei di
pietra pesanti o con due o più filari di mattoni.
Le centine comunemente usate per volte leggere erano costituite da
archi formati da tavole tagliate secondo la curvatura dell’intradosso e unite
tramite chiodi. L’immagine in figura 45, tratta da L’arte di fabbricare del
Curioni, rappresenta una centina circolare formata da due ordini di tavole
sovrapposte64.
Nel caso delle volte leggere la centina poteva essere ridotta al
minimo indispensabile. Venivano, infatti, predisposti archi lignei formati
da tavole in coltello accoppiate a giunti sfalsati e segate secondo la curva
dell’intradosso, distanziati ad intervalli regolari; altre tavole, sistemate in
piano tra una centina e l’altra nel senso della lunghezza, realizzavano il
manto65.
Per la costruzione invece delle volte di grande spessore erano
necessarie armature più robuste e i cavalletti venivano realizzati con
solide travi in modo da costituire un sistema reticolare triangolare o

44
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

poligonale. Inoltre, per formare la curva dell’intradosso, si ponevano sopra


le travi perimetrali le cosiddette forme, cioè dei pezzi di legno tagliati
secondo la curvatura desiderata. Veniva poi eseguito il manto, realizzato
con tavole o con tavoloni, se la volta doveva essere costruita con materiali
di piccole dimensioni, oppure con travetti o dossali posti a conveniente
distanza l’uno dall’altro, nel caso di volte in pietra da taglio.
Per volte particolarmente pesanti veniva utilizzata un’ incavallatura,
impiegata anche per i tetti, formata da una trave (corda) e da travicelli
squadrati (paradossi) connessi con incastro a maschio e femmina e
formati con chiodi ribattuti (fig. 46). Sopra l’incavallatura venivano
generalmente poggiate tavole (tavoloncelli o piane) destinate a sostenere
il “pasticcio”, ossia un composto di mattoni in pezzi e calcinaccio con
aggiunta di terra liquefatta, necessario per dare il garbo alla volta.
I cavalletti venivano di solito montati su sostegni verticali, detti
colonne, e inclinati, detti saettoni, collegati con traverse di irrigidimento
(sbadacci) e uniti da elementi di raccordo (battelli, cuscini, zeppe). Questa
struttura veniva spesso integrata con inserti in muratura collocati nei punti
critici, in modo tale che le mensole al livello d’imposta o gli incassi nei
piedritti andassero a sostituire i ritti in legname per l’appoggio
dell’architrave e i muretti di mattoni centinati fungevano da riempimento
del manto. L’impiego di queste armature miste viene indicato dalla
manualistica ottocentesca come peculiarità della prassi costruttiva italiana
e trova una spiegazione nell’esigenza di contenere i costi delle opere
provvisionali, confidando nelle risorse dell’arte muratoria più che nella
scelta di materiali pregiati66.
Qualunque fosse il sistema adottato nella costruzione di un’armatura,
era indispensabile che i diversi sistemi o cavalletti fossero collegati e resi
fra loro solidali con saette orizzontali o inclinate, o meglio ancora con delle
crociere di travi convenientemente disposte.
Infine, per quanto riguarda il manto sopra le centine, alcuni trattatisti
specificano che tale manto doveva essere continuo e costituito da tavole
non molto larghe, in modo da riuscire a ricreare una spezzata che si
avvicinasse alla curva dell’intradosso. Veniva invece sconsigliato l’uso di
tavole di grandi dimensioni in quanto avrebbe portato alla creazione di

45
CAPITOLO 2

una volta sfaccettata; in mancanza di tavole, come già sottolineato nella


trattatistica quattrocentesca, si suggeriva l’uso di stuoie fatte con canne o
graticci di vimini67, oppure, riprendendo una pratica in uso presso i
romani, anche a causa della scarsità di legname, si preferiva usare tavole
di piccole dimensioni posate però ad un interasse variabile da uno a due
piedi 68.
In alcuni casi, sopra il manto, veniva posato uno strato di terra o di
sabbia battuta dello spessore di 3 o 5 cm, con funzione di garbo, ossia di
regolarizzare la superficie, la quale prendeva il nome di aggraziatura69.

Fig. 44. Armatura composta da tavole accoppiate. Sotto al piano d’imposta della
volta era posto un ponte di servizio costituito da ritti verticali in legno. (Levi C.,
1932, 310)

Fig. 45. Centina circolare formata da due ordini di tavole sovrapposte chiodate.
(Curioni G., 1870, tav XXVI)

46
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 46. Armature fisse per volte di grandi dimensioni. (Curioni G., 1870, tav.
XXVIII)

47
CAPITOLO 2

2.2.2. Esecuzione della volta in muratura

Fin dal XV secolo la trattatistica è concorde nel sostenere che la


tecnica costruttiva che permette di realizzare le strutture voltate è la
stessa usata per i muri70. Alberti sostiene che “l’ossatura infatti si stenderà
interamente fino al culmine della volta prolungandosi dall’ossatura stessa
dei muri, essendo costruita qui con le stesse regole dell’altra, e i suoi
elementi terranno fra loro una distanza determinata”71.
Nella volta tuttavia i filari “sono curvi e tutte le giunture delle pietre
sono rivolte verso il centro del proprio arco”72. Anche Durand (1760-1834),
parlando delle volte in pietra, afferma che la stessa tecnica utilizzata per
la costruzione dei muri può essere applicata a quella delle volte,
“coll’avvertenza che nei muri le pietre hanno la forma di parallelepipedo;
nelle volte invece la forma di cuneo”73.
Leon Battista Alberti aggiunge che “è però consigliabile che in esse
(volta a crociera e a botte) i primi filari e i piedi degli archi siano fondati su
basi solidissime. Non è bene quindi procedere a somiglianza di coloro che
dapprima inalzano per intero i muri, lasciando soltanto sporgere i peducci
delle mensole, i quali in seguito, trascorso un certo tempo, affidano il
sostegno della volta: lavoro poco solido e malfido. A mio parere occorre
invece costruire insieme, filare per filare, gli archi e i muri cui si
appoggiano, in modo che il lavoro possa essere provvisto di più legami,
saldi quanto più si può”74.
Per collegare ulteriormente l’imposta con la volta veniva realizzato un
rinforzo nella zona delle reni: la volta, infatti, non spicca improvvisamente
dal paramento murario, ma, grazie al così detto rinfianco, risulta solidale
alla muratura fino a circa 30° dall’imposta.
Anche i materiali impiegati erano gli stessi utilizzati per le strutture
verticali. Questo è chiaramente ribadito dal Curioni, il quale scrive che “le
volte, altro non essendo che una costruzione murale, al pari dei muri si
distinguono in volte di pietra, in volte laterizie, in volte alla rinfusa di getto
o in volte cementizie ed in volte miste. Le volte di pietra sono quelle che
vengono costrutte col solo impiego di pietre naturali; il nome di volte
laterizie si attribuisce a quelle che vengono fatte con materiali in terra

48
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

cotta, come mattoni, mattonetti, mattoni cavi, mattoni vuoti, vasi leggieri;
si chiamano volte alla rinfusa, di getto o cementizie quelle che risultano
dall’impiego di buon calcestruzzo; e finalmente si dicono volte miste
quelle che sono formate con muramenti di struttura diversa”75.
Secondo la trattatistica ottocentesca, la volta più solida e duratura era
realizzata in pietra da taglio, nonostante nella prassi costruttiva venisse
preferita per questioni di economia e di maggiore leggerezza, la volta di
laterizi76.
Anche Jean-Baptiste Rondelet (1743-1829) nei dieci volumi
dell’opera Trattato teorico e pratico dell’arte del ben costruire, fornendo
precise istruzioni sul trattamento superficiale dei conci, sulla loro messa in
squadro con la centinatura e sulla delicata questione delle giunzioni, non
tralascia di considerare le difficoltà tecniche legate alla costruzione di
volte in pietra da taglio e la carenza di maestranze in grado di eseguirle.
Secondo Rondelet la costruzione delle volte in pietra da taglio è
preferibile, soprattutto “per le volte d’un grandissimo diametro, a quelle in
mattoni o in rottami, quando non si può dare ad esse che un pochissimo
spessore”77.
Con i conci in pietra molto più spesso veniva realizzata l’ossatura
portante della volta, la quale veniva poi completata con mattoni in
laterizio.
Alberti afferma che i conci con cui si costruisce l’arco devono essere, a
suo giudizio, di pietre squadrate e, dove possibile, di grandi dimensioni78.
Generalmente l’impiego della pietra da taglio era limitato ai casi più
importanti a causa delle difficoltà di lavorazione e dell’alto costo e quindi
era consigliato soprattutto per realizzare i “monumenti che sono destinati
a perpetuare la memoria degli uomini illustri…Così vediamo essere stati
sempre costrutti in pietra da taglio, gli archi di trionfo, le colonne alla
memoria degli imperatori.”79.
Le volte in pietra concia, infatti, nonostante la loro resistenza,
necessitavano di complesse lavorazioni per la preparazione dei singoli
conci, i quali dovevano essere squadrati in modo da combaciare
perfettamente tra loro per trasmettere in modo uniforme le relative
tensioni80. Era inoltre necessario provvedere all’esecuzione di disegni

49
CAPITOLO 2

particolari per la rappresentazione dei conci dalle forme più complesse


(fig. 47).
Era inoltre risaputo che le volte, per non gravare troppo sui piedritti,
dovevano essere il più leggere possibile. Il materiale che meglio si
prestava per la realizzazione di una struttura voltata era quindi il mattone,
estremamente leggero e semplice da posare. Come scriveva infatti Luigi
Cattaneo, “la struttura delle volte laterizie conviene per economia,
leggerezza e resistenza.”81
Nelle volte in laterizio assumeva un’importanza notevole la
disposizione dei mattoni che, soprattutto nelle volte di piccola corda,
poteva influenzare il comportamento della struttura stessa.
Rondelet descrive le due differenti possibili disposizioni dei mattoni per
formare una volta: “si possono mettere in coltello secondo la larghezza, o
piani come per i mattonati, in ragione della forza e del collegamento che
si vuole dare alle volte”82.
Per la volta a botte i mattoni posati in costa potevano essere sistemati
secondo diverse tessiture: a filari longitudinali, trasversali, longitudinali e
trasversali, a spina-pesce83.
Il metodo più semplice consisteva nell’impiegare l’apparecchiatura a filari
longitudinali, ossia disponendo i corsi di mattoni paralleli alle linee
d’imposta; con tale apparecchiatura tuttavia, per corde di notevoli
dimensioni e frecce piuttosto ribassate, i giunti in chiave risultavano
pressoché verticali e paralleli. In questi casi si preferiva quindi procedere
disponendo i mattoni a 45° rispetto ai lati della pianta84 (fig. 48). I mattoni
venivano disposti iniziando contemporaneamente dai quattro angoli e
procedendo in maniera simmetrica verso il centro85. I filari, che in pianta
risultano rettilinei, sono in realtà archi zoppi ellittici che si incrociano lungo
le due linee di mezzeria della volta e ciò richiedeva una maggiore abilità
da parte degli esecutori, che dovevano riuscire a far aderire i mattoni al
manto e soprattutto a far collimare i mattoni lungo la mezzeria86. Con
questa disposizione dei filari si individua anche un tentativo da parte dei
costruttori di far agire la spinta non solo sulla muratura longitudinale, ma
in parte anche sui muri di testa.

50
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 47. Apparecchio in conci di pietra per volte a vela su muratura continua.
(Codazza, 1844, tav XV)

Fig. 48. Apparecchiatura per volte a botte: apparecchiatura a filari longitudinali (a);
apparecchiatura con mattoni a 45° rispetto ai lati della pianta (b). (Levi C., 932,
311)

Un metodo alternativo a quello appena descritto, impiegato in


particolare per volte ribassate e dotate di muri di testa, consisteva nel
disporre i mattoni a 45° partendo però dal centro e proseguendo fino al
perimetro della volta. Questa apparecchiatura, rispetto alla precedente,

51
CAPITOLO 2

risultava più indicata per volte non intonacate grazie alla maggiore
regolarità della costruzione87 (fig. 49).
La disposizione per filari trasversali era invece frequentemente usata
in quanto, creando una serie di archi paralleli ed uguali all’arco di testa, si
aveva il vantaggio di creare archi che, una volta chiusi, iniziavano da
subito a sorreggersi, sgravando così la centina sottostante. In questo
modo si poteva anche realizzare la volta per porzioni successive, con
notevole risparmio di legname per le armature (fig. 50).
Per le volte a padiglione, costituite da fusi ricavati dalla volta a botte,
venivano generalmente utilizzate le stesse apparecchiature impiegate
nelle volte a botte e quindi i filari venivano in genere disposti in ciascuno
dei fusi, rettilinei e paralleli alla rispettiva retta d’imposta88. Le diagonali
costituivano però un punto debole, infatti frequentemente si lesionavano,
come verrà puntualizzato nella seconda parte di questo lavoro; per evitare
questo inconveniente veniva spesso utilizzata una disposizione con filari
perpendicolari alle diagonali, come verrà illustrato nel paragrafo 2.3.
Nel caso di volte a padiglione su pianta poligonale (in genere
ottagonale), poiché lo spigolo non forma un angolo di 45°, era necessario
tagliare i mattoni per riuscire a creare il collegamento lungo la diagonale.
Spesso i filari potevano allora essere posati a spinapesce (fig. 51),
nonostante anche questa disposizione richiedesse particolari cure nella
realizzazione dei collegamenti al centro del fuso, lungo il quale si
creavano sovente delle fessure89.
Per le volte a botte con teste di padiglione, invece, la tessitura più
usata comportava la collocazione di filari paralleli alle imposte per tutti e
quattro i lati fino a circa un terzo della freccia. Si procedeva quindi
realizzando filari diagonali in corrispondenza di ogni angolo fino a quando
questi non si fossero incontrati sul lato più corto e, infine, si proseguiva
disponendo i filari paralleli al lato più corto90. Questa tecnica consentiva di
smussare leggermente gli angoli nelle zone in cui i mattoni erano disposti
a 45° rispetto all’imposta, nel tentativo di creare un maggiore
collegamento e di rinforzare quella zona in cui, come verrà spiegato
meglio nella seconda parte del presente studio, si sviluppano gli sforzi
maggiori (fig. 52).

52
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 49. Apparecchiatura per volte a Fig. 50. Apparecchiatura per volte a
botte con mattoni posti a 45°. Grazie botte con filari trasversali. (Astrua G.,
alla regolarità della disposizione dei 1996)
filari questa apparecchiatura era
indicata per volte non intonacate.
(Breymann G. A., 2003, 39)

Per volte a specchio o a schifo, ossia per quelle volte a padiglione


tagliate ad una certa altezza con un piano orizzontale, venivano impiegati
principalmente filari longitudinali per le porzioni di volta a botte e filari
disposti a 45°, in alcuni testi definiti a spinapesce91, per lo specchio
centrale. È noto che potevano essere posti in angolo dei conci di pietra
opportunamente sagomati su cui poggiava lo specchio, con il fine di
irrigidire la struttura92 (fig. 53).

53
CAPITOLO 2

Fig. 51. Apparecchiatura per volte a Fig. 52. Apparecchiatura per volte a
padiglione. (Protti E., 1935, 85) botte con teste di padiglione. (Protti E.,
1935, 83)

In alternativa a questa apparecchiatura, potevano essere impiegati


filari disposti a 45°, o a spinapesce, per l’intera volta (fig. 54).
Per la copertura dei piani fuori terra comunemente venivano preferite
le volte di quarto, dette anche in foglio, in cui i mattoni venivano posti di
piatto. Queste volte, estremamente leggere ed economiche, esercitando
una spinta minore sui piedritti, venivano impiegate con sicurezza fino a
larghezze di 6÷8 m. La freccia di queste volte era di solito piuttosto
piccola (circa 1/5÷1/8 della corda) e di regola si impostavano per alcuni
filari con lo spessore di una testa. Anche il Valadier, esponendo i vari
modi per realizzare le volte, cita la disposizione dei mattoni posati “in
piano”, ossia in foglio. Egli scrive: “questa maniera si pratica per le stanze,
chiese, gallerie, ec. e ne’ paesi dove abbonda il gesso, benché possono
praticarsi ancor colla calce, ma passata a crivello sottile, e perché siano
forti maggiormente (se siano di diametro non piccolo) si costruiscono nel
di sopra de’ fascioni di soli mattoni in coltello, i quali danno forza a’
frapposti specchi di un sol mattone di grossezza e spianato, possono

54
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

sostenere il mattonato. Se poi devono restare nella parte superiore


inoperose si lascino senza la rinfiancature. Se vi saranno finestre
potranno farvisi delle lunette” 93.
Nelle volte di quarto a botte o a botte con teste di padiglione, le più
usate negli edifici civili, ancora nel primo Novecento venivano eseguiti i
primi filari di una testa in prossimità delle imposte nel modo consueto e si
proseguiva disponendo i restanti mattoni a spinapesce e posandoli a
secco sopra l’aggraziatura ad una distanza di circa 1 cm l’uno dall’altro sul
manto dell’armatura. In seguito veniva versata malta mista a calce e
gesso, in modo da andare a colmare gli interstizi fra i mattoni e di creare
una cappa di circa 1 cm di spessore. Terminata la posa dei mattoni,
veniva immediatamente realizzato il rinfianco impiegando coccio di
mattone e colata di gesso94.
Per le volte a crociera realizzate interamente in laterizi, i filari di
mattoni si disponevano in ciascuna delle unghie, rettilinei e normali al
rispettivo arco d’imposta95, oppure con filari perpendicolari alle costole
diagonali, anche se questa disposizione richiedeva una maggiore
capacità tecnica dei costruttori in quanto i filari, congiungendosi al centro
di ogni unghia, andavano sagomati per consentire un corretto innesto96
(fig. 55).
Infine, nelle volte a vela e a cupola si disponevano i filari di mattoni
secondo i paralleli dell’intradosso, sostituendo però agli anelli centrali,
troppo piccoli, filari diretti lungo le due linee mediane diagonali97 (fig. 56).
Per le volte a vela poteva anche essere usata un’apparecchiatura a
filari disposti ad archi a 45° oppure ad anelli convessi verso l’alto, normali
ai piani frontali degli archi di contorno (fig 57). Anche in questo caso si
può individuare un tentativo di migliorare il comportamento strutturale
delle volte cercando di far scaricare parte della spinta trasmessa ai pilastri
sugli arconi di testata98.
Infine, le apparecchiature più comuni per le volte sferiche di piccole
dimensioni erano quelle ad anelli concentrici o ad anelli concentrici e
chiusura in chiave a spinapesce.
Durante la posa dei mattoni, soprattutto per la realizzazione di volte
di notevoli dimensioni, si prestava molta attenzione ad evitare eccessive

55
CAPITOLO 2

deformazioni alle centine. Le maestranze procedevano quindi costruendo


simmetricamente la volta e inoltre disponevano un carico in chiave in
modo da bilanciare lo sforzo all’altezza delle reni.99 Talvolta, anziché
posizionare un carico in chiave, si inseriva, nella mezzeria della centina,
un monaco su cui si appoggiavano dei saettoni che trasferivano il carico
delle reni al centro della centina.100
I due fianchi della volta venivano costruiti contemporaneamente non
solo per equilibrare le spinte sulla centina, ma anche perché in questo
modo, al momento del disarmo, l’abbassamento dell’arco o della volta
sarebbe stato lo stesso in tutti i punti in quanto la malta avrebbe avuto la
medesima consistenza. 101
La parte più delicata della costruzione di una volta era la posa dei
conci di chiave: questa operazione, se ben eseguita, avrebbe consentito
di ridurre al minimo l’abbassamento del vertice durante il disarmo della
volta. Poiché l’abbassamento era solitamente dovuto alla compressione
degli strati di malta tra i conci, la cosiddetta serraglia, ossia il concio di
chiave, doveva avere dimensioni maggiori rispetto al vano lasciato dagli
altri conci e, una volta posizionato un sottilissimo strato di malta, doveva
essere collocato battendo con una mazza più o meno pesante in
relazione al volume del cuneo ed alla qualità del materiale impiegato. 102
Ultimata la posa, si procedeva immediatamente alla colata (gettata)
con malta di gesso e sabbia oppure con malta di calce, a seconda dei
casi. Per questo lavoro i muratori preparavano al di sopra della volta
un’impalcatura indipendente, leggera e posante sui muri, in modo tale da
non gravare sulla volta, non ancora in grado di funzionare.
Terminata la colata, se questa era in gesso, per evitare che si
rapprendesse, venivano allentati i cunei per far scendere di qualche
centimetro tutta l’impalcatura portante: questo consentiva la circolazione
dell’aria sulla superficie di intradosso della volta in modo tale che la presa
del gesso potesse procedere regolarmente.
Le strutture voltate potevano essere realizzate in più strati, come
indicano ad esempio Vittone e Milizia, per poter resistere meglio ai carichi
applicati103. Era però necessario che tali strati fossero in qualche modo
legati in tutto il loro spessore; a tale proposito scrive infatti Francesco

56
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Milizia: “Se invece di pietre vi si impiegano mattoni, sieno questi de meglio


cotti, ne si dispongano uno sopra l’altro, in guisa che una volta sia
composta come di più volte l’una sull’altra, avendo ciascuna un mattone di
grossezza senza fare insieme concatenazione e legame come si vede in
tanti edifizi, dove staccando alcuni mattoni, tutti gli altri successivamente
si separano: il che rende la riparazione difficile, perché non vi si trova
morsa da legare la nuova muratura colla vecchia. È accaduto anche
spesso, che la prima volta si gonfi e si stacchi interamente dalla seconda,
appena costruita l’opera. Vanno dunque i mattoni disposti e collegati
alternativamente per tutta la grossezza senza alcuna interruzione: così
l’opera divien solida fin contro le bombe.[…] si è veduto che le lesioni
delle volte succedono sempre ai reni, perché ivi la parte superiore
esercita il maggior sforzo della sua spinta. Dunque dà piedritti fino alle
reni le volte vanno riempite di muratura, la quale rinfianchi è opponga
resistenza alla spinta”.104

Fig. 53. Apparecchiatura per volte a Fig. 54. Apparecchiatura per volte a
schifo con filari longitudinali per le schifo con mattoni disposti a 45°, detta
porzioni di volte a botte e mattoni posti anche a “spinapesce”. (Breymann,
a 45° per la parte centrale. (Breymann, 2003, 88)
2003, 88)

57
CAPITOLO 2

Fig. 55. Apparecchiatura per volte a crociera. (Protti E., 1935, 89)

Fig. 56. Apparecchiatura per volte a Fig. 57. Apparecchiatura per volte a vela
vela con filari disposti secondo i paralleli con filari disposti ad archi a 45° oppure
dell’intradosso e anelli centrali con filari ad anelli convessi verso l’alto, normali ai
diretti lungo le due linee mediane piani frontali degli archi di contorno. (Levi
diagonali. (Levi C., 1932, 312) C., 1932, 312)

58
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

2.2.3. Il disarmo

Dopo aver realizzato la volta si procedeva al suo disarmo. Questa era


un’operazione particolarmente delicata in quanto era necessario evitare
rapidi assestamenti della volta, che avrebbe potuto deformarsi o
addirittura crollare.
Alcuni costruttori procedevano lasciando passare un mese o sei
settimane dal compimento della volta prima di togliere l’armatura. Questa
prassi costruttiva, consigliata anche dal Rondelet105, si mostrò però
deleteria in quanto, togliendo la centina quando ormai la malta aveva fatto
presa, la volta si abbassava rapidamente e, in seguito all’assestamento,
al suo interno si creavano delle lesioni, che, in alcuni casi, potevano
portare al collasso della struttura.
I manuali di architettura sottolineano invece la necessità di allentare
leggermente i sostegni su cui le armature si appoggiano prima
dell’indurimento della malta, in modo tale che i conci si serrino nella
corretta posizione, stabile e identica per ciascuno. La volta assume così il
suo carico con gradualità e i cedimenti non producono effetti dannosi.
Bisognava però prestare attenzione a non disarmare troppo presto per
non far nascere pressioni troppo elevate nei giunti, che avrebbero portato
alla fuoriuscita della malta e quindi a cedimenti troppo elevati.
Era necessario quindi garantire l’assestamento della volta
disarmando poco dopo il posizionamento della serraglia, per permettere il
movimento verso il basso dei singoli elementi che comprimevano i giunti
di malta non ancora induriti106. Tuttavia le armature dovevano essere
allentate in maniera graduale e poi lasciate a sostegno della volta per
alcuni mesi, altrimenti, come sottolinea Scamozzi (1552-1616) nel primo
XVII secolo, “o potrebbero rovinare tutto ad un tratto, o almeno
venirebbero torte, e slancate, e fuori dalla loro forma”107.
Alberti addirittura consigliava di non togliere completamente le
armature finché non fosse trascorso un intero inverno, in quanto l’umidità
e le piogge avrebbero potuto causare danni alla struttura.108
L’esperienza aveva infatti mostrato che il cedimento e il conseguente
crollo delle volte non avveniva istantaneamente, perciò era necessario

59
CAPITOLO 2

disarmare in maniera progressiva, abbassando la centina di una certa


quantità e facendo trascorrere un po’ di tempo per consentire
l’assestamento della struttura.
Per raggiungere questo scopo era necessario realizzare un sistema
tra la centina e ciascun cavalletto o ritto, costituito da una coppia di cunei
ad angolo acuto. Facendo scorrere l’uno o l’altro i due cunei di una stessa
coppia era possibile ottenere un abbassamento verticale della centina (fig.
58 a)109.
Un sistema semplice ed economico, che consentiva di eseguire il
disarmo in maniera più regolare e senza scosse, consisteva nel collocare
in corrispondenza dell’imposta di ciascun cavalletto dei sacchi di tela o di
cuoio cuciti con un filo piuttosto resistente, che venivano svuotati da
operai che tagliavano i fili e favorivano la fuoriuscita di sabbia con una
piccola asta li legno o di ferro110 (fig. 58 b).
Un altro sistema impiegato a partire dalla fine del XIX secolo per il
disarmo era costituito da scatole in legno o in ferro riempite di sabbia
compressa111. Queste scatole avevano generalmente forma cilindrica con
altezza di 30 cm e presentavano tre o quattro fori attraverso i quali si
poteva far uscire la sabbia. Le estremità delle centine dovevano poggiare
sulla sabbia mediante uno stantuffo in legno che penetrava nel cilindro
mano in mano che questo si vuotava. La fuoriuscita della sabbia veniva
facilitata con una punta di filo di ferro o anche con la percussione del
cilindro da parte di operai, posti in corrispondenza di ciascun cilindro, ai
quali era affidato il compito di regolare l’abbassamento dei cavalletti.
Potevano poi essere presenti tacche di diversi colori segnate sullo
stantuffo che permettevano il controllo della regolarità della discesa112 (fig.
59).
Ovviamente questi sistemi furono sostituiti, in tempi più recenti, da viti
o martinetti metallici di regolazione.

60
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

a) b)

Fig. 58. Sistemi di disarmo delle volte: cunei (a) e sacco riempito con sabbia (b).
(Cattaneo L., 1889, tav 11)

Fig. 59. Sistemi di disarmo delle volte: scatole in legno o in ferro riempite di sabbia
compressa.

2.1.4 Accorgimenti per il miglioramento della resistenza

Terminata la costruzione della volta e tolta la centina, era


consuetudine riempire le reni con rottami murati con malta di calce o in

61
CAPITOLO 2

gesso ed eventualmente collocare tiranti in ferro per contenere la spinta


della volta.
Molto spesso sopra la volta doveva essere realizzato un piano di
calpestio e ciò comportava la necessità di creare un piano orizzontale.
L’estradosso della volta veniva perciò riempito con materiali di risulta
disponibili in cantiere, fra cui calcinacci, sassi e pezzi di mattone. Questo
tipo di riempimento poteva però generare un eccessivo aumento di peso
sulla volta e quindi influire negativamente sul comportamento della
struttura voltata causando eccessive spinte all’imposta. Tuttavia, come
verrà ampiamente discusso nel capitolo 5 della seconda parte di questo
lavoro, il riempimento, pur aumentando il carico verticale sulla volta,
consente di limitare lo sviluppo di sforzi flessionali; in molti trattati, infatti,
fin dalla metà del XV secolo, viene consigliato, per le volte in mattoni,
l’uso di riempimenti leggeri, che da un lato consentono di sgravare la volta
dall’eccessivo carico verticale causato dal materiale incoerente e dall’altro
permettono di irrigidire la struttura.
L’Alberti, per esempio, afferma che è buona norma che il
completamento delle volte sia fatto in pietra leggerissima, per evitare che
le pareti vengano danneggiate da un eccesso di peso; ancora nel XIX
secolo, Valadier consiglia di terminare la “loro grossezza, e rinfianchi con
tubi, con olle, e vettine disposte al centro ben murate fra loro, ma
lasciando sempre un vacuo vuoto, per ottenere la ricercata leggerezza
sempre a vantaggio de' muri” 113.
Una soluzione per limitare la flessione nelle volte e creare un piano
orizzontale garantendo comunque un’adeguata leggerezza, trascurata
nella manualistica italiana nel XIX secolo e descritta per la prima volta da
Rondelet, anche se probabilmente diffusa nella pratica costruttiva,
consiste nella posa in opera di muretti di laterizio, chiamati frenelli, sugli
estradossi delle volte. Rondelet descrive questi muriccioli come una sorta
di nervatura estradossata, che a volte si portava fino al livello del piano
orizzontale superiore e che, all’occasione, poteva sostenere il solaio
realizzato superiormente lasciando delle cavità interne. I frenelli erano in
grado di assicurare l’aumento della stabilità della volta senza però
appesantirla troppo, in quanto andavano a costituire dei diaframmi murari

62
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

estradossali che irrigidivano la struttura limitandone gli effetti flessionali (si


veda il capitolo 5 della seconda parte).
Nella pratica costruttiva la flessione delle volte veniva limitata anche
attraverso la realizzazione di costoloni e nervature, anche se la
trattatistica e la manualistica d’architettura non fa nessun riferimento a
questo tipo di espediente strutturale.
Come si è detto, essendo le volte strutture spingenti, in alcuni casi
necessitavano anche di elementi in grado di assorbire la spinta
orizzontale e quindi di assicurare la stabilità della spalla. Quando
possibile, la stabilità della struttura era affidata ai piedritti stessi, che
dovevano avere una sezione sufficientemente ampia. Tuttavia spesso le
spalle erano troppo sottili e non erano in grado da soli di reggere il carico
orizzontale delle volte; perciò, soprattutto a partire dal XIII-XIV secolo,
archi, volte e cupole iniziarono ad essere realizzati inserendo,
direttamente in fase costruttiva, elementi di rinforzo lignei o metallici, detti
“catene”, in grado di contrastare la spinta della struttura voltata, in
particolare nel caso di sesti ribassati e murature con sezioni non
sufficienti.
Molti architetti, tra cui l’Alberti, Francesco di Giorgio Martini, Serlio,
fino a Valadier, ne consigliavano l’impiego durante la costruzione.
L’Alberti afferma infatti che le volte a sesto ribassato avevano bisogno “di
catene metalliche assicurate nei due lati del muro”114 mentre Pellegrino
Tibaldi (1527-1596), nel trattato l’Architettura, afferma che “a tutti li modi
che si facci la volta, convien porvi al dritto de’ pilastri o colonne delle
faciate le grosse chiavi di ferro intertenuto, che per il proprio peso non
posi cadere, con dete ciave di fero che vada alle volte del circolo della
volta; e tale chiave di fero scuro è vive e vesibile, et anco morte, che non
si vedono”115. In molti casi, infatti, al posto delle catene intradossali, dette
chiavi “vive”, che rimanevano a vista, per questioni estetiche e per non
denunciare la presenza di presidi estranei all’opera muraria, venivano
preferite catene non visibili, dette estradossali o chiavi “morte”, annegate
nell’apparecchio murario della volta116 e quindi poste “infra la grossezza
d’essa volta e il pavimento, acciò che nascose e non apparenti sieno”117.

63
CAPITOLO 2

L’efficacia delle catene era però messa in discussione da alcuni


trattatisti (Cornaro, Vignola, Gallacini) che ne denunciavano la perdita di
efficacia nel tempo. Teofilo Gallacini (1564-1641) infatti, nel suo Trattato
sopra gli errori degli architetti, afferma che “avendo a far le fabbriche con
volta, non si facciano i fianchi troppo deboli, e spezialmente quando si
hanno a fare le volte piane, che per cagione del poco sesto, e del molto
peso, hanno forza di spinger le muraglie in maniera, che non bastano le
catene di ferro a tenerle imbrigliate, e strette in loro stesse, affinché non
precipitino, e massime se non vi è chi le fiancheggi. Ma contro la violenza
loro non si può fare altra resistenza, che colla grossezza della muraglia;
mentre è grandissimo errore il fidarsi nelle catene, che spesse volte si son
vedute rotte”.118
Nonostante le discussioni sull’efficacia e l’estetica delle catene lignee
o metalliche, a partire dal XV secolo, l’inserimento di questi presidi
strutturali diventò una prassi costruttiva diffusa e consolidata.
Le catene lignee, generalmente di rovere o di larice, venivano
ancorate con zanche metalliche al capochiave in ferro inserito nella
muratura. I tiranti lignei ricorrono con grande frequenza, tanto da non
essere a volte nemmeno citati all’interno dei documenti di cantiere perché
la loro messa in opera era ormai una consuetudine consolidata e il loro
prezzo incluso in quello del muro119.
In presenza di muri particolarmente sottili le catene lignee venivano
sostituite con quelle metalliche120. Approfittando anche del costante
miglioramento della qualità di ferro prodotta, le catene più comunemente
usate erano quindi formate da tiranti in ferro con sezione rettangolare
variabile da mm 40 x 8 a mm 60 x 12121, con un occhiello alle estremità
che andava a formare la testa della chiave. Le catene venivano poste
orizzontalmente a circa 1/3 della freccia122 (catene intradossali) e
venivano bloccate con una barra in ferro123, detto capochiave, paletto o
bolzone, inserito all’interno dell’occhiello, che serviva sia per distribuire lo
sforzo sulla muratura perimetrale, sia per mettere in trazione la catena. Le
catene e i paletti erano ottenuti mediante battitura a caldo e, in virtù di tale
lavorazione, possedevano una buona resistenza all’ossidazione124. I
paletti presentavano a volte un profilo cuneiforme, in modo tale da

64
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

impedirne lo scivolamento e da mettere in trazione la catena in seguito


alla sua infissione nell’occhiello, oppure potevano avere sezione
rettangolare e venire associati a cunei (o zeppe metalliche) battuti
all’interno dell’occhiello prima del disarmo della volta125 (fig. 60).
La catena doveva essere preventivamente tesata, in quanto solo in
questo modo avrebbe potuto esercitare una spinta attiva sulla muratura
fin dall’inizio. Una catena non pretesa sarebbe entrata in funzione, e
quindi sarebbe stata in grado di assorbire la spinta, solo dopo la
deformazione della struttura; in questo modo tale presidio sarebbe
risultato utile solo nel caso di un eventuale collasso, ma non avrebbe
consentito di limitare le deformazioni della struttura.
Per ottenere quindi un’adeguata tesatura nella catena, la barra
orizzontale veniva riscaldata, provocandone quindi un allungamento. A
questo punto venivano battuti i cunei nell’occhiello e, in seguito al
raffreddamento e al conseguente ritiro della barra metallica, il tirante era
in grado di esercitare un’azione orizzontale, sui piedritti e sulla volta,
contraria alla spinta della volta stessa.
Poiché i cedimenti viscosi che potevano nascere sia nella muratura sia
nel ferro, potevano portare col tempo ad una riduzione della tensione
nella catena, poteva rendersi necessario ripetere l’operazione di tesatura
ribattendo il paletto. Il paletto, quindi veniva preferibilmente posto

Fig. 60. Tiranti metallici per volte e cupole: particolari degli ancoraggi con i
capichiave e i cunei e particolari dei nodi intermedi realizzati nelle catene formate
da due o più elementi. (Misuraca, 1916, in De Cesaris, 1996, 101)

65
CAPITOLO 2

all’esterno della muratura o, se nascosto per motivi estetici, veniva


incorporato nel muro ricavando apposite sedi, che venivano poi ricoperte
dall’intonaco126.
I paletti all’esterno dell’edificio, apparivano spesso inclinati di 45°; ciò
perché in corrispondenza degli spigoli interni, tale posizione consentiva di
esercitare il migliore contrasto contemporaneamente sulla volta e sul
muro perpendicolare alla facciata.
Spesso, come già accennato, le catene potevano essere collocate,
sempre per motivi estetici, in corrispondenza della chiave della volta (fig.
61). Tali catene, che prendevano il nome di catene estradossali o catene
morte, venivano spesso utilizzate perché non visibili all’intradosso, tuttavia
risultavano meno efficaci rispetto a quelle intradossali, in quanto non
erano posizionate nel punto in cui agiva effettivamente la spinta dell’arco
o della volta, ma leggermente più in alto. Era quindi necessario inserire
dei “braghettoni”, ossia degli elementi metallici inclinati che, partendo da
circa un terzo della catena, si estendevano fino all’imposta della volta127
(fig. 62). Il capochiave veniva allora allungato fino al piano d’imposta e
inserito anche nell’occhiello del braghettone, al fine di diffondere l’effetto
della catena anche alla zona delle reni. Ciononostante, spesso le catene
estradossali non erano sufficienti, come si può vedere nell’immagine tratta
dal Valadier (fig. 63), infatti le catene a braga, seppur più affidabili delle
catene morte semplici128, non erano in grado di assicurare da sole il
contenimento della spinta delle volte.

Fig. 61. Catena metallica Fig. 62. Catena metallica estradossale con
posizionata in corrispondenza del braghettoni. (Cattaneo L., tav 25, in
concio di chiave, con particolare del Manuale della Città di Castello)
capochiave. (Cattaneo L., tav 23, in
Manuale della Città di Castello)

66
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 63. Catene estradossali. (Valadier, 1992, tav. CCLXVII)

67
CAPITOLO 2

2.3. Le volte in muratura: la pratica del costruire in età moderna


attraverso alcuni casi esemplari

Dall’analisi della trattatistica e della manualistica di architettura tra il


XV e il XIX secolo sono emerse una serie di indicazioni e di regole
pratiche per realizzare le volte a “regola d’arte”: vengono suggerite le
soluzioni più corrette per la realizzazione delle centine e per il loro
disarmo e i giusti accorgimenti per rendere la muratura solida, per
contenere le spinte e per alleggerire il più possibile le strutture voltate.
Accanto a queste indicazioni atte a migliorare la resistenza delle
volte, si affiancano suggerimenti di carattere formale, legati alle
proporzioni e alle geometrie delle volte.
La produzione letteraria e la riscoperta di tecniche e canoni classici
hanno influito notevolmente sulle scelte progettuali degli architetti,
soprattutto per edifici di maggiore importanza, in cui venivano spesso
coinvolti personaggi colti in grado di indirizzare i lavori delle maestranze e
di trovare le soluzioni tecniche e formali più idonee.
Tuttavia, le indicazioni riguardanti le tecniche costruttive venivano in
molti casi ignorate, con importanti ripercussioni sul comportamento
strutturale delle volte. È noto, infatti, che nella comune prassi realizzativa
gli orientamenti potevano spesso allontanarsi molto dalla “regola d’arte”
proposta dalla trattatistica, perchè condizionati da fattori economici e
locali e, in molti casi, anche dalle capacità tecniche delle maestranze.
Attraverso l’analisi di alcuni casi reali di strutture voltate, si intende
mostrare le discrepanze tra l’arte di costruire e la reale prassi di cantiere
riscontrata in alcuni esempi di edilizia corrente e il rispetto delle
indicazioni suggerite dalla trattatistica emerso, invece, in alcuni importanti
cantieri lombardi.

68
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

2.3.1. Apparecchiature e metodi di irrigidimento

La trattatistica e la manualistica pubblicata tra il XV e il XIX secolo ha


dedicato ampio spazio alle fasi realizzative delle volte, concentrandosi in
particolare sulle apparecchiature delle volte in laterizio; questo
atteggiamento evidenzia la volontà di migliorarne la resistenza anche
attraverso la disposizione dei filari.
Nei trattati di architettura129, per esempio, tra le differenti
apparecchiature per le volte a botte, veniva consigliata la disposizione dei
filari a 45°, nel tentativo di far gravare parte del carico anche sui muri di
testata. Tuttavia si nota che spesso, nella prassi costruttiva, le volte a
botte non venivano fatte appoggiare sulla muratura di testata, rendendo
così inutile la disposizione a 45°. In molti casi, infatti, è stato riscontrato
addirittura un distacco di alcuni centimetri tra volta e muro, come mostrato
nelle immagini in figura 64.

Fig. 64. Esempio di volta a botte con disposizione a filari paralleli all’imposta, in cui
si nota che la volta non poggia sulla muratura di testata.

69
CAPITOLO 2

Anche le indicazioni riguardanti la perfetta ammorsatura tra le varie


parti della volta sembrano essere trascurate in molti edifici, nei quali le
scarse capacità tecniche delle maestranze e l’economia dei lavori hanno
portato alla realizzazione di coperture poco curate e spesso in disaccordo
con le indicazioni fornite in letteratura.
Per esempio, nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roè Vociano (Bs),
la volta a botte lunettata della navata centrale presenta
un’apparecchiatura a spinapesce molto regolare, ma le lunette mostrano
una disposizione anomala, senza collegamenti tra la volta principale e le
lunette stesse (fig. 65).

Fig. 65. Volta a botte lunettata della chiesa di San Pietro in Vincoli a Roè Vociano.
Disposizione a spinapesce della navata centrale (sinistra) e disposizione dei
mattoni tra la lunetta e la volta principale (destra).

In realtà non esistono studi scientifici che mostrino una correlazione


tra comportamento strutturale delle volte e la disposizione dei filari,
tuttavia sembra lecito supporre che, nonostante il comportamento
strutturale delle coperture voltate non dipenda dalla disposizione dei
mattoni, le differenti apparecchiature possono influire in maniera
determinante sulla resistenza della volta, andando a creare punti deboli in
corrispondenza dei giunti: la fessurazione, infatti, si evolve solitamente
lungo linee non necessariamente più sollecitate, ma che, per ragioni
costruttive, risultano meno resistenti130. Quindi, facendo riferimento per
esempio alle volte a padiglione, sembra del tutto corretta l’intuizione di

70
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

disporre i filari ortogonali alle diagonali in quanto, in questo modo, si


cercava di evitare la formazione di una zona debole in corrispondenza
degli spigoli che, come verrà ampiamente spiegato nella seconda parte di
questo lavoro, rappresentano la zona maggiormente sollecitata.
In una volta a padiglione del palazzo Martinengo delle Palle a
Brescia (XVII secolo) è stata riscontrata un’apparecchiatura a filari
paralleli all’imposta e, infatti, nonostante questa disposizione venisse
indicata anche dalla trattatistica per la semplicità di posa131, si può notare
la presenza di un giunto debole (fig. 66) e la conseguente formazione di
lesioni all’intradosso della stessa volta, come si può osservare in figura
67.

Fig. 66. Estradosso della volta a padiglione del palazzo Martinengo delle Palle
(XVII secolo). La volta presenta una disposizione dei filari paralleli all’imposta.

71
CAPITOLO 2

Fig. 67. Intradosso della volta a padiglione del palazzo Martinengo delle Palle
(XVII secolo). La disposizione dei filari paralleli all’imposta genera lungo le
diagonali dei giunti deboli, causando un’estesa fessurazione in queste zone.

Invece, in una volta a padiglione del XV-XVI secolo che si trova nell’ex
monastero di San Faustino a Brescia132, collocata a copertura di una sala
al piano terreno, tra il chiostro dell’Abate e il chiostro della Campanella133,
i filari di mattoni presentano un orditura ortogonale alla diagonale, con
un’inclinazione di 45° rispetto all’imposta (fig. 68), in perfetto accordo con
le indicazioni della trattatistica. Tale disposizione, associata ad una
accurata tecnica costruttiva, garantisce una grande solidità della struttura.
La volta originale134, in parte ricostruita secondo il modello esistente
nel corso del XIX secolo per consentire l’inserimento di una scala, è su
base all’incirca quadrata (fig. 69) e, oltre alla disposizione con filari
ortogonali alla diagonale, presenta ulteriori accorgimenti per migliorare il
comportamento strutturale della volta. In particolare, per l’irrigidimento
estradossale della volta, sono stati realizzati frenelli riempiti, tra gli spazi
vuoti, con materiale incoerente ben compattato (fig. 70); i frenelli avevano

72
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

il compito di irrigidire la struttura e di ripartire i carichi in modo più


omogeneo.
La trattatistica sembra menzionare questa pratica solo all’inizio del
XIX secolo, quando per la prima volta Jean Nicolas Louis Durand nel suo
Précis des Leçons d’Architecture données à l’Ecole Royale
Polytechnique, pubblicato nel 1819, afferma che per le volte complesse (a
padiglione e a crociera) è consigliabile realizzare dei contrafforti a
intervalli regolari, colmando i vuoti “con terra ben secca e si pavimenta”135
(fig.71).

Fig. 68. Estradosso di una a padiglione rinvenuta nel complesso di San Faustino a
Brescia (XV-XVI secolo). I filari sono disposti perpendicolarmente alle diagonali.

Fig. 69. Particolare dei frenelli di irrigidimento realizzati all’estradosso della volta a
padiglione posta a copertura di una sala al pianterreno nel complesso di San
Faustino a Brescia.

73
CAPITOLO 2

Fig. 70. Rilievo dell’estradosso di una volta a padiglione rinvenuta nel complesso
di San Faustino a Brescia (XV-XVI secolo). La tecnica costruttiva è molto
accurata: i filari sono disposti perpendicolarmente alle diagonali e, per limitare la
flessione, nella volta sono stati realizzati dei frenelli con riempimento tra gli spazi
vuoti.

Fig. 71. Frenelli con riempimento tra i vuoti lasciati tra i muretti. (Durand J. N. L.
1991, tav. 4)

74
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Un’altra tecnica per l’irrigidimento delle volte, divenuta probabilmente


una prassi costruttiva assai diffusa e consolidata già a partire dal XV
secolo, ma mai citata dalla trattatistica e dalla manualistica di architettura,
consiste nell’utilizzo dei costoloni di rinforzo, in genere costituiti da filari
singoli, doppi o tripli di mattoni posati di testa e sporgenti rispetto
all’estradosso della volta di circa ½ o ¾ di mattone (figg. 72-74).

Fig. 72. Costoloni di rinforzo realizzati all’estradosso di una volta appartenente al


complesso di San Faustino a Brescia (XV-XVI secolo).

Fig. 73. Costoloni di rinforzo realizzati all’estradosso della volta a padiglione del
palazzo Martinengo delle Palle a Brescia (XVII secolo).

75
CAPITOLO 2

Fig. 74. Costoloni di rinforzo realizzati all’estradosso della volta a ombrello sita
all’interno del complesso di Santa Chiara a Brescia (XVIII secolo).

2.3.2. Le volte a vela della chiesa di San Fedele a Milano (XVI secolo)

È importante osservare anche come, all’interno dello stesso cantiere,


la realizzazione di due volte apparentemente identiche, costruite a
distanza solo di alcuni anni, possa risultare differente sia per i materiali
utilizzati, sia per la cura nella loro messa in opera.
Per esempio nella chiesa di San Fedele a Milano136, progettata da
Pellegrino Tibaldi nel XVI secolo, la navata centrale è stata coperta con
due volte a vela gemelle (fig. 75) che però, da un’attenta osservazione
dell’estradosso, presentano discrepanze non trascurabili (fig. 76).
La realizzazione della chiesa di San Fedele a Milano, iniziata verso la
fine del XVI secolo, richiese molti anni e la costruzione non avvenne
simultaneamente in tutta la sua estensione, ma per corpi di fabbrica che
venivano eretti dalla fondamenta fino alla copertura per essere utilizzati
prima dello scavo di fondazione del corpo adiacente137.

76
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

Fig. 75. Intradosso delle volte di San Fig. 76. Rilievo dell’estradosso delle
Fedele a Milano (XVI sec.). volte di San Fedele a Milano (XVI
sec.). (Della Torre S., Schofield R.,
1994)

Le volte a vela vennero realizzate alla fine del XVI secolo con un
sistema di copertura voltata molto diverso da quello progettato dal Tibaldi
nel 1568: nel 1568 il Tibaldi, infatti, propose una copertura a botte
unghiata, tra il 1578 e il 1583 furono proposte due volte a crociere
impostate su tre archi di timpano trasversali e, infine, vennero eseguite
due volte a vela138.
Non esistono documenti che attestino in maniera probante la
paternità della copertura, tuttavia, secondo studi recenti139, è da attribuire
allo stesso Pellegrino Tibaldi, autore tra l’altro del trattato L’architettura.
L’unico disegno rappresentante la soluzione della copertura con volte
a vela (F 251 Inf. 60 dell’Ambrosiana, fig. 77) non rispecchia esattamente
le volte realizzate. Le volte infatti presentano otto nervature e un rosone
centrale, dei quali non si trova traccia nel disegno dell’Ambrosiana. Tale
disegno, eseguito probabilmente attorno al 1630, era volto a proporre
soluzioni relative alla zona presbiteriale e dunque risulta poco preciso per
quanto riguarda la restituzione della struttura già esistente.

77
CAPITOLO 2

Fig. 77. Sezione longitudinale della chiesa di San Fedele a Milano ad opera di un
anonimo del XVII secolo (BAM F 251 Inf. 60).

Le due volte, apparentemente identiche, mostrano alcune importanti


differenze costruttive. Già da un rilievo ottocentesco del Cassina, più volte
edito a partire dal 1844 (fig. 78 e 79) emerge la differenza di spessore tra
il rosone centrale della volta a vela della prima e della seconda campata.
Entrambe le vele presentano un apparecchio murario costituito da
laterizi disposti di testa secondo anelli concentrici, con otto costoloni
estradossali discontinuamente ammorsati con le vele, che si incontrano in
sommità, dove si raccordano ad un anello gradonato corrispondente al
grande rosone figurato.
La vela contigua alla zona presbiteriale copre la campata realizzata
nella prima fase cantieristica ed è databile intorno al 1579. Essa è stata
realizzata con un apparecchio murario molto curato e presenta,
all’estradosso, tre gradoni formati dagli anelli di mattoni del rosone (fig.
80). La vela verso la facciata, databile attorno al 1595, mostra al contrario
un apparecchio più grossolano, in particolare per quanto riguarda i
costoloni e l’anello che circonda lo sfondato del rosone. I costoloni

78
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

seguono un andamento frastagliato e l’apparecchio murario è più


impreciso rispetto a quello dei costoloni della prima vela (fig. 81).

Fig. 78. Rilievo della sezione longitudinale della chiesa di San Fedele a Milano.
(Cassina, 1844)

Fig. 79. Particolare del rilievo della sezione longitudinale della chiesa di San
Fedele a Milano in cui si nota il differente profilo delle due volte in corrispondenza
del rosone centrale. (Cassina, 1844)

79
CAPITOLO 2

Le due volte, infatti, furono probabilmente realizzate in tempi diversi e


ciò mostra come, all’interno dello stesso cantiere, anche coperture voltate
apparentemente identiche possano essere realizzate con tecniche
differenti in relazione alle capacità tecniche delle maestranze e alle
possibilità economiche dei committenti.

Fig. 80. Particolare del rosone della Fig. 81. Particolare del rosone della
volta a vela eseguita sulla prima volta a vela eseguita sulla seconda
campata della navata della chiesa di campata della navata della chiesa di
San Fedele a Milano. San Fedele a Milano.

Fig. 82. Particolare di un costolone Fig. 83. Particolare di un costolone


della volta a vela eseguita sulla prima della volta a vela eseguita sulla
campata della navata della chiesa di seconda campata della navata della
San Fedele a Milano. chiesa di San Fedele a Milano.

80
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

2.4. Bibliografia

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82
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

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LE TECNICHE COSTRUTTIVE

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86
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

NOTE:

1
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2
Mirabella Roberti G., Spina O., 2001. 719-728.
3
Lugli, 1957, p. 336-337
4
Buti G., 1972, Vol. XIII, 119-120
5
Un esempio di applicazione di questa tecnica lo si può ritrovare nella porta di
Falerii Novi e nella porta di Volterra, realizzata con cunei in tufo tagliati con
estrema cura.
6
Fra i pochi esempi di arco a sesto ribassato, si possono ricordare quelli
nell’anfiteatro di Pompei (78 a.C.) e nella porta S Lorenzo ad Equino.
7
Per esempio nella porta del lato sud-ovest del Tabularium e per le nicchie
degli emicicli nel foro di Augusto
8
La pozzolana è un materiale di origine vulcanica estratto principalmente nella
zona di Pozzuoli, impiegato dai romani per conferire alla malta proprietà
idrauliche.
9
L’opus caementicium deriva dal termine caementa, che indica i frammenti di
pietra o di altro materiale (terracotta, marmo) che la compongono; nell’opus
caementicium la malta viene unita agli inerti creando un composto particolarmente
resistente e duraturo.
10
Lancaster 2005, 5.
11
Le forme più diffuse per i mattoni nel periodo romano erano i bessali, i
pedali, i sesquipedali e i bipedali, ai quali poi ne venivano aggiunti altri derivanti da
questi e ottenuti attraverso un taglio lungo le diagonali o lungo le mediane. I
mattoni di forma triangolare così ottenuti prendevano il nome di semilateres.
I bessali erano mattoni di forma quadrata, che misurava 2/3 del piede romano cioè
19,7 centimetri. I bipedali erano mattoni di forma quadrata con lato pari a due
piedi romani cioè 59,14 cm.
12
Buti G., 1972, Vol. XIII, 122.
13
Lugli G., 1957, 467, Lancaster, 2005, 111.
14
Lugli G., 1957, 671.
15
Anche l'Alberti, nel suo trattato De re Aedificatoria, mostra di conoscere la
tecnica in uso presso i romani di alleggerire le volte con olle laterizie, scrive infatti:
“Gli spazi vuoti che restano tra la curva della volta inalzantesi e i muri cui questa si
appoggia, chiamati dai muratori cosce, si riempiranno non già di terra o detriti
secchi alla rinfusa, ma piuttosto con la normale e solida tecnica costruttiva,
collegando di volta in volta il materiale alle pareti. Bene si regolano coloro che per
non sovraccaricare la volta, riempono gli spazi delle cosce con vasi per acqua di
terra cotta vuoti, fissi e a testa in giù, purché non si appesantiscano riempendosi
di umidità, versandovi poi sopra un miscuglio pietroso leggero ma tenace”.

87
CAPITOLO 2

L’Alberti si rende conto che il rinfianco dovrebbe essere realizzato con la


stessa tecnica con cui venivano realizzati i piedritti, tuttavia sembra commettere lo
stesso errore rilevato nei primi esempi di volte con olle laterizie, infatti consiglia di
alleggerire la zona da lui definita “cosce” , nella quale in realtà il carico ha
un’azione stabilizzante. Alberti L.B., 1989, 246.
16
Lugli G., 1957, 671.
17
Storz S., 1997.
18
Abramson D., 2000, 208-251; Watkin D., 2000, 273; Rutigliano G., n. 50-
51/1996, 130.
19
Rutigliano G., n. 50-51/1996, 130,131.
20
Krautheimer R., 1987.
21
Mainstone R., 1997.
22
Nella chiesa di San Vitale a Ravenna la cupola appoggia su un tamburo.
23
Buti G., 1972, Vol. XIII, 129.
24
La quincunx è una pianta che fonde lo schema a croce greca, con bracci di
uguale lunghezza, con una base quadrata: si vengono così a creare nove
ambienti all’incirca quadrati, di cui quello centrale e i quattro angolari sono coperti
con cupola.
25
Si veda per esempio la basilica di San Marco a Venezia e il Sacello di San
Satiro a Milano.
26
Viollet le Duc E., 1875.
27
Abraham P., 1935.
28
Valcarcel, J.P., 2003, Roca P., 2001.
29
Nikolinakou, M.A., Tallon, A. J., 2006.
30
Bonelli R., Bozzoni C., Franchetti Pardo V., 1998.
31
Wittkower R., 1982.
32
La bibliografia di riferimento per la cupola di Santa Maria del Fiore è
estremamente vasta, si citano ad esempio Guasti C, 1974, Battisti E, 1989 e Di
Pasquale S, 1977.
33
Alberti L. B., 1989, 127-128.
34
Di Giorgio Martini F., 1967, 92.
35
Le volte semplici sono formate da un’unica superficie curva e quindi non
sono interrotte da nessun cambiamento di direzione; le volte composte, invece,
sono quelle nelle quali si riuniscono porzioni di curve semplici per formare una
sola volta e presentano perciò angoli o spigoli rientranti, che rompono il senso di
continuità caratteristico delle volte semplici.
36
L’autore, parlando delle volte che nascono dal cono, precisa: “questi generi
di volte non sono ancora state usate se non da me, e gli ho adoperato assai bene,
e con bella vista, massime che sono fortissimi”, mentre a proposito delle volte

88
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

piane scrive: “questa sorte di volte è mia particolare, e l’ho posta in opera non
senza molta varietà e soddisfazione delle genti” (G. Guarini, 1968, 278-279).
37
Palladio A., 1980, 73.
38
La generatrice è una linea che si sposta nello spazio parallelamente a se
stessa e che, appoggiandosi sulla curva direttrice, genera la superficie di
intradosso della volta.
39
Cattaneo L., 1889. 10.
40
Alberti L. B., 1989, 124-125 e Di Giorgio Martini F., 1967, 92.
41
Milizia F., 1972, 72-173.
42
Cattaneo L., 1889, 10.
43
Cantalupi A., 1867, 517.
44
Bosc E.,1877-1880, 484.
45
Per “operazioni da eseguirsi dopo il disarmo” si intende l’inserimento di
catene e la realizzazione dei frenelli o del riempimento.
46
Con il termine serraglio veniva indicato il concio di chiave.
47
Valadier G., 1992, vol. IV 48.
48
Milizia F., 1972, 282-283.
49
Salimbeni L., 1787, libro quarto.
50
Sanpaolesi P., 1971.
51
Vitruvio, 1987, 314.
52
Breymann G. A., 1995, 26, Curioni G., 1870, 570 e Protti E., 1935, 49.
53
Curioni G. 1870., 328
54
Codazza G., 1844, appendice, 307.
55
Breymann G. A., 1995, 15.
56
Levi C., 1932, 287.
57
Curioni G. 1870, 372.
58
Curioni G. 1870, 371.
59
Levi C., 1932, 286
60
Ivi, 421.
61
Bonavia M., 1989, 84.
62
Valadier, 1992, vol. IV, 61-64.
63
Levi C., 1932, 309.
64
Curioni G. 1870, 371.
65
Bonavia M., 1989, 84
66
Ibidem.
67
La centina venne definita dall’Alberti, nel suo trattato De re aedificatoria, una
“struttura lignea rozza e provvisoria, terminata da superfici curve, la cui copertura
sarà ottenuta con graticci o canne, o altro materiale di poco prezzo, al fine di
sorreggere il riempimento della volta finchè non abbia fatto presa la malta”. Alberti
L. B., 1989, 129.

89
CAPITOLO 2

68
Questo interasse è riportato sia da Vitruvio al libro VII, capitolo III de I dieci
libri dell’architettura, pag. 314, sia da V. Scamozzi al libro VIII, capitolo XV de
L’idea dell’architettura universale, 325.
69
L’aggraziatura è costituita da uno strato di terra fine o sabbia, posto sulla
superficie lignea in modo da eliminare le irregolarità tra i giunti delle assi. Astrua
G., 1996, 147-148.
70
Alberti, Durand, Curioni e altri.
71
Alberti L. B., 1989, 129.
72
Ibidem.
73
Durand J. N. L. 1986, 36.
74
Alberti L. B., 1989, 130-131.
75
Curioni G., 1870, 328.
76
Valadier G., 2000, vol. IV.
77
Rondelet J.B., tomo IV, 313.
78
Alberti L. B., 1989, 126.
79
Citazione di Cantalupi in Breymann G. A., 1995, 35.
80
È noto che la scienza che studia il taglio delle pietre per i conci delle volte e
degli archi si chiama stereotomia. Giovanni Codazza, nel suo trattato Nozioni
teorico-pratiche sul taglio delle pietre e sulle centine delle volte, si dilunga su
complesse descrizioni geometriche necessarie per il taglio dei conci dei vari tipi di
volte.
81
Cattaneo L., 1889, 10.
82
Rondelet J.B., tomo II, 62.
83
Protti E., 1935, 81-82.
84
Levi C., 1932, 310-311.
85
Questa disposizione viene definita dal Breymann come spinapesce.
86
Secondo la terminologia usata dai muratori si dice che i mattoni devono
“baciarsi”.
87
Breymann G. A., 2003, 39.
88
Levi C., 1932, 310-311.
89
Protti E., 1935, 84.
90
Ivi, 83-84.
91
Breymann G. A., 1995, 38.
92
Protti E., 1935, 98 e Breymann G. A., 1995, 88.
93
Valadier, 1992, vol. IV, 4-5.
94
Levi C., 1932, 313.
95
Ivi, 310-311.
96
Protti E., 1935, 89.
97
Levi C., 1932, 312.
98
Ivi, 310-311.

90
LE TECNICHE COSTRUTTIVE

99
Bosc E., 1877-1880, tomo 4 voce Voûte, 485.
100
De Cesaris F, 1996, 85.
101
Cantalupi A., 1867, 517-518.
102
Cantalupi A., 1867, 518-519. Anche Luigi Cattaneo parla del serraggio della
volta sottolineando però che “La chiave dell’arco che si mette per ultimo deve
serrare la struttura senza però essere troppo forzata a colpi di mazza”. Cattaneo
L., 1889, 10.
103
Vittone B., 1760 e Milizia F., 1972.
104
Milizia F., 1972, 534-535.
105
Il Rondelet scrive: “le volte in mattoni debbono lasciarsi più tempo sulle
centine per evitare il maggiore abbassamento di cui sono capaci, e che potrebbe
produrre disunioni talvolta pericolose quando si levano le centinature prima che la
malta abbia acquistato una certa consistenza”. Rondelet J.B., 1831, 60-61.
106
Spesso veniva predisposta la centina con una freccia leggermente
maggiore (alcuni millimetri) rispetto a quella progettata per la volta per bilanciare i
cedimenti conseguenti a questo tipo di disarmo.
107
Scamozzi V., 1982, 325-326.
108
Alberti L. B., 1989, 131-132.
109
Curioni G., 1870, 390-393.
110
Ivi, 391.
111
Questo sistema fu probabilmente inventato da Bouziat, un appaltatore di
ponti che lo impiegò nella costruzione delle sue opere.
112
Cantalupi A., 1867, 520-521.
113
Valadier G., 1992, vol. IV, 4-5.
114
Alberti L. B., 1989, 124-125.
115
Il Pellegrini aveva l’abitudine di far uso di catene, sia intradossali e quindi
a vista come in San Fedele, sia nascoste, come per esempio nel tempietto del
battistero del Duomo di Milano. Nota 4 in Tibaldi P., 1990, 90.
116
Giustina I., 1996, 217.
117
Di Giorgio Martini F., 1967, 92.
118
Gallacini T., 1970, 51.
119
Della Torre S., 1990.
120
Giustina I., 1996, 216.
121
Levi C., 1932, 293.
122
Era noto che la zona di più probabile rottura si trovava, per archi a tutto
sesto, nella zona delle reni a circa 30° dal piano d’imposta.
123
I paletti vennero sostituiti, alla fine dell’800, da piastre rinforzate.
124
De Cesaris F, 1996, 100.
125
Giustina I., 1996, 216-217.
126
Bonavia M., 1989, 83.

91
CAPITOLO 2

127
Giustina I., 1996, 217.
128
Si veda a tal proposito Dotti F., Esame sopra la forza delle catene a braga,
Stamp. Bolognese di San Tommaso D’Aquino, Bologna 1730 (Giustina I., 1996,
nota 43)
129
Breymann G. A., 2003, 38-39.
130
D’Ayala D., 1994.
131
Levi C., 1932, 310-311.
132
San Faustino a Brescia è un antico monastero, il cui nucleo originario risale
al IX secolo, ma che ha subìto notevoli modifiche sopratutto nel corso del XV, XVI
e XX secolo. Nel complesso di San Faustino sono state rinvenute numerose sale
coperte da volte con diverse geometrie.
133
Mezzanotte G., Mariani Travi L., 1986, 22.
134
La volta originale è stata in parte ricostruita nel corso del XIX secolo per
consentire l’inserimento di una scala. Il restauro ha tuttavia previsto il ripristino
della situazione originale mediante il rifacimento della fascia mancante in accordo
con la volta esistente, impiegando mattoni pieni e seguendo la disposizione della
volta originale.
135
Durand J. N. L., 1991, 77.
136
Della Torre S, Schofield R., 1994 e Poletti M., Terrugi S., 2202-2003.
137
In San Fedele di Milano si possono individuare tre diverse fasi temporali
dello svolgersi del cantiere. La prima fase riguarda l’edificazione sul primo lotto e
si realizza dal 1568 al 1579; la seconda fase va dal 1591 al 1596 e coincide con la
costruzione della chiesa eretta sul secondo lotto; la terza fase va dal 1581 al 1833
ed è dedicata alla costruzione della tribuna e ai completamenti.
138
Della Torre S, Schofield R., 1994.
139
Poletti M., Terrugi S., 2002-2003.

92
3. SINTESI STORICA DEI PRINCIPALI STUDI SCIENTIFICI
SUL COMPORTAMENTO STRUTTURALE DELLE
VOLTE

Per poter comprendere a pieno le strutture storiche e per poter


formulare considerazioni statiche corrette, ottenute per mezzo degli
strumenti attualmente a disposizione, e allo stesso tempo coerenti con la
concezione originaria della struttura, è necessario prima conoscere come
queste strutture venivano ideate dai costruttori e dagli architetti del
passato, quali fossero le conoscenze a loro disposizione e le principali
regole utilizzate per il dimensionamento delle parti che le compongono.
In questo capitolo si cercherà quindi di ripercorrere, seppur in
maniera sintetica, vista l’ampia bibliografia di riferimento, a cui si rimanda
per eventuali approfondimenti1, i principali orientamenti e i contributi più
importanti nello sviluppo delle teorie statiche di archi, volte e cupole in
muratura.

3.1. Conoscenze fino al XV secolo

Prima del XVII secolo, quando iniziarono a delinearsi i principali studi


scientifici sulle strutture voltate, e prima ancora del XV secolo, quando il
fervore rinascimentale per la definizione di regole atte a indirizzare l’opera
dei costruttori fece nascere una serie di indicazioni puramente

93
CAPITOLO 3

geometriche per la realizzazione delle volte, la grande esperienza e


l’intuito erano gli unici strumenti a disposizione di architetti e costruttori.
I costruttori antichi, infatti, forse proprio grazie alla grande esperienza
maturata sul campo, sembra fossero a conoscenza degli aspetti salienti
del comportamento di archi e volte. Eugene Viollet le Duc arriva
addirittura ad affermare che i costruttori medioevali, forti solo delle
conoscenze costruttive pratiche, avevano coltivato una sorte di “istinto”
che li portava ad approssimare la forma dell’arco alla curva delle pressioni
e, sempre a loro, Viollet le Duc attribuisce la regola empirica cosiddetta
“del trapezio” che consentiva di dimensionare i piedritti attraverso un
semplice procedimento grafico2.
Secondo questa regola, prendendo un arco di qualsiasi forma e
dividendolo in tre parti uguali (AB, BC, CD), puntando in D, con apertura
di compasso pari al segmento CD e tracciando una semicirconferenza, è
possibile individuare il punto E, dato dall’intersezione della circonferenza
con il prolungamento del segmento CD, che individua la linea esterna del
piedritto, determinandone di fatto lo spessore3 (fig.1)

B C
B C

A D A D

E E

Fig. 1. Dimensionamento del piedritto col metodo grafico: si nota come lo


spessore del piedritto sia inferiore per l’arco acuto rispetto a quello a tutto sesto.

Questa regola, apparentemente molto semplice e rozza, nonostante


non consideri il rapporto tra l’altezza del piedritto e il suo spessore, mostra
comunque la conoscenza del diverso comportamento degli archi in

94
GLI STUDI SCIENTIFICI

funzione del rapporto tra freccia e luce e, per archi con luce inferiore a 4-5
m, in assenza di sovraccarichi, conduceva agli stessi risultati di regole più
rigorose e motivate dei primi teorici del XVIII secolo.
La semplice geometria pratica era dunque l’unico strumento che i
costruttori medioevali possedevano per dimensionare e studiare le
strutture voltate, ma questo non impedì di realizzare strutture ardite e di
indiscussa bellezza.

3.2. Prime intuizioni (XV-XVII secolo)

A partire dal XV secolo, a fianco delle indicazioni pratiche fornite dalla


trattatistica di architettura per la realizzazione di archi e volte in muratura,
iniziò a delinearsi un altro atteggiamento basato principalmente sulla
geometria e sulle sue applicazioni4.
Il dimensionamento in chiave geometrica restò per lungo tempo il
criterio più seguito dagli architetti; infatti, fino alla fine del XVII secolo, le
volte venivano dimensionate ponendo particolare attenzione alle
proporzioni tra gli elementi, che dovevano rispondere a obiettivi estetici, a
riferimenti simbolici, a caratteri stilistici derivati dalla tradizione classica.
L’Alberti affermava che ciò che è geometricamente perfetto è anche
staticamente valido e che la perfezione delle dimensioni garantisce
l'equilibrio dell’intera struttura. Egli sosteneva inoltre che l'arco circolare è
il più solido ed è il solo che non richiede l'uso delle catene o di altri mezzi
di sostegno che si contrappongano alle spinte5.
Come lui, anche i numerosi trattatisti che seguirono posero le
maggiori attenzioni verso temi concreti connessi alla tecnica del costruire,
piuttosto che a teorie astratte, ma cercarono in qualche modo di indicare
le geometrie migliori al fine ridurre la spinta sui piedritti e di suggerire
rapporti fra la freccia della volta e le dimensioni dei vani6.
L’unico personaggio che, prima del XVII secolo, riusci a cogliere a
pieno il comportamento strutturale degli archi, fu Leonardo da Vinci, che
fornì schizzi e indicazioni che per la prima volta si rivelarono corretti.

95
CAPITOLO 3

Le sue idee sono custodite nei Codici Foster (1487-1505) e


soprattutto nei Codici di Madrid (1490-1508), nei quali è probabilmente
raccolto tutto il materiale preparatorio per il suo trattato di meccanica, mai
completato. Leonardo, comprendendo il funzionamento statico dell’arco,
affermò che “Arco non è altro che una fortezza causata da due debolezze:
imperochè l’arco negli edifiti è composto di due quarti di circulo, i quali
quarti circuli ciascuno debolissimo per se desidera cadere e oponendosi
alla ruina l’uno dell’altro, le due debolezze si convertono in una unica
fortezza”7. Egli, inoltre, indicò un metodo per la verifica degli archi
spiegando che “l’arco non si romperà, se la corda dell’archi di fori non
tocherà l’arco di dentro”8. Leonardo quindi, assimilando l’arco ad un
sistema di due aste (fig. 2), intuì probabilmente il concetto di linea delle
pressioni; ma non solo: osservando alcuni suoi disegni, si può scorgere il
tentativo di valutare sperimentalmente la spinta di archi con forma
differente (fig. 3) ed è possibile rinvenire alcuni studi sui meccanismi di
collasso e sulla fessurazione (fig. 4).
Leonardo, quindi, grazie solo al suo intuito e a semplici prove
sperimentali, riuscì a cogliere il comportamento dell’arco nei suoi aspetti
fisici essenziali e tentò di giustificarlo con schemi e semplici prove
sperimentali.

Fig. 2. Sistema di due sbarre a cui Leonardo assimilò probabilmente l’arco.


(Benvenuto E., 1981, 324)

96
GLI STUDI SCIENTIFICI

Fig. 3. Schizzi di Leonardo da Vinci, contenuti nei Codici Foster, rappresentanti


l’intuizione di prove sperimentali per la valutazione della spinta degli archi sui
piedritti. (Benvenuto E., 1991, 310)

Fig. 4. Schizzi di Leonardo da Vinci contenuti nei Codici Madrid: meccanismi di


collasso di un arco acuto e di un arco a tutto sesto (Benvenuto E., 1991).

I suoi studi e le sue precoci intuizioni restarono tuttavia un caso


isolato e, all’interno dell’ambiente scientifico, la chiave di lettura
prevalente per la stabilità degli archi e delle volte restò ancorata, per
almeno due secoli, alla geometria e ai rapporti proporzionali; ne sono un
esempio gli scritti di Sebastiano Serlio9 e di Carlo Fontana10 che nei loro
trattati proposero delle regole geometriche-proporzionali per la
determinazione dello spessore delle cupole, dei relativi supporti e delle
lanterne, mostrando, di fatto, un’estrema empiricità e soggettività dei
metodi proposti.

97
CAPITOLO 3

Fontana tuttavia, nel suo trattato La dichiaratione dell’operato nella


cupola di Monte Fiascone colla difesa della censura, pubblicato nel 1673,
ribadì un concetto, probabilmente già diffuso tra i contemporanei ma frutto
solamente dell’esperienza e dell’intuito, in cui si affermava che lo
spessore della cupola all’imposta dipende dal materiale con cui è
realizzato il sistema di sostegno. Egli afferma infatti che, se questo è “di
ottimo lavoro di mattoni”, la cupola dovrà avere all’imposta uno spessore
di 1/10 del vano, mentre se sarà “d’inferior qualità di Cimento, cioè di tufi
ò pietre” lo spessore dovrà essere almeno 1/911, introducendo un concetto
che verrà poi ripreso dagli studi del XVIII secolo.

3.3. Studi scientifici (XVIII-XIX secolo)

Nonostante la necessità, già affiorata nel corso del XVII secolo, di


ampliare le conoscenze sulle strutture, introducendo relazioni dipendenti
anche dalla resistenza dei materiali, è solo a partire dalla fine del XVII
secolo che iniziarono a maturare studi scientifici sistematici sulla
meccanica e sui materiali.
Il primo importante contributo si deve a Philippe De la Hire (1640-
1718), che nel suo trattato Traitè de Mecanique, pubblicato nel 1730, e
nella Memoria del 1712, pubblicata nel 1731, fornì brillanti spunti per un
nuovo modo di analizzare la statica delle strutture in muratura. Il
matematico e astronomo francese assimilò l’arco ad un insieme di
blocchi rigidi dotati però di peso proprio e affrontò sia il problema
dell’equilibrio strutturale, sia quello del dimensionamento dei piedritti.
Nella trattazione per valutare lo spessore dei piedritti, De la Hire abbozzò
una sorta di calcolo a rottura e ipotizzò un possibile meccanismo di
collasso basato su tre ipotesi12 (fig. 5):
1. la volta tende a lesionarsi in una sezione collocata a circa 45° tra
l’imposta e la chiave;

98
GLI STUDI SCIENTIFICI

2. i conci compresi tra le zone fessurate costituiscono un blocco unico e


le fondazioni sono ben solide;
3. la spinta si colloca al lembo inferiore del giunto di rottura.
L’autore assimilò quindi l’arco ad un cuneo spingente e ipotizzò che
i giunti fossero perfettamente lisci e che potessero scivolare l’uno
sull’altro, ignorando di fatto la deformazione dei blocchi, che può essere
effettivamente trascurata in prima approssimazione, e l’effetto dell’attrito
tra i conci, che costituisce invece un elemento essenziale per la corretta
valutazione del meccanismo di collasso. I dimensionamenti proposti non
trovano, infatti, riscontri nella realtà, ma la sua teoria, seppur erronea,
risultò fondamentale per gli studi successivi e per lo sviluppo della
meccanica degli archi.

Fig. 5. Meccanismo di collasso ipotizzato da De la Hire. (Benvenuto E., 1991, 333)

J. Forest de Belidor (1697 – 1761), nel suo trattato La science des


Ingenieurs dans la conduite des travaux de fortification et d'architecture
civile (1729), rielaborò le teorie di De la Hire proponendo un metodo
semplificato per la determinazione dello spessore dei piedritti,
concettualmente molto simile a quello di De la Hire.
Un ulteriore progresso nello studio della meccanica delle strutture
voltate è rinvenibile nelle due memorie di C. A. Couplet (1642-1722): De
la poussée des voûtes del 1729 e Seconde partie de l’éxamen de la
pouséee des voûtes del 1730.

99
CAPITOLO 3

La ricerca di Couplet si colloca, infatti, quale anello di congiunzione


tra i risultati di De La Hire e gli studi di Coulomb, introducendo, nell’ambito
del problema della definizione della forma e della valutazione della spinta
delle volte, un’importante innovazione: il legame tra i conci è considerato
come un ostacolo allo scorrimento lungo i giunti e quindi la rottura
dell’arco può avvenire soltanto per distacco in seguito alla rotazione
mutua intorno a certi punti chiamati charnières, ovvero cerniere. Per la
valutazione della spinta, Couplet si affidò alla composizione grafica delle
forze, peraltro già utilizzata da De La Hire. A partire dal blocco in chiave, il
cui peso è assegnato, Couplet riuscì a determinare l’andamento della
curva delle pressioni concio per concio, ipotizzandolo equidistante sia
dall'intradosso che dall’estradosso13. Couplet fu così in grado di
affermare, in linea con le teorie di Leonardo da Vinci, che un arco a tutto
sesto è in equilibrio se la linea, da lui definita “di appoggio”, è compresa
nel suo spessore: l’arco non può raggiungere il collasso “se la corda della
metà dell’estradosso non taglia l’intradosso, ma passa ovunque entro lo
spessore della volta” 14 (fig. 6a).
Il problema principale risiedeva però nella valutazione dell’equilibrio
quando la condizione precedente non era verificata: per far questo
Couplet immaginò l’arco come un sistema di quattro aste (fig. 6b) e
osservò che la sua rottura poteva avvenire solo con l’apertura dell’angolo
DÂE e con la chiusura degli angoli AEC e ADB.

a) b)
Fig. 6. Rappresentazione grafica delle conclusioni di Couplet. (Benvenuto E.,
1991, 343)

100
GLI STUDI SCIENTIFICI

L’autore affronta sicuramente il problema in un’ottica nuova e


corretta, ma commette l’errore di considerare i giunti di rottura collocati a
45°.
Negli anni successivi, la teoria degli archi e delle cupole subì un
rinnovamento; le esperienze di De la Hire e di Couplet trovarono
continuazione nell’opera dell’abate Bossut (1730-1814), che rappresenta
il cardine tra la fase empirica del XVII secolo e le esperienze scientifiche
di Mascheroni, Salimbeni e Coulomb. Egli esaminò due questioni: “l'una
consiste nel trovare la figura della volta quando si conosca la legge delle
forze che pressano i conci”; l'altra consiste, al contrario, “nel trovare la
legge delle forze che debbono pressare i conci quando si conosca la
figura della volta”15. Entrambe le questioni furono risolte dall’abate Bossut
sia per le volte a botte16, sia per le cupole17, per le quali l’autore si basò
sull’ipotesi che ogni “unghia” della cupola potesse essere considerata
come un arco isolato di larghezza variabile.
Particolarmente significativo fu l’operato di Charles Coulomb (1736-
1806), che, nel suo Essai sur une application des règles de maximis &
minimis à quelques problèmes de statique, relatifs à l’architecture,
espose i suoi studi sulla volta a botte ed elaborò una teoria relativa sia
alle volte prive di attrito, sia a quelle in cui esso è presente. Con Coulomb
si assistette ad un radicale cambiamento degli studi sulle strutture in
muratura: in primo luogo il modello fisico di riferimento si arricchì di nuovi
aspetti, che consentirono di avvicinarlo maggiormente alla realtà
sperimentale, includendo nei calcoli coesione ed attrito, ed inoltre mutò
completamente l’atteggiamento con cui veniva formulato il problema
dell’arco, infatti, se prima gli studiosi determinavano la geometria della
volta in funzione delle sollecitazioni che dovevano corrispondere ad un
dato schema statico, ritenuto ottimale, con Coulomb si cercò di
determinare i valori limite delle forze che sarebbe stato possibile
applicare ad un arco di dimensioni assegnate18. Il procedimento indicato
da Coulomb consentì di rimuovere l’ipotesi secondo la quale la rottura
dell’arco si verificherebbe per un giunto inclinato a 45° e condusse alla
determinazione delle sezioni realmente più deboli, portando così alla
determinazione del vero comportamento della volta. Significativa, ai fini

101
CAPITOLO 3

del corretto calcolo a rottura, è la frase conclusiva della sua opera: “Ora,
per poco che uno vi faccia attenzione, si vede che se si divide la parte
superiore della volta verso la chiave e si suppone che la volta stessa si
rompa in quattro punti anziché in tre, la forza di pressione delle parti
superiori sarà assai maggiore di quella che si determina col metodo del
Signor De la Hire e le dimensioni dei piedritti fissate dal suo metodo
saranno insufficienti”19.
Tra le righe si può chiaramente leggere il suggerimento ad
accantonare il popolare metodo di De la Hire e la vecchia concezione
dell’arco visto come un cuneo spingente sui fianchi, per iniziare ad
affrontare la rigorosa analisi del cinematismo di collasso rappresentato
dalla figura 7.

Fig. 7. Reale cinematismo di collasso di un arco, individuato da Coulomb.


(Benvenuto E., 1991, 399)

Questa analisi però non è attribuibile a Coulomb, bensì all’abate e


matematico italiano Lorenzo Mascheroni (1750- 1800), che nel suo
trattato Nuove ricerche sull’equilibrio delle volte del 1785, cercò di dare
forma analitica rigorosa ai principali problemi che intervengono nel
progetto degli archi e delle cupole.
Le esperienze di Mascheroni, assieme a quelle di Danisy e di Jean
Baptiste Rondelet (1734 – 1829), le prove sperimentali di E. M. Gauthey
(1732 – 1807) e di L. C. Boistard, della fine del Settecento, favorirono la
formulazione di una teoria unitaria sul comportamento statico degli archi:

102
GLI STUDI SCIENTIFICI

la definizione del meccanismo di rottura in quattro parti per rotazione,


costituiva ormai un dato acquisito dal quale dedurre tutti gli elementi per
un corretto dimensionamento ed è proprio in questa direzione che si
mosse la ricerca teorica dei primi anni dell’Ottocento.
Durante il XIX secolo e a partire da Luigi Navier (1785 – 1836) il
problema cominciò ad assumere però una diversa fisionomia, l’attenzione
si spostò sulla resistenza del materiale, dalla quale si faceva dipendere la
determinazione dei punti di applicazione delle risultanti in chiave e nei
giunti di rottura.
Pochi anni dopo Franz Joseph Gerstern (1756 – 1832) introdusse il
concetto di linea di resistenza, intesa come il poligono che congiunge i
centri di pressione sui piani di ciascun giunto (linea tratteggiata in fig. 8), e
quello di linea di pressione, intesa come l’inviluppo delle rette d’azione
delle forze che nascono tra giunto e giunto (linea continua in fig. 8).
Un primo studio sulle curve di pressione, sulla scorta delle indicazioni
di Navier, venne condotto da Eduard Henry Méry nel 1840, che propose
anche un metodo grafico ancora oggi usato per i piccoli archi.

Fig. 8. Linea di resistenza e linea Fig. 9. Curva delle pressioni proposta da


delle pressioni secondo lo schema Mery per assicurare la stabilità dell’arco.
di Gerstern. (Benvenuto E., 1981) (Benvenuto E., 1981)

103
CAPITOLO 3

Méry (1805-1866) riuscì a determinare il valore della spinta


ipotizzando che in ogni sezione dell’arco non fossero presenti sforzi di
trazione quindi ipotizzando che la linea di resistenza, da lui denominata
curva delle pressioni, fosse sempre compresa fra le linee curve ottenute
congiungendo, per ogni sezione, i vertici superiori e inferiori del nocciolo
centrale d’inerzia. Fra tutte le possibili curve delle pressioni contenute
nella zona appena descritta, Méry consigliava vivamente di considerare
quella particolare linea che è tangente in chiave al bordo superiore della
striscia e tangente al bordo inferiore nella sezione delle reni inclinata, per
gli archi a tutto sesto, di 60° rispetto alla verticale (fig. 9). A questo punto
la curva delle pressioni era completamente determinata e per tracciarla
bastava costruire il poligono funicolare delle forze (peso proprio e
sovraccarico) che incontra tre punti particolari e cioè a' in chiave, M' alle
reni e il suo punto speculare nella simmetrica parte dell’arco20.
Questo è il celebre principio del terzo medio, realizzato sulla scorta
delle indicazioni di Navier, tutt’oggi impiegato per archi e volte di piccole
dimensioni.
Fu però solo con il contributo di Luigi Menabrea (1808 - 1896) e di
Alberto Castigliano (1847- 1884) che si riuscì ad approdare alla moderna
teoria dell’analisi limite, sviluppata principalmente dal professor Heyman,
che attualmente rappresenta il migliore strumento per comprendere e
analizzare la statica degli archi in muratura.
Gli studi e le indicazioni di questi illustri personaggi alimentarono
gradualmente, all’interno dell’ambiente architettonico, un nuovo
approccio al problema degli archi, delle volte e soprattutto delle cupole.
Già dalla prima metà del XVIII secolo, tra coloro che si occupavano dello
studio e della realizzazione di cupole, emerse la necessità di confrontare
e mettere in relazione i dati desunti dall'analisi teorica con la tradizione
costruttiva. Si moltiplicarono in questo periodo le ricerche sia sui grandi
modelli antichi sia su quelli rinascimentali, di cui si tentava di svelare, con
l'ausilio dei nuovi strumenti analitici e meccanici, i segreti della
ineguagliata perfezione tecnica e compositiva21.
Qualche anno più tardi, all’inizio del XIX secolo, le nuove teorie
erano ormai penetrate negli ambienti colti e gli architetti più eruditi

104
GLI STUDI SCIENTIFICI

iniziarono a fondare le loro scelte progettuali su precisi calcoli matematici,


desunti dai trattati e dalle memorie provenienti dalle accademie francesi,
con importanti ripercussioni sulla pratica di cantiere.
Il dimensionamento su base geometrica non venne tuttavia
abbandonato e iniziò a farsi strada un atteggiamento intermedio tra
quello puramente matematico e quello ancora legato a una ricerca di
carattere geometrico. Rappresentativo di questo filone è per esempio il
Trattato della Cognizione Pratica delle Resistenze di Giovanni Battista
Borra, che si colloca appunto in posizione intermedia tra i due approcci
progettuali, affiancando generiche indicazioni sull'equilibrio delle forze a
nozioni di stereotomia desunte dalla trattatistica francese e a un singolare
criterio di dimensionamento del piedritto (riproposto peraltro da Giuseppe
Valadier a metà Ottocento).
L’analisi dei documenti relativi alla costruzione della cupola del
Duomo Nuovo di Brescia22 mostra un significativo esempio di questa
rinnovata tendenza.
Per la realizzazione della cupola, nei primi anni del XIX secolo, la
Deputazione della Fabbrica del Duomo Nuovo interpellò una serie di
architetti, incaricati di fornire un progetto o di esprimere un parere sulla
soluzione formale della cupola, sui materiali da impiegarsi e sulla statica
della struttura. I due problemi che maggiormente preoccupavano i membri
della Deputazione riguardavano la stabilità del sistema di sostegno e la
sua capacità di reggere l’enorme peso della cupola e la curvatura della
cupola stessa. Tra i vari architetti interpellati emerge la figura di Rodolfo
Vantini (1792-1826), noto architetto bresciano, che facendo uso delle
teorie di Belidor e Bossut calcolò la spinta esercitata dalla cupola sui
piloni, giungendo alla conclusione che la struttura portante non sarebbe
stata in grado di sostenere una cupola con costoloni in pietra, a suo
giudizio troppo pesante, mentre avrebbe potuto reggere una cupola con
costoloni in cotto, molto più leggera e meno spingente. Il Vantini, in una
sua memoria23, scrive: “Argomento di lunghe controversie fu la
costruzione della Cupola quando l’architettura non fiancheggiata dalle
Scienze si appoggiava solo a pratiche speculazioni le più volte fallaci.-
Senza l’aiuto delle Mattematiche, non si arriva a determinare la risultante

105
CAPITOLO 3

delle forze fisiche poste in azione in questa parte degli edifici. Il più
accorto raziocinio non bastò al Brunelleschi a tutto conoscere nello
sciogliere il problema che aprì la strada alle più vaste imprese
dell’Architettura moderna, né a Michelangelo quando concepì l’opera più
ardita di cui si vantino le nostre arti. Entrambi non avvisarono a danni che
procedono alle Cupole per l’eccessivo gravitare della Lanterna, che
ambedue ne giudicavano il molto peso attivissimo a mantenere allegate le
parti della volta sottoposta. Ma dopo le felici applicazioni che si fecero
delle Mattematiche a questa parte dell’architettura, le condizioni
indispensabili per l’equilibrio d’una Cupola vennero stabilite. La diversa
solidità che procede dalle curve, la grossezza dei muri destinati a
sorreggerle, la disposizione dei materiali, la mole dei Contrafforti, il peso
che non è lecito oltrepassare nella Lanterna, tutto rimane stabilito, e
dacchè la dimostrazione fu portata alla maggior evidenza ogni questione
su di ciò dovrebbe sparire. È dunque una vera compassione il modo con
cui si disputa da molti sul come debbasi voltare la Cupola della nostra
Cattedrale, quasi fossimo ricaduti nella povertà de’lumi scientifici di alcuni
secoli addietro, e dall’incerto consiglio di alcuni pratici, ma poi non altro
che pratici, possa tuttavia dipendere una deliberazione di tanta
importanza”24.
Dalle sue parole emerge chiaramente la denuncia verso quegli
architetti che, nonostante gli importanti progressi scientifici, fondavano
ancora le loro scelte su considerazioni proporzionali.
Egli afferma inoltre che “Col mezzo della Stereometria si dettermina
la pressione di una Cupola. I Signori Mazzoli ed Antolini25 esposero per
essa la diversità de’ pesi nella nostra secondo i vari progetti di
costruzione. Ma con la sola Mattematica Applicata si penetra il modo con
cui bilanciare nelle Cupole la resistenza alla spinta. De la Hire, Couplet,
Belidor, Bossut, Venturoli, ed altri, calcolarono le formule per detterminare
quest’equilibrio. Io ho trascritte le lodatissime del Bossut registrate negli
atti dell’Accademia di Parigi del 1774, e perché offrono un applicazione
facilissima al nostro caso, e perché servirono a proporzionare la
resistenza di una delle quattro più ragguardevoli cupole d’Europa, pel suo

106
GLI STUDI SCIENTIFICI

modo di costruzione di S.t Genovef a Parigi, il cui diametro però è di due


piedi minore del nostro”26.
È quindi evidente che gli studi scientifici entrarono presto a far parte
del bagaglio di conoscenze di architetti e ingegneri, ma che la tradizione
del dimensionamento in chiave geometrica, ormai penetrato nella cultura
architettonica, restò, probabilmente per i personaggi meno istruiti e colti,
un punto di riferimento a cui affidarsi per la verifica delle strutture voltate.

3.4. Bibliografia

ƒ AA. VV., Lo specchio del cielo, a cura di Conforti C., Electa, Milano
1997.
ƒ Becchi A., Foce F., Degli archi e delle volte: arte del costruire tra
meccanica e stereotomia, Marsilio, Venezia 2002.
ƒ Benvenuto E., An introduction to the history of structural mechanics,
volume 2, Springer-Verlog, New York 1991.
ƒ Benvenuto E., Evoluzione tipologica delle volte in muratura ed
evoluzione dei sistemi di calcolo nelle costruzioni a volta, in Le volte in
muratura fra tecnologia antica e tecnologia moderna: atti del convegno.
Padova, 16 dicembre 1989, Eurograf, Padova 1989.
ƒ Benvenuto E., La scienza delle costruzioni e il suo sviluppo storico,
Sansoni, Firenze 1981.
ƒ Benvenuto E., Corradi M., Foce F., Sintesi storica sulla statica di
archi, volte e cupole nel XIX secolo, in “Palladio”, n. 2/1988.
ƒ Di Pasquale S., L’arte del costruire. Tra conoscenza e scienza,
Marsilio, Venezia 2003.
ƒ Foce F., Sinopoli A., Le svolte di pensiero nella riflessione scientifica
sulla statica degli archi in muratura, in “Costruire in laterizio”, n. 52/53
1996, Editoriale PEG s.p.a., Milano.
ƒ Huerta S., Galileo Was Wrong: the geometrical design of masonry
arches, in “Nexus Network Journal”, vol. 8, n. 2, 2006.

107
CAPITOLO 3

ƒ Mainstone R., Reflections on the related histories of construction and


design, in Proceedings of the First International Congress on Construction
History, Huerta S., Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Madrid,
Madrid 2003.
ƒ Marcolongo R., Studi Vinciani, SIEM, Napoli 1937.
ƒ Marconi N., La teoria delle cupole nei trattati di architettura tra
Seicento e Settecento, in Lo specchio del cielo, a cura di C. Conforti,
Electa, Milano1997.
ƒ Pozzi R., La statica grafica nell’architettura: equilibrio e forma degli
archi, Esculapio, Bologna 1991.
ƒ Serlio S. I sette libri dell’Architettura, Arnoldo Forni editore, Bologna
1987.
ƒ Timoshenko S. P., History of strength of materials, Dover
Publications, Inc., New York, 1953.
ƒ Viollet le Duc E., Dictionnaire raisonnè de l’architetture francaise du
XI, au XVI siecle, Tomo IX, voce: voûte, Librairies imprimeries reunies,
Parigi 1875.
ƒ Viollet le Duc E., L’architecture raisonnèe : extraits du dictionnaire de
l’architecture francaise, a cura di Hubert Damish, Hermann, Parigi 1964.

NOTE:

1
Per una trattazione più estesa sull’argomento si rimanda al testo esaustivo e
insuperato di Benvenuto E., 1981 e al lavoro di Di Pasquale S., 2003. Un’ampia
bibliografia è rinvenibile nel testo Becchi A., Foce F., 2002.
2
Anche se la provenienza di questa semplice regola geometrica non è sicura,
il Rondelet la attribuisce a padre Francois Dérand e assicura che, ancora nel XVII
secolo, Blondel, così come molti altri, ne facesse largo uso.
3
Benvenuto E., 1981, 323.
4
Marconi N., 1997, 231-243.
5
Ivi, Libro I, Capitolo XII, pp. 47.
6
Si veda a tal proposito il capitolo 2 del presente lavoro.
7
Marcolongo R., 1937, 237.
8
Di Pasquale S., 2003, 243.
9
Serlio S., 1987.

108
GLI STUDI SCIENTIFICI

10
Fontana C., 1673 e Fontana C., 1694.
11
Marconi N., 1997, 231.
12
Benvenuto E., 1981, 330-331.
13
Marconi N., 1997, 237.
14
Couplet C.A., Seconde partie de l’examen de la poussée des voûtes, in
Benvenuto E., 1981, 38.
15
Pozzi R., 1991, 41.
16
Bossut C., Recherches sur l’equilibre des voutes, Paris 1777
17
I Bossut C., Nouvelles recherches sur l’equilibre des voutes, Paris 1778.
18
Benvenuto E., 1981, 361-362.
19
Ivi, 366.
20
Ivi, 390-391.
21
Alcuni testi a carattere monografico indagarono la struttura e la tecnica di
tali modelli in modo approfondito: tra questi vi è il celebre trattato di Giovanni
Poleni, incaricato nel 1743 di verificare la stabilità della cupola vaticana. Le
Memorie Istoriche della Gran Cupola del Tempio Vaticano risultarono
fondamentali per la conoscenza e la comprensione del comportamento statico e
delle cause del manifestarsi di alcuni fenomeni fessurativi, non solo per la cupola
di San Pietro, ma anche per gran parte delle cupole in muratura, nonché per
l'analisi di criteri e tecnologie impiegati nei diversi interventi di consolidamento
susseguitisi nel corso dei secoli. Peraltro, il fatto che Poleni abbia applicato alla
sezione della cupola di San Pietro, e dunque a una sezione realmente costruita,
la teoria della curva catenaria quale metodo di verifica per la stabilità, costituisce
un precoce esempio di rigore scientifico.
22
I lavori per la realizzazione del Duomo di Brescia iniziarono nei primi anni
del XVII secolo, ma le dispute e le incertezze che accompagnarono la scelta
formale dell’impianto e la soluzione per la facciata dilatarono enormemente i tempi
per la costruzione e, solo nel 1804, riprese il dibattito riguardante le modalità di
realizzazione della cupola.
Tra il 1815 e il 1817 terminò la costruzione del tamburo e l’attenzione si
focalizzò sul problema della grande calotta centrale, sostenuta dai quattro piloni
liberi e dai quattro arconi già realizzati.
23
Cartella 60 ACCBS (Archivio del Capitolo della Cattedrale di Brescia).
Memoria dell’architetto sig.re Vantini agli illustri deputati alla fabbrica del Nuovo
Duomo, 30 luglio 1819.
24
Cartella 60 ACCBS, 30 luglio 1819, Brescia.
25
Mazzoli e Antolini furono due fra i numerosi architetti interpellati dalla
Deputazione per esprimere un parere sulla stabilità della cupola.
26
Cartella 60 ACCBS, 30 luglio 1819, Brescia.

109
4. INTUIZIONI STATICHE E COMPORTAMENTO
STRUTTURALE A CONFRONTO: IL CASO DELLE
CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

4.1. Introduzione

Da quanto emerso nei capitoli precedenti, appare evidente che la


costruzione di volte e cupole ha sempre rappresentato, almeno fino alla
fine del XIX secolo, la fase più delicata del cantiere. I problemi legati alla
realizzazione delle cupole riguardavano la scelta formale della geometria
della calotta, la scelta dei materiali e delle tecniche costruttive, in
relazione anche alle capacità delle maestranze e alle risorse economiche,
ma soprattutto la stabilità della cupola stessa e dei relativi supporti. Era
questa, infatti, la principale preoccupazione di architetti e committenti, che
spesso, in assenza di conoscenze statiche oggettive, erano costretti a
interrompere i lavori per lunghi anni, riesaminando i progetti proposti e
cercando di valutare, con l’ausilio dei pochi strumenti matematici e
geometrici a loro disposizione, la forma migliore e la tecnica costruttiva
più adeguata.
La grande esperienza maturata nei corso dei secoli, le indicazioni dei
trattatisti sul dimensionamento in chiave geometrica e le prime intuizioni
statiche hanno portato alla realizzazione di volte e cupole di indiscussa
grandezza, tuttavia i numerosissimi dissesti e i frequenti crolli che hanno
accompagnato il corso dell’architettura nella storia testimoniano le
oggettive difficoltà incontrate dai costruttori nel comprendere il
comportamento di tali coperture.

111
CAPITOLO 4

Proprio in virtù dell’esperienza pratica e in modo spesso intuitivo,


nell’edificazione delle cupole i costruttori rivolgevano le maggiori
preoccupazioni alla buona esecuzione dell’opera muraria e all’opportuno
dimensionamento sia delle murature di sostegno sia della calotta, che
spesso poteva contemplare anche un tamburo di appoggio e una
lanterna. L’effetto ribaltante della spinta della cupola sui piedritti e la
tendenza della cupola a fessurarsi longitudinalmente, secondo un
comportamento tipico che sarebbe stato scientificamente definito solo agli
inizi del XX secolo, erano fatti empiricamente noti, che i costruttori
cercavano di contrastare con espedienti diversi, variabili a seconda del
caso concreto e del contesto storico, ma in genere diretti a risolvere
principalmente tre ordini di problemi: assicurare la resistenza dei sostegni,
contenere le spinte e ridurre il peso delle coperture voltate1; il timore dei
costruttori era giustificato, tuttavia, dalla coscienza che non sempre la
muratura era eseguita a regola d’arte e che gli espedienti messi in atto
spesso si rivelavano inefficaci o insufficienti, aprendo la strada a
irreparabili dissesti.
Le incertezze che accompagnavano la costruzione di cupole
sembravano acuirsi in particolare nel caso di edifici religiosi con impianto
in cui il vano più significativo era coperto con volta o cupola maggiore
appoggiata su quattro piedritti isolati, uniti tra loro da quattro arconi e
collegati alle murature perimetrali mediante opportuni sistemi voltati
trasversali e longitudinali2. Una struttura così articolata caratterizzava in
particolare gli edifici religiosi con impianto a quincunx che, come è noto, è
costituito da un quadrato diviso da una croce greca inscritta in nove
riquadri, dei quali i quattro angolari e quello centrale sono coperti con
cupola; in tale impianto il vano centrale, più importante, era in genere
coperto con cupola maggiore sostenuta appunto da quattro piedritti liberi
mediante quattro arconi e quattro pennacchi. .
Il comportamento dei singoli elementi strutturali del nucleo centrale
della croce greca inscritta nel quadrato e le loro reciproche interazioni con
la calotta, soprattutto nel caso di strutture di importanti dimensioni, erano
l’oggetto delle maggiori attenzioni da parte di progettisti e costruttori,

112
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

come mostra in modo esemplare il travagliato rifacimento rinascimentale


della basilica di San Pietro a Roma3.
La centralità e lo spessore delle problematiche presentate da questo
argomento, non solo in relazione allo studio del comportamento di volte e
cupole in muratura, ma anche per le importanti ricadute di questo tema
sulle scelte progettuali, compositive e formali di una buona parte
dell’architettura religiosa del passato, e l’assenza di studi sistematici sullo
specifico soggetto hanno sollecitato la presente ricerca. In particolare lo
studio presentato ha l’obiettivo di delineare gli aspetti progettuali e la
prassi costruttiva delle cupole su piloni liberi, cercando di rileggere e
giustificare, alla luce delle conoscenze attuali, alcune scelte progettuali
operate dagli architetti e dai costruttori del passato e ciò secondo una
metodologia di ricerca scientifica tesa a incrociare gli strumenti di indagine
propri della disciplina storica, ancorata alle fonti archivistico-
documentarie, e quelli più specificamente appartenenti alle discipline
ingegneristico-strutturali, quali, ad esempio, l’analisi limite e le analisi ad
elementi finiti.
Per far questo si è preso spunto dalle vicende inerenti alla prima
cupola della seicentesca chiesa di Sant’Alessandro a Milano e dagli esiti
disastrosi della sua esecuzione, che portarono alla demolizione della
stessa cupola, dagli interventi di consolidamento e dai successivi progetti
proposti. Il primo obiettivo del presente studio, quindi, è stato quello di
comprendere le possibili ragioni che portarono alla demolizione della
prima cupola di Sant’Alessandro e di verificare se le soluzioni ideate
successivamente, nel caso fossero state eseguite, avrebbero potuto
evitare i problemi insorti in precedenza. Si è poi cercato di comprendere,
grazie all’applicazione dell’analisi limite alla struttura, il comportamento
globale del sistema composto da cupola, piloni, pennacchi e arconi. I
risultati ottenuti nel caso specifico di Sant’Alessandro possono
ovviamente essere estesi al più generale problema di una struttura
cupolata su piloni liberi, che costituisce il nucleo centrale di un edificio con
impianto a croce inscritta nel quadrato. L’individuazione dei meccanismi
strutturali che si instaurano nel sistema composto da cupola, tamburo,
arconi, pennacchi e piloni ha consentito di fornire utili indicazioni di

113
CAPITOLO 4

carattere generale sull’efficacia degli accorgimenti e dei presidi strutturali


utilizzati in passato in strutture cupolate appoggiate su piloni liberi e di
maturare considerazioni che investono il campo delle scelte formali e
compositive (strettamente connesse, soprattutto in presenza di tali
sistemi, con quelle strutturali) intraprese a partire dal XVI secolo dalla
cultura architettonica lombarda in relazione alla definizione del profilo, e
quindi dell’immagine, delle cupole.
Sulla scorta delle acquisizioni fatte, è stato inoltre possibile valutare il
coefficiente di sicurezza delle strutture esistenti e proporre formule di
progetto per eventuali interventi di recupero.
I primi risultati di questo studio sono stati pubblicati nel Tecnical
Report della Facoltà di Ingegneria di Brescia nel 2004 e i successivi
sviluppi sono stati presentati al Second International Congress on
Construction History nel 2006 e pubblicati nei Proceeedings dello stesso
convegno.

4.2. Inquadramento storico: lo sviluppo dell’impianto planimetrico a


quincunx

Molti furono nel Rinascimento gli architetti che si dedicarono alla


ricerca di un impianto che potesse conciliare aspetti monumentali,
funzionali e simbolici per la chiesa cristiana4 (fig. 1).
La pianta che più di ogni altra si adattava alle diverse esigenze fu
l’impianto a quincunx, il cui nucleo centrale è costituito da cupola su piloni
liberi.
La quincunx è una pianta che fonde lo schema a croce greca, con i
bracci di uguale lunghezza, con una base quadrata: quattro pilastri
puntiformi suddividono l’interno in nove ambienti, di cui quello centrale e i
quattro laterali sono coperti con cupole o volte.
Si può quindi considerare la quincunx come una raffinata evoluzione
dell’impianto circolare o ottagonale spesso utilizzato per gli edifici religiosi
fin dal IV secolo5.

114
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

Fig. 1. Filerete, pianta del tempietto della dea Copia (sinistra); Leonardo, analisi
volumetrica del S. Pietro bramantesco (destra).

Fig. 2. Leonardo, studi di chiese a pianta centrale, 1487-90. (Adorni B., 2002, 62)

115
CAPITOLO 4

L’origine dell’impianto a quincunx, secondo Richard Krautheimer6, è


questione assai complessa. Recenti studi suggeriscono un’origine in area armena,
dove la quincunx fu impiegata frequentemente in complessi conventuali, e un
approdo infine a Costantinopoli, dove si diffuse in particolare tra la metà del IX e la
7
metà del XII secolo .
In epoca bizantina gli impianti a quincunx presentavano alcune
caratteristiche fondamentali, come lo sviluppo delle cappelle orientali, che
permettevano di longitudinalizzare parzialmente le piante degli edifici.
Tra il IX e il XII secolo, anche nella periferia dell’impero, nacquero
alcuni piccoli edifici religiosi su impianti simili.
In Italia il primo edificio con impianto assimilabile a quelli bizantini è
Santa Maria delle cinque Torri a Cassino, databile intorno alla fine del VIII
secolo, ma completamente distrutta durante la seconda guerra mondiale.
In questa struttura è evidente la presenza di un quadrato minore inscritto
in uno maggiore, ma la croce greca è interrotta dal colonnato interno (fig.
3).

Fig. 3. Pianta e sezione assonometrica della Chiesa di Santa Maria delle cinque
Torri a Cassino. (Sinistra: di A.Pantoni, destra: di V.Jorga)

In Italia il primo vero esempio di impianto a quincunx si trova nel


sacello di S. Satiro a Milano, databile nel XI secolo, inglobato alla fine del
XV secolo nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro, progettata da
Bramante8 (fig. 4). Il Sacello di San Satiro, inscritto perfettamente in un

116
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

quadrato, presenta appunto una croce greca iscritta in un quadrato e


quattro colonne libere che schermano il vano centrale e sostengono la
cupola; i bracci della croce sono coperti con volte a botte, al centro si
trova una piccola cupola e nei vani angolari sono poste quattro volte a
padiglione.
Il modello milanese costituito dal sacello carolingio di San Satiro, più
che quelli bizantini, ha costituito indubbiamente un punto di riferimento per
la ripresa rinascimentale dell’impianto a quincunx.
Bramante, ispirandosi al piccolo sacello milanese, volle riproporre un
impianto a quincunx per il suo progetto più importante: San Pietro a Roma
(fig. 5).
A partire dall’inizio del XVI secolo si sviluppano in Italia numerosi
esempi di edifici religiosi con impianto a quincunx: la chiesa di San
Giovanni Crisostomo, ad opera di Mauro Codussi (1440-1504), che
rimanda fortemente nella pianta e nella spazialità interna sia alla tipologia
bizantina, sia alle riflessioni di Bramante; Santa Maria di Carignano a
Genova, progettata dall’Alessi; Santa Maria della Steccata a Parm; la
chiesa di Santa Maria della Campagna a Piacenz; il Duomo Nuovo di
Brescia; Sant’Alessandro in Zebedia a Milano e molti altri9.
La chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia a Milano, per le sue vicende
architettoniche e per i dissesti evidenziati fin dai primi anni della sua
costruzione, ha costituito il punto di partenza per il presente lavoro.
Dopo un’attenta analisi delle vicende progettuali e costruttive della
cupola di Sant’Alessandro, sulla base dei disegni di progetto, si è cercato
di comprendere e di giustificare alcune scelte progettuali operate dai
costruttori del passato. Estendendo poi le considerazioni fatte e i risultati
ottenuti al caso più generale di cupole su piloni liberi, si è proposto uno
schema di verifica e di calcolo per eventuali interventi di recupero
strutturale.

117
CAPITOLO 4

Fig. 4: Pianta della Chiesa di Santa Maria Fig. 5: Pianta del progetto
presso San Satiro. (Bruschi A., 1997) bramantesco per la Basilica di
San Pietro. (Uffizi 1A)

4.3. Le principali vicende progettuali e costruttive della cupola di


Sant’Alessandro a Milano10

La chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia iniziò ad essere costruita a


Milano dai Chierici Regolari di San Paolo nel 1602. Il progetto era stato
inviato un anno prima da Roma dal padre barnabita Lorenzo Binago
(1554-1629), «architectura artis bene peritus»11, che, trasferitosi poi a
Milano, seguì il cantiere sino al 1629, anno della sua scomparsa.
Binago, che alla luce dei più recenti studi emerge come architetto di
grande interesse, mediatore tra la cultura romana e la tradizione lombarda
tradocinqucentesca, particolarmente sensibile ai problemi costruttivi e alla

118
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

pratica di cantiere, scelse per Sant’Alessandro un impianto planimetrico


basato sulla croce greca inscritta nel quadrato (fig. 6), con il preciso
intento di ricollegarsi alle scelte cinquecentesche di Bramante e
Michelangelo per San Pietro (figg. 7-8), di Galeazzo Alessi per Santa
Maria di Carignano a Genova (fig. 9) e del San Lorenzo all’Escurial di
Madrid (fig. 10). A differenza di quanto sia rilevabile in questi celebri
riferimenti, il quadrato di base della quincunx in Sant’Alessandro è
maggiormente articolato da Binago in senso longitudinale, al centro dal
presbiterio e dal coro, e ai lati dalla sacrestia e da un oratorio; tre cappelle
per lato chiudono il perimetro del vano quadrato. L’espansione assiale
della quincunx era determinata senz’altro da esigenze liturgiche, sia
interne all’ordine (i Barnabiti avevano l’ufficio corale) sia correlate alla
volontà di aderire allo spirito della riforma tridentina e delle Instructiones
borromeiche. L’invaso principale dell’edificio fu coperto con cinque cupole:
quattro minori ribassate agli angoli e una grande cupola centrale, sorretta
da quattro piloni a pianta all’incirca triangolare con coppie di colonne
monolitiche sui lati diagonali. Lo spazio centrale con cupola maggiore
rappresentava, come in tutti gli edifici eseguiti con simile impianto, un
punto nodale dell’organizzazione liturgica della chiesa e, di conseguenza,
un punto nodale nella composizione della sua architettura e
nell’organismo strutturale complessivo dell’edificio.

119
CAPITOLO 4

Fig. 6. Pianta della chiesa di Sant’Alessandro. Progetto di Lorenzo Binago.


(Milano, Archivio Storico Civico, Raccolta Bianconi, VII, f. 6)

120
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

Fig. 7. Studio per la pianta di San Fig. 8. Studio per la pianta di San Pietro a
Pietro a Roma: progetto di Roma: progetto di Michelangelo secondo
Bramante (Uffizi 20A). Dupérac.

Fig. 9. Santa Maria di Fig. 10 A destra: San Lorenzo


Carignano a Genova, all’Escurial di Madrid, planimetria
planimetria. generale.

121
CAPITOLO 4

Fig. 11. Sezione della chiesa di Fig. 11. Sezione della chiesa di
Sant’Alessandro secondo il progetto di Sant’Alessandro secondo il progetto di
Binago (Milano, Archivio Storico Ricchino (Milano, Archivio Storico
Civico, Raccolta Bianconi, VII, f. 12). Civico, Raccolta Bianconi, VII, f. 13).

Non è facile ricostruire con precisione la configurazione della cupola


maggiore progettata da Binago, demolita nel 1627 per le gravi lesioni
manifestate, non essendo stata raffigurata in modo univoco. E’ probabile
che i disegni che illustrano con maggiore fedeltà il progetto binaghiano
siano due sezioni trasversali della chiesa, molto simili, con scala grafica e
autografe di Binago, conservate a Milano nell’Archivio Storico dei
Barnabiti e nella Raccolta Bianconi dell’Archivio Storico Civico (Fig. 11).
Nei due fogli la cupola appare emisferica, costolonata, dotata di lanterna e
protetta da un tiburio alla lombarda; la calotta appoggia su un tamburo
cilindrico dotato di otto aperture ed è sostenuta, mediante quattro
pennacchi e quattro arconi, ai piloni triangolari sottostanti.
La vita di questa cupola fu assai breve12. Intrapresa la costruzione
dei piloni a partire dal 1614, entro il 1623 furono messe in opera le
otto colonne lustrate e gli arconi di collegamento; i documenti attestano
che tra il 1624 e il 1625 erano stati preparati tutti i materiali per costruire la
cupola e che si sperava di voltare la calotta entro il 1626. Ma già nel

122
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

novembre dello stesso anno fervevano le consultazioni per rimediare alla


statica incerta della nuova cupola, essendosi manifestate lesioni
preoccupanti agli arconi, che si volevano puntellare in via preventiva e
che si pensava di ricostruire interamente in pietra con l’intento di
preservare la calotta appena terminata. Nel febbraio 1627 la rovina della
cupola era «data per certa e sicura da tutti» e il capitolo, non avendo
trovato alcun rimedio rassicurante, decise di «distruggere la sommità o il
fastigio della detta chiesa fino alla cornice includendo anche l’arco e
anche altro, se così ai periti, che si dovranno consultare nei giorni, parrà
opportuno»13.
Dopo la demolizione della cupola fu consultato Fabio Mangone
(1587-1629), architetto di cospicua fama nel panorama milanese,
architetto della Fabbrica del Duomo dal 1617, il quale nel 1628 espresse
un parere sugli interventi di consolidamento da realizzare alle strutture
portanti, evidentemente in vista della costruzione di una nuova cupola.
Mangone, essenzialmente, riteneva necessario intervenire sui piloni e
sugli arconi: auspicava di aumentare la sezione resistente dei piloni,
occupando con muratura lo spazio tra i piloni stessi e le colonne libere
diagonali, di rinforzare gli arconi «che si facessero doppi» e di allargare la
sezione del futuro tamburo in modo da centrarlo sugli arconi sottostanti14.
Nel 1629, scomparso Mangone, subentrò nel cantiere dell’edificio
Francesco Maria Ricchino (1584-1658), figura di primo piano nel
panorama professionale milanese e lombardo, che in diverse occasioni
aveva affiancato Lorenzo Binago15. Probabilmente lo stesso Ricchino
mise in opera i consigli di Mangone, provvide a mettere in opera non ben
specificati incatenamenti agli arconi e a realizzare arconi a sesto acuto al
disopra degli arconi semicircolari di sostegno alla cupola. Ricchino si
accinse infine a realizzare un progetto per una nuova cupola, forse non
senza la collaborazione di Giovanni Ambrogio Mazenta, padre barnabita
assistente del padre generale dell’ordine e architetto. Il disegno della
nuova copertura è documentato in due fogli conservati nella Raccolta
Bianconi dell’Archivio Storico Civico di Milano, costituiti da uno schizzo di
progetto e un disegno illustrativo (fig. 12). Il progetto ricchiniano si
discosta notevolmente dalle soluzioni “alla lombarda” di Binago,

123
CAPITOLO 4

proponendo una cupola estradossata, costolonata, appoggiata su un


attico sopra un tamburo finestrato. La soluzione estradossata, oltre a
rappresentare un unicum nella produzione ricchiniana, costituisce una
rarità anche per la cultura architettonica milanese tra secondo
Cinquecento e primo Seicento, particolarmente cauta nel realizzare
concretamente cupole siffatte, esemplate su modelli romani
rinascimentali. In particolare, per il progetto ricchiniano sono evidenti i
collegamenti con la cupola michelangiolesca-dellaportiana di San Pietro,
ma anche con quelle del Gesù, di San Carlo ai Catinari, di Sant’Andrea
della Valle, mostrando un puntuale aggiornamento sulla cultura
architettonica romana e suggerendo nel contesto locale una proposta di
grande valore innovativo. E proprio il valore innovativo di questa cupola,
con una struttura che non sembrava garantire alla cultura locale una
grande affidabilità e con cui obiettivamente si aveva una scarsa
confidenza costruttiva, induce a pensare che forse Ricchino, con la cupola
di Sant’Alessandro, avrebbe potuto correre il serio rischio di assumersi un
incarico troppo impegnativo, incappando in imprevisti problemi statici,
come era occorso al più anziano ed esperto Binago; e proprio questi
interrogativi hanno spinto ad avviare un confronto fra le soluzioni ideate
dai due architetti.
La pestilenza del 1630 determinò una lunga pausa delle attività
edilizie anche in Sant’Alessandro e la cupola di Ricchino non fu mai
eseguita. La cupola definitiva fu completata solo nel 1693 ad opera di
Giuseppe Quadrio, in un panorama culturale e tecnologico ormai
profondamente mutato e avanzato.

4.4. Modello ad elementi finiti

Per stabilire le cause delle lesioni che indussero i costruttori a


demolire la cupola di Binago e al fine di comprendere il comportamento
strutturale della cupola demolita, di quella progettata da Ricchino e del
loro sistema di sostegno, sono state eseguite analisi numeriche a

124
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

elementi finiti in campo elastico lineare, supponendo il materiale isotropo


e idealmente resistente a trazione16 e assumendo per la loro ricostruzione
geometrica le indicazioni fornite dai documenti archivistici, scritti e figurati.
Bisogna osservare che, nel campo delle strutture in muratura, i
risultati ottenuti attraverso tali ipotesi non consentono di esprimere un
giudizio sulle reali possibilità di collasso della struttura, in quanto, come è
noto, in seguito alla fessurazione, nelle murature, intervengono altri
meccanismi resistenti in grado comunque di garantire l’equilibrio17. Le
analisi svolte hanno avuto pertanto il solo fine di individuare nelle strutture
studiate le zone che furono plausibilmente interessate dalle prime lesioni.
Tali lesioni avrebbero potuto, come si è osservato, non influire sulla
stabilità complessiva della struttura, ma per la loro entità avrebbero
senz’altro potuto generare, in operatori privi di conoscenze scientifiche nel
campo della statica, preoccupazioni tali da far temere un crollo imminente
della struttura, inducendo a mettere in atto le contromisure ritenute
indispensabili, come si verificò appunto nel caso della cupola di
Sant’Alessandro, che fu demolita.
A partire dalle sezioni di progetto eseguite da Binago (fig. 11) e da
Ricchino (fig. 12) per Sant’Alessandro, rielaborate graficamente in
Autocad (fig. 13), sono stati realizzati due modelli del nucleo cupolato
centrale della chiesa (fig. 14). Entrambi i modelli sono stati realizzati con
elementi di tipo brick a 8 nodi: questa schematizzazione consente di
cogliere il comportamento tridimensionale della struttura, in particolar
modo nella zona di collegamento fra pennacchi, piloni ed arconi, dove si
potrebbero manifestare effetti diffusivi dovuti alla spinta degli arconi
stessi. Il sistema portante, costituito da pennacchi, arconi, piloni e volte a
botte, è lo stesso per entrambi i modelli ed è quello effettivamente
costruito, ancora oggi esistente, mentre il tamburo e la cupola si
differenziano notevolmente per forma e per geometria18. Dai disegni di
progetto si evince, infatti, che la cupola di Binago era a tutto sesto e
appoggiava su un tamburo sottile e omogeneo, mentre quella ideata da
Ricchino era a sesto acuto e appoggiava su un tamburo più alto e più
spesso, con setti murari ispessiti tra le finestre, in corrispondenza dei
costoloni della cupola.

125
CAPITOLO 4

Fig. 13. Sezioni quotate della chiesa di Sant’Alessandro: sopra il progetto di


Binago, sotto il progetto di Ricchino.

126
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

Fig. 14. Assonometria dei modelli utilizzati per le analisi ad elementi finiti: a)
modello della cupola di Binago; b) modello della cupola di Ricchino.

I modelli utilizzati per le analisi ad elementi finiti sono riportati in


figura 14. Come si può osservare, le dimensioni degli elementi, di tipo
brick, risultano variabili. In particolare la struttura è stata modellata
partendo dalla calotta (Fig. 15): l’arco generatore di ogni spicchio è stato
diviso in 14 parti di circa 50 cm ed è stato poi ruotato attorno all’asse Z

127
CAPITOLO 4

passante per la cervice. Ogni vela, in entrambi i modelli, è costituita da 6


spicchi con angolo al centro pari a 5,1° (la larghezza degli elementi varia
quindi, andando dalla sommità della cupola fino all’imposta, da 30cm a
70cm), mentre il costolone è costituito da 5 spicchi, come indicato in
figura 16.
Il tamburo è costituito da elementi con grandezze all’incirca costanti
nelle tre dimensioni (assimilabili circa a cubi di 45cm di lato), tranne la
parte al di sotto delle finestre in corrispondenza dei piloni, in cui si è reso
necessario un infittimento affinché l’arcone, in prossimità dell’imposta,
avesse elementi di dimensioni contenute. In figura 17 sono riportate le
sezioni, eseguite in corrispondenza della finestra, del tamburo previsto da
Binago e di quello proposto da Ricchino.
Le dimensioni degli elementi dei pennacchi e degli arconi sono una
conseguenza della schematizzazione delle strutture poste al di sopra,
mentre per i piloni sono stati utilizzati elementi aventi lato di circa 20 cm
lungo l’asse Z.
Per quanto riguarda i vincoli, si è ipotizzato un incastro al piede dei
piloni e perciò sono stati posizionati vincoli rigidi lungo le tre direzioni X, Y
e Z19.

a b

Fig. 15. a) Schema della cupola a sesto acuto progettata dal Ricchino. b)
Schema della cupola a tutto sesto progettata dal Binago .

128
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

5,1°
Costolone

1,7°
Vela 4,2° 2,15°

Fig. 16. Pianta del tamburo della mesh utilizzata per la schematizzazione
della chiesa di Sant’Alessandro (progetto di Lorenzo Binago).

Fig. 17. Sezione del tamburo in corrispondenza della finestra: a sinistra il


tamburo del progetto di Binago, a destra quello del progetto di Ricchino.

129
CAPITOLO 4

4.4.1. Comportamento strutturale delle calotte

Lo studio del comportamento strutturale della cupola eseguita da


Binago è stato intrapreso nell’intento di verificare prima di tutto se il
cedimento avesse interessato solo il sistema calotta-tamburo o avesse
riguardato l’intera struttura cupolata, coinvolgendo di conseguenza anche
i piloni. La verifica è stata anche estesa alla cupola ideata da Ricchino, al
fine di confrontare le due soluzioni e dedurre se la cupola proposta in
sostituzione a quella demolita avrebbe avuto maggiori possibilità di
successo.
In prima battuta sono stati dunque considerati i modelli relativi solo
alla struttura composta da calotta e tamburo20, contemplando due tipi di
calotte: una a sesto acuto (fig. 15a), corrispondente a quella progettata da
Ricchino, e una a tutto sesto (fig. 15b), corrispondente a quella disegnata
da Binago.

Sforzi σ m diagrammati lungo il meridiano al centro dela vela

θ θ
0,300
0,250
0,200 intradosso
0,150
(tutto sesto)
intradosso
0,100
(sesto acuto)
Sforzi σm[MPa]

0,050
estradosso
0,000 (tutto sesto)
-0,050 0 10 20 30 40 50 60 70 80 estradosso
-0,100 (sesto acuto)
-0,150
-0,200
-0,250
-0,300
θ

Fig. 18. Andamento degli sforzi σ m diagrammati al centro della vela (i grafici si
riferiscono alle analisi condotte sul modello costituito da cupola e tamburo).

130
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

Sforzi σ p diagrammati lungo il meridiano al centro dela vela

0,300
θ θ
0,250

0,200

0,150 intradosso
(tutto sesto)
0,100
intradosso

Sforzi σp[MPa]
0,050 (sesto acuto)
0,000 estradosso
0 10 20 30 40 50 60 70 80 (tutto sesto)
-0,050
estradosso
-0,100 (sesto acuto)
-0,150

-0,200

-0,250

-0,300
θ

Fig. 19. Andamento degli sforzi σp diagrammati al centro della vela (i grafici si
riferiscono alle analisi condotte sul modello costituito da cupola e tamburo).

Nelle figure 18 e 19 sono riportati i diagrammi degli sforzi σm e σp


tangenti alla superficie della calotta e diretti rispettivamente come i
meridiani e i paralleli. In particolare sono riportati gli sforzi intradossali ed
estradossali diagrammati in funzione della posizione θ lungo il meridiano.
Come si può osservare dai grafici, le analisi numeriche mostrano che
gli sforzi σp (fig. 19) risultano ovunque di compressione per la cupola a
sesto acuto (tranne che per un breve tratto in corrispondenza dell’imposta
in cui le condizioni di vincolo possono far nascere dei momenti flettenti),
mentre nella cupola a tutto sesto le trazioni dei paralleli interessano
un’ampia fascia che si estende quasi fino alla cervice della calotta e tali
sforzi sono prevalentemente membranali, essendo di trazione sia
all’intradosso, sia all’estradosso.
È dunque evidente che, nella cupola progettata da Ricchino, si può
sviluppare un comportamento a guscio in cui l’equilibrio della struttura è
garantito dall’effetto cerchiante dei paralleli21.
Al contrario, viste le importanti trazioni lungo i paralleli e le
conseguenti lesioni che si saranno sicuramente manifestate nella

131
CAPITOLO 4

direzione dei meridiani, il comportamento strutturale della cupola


progettata da Binago è assimilabile a quello di una serie di spicchi non
interagenti22.
Per stabilire se l’equilibrio degli spicchi costituenti la cupola
progettata da Binago sarebbe stato comunque garantito, nonostante le
vistose fessure passanti, è stata eseguita un’ulteriore analisi ad elementi
finiti su uno spicchio costituito da una vela e dai due costoloni attigui. I
risultati hanno mostrato che, sia per i costoloni sia per le vele, fin dalla
cervice della cupola, la funicolare del carico è esterna alla sezione. Ciò
significa che la geometria della calotta e il grande peso della lanterna
portarono ad evidenti dissesti nella cupola e, probabilmente, anche ad
successivo crollo.
Questi risultati indicano che la cupola prevista da Ricchino (a sesto
acuto), se fosse stata costruita come da disegno, probabilmente non
sarebbe stata soggetta a fessurazioni. Tale considerazione induce a
pensare che Ricchino avesse avuto una corretta intuizione strutturale
applicando, come soluzione alternativa al dissesto di una volta emisferica,
il rialzo della freccia della volta. Tale soluzione, radicata per altro nella
tradizione costruttiva e specificamente in quella lombarda, con lungo
retaggio gotico e familiare con arco acuto, garantiva evidentemente una
maggiore sicurezza di stabilità ed era proposta pur presentando
un’evidente dissonanza rispetto al linguaggio classico allora pienamente
in uso. L’adesione al linguaggio classico, necessaria tuttavia da un punto
di vista formale, era maliziosamente recuperata da Ricchino mediante
l’apposizione di una sovrastruttura semicircolare di copertura sulla calotta
archiacuta, priva di alcun ruolo nella compagine strutturale della volta.
Dai risultati delle analisi eseguite è emerso che, invece, la cupola
ideata da Binago (a tutto sesto), fu sicuramente interessata da importanti
e vistose fessure passanti lungo i meridiani, alle quali dovettero
probabilmente seguire altre ben più importanti lesioni lungo i paralleli. La
cupola binaghiana per Sant’Alessandro era dunque destinata a crollare e
questo giustifica la grande preoccupazione circa la stabilità della calotta e
la drastica decisione di demolirla.

132
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

4.4.2. Comportamento strutturale del sistema costituito da cupola,


tamburo e sistema di sostegno

Un altro aspetto importante del comportamento strutturale della


chiesa di Sant’Alessandro a Milano riguarda l’interazione tra la cupola e il
sistema di sostegno. Come già detto nel capitolo 5.4, infatti, i documenti
attestano che tra il 1624 e il 1625 erano stati preparati tutti i materiali per
la realizzazione della cupola, che avrebbe dovuto essere realizzata entro
il 1626, ma già nel novembre dello stesso si manifestarono delle lesioni
preoccupanti agli arconi 23.
Esaminato il comportamento delle calotte, si è proceduto con lo
studio del sistema portante e della sua interazione con la cupola. Per far
questo sono state inizialmente eseguite analisi numeriche sulla struttura
composta da cupola, tamburo, arconi, pennacchi e piloni, necessarie per
indirizzare lo studio basato sull’analisi limite proposto di seguito.

Sforzi σ p diagrammati lungo il meridiano al centro del costolone

0,300

0,250
θ
0,200

0,150
intradosso (cupola e
0,100 tamburo)
Sforzi σp[MPa]

0,050
intradosso (cupola e
0,000
tamburo+piloni,pen
0 10 20 30 40 50 60 70 80
-0,050 nacchi e arconi)

-0,100 estradosso (cupola


e tamburo)
-0,150

-0,200
estradosso (cupola
-0,250 e tamburo+piloni,
pennacchi e arconi)
-0,300

Fig. 20. Confronto fra i valori delle σp ottenute dall’analisi numerica eseguita sul
sistema costituito da cupola e tamburo e da quella eseguita sull’intera struttura
(cupola di Binago).

133
CAPITOLO 4

Il confronto tra le analisi condotte sui modelli costituiti solo dalla


cupola e dal tamburo e quelli comprendenti anche l’impianto sottostante
ha mostrato che il sistema costituito dai pennacchi, dai piloni e dagli
arconi genera nel tamburo deformazioni radiali che si estendono fino
all’estremo superiore e che si esauriscono rapidamente all’interno della
cupola (fig. 20).
Allo stesso modo la spinta esercitata dalla calotta si esaurisce nel
primo tratto del tamburo grazie al contenimento esercitato dagli anelli che
lo compongono e il comportamento globale della struttura è
sostanzialmente indipendente dal comportamento della cupola.
Per dimostrarlo sono stati diagrammati gli sforzi σZ lungo l’angolo
esterno dei piloni, che come già detto risultano gli elementi più sollecitati,
sia per l’impianto sormontato dalla cupola del Binago, che per uno
identico in cui la calotta è stata sostituita con un carico verticale
equivalente. Si è quindi fatto riferimento ad una situazione ideale in cui la
cupola non esercita alcuna azione spingente sul tamburo. Come si può
osservare (fig. 21), gli sforzi σZ nei due casi sono gli stessi: questo è
dovuto al fatto che il tamburo esercita un effetto cerchiante in grado di
assorbire la spinta della calotta.
Tuttavia il grande carico verticale della cupola e del tamburo fanno
nascere nello stesso delle trazioni sia al piede (verso l’interno) sia a livello
dell’imposta dell’arcone (verso l’esterno).

134
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

σZ
p

σZ max = 0,91 MPa σZ max = 0,91 MPa

a) b)

Fig. 21. Andamento degli sforzi σZ (ottenuti dall’analisi ad elementi finiti)


diagrammati lungo lo spigolo esterno del pilone. a) Impianto con cupola di
Binago. b) Impianto con cupola ideale non spingente, in grado di trasmettere solo
carichi verticali.

4.5. Schema semplificato per la comprensione del comportamento


strutturale del sistema di sostegno e per la valutazione del
coefficiente di sicurezza della struttura

Dai risultati mostrati nel capitolo precedente è emerso quindi che il


comportamento globale del sistema è indipendente dalla spinta
orizzontale della calotta e che i problemi agli arconi, citati dalle risorse
documentarie, erano dovuti principalmente al grande carico verticale e
non alla geometria della cupola.

135
CAPITOLO 4

Per chiarire e giustificare i presidi messi in atto dai costruttori antichi


nel tentativo di rinforzare la struttura e per valutare la stabilità della
struttura composta da piloni, pennacchi, arconi, tamburo e cupola, è
necessario quindi analizzare il sistema di sostegno
Per far questo è stato necessario elaborare un modello semplificato
in grado di chiarire il motivo dei problemi statici insorti in S. Alessandro,
ma soprattutto di porre le basi per la comprensione dei complessi
meccanismi strutturali che si generano nei nuclei cupolati degli impianti a
quincunx.
Indipendentemente dalla geometria della calotta, si è definito uno
schema statico attraverso il quale è possibile stimare le condizioni di
equilibrio nel piano diagonale AA (fig. 22).
Si è quindi supposto che il sistema costituito dallo spicchio di cupola
AB, di larghezza pari ad un quarto di circonferenza, dal corrispondente
settore di tamburo BC, dal pennacchio CD e dal pilone DE, fosse
inizialmente non fessurato, incastrato in E e vincolato con un carrello,
idealmente senza cedimenti, in C. La reazione HC risulta diretta verso
l’esterno e viene di fatto offerta dalla resistenza del tamburo. Il sistema,
oltre che dal peso proprio del pilone e del pennacchio e dal peso della
parte di tamburo e cupola di loro competenza, è sollecitato in D
dall’azione orizzontale H D, risultante nel piano diagonale della spinta
esercitata dagli arconi (fig. 22b). Si considera la spinta minima, che si
manifesta con fessurazioni anche nelle chiavi degli arconi, come verrà
illustrato nel seguito.
Tale struttura risulta iperstatica nella fase non fessurata. Dopo la
fessurazione, allo stato limite ultimo, si formano delle sorti di “cerniere
plastiche” nelle quali il momento resistente ultimo risulta pari al carico
verticale moltiplicato per la massima eccentricità. La risoluzione della
struttura iperstatica nella prima fase fornisce valori di momenti flettenti in
C e D superiori ai momenti ultimi. Ciò significa che nella realtà, anche con
i carichi di esercizio, queste sezioni risultano fessurate.
La condizione di collasso si manifesta quando anche in E si forma la
fessura e la cerniera plastica (fig. 22c). Si noti però che in questo studio è
stato preso in considerazione solo il nucleo centrale dell’impianto a

136
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

quincunx; la struttura dispone però di ulteriori risorse offerte dalle volte a


botte e dalle murature esterne e quindi i calcoli proposti risultano a favore
di sicurezza.
Eseguendo l’equilibrio alla rotazione della porzione di pilone tra le
sezioni D ed E attorno alla cerniera in E, il rapporto fra il momento
stabilizzante (dato dal peso proprio del pilone e dal peso del sistema
cupola-tamburo moltiplicati per le eccentricità massime) e il momento
ribaltante (fornito da HC e H D) consente di ottenere un coefficiente di
sicurezza ψ.
Con riferimento alla linea delle pressioni indicata in figura 3c,
dall’equilibrio alla rotazione attorno a D del pennacchio CD si determina la
forza HC che agisce all’imposta del tamburo:

PC ⋅ e C1 − PP1 ⋅ e P1
HC = =173kN (1)
h1

dove h1 è pari a 6,9 m, mentre i carichi verticali PC e Pp1 e le


eccentricità eC1 e ep1 sono definiti di seguito.
Per la determinazione di PC si fa l’ipotesi che il carico di competenza
pari ad un quarto del peso della cupola e del tamburo si suddivida a sua
volta in tre parti: un ottavo grava direttamente sul pennacchio, mentre il
restante ottavo sugli arconi adiacenti. Il peso totale della calotta e del
tamburo è stato stimato pari a 16880 kN. Risulta quindi:

PC = PD = (1 / 8) ⋅ PTOT ( cup + tamb ) = 2110kN (2)

Il peso proprio del pilone Pp1 vale:

[ ] [ ]
Pp1 = h 1 ⋅ A ⋅ γ = 6.9[m] ⋅ 13.24 m 2 ⋅ 18.50 kN m 3 = 1690kN (3)

essendo A la superficie della sezione orizzontale del pilone (A=13.24


m ) e γ il peso specifico della muratura (γ = 18.5 kN/m3).
2

137
CAPITOLO 4

Pennacchio

a)
A
Arcone Pilone

Sezione A-A A

B
Sezione A-A

Cerniera
plastica
C PC PC C

h1 Pp1
HC
Cerniera
PD
PD
plastica
HD
D
D
Pp
HD Pp2

h2

Cerniera
E
plastica
E
R ep1 ec1
b) c)
ep2
eDE

Fig. 22. Schema statico del nucleo centrale di un impianto planimetrico a quincunx
con cupola su quattro piloni liberi.

138
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

Le eccentricità eC1 e ep1 di PC e di Pp1 rispettivamente, rispetto al


centro della cerniera plastica in D (fig. 22c), risultano pari a:

eC1 = 1.39m
ep1 = 1.03m

Tali eccentricità sono state ricavate ipotizzando una distribuzione


costante degli sforzi di compressione nella parte reagente delle sezioni E
e C e supponendo valori di compressione pari alla resistenza della
muratura (poiché il peso della struttura risulta molto elevato si è rimossa
l’ipotesi di resistenza a compressione infinita e si è ipotizzata una
resistenza ultima a compressione pari a 2 MPa)
La forza Hc così determinata, offerta dalla resistenza del tamburo,
viene trasferita al pilone e genera, assieme alla forza H D, dovuta alle due
spinte degli arconi adiacenti ai pennacchi, un momento ribaltante Mrib.
Per quanto riguarda la spinta orizzontale H D (fig. 22c), è stato
considerato il minimo valore della spinta, che si manifesta quando si
forma la lesione sopra la chiave e nel tamburo si crea una sorta di arco
naturale come indicato in figura 23. Si vengono così a creare dei puntoni
DP-PP-DP con la conseguente formazione di un “telaio ideale”. L’altezza
massima f del telaio naturale risulta pari a 11m, data la presenza della
finestra (come mostrato in fig. 24, anche se non fossero presenti finestre,
il “portale naturale” non potrebbe comunque estendesi fino all’imposta
della cupola in quanto, i puntoni PD non sarebbero più contenuti
all’interno della sezione muraria)
La minima spinta HD esercitata dagli arconi sui piloni vale quindi:

P  1
HD =  D ⋅ l  ⋅ =575 kN (4)
 2  f

essendo l≈6m la lunghezza della proiezione in pianta del puntone PD e PD


il carico agente sull’arcone, pari ad 1/8 del peso totale della sistema
cupola-tamburo. PD si è ipotizzato concentrato e posizionato ai lati della
finestra (fig. 23).

139
CAPITOLO 4

PD/2 PD/2

P P

Portale
naturalel

f
Arcone

613
ra

D D
HD HD

613

Fig. 23. Vista frontale del sistema con indicati i puntoni PD e le spinte orizzontali
trasferite ai piloni.

Portale
naturale P
P

Arconi

Fig. 24. Schema dei puntoni PD. Come si può notare l’area reagente si riduce
lungo il piano d’imposta del tamburo.

140
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

Pertanto la spinta lungo la diagonale vale:

HD
HD = ⋅ 2 =814 kN (5)
2

Determinata la forza H D è possibile stimare il momento ribaltante sui


piloni, che vale:

( )
M rib = H C + HD ⋅ h 2 =13 336 kNm (6)

Dove h2 = 13.4 m.
Il momento stabilizzante vale:

Mstab= (Pp1 + PC + PD ) ⋅ e DE + Pp 2 ⋅ e p 2 = 16 658 kNm (7)

Dove:

[ ] [ ]
Pp 2 = h 2 ⋅ A ⋅ γ = 13.4[m] ⋅ 13.24 m 2 ⋅ 18.50 KN m 3 = 3282kN (8)

eDE = 2.18 m
ep2 = 1.15 m

Quindi il coefficiente di sicurezza della struttura risulta pari a:

M stab
ψ= = 1.25 (9)
Mrib

Questo risultato consente di affermare che la struttura di sostegno


ideata da Binago, nonostante la presenza di lesioni di grande entità,
sarebbe stata comunque in equilibrio e non avrebbe rischiato il collasso.

141
CAPITOLO 4

4.6. Comportamento strutturale del tamburo e del tiburio

L’azione orizzontale HC necessaria per l’equilibrio del sistema pilone-


pennacchio, come già detto, viene di fatto offerta dalla resistenza del
tamburo alla sua ovalizzazione. Come conseguenza, HC spinge il tamburo
verso l’interno in corrispondenza dei quattro pennacchi e tali spinte
deformano l’anello alla base del tamburo stesso (fig. 25a). La valutazione
della flessione del tamburo non risulta possibile con schemi semplici, in
quanto al suo interno si sviluppano sforzi generati da una sovrapposizione
di effetti, come illustrato di seguito.
Come è stato detto precedentemente, infatti, il tamburo è sollecitato,
al bordo superiore, dalla spinta della cupola e, al bordo inferiore, dalle
azioni Hc trasmesse dai pennacchi. Le azioni Hc sono prevalenti rispetto
alla spinta orizzontale che la calotta esercita all’imposta e quindi il bordo
inferiore del tamburo si deforma dando origine a flessioni che si
estendono fino all’estremo superiore (fig. 25b) interessando comunque in
maniera trascurabile lo stato tensionale della cupola.

Fig. 25. Deformazioni radiali nel tamburo con indicate le azioni Hc trasmesse dai
pennacchi e la spinta esercitata dalla cupola. a) Pianta all’imposta della cupola; b)
Assonometria.

142
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

Fig. 26. Modello del tamburo. a) cedimenti verticali; b) archi naturali di scarico.

Sforzi σ p diagrammati lungo il bordo inferiore del tamburo (si è


considerato un quarto di tamburo)
0,4
0,35 sforzi circonferenziali
0,3 all'estradosso
0,25
0,2 sforzi circonferenziali
0,15 all'intradosso
0,1
Sforzi σp[MPa]

0,05
0
-0,05 0 15 30 45 60 75 90
-0,1
-0,15
-0,2 Arconi
-0,25
Arconi
Piloni
-0,3
-0,35
-0,4

Fig. 27. Grafico degli sforzi circonferenziali lungo il bordo inferiore del tamburo
(cupola di Binago).

Oltre alle deformazioni radiali, il tamburo risulta soggetto ad un


“effetto lastra” generato dalla differente rigidezza dei vincoli che lo
sostengono (fig. 26): i pennacchi, infatti, pur costituendo un vincolo

143
CAPITOLO 4

cedevole, risultano più rigidi rispetto agli arconi. Ciò è confermato dalle
analisi che, in effetti, mostrano che il tamburo si comporta come una
lastra su più appoggi, ossia, nella parte inferiore, in corrispondenza dei
pennacchi il cedimento verticale è minore rispetto quello che si verifica
sugli arconi, mentre al bordo superiore è all’incirca costante. La variazione
degli spostamenti verticali nel tamburo comporta l’instaurarsi di archi
naturali, in cui gli sforzi sono diretti come indicato in figura 26b. Tali sforzi,
seppur piccoli (dalle analisi eseguite sul solo tamburo sollecitato da forze
orizzontali e verticali si è visto che sono il 10% degli sforzi totali) andranno
ad aggiungersi a quelli che si generano nel tamburo in seguito agli effetti
già illustrati in precedenza.
Le deformazioni generano quindi degli sforzi flessionali che
provocano trazioni all’intradosso del tamburo in corrispondenza dei piloni
e all’estradosso in corrispondenza degli arconi (fig. 27). Tali trazioni
tuttavia risultano in genere inferiori alla resistenza a trazione della
muratura24.
È necessario precisare che, con riferimento alla figura 27, le analisi
numeriche mostrano che, in corrispondenza della chiave degli arconi, per
un tratto che si estende anche oltre la base del tamburo, le trazioni
interessano l’intero spessore della muratura. Tale fenomeno, confermato
anche dai documenti di fabbrica della chiesa di S. Alessandro, che
attestano come le lesioni più preoccupanti fossero localizzate e rilevate
proprio in questi punti del nucleo centrale, è dovuto al fatto che gli sforzi
flessionali generati dalla spinta dei pennacchi si sommano a quelli di
trazione che si sviluppano alla chiave degli arconi in seguito alla
formazione dei “portali naturali”.
Lo studio effettuato permette infine di formulare importanti
considerazioni riguardo la funzione del tiburio, particolarmente diffuso
nell’area lombarda25. L’intuitiva convinzione che tale elemento costruttivo,
impiegato in maniera così estensiva fin dalla tarda antichità in Lombardia
per la copertura dell’estradosso delle cupole e presente nei progetti di
Binago per la cupola di S. Alessandro, potesse avere una funzione
stabilizzante è giustificata dal fatto che a livello locale il tiburio può portare
effettivamente ad una riduzione della spinta della cupola nella fascia

144
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

d’imposta, tuttavia lo studio presentato ha messo in evidenza che il


tiburio, nel caso di una cupola appoggiata su piloni isolati, porta ad un
aumento del carico eccentrico al piede del pilone, generando una spinta
maggiore sui piloni stessi e aggravando il rischio di importanti dissesti nel
sistema di sostegno. Sulla base dei risultati della modellazione numerica
eseguita sulla struttura con il tiburio, si deduce quindi che la presenza di
tale elemento costruttivo, nel caso di cupole appoggiate su quattro piloni
liberi mediante arconi e pennacchi, fosse giustificata solamente da motivi
funzionali e dalla scarsa confidenza dei costruttori lombardi con la
realizzazione di cupole estradossate.

4.7. Verifica della validità dello schema proposto e dimensionamento


delle catene

Di seguito è illustrato il calcolo per la determinazione dei valori


massimi di trazione sui piloni e della spinta orizzontale esercitata dagli
arconi in assenza di fessurazione. Dato il carattere generale dei problemi
statici che coinvolgono il nucleo centrale dell’impianto a quincunx, tale
calcolo risulta di grande utilità, innanzitutto per verificare l’entità delle
trazioni sulla struttura e inoltre per confermare la validità dello schema
strutturale proposto. I risultati ottenuti possono altresì essere utilizzati in
un eventuale intervento di consolidamento strutturale mediante
l’inserimento di presidi metallici, come catene orizzontali estradossali, in
grado di contrastare le trazioni alla chiave degli arconi, e catene verticali,
in grado di contrastare le trazioni sui piloni.
Con riferimento alla figura 28, la spinta H’D vale:

PD / 2 ⋅ l
H' D = = 1377 KN (10)
f

dove f ≈ 6,13m e l ≈ 8m

145
CAPITOLO 4

PD
FC orizz. FC orizz.

an
arco a
naturale arcone
h2

f '=613
ra

D D
H'D H'D
l'
h1

Fig. 28. Vista frontale del sistema arconi-piloni con indicato l’arco naturale che si
genera in seguito all’applicazione della forza FC orizz.

FV FV
FC orizz. FC orizz.
a
arcone
h2

r a

D D
H'D H'D
h1

E E
Fig. 29. Meccanismo di collasso del sistema arconi-piloni e punti di applicazione
delle forze necessarie per contrastare tale meccanismo.

146
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

Si noti che è stata utilizzata la freccia minima in quanto, affinché non


si creino fessure alla chiave dell’arcone, è necessario che si generi un
arco naturale passante in chiave per l’intradosso dell’arcone, come quello
indicato in figura 28.
Per verificare la correttezza del valore della spinta così determinato
si è simulata la presenza di una catena estradossale: nel modello ad
elementi finiti è stata quindi applicata una forza FC orizz, come mostrato in
figura 28.
Eseguendo l’equilibrio alla rotazione attorno al punto E (fig. 29), la
forza FC orizz, pari al tiro di un’eventuale catena orizzontale, risulta:

H' D ⋅h 1
FC orizz = ≈ 910 KN (11)
h1 + h 2

Applicando tale forza al modello ad elementi finiti si osserva la


scomparsa delle trazioni alla chiave dell’arcone, ma un aumento delle
trazioni in D, responsabili della fessurazione sui piloni. È quindi
necessario applicare delle forze verticali, che simulino la presenza di
catene verticali in prossimità dello spigolo esterno dei piloni; tali forze
sono pari a:

1
Fv = σ t max ≈ 4255 KN (12)
1 X ptoappl .
+
A W

dove W è il modulo resistente della sezione e Xpto appl è la distanza tra il


punto di applicazione della catena e il baricentro della sezione del pilone.
Per quanto riguarda σt max si ha:

RD M
σ t max = + = 2168 KN / m 2 (13)
A W

dove RD è la risultante dei carichi verticali in D e M è il momento calcolato


rispetto al baricentro della sezione in D e vale 11865 KN.m.

147
CAPITOLO 4

Applicando le forze così calcolate al modello numerico, come


mostrato in figura 29, ed eseguendo un analisi ad elementi finiti in campo
elastico, si osserva la scomparsa delle trazioni sia alla chiave degli arconi
sia sui piloni. Questo, come già detto, conferma la validità degli schemi
adottati e la possibilità di valutare, attraverso le formule proposte, i valori
delle trazioni massime presenti sulla struttura, in vista di un eventuale
intervento.

4.8. Discussione sulla validità dei presidi strutturali utilizzati in S.


Alessandro

La struttura ideata da Binago mostrò probabilmente lesioni talmente


profonde da far temere un crollo imminente, infatti, dai risultati delle
indagini effettuate, è emerso che nella cupola si sarebbero sviluppate
trazioni superiori all’esigua resistenza a trazione della muratura, sia nella
direzione dei paralleli, sia in quella dei meridiani, con conseguente
collasso della calotta. Tuttavia, indipendentemente dalla geometria e dallo
spessore della cupola, dalla spinta orizzontale che essa esercita
all’imposta e dalle condizioni di equilibrio della stessa, l’unico elemento
che influisce sulla stabilità del sistema di sostegno, costituito da piloni,
pennacchi e arconi, è costituito dal carico verticale di cupola e tamburo, in
quanto, come già ampiamente illustrato, risultano eccentrici rispetto ai
piloni.
Nonostante l’evidente errore progettuale della cupola binaghiana, il
sistema di sostegno, seppur fessurato alla chiave degli arconi e,
probabilmente anche sui piloni, sarebbe stato comunque in equilibrio e
non avrebbe rischiato il collasso. Per avere ulteriore conferma, sono state
eseguite altre analisi numeriche in campo non lineare, simulando la
formazione delle fessure con modellazione del materiale a resistenza a
trazione nulla (no-tension). La modesta entità degli sforzi di compressione
in gioco ha consentito di modellare il materiale compresso in campo

148
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

linearmente elastico. Nel caso in esame, la soluzione converge


rapidamente e le iterazioni sono state arrestate dopo pochi passi.
I risultati mostrano che, in seguito alla ridistribuzione degli sforzi, si
ha un aumento della fascia tesa; come si può osservare in figura 30
la fessura nella sezione DD del pilone, che appare la più sollecitata, si
estende infatti per una profondità di circa 2,40m e le compressioni nella
parte integra sono sensibilmente minori della resistenza a compressione
massima della muratura (fig. 31), a giustificazione delle assunzioni fatte.

Sezione DD

Compressione massima
(21,5 Kg/cmq)

Area fessurata
(sforzi nulli)

D D

Fig. 30. Sezione DD del pilone con evidenziata la zona fessurata.

149
CAPITOLO 4

Compressioni lungo la diagonale del pilone nella sezione DD

2,00

1,50
σc (MPa)

1,00

sigma di
0,50 compressione

0,00
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5

x (m)

Fig. 31. Grafico degli sforzi lungo la diagonale del pilone nella sezione in
corrispondenza dell’imposta dell’arcone.

Questi risultati confermano quanto già discusso precedentemente


sulla base di schematizzazioni semplificate circa il comportamento statico
degli impianti a quincunx ed in particolare sull’impianto del Binago: la
drastica decisione di demolire la cupola a tutto sesto e la proposta di
sostituirla con una a sesto acuto, progettata da Ricchino, appaiono
scientificamente giustificate, mentre le preoccupazioni riguardanti il
sistema di sostegno risultano infondate, pure se ampiamente
comprensibili dal punto di vista degli operatori seicenteschi.
Dopo la demolizione della cupola di Binago, in vista della costruzione
di una nuova cupola, in Sant’Alessandro si procedette a realizzare sulle
strutture superstiti alcuni interventi di consolidamento ritenuti necessari:
come si è detto, si rafforzarono i piloni centrali, aumentandone la sezione,
e su ognuno dei quattro arconi vennero inseriti due archi di scarico a
sesto acuto, sovrapposti l’uno all’altro. Si è cercato quindi di analizzare
l’effettiva efficacia di questi interventi, per capire se, almeno

150
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

intuitivamente, i professionisti consultati avessero compreso la validità di


alcuni presidi utilizzandoli consapevolmente e correttamente nel
consolidamento delle strutture.
L’effetto benefico dell’aumento delle dimensioni dei piloni è senz’altro
evidente, anche a livello intuitivo, in quanto aumenta l’effetto contrafforte
dei piloni stessi, accrescendone la stabilità. Alcuni dubbi affiorano invece
intorno all’efficacia degli archi di scarico, costruiti seguendo per altro una
prassi consolidata e rinvenibile ad esempio nel tiburio del Duomo di
Milano e adottata ancora da Michelangelo in San Pietro a Roma26, sopra
gli arconi di sostegno della cupola, ancora oggi ben visibili nei sottotetti
della chiesa: gli archi di scarico non avrebbero comunque avuto una
freccia sufficientemente alta per ridurre la spinta a valori tali da garantire
la stabilità del pilone. Al riguardo, era stato precedentemente discusso il
problema della stabilità del pilone: si era dimostrata la necessità della
formazione di una fessura estesa fino al tamburo e la formazione di un
portale naturale di freccia molto superiore a quella degli archi di scarico.
Si può concludere dunque che, per evitare che le cospicue lesioni
manifestate nell’impianto ideato da Binago si ripresentassero nella
struttura nuovamente progettata, furono attuati correttivi e interventi di
presidio strutturale (modifica della geometria della nuova cupola, rinforzo
localizzato del nuovo tamburo tra le aperture, archi acuti di scarico e
aumento delle dimensioni dei piloni) che nella gran parte dei casi
risultano, alla luce delle analisi effettuate, poco efficaci o comunque non
sufficienti ad evitare il ripetersi di una fessurazione tanto estesa quanto
quella verificatasi nella struttura originaria.
Da quanto emerso nel capitolo precedente si deduce che, per
eliminare completamente le lesioni presenti nella struttura, sarebbe stato
sufficiente inserire catene orizzontali estradossali, in grado di contrastare
le trazioni alla chiave degli arconi, e catene verticali, in grado di
contrastare le trazioni sui piloni. Mentre l’uso di catene verticali non è
testimoniato in S. Alessandro da alcun documento archivistico, né è
evidente all’osservazione delle attuali strutture, abbondanti incatenamenti
orizzontali sembrano essere stati messi in opera, secondo una corretta
intuizione strutturale. Purtroppo però diversi problemi insorgono nella

151
CAPITOLO 4

datazione, nella attribuzione e nell’individuazione precisa di tali interventi.


Rimane un disegno, forse ascrivibile a Mazenta e Ricchino, che illustra il
proposito di inserire catene a braga estradossali al di sopra degli arconi27;
ancora oggi sono evidenti nei sottotetti della chiesa diversi capichiave, per
altro assai deformati, che indicano l’effettiva presenza di incatenamenti
estradossali sopra agli arconi principali, ma non è nota la loro reale
conformazione e dai documenti non emerge se le catene siano state
messe in opera immediatamente dopo la demolizione della prima cupola,
o se siano state inserite a fine secolo con la costruzione della nuova e
definitiva calotta. Ancora meno chiaro è quando e da chi siano state
messe in opera le catene intradossali ancora oggi visibili tra gli arconi
dell’invaso principale della chiesa e restano dunque difficoltose
l’attribuzione e la datazione di questa corretta intuizione strutturale.

4.9. Conclusioni

Dallo studio effettuato è emerso dunque che in edifici religiosi con


impianto planimetrico a quincunx con vano centrale cupolato assimilabile
a quello dell’originaria chiesa di S. Alessandro a Milano, si possono
generare, attraverso i meccanismi strutturali analizzati, delle cospicue
trazioni nella chiave degli arconi e sui piloni, con la conseguente
comparsa di fessure molto propagate ed evidenti. Tali fessurazioni
sembrano ben corrispondere a quelle indicate anche nella
documentazione archivistica, che attesta come in S. Alessandro, poco
dopo l’ultimazione della cupola binaghiana, le lesioni più preoccupanti
fossero localizzate e rilevate proprio in quei punti del nucleo centrale
dell’edificio.
Si è evidenziato tuttavia che tali lesioni, seppur estremamente
profonde, non avrebbero pregiudicato la stabilità della struttura. Quindi,
nonostante la demolizione della cupola di Binago sia ampiamente
giustificata dai risultati dalle analisi eseguite, che mostrano un evidente

152
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

errore progettuale nella scelta della curvatura, la sua sostituzione con una
cupola meno spingente non avrebbe certamente migliorato la situazione
del sistema di sostegno. Le analisi hanno infatti evidenziato che il
comportamento della calotta non avrebbe comunque influito sul sistema
portante sottostante, contrariamente a quanto poteva essere supposto da
progettisti e maestranze sulla base delle diffuse conoscenze empiriche.
È importante però sottolineare che la cupola prevista
successivamente da Ricchino, a sesto acuto, oltre ad esercitare una
spinta inferiore sul tamburo, grazie alla geometria della sua curva
direttrice, non avrebbe probabilmente presentato lesioni, mostrando una
corretta intuizione strutturale dell’architetto.
La formazione di profonde lesioni in corrispondenza della chiave
degli arconi e dei piloni fu determinata perciò dal grande carico gravante
sugli arconi e sui pennacchi, e dall’assenza di sufficienti contraffortamenti
proprio in corrispondenza di questi elementi. Attraverso gli schemi statici
semplificati è stato possibile fornire un’indicazione attendibile sul
comportamento strutturale globale del sistema e determinare, attraverso
semplici calcoli, il valore delle trazioni nei punti critici, fornendo così, in
assenza di studi sull’argomento, elementi utili per una prima
comprensione del comportamento di strutture simili a quella centrale della
chiesa di S. Alessandro a Milano, rinvenibili in altri impianti a quincunx e
in impianti con cupola maggiore appoggiata eccentricamente su quattro
piloni liberi mediante pennacchi e arconi.
Gli schemi semplificati hanno infine permesso di circoscrivere con
maggiore precisione il ruolo strutturale del tiburio, che è risultato assai
negativo per i nuclei cupolati appoggiati eccentricamente, mediante
pennacchi e arconi, su quattro piedritti liberi. Si è mostrato, infatti, che in
questi sistemi tale elemento, pur fortemente radicato nella tradizione
costruttiva lombarda e adottato anche da Binago in S. Alessandro,
nonostante l’effetto benefico locale in prossimità dell’imposta della
cupola, porta ad un incremento degli sforzi di trazione proprio nei punti
critici, ossia sull’arcone e sui piloni. Tale osservazione permette quindi di
aprire nuovi indirizzi di ricerca storica volti a riconsiderare una parte
consistente delle scelte costruttive e formali adottate fin dalla tarda

153
CAPITOLO 4

antichità nell’architettura lombarda per le cupole, coperte in prevalenza


con tiburio indipendentemente dallo schema strutturale di sostegno
adottato.
E’ infine necessario considerare che i modelli elaborati hanno inteso
costituire un iniziale approccio alla comprensione del comportamento del
nucleo strutturale delle architetture con impianto a quincunx, e che ampie
prospettive di ricerca si intravedono nell’estensione della modellazione e
delle analisi al più vasto e complesso sistema di coperture voltate e
cupolate di tali impianti architettonici, considerando che questi possono
fornire ulteriori e importanti risorse al nucleo cupolato, e di assimilabili
nuclei strutturali.

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NOTE:
1
I costruttori cercavano di assicurare ai piedritti una cospicua sezione, sia
nella fondazione, sia in alzato, con muratura possibilmente realizzata a regola
d’arte. Nel caso però di piedritti con sezione non sufficientemente ampia, come è
già stato illustrato nel capitolo 2, si tendeva a contenere le spinte di volte e cupole
con catene e cerchiature, preferibilmente metalliche, e/o utilizzando curvature e
geometrie riconosciute come meno spingenti, e/o agendo opportunamente sulle
zone più sollecitate, corrispondenti alle reni nelle volte e alla fascia inferiore della
calotta nelle cupole. Si tendeva inoltre ad alleggerire il peso complessivo della
volta, con l’impiego di murature più sottili e/o di materiali costruttivi leggeri.
Sull’atteggiamento tenuto nella temperie culturale tardo cinquecentesca milanese
in relazione a questi problemi durante la ricostruzione della cupola della basilica
paleocristiana di San Lorenzo, si veda. Giustina I., 2003.
2
Si prenda ad esempio il notissimo caso della cupola giustinianea di Santa
Sofia a Costantinopoli e lo spanciamento dei piedritti di sostegno che si verificò
poco dopo la conclusione della cupola. Cfr. Mark R., Cakmak A. S., 1993 e
Mainstone R., 1997. Un altro esempio è il caso della ricostruzione tardo
cinquecentesca della cupola della basilica paleocristiana di San Lorenzo a Milano,
sostenuta da quattro arconi su quattro piedritti liberi, che vide alcuni dei maggiori
protagonisti della cultura architettonica italiana pronunciarsi in relazione alla
stabilità della nuova copertura; cfr. Ferrari F. B., 1771; Rocchi G., 1991; Giustina
I., 2003.

157
CAPITOLO 4

3
Durante la realizzazione della Basilica di San Pietro, il cui progetto è stato
condizionato dall’iniziale impianto a quincunx scelto da Bramante, avevano
preoccupato reiteratamente la statica dei piloni, e in particolare la geometria e il
dimensionamento della loro sezione anche in relazione alle necessità spaziali,
funzionali e alle esigenze liturgiche e di raccolta dei fedeli, la statica degli arconi
con i pennacchi, di cui già lo stesso Bramante e poi Antonio da Sangallo e
Michelangelo dovettero a più riprese occuparsi, i dissesti del tamburo e dalla
calotta di Michelangelo e Giacomo Della Porta, a cui mise riparo solo intorno alla
metà del XVIII secolo Giovan Battista Poleni. Sui problemi statici di San Pietro la
bibliografia è ricchissima e difficilmente sintetizzabile. Si vedano almeno Poleni G.
B., 1748; Di Stefano R., 1980; Como M., 1999,. 245-260. Sui progetti, il cantiere, i
problemi costruttivi rinascimentali precedenti all’intervento di Michelangelo si veda
Bruschi A., Frommel C. L., Wolf Metternich G., Thoenes C., 1996
4
Tra gli architetti rinascimentali che si occuparono delle piante centrali si
possono ricordare Filerete, Bramante, che realizzò il progetto del S. Pietro a
Roma, e Leonardo da Vinci, che produsse un attento studio sulle piante centrali e
un’interessante analisi formale e volumetrica dell’idea bramantesca.
5
Belluzzi O, 2002, 37-47.
6
Krautheimer R., 1986.
7
Günther H., 1995, 41-78, cui si rimanda anche per la diffusione dell’impianto
nella cultura altomedievale e soprattutto rinascimentale italiana, con ampia
bibliografia. Si veda anche Visioli M 1996, 103-134.
8
Sannazzaro G. B 1992, 5-27.
9
Giustina I., 2002 a, Giustina I, 2003, Visioli M, 1996, Sannazzaro G. B., 1992.
10
Parte del presente lavoro è stato pubblicato in: Giustina I., Tomasoni E.,
Giuriani E., Arte del costruire in Lombardia nel primo XVII secolo e la cupola di
Sant’Alessandro a Milano: un primo studio sul comportamento del nucleo
strutturale principale nell’architettura religiosa con impianto a quincunx, in
Technical Report, n. 15, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di
Brescia 2004 e Giustina I., Tomasoni E., Giuriani E., The Early Dome of
Sant’Alessandro in Milan (1627): a First Study on the Behaviour of the Structural
Core with Dome Resting on Four Free-Standing Pillars, in the Second
International Congress on Construction History, Construction History Society,
Cambridge 2006, in cui l’analisi delle problematiche storiche relative alle vicende
progettuali della cupola di Sant’Alessandro a Milano sono da ascriversi alla
prof.ssa Irene Giustina.
11
L’attività di Lorenzo Binago, sotto forma semplici pareri, disegni,
sorpralluoghi e progetti, è documentata in almeno ventisei fabbriche barnabitiche
sul territorio italiano e in numerosi altri cantieri non barnabitici, tra cui, solo per
citarne alcuni, il Duomo di Acqui e quelli di Bergamo, Brescia, Milano. Sull’attività

158
LE CUPOLE APPOGGIATE SU QUATTRO PILONI LIBERI

di Lorenzo Binago e anche su S. Alessandro si vedano i saggi contenuti in


Lorenzo Binago e la cultura architettonica dei Barnabiti, Atti del Convegno,
numero monografico di “Arte Lombarda”, 134, 2002/1, anche per i cospicui
riferimenti bibliografici; sulle vicende progettuali di S. Alessandro si veda il più
recente Repishti F., 2003.
12
Sull’analisi critica delle vicende progettuali e costruttive della cupola di
Sant’Alessandro si veda Giustina I., 2002a, anche per la relativa bibliografia e
riferimenti documentari.
13
Archivio Parrocchiale di S. Alessandro, Milano, Acta Capitulorum, 1590-
1673, 29 febbraio 1627.
14
Archivio di San Barnaba, Milano, B, II, fasc. I.
15
Su Ricchino la bibliografia è amplissima. Per l’intervento in S. Alessandro e
per ulteriori rimandi bibliografici si veda Giustina I., 2002a e Giustina I., Tomasoni
E, Giuriani E., 2006. Sulla cultura architettonica nel primo Seicento a Milano,
sull’attività di Fabio Mangone, di F. M. Ricchino, anche per ulteriori riferimenti
bibliografici, si veda Scotti Tosini A., 2003.
16
È stato utilizzato il programma di calcolo ALGOR. Si è ipotizzato un
materiale avente le seguenti caratteristiche meccaniche: γ=1850 kg/m3; ν=0.15;
E=5000 Mpa.
17
J. Heyman, 1996.
18
Poiché le informazioni sulla geometria della struttura, tratte dai disegni di
progetto, sono risultate alquanto sommarie nei particolari costruttivi, è stato
necessario effettuare delle semplificazioni nella restituzione di alcuni dettagli; tali
operazioni, tuttavia, sono ininfluenti sui risultati del presente studio. Bisogna
sottolineare che dai progetti e dai documenti d’archivio non sono emerse
informazioni sulla presenza di cerchiature e di catene, e che queste, dunque, non
sono state contemplate nei modelli.
19
Bisogna precisare che, poiché sono utilizzati elementi brick, non è
necessario bloccare le rotazioni, in quanto la presenza in ogni nodo di vincoli rigidi
lungo Z impedisce automaticamente qualsiasi rotazione.
20
Sarebbe risultato molto difficoltoso posizionare dei vincoli all’imposta della
cupola in grado di simulare la rigidezza del tamburo, si è deciso perciò di prendere
in considerazione un modello che includesse anche il tamburo stesso. Sono quindi
stati bloccati gli spostamenti verticali alla base del tamburo ed è poi stato
quest’ultimo a fornire il corretto contenimento radiale all’imposta della cupola.
21
Belluzzi O., 2001, 245-249 e Flugge W., 1973 .
22
. Heyman J., 1977.
23
Giustina I., 2002 a, Giustina I, 2003 e Giustina I., Tomasoni E, Giuliani E.,
2006
24
Hendry, 1986.

159
CAPITOLO 4

25
Giustina I, 2003.
26
Nel secondo Quattrocento Amadeo aveva inserito all’estradosso di ciascuno
dei quattro archi di sostegno del tiburio del Duomo di Milano un arcone di scarico
in pietra, espediente inizialmente previsto da Guiniforte Solari; si vedano Ferrari
da Passano C., Brivio E., Majo A., Migliavacca L., 1986; Ferrari da Passano C
1988. Sull’intervento di Michelangelo sugli arconi di San Pietro a Roma, cfr. Poleni
G. B., 1748; Di Stefano R., 1980.
27
Milano, Archivio Storico dei Barnabiti, Cartella Grande, I, Mazzo I, fasc. III.

160
5. CONCLUSIONI

L’analisi della trattatistica e della manualistica tra il XV e il XIX secolo


e l’ampia ricerca archivistico-documentaria svolta hanno consentito di
formulare un quadro completo delle conoscenze e delle tecniche
costruttive impiegate in età moderna per la realizzazione delle strutture
voltate.
All’interno della vasta panoramica architettonica, costellata spesso
da informazioni isolate e frammentarie, sono state ripercorse e
approfondite le fasi di edificazione e i principali indirizzi di carattere
formale delle volte in muratura, focalizzando l’attenzione sugli
accorgimenti messi in opera dai costruttori del passato per migliorare la
resistenza delle strutture voltate.
L’indagine eseguita su alcuni casi reali ha poi consentito di mettere in
evidenza alcune particolarità costruttive e alcune consuetudini mai citate
dalla trattatistica, ma entrate a far parte di una prassi costruttiva
consolidata, come la realizzazione dei costoloni di irrigidimento spesso
collocati all’estradosso delle volte e mai nominati all’interno della
letteratura ufficiale.
Lo studio delle strutture voltate non può prescindere dalla
conoscenza dei materiali impiegati, dalle soluzioni tecniche e
dall’originaria concezione strutturale della volta. Le informazioni ottenute
costituiscono quindi un bagaglio di conoscenze indispensabili per uno
studio rispettoso dell’originaria struttura storica.
Il lavoro proposto fornisce quindi una base indispensabile per
affrontare in maniera consapevole uno studio sul comportamento

161
CAPITOLO 5

strutturale delle volte in muratura e per progettare eventuali metodi di


intervento efficaci e allo stesso tempo compatibili con strutture storiche.
Infine, lo studio svolto sulle cupole su piloni liberi, proposto con
l’intento di fornire una rilettura, sulla scorta dei moderni metodi di calcolo,
di alcune scelte progettuali operate dagli architetti e dai costruttori del
passato, ha consentito di comprendere con maggiore chiarezza, vista
anche l’assenza di studi sistematici sull’argomento, il comportamento
strutturale del nucleo centrale degli impianti a quincunx, giungendo a
fornire utili indicazioni di carattere generale sull’efficacia degli
accorgimenti e dei presidi strutturali utilizzati in passato in simili strutture.

162
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172
PARTE SECONDA

COMPORTAMENTO STRUTTURALE
DELLE VOLTE IN MURATURA
1. INTRODUZIONE

Alcuni aspetti del comportamento strutturale delle volte in muratura


non sono stati finora sufficientemente indagati dalla letteratura scientifica
e, data la loro complessità, difficilmente possono essere risolti attraverso
schemi e modelli classici.
Il presente lavoro si propone di colmare queste lacune e di studiare e
approfondire alcuni importanti aspetti inerenti l’analisi strutturale delle
coperture voltate, essenziali per la comprensione del meccanismi che si
generano al loro interno.
Le volte in muratura vengono spesso schematizzate come una serie
di archi affiancati non interagenti. Questa schematizzazione, accettabile
per volte semplici, si discosta dalla realtà nel caso di volte complesse,
quali per esempio le volte a padiglione o le volte a ombrello, nelle quali, a
causa della loro particolare conformazione geometrica, si possono creare
effetti tridimensionali non trascurabili.
A fianco del modello ad archi, è stata sviluppata in letteratura la
teoria membranale, che però, pur tenendo conto degli effetti
tridimensionali, ossia dell’interazione tra gli archi che idealmente
costituiscono la volta, ha il limite di non essere in grado di individuare la
reale posizione della superficie funicolare del carico e di non poter
valutare l’eventuale ridistribuzione degli sforzi conseguente alla
fessurazione.
In mancanza, quindi, di modelli teorici in grado di rappresentare in
maniera compiuta il comportamento strutturale delle volte complesse in
muratura, lo studio presentato ha come obiettivo la formulazione di una

175
CAPITOLO 1

nuova teoria in grado di fornire, attraverso una procedura computazionale


relativamente semplice e facilmente applicabile a qualsiasi tipo di volta, lo
stato di sforzo nelle volte, tenendo conto anche degli effetti tridimensionali
di interazione tra gli archi che si possono sviluppare in tali strutture.
Partendo dallo studio di D’Ayala e Casapulla (2001), che propone
una procedura di calcolo per cupole emisferiche basata sull’analisi limite,
nel presente lavoro viene ripresa tale procedura, perfezionandola e
estendendola ad altri tipi di volta. La teoria che si ricava dall’applicazione
di questa procedura permette di tener conto della fessurazione causata
sia da sforzi flessionali sia da sforzi di trazione trasmessi tra archi attigui e
consente di valutare lo stato di sforzo anche in vote complesse, nelle
quali, come già detto, l’interazione tra gli archi risulta fondamentale.
La teoria presentata, basata sull’analisi limite e applicabile a qualsiasi
tipo di volta e di geometria, si propone come una valida alternativa alle più
complesse analisi ad elementi finiti in campo non lineare le quali, per le
difficoltà nella creazione della mesh, per l’onere computazionale e per la
difficoltà nell’interpretazione dei risultati forniti, difficilmente possono
essere impiegate in ordinari interventi di recupero strutturale.
Un altro obiettivo del presente lavoro è applicare la teoria presentata
alle volte a padiglione, con il duplice scopo di dimostrare, da un lato,
l’efficacia, l’accuratezza, la flessibilità e la relativa semplicità della teoria
proposta e, dall’altro, di comprendere il comportamento strutturale di
questo particolare tipo di copertura voltata.
Infatti, le volte a padiglione, nonostante la loro diffusione, non sono
mai state sufficientemente indagate dalla letteratura scientifica, a parte
alcuni interessanti contributi forniti in studi svolti presso l’Università degli
Studi di Brescia (Arenghi A., Giuriani E., Giustina I., Tomaselli S.,
Tomasoni E., 2002). Il presente lavoro si propone quindi di fornire,
attraverso l’applicazione della teoria proposta e attraverso analisi elementi
finiti in campo non lineare, una trattazione esaustiva sui meccanismi che
si generano al loro interno, individuando le zone interessate dalle lesioni e
valutando in maniera puntuale e rigorosa lo stato di sforzo nella struttura.
Alla luce dei risultati ottenuti, vista l’importanza dello studio
riguardante le volte a padiglione ai fini applicativi, il lavoro si è concentrato

176
INTRODUZIONE

sull’elaborazione di metodi di calcolo semplificati in grado di individuare i


principali meccanismi statici nelle volte a padiglione e di fornire tutte le
informazioni utili in vista di eventuali interventi di consolidamento.
Nel presente lavoro è quindi riproposta la teoria membranale,
modificandola per tener conto delle condizioni al contorno lungo le
diagonali, e lo schema ad archi affiancati. Sulla base delle soluzioni
ottenute attraverso questi schemi e il confronto con le analisi ad elementi
finiti e la teoria basata sull’analisi limite, è discusso il grado di
approssimazione e il campo di validità degli schemi proposti, mostrando
che, mentre lo schema ad archi affiancati non interagenti non consente di
cogliere gli effetti che si sviluppano nel fuso, la teoria membranale può
invece costituire un punto di riferimento e un valido strumento per
l’individuazione dei principali meccanismi statici che si possono sviluppare
nelle volte a padiglione e per la valutazione, attraverso semplici formule in
forma chiusa, della spinta all’imposta e delle trazioni lungo le diagonali,
elementi essenziali negli interventi di recupero.
L’ultimo aspetto indagato attraverso questo studio riguarda il
problema flessionale nelle volte, anch’esso poco indagato dalla letteratura
scientifica. Attraverso un’indagine sperimentale su una porzione di volta a
botte in muratura si è cercato di individuare la soluzione progettuale più
valida ed efficace per ridurre la flessione e per il ripristino strutturale di
volte di edifici di valore storico e architettonico.

177
2. STATO DELL’ARTE E PRINCIPALI ORIENTAMENTI
SCIENTIFICI

2.1. Introduzione

Gli studi sugli archi e le volte in muratura sviluppati negli ultimi anni
sono numerosi e si basano su metodologie diverse, che vanno dai metodi
semplificati per la valutazione immediata di alcuni elementi utili ai fini di un
intervento di consolidamento, come per esempio lo schema ad archi
affiancati non interagenti, ai metodi più complessi, che si appoggiano ad
analisi ad elementi finiti in campo non lineare.
La maggior parte di questi studi, tuttavia, si concentra sui
meccanismi che si possono generare negli archi e assimila le volte ad una
serie di archi affiancati non interagenti, trascurando gli effetti
tridimensionali di interazione tra archi adiacenti.
A fianco al modello ad archi, è stata sviluppata in letteratura la teoria
membranale, che tiene conto degli effetti tridimensionali, ossia
dell’interazione tra gli archi che idealmente costituiscono la volta, ma che
ha però il limite di non essere in grado di individuare la reale posizione
della superficie funicolare del carico e di non poter valutare l’eventuale
ridistribuzione degli sforzi conseguente alla fessurazione.
Per introdurre la teoria proposta nel capitolo successivo, sviluppata
sulla base dello studio di D’Ayala D. e Casapulla C. (2001), nel presente
capitolo è fornita una sintesi dei principali orientamenti di studio e delle

179
CAPITOLO 2

principali teorie sviluppate per l’analisi dei meccanismi e della valutazione


degli sforzi nelle volte in muratura.

2.2. Studi scientifici sulle coperture voltate

Gli archi e le volte in muratura costituiscono uno dei componenti


principali delle strutture storiche. La necessità di preservare il patrimonio
architettonico del passato ha portato quindi allo sviluppo di studi per
l’analisi delle strutture volte, per la valutazione del loro grado di sicurezza
e per la progettazione di interventi di recupero.
I pionieristici studi di Heyman (1966, 1972, 1982, 1995), presentano
un intuitivo approccio per la comprensione del comportamento strutturale
degli archi e delle volte in muratura.

Fig. 1. Meccanismi di collasso negli archi in muratura soggetti a carichi


concentrati. (Heyman, 1995)

180
STATO DELL’ARTE

Heyman (1966), infatti, fornisce una trattazione del comportamento


degli archi, studiati per la prima volta attraverso l’analisi limite.
Grazie al contributo di Heyman (1982) il principio della catenaria fu
usato in combinazione con i teoremi limite dell’analisi plastica per valutare
e predire il meccanismo ultimo degli archi o di sistemi più complessi. In
particolare, il cosiddetto teorema dell’unicità conduce alla previsione delle
linee delle pressioni associate al meccanismo di collasso, considerando
che, in ogni punto in cui la funicolare tocca l’estradosso o l’intradosso, si
venga a formare una cerniera plastica e che il collasso della struttura
possa avvenire alla formazione della quarta cerniera plastica (fig. 1).
Egli afferma che, come è noto, dopo la fessurazione intervengono
altri meccanismi resistenti in grado di garantire la stabilità della struttura e
sulla base di questo, applicando l’analisi limite e imponendo le condizioni
di resistenza a compressione infinita della muratura, resistenza a trazione
nulla e resistenza a scorrimento tra i conci impedita dall’attrito, riesce a
definire il coefficiente di sicurezza delle coperture voltate.
Il lavoro di Heyman mostra anche come, nelle volte complesse, lungo
le linee di intersezione si sviluppi una concentrazione degli sforzi.
Sulla base degli studi condotti dal prof. Heyman, l’analisi limite si è
delineata come lo strumento più semplice e accurato per le strutture
storiche in muratura ( Huerta 2001, Baggio C. & Trovalusci P. 1998). È
necessario tuttavia sottolineare che, nella maggior parte dei casi, i
contributi allo studio delle volte si sono limitati all’applicazione dell’analisi
limite ad uno spicchio o ad un arco costituente la volta, trascurando così
gli effetti tridimensionali di interazione tra gli archi affiancati che
idealmente costituiscono le strutture voltate.
Questa schematizzazione può risultare accettabile per volte semplici
(volte a botte, cupole, ecc.), ma può portare a gravi errori di
interpretazione del comportamento strutturale di alcune volte complesse
nelle quali, a causa della loro geometria, gli sforzi trasferiti da un arco
all’altro non possono essere trascurati.
Fra I più recenti contributi che si sono occupati di volte e cupole in
muratura si può ricordare quello di Oppenheim et al. (1989), che propone
l’applicazione dell’analisi limite alle cupole emisferiche e ogivali in

181
CAPITOLO 2

muratura. Egli, attraverso una serie di semplificazioni, arriva giustamente


a trascurare l’effetto cerchiante dei paralleli nella porzione di cupola
fessurata in prossimità dell’imposta, ma trascura anche l’interazione nella
porzione superiore non fessurata, riducendo così il problema in campo
bidimensionale.
Ovviamente, nel caso di cupole soggette a carichi uniformemente
distribuiti, con vincoli rigidi e in assenza di cedimenti differenziali
dell’imposta, tali assunzioni si possono ritenere corrette, ma è necessario
sottolineare che la variazione delle condizioni al contorno potrebbe
portare a interazioni rilevanti tra archi attigui.
Anche Nart (2003) descrive il comportamento meccanico delle
cupole in muratura in relazione al carico e alla geometria. Questo
interessante studio propone un’analisi, basata su parametri geometrici, in
cui viene considerata una grande varietà di forme e carichi e in cui si
cerca di tener conto anche del peso della lanterna. Anche in questo caso
però viene trascurata l’interazione tra gli archi e non vengono considerati i
possibili meccanismi di scorrimento tra i conci.
Degno di nota è il lavoro di Block (2006), nel quale viene presentato
uno strumento di analisi basato sull’analisi limite per volte in muratura.
Questo studio estende il metodo grafico per l’analisi limite, usando la linea
delle pressioni, a qualsiasi tipo di arco e per qualsiasi sistema di carico,
tuttavia non è in grado di fornire un’analisi tridimensionale del
comportamento strutturale delle volte.
Solo pochi studi tengono conto e danno una spiegazione degli effetti
tridimensionali. O’Dowyer (1999), modellando gli sforzi principali come un
sistema discreto di forze, ha sviluppato un’analisi limite per le volte,
capace di tenere in considerazione anche gli effetti diffusivi. Il problema di
questo lavoro consiste nel fatto che è necessario imporre un valore
iniziale della componente orizzontale degli sforzi, elemento che
generalmente dovrebbe essere l’incognita del problema.
Sulla base di questo lavoro anche Andreu A., Roca G. P., (2007)
hanno proposto un nuovo metodo per la valutazione delle costruzioni in
muratura complesse. Questo metodo permette di simulare
numericamente un sistema di funicolari in equilibrio e con l’applicazione

182
STATO DELL’ARTE

del teorema dell’analisi plastica e un processo di ottimizzazione, si può


ottenere un coefficiente di sicurezza delle strutture e stimare il carico
ultimo. Applicando questa procedura, tuttavia, non è possibile valutare
interamente lo stato di sforzo nella struttura e inoltre non viene
considerata l’interazione tra archi contigui.
A fianco agli studi sull’analisi limite e lo schema ad archi, si è
sviluppata la teoria membranale delle volte sottili (Heymann 1966, Flugge,
1973) che consente di valutare lo stato di sforzo nelle volte tenendo conto
anche del taglio e degli sforzi assiali trasferiti tra archi limitrofi.
Nella teoria membranale il calcolo delle volte sottili viene effettuato
considerando la volta come una membrana senza rigidezza a flessione
(non soggetta cioè a momenti flettenti) e sottoposta quindi ai soli sforzi
membranali, che sono sempre tangenti al piano della volta nel punto
considerato. Questa teoria ha il vantaggio di fornire formule in forma
chiusa per la valutazione degli sforzi e si può ritenere un utile strumento
per l’individuazione dello stato di sforzo precedente alla fessurazione.
Bisogna tuttavia precisare che, applicando la teoria membranale non
possono essere considerati gli effetti di scorrimento tra i conci, spesso
poco rilevanti e per questo generalmente trascurabili, soprattutto per volte
sottili, ma che possono diventare importanti in volte a sesto acuto o con
notevole spessore.
Livesley (1978, 1992) fu il primo a considerare i possibili meccanismi
di scorrimento, ma notò e sottolineò le difficoltà computazionali associate
a questo tipo di studi. Egli, adottando un approccio statico, fu anche il
primo a sviluppare un programma di calcolo lineare per l’individuazione
della funicolare del carico per strutture ad arco bidimensionali. Adottando
lo stesso approccio sono stati proposti numerosi altri studi (Boothby 1994,
Baggio 1995, Ferris 2001), sviluppati in particolare per l’analisi dei ponti in
muratura anglosassoni (Gilbert 1994).
Sia l’aspetto relativo agli effetti tridimensionali nelle volte, sia i
possibili meccanismi di scorrimento tra i conci sono stati presi in
considerazione da D’Ayala e Casapulla (2001). Lo studio da loro
presentato analizza il comportamento strutturale delle cupole emisferiche
attraverso un nuovo strumento di calcolo basato sull’analisi limite. In

183
CAPITOLO 2

pratica la cupola è vista inizialmente come un guscio all’interno del quale


può essere individuata una superficie funicolare del carico, dalla cui
determinazione è possibile risalire allo stato di sforzo nella struttura. Tale
nuova formulazione consente inoltre, imponendo una resistenza a
trazione nulla della muratura, di valutare la ridistrbuzione degli sforzi
conseguente alla fessurazione lungo i meridiani, generalmente localizzata
nella porzione inferiore della cupola.
Vista l’importanza e le novità introdotte da questo fondamentale
contributo, è proprio sulla base dello studio di D’Ayala e Casapulla (2001),
che viene proposta la teoria presentata nel capitolo successivo.
Da quanto detto, appare evidente che, nel corso degli anni, sono stati
sviluppati diversi metodi di analisi per le strutture voltate: il metodo della
linea delle pressioni (Heyman 1966, Harvey 1988, Huerta), la teoria
membranale (Heyman 1966, Flugge, 1975), l’approccio alla Pucher
(O'Dwyer 1999).
Recentemente, inoltre, grazie allo sviluppo delle leggi costitutive per
la caratterizzazione della muratura, a questi strumenti di analisi si sono
affiancati numerosi studi agli elementi finiti (Lourenco, 2006).
Da anni, infatti, alcuni lavori si sono concentrati sulla formulazione di
elementi in grado di simulare il comportamento non lineare della
muratura, assimilandola ad un solido continuo (Livesley 1978, 1992,
Harvey 1988, Melbourne & Gilbert 1994, Hughes 1997).
La muratura, tuttavia, è un materiale non omogeneo, la cui
discontinuità può essere simulata attraverso l’inserimento di elementi di
interfaccia o contact elements. Un approccio che si è rivelato ottimale per
le strutture in muratura è dato dall’utilizzo di elementi discreti, sviluppato
inizialmente da Cundall (1971) e applicato successivamente a blocchi
posati a secco da Amadei B. (1995), Maunder (1993), Lemos (1997).
Questo approccio, particolarmente utile per analizzare i casi in cui lo
spostamento è significante e concentrato all’interfaccia tra i blocchi, ha la
limitazione di richiedere un elevato onere computazionale.
La tecnica di omogenizzazione usata con le analisi ad elementi finiti
e altri metodi che usano le caratteristiche di deformazione del materiale
ha la limitazione di richiedere la caratterizzazione delle proprietà

184
STATO DELL’ARTE

meccaniche dei materiali costituenti, che solitamente non sono disponibili


per strutture in muratura esistenti.
Bisogna sottolineare che, viste le approssimazioni a cui sono soggetti
i dati iniziali, è evidente che i risultati delle analisi risentiranno di tali
assunzioni di base e per questo la precisione dei risultati si può ritenere
solo apparente (Heyman, Mainstone 1997). Inoltre, nelle costruzioni
storiche, il cedimento delle fondazioni, gli eventi ambientali, e le
alterazioni artificiali, possono avere una grande influenza sul reale stato di
sforzo in strutture altamente iperstatiche non standardizzate.
Vista quindi l’impossibilità di isolare e quantificare correttamente gli
effetti di ogni evento esterno e di caratterizzare con precisione le proprietà
del materiale, il risultato delle analisi non può direttamente essere
interpretato in termini di sicurezza delle strutture e ogni giudizio dipende
più dalle conoscenze dell’analista che dai risultati numerici ottenuti.
Sulla scorta di quanto detto si può quindi affermare che lo strumento
migliore per l’analisi e lo studio delle volte in muratura di edifici storici, ad
oggi, sembra ancora essere l’analisi limite.

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ƒ Smars P., Etudes sur la stabilité des arcs et voûtes, PhD thesis,
Leuven Katholieke Universiteit, 2000.
ƒ Tomasoni E., D’Ayala D., Study on structural behaviour of masonry
vaults: limit state analysis with finite friction, keynote in the VI International
Conference on Structural Analysis of Historical Constructions, Bath 2008.

189
3. PRESENTAZIONE DI UN NUOVO APPROCCIO PER LO
STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA

3.1. Introduzione

Le volte in muratura vengono spesso schematizzate con il modello


ad archi, in cui ogni arco che costituisce la volta si suppone indipendente
da quello a fianco. Questa schematizzazione si avvicina al
comportamento reale delle volte nel caso di volte semplici, soggette a
carico uniformemente distribuito e vincoli rigidi. Tuttavia esistono alcuni
tipi di volte che, proprio per la loro conformazione geometrica,
difficilmente possono essere assimilate ad una serie di archi affiancati non
interagenti (per esempio le volte a padiglione, le volte a ombrello, le volte
a crociera e molte altre). Un’alternativa al modello ad archi può essere la
teoria membranale, che però, pur tenendo conto degli effetti
tridimensionali, ha il limite di non essere in grado di individuare la reale
posizione della superficie funicolare del carico e di non poter valutare
l’eventuale ridistribuzione degli sforzi conseguente alla fessurazione.
Un altro problema, generalmente trascurato dalle teorie esistenti, che
spesso interessa le coperture voltate, specialmente se ad arco acuto e
con spessore notevole oppure se realizzate in pietra e tufo con malta
scadente tra i conci, è il meccanismo di scorrimento tra i conci.
All’interno del panorama scientifico internazionale, l’unico studio in
cui è stata presentata una teoria per la valutazione degli effetti
tridimensionali nelle volte, in grado di tenere in considerazione anche
eventuali scorrimenti tra i conci, è quello proposto da D’Ayala e Casapulla

191
CAPITOLO 3

(2001). In questo paper è stato presentato un nuovo strumento di analisi


per le cupole sferiche in muratura basato sull’analisi limite, tenendo conto
della limitata resistenza a scorrimento tra i conci.
Sulla base dello studio proposto da D’Ayala e Casapulla (2001), nel
presente lavoro verrà riproposta la teoria basata sull’analisi limite,
perfezionandola e rendendola applicabile a qualsiasi tipo di volta e di
geometria.
In particolare, partendo da alcune ipotesi di base, verrà mostrata
l’applicabilità della teoria proposta sia alle volte semplici sia a quelle
complesse e, nel capitolo 4, attraverso l’applicazione di questa teoria alle
volte a padiglione, verrà presentata in maniera estesa la procedura per la
valutazione dello stato di sforzo nelle volte, dimostrandone da un lato la
validità, il rigore e l’accuratezza dei risultati ottenuti e dall’altro la relativa
semplicità e facilità di utilizzo1.

3.2. Presentazione della teoria basata sull’analisi limite

L’importanza dei meccanismi di scorrimento tra i conci, che spesso


possono verificarsi in strutture voltate in muratura a causa del
deterioramento della malta tra i conci, e la necessità di tenere in
considerazione anche gli effetti tridimensionali nelle volte, che, soprattutto
per volte complesse, possono incidere in maniera sostanziale sul loro
comportamento strutturale, hanno indirizzato il presente studio verso la
formulazione di una nuova teoria, semplice e allo stesso tempo rigorosa,
in grado di cogliere tutti questi aspetti.
All’interno del panorama scientifico sono infatti stati proposti
numerosi studi sulle strutture voltate, ma, come già precisato nel capitolo
precedente, in tali studi sono sempre stati trascurati o gli effetti cerchianti
che si possono sviluppare lungo i paralleli delle coperture voltate, oppure
gli effetti flessionali, e quindi anche lo scorrimento, nella direzione dei
meridiani. Nonostante gli schemi finora proposti possano risultare
accettabili e possano fornire ottimi risultati per volte semplici, quali le volte

192
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA

a botte, sicuramente non possono essere adottati per volte complesse,


quali per esempio le volte a padiglione o le volte a ombrello.
Partendo quindi dalla teoria già presentata dalla prof. D’Ayala per le
cupole emisferiche2, è stata messa a punto una procedura di calcolo in
grado di simulare il reale comportamento tridimensionale delle volte in
muratura e di descrivere in maniera rigorosa e accurata lo stato di sforzo
in qualsiasi tipo di volta e con qualsiasi geometria della curva direttrice. Il
concetto alla base di questa teoria consiste nell’applicazione del teorema
statico dell’analisi plastica e nell’individuazione della superficie funicolare
del carico avente eccentricità minima. La determinazione della funicolare
del carico consente di ottenere anche lo spessore minimo della volta e
quindi il coefficiente di sicurezza della struttura, dato dal rapporto tra lo
spessore reale e lo spessore minimo della volta, estremamente
importante nel campo della riabilitazione strutturale.

3.2.1 Ipotesi sulla resistenza del materiale

Il comportamento strutturale delle volte in muratura e i loro


meccanismi di collasso dipendono dalle proprietà meccaniche del
materiale con cui sono realizzate. La teoria presentata si basa quindi sulle
seguenti ipotesi:
1) resistenza a compressione della muratura infinita (da Heyman J.);
2) resitenza a trazione nulla (da Heyman J.);
3) limitata resistenza a scorrimento tra i conci.
L’ultima ipotesi, spesso trascurata dai precedenti studi sulle volte in
muratura, assume invece un ruolo molto importante nella formulazione di
una teoria sufficientemente flessibile da poter essere utilizzata per
qualsiasi volta; è noto, infatti, che in alcuni tipi di strutture voltate l’effetto
dello scorrimento tra i conci diviene predominante rispetto agli altri
meccanismi, in particolare per volte a sesto a acuto, per gli archi rampanti
delle cattedrali gotiche oppure per le volte in pietra e tufo con notevole
spessore, nelle quali la malta tra i conci, specialmente se deteriorata o di

193
CAPITOLO 3

scarse qualità meccaniche, può non garantire una resistenza sufficiente


allo scorrimento.
L’ipotesi di limitata resistenza a scorrimento tra i conci, quindi,
consente di simulare in maniera più realistica il comportamento
meccanico della muratura storica, nella quale spesso, a causa degli effetti
del deterioramento della malta tra i conci, si può registrare una drastica
riduzione del coefficiente di attrito.
Inoltre, assumendo il criterio di Mohr–Coulomb come una buona
rappresentazione del comportamento reale della muratura, la resistenza
a taglio all’interfaccia tra i blocchi, non è infinita, ma è funzione della
coesione e del coefficiente di attrito.
Vista la scarsità di prove sperimentali su murature storiche che
fornicano i valori della resistenza a taglio e del coefficiente di attrito, si fa
riferimento ai risultati dei test condotti da Hendry et al. (1986) su murature
di nuova costruzione (fig. 1). I valori della coesione e del coefficiente di
attrito ottenuti da tali prove vengono indicati rispettivamente pari a 3
kg/cm2 e 0,4-0,5. Tenendo quindi conto dell’effetto del degrado subito
dalla muratura nel corso dei secoli, è possibile affermare che
plausibilmente, per le murature storiche, tali valori potrebbero risultare
sensibilmente ridotti, al punto da poter considerare T0 nullo e µ0 inferiore a
0,4.
Per individuare la superficie funicolare del carico e quindi per
valutare lo stato di sforzo (sforzi lungo i meridiani, sforzi circonferenziali e
sforzi di taglio) in qualsiasi tipo di volta e per qualsiasi forma della curva
direttrice, si suppone che la volta considerata sia costituita da un sistema
tridimensionale di blocchi disposti lungo i meridiani e i paralleli (fig. 2).
Osservando attentamente le volte storiche in muratura, si può notare
che, indipendentemente dalla disposizione dei filari (a spinapesce, a filari
paralleli all’imposta o ortogonali all’imposta), i mattoni o i blocchi di pietra,
sono sempre diretti verso il centro di curvatura della volta. Visto che,
inoltre, i giunti tra i conci rappresentano le zone deboli della muratura, la
teoria presentata può vantaggiosamente essere condotta all’interfaccia tra
i blocchi, dove si possono verificare meccanismi di rotazione o
scorrimento tra i conci.

194
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA

Fig. 1. Grafico della resistenza a taglio della muratura ricavato da prove


sperimentali su murature di nuova costruzione. (Hendry, 1986)

195
CAPITOLO 3

z' Sj+1
Ηp Txϑ p γj+1
x'
Tϑx j+1
Tϑx j
γj Txϑ p+1Ηp+1
Sj
ϑi
ϑj

a)
x

ϑi
z'
Sj Tϑx j Ηp+1
γj Txϑ p+1
Txϑ p x'
γj+1
Ηp Tϑx j+1
α l Sj+1

b)

Fig. 2. Schema delle forze agenti su un elemento appartenente ad una volta a


crociera (a) e su un elemento di una volta a padiglione (b).

196
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA

3.2.2. Approccio statico

Poiché appare evidente che la discretizzazione della struttura può


non essere rappresentativa di ogni singolo concio costituente la volta,
ogni porzione identificata dall’intersezione di due paralleli e due meridiani
adiacenti, deve essere considerata come un macroelemento omogeneo in
muratura, con compressione interna infinita, resistenza a trazione nulla
all’interfaccia tra due elementi e limitato scorrimento tra i conci.
Se la volta fosse in grado di resistere a sforzi di trazione, allora,
attraverso l’applicazione della teoria membranale, sarebbe possibile
determinare la risultante degli sforzi lungo i paralleli e lungo i meridiani
tangente alla superficie media della volta stessa. La muratura però ha
resistenza a trazione nulla e quindi, per volte a doppia curvatura e per
volte a padiglione, le trazioni che si sviluppano nella fascia in prossimità
dell’imposta portano alla formazione di lesioni che annullano gli sforzi
circonferenziali. Ciò implica una modifica dello stato di sforzo interno alla
volta e, di conseguenza, in seguito alla ridistribuzione degli sforzi, la
superficie funicolare del carico tende a discostarsi dalla superficie media,
andando così a generare momenti flettenti e sforzi di taglio all’interfaccia
tra i conci. La superficie funicolare, quindi, non è nota a priori e la sua
individuazione consente di ottenere lo stato di sforzo nell’intera struttura.
Ovviamente, per valutare la posizione della superficie funicolare del
carico e lo stato di sforzo nella volta, non sono sufficienti le equazioni di
equilibrio, in quanto esistono ∞2 soluzioni: per determinare in maniera
univoca la posizione della funicolare del carico sono quindi necessarie
due condizioni.
Tra le infinite funicolari che la volta può assumere, applicando
l’analisi limite, è possibile identificare la soluzione che massimizza la
capacità portante della volta e ciò lo si ottiene minimizzando l’eccentricità
della linea delle pressioni, attraverso la procedura che verrà descritta in
maniera dettagliata nel capitolo 4.
Inoltre, si può supporre che, tra le infinite funicolari che minimizzano
l’eccentricità, quella assunta dalla volta dipenda dalle caratteristiche
meccaniche del materiale. A parità di eccentricità, ciò che può variare è

197
CAPITOLO 3

l’inclinazione della superficie funicolare e, perciò, la seconda condizione


da imporre, compatibile con la resistenza del materiale, è data da:

Tj ≤ T0 + N j µ (1)

dove N j e T j rappresentano rispettivamente la componete di Sj normale


e tangenziale all’interfaccia, mentre T0 e µ rappresentano rispettivamente
la coesione e il coefficiente di attrito assunto per la muratura.
L’equazione (1) rappresenta il limite massimo e minimo della resistenza a
taglio della muratura. Superati tali valori, all’interno della volta si possono
verificare meccanismi di scorrimento tra i conci (fig. 3).

z'
θi
z'
θj

γj θ j
L in e o f th ru st
Nj B
φ
Sj
Tj
A

Fig. 3. Schema delle componenti normale (Nj) e tangenziale (Tj), della forza
meridiana Sj, agenti all’interfaccia di un elemento, con indicati i punti A e
B rappresentanti i limiti definiti dal criterio di resistenza di Coulomb.

198
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA

3.3. Conclusioni

La teoria basata sull’analisi limite costituisce uno strumento rigoroso


e allo stesso tempo semplice per la valutazione dello stato di sforzo nelle
volte. Questa teoria, flessibile e applicabile a qualsiasi tipo di volta,
consente non solo di individuare la superficie funicolare del carico, ma
anche di comprendere il reale comportamento strutturale delle volte
analizzate, grazie alla possibilità di valutare gli effetti tridimensionali che si
possono sviluppare nelle strutture studiate, effetti che possono risultare
particolarmente importanti nel caso di volte complesse.
Attraverso una procedura computazionale, sviluppata attraverso
semplici programmi di uso comune, quali per esempio excel, è possibile
quindi ottenere una soluzione ottimizzata che tenga conto della
ridistribuzione degli sforzi conseguente alla fessurazione. Ciò consente
inoltre di identificare lo spessore minimo della volta affinché non si
verifichi il collasso della struttura e quindi il coefficiente di sicurezza della
struttura, dato dal rapporto tra lo spessore reale e lo spessore minimo.
Per chiarire i passaggi di questa procedura, per mostrarne
l’applicabilità alle volte complesse e per dimostrare la sua efficacia, nel
capitolo seguente, la teoria basata sull’analisi limite verrà applicata alle
volte a padiglione.

199
CAPITOLO 3

3.4. Bibliografia

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of 3D vaulted block masonry structures, in Computer Methods in
Structural Masonry (STRUMAS V), Proc. 5th intern. symp., Roma 2001.
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200
NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DELLE VOLTE IN MURATURA

ƒ Livesley R. K., A computational model for the limit analysis of


threedimensional masonry structures, in “Meccanica”, vol.27, n.3, 1992,
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ƒ Tomasoni E., D’Ayala D., Study on structural behaviour of masonry
vaults: limit state analysis with finite friction, keynote in the VI International
Conference on Structural Analysis of Historical Constructions, Bath 2008.

NOTE:

1
Parte dei risultati di questo lavoro saranno presentati al Convegno
Internazionale SACH, che si terrà a Bath nel 2008 (Tomasoni E., D’Ayala D.,
2008).
2
D’Ayala D., Casapulla C., 2001.

201
4. LE VOLTE A PADIGLIONE

4.1. Introduzione

Le volte a padiglione in muratura, seppur impiegate in maniera


estensiva già a partire dal XVI secolo come copertura per gli ambienti
dell’edilizia più rappresentativa, non sono mai state studiate in maniera
approfondita, probabilmente per le evidenti difficoltà incontrate
nell’applicare teorie semplificate a questo tipo di volta complessa.
Le volte a padiglione, come tutte le volte, esercitano spinte
all’imposta che spesso, soprattutto nel caso di volte di grandi dimensioni
con esigui carichi verticali sui piedritti, come per esempio le volte poste ai
piani superiori dei palazzi, risultano troppo elevate e causano
l’allontanamento dei muri perimetrali. Oltre al problema legato alla spinta
all’imposta, le volte a padiglione presentano spesso lesioni importanti
lungo le diagonali. Come già discusso nel capitolo precedente, gli studi
sulle coperture voltate si limitano nella maggior parte dei casi a
schematizzazioni ad archi non interagenti, nelle quali vengono
completamente trascurati gli effetti tridimensionali. Queste
approssimazioni, accettabili per alcuni tipi di volte, quali le volte a botte o
le cupole, risultano invece troppo superficiali per cogliere il
comportamento reale delle volte a padiglione, nelle quali le interazioni fra
gli archi sono di fondamentale importanza per la determinazione dello
stato di sollecitazione a cui sono sottoposte e per la valutazione della
spinta che esse esercitano sui muri perimetrali.

203
CAPITOLO 4

La letteratura scientifica, finora, non è stata in grado di proporre validi


modelli che permettano di simulare il comportamento strutturale delle
volte a padiglione; questo è probabilmente dovuto ad una scarsa
conoscenza dei complessi meccanismi statici che si generano al loro
interno e alla mancanza di una teoria semplice e allo stesso tempo
rigorosa in grado di cogliere il reale stato di sollecitazione prima e dopo la
fessurazione.
Le volte a padiglione, infatti, nonostante la loro diffusione, non sono
mai state sufficientemente indagate dalla letteratura scientifica, anche se
interessanti contributi sono stati forniti in alcuni studi svolti presso
l’Università degli Studi di Brescia e già in parte pubblicati (Arenghi A.,
Giuriani E., Giustina I., Tomaselli S., Tomasoni E., 2002). Il presente
lavoro si propone quindi di fornire, attraverso l’applicazione della teoria
proposta e attraverso analisi ad elementi finiti in campo non lineare, una
trattazione esaustiva sui meccanismi che si generano al loro interno,
individuando le zone interessate dalle lesioni e valutando in maniera
puntuale e rigorosa lo stato di sforzo nella struttura.
Attraverso l’applicazione della teoria presentata nel capitolo
precedente, basata sull’analisi limite, sviluppata sulla base di uno studio
eseguito dalla prof. Dina D’Ayala sulle cupole emisferiche in muratura1 e,
in questa sede, perfezionata ed estesa anche a volte complesse, e uno
studio ad elementi finiti in campo non lineare, svolto presso l’University of
Bath, è stato possibile individuare all’interno delle volte a padiglione le
zone interessate dalle lesioni e valutare in maniera puntuale e rigorosa lo
stato di sforzo nella struttura.
La teoria proposta si è mostrata sufficientemente flessibile da poter
essere applicata anche alle volte a padiglione, particolarmente complesse
a causa delle discontinuità lungo le diagonali, e ha perciò consentito di
cogliere i molteplici aspetti del loro comportamento strutturale, rivelandosi
un utile strumento, accurato e allo stesso tempo semplice, per lo studio
delle coperture voltate.
Alla luce dei risultati ottenuti, vista l’importanza dello studio
riguardante le volte a padiglione ai fini applicativi, il lavoro si è concentrato
sull’elaborazione di metodi di calcolo semplificati al fine di ottenere modelli

204
LE VOLTE A PADIGLIONE

di calcolo facilmente applicabili, in grado di individuare i principali


meccanismi statici nelle volte a padiglione e di fornire tutte le informazioni
utili in vista di eventuali interventi di consolidamento.
Nel presente lavoro è quindi riproposta la teoria membranale,
modificandola per tener conto delle condizioni al contorno lungo le
diagonali, e lo schema ad archi affiancati. Sulla base delle soluzioni
ottenute attraverso questi schemi e il confronto con le analisi ad elementi
finiti e la teoria basata sull’analisi limite, è discusso il grado di
approssimazione e il campo di validità degli schemi proposti, mostrando
che, mentre lo schema ad archi affiancati non interagenti non consente di
cogliere gli effetti che si sviluppano nel fuso, la teoria membranale può
invece costituire un punto di riferimento e un valido strumento per
l’individuazione dei principali meccanismi statici che si possono sviluppare
nelle volte a padiglione e per la valutazione, attraverso semplici formule in
forma chiusa, della spinta all’imposta e delle trazioni lungo le diagonali,
elementi essenziali negli interventi di recupero.

4.2. Inquadramento storico

Le volte a padiglione furono impiegate nell’architettura romana già a


partire dal I secolo a.C.: si possono infatti ritrovare i primi esempi nel
Tabularium (78 a.C.) e nel tempio di Ercole a Tivoli (80-85 a.C), per
giungere a quelli più maturi nella Sala Ottagona all’interno della Domus
Aurea (64-68 d.C.)2, nella Domus Augustana (81-92 d.C.), nella villa
Adriana a Tivoli (117 d.C.), nelle terme di Antonino a Cartagine (145-160
d.C) e in quelle di Diocleziano (298-306 d.C.).
Del Tabularium (fig. 1) oggi rimane solo la galleria inferiore aperta
verso il foro e coperta da una serie di volte a padiglione impostate su
pianta quadrata; un’analoga situazione la si può ritrovare nel Santuario di
Ercole a Tivoli3.

205
CAPITOLO 4

Nella sala Ottagona della Domus Aurea, la cupola, che copre il vano
ottagonale, nasce come una volta a padiglione per poi trasformarsi, nella
parte alta, in una cupola sferica vera e propria4 (fig. 2).
Nelle terme invece la volta a padiglione ricopriva generalmente le
sale termali, impostate su sei o otto lati (fig. 3, 4).

Fig. 1. Roma, pianta del Tabularium (78 Fig. 2. Assonometria della sala
a.C.) con evidenziata la galleria coperta da ottagona situata all’interno della
volte a padiglione impostate su pianta Domus Aurea (64-68 d.C.).
quadrata. (Scurati Manzoni, 1991, 429) (Scurati Manzoni, 1991, 430)

Fig. 3. Pianta d’insieme delle Terme di Antonino a Cartagine (145-160 d.C.), in cui
gli ambienti su pianta ottagonale erano coperti con volte a padiglione. (Gros P.,
1996, 459)

206
LE VOLTE A PADIGLIONE

Fig. 4. Sezione delle Terme di Antonino a Cartagine eseguita lungo l’asse di


simmetria. Da sinistra a destra si possono individuare la natatio, il frigidarium e il
calidarium, coperto con una volta a padiglione. (Gros P., 1996, 459)

Come già ampiamente discusso nella prima parte di questo lavoro, il


vasto repertorio di forme romane non venne riproposto nella sua interezza
nei secoli successivi a causa dei sostanziali cambiamenti dei materiali
impiegati e delle tecniche costruttive. Nonostante questo le volte a
padiglione, particolarmente indicate per la copertura di vani poligonali,
continuarono ad essere utilizzate in particolare nelle cappelle degli edifici
religiosi e nei battisteri; tra i numerosi esempi si possono ricordare la
cappella di Sant’Aquilino a Milano, risalente ai primi anni del V secolo
d.C., il battistero degli Ariani a Ravenna, realizzato nel VI secolo d.C. e la
cappella Palatina di Aquisgrana, costruita alla fine dell’VIII secolo (fig. 5).
Anche nei secoli successivi la volta a padiglione trovò vasta
applicazione all’interno degli edifici religiosi: tra il X e il XII si diffuse infatti
l’impiego, nell’intersezione tra il transetto e la navata centrale, di una volta
a padiglione su pianta ottagonale, coperta da tiburio. Questa soluzione
può essere ritrovata per esempio nella chiesa di Sant’Ambrogio a Milano
(fig. 6) e in quella di San Michele a Pavia (fig. 7).
Fu però a partire dal XVI secolo che la volta a padiglione e tutte le
sue varianti iniziarono ad essere estensivamente utilizzate nell’architettura
residenziale per la copertura delle sale dei palazzi, grazie soprattutto alla
loro capacità di trasferire completamente il carico sui muri d’ambito,
risolvendo così in maniera esemplare il rapporto con le pareti che
risultavano tutte d’imposta.

207
CAPITOLO 4

Fig. 5. Pianta e sezione della Cappella palatina di Aquisgrana costruita verso la


fine VIII secolo. (Bonelli R., Bozzoni C., 1997, 69)

Fig. 6. Milano, Basilica di Fig. 7. Pavia, Basilica di San Michele,


Sant’Ambrogio, particolare della volta particolare della volta a padiglione
a padiglione all’intersezione tra il all’intersezione tra il transetto e la
transetto e la navata centrale. navata centrale. (Chierici S., 1978)
(Chierici S., 1978)

208
LE VOLTE A PADIGLIONE

Nonostante la grande diffusione delle volte a padiglione, nei trattati di


architettura tra il XVl e il XIX secolo, le informazioni riguardanti questo tipo
di copertura voltata si limitano spesso all’assegnazione di un nome per la
loro identificazione o alla semplice descrizione geometrica.
E’ il caso di Vitruvio che, nel Libro VII de I dieci libri dell’architettura,
accenna solamente ad una variante della volta a padiglione, puntando
invece l’attenzione su aspetti più generali quali ad esempio la
realizzazione delle centine in legno, l’intonacatura dell’intradosso delle
volte e la realizzazioni di cornici decorative.
Anche Leon Battista Alberti nel De re Aedificatoria, pur dedicando
ampio spazio alle coperture voltate, si limita a citare le volte a padiglione,
chiamandole “a carena” e specificando che si tratta di volte composte
costituite da porzioni di volte a botte5.
Il primo a illustrare, attraverso una descrizione molto concisa e una
serie di figure, i sei modi per realizzare le volte, la cui tipologia va
ovviamente scelta in base alla forma della stanza che deve essere
coperta, fu Palladio. Egli, nel suo trattato I quattro libri dell’architettura
(1570), spiega che le volte a botte con teste di padiglione, dette a conca,
“sono stata ritrovate dai moderni”6 ed è forse questo il motivo per cui gli
autori a lui precedenti si sono limitati a citarne il nome nei loro scritti.
Palladio, inoltre, riferendosi ai rapporti proporzionali delle stanze, precisa
che le volte a conca dovrebbero avere una freccia pari ad un terzo della
larghezza della stanza7.
Vincenzo Scamozzi, nel trattato Idea dell’architettura universale
(1615), riprendendo l’importante discorso della proporzionalità fra le
dimensioni delle stanze e le volte di copertura, osserva che in passato la
volta a conca si usava soprattutto nelle abitazioni private e che veniva
impostata su “quadri perfetti, e in quelli d’un quadro e mezzo e anco de
duoi quadri”8 (fig. 8).
Nella prima parte del suo trattato lo Scamozzi, come aveva già fatto
in precedenza Palladio, illustra, inoltre, molto brevemente e con disegni i
sei modi per realizzare le volte, ma nel capitolo XIX del Libro III inserisce
un’importante novità, indicando per la prima volta, tra i sei tipi di volte con

209
CAPITOLO 4

Fig. 8. Proporzioni tra le dimensioni della stanza e la forma delle volte a


padiglione e a conca proposte da V. Scamozzi nel suo trattato “L’idea
dell’architettura universale”. (Scamozzi V., 323)

i quali possono essere coperte le stanze, la volta “a padiglione, ovvero a


più facce”9.
Secondo Scamozzi, le volte a padiglione migliori sono quelle la cui
curvatura è pari a un “mezo cerchio perfetto”10, e questo non solo per la
bellezza che tale curvatura conferisce alla volta, ma anche perché in tal
modo risultano più facili da realizzare, continuando comunque ad offrire
una sicurezza superiore a quella delle altre volte a padiglione con
curvatura diversa. Lo Scamozzi inoltre cerca di illustrare le volte a
padiglione utilizzando degli esempi esistenti, ricordando, oltre alle già
citate Terme di Diocleziano e la Villa Adriana a Tivoli, la volta a padiglione
di “sette faccie alle Galuccie di larghezza di 70 piedi de’ nostri; la quale ha
solo i spigoli murati de tegoloni di terra cotta, e la faccie sono rimurate de
Tuffi, e Cementi; i quali in gran parte sono caduti, e tuttavia la Volta si
mantiene”11. Lo stesso esempio è ricordato anche da Giuseppe Valadier
nel suo trattato L’architettura pratica: la volta delle Galuccie infatti è

210
LE VOLTE A PADIGLIONE

considerata, con quella del Pantheon, la più grande volta di mattoni che
gli antichi furono in grado di costruire12.
Nel Trattato di architettura civile, Guarino Guarini afferma che le volte
sono la componente più importante di un edificio e, passando in rassegna
le varie tipologie di volte, illustra dettagliatamente la geometria di quella a
padiglione, specificando che si ricava partendo da un semi cilindro
“tagliato per diagonale” 13. Guarini inoltre precisa che la pianta su cui si
imposta la volta a padiglione può essere la più svariata: dalla quadrata si
può infatti passare a quella triangolare, esagonale, pentagonale o
ottagonale, e l’unica differenza che si riscontra è l’ampiezza dell’angolo al
vertice.
Passando a descrivere il modo di disegnare le volte, Guarini afferma
che le volte a padiglione saranno tanto più belle tanto meno saranno
“svelte14, perché facendosi nelle camere per ordinario che non hanno
molta altezza, se si fanno di poca elevazione renderanno la stanza più
svelta”15. Nonostante ciò però Guarini consiglia di contenere l’altezza
della volta fra un quinto e un quarto del diametro e specifica che, per farle
apparire piane, basta creare “la cornice sopra cui si posa nello spiccarsi
del volto dal muro dopo essersi principiata la volta”16.
Se fin qui gli autori, seppur in maniera defilata si sono interessati alla
volta a padiglione, dopo Guarini le informazioni relative a questa
particolare tipologia di volta scompaiono o, quanto meno, si fanno molto
rade.
Francesco Milizia ad esempio nel trattato Principi di architettura civile
del 1791 inserisce una semplice citazione sulla volta a schifo definita
come una volta composta17.
Solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo i manuali di
architettura iniziano a riportare informazioni pratiche sulla geometria e
sulla realizzazione della volta a padiglione e delle sue principali varianti.
Particolarmente significativo è il contributo di Alberto Castigliano che nel
1882 pubblica il Manuale pratico per gli ingegneri, in cui l’autore definisce
la volta a padiglione impostata su pianta quadrata come l’unione di
quattro fusi cilindrici che compongono la superficie di intradosso18; i fusi
hanno per direttrici i due archi di cerchio EVF e GVH, dove E, F, G e H

211
CAPITOLO 4

sono i punti medi dei lati del quadrato di base e V è il vertice della volta
(fig. 9).

Fig. 9. Assonometria di una volta a padiglione su base quadrata. (Casigliano A.,


1882, Tav. I)

Casigliano propone quindi alcune formule pratiche per determinare la


superficie e il volume delle volte a padiglione: chiamando 2a il lato AB e f
la freccia VV' della superficie d’intradosso, riporta la seguente formula per
il calcolo della superficie d’intradosso:

(
S = 4 ⋅ a2 + f 2 )
Per determinare il volume complessivo delle murature invece,
l’autore sottrae al volume compreso fra il piano d’imposta e la superficie
dei rinfianchi, il volume del vano compreso fra lo stesso piano d’imposta e
la superficie d’intradosso, ottenendo così, per la volta a padiglione, la
seguente equazione:

V=
2
3
(
⋅ f ⋅ 3⋅ a2 + f 2 )

Fra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, quindi, la volta a
padiglione comincia ad attirare l’attenzione dei trattatisti che, nei loro
lavori, la presentano dedicandole ampio spazio e mettendola finalmente

212
LE VOLTE A PADIGLIONE

sullo stesso piano di importanza di tutte le altre tipologie di volte. E’ il caso


di Gustav Aldoph Breymann, di Giovanni Curioni, di Carlo Levi e molti altri
che, nei loro manuali, riportano importanti indicazioni circa la geometria e
le fasi realizzative di questa particolare copertura voltata.

4.3. Geometrie e tecniche costruttive

Dal punto di vista geometrico le volte a padiglione, come è già stato


accennato nel paragrafo precedente, sono generate dall’intersezione di
due o più volte a botte. Se si suppone di tagliare una volta a botte con due
piani diagonali verticali, vengono identificate quattro parti AA’ e BB’: le
parti A e A’ sono dette unghie, mentre le parti B e B’ sono dette fusi (fig.
10). La differenza principale fra queste due parti sta nel fatto che i fusi
hanno per impronta una linea e per chiave un punto, viceversa le unghie
hanno per chiave una linea e per impronta due punti.

Fig. 10. Assonometria di una volta a botte con indicate le unghie e i fusi.

La volta a padiglione è formata da quattro o più fusi e, proprio per la


sua conformazione geometrica, ha la capacità di scaricare in maniera
uniforme le azioni verticali e orizzontali sulle murature perimetrali; è
evidente però che il volume, e quindi anche il peso delle volte a

213
CAPITOLO 4

padiglione, risulta maggiore rispetto a quello di volte a botte e a crociera


impostate sulla medesima pianta. Per ovviare a questo problema spesso
si ricorreva ad alcune varianti più complesse, come le volte a specchio o a
schifo, le volte botte con teste di padiglione e le volte lunettate.
La volta a botte con teste di padiglione è stata spesso utilizzata per
la copertura di ambienti a pianta rettangolare e allungata ed è costituita da
una volta a botte cilindrica raccordata alle teste con due falde
semicilindriche (fig. 11).
La volta a specchio o a schifo è, invece, una volta a padiglione con
fondo piano costituita da una volta a padiglione oppure da una volta a
botte con teste di padiglione sezionata ad una qualunque altezza con un
piano orizzontale (fig. 12). Bisogna sottolineare che la parte centrale che
forma lo specchio di solito non è completamente piana, ma può
presentare una leggera curvatura, al fine di consentire una maggiore
stabilità di questa struttura.
Infine, la volta a padiglione con lunette (fig. 13 e 14) non è altro che
l’unione di una volta a padiglione con porzioni di volte a botte di
dimensioni minori disposte perpendicolarmente all’imposta. Tali porzioni
di volte a botte, andando appunto a formare le lunette perimetrali,
consentivano l’apertura di finestre collocate ad una quota maggiore di
quella delle imposte. Le coperture con questa geometria però finirono per
caratterizzare un tipo distinto di volta detto a unghiature o a peducci,
in cui l’imposta, a causa della presenza degli archi frontali delle lunette,
viene ridotta ad appoggi discontinui e brevi.

214
LE VOLTE A PADIGLIONE

Fig. 11. Volta a botte con teste di Fig. 12. Volta a spechio o a schifo.
padiglione. (Breymann G.A., 1885, 9) (Breymann G.A., 1885, 11)

Fig. 13. Schema di una volta a Fig. 14. Palazzo Vertemate Franchi a
specchio lunettata. Piuro di Chiavenna (XVI secolo); volta
a specchio lunettata (detta anche a
peducci) della sala di Giove e Mercurio.

215
CAPITOLO 4

Dal punto di vista costruttivo, la volta a padiglione è realizzata con le


modalità e le apparecchiature tipiche della volta a botte, ripetute nelle due
direzioni degli assi.
Per realizzare una volta a padiglione, per prima cosa, era necessario
stabilire la linea d’intradosso della volta, dalla quale poi veniva desunta la
curvatura degli spigoli. La direttrice è solitamente un arco di cerchio e gli
spigoli sono invece archi di ellissi.
Per costruire una volta, come è già stato discusso nella prima parte
di questo lavoro, erano necessarie le centine, che riproducevano in tutto
o in parte la superficie d’intradosso delle volte e su cui poi veniva costruita
la volta stessa.
Per realizzare l’armatura per le volte a padiglione era necessario
realizzare mezze centine, in genere con profilo ad arco di cerchio,
collocate al centro dei lati del poligono di base e disposte
perpendicolarmente ad essi, in modo da convergere nel vertice. Altre
mezze centine, con profilo ellittico, venivano posizionate lungo le
diagonali. La figura 15 mostra le diverse curve che venivano utilizzate per
il tracciamento della linea d’intradosso delle centine: se la pianta
dell’ambiente da coprire era un quadrato e la linea d’intradosso
perpendicolare ad uno dei lati veniva assunta a tutto sesto, allora ab è la
linea secondo cui venivano costruite le centine posizionate al centro del
fuso, mentre AV è quella per le centine di spigolo19. Per completare
l’orditura venivano sovente realizzate anche delle costole parallele alle
prime centine e infine venivano posizionate delle tavole di legno destinate
a formare il manto sul quale poi venivano collocati i filari di mattoni20. Le
centine venivano tagliate secondo una linea verticale passante per la
chiave della volta e dovevano perciò essere sostenute in questo punto,
veniva quindi posizionato un monaco fissato mediante un’incavatura alle
centine21 (fig. 16).

216
LE VOLTE A PADIGLIONE

Fig. 15. Curve utilizzate per la realizzazione delle centine per una volta a
padiglione su pianta quadrata. (Levi C., 1932, 300)

Fig. 16. Schema di carpenteria fissa per l’armatura di una volta a padiglione. (De
Cesaris F., 1996, 86, da Misuraca et al., 1916)

217
CAPITOLO 4

Terminata la messa in opera delle centine si procedeva con la


costruzione vera e propria della volta.
Per quanto riguarda i materiali impiegati per la realizzazione delle volte
a padiglione, è necessario ricordare che non sono rari gli esempi realizzati
in pietra concia. Il loro impiego però era limitato alle opere di maggiore
importanza a causa degli elevati costi e dei problemi legati alla
lavorazione e alla preparazione dei singoli conci, i quali, come si può
osservare nella tavola in figura 17, richiedevano accurate operazioni di
squadratura e taglio.
Il materiale con cui comunemente venivano realizzate le volte era il
laterizio, che, grazie alla sua leggerezza, maneggevolezza ed
economicità, si prestava ad essere impiegato anche in strutture articolate
quali le volte a padiglione.

Fig. 17. Volta a padiglione su pianta quadrata e ottagonale, con rappresentazione


prospettica dei conci per la chiave e gli spigoli. ( Rondelet J. B.,1831, tav. XVIII)

218
LE VOLTE A PADIGLIONE

Dal punto di vista costruttivo, la disposizione del materiale per


ognuno dei fusi era identica a quella per le volte a botte, di cui i fusi stessi
sono parte. Gli spigoli, nelle volte a padiglione, erano realizzati
contemporaneamente e con lo stesso materiale dei fusi, tuttavia, essendo
il punto debole della struttura, veniva spesso preferita una disposizione
con filari perpendicolari alle diagonali, in grado di creare un maggiore
collegamento in queste zone (fig. 18). Tra i vari apparecchi utilizzati si
riscontra spesso quello a corsi longitudinali (fig. 19), in cui gli archi
diagonali presentano soltanto una indentatura ed è proprio lungo tali archi
diagonali che sovente si manifestano le maggiori lesioni, dovute alla
spinta delle botti tra loro ortogonali.
Talvolta era utilizzato l’apparecchio a spinapesce anche se, per le
complicazioni costruttive e la necessità di tagliare i mattoni d’angolo,
questa soluzione non veniva preferita.
Per non caricare oltre al necessario i muri, le volte a padiglione,
comunemente utilizzate per coprire i locali ai piani superiori, venivano
eseguite nello spessore sottile, in foglio o di piatto, e quindi gettate. Per
cui, dopo i primi corsi disposti nello spessore di una testa lungo il
perimetro, i mattoni venivano disposti in foglio e posati a secco sopra
l’aggraziatura22.

Fig. 18. Schema dell’apparecchiatura Fig. 19. Schema dell’apparecchiatura a


a filari perpendicolari alle diagonali filari longitudinali impiegata per le volte
impiegata per le volte a padiglione. a padiglione.

219
CAPITOLO 4

Per la realizzazione delle volte a botte con teste di padiglione, invece,


venivano disposti alcuni filari paralleli alle imposte lungo i quattro lati del
perimetro, fino a circa un terzo della freccia. Successivamente, in
corrispondenza degli angoli, si realizzavano dei filari diagonali che si
incontravano lungo i lati minori e poi, nella parte centrale, si procedeva
con la realizzazione della volta a botte vera e propria23, con archi
trasversali disposti come illustrato in figura 20.
Per le volte a specchio o a schifo venivano impiegati principalmente
filari longitudinali per le porzioni di volta a botte e filari disposti a 45° per lo
specchio centrale. Spesso venivano collocati negli angoli dei conci di
pietra opportunamente sagomati su cui poggiava lo specchio, con il fine di
irrigidire la struttura24 (fig. 21).

Fig. 20. Schema dell’apparecchiatura Fig. 21. Schema delle apparecchiature


generalmente usata per le volte a impiegate per le volte a specchio.
botte con teste di padiglione.

220
LE VOLTE A PADIGLIONE

In alternativa a questa apparecchiatura, potevano essere impiegati


filari disposti a 45°, o a spinapesce, per l’intera volta.
Ultimata la posa, si procedeva immediatamente alla colata (gettata)
con malta di gesso e sabbia oppure con malta di calce a seconda dei
casi. Per questo lavoro i muratori preparavano al di sopra della volta
un’impalcatura indipendente, leggera e posante sui muri, in modo tale da
non gravare sulla volta, non ancora in grado di funzionare.
Terminata la colata, se questa era in gesso, per evitare che si
rapprendesse, venivano allentati i cunei per far scendere di qualche
centimetro tutta l’impalcatura portante: questo consentiva la circolazione
dell’aria sulla superficie inferiore della volta in modo tale che la presa del
gesso potesse procedere regolarmente.

4.4. Patologie strutturali delle volte a padiglione

L’individuazione delle principali patologie strutturali delle coperture


voltate costituisce un fattore indispensabile per lo studio dei meccanismi
di collasso, in quanto solo la conoscenza dei reali dissesti che si possono
manifestare in una volta consente di formulare teorie mirate e di scegliere
la tipologia di intervento più efficace.
Nelle volte a padiglione, come in tutte le coperture voltate, i dissesti
sono spesso causati dalla spinta all’imposta che, se eccessiva, può
portare allo spostamento relativo delle murature perimetrali.
Per la stabilità della struttura infatti, è importante che le spinte che la
volta esercita sui muri d’ambito, combinate con i carichi verticali, non
siano tali da imprimere sforzi di trazione sui piedritti stessi.
Se questa condizione non viene soddisfatta, la formazione di lesioni
alla base dei piedritti e la rotazione degli stessi possono causare un
abbassamento in chiave della volta, con la conseguente variazione nella
forma della struttura originale e la formazione di cerniere in chiave e alle

221
CAPITOLO 4

reni. Le fessure tendono a seguire le generatrici e si presentano, in


chiave, aperte verso l’intradosso, alle reni aperte verso l’estradosso, come
indicato nello schema in figura 22.
La stessa situazione si può ricreare in seguito al cedimento dei
presidi inseriti per contenere le spinte, come per esempio in seguito alla
rottura delle catene, come si può osservare in figura 23.
Anche la variazione dei carichi a cui volte o piedritti erano
originariamente sottoposti, derivanti da eccessivi sovraccarichi accidentali
conseguenti alla variazione di destinazione d’uso dei locali, potrebbe
compromettere la stabilità della struttura, contribuendo ad incrementare la
spinta e a creare cedimenti all’imposta.

Fig. 22. Meccanismo di collasso causato dall’allontanamento delle imposte.


(Cangi G., 2005, 126)

222
LE VOLTE A PADIGLIONE

Fig. 23. Rottura delle catene lignee in una volta a padiglione di palazzo
Vertemate Franchi (So). L’eccessiva spinta all’imposta ha portato alla rottura dei
presidi strutturali e al conseguente allontanamento delle imposte.

Fig. 24. Volta a padiglione di una sala del palazzo Martinengo delle Palle a
Brescia: lungo le diagonali si possono notare evidenti lesioni che, partendo
dall’imposta, si sviluppano fino a circa metà altezza della volta.

223
CAPITOLO 4

La volta a padiglione, a differenza di altre volte, oltre ai problemi


legati alla spinta all’imposta, è spesso interessata da cospicue lesioni
lungo le diagonali (fig. 24).
Le fessure lungo le diagonali vengono generalmente viste come una
conseguenza del cedimento dei muri d’imposta causato dall’eccessiva
spinta orizzontale della volta. In realtà, come verrà dimostrato nei capitoli
seguenti, le lesioni lungo le diagonali sono indipendenti dal cedimento dei
muri d’ambito in quanto generate dagli sforzi di trazione perpendicolare
alle diagonali stesse che si vengono a creare nel piano del fuso. La figura
25 mostra in maniera molto schematica il reale stato di sforzo lungo le
diagonali delle volte a padiglione e il conseguente quadro fessurativo.
Il semplice contenimento delle spinte all’imposta, quindi, non può
risolvere il problema legato alla fessurazione delle diagonali. Questo
aspetto, solitamente trascurato, risulta di fondamentale importanza in
vista di un intervento di consolidamento e la valutazione delle azioni
necessarie per ripristinare l’equilibrio presuppone la conoscenza completa
dei meccanismi che si generano all’interno di queste strutture voltate.

Fig. 25. Stato di sforzo lungo le diagonali e corrispondente quadro fessurativo.

224
LE VOLTE A PADIGLIONE

Infine, le volte a padiglione, come tutte le volte in muratura, possono


essere interessate da dissesti legati alla fatiscenza dei materiali impiegati.
In particolare, ciò che più può influire sulla stabilità delle strutture in
muratura, è il deterioramento della malta di allettamento che, a causa
dell’azione disgregatrice del tempo (umidità, gelo-disgelo, azioni
chimiche), può subire una riduzione delle proprietà meccaniche. Quindi,
specialmente per murature storiche, in cui la qualità del contatto sulla
superficie può essere deteriorato, la capacità di resistenza a trazione può
essere molto modesta, in alcuni casi addirittura nulla, e il coefficiente di
attrito tra i conci può risultare enormemente ridotto rispetto ad una
muratura integra.

4.5. Stato dell’arte sugli studi del comportamento strutturale delle


volte a padiglione

Nonostante la grande diffusione delle volte a padiglione in muratura,


gli studi scientifici su questo tipo di copertura voltata sono rari e spesso
descrittivi. Le sintetiche trattazioni riportate nei testi e nei manuali di
Ingegneria, infatti, rifacendosi a reminescenze ottocentesche, si limitano
spesso a fornire indicazioni sull’andamento della spinta all’imposta che,
erroneamente, è ritenuta triangolare.
Solo tre sono i recenti contributi scientifici allo studio di queste volte.
Il primo (Fraternali, 2003), presenta una formulazione numerica del
problema di equilibrio delle volte murarie modellate come solidi elastici
non reagenti a trazione e con comportamento membranale, secondo un
approccio alla Pucher. In pratica viene proposta una formulazione che,
per via iterativa, ricerca una superficie resistente contenuta nella struttura
muraria, in grado di garantire il rispetto delle equazioni di equilibrio ed il
vincolo di non resistenza a trazione del materiale.

225
CAPITOLO 4

Questo approccio consente di descrivere il regime di sforzi di


membrana nelle volte a padiglione, attraverso un reticolo spaziale di sforzi
concentrati.
Questo interessante studio risulta tuttavia estremamente complesso
e applicabile solamente con l’ausilio di programmi di calcolo numerici. È
necessario inoltre sottolineare che questa formulazione variazionale
consente di ottenere una soluzione finale solo assumendo un valore
iniziale della spinta (ricavata nell’articolo attraverso una prova
sperimentale) da assegnare alla funzione delle tensioni nelle simulazioni
numeriche. È evidente quindi che una simile procedura di calcolo risulta
difficilmente applicabile in casi reali, sia per la complessità, sia per la
necessità di assegnare a priori la componente orizzontale degli sforzi,
che, al contrario, in vista di interventi di recupero, dovrebbe essere una
delle incognite principali del problema.
Un altro studio sulle volte a padiglione, proposto da Portioli F.,
Foraboschi P. e Landolfo R. (2003), si è invece concentrato su uno studio
sperimentale e numerico al fine di valutare l’efficacia dei rinforzi in FRP
posizionati lungo le diagonali e le generatrici dei fusi.
In questo contributo vengono mostrati i risultati di prove sperimentali
eseguite su una volta in muratura con e senza rinforzi in materiale
composito fibro-rinforzato, poggiante su un anello in cemento armato e
pilastri d’angolo, che viene portata a rottura con un carico concentrato
posto al vertice (fig. 26-27).

Fig. 26. Modello sperimentale Fig. 27. Vista dell’intradosso della volta
studiato da Portioli F. et al. (2003). analizzata da Portioli F. et al. (2003),
con il particolare del tirante per
l’applicazione dei carichi applicati in
chiave.

226
LE VOLTE A PADIGLIONE

Attraverso queste prove viene individuato un meccanismo di collasso


chiamato dagli stessi autori a “spanciamento”, in cui la struttura risulta
lesionata al centro del fuso. È importante però notare come i meccanismi
di collasso individuati attraverso queste prove siano stati ottenuti con
particolari condizioni di carico (carico concentrato in chiave), differenti
rispetto a quelli a cui è generalmente sottoposta la volta. I risultati ottenuti
potrebbero quindi discostarsi da quelli che realmente caratterizzano le
volte a padiglione di edifici storici.
Il terzo contributo allo studio delle volte a padiglione è stato
sviluppato da Arenghi A., Giuriani E., Giustina I., Tomaselli S. e Tomasoni
E., nel 200225. In questo lavoro viene indagato il comportamento
strutturale delle volte a padiglione, con l’obiettivo di approntare un
semplice modello di calcolo in vista di un eventuale intervento di
consolidamento. Nella prima parte del lavoro vengono presentati i risultati
di analisi ad elementi finiti eseguite in campo elastico lineare su volte a
padiglione su base quadrata, supponendo il materiale isotropo e
idealmente resistente a trazione. Queste analisi hanno permesso di
effettuare un primo approccio ad un tipo di volta ancora così poco
conosciuta e di individuare i punti più deboli della struttura che, come già
detto, sono localizzati lungo le diagonali.
Sulla base dei risultati ottenuti, viene poi sviluppato dagli stessi autori
un modello di calcolo semplificato, basato sullo schema ad archi, ma
modificato per poter ricavare gli sforzi di trazione lungo le diagonali.
Questo studio si fonda essenzialmente sull’ipotesi che all’interno
della volta si sviluppi un regime di sforzi membranale e che il regime
flessionale sia secondario e necessario solo per la congruenza.
Questa semplificazione, nonostante possa apparire un po’ azzardata,
in realtà fornisce buoni risultati per volte ribassate, in cui la fessurazione
lungo la diagonale e lungo i meridiani si sviluppa solo per un breve tratto
in prossimità dell’imposta, come verrà meglio mostrato in seguito. Sulla
base dei risultati ottenuti da questo studio, condotto dalla stessa autrice e
dal prof. Giuriani E., è stato sviluppato il presente lavoro, nel quale, come

227
CAPITOLO 4

verrà meglio chiarito in seguito, dopo un approfondita indagine sul reale


stato di sollecitazione a cui sono soggette le volte a padiglione, verranno
riproposti gli schemi semplificati al fine di fornire utili strumenti per
eventuali interventi di consolidamento.
Come già detto, a parte questi pochi contributi, non sono stati
rinvenuti studi specifici sulle volte a padiglione e le informazioni sul
comportamento strutturale di questo tipo di copertura vengono ottenute
mediante l’applicazione di semplici schematizzazioni ad archi affiancati
non interagenti, con le quali vengono solitamente analizzati gli altri tipi di
volte.
La valutazione degli effetti tridimensionali all’interno delle volte in
muratura risulta piuttosto complessa e, per questo motivo, l’analisi dei
meccanismi statici che si generano al loro interno viene spesso eseguita
attraverso schematizzazioni che non tengono in considerazione le azioni
cerchianti parallele all’imposta.
Nelle volte si generano infatti delle tensioni che, a causa della limitata
resistenza a trazione della muratura, portano alla formazione di lesioni. Le
teorie che trascurano gli sforzi lungo le generatrici si pongono quindi in
una situazione limite in cui la volta si suppone interamente fessurata e
divisa in spicchi o in archi non collaboranti. Una simile schematizzazione,
pur non descrivendo in maniera rigorosa il reale comportamento delle
volte, per numerose tipologie di coperture voltate (per esempio per le
volte a botte e per le cupole), consente comunque di identificare i
principali meccanismi che si generano al loro interno e di valutare, a
favore di sicurezza, le azioni lungo i meridiani e le spinte all’imposta.
Sfruttando quindi le teorie sviluppate per gli archi, numerosi testi26
ripropongono uno schema ad archi affiancati anche per le volte a
padiglione.
In questo modo i fusi vengono suddivisi in tronchi di archi e,
attraverso l’individuazione della curva delle pressioni, si ottengono le
spinte esercitate dalla volta sui muri perimetrali. Come indicato in figura
28, la spinta all’imposta ricavata attraverso l’applicazione dello schema ad
archi affiancati non collaboranti ha andamento parabolico o triangolare.

228
LE VOLTE A PADIGLIONE

Fig. 28. Diagramma delle spinte verticali esercitate sulla volta a padiglione
ottenuto con il metodo di Mery e riproposto da numerosi autori. (Defez A.,1991,
135)

Fig. 29. Localizzazione delle fessure nelle volte a padiglione. (Cigni G., 1978,
225)

Attraverso questa schematizzazione, non vengono evidenziate le


cause delle lesioni lungo la diagonale, che sono perciò attribuite ai
cedimenti che si possono verificare all’imposta. Alcuni autori (Cigni G,
1978) affermano infatti che nelle volte a padiglione le spinte sui quattro
muri d’imposta tendono a far divaricare i muri stessi, facendo accumulare
le sollecitazioni di trazione lungo gli spigoli di intersezione fra i muri di

229
CAPITOLO 4

piedritto. Tali sollecitazioni, che sono massime dove è massima la


deformazione, cioè a livello dell’imposta, provocano in quel punto l’iniziale
rottura che tende poi a propagarsi, verticalmente, lungo tutta l’intersezione
fra i muri d’ambito27 (fig. 29).
Questa semplificazione è stata poi ripresa, senza nemmeno mettere
in discussione il limite di validità dei risultati ottenuti, anche in lavori più
recenti28, in cui, nelle poche righe dedicate alle volte a padiglione, viene
semplicemente ribadito che la spinta all’imposta ha andamento parabolico
e che un adeguato contenimento della spinta potrebbe eliminare
l’insorgere di fessure lungo le diagonali.
In realtà, il semplice schema ad archi esclude, innanzitutto, la
possibilità di stabilire le cause delle lesioni lungo le diagonali e, inoltre,
non consente di cogliere il reale comportamento globale delle volte a
padiglione che, proprio per la loro geometria e la presenza di una cuspide
in corrispondenza delle diagonali, risulta più complesso rispetto ad altri tipi
di volte.
Come verrà ampiamente discusso nei paragrafi successivi, infatti, la
spinta orizzontale nelle volte a padiglione non è parabolica o triangolare,
ma risulta all’incirca costante lungo l’imposta e le fessure lungo le
diagonali non sono generate dai cedimenti dei muri perimetrali, ma sono
una conseguenza dello stato di sollecitazione che si viene a creare nei
fusi.
Appare quindi evidente che lo schema ad archi affiancati, seppur
semplice e ormai diventato di uso comune, se applicato alle volte a
padiglione, fornisce una soluzione che si discosta enormemente dal
comportamento reale della struttura e che, soprattutto, non consente di
cogliere gli effetti tridimensionali, così importanti per questo tipo di volta. I
risultati ottenuti, infatti, non sono in grado di restituire informazioni corrette
sull’entità della spinta e sulle cause delle lesioni lungo le diagonali, fattori
indispensabili per un intervento di consolidamento.
Per tenere in considerazione l’interazione tra gli archi e per una
maggiore comprensione del comportamento strutturale delle volte a
padiglione, alcune brevi trattazioni sul comportamento delle volte a
padiglione si sono basate sulla teoria membranale (Heyman, 1966,

230
LE VOLTE A PADIGLIONE

Flügge, 1975). Questa teoria si fonda sull’ipotesi che la volta si comporti


come una membrana infinitamente estesa nella direzione delle direttrici e
che gli elementi che la costituiscono siano soggetti solo a sforzi nel piano.
Tali ipotesi presuppongono che nella struttura non siano presenti azioni
flettenti. Questo ovviamente non corrisponde alla realtà, ma può fornire
risultati molto vicini al comportamento reale se si considera che, in seguito
alla fessurazione, il regime flessionale viene abbattuto e il regime di
sforzo prevalente risulta di tipo membranale.
Applicando la teoria membranale alle volte a padiglione si osserva
che le la spinta risultante è costante lungo l’imposta e che sono presenti
sforzi di trazione perpendicolari alla diagonale in prossimità della
diagonale stessa. Attraverso l’applicazione delle teoria membranale,
inoltre, è possibile valutare gli sforzi di trazione che si generano nella
direzione dei paralleli e che, approssimativamente, possono essere visti
come le coazioni che, in seguito alla fessurazione, sarebbero necessarie
per ripristinare il comportamento a membrana.
Tutte le schematizzazioni e le teorie finora proposte si sono tuttavia
mostrate poco esaustive. Anche la teoria membranale, infatti, seppur più
realistica rispetto allo schema ad archi per le volte a padiglione, presenta
alcune limitazioni, legate soprattutto alle ipotesi iniziali. Vista quindi la
necessità di uno studio approfondito e rigoroso sulle volte a padiglione,
nei capitoli successivi verrà eseguita una trattazione completa sul
comportamento strutturale di queste volte. Partendo da uno studio ad
elementi finiti in campo non lineare, indispensabile per indirizzare e
verificare i modelli proposti successivamente, verrà applicata alle volte a
padiglione la teoria esposta nel terzo capitolo di questo lavoro.
L’applicazione di questa teoria, basata sull’analisi limite, consente,
attraverso una semplice procedura di calcolo a computer, di effettuare
un’analisi del reale stato di sforzo nelle volte a padiglione in muratura e
permette di effettuare utili considerazioni sui meccanismi che si generano
nella struttura. Solo alla luce delle conoscenze ottenute verranno prese
nuovamente in considerazioni le teorie semplificate, tra cui anche la teoria
membranale, al fine di stabilirne il campo di validità e proporre nuove e
corrette equazioni per la pratica di cantiere.

231
CAPITOLO 4

4.6. Modelli ad elementi finiti: analisi non lineari

Come già ampiamente mostrato, la letteratura scientifica stenta a


proporre validi modelli che permettano di simulare il comportamento
statico delle volte a padiglione; questo è probabilmente dovuto alle
evidenti difficoltà nella comprensione dei meccanismi che si generano al
loro interno.
Per individuare e analizzare il reale stato di sollecitazione all’interno
delle volte a padiglione e per orientare e verificare la validità delle teorie
proposte nei paragrafi successivi, viene di seguito presentato uno studio
ad elementi finiti in campo non lineare, sviluppato presso l’University of
Bath sotto la supervisione del tutor esterno prof. Dina D’Ayala, in cui la
volta viene assimilata ad un sistema discreto di elementi.
Le analisi sono state eseguite con il programma di calcolo agli
Elementi Finiti Algor e sono state svolte analisi di tipo “MES with nonlinear
material models”.

4.6.1. Presentazione dei modelli

Utilizzando il programma di calcolo agli elementi finiti Algor, si è


scelto di modellare una volta a padiglione su base quadrata con luce pari
a 6m. La volta modellata presenta una direttrice con profilo semicircolare
(il più diffuso secondo i trattati di architettura) e una freccia pari a 3m. È
bene precisare che numerose volte utilizzate nell’edilizia storica possono
presentare frecce minori, tuttavia in questa prima fase si è preferito
studiare una volta a tutto sesto per valutare anche eventuali meccanismi
nella zona delle reni; nei capitoli successivi verrà poi eseguita un’analisi
parametrica sul comportamento della volta a padiglione in relazione al
rapporto freccia-luce.
Le volte a padiglione, nel passato, erano frequentemente realizzate
in muratura di mattoni con spessore di una testa, pertanto si è assunto
uno spessore di 0,12 m, peso specifico γ=1850 kg/m3, modulo elastico

232
LE VOLTE A PADIGLIONE

E=5E+9 N/ m2 e modulo di Poisson ν=0,15. Si è inoltre considerata una


volta soggetta al solo peso proprio.
La muratura, come ben noto, è un materiale caratterizzato da
comportamento non lineare e anisotropo, con resistenza a trazione molto
inferiore rispetto a quella a compressione. La muratura è quindi un
materiale difficilmente modellabile proprio perchè costituito da elementi
rigidi collegati tra loro da giunti di malta che presentano comportamento
plastico e resistenza a trazione pressoché nulla.
Per creare quindi un modello in grado di simulare il reale
comportamento della muratura, sono stati inseriti, lungo i meridiani della
volta, elementi di contatto attivi solo a compressione, caratterizzati da una
resistenza a trazione nulla. È stato quindi ottenuto un modello discreto ad
elementi finiti (DFEM) in cui gli archi che idealmente costituiscono la volta
sono in grado di trasferire sforzi di compressione e taglio a quelli a fianco,
ma non sforzi di trazione.
Per creare il modello finale ad elementi discreti si è proceduto per
passi successivi eseguendo inizialmente una macromodellazione della
volta costituita da soli elementi shell, in particolare sono stati impiegati
elementi shell a 4 nodi per l’intera struttura e a 3 nodi lungo le diagonali.
L’analisi elastico-lineare preliminare eseguita sul modello uniforme ha
consentito di individuare le prime zone interessate da sforzi di trazione.
Plausibilmente si può ritenere che in tali zone si verifichino le prime
lesioni: è quindi stato messo a punto un secondo modello inserendo nelle
zone soggette a trazione dei contact elements. Questi elementi sono
definiti attraverso l’assegnazione dell’area di contatto, della lunghezza di
contatto e del modulo elastico; se durante l’analisi l’elemento risulta più
lungo rispetto alla sua lunghezza di contatto, allora il modulo elastico
viene assunto pari a zero, consentendo di fatto l’apertura di lesioni.
L’inserimento di tali elementi porta ad una ridistribuzione degli sforzi
e perciò, attraverso una procedura iterativa, sono stati inseriti gli elementi
di contatto in tutte le zone sollecitate da sforzi di trazione.
Partendo dalle diagonali della volta, si è proceduto all’inserimento
degli elementi di contatto nella parte centrale del fuso; questo

233
CAPITOLO 4

procedimento ha consentito di ridurre al minimo i gradi di libertà della


struttura e ha favorito la convergenza delle analisi.
Grazie all’inserimento degli elementi di contatto nella struttura, è
stato possibile annullare completamente le trazioni lungo i paralleli della
volta e individuare le zone interessate da lesioni passanti, ricreando la
situazione reale che si genera in una volta a padiglione.
Anche dopo la formazione di fessure lungo i meridiani, la muratura è
ancora in grado di trasferire sforzi di taglio grazie all’ingranamento tra i
conci che risultano sfalsati (fig. 30). Per garantire quindi la possibilità di
trasferire tali azioni, sono stati posizionati elementi di contatto disposti
diagonalmente, i quali impediscono i movimenti nella direzione parallela ai
meridiani (fig. 31), in questo modo i giunti possono aprirsi, pur offrendo
ancora resistenza a taglio.
Nella figura 32 si può osservare il modello realizzato con l’indicazione
delle zone in cui sono stati inseriti gli elementi di contatto.

Fig. 30. Particolare di una muratura fessurata, in cui gli sforzi di taglio vengono
trasferiti per ingranamento tra i conci sfalsati.

234
LE VOLTE A PADIGLIONE

Fig. 31. Particolare dei contact elements posti fra due elementi shell: gli elementi
disposti diagonalmente hanno la funzione di trasferire gli sforzi di taglio.

Fig. 32. Modello della volta a Fig. 33. Modello della volta a
padiglione analizzata. padiglione, con evidenziate le zone in
cui sono stati inseriti i contact
elements.

Per quanto riguarda le proprietà assegnate agli elementi di tipo shell,


che rappresentano la muratura integra composta da blocchi e giunti di
malta, è stato assunto, come già detto, peso specifico γ=1850 kg/m3,
modulo elastico E=5E+9 N/m2 e modulo di Poisson ν=0,15 ed è stato
utilizzato un modello di materiale del tipo “Von Mises curve with isotropic
hardening” implementato in Algor: assegnando il legame costitutivo per il
materiale, il programma è in grado di determinare gli sforzi nella struttura.
Per evitare problemi di convergenza e visto che nelle strutture in
muratura difficilmente viene raggiunta la resistenza ultima a compressione
del materiale, è stato adottato un legame costitutivo semplificato,
rappresentato in figura 34.

235
CAPITOLO 4

σc
[MPa]

2,0

1,5

0,3E-3 2,0E-3
εc
Fig. 34. Legame sforzo-deformazione adottato.

Per simulare correttamente il comportamento della volta a padiglione


si è provveduto a schematizzare la presenza dei muri perimetrali su cui la
struttura scarica tutti gli sforzi. Sono perciò stati realizzati 3 modelli:
- modello con vincoli rigidi: in questo modello sono state impedite le
traslazioni lungo x, y e z, mentre sono state lasciate libere le rotazioni;
- modello con muro perimetrale con spessore pari a 50 cm;
- modello con muro perimetrale con spessore pari a 70 cm.

4.6.2. Valutazione degli sforzi e delle spinte all’imposta

Per semplificare la lettura degli sforzi, la volta è stata suddivisa in


paralleli e meridiani e, per ogni singolo elemento, è stato adottato un
sistema di riferimento intrinseco, come mostrato in figura 35.
È necessario precisare che la mesh è stata creata lasciando costante
la dimensione l dell’elemento (fig. 35), in modo da avere un’adeguata
accuratezza nei risultati anche in prossimità dell’imposta. La posizione di
ogni parallelo è stata identificata suddividendo la generatrice in 25 parti e
andando quindi a definire un angolo costante tra i paralleli. La scansione
dei meridiani è una conseguenza di tale assunzione iniziale.

236
LE VOLTE A PADIGLIONE

Per ogni elemento è stato possibile ricavare le σm, ossia gli sforzi che
agiscono nella direzione dei meridiani, le σp, ossia gli sforzi che agiscono
nella direzione dei paralleli, e gli sforzi di taglio τmp , τzp e τmz indicate in
figura 36.
Il programma fornisce i valori degli sforzi σ e τ al top e al bottom
dell’elemento, ossia all’estradosso e all’intradosso della volta, ciò significa
che è possibile ricavare gli sforzi membranali e la relativa eccentricità e, di
conseguenza, anche il momento agente. Come indicato infatti in figura 37,
la σ membranale vale:

σ + σC 
σ memb =  A  (1)
 2 

mentre l’eccentricità vale:

s σ −σC  (2)
e= ⋅  A 

3 σ A +σC 

dove σA e σC sono rispettivamente i valori al top e al bottom dell’elemento,


mentre s è lo spessore della volta (s=0,12m).

Fig. 35. Suddivisione della volta in meridiani e paralleli e sistema di riferimento


intrinseco adottato per gli elementi.

237
CAPITOLO 4

Fig. 36. Particolare di un elemento della volta con evidenziate tutte le azioni
agenti su di esso.

σA A B A B

σC C D C D

σmemb = (σA + σC)/2


Fig. 37. Schema di un elemento con indicate le azioni fornite dal programma: le σA
rappresentano gli sforzi all’estradosso della volta e le σC gli sforzi all’intradosso
della volta.

Di seguito viene riportato in maniera sintetica l’andamento degli sforzi


più significativi per la volta vincolata con vincoli rigidi, mentre verranno
mostrati il quadro fessurativo e la spinta all’imposta per tutti i modelli. Si è

238
LE VOLTE A PADIGLIONE

infatti osservato che l’andamento degli sforzi per i tre modelli con vincoli di
rigidezza differente risulta pressoché identico.
Nell’appendice A sono riportati i diagrammi di tutti gli sforzi agenti in
forma estesa.

4.6.2.1. Sforzi meridiani σm

I grafici riportati di seguito mostrano l’andamento degli sforzi


meridiani σm lungo i meridiani, che come si può osservare, risultano
giustamente di compressione in ogni punto della volta.
Lungo il meridiano centrale (fig. 38), gli sforzi σm presentano un
andamento leggermente decrescente fino ad una coordinata orizzontale
pari a 1,7 m, superata la quale tornano a crescere fino ad un valore
massimo di circa 0,55 kg/cm2. La variazione di tendenza che si può
individuare nel grafico è dovuta probabilmente alla presenza di lesioni
nella volta, infatti è proprio a partire da una x pari a 1,7 m che, lungo il
meridiano centrale, si sono manifestate trazioni e perciò sono stati inseriti
gli elementi di contatto.
Anche per il grafico lungo il meridiano 5 (fig. 39), distante 0,93m da
quello centrale, si può osservare un analogo andamento degli sforzi σm.
Anche in questo caso l’aumento degli sforzi a partire da una x pari a 1,7m
è da imputare all’apertura di lesioni nella volta e alla variazione del
comportamento a guscio della struttura.
Infine, per quanto riguarda gli sforzi σm lungo i meridiani 10, 15 e 20
(figg. 40, 41 e 42), distanti rispettivamente 1,76 m, 2,43 m e 2,85 m dal
meridiano centrale, si può notare che tutti gli sforzi sono crescenti per
l’intero sviluppo del meridiano. Questo è dovuto al fatto che, come si
vedrà meglio in seguito, nella zona in prossimità dell’imposta, le lesioni,
presenti principalmente lungo la diagonale, non consentono il
trasferimento delle azioni cerchianti lungo i paralleli.

239
CAPITOLO 4

σ m lungo il meridiano 0

0,7

0,6
x
0,5
σm [kg/cmq]

0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m ]

Fig. 38. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano centrale.

σ m lungo il meridiano 5

0,7

0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]

0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 39. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 5, distante 0,93 m
da quello centrale.

240
LE VOLTE A PADIGLIONE

σ m lungo il meridiano 10

0,7

0,6
x
0,5

σ m [kg/cmq]
0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 40. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 10, distante 1,76m
da quello centrale.

σ m lungo il meridiano 15

0,7

0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]

0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 41. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 15, distante 2,43m
da quello centrale.

241
CAPITOLO 4

σ m lungo il meridiano 20

0,7

0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]

0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 42. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 20, distante 2,85m
da quello centrale.

Le azioni σm non agiscono lungo la linea media degli archi in cui


idealmente può essere scomposta la struttura, ma presentano un
eccentricità che porta alla formazione di uno stato flessionale all’interno
della volta.
Di seguito viene riportata la posizione della funicolare del carico per il
meridiano centrale, che risulta quello maggiormente sollecitato a
flessione. Come si può notare, l’eccentricità, calcolata come il rapporto fra
il momento flettente e l’azione assiale membranale, è in ogni punto
inferiore a s/2, tranne che nel punto in corrispondenza dell’imposta dove,
nelle volte in muratura, è sempre presente il rinfianco che, di fatto, rende
lo spessore della volta maggiore. Indicando con θ l’angolo tra la verticale
e la perpendicolare alla superficie media della volta, la funicolare del
carico si avvicina all’estradosso della volta per θ pari a 32° e
all’intradosso per θ pari a 65°.

242
LE VOLTE A PADIGLIONE

32°

65
°

3,00 m

Fig. 43. Andamento della funicolare del carico per il meridiano centrale.

4.6.2.2. Sforzi paralleli σp

I grafici riportati di seguito mostrano l’andamento degli sforzi paralleli


σp lungo i meridiani. Come si può notare dal grafico in figura 44, le σp
rimangono all’incirca costanti lungo l’imposta, con valori molto modesti, di
circa 0,1 kg/cm2. Lungo i paralleli nella fascia inferiore della volta, invece,
le σp presentano valori quasi nulli (fig. 45 e 46); ciò significa che in questa
zona l’apertura di fessure lungo le diagonali e al centro del fuso ha portato
ad una ridistribuzione degli sforzi all’interno della struttura e, di
conseguenza, ad una drastica riduzione delle azioni circonferenziali.
L’azione cerchiante torna attiva nella porzione superiore della volta (fig.

243
CAPITOLO 4

47 e 48), in cui non sono presenti lesioni lungo i meridiani e lungo le


diagonali.
Il grafico in figura 49 mostra chiaramente come variano le σp lungo il
meridiano centrale: fino ad un angolo θ di circa 40°, sulla volta agiscono
sforzi cerchianti σp, che, dopo un lieve incremento iniziale, decrescono
fino ad annullarsi in corrispondenza dell’11° parallelo. È proprio a partire
da questo punto, infatti, che gli elementi di contatto inseriti nella struttura,
sollecitati da sforzi di trazione, si sono staccati consentendo così
l’apertura di fessure.
Anche lungo il meridiano 5 (fig. 50), distante 0,93 m da quello
centrale, l’andamento, seppur meno accentuato, è molto simile: ad un
primo tratto decrescente, segue un tratto con valori prossimi a zero.
Lungo questo meridiano, tuttavia, gli elementi di contatto sono ancora
attivi, non sono presenti lesioni, ma le fessure presenti al centro del fuso e
lungo la diagonale estendono probabilmente il loro effetto anche nelle
zone attigue.

σ p lungo il parallelo 25

0,45

0,4

0,35

0,3
σ p [kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 44. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo l’imposta.

244
LE VOLTE A PADIGLIONE

σ p lungo il parallelo 20

0,45

0,4

0,35

0,3

σ p [kg/cmq] 0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 45. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo il parallelo 20.

σ p lungo il parallelo 15

0,45

0,4

0,35

0,3
σ p [kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 46. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo il parallelo 15.

245
CAPITOLO 4

σ p lungo il parallelo 10

0,45

0,4

0,35

0,3
σ p [kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 47. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo il parallelo 10.

σ p lungo il parallelo 5

0,45

0,4

0,35

0,3
σ p[kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 48. Andamento degli sforzi paralleli σp lungo il parallelo 5.

246
LE VOLTE A PADIGLIONE

σ p lungo il meridiano 0

0,45

0,4

0,35
x

0,3
σp [kg/cmq]
0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m ]

Fig. 49. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano centrale.

σ p lungo il meridiano 5

0,45

0,4

0,35
x

0,3
σ m [kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 50. Andamento degli sforzi meridiani σm lungo il meridiano 5, distante 0,93 m
da quello centrale.

247
CAPITOLO 4

4.6.2.3. Sforzi di taglio τmp

Gli sforzi di taglio τmp, per ovvie ragioni di simmetria, risultano nulli
lungo tutto il meridiano centrale e aumentano gradualmente lungo i
paralleli (fig.52): questo significa che gli archi con sviluppo minore
tendono a sorreggere quelli attigui, che risultano invece maggiormente
deformabili.

Fig. 51. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli
sforzi di taglio τmp.

τ m p lungo il parallelo 20

0,2

0,15

0,1
τ mp [kg/cmq]

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,05

-0,1

-0,15

-0,2

y [m]

Fig. 52. Andamento degli sforzi di taglio τmp lungo il parallelo 20.

248
LE VOLTE A PADIGLIONE

4.6.2.4. Sforzi di taglio τpn

I valori degli sforzi di taglio τpn risultano molto inferiori rispetto alle σ e
alle τmp (mediamente due ordini di grandezza in meno) e per tale motivo
potrebbero essere trascurati.

Fig. 53. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli
sforzi di taglio τnp.

4.6.2.5. Sforzi di taglio τmn

I valori degli sforzi di taglio τmn risultano, in media, un ordine di


grandezza inferiori rispetto alle σ. Le τmn rappresentano la componente
parallela all’interfaccia tra i conci della σ lungo la funicolare.
Poiché tali sforzi di taglio potrebbero causare scorrimento tra i conci,
soprattutto nel caso di malta degradata, nelle verifiche sulla struttura,
sarebbe opportuno valutare che tali sforzi non eccedano la resistenza a
scorrimento tra i conci.

249
CAPITOLO 4

Fig. 54. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli
sforzi di taglio τmp.

τ m n lungo il meridiano 0

0,2

0,15
x
0,1

0,05
τ mn [kg/cmq]

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-0,05

-0,1

-0,15

-0,2
x [m ]

Fig. 55. Andamento degli sforzi di taglio τmn lungo il meridiano centrale.

4.6.2.6. Spinta all’imposta

La spinta orizzontale all’imposta, causa principale dei dissesti nelle


strutture voltate, presenta un andamento lievemente decrescente
andando dal centro del fuso fino alle diagonali. Come mostrato nel grafico

250
LE VOLTE A PADIGLIONE

in figura 56 la spinta negli spigoli risulta circa 1/2, 1/3 e 1/5 di quella
massima, rispettivamente per una volta con vincoli rigidi, con muratura
perimetrale da 70 cm e con muratura perimetrale da 50 cm: ovviamente
maggiore è la rigidezza del vincolo all’imposta e maggiore è la spinta.
L’andamento della spinta all’imposta evidenzia l’interazione tra gli
archi che costituiscono la struttura, infatti tale spinta, pur decrescendo,
non si annulla negli spigoli e questo è da imputare probabilmente al
trasferimento di parte del carico dal centro del fuso verso le diagonali.
Bisogna tuttavia segnalare che la spinta all’imposta qui mostrata non
coincide con la reale spinta che la muratura esercita sui muri d’ambito, in
quanto quest’ultima, come verrà ampiamente illustrato in seguito, deve
essere valutata nel punto in cui l’eccentricità è massima.

Spinta orizzontale all'imposta


per untità di lunghezza
75

60
Spinta [kg/m]

45

vincoli rigidi
30
muro perimetrale di 70 cm
muro perimetrale di 50 cm

15

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m]

Fig. 56. Andamento della spinta all’imposta per il modello vincolato rigidamente,
vincolato con murature perimetrali aventi spessore di 70 cm e vincolato con
murature perimetrali aventi spessore di 50 cm.

251
CAPITOLO 4

4.6.2.7. Deformata e quadro fessurativo

Nella figura 57 è rappresentato il modello deformato, con un fattore


di scala di circa 105.
Come si può notare le lesioni interessano le diagonali lungo il tratto in
prossimità dell’imposta. Tali fessure, in accordo quanto emerso
dall’osservazione di strutture reali, sono generate da sforzi di trazione
perpendicolari alle diagonali stesse.
Dall’analisi degli sforzi negli elementi di contatto inseriti nel fuso,
emerge la presenza di una fessura lungo il meridiano centrale. Questa
fessura è imputabile alla grande flessione che si genera lungo i paralleli.

Fig. 57. Deformata della volta a padiglione impostata su vincoli rigidi (fattore di scala
circa 105).

252
LE VOLTE A PADIGLIONE

4.6.3 Interpretazione dei risultati delle analisi numeriche

Le analisi numeriche hanno consentito di mettere in evidenza alcuni


aspetti fondamentali relativi al comportamento strutturale delle volte a
padiglione.
Innanzitutto è emerso che le lesioni lungo le diagonali non sono
imputabili ai cedimenti dei muri perimetrali, come spesso viene indicato
nei manuali di restauro, ma sono generate dalle azioni che si sviluppano
perpendicolarmente alle diagonali stesse. Osservando infatti la deformata
in figura 57, si può notare che le fessure lungo le diagonali interessano
anche la volta modellata con vincoli rigidi, confermando l’ipotesi, già
accennata nei capitoli precedenti, che la formazione di tali lesioni è di fatto
indipendente dalla rigidezza dei vincoli. È tuttavia evidente che, nel caso
di vincoli cedevoli, il meccanismo di separazione dei fusi lungo le
diagonali risulta accentuato e le lesioni possono interessare anche i muri
d’ambito (fig. 58).

Fig. 58. Deformata della volta a padiglione impostata su vincoli rigidi (fattore di
scala circa 105).

253
CAPITOLO 4

Per quanto riguarda la spinta orizzontale all’imposta, si è potuto


osservare che questa risulta massima al centro del fuso e decresce
leggermente verso le diagonali, dove, nel casi di una volta vincolata
rigidamente, raggiunge valori pari a circa 1/2 della spinta massima. È
quindi evidente che anche negli spigoli della volta, nonostante gli archi in
tali zone abbiano uno sviluppo modesto, la volta esercita comunque
un’azione orizzontale importante lungo l’imposta. Questo fa supporre che
nella struttura parte del carico venga trasferito, grazie all’interazione fra gli
archi, anche verso le diagonali. L’entità di tale azione spingente varia
ovviamente in funzione della rigidezza dei vincoli, pur rimanendo invariato
l’andamento.
La schematizzazione ad archi affiancati non collaboranti, che fornisce
invece una spinta all’imposta triangolare, massima al centro e nulla in
corrispondenza degli spigoli, porta quindi a sottovalutare la spinta
orizzontale esercitata dalla volta.
Infine, la linea funicolare del carico per ogni meridiano è sempre
compresa all’interno della superficie della volta, questo significa che nella
struttura si generano dei momenti flettenti lungo i meridiani, ma che la loro
entità non è tale da causare il collasso della struttura. In particolare si è
potuto osservare che le cerniere si generano a 32° e a 65° dalla verticale.

4.7. Modello analitico

I risultati delle analisi agli elementi finiti presentati nel paragrafo


precedente hanno permesso di mettere a fuoco il comportamento delle
volte a padiglione. Lo studio effettuato, tuttavia, è risultato piuttosto
laborioso, sia per problemi di convergenza delle analisi, sia per la
necessità di creare un sistema di riferimento intrinseco per ogni elemento
appartenente alla volta, sia per le difficoltà legate all’interpretazione dei
risultati ottenuti. L’incompatibilità dei tempi necessari per le analisi
numeriche con quelli di interventi di recupero su coperture voltate ha fatto
emergere l’esigenza di modelli semplificati in grado di indirizzare le scelte

254
LE VOLTE A PADIGLIONE

progettuali. L’obiettivo del presente lavoro è quindi quello di creare, sulla


base delle acquisizioni fatte con le analisi numeriche, un modello analitico
che, pur mantenendo il rigore delle analisi ad elementi finiti, sia in grado di
fornire in maniera semplice e veloce un quadro completo del
comportamento strutturale della volta.
Applicando quindi la teoria presentata nel capitolo 3, viene
individuata all’interno della copertura voltata, attraverso una procedura a
computer, la superficie funicolare del carico. Dall’individuazione di tale
superficie è possibile ricavare lo stato di sforzo nella struttura e ricavare
gli elementi indispensabili ai fini di un intervento di recupero quali:
- il coefficiente di sicurezza della struttura, dato dal rapporto fra lo
spessore della volta e lo spessore minimo;
- le trazioni lungo i paralleli e l’individuazione del corrispondente
quadro fessurativo;
- gli sforzi nella direzione dei meridiani e l’eccentricità della
funicolare;
- l’entità del taglio τmn per la verifica allo scorrimento tra i conci;
- la spinta orizzontale all’imposta.

4.7.1.Descrizione del modello teorico basato sull’analisi limite

Il comportamento strutturale delle volte in muratura dipende dalle


proprietà del materiale, la teoria presentata si basa quindi sulle ipotesi
dell’analisi limite formulata da Heyman (1977) di resistenza a
compressione infinita e resistenza a trazione nulla della muratura. In
aggiunta viene assunta una limitata resistenza a scorrimento tra i conci in
quanto, specialmente per murature storiche e malta degradata, l’originale
coefficiente di attrito potrebbe risultare ridotto.
Per applicare la teoria membranale basata sull’analisi limite, la volta
viene modellata come un sistema di archi interagenti costituiti da blocchi
rigidi, in cui i giunti risultano inclinati verso il centro di curvatura.
Dall’osservazione e dall’analisi delle strutture storiche in muratura è infatti

255
CAPITOLO 4

emerso che, indipendentemente dal tipo di apparecchiatura, sia essa a


spinapesce, a filari paralleli all’imposta o a filari perpendicolari alle
diagonali, i conci vengono sempre inclinati in modo tale che i giunti siano
disposti radialmente. Poiché nelle volte in muratura il giunto tra i conci
rappresenta il punto debole del materiale, di seguito verranno determinati
gli sforzi all’interfaccia tra i blocchi.
Ovviamente la suddivisione in blocchi eseguita non può
rappresentare esattamente la distribuzione dei mattoni nella volta, per
questo si suppone che gli elementi delimitati da due paralleli e da due
meridiani rappresentino dei macroelementi di materiale omogeneo con
resistenza a compressione infinita, resistenza a trazione nulla e
resistenza a scorrimento all’interfaccia tra gli elementi definita dal criterio
di Coulomb.
In accordo con il modello delle analisi numeriche, la volta presenta
una direttrice semicircolare con raggio R, freccia f e luce l, come indicato
in figura 59, mentre la diagonale ha profilo ellittico, come è emerso
dall’analisi della trattatistica di architettura (Curioni, 1870; Breymann,
1885; Levi, 1932).
Supponendo di dividere la volta in n spicchi costituiti da m blocchi, è
possibile allora identificare la posizione di ogni blocco attraverso le
coordinate del proprio centro di massa. Con riferimento alla figura 60,
indicando αk l’angolo orizzontale tra l’asse x del sistema di riferimento
globale (X) e la proiezione orizzontale dell’asse x del sistema di
riferimento locale (x’), con θi l’angolo tra la verticale e la perpendicolare
alla generatrice, si può quindi scrivere:

x igeom = R ⋅ sen ϑ i (3)

z igeom = R ⋅ cos ϑ i (4)

y igeom = R ⋅ sen ϑ i tan α k (5)

per i 1 a m e =1 a n.

256
LE VOLTE A PADIGLIONE

La realazione che lega θi a θi, che rappresenta l’angolo tra la


verticale e la perpendicolare al centro dell’elemento considerato, è:

tan ϑ i = tan ϑ i ⋅ cos α k (6)

R z f
θi
θj

x
l
Fig. 59. Volta a padiglione schematizzata come una serie di spicchi costituiti da
blocchi rigidi (a sinistra) e caratteristiche geometriche della curva direttrice (a
destra).

Z z'

m=1 m=2 i θ
m=3 m=4
m=5
....
....

x'

θi
geom
Y zi

m
li
geom

αk n

xi
geom yi
geom
....
n=2
n=1
X

Fig. 60. Volta a padiglione schematizzata come una serie di spicchi costituiti da
blocchi rigidi con l’indicazione delle coordinate x, y e z per l’identificazione degli
elementi.

257
CAPITOLO 4

Se la volta fosse in grado di resistere a sforzi di trazione, la superficie


funicolare del carico coinciderebbe esattamente con la superficie media e,
applicando la teoria membranale classica, si potrebbe ottenere lo stato di
sforzo all’interno della struttura. Come è ben noto, però, la muratura ha
una limitata resistenza a trazione, tanto da essere ritenuta nulla, e quindi
le zone soggette a sforzi di trazione tendono a fessurarsi. L’apertura di
lesioni, localizzate solitamente in prossimità alla diagonale e al centro del
fuso, fa sì che all’interno della volta vengano a mancare le azioni
circonferenziali. L’assenza di azioni lungo i paralleli in grado di far
rientrare la curva delle pressioni implica che gli sforzi lungo i meridiani
non agiscano più lungo la linea media e che non siano più perpendicolari
alla superficie di interfaccia tra i conci.
È necessario precisare che, nonostante gli sforzi di trazione lungo i
paralleli si annullino, la volta non può essere schematizzata come una
serie di archi affiancati indipendenti, in quanto la volta si fessura
generalmente solo nella fascia in prossimità dell’imposta mentre la
porzione superiore della volta rimane integra e in grado quindi di trasferire
gli sforzi paralleli di compressione. Nella fascia fessurata, inoltre, ogni
spicchio è ancora in grado di trasferire gli sforzi di taglio a quelli a fianco
grazie all’ingranamento tra i conci.
Il problema, iperstatico se considerato dal punto di vista globale,
assume una natura isostatica se si considera un solo elemento
appartenente alla volta. Questo significa che, per ogni elemento
appartenente agli spicchi, lo stato di sforzo è definito completamente da
semplici equazioni di equilibrio, mentre la posizione della superficie
funicolare del carico e il conseguente stato di sforzo nella volta dipendono
invece dalla posizione della coordinata zi: variando le coordinate zi è
possibile individuare infinite superfici funicolari del carico.
Le coordinate zi sono quindi incognite e la posizione della superficie
funicolare può essere individuata attraverso un approccio discreto in
grado di fornire tali coordinate per ogni spicchio che costituisce la volta.
Indicando quindi con xi, yi e zi le coordinate della superficie delle pressioni
(thrust surface), si può scrivere:

258
LE VOLTE A PADIGLIONE

Linea media

γj-1
funicolare
γj
αk

Fig. 61. Particolare dell’angolo γj.

x it = x igeom (7)

y it = y igeom (8)

z it = z i (incognita) (9)

Assumendo come incognite le coordinate zi è possibile, imponendo


almeno due condizioni, determinare in maniera univoca, attraverso una
procedura iterativa, tutte le azioni agenti sui singoli elementi.
Gli sforzi meridiani, quelli lungo i paralleli e quelli di taglio sono
valutati all’interfaccia dei singoli blocchi.

Per ogni spicchio, le coordinate di una generica superficie funicolare


all’interfaccia sono pari a:

z it + x it ⋅ tan γ j
z tj = (10)
tan ϑ j
1+ ⋅ tan γ j
cos α k

259
CAPITOLO 4

x tj = z tj ⋅ tan ϑ j

y tj = R ⋅ sen ϑ j tan α k (11)

e quindi ltj , ossia la proiezione orizzontale fra l’interfaccia dell’elemento


considerato e l’origine del sistema di riferimento globale, vale:

tan ϑ j
l tj = z tj ⋅ (12)
cos α k

dove γj, come indicato in figura 61, è l’angolo che la tangente alla
superficie funicolare forma con l’asse orizzontale all’interfaccia tra i conci
e vale:

z it+1 − z it
γ j = arctan (13)
lit+1 − l it

Quindi, con riferimento alla figura 62, dalle equazioni di equilibrio


lungo l’asse z’ del sistema di riferimento locale, si ottiene:

( ) ( )
− S j ⋅ sen γ i − γ j − S j+1 ⋅ sen γ j+1 − γ i − W ⋅ cos γ i = 0 (14)

260
LE VOLTE A PADIGLIONE

ϑi
z'
Sj Tϑx j Ηp+1
γj Txϑ p+1
Txϑ p x'
γj+1
Ηp Tϑx j+1
α l Sj+1

x
Fig. 62. Particolare delle forze agenti su un elemento appartenente alla volta a
padiglione.

Da cui, semplificando e trascurando i termini del secondo ordine, si


ricava:

− W ⋅ cos γ i
Sj = (15)
( ) (
sen γ i − γ j + sen γ j+1 − γ i )

Dove, indicando con ω il peso per unità di superficie, W, definito


come segue, è il peso di ogni porzione di spicchio compresa tra gli angoli
θi e θi+1 di ogni spicchio:

W =
(
ϖR 2 1 − cos ϑ j+1 ) − ϖR (1 − cos ϑ )
2
j
(16)
n n

261
CAPITOLO 4

mentre γi è l’angolo che la verticale forma con la perpendicolare alla linea


delle pressioni al centro dell’elemento:

z tj+1 − z tj
γ i = arctan (17)
l tj+1 − l tj

Dall’equilibrio alla traslazione lungo l’asse x’ del sistema di


riferimento locale, il taglio agente su ogni singolo elemento (fig. 63) risulta:

Txϑ p +1 = S j ⋅ cos( γ i − γ j ) k − S j+1 ⋅ cos( γ j+1 − γ i ) − W ⋅ senγ i + Txϑ p (18)

Per simmetria, all’interfaccia tra gli spicchi al centro del fuso,


corrispondente a p=0, il taglio Txθ è nullo.
Dall’equilibrio alla rotazione, il taglio Tθx risulta:

(T xϑ p )
+ Txϑ p +1 ⋅ cos α' k ⋅senϑ i ⋅ (tgα p +1 − tgα p )
Tϑx j+1 = − Tϑx j (19)
ϑ j+1 − ϑ j
dove α’k corrisponde all’angolo αk proiettato nel piano tangente alla linea
delle pressioni al centro dell’elemento (fig. 64). Si ha quindi:

(
α' k = sen −1 cos γ j ⋅ senα k ) (20)

Per j=0, ossia al vertice della volta, per simmetria, Tθx=0.

262
LE VOLTE A PADIGLIONE

Sj
Tϑx jTxϑ p+1
ΗTp xϑ p Ηp+1
Tϑx j+1
Sj+1
Fig. 63. Vista dall’alto di una volta a padiglione, con indicate le forze agenti su un
elemento.

α'k
γj ακ γi
γi
γj+1
ακ Sj+1

Fig. 64. Particolare di un elemento con l’indicazione degli angoli α’k , αk., γj e γi.

Per determinare la forza orizzontale Hp lungo i paralleli è necessario


imporre le condizioni al contorno lungo la diagonale ed eseguire
l’equilibrio globale di metà fuso.
Il taglio Txdϑ , corrispondente al taglio Txθ lungo la diagonale, vale:

263
CAPITOLO 4

Σ(Txdϑ ⋅ senγ i ) = − W tot − S j ⋅ senγ j (21)

Quindi la forza Hp lungo la diagonale vale:

H p = Txdϑ ⋅ senα' k = π / 4 (22)

dove α' k = π / 4 è l’angolo α’k lungo la diagonale (per α=π/4).


Nota la forza Hp lungo la diagonale ed eseguendo l’equilibrio
orizzontale per ogni elemento, si ottiene la forza Hp-1, che risulta pari a:

Hp −1 = Hp − Tϑx j + Tϑx j+1 − S jsenα'k +S j+1senα'k −Txϑp ⋅ senα'k +


(23)
+ Txϑp +1 ⋅ senα'k

Se Hp supera la resistenza a trazione della muratura, che per


semplicità è stata ritenuta pari a zero, gli sforzi circonferenziali si
annullano e quindi, dall’equilibrio orizzontale, si ha:

Tϑx j + S j senα' k + Txϑ p +1 ⋅ senα' k =


(24)
= Tϑx j+1 + S j+1senα' k −Txϑ p ⋅ senα' k

Poiché, come già precisato in precedenza, anche dopo la


fessurazione la muratura è ancora in grado di trasferire gli sforzi di taglio
grazie all’ingranamento tra i conci, per l’equilibrio alla rotazione è
necessaria una forza Tθx e la componente Tθxj . sen α’k dovrebbe essere
pari a Tθxj+1 . sen α’k.
La forza S dopo la fessurazione, indicata con S*, diventa quindi:

S* = (S j−1 cos α' k cos γ j ) + (S


2
j−1 cosα' k senγ j + W )
2
(25)

e il corrispondente angolo γj* è pari a:

264
LE VOLTE A PADIGLIONE

S j−1senγ j−1 + W
γ * = −tg −1 (26)
S j−1 cos γ j−1

Attraverso le equazioni sopra esposte, a seconda dei valori iniziali


assegnati alle coordinate z mi , possono essere individuate infinite superfici
funicolari.
Tra le infinite funicolari che corrispondono al carico assegnato, se
esiste, la volta tenderà ad assumere quella che garantisce la stabilità
della struttura; la prima condizione da imporre è dunque quella di minima
eccentricità. Questo significa che, attraverso un risolutore automatico,
disponibile anche per semplici programmi quali Excel, verranno
individuate, per ogni punto della volta, le coordinate zi che corrispondono
alla superficie funicolare che meno si discosta dalla superficie media della
volta.
La distanza fra l’origine degli assi nel sistema di riferimento globale e
la superficie funicolare vale:

2
 x geom 
R it = (l ) + (z )
geom 2
i
t 2
i =  ( )
 + z it

2
(27)
 cos α k 
geom
dove l i è la proiezione orizzontale della distanza tra il centro di
massa dell’elemento e l’origine del sistema di riferimento globale.
Mentre la distanza fra l’origine degli assi nel sistema di riferimento
globale e la superficie media è pari a:

2
 x geom 
R geom
i =  i 
(
 + z igeom )
2
(28)
 cos α k 

L’eccentricità in ogni punto sarà quindi uguale a:

e = ∆R = R igeom − R mi (29)

265
CAPITOLO 4

e perciò la funzione da minimizzare sarà l’eccentricità massima:

e = max ∆R (30)

Poiché per determinare in maniera univoca la posizione della


funicolare del carico sono necessarie due condizioni, plausibilmente si
può supporre che, tra le infinite funicolari che minimizzano l’eccentricità,
quella assunta dalla volta dipenda dalle caratteristiche meccaniche del
materiale. A parità di eccentricità, ciò che può variare è l’inclinazione della
funicolare e perciò la seconda condizione da imporre, compatibile con la
resistenza del materiale, è data da:

Tjmerid ≤ T0 + Nmerid
j µ (31)

dove N merid
j e T jmerid rappresentano rispettivamente la componete di Sj
normale e tangenziale all’interfaccia:

N merid
j = S ⋅ cos(ϑ − γ j ) (32)

T jmerid = S ⋅ sen(ϑ − γ j ) (33)

T0 e µ, per murature di mattoni di nuova costruzione, vengono


generalmente assunti rispettivamente pari a 3 kg/cm2 e 0,5.
Bisogna però sottolineare che, soprattutto per murature storiche, i
valori di T0 e µ potrebbero risultare sensibilmente ridotti in seguito al
deterioramento della malta tra i conci, al punto da poter considerare, nel
caso più sfavorevole T0 pari a zero e µ pari a 0,3-0,4.
Partendo quindi da una membrana iniziale, corrispondente alla linea
media, attraverso una procedura iterativa, basata sul teorema statico
dell’analisi plastica, che minimizza l’eccentricità e impone il rispetto del
criterio di resistenza sul materiale, grazie ad un semplice solver,
disponibile anche per programmi di uso comune quali per esempio Excel,

266
LE VOLTE A PADIGLIONE

è possibile individuare in maniera rapida e rigorosa la superficie funicolare


del carico che soddisfa tutte le condizioni assegnate29. La determinazione
della superficie funicolare del carico consente di valutare lo stato di sforzo
nella struttura, di individuare le zone interessate dalle lesioni e di
determinare la posizione delle eventuali cerniere plastiche che si
potrebbero formare lungo i meridiani.

4.7.2. Analisi dei risultati

La teoria presentata identifica la superficie funicolare del carico che


massimizza la capacità portante della volta. È quindi possibile
determinare, per ogni blocco, gli sforzi agenti all’interfaccia e la spinta sui
muri perimetrali.
Ogni fuso della volta a padiglione considerata è stato suddiviso in 8
spicchi. Per ragioni di simmetria verranno perciò presentati i risultati per
metà fuso, compreso fra la direttrice al centro del fuso stesso e la
diagonale (fig. 65).

spicchio 4
spicchio 3
spicchio 2
spicchio 1

Fig. 65. Suddivisione della volta a padiglione in fusi, con l’indicazione della
coordinata orizzontale x.

267
CAPITOLO 4

Come è già stato precisato nel paragrafo precedente, la teoria


presentata si basa sull’analisi limite e quindi si suppone che, in seguito
alla fessurazione, venendo a mancare le forze circonferenziali Hp, la
funicolare assuma una configurazione differente rispetto a quella che
assumerebbe se la volta fosse in grado di resistere a sforzi di trazione.
Inoltre, dopo l’ottimizzazione, viene individuata la funicolare
corrispondente all’eccentricità minima e per la quale i risultati ottenuti
risultano coerenti con i criteri di resistenza assegnati al materiale.
Di seguito verranno quindi riportati, per ogni spicchio, i grafici della
forza S prima della fessurazione lungo i meridiani, dopo la fessurazione e
dopo la fessurazione con i valori ottimizzati (figg. 66-69), diagrammati
lungo la coordinata x del sistema di riferimento globale.
I grafici mostrano che , per ogni spicchio, la forza S agente lungo la
funicolare, prima della fessurazione, ha un andamento crescente fino a
circa 2 m, corrispondente ad un angolo θ pari a 45°, e un andamento
decrescente nella parte terminale del fuso. La forza S* invece, ottenuta
considerando la ridistribuzione degli sforzi conseguente all’apertura di
lesioni lungo i meridiani, coincide con la soluzione membranale per il
tratto non fessurato, per poi continuare a crescere, con una diversa
pendenza, anche nel tratto terminale dello spicchio. Questo è dovuto al
fatto che, se la volta fosse in grado di resistere a sforzi di trazione, la
presenza degli sforzi lungo i paralleli consentirebbe di far rientrare la
curva delle pressioni; tuttavia, vista la limitata resistenza a trazione della
muratura, in seguito alla fessurazione, le forze circonferenziali (Hp) di fatto
si annullano e le forze S nel tratto lesionato divengono funzione solo del
carico applicato e della spinta orizzontale trasmessa dalla porzione di
volta non fessurata.
I valori delle forze ottimizzate, ossia ottenute con il risolutore
automatico minimizzando l’eccentricità e imponendo la condizione sulla
resistenza a scorrimento del materiale, rispecchiano il medesimo
andamento di quelle ricavate semplicemente applicando l’analisi limite. Si
nota però che la curva delle forze S lungo la linea delle pressioni nella
soluzione ottimizzata ricalca la curva delle forze S ottenuta attraverso la
soluzione membranale (supponendo la muratura resistente a trazione) per

268
LE VOLTE A PADIGLIONE

un tratto più limitatato rispetto alla soluzione non ottimizzata. Questo


significa che la soluzione fornita dal risolutore evidenzia una
ridistribuzione degli sforzi nella zona di passaggio tra la porzione di volta
integra e quella fessurata, con una lieve estensione delle lesioni lungo i
meridiani.
È importante sottolineare che non necessariamente le lesioni si
manifesteranno all’interfaccia tra tutti gli spicchi, ma si verranno a creare
solo nella zona in cui gli sforzi di trazione sono massimi, ossia lungo la
diagonale, che, in aggiunta, come è già stato ampiamente illustrato in
precedenza, risulta anche la zona più debole in quanto proprio lungo gli
spigoli, soprattutto nel caso di disposizione dei mattoni a filari paralleli
all’imposta, si crea un allineamento dei giunti di malta. Si può supporre
quindi che, coerentemente con le osservazioni eseguite su volte reali, con
grande probabilità, le lesioni si formeranno inizialmente lungo le diagonali
e che questo sia sufficiente ad annullare gli sforzi circonferenziali lungo
tutto il fuso nel tratto in prossimità dell’imposta in cui le forze Hp risultano
di trazione (fig. 70).

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1

700

600

500

400
S [kg]

300 S prima della


fessurazione
lungo i meridiani
200
S* dopo la
100 fessurazione
lungo i meridiani
0 S* ottimizzato
0 1 2 3 4
x [m ]

Fig. 66. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

269
CAPITOLO 4

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2

700

600

500

400
S [kg]

300 S prima della


fessurazione
lungo i meridiani
200
S* dopo la
100 fessurazione
lungo i meridiani
0 S* ottimizzato
0 1 2 3 4
x [m ]

Fig. 67. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3

700

600

500

400
S [kg]

300 S prima della


fessurazione
lungo i meridiani
200
S* dopo la
100 fessurazione
lungo i meridiani
0 S* ottimizzato
0 1 2 3 4
x [m ]

Fig. 68. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

270
LE VOLTE A PADIGLIONE

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4

700

600

500

400

S [kg] 300 S prima della


fessurazione
lungo i meridiani
200
S* dopo la
100 fessurazione
lungo i meridiani
0 S* ottimizzato
0 1 2 3 4
x [m ]

Fig. 69. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

Hp lungo la diagonale

500

400

300

200
[kg]

100

0 Hp
0 1 2 3 4 5
-100

-200
x' [m ]

Fig. 70. Andamento della forza cerchiante Hp lungo la diagonale.

271
CAPITOLO 4

Applicando la procedura descritta nel precedente paragrafo, è


possibile anche determinare le forze Nmerid e Tmerid, che costituiscono
rispettivamente la componente normale e parallela all’interfaccia di S* (fig.
71). L’andamento di queste due componenti è riportato nelle figure 72-75;
come si può notare dai grafici, le componenti di S* normali all’interfaccia
rispecchiano lo stesso andamento delle forze S*, le componenti
tangenziali, invece, sono praticamente nulle fino a circa 2m, che
corrisponde ad un angolo θ pari a 45°, dove la funicolare è pressoché
perpendicolare in ogni punto all’interfaccia, mentre assumono valori
negativi nella zona interessata dalle lesioni.
Si osserva inoltre che, passando dallo spicchio 1 allo spicchio 4,
quello adiacente alla diagonale, le forze Nmerid si discostano
maggiormente dalle S* e la componente tangenziale aumenta (in valore
assoluto). Questo sta ad indicare che l’angolo di inclinazione γj della
funicolare del carico si differenzia maggiormente dall’angolo θj che
identifica la linea media per lo spicchio diagonale rispetto agli altri spicchi.
La maggiore differenza fra i due angoli γj e θj, registrata lungo lo spicchio
adiacente alla diagonale, non implica un’eccentricità della forza S*
maggiore rispetto agli altri spicchi, come si può facilmente notare
dall’analisi dei grafici riportati nelle figure 76-79, ma significa che tale
eccentricità varia rapidamente nel tratto lesionato.

γj
Nmerid S*
Tmerid

merid
Fig. 71. Particolare delle forze S* , N e Tmerid agenti su un concio.

272
LE VOLTE A PADIGLIONE

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 1)

700

600

500

400
300

[kg] 200

100

0
0 1 2 3 4
-100 S*
-200
Nmer
-300
x [m ] T mer

merid
Fig. 72. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 1.

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 2)

700
600
500

400
300
[kg]

200
100
0
0 1 2 3 4
-100
S*
-200
Nmer
-300
x [m ] T mer

merid
Fig. 73. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 2.

273
CAPITOLO 4

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 3)

700
600

500

400

300
[kg]

200

100

0
0 1 2 3 4
-100 S*
-200
Nmer
-300
x [m ] T mer

merid
Fig. 74. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 3.

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4)

700

600
500

400
300
[kg]

200
100

0
0 1 2 3 4
-100
S*
-200
Nmer
-300
x [m ] T mer

merid
Fig. 75. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 4.

274
LE VOLTE A PADIGLIONE

Osservando i grafici riportati di seguito (fig. 76-79), si può notare


inoltre che, passando dalla soluzione non ottimizzata, ottenuta applicando
l’analisi limite, a quella ottimizzata, ottenuta partendo dalla soluzione
precedente, ma imponendo le condizioni sul materiale e sull’eccentricità,
l’eccentricità della forza S* varia sensibilmente. Nella soluzione non
ottimizzata, l’eccentricità, per tutti gli spicchi, si mantiene nulla per tutto il
tratto non fessurato, per poi crescere in maniera esponenziale nella zona
lesionata, in cui la mancanza degli sforzi circonferenziali non consente di
ricentrare la forza S*. Una soluzione di questo tipo, ovviamente, non può
essere realistica in quanto eccentricità troppo elevate porterebbero la
funicolare ad uscire dallo spessore della volta. È noto che le strutture
possono assumere diverse configurazioni di equilibrio a seconda dello
stato di sforzo a cui sono sottoposte e delle condizioni al contorno, e
quindi anche le volte, tra le infinite funicolari che potrebbero svilupparsi al
loro interno, tenderanno ad assumere, se esiste, quella che garantisce
l’equilibrio e quindi quella che rientra interamente all’interno dello
spessore. Imponendo quindi la condizione di eccentricità minima, è
possibile trovare la soluzione che plausibilmente assumerà la volta.
Il grafico dell’eccentricità per lo spicchio 4 (fig. 79) mostra infatti che,
dopo l’ottimizzazione, il valore massimo dell’eccentricità si riduce
drasticamente passando da circa 45 cm a circa 14 cm, localizzati però
all’imposta, dove solitamente la presenza di un rienfianco garantisce
l’equilibrio della struttura. Si osserva inoltre che la nuova curva
dell’eccentricità presenta due punti di massimo, uno positivo e uno
negativo, che corrispondono di fatto alla formazione di due cerniere, una
verso l’estradosso, per una x pari a circa 1,5 m (θj = 30°), e una verso
l’intradosso, per una x pari a circa 2,78 m (θj = 65°), in accordo con
quanto ottenuto dai risultati delle analisi numeriche.

275
CAPITOLO 4

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]

0,15
eccentricità
0,1
(soluzione non
0,05 ottimizzata)
0
-0,05 0 1 2 3 4
eccentricità
-0,1 (soluzione
-0,15 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 76. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]

0,15
eccentricità
0,1
(soluzione non
0,05 ottimizzata)
0
-0,05 0 1 2 3 4
eccentriità
-0,1 (soluzione
-0,15 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 77. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.

276
LE VOLTE A PADIGLIONE

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m] 0,15
eccentricità
0,1
(soluzione non
0,05 ottimizzata)
0
-0,05 0 1 2 3 4
eccentricità
-0,1 (soluzione
-0,15 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 78. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]

0,15
eccentricità
0,1
(soluzione non
0,05 ottimizzata)
0
-0,05 0 1 2 3 4
eccentricità
-0,1 (soluzione
-0,15 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 79. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.

277
CAPITOLO 4

La presenza dell’eccentricità, e quindi il fatto che la funicolare del


carico si discosti dalla linea media, implica lo sviluppo di un momento
flettente lungo gli spicchi. Di seguito è riportato il grafico del momento
flettente per ogni spicchio, dato dalla componete di S* perpendicolare
all’interfaccia (Nmer) per l’eccentricità e.
Il grafico in figura 80 mostra che il momento flettente per la soluzione
ottimizzata presenta, per tutti e quattro gli spicchi, un punto di massimo
per una x pari a circa 2,78 m (θj = 65°). Nella volta potrebbe perciò
formarsi una cerniera all’intradosso a circa 20 cm dall’imposta. Le volte in
muratura, inoltre, presentano spesso un rinfianco che si estende proprio
fino a questa zona: la porzione di volta al di sotto della linea a 65° si può
quindi idealmente considerare ancora appartenente ai piedritti e di
conseguenza la spinta realmente esercitata dalla volta deve essere
valutata in corrispondenza della cerniera alle reni.

Momento flettente lungo gli spicchi

100
80

60

40
.e [kg.m]

20

0
0 1 2 3 4 M=N.e (spicchio 1)
-20
M=N

-40
M=N.e (spicchio 2)
-60

-80 M=N.e (spicchio 3)

-100
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]

Fig. 80. Andamento del momento flettente lungo gli spicchi.

La spinta all’imposta sarà massima nel caso di murature di grande


spessore (assimilabili a vincoli rigidi) e minima nel caso di muri d’ambito
cedevoli (assimilabili a vincoli con rigidezza molto bassa): si è infatti

278
LE VOLTE A PADIGLIONE

osservato anche nel paragrafo relativo alle analisi numeriche che la


differente rigidezza dei vincoli influisce sull’entità della spinta. Minimizzare
l’eccentricità di fatto corrisponde ad individuare la posizione delle cerniere
alle reni e a massimizzare la spinta in questi punti e, quindi, la soluzione
ottimizzata restituisce, a favore di sicurezza, i valori dell’azione orizzontale
che la volta eserciterebbe sulle murature perimetrali se queste fossero
infinitamente rigide. Dal punto di vista pratico, la corretta valutazione della
spinta sui muri d’ambito è molto importante, in quanto corrisponde a
determinare il tiro che dovrebbero essere in grado di assorbire eventuali
presidi strutturali per impedire la deformazione flessionale delle murature
a sostegno della volta.
Il grafico in figura 81 mostra la spinta orizzontale esercitata dalla
volta sulle murature perimetrali. Come si può notare la soluzione non
ottimizzata presenta un andamento poco realistico, con spinte massime
lungo le diagonali e minime al centro.
Bisogna sottolineare il fatto che la spinta fornita dalla soluzione non
ottimizzata è stata rilevata esattamente all’imposta, visto che con tale
soluzione non si evidenzia la formazione di cerniere alle reni. Questo
giustifica anche il fatto che lungo la diagonale la spinta sia maggiore di
quella ottenuta con la soluzione ottimizzata.
Dopo aver lanciato il risolutore, la spinta ottenuta presenta un
andamento massimo nella parte centrale del fuso e leggermente
decrescente verso le diagonali, coerentemente con quanto ottenuto dalle
analisi numeriche.
Inoltre, come si può notare dal grafico in figura 82, la componente
orizzontale di S*, nella zona lesionata, in cui l’effetto cerchiante degli
sforzi paralleli è nullo, si mantiene costante lungo lo spicchio.

279
CAPITOLO 4

Spinta orizzontale all'imposta

300 y

250

200
[kg/m]

150

100
spinta (soluzione
non ottimizzata)
50

spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 81. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.

Componente orizzontale della forza S* lungo lo spicchio 1

250

200

150
[kg]

100

50 componente
orizzontale di S*
(soluzione
0 ottimizzata)"
0 1 2 3 4
y [m ]

Fig. 82. Andamento della componente orizzontale della forza S* lungo lo spicchio
1.

280
LE VOLTE A PADIGLIONE

4.7.3. Considerazioni sulla soluzione ottimizzata

Partendo quindi da una membrana iniziale, corrispondente alla linea


media, attraverso una procedura iterativa, grazie ad un semplice solver, è
possibile individuare in maniera veloce e rigorosa la superficie funicolare
del carico che soddisfa tutte le condizioni assegnate, ottenendo in tal
modo una soluzione in grado di fornire lo stato di sforzo nella struttura.
È necessario precisare che il metodo di calcolo elaborato è stato
studiato per essere utilizzato con semplici programmi di uso comune,
quali per esempio Excel. Il risolutore di Excel presenta tuttavia delle
limitazioni, in quanto è possibile minimizzare un solo parametro alla volta.
Per superare questo limite, è possibile seguire due strade:
- minimizzare contemporaneamente tutte le eccentricità dei quattro
spicchi (minimizzando il valore massimo fra tutti gli spicchi)
- minimizzare l’eccentricità massima di un singolo spicchio, ripetendo
l’operazione su tutti gli spicchi.
All’interno del risolutore sono inoltre presenti dei parametri che
possono essere variati per far convergere più rapidamente la soluzione.
I risultati presentati sono stati ottenuti minimizzando
contemporaneamente le eccentricità dei quattro spicchi e utilizzando per il
risolutore i parametri indicati in figura 83 (soluzione ottimizzata n. 1 nelle
figure 85-88).
In realtà si è osservato che, in ogni caso, le soluzioni ottenute sono
molto simili e, soprattutto per i valori di S*, delle rispettive componenti
Nmerid e Tmerid e delle forze Np, le differenze registrate variando i parametri
e il metodo di minimizzazione sono molto lievi.
Si è notato tuttavia che minimizzando l’eccentricità massima di un
singolo spicchio alla volta e utilizzando all’interno del risolutore i parametri
indicati in figura 84 (soluzione ottimizzata n. 2 nelle figure 85-88), a parità
di sforzi agenti, si osserva un andamento delle eccentricità differente
rispetto a quello ottenuto dall’ottimizzazione presentata in precedenza.
Nei grafici nelle figure 85-88, sono riportati i valori delle eccentricità per la
soluzione senza risolutore, per la soluzione ottimizzata n. 1 e per la
soluzione ottimizzata n. 2. I risultati ottenuti dalla soluzione ottimizzata n.

281
CAPITOLO 4

2, ricalcano esattamente quelli delle analisi numeriche, presentando


anche per gli spicchi 2 e 3 lo stesso andamento già visto per lo spicchio
adiacente alla diagonale, con la formazione di due cerniere. I valori
ottenuti, inoltre, sono inferiori rispetto a quelli ottenuti con la soluzione
ottimizzata 1. Tuttavia, probabilmente a causa di un problema di
convergenza del solver, i valori di S* per lo spicchio 2 e 3, pur
mantenendosi molto simili a quelli ricavati dalle altre ottimizzazioni,
presentano un picco in corrispondenza del passaggio tra la zona
fessurata e quella integra.
Nonostante questo, è importante sottolineare che, variando i
parametri, si possono ottenere, a parità di sforzi agenti, eccentricità
inferiori a quelle presentate in precedenza. Questo sta a dimostrare che
esiste una soluzione in cui la funicolare presenta un’eccentricità molto
bassa, compresa ovunque all’interno della sezione della volta, tranne che
nella zona delle reni, in cui, come è già stato chiarito in precedenza, la
presenza del rinfianco garantisce comunque l’equilibrio.

Fig. 83. Parametri impiegati all’interno del risolutore automatico di Excel per
ottenere la soluzione 1.

282
LE VOLTE A PADIGLIONE

Fig. 84. Parametri impiegati all’interno del risolutore automatico di Excel per
ottenere la soluzione 2.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]

0,15 eccentricità
0,1 (soluzione non
ottimizzata)
0,05
eccentricità
0
(soluzione
-0,05 0 1 2 3 4 ottimizzata 1)
-0,1 eccentricità
-0,15 (soluzione
ottimizzata 2)
x [m ]

Fig. 85. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.

283
CAPITOLO 4

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]

0,15 eccentricità
0,1 (soluzione non
ottimizzata)
0,05
eccentriità
0
(soluzione
-0,05 0 1 2 3 4 ottimizzata 1)
-0,1 eccentriità
-0,15 (soluzione
ottimizzata 2)
x [m ]

Fig. 86. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]

0,15
0,1 eccentricità
0,05 (soluzione non
ottimizzata)
0
eccentricità
-0,05 0 1 2 3 4
(soluzione
-0,1 ottimizzata 1)
-0,15 eccentriità
x [m ] (soluzione
ottimizzata 2)

Fig. 97. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.

284
LE VOLTE A PADIGLIONE

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2

e [m]
0,15 eccentricità
0,1 (soluzione non
ottimizzata)
0,05
eccentricità
0
(soluzione
-0,05 0 1 2 3 4 ottimizzata 1)
-0,1 eccentriità
-0,15 (soluzione
ottimizzata 2)
x [m ]

Fig. 88. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.

4.7.4. Valutazione del coefficiente di sicurezza della volta

La teoria proposta consente di valutare gli sforzi nella struttura e


determinare la spinta orizzontale esercitata dalla volta sulle murature
perimetrali, fattori estremamente utili ai fini di un eventuale intervento di
consolidamento.
Tuttavia, prima di eseguire qualsiasi intervento sulla struttura, è bene
dimostrarne l’effettiva necessità: nonostante le importanti lesioni lungo la
diagonale, infatti, la volta a padiglione potrebbe essere in grado di trovare
una situazione di equilibrio. È importante dunque poter determinare un
coefficiente di sicurezza della volta, dato dal rapporto tra lo spessore reale
e lo spessore minimo necessario affinché non si instauri un meccanismo
di collasso, generato dalla rotazione dei blocchi attorno alle cerniere.
Se si considera la situazione limite, in cui lo spessore della volta è
pari a 2.emin, allora si può scrivere:

285
CAPITOLO 4

t min ≥ 2 e min (34)

Se lo spessore della volta fosse pari a 2.emin, la funicolare toccherebbe


l’intradosso in corrispondenza dell’eccentricità massima (in valore
assoluto) che, come si è potuto osservare dai grafici presentati nei
paragrafi precedenti, corrisponde di una x pari a circa 2,78 m (θj = 65°).
Questo significa che in prossimità delle reni della volta si verrebbe a
formare una cerniera e la struttura sarebbe comunque in una situazione di
equilibrio.
Il coefficiente di sicurezza della struttura è quindi dato da:

t
Ψ= (35)
t min

4.8. Confronti fra i risultati del modello analitico e delle analisi ad


elementi finiti

Per effettuare il confronto tra i risultati ottenuti attraverso


l’applicazione del modello teorico basato sull’analisi limite e quelli delle
analisi numeriche in campo non lineare, si è ritenuto opportuno realizzare
una nuova mesh, in cui gli elementi risultano disposti come indicato in
figura 89.
In questa mesh, gli elementi risultano disposti esattamente come
quelli della schematizzazione teorica e ciò ha agevolato la lettura degli
sforzi nelle direzioni del sistema di riferimento locale, rendendo più chiaro
e immediato il confronto tra i due modelli.

286
LE VOLTE A PADIGLIONE

Fig. 89. Mesh realizzata per il confronto fra i risultati teorici e quelli ad elementi
finiti.

Nelle figure 90, 91. 92 e 93 sono riportati i grafici dei confronti fra le
forze S ottenute dal modello teorico e quelle ricavate dalle analisi ad
elementi finiti. Come si può osservare, la curva ottenuta con il modello
teorico ricalca esattamente l’andamento della curva ottenuta dalle analisi
non lineari; anche il cambiamento di pendenza, significativo perché indica
la comparsa di lesioni lungo gli spicchi, è colto esattamente dal modello
teorico. Tuttavia, a favore di sicurezza, i valori di S calcolati risultano
ovunque leggermente superiori a quelli ricavati dalle analisi ad elementi
finiti.
Anche le componenti Nmerid di S ottenute con il modello teorico, che per
semplicità vengono mostrate solo per lo spicchio adiacente alla diagonale
(fig.94), presentano lo stesso andamento di quelle del modello ad
elementi finiti, con valori di circa il 10% superiori. Le componenti Tmerid,
invece, per entrambi i modelli risultano ovunque molto modeste, anche
se, nel modello teorico, si evidenzia un incremento di tali valori nel tratto
in prossimità dell’imposta.

287
CAPITOLO 4

Risulta nte S de gli sforzi m e ridia ni a ge nti sullo spicchio 1

700

600

500

400
S [kg]

300 S (modello
teorico)
200

100 S (modello ad
elementi f initi)
0
0 1 2 3 4
x [m ]

Fig. 90. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti
lungo lo spicchio 1.

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2

700

600

500

400
S [kg]

300 S (modello
teorico)
200

100 S (modello ad
elementi f initi)
0
0 1 2 3 4
x [m ]

Fig. 91. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti
lungo lo spicchio 2.

288
LE VOLTE A PADIGLIONE

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3

700

600

500

400

S [kg] 300 S (modello


teorico)
200

100 S (modello ad
elementi finiti)
0
0 1 2 3 4
x [m ]

Fig. 92. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad


elementi finiti lungo lo spicchio 3.

Risulta nte S de gli sforzi m e ridia ni a ge nti sullo spicchio 4

700

600

500

400
S [kg]

300 S (modello
teorico)
200

100 S (modello ad
elementi f initi)
0
0 1 2 3 4
x [m ]

Fig. 93. Confronto fra le forze S del modello teorico e di quello ad elementi finiti
lungo lo spicchio 4.

289
CAPITOLO 4

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4)

600

500

400

300

200
[kg]

100

0 Nmer (teoria)
0 1 2 3 4
-100 Tmer (teoria)

-200 N mer (analisi ad


elementi finiti)
-300
T mer (analisi ad
x [m] elementi finiti)

merid merid
Fig. 94. Confronto fra le componenti N e T di S ottenute dal modello
teorico e quelle ricavate dal modello ad elementi finiti lungo lo spicchio 4.

Per quanto riguarda l’eccentricità, si può notare che per lo spicchio


adiacente alla diagonale (fig. 95), i valori ottenuti attraverso il modello
teorico e quelli del modello ad elementi finiti coincidono esattamente.
Nel grafico sono state riportate le due soluzioni ottenute facendo
girare il risolutore con due diverse combinazioni di parametri, come
illustrato nel paragrafo 4.7.3. La soluzione ottimizzata n. 1 e la soluzione
ottimizzata n. 2, per lo spicchio adiacente alla diagonale, non presentano
variazioni rilevanti. Per gli altri spicchi, invece, mentre la soluzione
ottimizzata n. 1 mostra un solo punto di massimo (in valore assoluto),
corrispondente alla formazione di una sola cerniera all’intradosso, nella
soluzione ottimizzata n. 2, l’andamento è lo stesso di quello lungo lo
spicchio 4 e i valori ottenuti sono ovunque coincidenti con quelli delle
analisi ad elementi finiti (fig. 96).
Questo significa che la teoria proposta è in grado di cogliere con
precisione anche i punti in cui si potrebbero formare le cerniere.

290
LE VOLTE A PADIGLIONE

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m] 0,15 eccentricità (da
0,1 analisi ad
elementi finiti)
0,05
eccentricità
0
(soluzione
-0,05 0 1 2 3 4 ottimizzata 1)
-0,1 eccentriità
-0,15 (soluzione
ottimizzata 2)
x [m]

Fig. 95. Confronto fra i valori delle eccentricità lungo lo spicchio 4 ottenuti dalle
analisi ad elementi finiti e dal modello teorico (soluzione ottimizzata n.1 e
soluzione ottimizzata n. 2).

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3

0,45
0,4
0,35
0,3
0,25
0,2
e [m]

0,15
eccentricità (da
0,1
analisi ad
0,05 elementi f initi)
0 eccentricità
-0,05 0 1 2 3 4 (soluzione
ottimizzata 1)
-0,1
eccentriità
-0,15 (soluzione
x [m ] ottimizzata 2)

Fig. 96. Confronto fra i valori delle eccentricità lungo lo spicchio 3 ottenuti dalle
analisi ad elementi finiti e dal modello teorico (soluzione ottimizzata n. 1 e
soluzione ottimizzata n. 2).

291
CAPITOLO 4

Per la valutazione della spinta è necessario far riferimento ai punti in


cui si forma la cerniera all’intradosso: è proprio lì infatti che la volta
eserciterà la propria spinta sui muri di contenimento. Per ottenere la
spinta che realmente la volta esercita lungo i muri d’ambito, sono quindi
state estrapolate dalle analisi ad elementi finiti le forze orizzontali per
unità di lunghezza, valutate in corrispondenza di un angolo θ di circa 65°,
ossia nel punto in cui l’eccentricità è massima.
Sono stati allora confrontati i valori della spinta ottenuta con la teoria
proposta e quelli ricavati dalle analisi numeriche sul modello con vincoli
rigidi, che, come già detto, fornisce la spinta massima.
Come si può osservare, entrambi i grafici presentano valori massimi
al centro del fuso che decrescono spostandosi verso le diagonali. La
spinta massima al centro del fuso ottenuta con il modello teorico coincide
esattamente con quella ricavata dalle analisi numeriche, mentre, a favore
di sicurezza, i valori in prossimità della diagonale risultano leggermente
superiori nel modello teorico rispetto a quello ad elementi finiti. La
differenza massima è tuttavia inferiore al 30% e, perciò, si ritiene che il
modello teorico sia in grado di fornire, con ottima approssimazione, la
spinta orizzontale esercitata dalla volta sui piedritti.

Spinta orizzontale all'imposta

y
300

250

200
[kg/m]

150

100
spinta (da analisi
ad elementi finiti)
50

spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 97. Confronto fra la spinta alle reni ottenuta con il modello teorico e con le
analisi ad elementi finiti.

292
LE VOLTE A PADIGLIONE

Infine anche l’estensione delle lesioni lungo le diagonali sono colte con
grande precisione dal modello teorico presentato.

4.9. Discussione sul comportamento strutturale delle volte a


padiglione

Grazie ai risultati delle analisi ad elementi finiti in campo non lineare,


all’applicazione della teoria basata sull’analisi limite e al confronto fra le
soluzioni numeriche e quelle teoriche, è stato possibile porre l’attenzione
su alcune particolarità del comportamento strutturale delle volte a
padiglione e di chiarire alcuni aspetti finora poco chiari.
Si è potuto notare che generalmente le volte a padiglione sono
interessate da fessure passanti lungo le diagonali e, probabilmente,
anche al centro del fuso. Tale fessurazione, per volte a tutto sesto, si
estende per un tratto che va dall’imposta fino ad un angolo θ di circa 45°
e, a differenza di quanto riportato in letteratura, è indipendente dai
cedimenti dell’imposta; si è dimostrato infatti che le lesioni lungo la
diagonale caratterizzano anche volte vincolate rigidamente, anche se
ovviamente la loro estensione può aumentare in seguito al ribaltamento
dei muri d’ambito.
Si è inoltre osservato che il comportamento strutturale delle volte a
padiglione non può semplicemente essere schematizzato con una serie di
archi affiancati, come generalmente viene riportato in letteratura. Nella
porzione di volta non fessurata, infatti, anche dopo la formazione di lesioni
lungo le diagonali, si sviluppa un effetto guscio e ogni arco che costituisce
la volta è ancora in grado di trasferire parte del carico a quelli a fianco
grazie all’ingranamento tra i conci e al trasferimento del taglio tra archi
attigui.
L’interazione tra gli archi che costituiscono la volta a padiglione
appare evidente dall’osservazione della spinta all’imposta: come si può
notare, infatti, la spinta orizzontale sui piedritti non presenta il tipico
andamento triangolare ricavato dalla semplice schematizzazione ad archi

293
CAPITOLO 4

(fig. 98a), ma un andamento massimo al centro e leggermente


decrescente verso le diagonali, dove la spinta è circa il 35% inferiore
rispetto a quella al centro del fuso (fig. 98b).

archi naturali di
scarico

a) b)

Fig. 98. Confronto tra la spinta orizzontale esercitata dalla volta a padiglione sulle
murature perimetrali ricavata dallo schema ad archi affiancati non interagenti (a) e
quella reale, ottenuta attraverso le analisi ad elementi finiti e la teoria basata
sull’analisi limite (b).

Questo fa supporre che nella superficie del fuso si possano creare


archi naturali di scarico, che provvedono a far defluire una parte del carico
verso le parti laterali della volta.
Il modello teorico presentato nei paragrafi precedenti ha consentito,
inoltre, di valutare in maniera precisa e rigorosa la posizione della
superficie delle pressioni, permettendo così di valutare sia i momenti
agenti su ogni spicchio, considerando ovviamente l’interazione con quelli
a fianco, sia la componente tangenziale della forza S* all’interfaccia tra i
conci.
Per quanto riguarda i momenti e quindi l’eccentricità della superficie
funicolare, si è potuto vedere che, per una volta a padiglione soggetta a
peso proprio, esistono due linee, all’incirca parallele all’imposta, lungo le
quali potrebbero formarsi le cerniere. La prima, posizionata all’estradosso,
è localizzata ad una distanza x pari a circa 1,5 m dal centro,
corrispondente ad un angolo θj pari a 30°, mentre la seconda, posizionata

294
LE VOLTE A PADIGLIONE

all’intradosso, è localizzata ad una distanza x pari a circa 2,78 m dal


centro, corrispondente ad un angolo θj pari a 65°. La figura 99 mostra il
possibile meccanismo che si può generare nella volta in seguito alla
formazione delle cerniere lungo i paralleli, anche se è necessario
precisare che la formazione di queste cerniere dipende, come è già stato
chiarito in precedenza, dallo spessore della volta, che comunque non può
essere inferiore a 2e.

ϑ=30°

ϑ=65°
x

Fig. 99. Possibile meccanismo che si può generare negli spicchi costituenti la
volta in seguito alla formazione delle cerniere.

Per quanto riguarda invece i meccanismi di scorrimento tra i conci,


affinché questi non si verifichino, la forza Tmeriid, componente di S*
parallela ai giunti, dovrebbe essere in ogni punto inferiore alla resistenza
a scorrimento tra i conci, data da:

Tjmerid ≤ T0 + Nmerid
j µ (36)

I valori di T0 e µ, per murature di mattoni di nuova costruzione,


vengono assunti di solito rispettivamente pari a 3 kg/cm2 e 0,5 30, ma per
murature storiche e per murature in pietra tali valori potrebbero risultare
sensibilmente ridotti.

295
CAPITOLO 4

Le volte di edifici storici risultano spesso realizzate con muratura che,


nel corso del tempo, può aver subito un deterioramento della malta tra i
giunti e proprio per questo, a favore di sicurezza, sembra lecito supporre
che il valore di T0 sia pari a zero. È allora interessante valutare la
variazione dello stato di sforzo nella volta, e quindi della superficie
funicolare del carico, al variare del coefficiente di attrito µ.
Dai risultati ottenuti attraverso la teoria basata sull’analisi limite, è
emerso che fino ad un coefficiente di attrito di 0,48 la Tmeriid è in ogni
punto minore di Nmerid.µ, per valori inferiori, invece, la struttura è
comunque in grado di ritrovare una nuova configurazione di equilibrio in
cui gli sforzi lungo i meridiani e lungo i paralleli variano in maniera
impercettibile, a scapito però di un notevole aumento di eccentricità, che
si riflette in un aumento dello spessore necessario per mantenere
l’equilibrio e di conseguenza in una riduzione del coefficiente di sicurezza
della struttura.
Il grafico in figura 100 mostra l’eccentricità della superficie funicolare
al variare del coefficiente di attrito assunto per la muratura. Per valori di µ
inferiori a 0,3 il risolutore non è più in grado di trovare una soluzione
accettabile, mentre per valori superiori a 0,48 l’eccentricità massima si
mantiene costante.
È opportuno comunque precisare che il valore massimo
dell’eccentricità si registra all’imposta, dove il rinfianco, che generalmente
è collocato nella zona delle reni, garantisce uno spessore maggiore
rispetto al resto della volta.

296
LE VOLTE A PADIGLIONE

Eccentricità massima della superficie funicolare in funzione del


coefficiente di attrito
0,3 0,48
0,3

0,25

0,2

e [m]
0,15

0,1

0,05

0
0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1
µ

Fig. 100. Eccentricità della superficie funicolare del carico ottenuta con la teoria
basata sull’analisi limite presentata al variare del coefficiente di attrito assunto per
la muratura.

Infine, risulta di estremo interesse comprendere come varia il


comportamento strutturale delle volte a padiglione al variare del rapporto
freccia/luce. La trattazione precedente riguarda le volte a padiglione a
tutto sesto, considerate dallo Scamozzi le migliori sia per la bellezza che
tale curvatura conferisce alla volta, sia dal punto di vista statico31,
tuttavia, ricalcando i rapporti proporzionali suggeriti da altri trattatisti,
molte sale di palazzi Rinascimentali sono ricoperte con volte ribassate: il
Palladio per esempio precisa che le volte a padiglione dovrebbero avere
una freccia pari ad un terzo della larghezza della stanza32, mentre Guarini
consiglia di contenere l’altezza della volta fra un quinto e un quarto del
diametro33. Per questo, in accordo con le indicazioni dei trattatisti,
attraverso l’applicazione della teoria basata sull’analisi limite, è stato
analizzato il comportamento strutturale di volte a padiglione con un
rapporto freccia/luce pari ad 1/3, 14 e 1/5, alle quali, per una volta a base

297
CAPITOLO 4

quadrata con luce di 6m, corrispondono rispettivamente frecce di 2m,


1,5m e 1,2m.
Per cogliere i tratti salienti del comportamento strutturale delle volte a
padiglione al variare del rapporto freccia/luce, di seguito sono riportati i
grafici più significativi per il confronto fra i risultati ottenuti per le tre volte
analizzate. In appendice B sono riportati in maniera estesa tutti i grafici
relativi alle volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/3, 14 e 1/5.
Come si può notare dai grafici in figura 101 e in figura 102, la forza S
aumenta al diminuire del rapporto freccia/luce e ciò sta ad indicare che,
come è noto, le volte ribassate sono soggette ad uno stato di
sollecitazione maggiore rispetto alle volte a tutto sesto. Tuttavia è
interessante notare come, al diminuire della freccia, la soluzione
membranale, che rappresenta lo stato di sforzo precedente alla
fessurazione lungo la diagonale e al centro del fuso, si discosti dalla
soluzione ottimizzata per un tratto sempre minore.
Il grafico in figura 103 mostra infatti che il tratto in cui le forze
circonferenziali Hp sono di trazione si riduce al diminuire della freccia e
che, per volte molto ribassate (f/l=1/5), tali forze risultano di compressione
per l’intera volta, tranne che per un breve tratto in prossimità dell’imposta.
Questo mostra, come vedremo meglio nei capitoli successivi, che, per
ottenere informazioni sullo stato di sforzo in volte a padiglione molto
ribassate, sarebbe possibile applicare, con buona approssimazione, la
teoria membranale classica.
Per quanto riguarda invece la spinta all’imposta, si può notare che
tale spinta aumenta al diminuire della freccia e che, mentre per volte a
tutto sesto, la spinta all’imposta in prossimità della diagonale è circa il
35% in meno rispetto a quella al centro del fuso, per frecce minori,
l’andamento di tale spinta tende a diventare costante lungo tutta l’imposta
(fig. 104).

298
LE VOLTE A PADIGLIONE

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1

700

600

500
S ottimizzato (f=2m)
400

S [kg]
S ottimizzato (f=1,5m)
300
S ottimizzato (f=1,2m)
200
S prima della
100 fessurazione (f=2m)
S prima della
0 fessurazione (f=1,5m)
0 1 2 3 4 S prima della
x [m ] fessurazione (f=1,2m)

Fig. 101. Confronto fra la risultante S degli sforzi meridiani sullo spicchio 1 prima
della fessurazione e dopo l’ottimizzazione per volte a padiglione con rapporto
freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5.

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4

700

600

500
S ottimizzato (f=2m)
400
S [kg]

S ottimizzato (f=1,5m)
300
S ottimizzato (f=1,2m)
200
S prima della
100 fessurazione (f=2m)
S prima della
0 fessurazione (f=1,5m)
0 1 2 3 4 S prima della
x [m ] fessurazione (f=1,2m)

Fig. 102. Confronto fra la risultante S degli sforzi meridiani sullo spicchio 4 prima
della fessurazione e dopo l’ottimizzazione per volte a padiglione con rapporto
freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5.

299
CAPITOLO 4

Hp lungo la diagonale

500

400

300

200
[kg]

100 f=2m
f=1,5m
0
0 1 2 3 4 5 f=1,2m
-100

-200
x' [m ]

Fig. 103. Confronto fra le forze circonferenziali Hp di volte a padiglione con


rapporto freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5.

Spinta orizzontale lungo i muri d'ambito


y

600

500

400
[kg/m]

300

200 spinta (f=2m)

100 spinta (f=1,5m)

0 spinta (f=1,2m)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 104. Confronto fra la spinta all’imposta dir volte a padiglione con rapporto
freccia luce pari a 1/3, 1/4 e 1/5.

300
LE VOLTE A PADIGLIONE

Nelle volte a padiglione, come già detto, si vengono a creare degli


archi naturali di scarico che fanno defluire il carico verso le diagonali e
che quindi portano a scaricare la parte centrale del fuso. I risultati ottenuti
dai confronti fra volte con rapporti freccia/luce diversi consentono di
affermare che, intuitivamente, gli archi naturali di scarico interessano una
fascia in prossimità dell’imposta che si riduce al diminuire della freccia,
come mostrato in figura 105. Questo giustifica la maggiore estensione
delle lesioni lungo la diagonale per volte con frecce maggiori e
l’andamento della spinta all’imposta, che, per volte molto ribassate, è
all’incirca costante.

Fig. 105. Andamento qualitativo degli archi naturali di scarico per le tre volte
considerate.

301
CAPITOLO 4

4.10. Modelli di calcolo semplificati

Le analisi ad elementi finiti in campo non lineare e la teoria basata


sull’analisi limite hanno consentito di valutare in maniera rigorosa lo stato
tensionale nelle volte a padiglione e, in particolare, la teoria proposta,
basata sull’analisi limite, si è mostrata un valido strumento, utile e
relativamente semplice, per chiarire il comportamento strutturale delle
volte a padiglione e per determinare gli sforzi che si generano al loro
interno e la spinta all’imposta. I risultati ottenuti hanno evidenziato un
comportamento strutturale complesso, in cui gli archi che idealmente
costituiscono la volta interagiscono tra di loro e risultano soggetti sia a
sforzi membranali che flessionali.
Tuttavia, alla luce di quanto emerso, si può ritenere che, nel caso di
volte ribassate, il regime flessionale possa essere trascurato e che
comunque, come verrà meglio chiarito in seguito, anche per volte a
padiglione con frecce superiori a 1/4, il comportamento strutturale delle
volte a padiglione possa essere efficacemente identificato attraverso
l’applicazione della teoria membranale.
Partendo dallo studio fondativo sulle volte a padiglione, condotto
presso l’Università degli Studi di Brescia (Giuriani E., Tomasoni E., 2002),
appare quindi di grande utilità ai fini pratici proporre metodi di calcolo
semplificati, meno rigorosi rispetto alla teoria basata sull’analisi limite, ma
in grado di cogliere i principali meccanismi statici che si possono generare
nelle volte a padiglione e di fornire gli elementi indispensabili e
estremamente utili per un eventuale intervento di recupero.
Dal confronto fra i risultati ottenuti attraverso i modelli semplificati e
quelli ricavati dall’applicazione della teoria basata sull’analisi limite, è stata
valuta l’efficacia e il limite di validità dei metodi semplificati.

302
LE VOLTE A PADIGLIONE

4.10.1. Teoria membranale classica

Lo studio eseguito su una volta a padiglione su base quadrata


soggetta a peso proprio, ha mostrato che, soprattutto per volte molto
ribassate, il momento flettente è tale da poter essere trascurato, infatti
l’eccentricità, per rapporti freccia/luce inferiori a 1/5, è ovunque compresa
all’interno del nocciolo centrale d’inerzia (si vedano i grafici riportati in
appendice B). Il comportamento strutturale delle volte a padiglione può
quindi essere descritto, con buona approssimazione, attraverso la teoria
membranale classica, secondo la quale la volta viene assimilata ad un
guscio privo di rigidezza flessionale.
Si riportano di seguito i passaggi principali della teoria membranale
classica, opportunamente modificata per tener conto delle condizioni al
contorno in prossimità della diagonale, che consente di ottenere formule
in forma chiusa in grado di definire lo stato di sforzo all’interno della volta
a padiglione.
Si è considerata una generica volta a padiglione su base quadrata.
Se supponiamo che tale volta sia infinitamente estesa nella direzione
delle direttrici, le azioni agenti su un elemento infinitesimo di dimensioni
dx.da e spessore s sono rappresentate dagli sforzi normali nx e nθ e da
quelli tangenziali nxθ e nθx, come indicato in figura 106.
La lunghezza da si può anche scrivere come rdϑ, dove r è il raggio di
curvatura della direttrice e si esprime in funzione di ϑ, ossia dell’angolo
che la perpendicolare all’elemento considerato forma con la verticale.

303
CAPITOLO 4

Fig. 106. Elemento di dimensioni dx.da appartenente ad una generica volta a


padiglione, con evidenziate le azioni interne.

Eseguendo l’equilibrio di un generico elemento appartenente al fuso


lungo l’asse t di un sistema di riferimento intrinseco n,t e x, si ottiene:

dϑ  ∂n  dϑ
− n ϑ ⋅ sen dx −  n ϑ + ϑ r∂ϑ  ⋅ sen dx − g cos ϑ ⋅ rdϑdx = 0 (37)
2  r∂ϑ  2

trascurando l’infinitesimo del secondo ordine e confondendo il seno


dell’angolo con l’angolo stesso, si ottiene:

n ϑ = −g ⋅ r cos ϑ (38)

dove g = γ m ⋅ s .

Dall’equilibrio in direzione n si ottiene:

304
LE VOLTE A PADIGLIONE

dϑ  ∂n  dϑ
− nϑ ⋅ cos dx +  nϑ + ϑ r∂ϑ  ⋅ cos dx − n xϑ ⋅ rdϑ +
2  r∂ϑ  2
(39)
 ∂n 
+  n xϑ + xϑ dx  ⋅ rdϑ + g ⋅ senϑ ⋅ rdϑdx = 0
 ∂x 


Semplificando e assumendo cos ≈ 1 , si ha:
2
∂ n ϑ ∂ n ϑx
+ + g ⋅ sen ϑ = 0 (40)
r∂ϑ ∂x

Infine, eseguendo l’equilibrio lungo la x del sistema di riferimento


locale si ha:

 ∂n   ∂n 
− n x ⋅ rdϑ +  n x + x ∂x  ⋅ rdϑ − n xϑ dx +  n xϑ + xϑ rdϑ  ⋅ dx = 0 (41)
 ∂x   r∂ϑ 

Da cui:

∂n x ∂n xϑ
+ =0 (42)
∂x r∂ ϑ

L’equazione (38) fornisce direttamente nϑ, mentre integrando la (40)


e la (42) si ottiene:

 1 ∂(r cos ϑ) 
n xϑ = g ⋅  ⋅ − senϑ  ⋅ x + c 1 (43)
 r ∂ϑ 

∂n xϑ
n x = −∫ dx + c 2 (44)
r∂ϑ

305
CAPITOLO 4

Poiché in genere le volte a padiglione presentano una direttrice ad


arco di cerchio (o al massimo costituita da una policentrica), si suppone
che r sia costante. Da cui:

n xϑ = −2g ⋅ x ⋅ senϑ + c 1 (45)

Per determinare le costanti di integrazione è necessario imporre delle


condizioni al contorno.
Per simmetria si ha, per x = 0, n ϑx = 0, da cui si ricava c1 = 0; la (45)
diventa quindi:

n xϑ = −2g ⋅ x ⋅ senϑ (46)

ds
n
ω
nX rdϑ

q nXϑ

nϑX

dx

Fig. 107. Elemento triangolare a ridosso della diagonale di una generica volta a
padiglione, con evidenziate le azioni interne.

Sostituendo nxϑ nella (44) e integrando, si ottiene:

306
LE VOLTE A PADIGLIONE

g 2
nx = ⋅ x ⋅ cos ϑ + c 2 (ϑ) (47)
r

Per la determinazione della costante c2(ϑ) è necessario imporre


l’equilibrio in direzione perpendicolare alla diagonale di un generico
elemento triangolare di dimensioni d x ⋅ da 34 (fig. 107).
Dall’equilibrio in direzione normale alla diagonale si ha:

n⊥ ⋅ ds + n x ⋅ rdϑ ⋅ cos ω + nϑ ⋅ dx ⋅ senω − n xϑ ⋅ rdϑ ⋅ senω − nϑx ⋅ dx ⋅ cos ω = 0 (48)

dove:

rdϑ
ds =
cos ω

dx = rdϑ ⋅ tgω

mentre ω è l’angolo indicato in figura 107 e definito nel seguito.


Da cui, semplificando e sostituendo le equazioni ottenute per nxϑ, nϑ
e nx, si ottiene:

1
n⊥ = g ⋅ (− ⋅ x2 ⋅ cos ϑ ⋅ cos2 ω + r ⋅ cos ϑ ⋅ sen2ω +
r (49)
− 2x ⋅ senϑ ⋅ cos ω ⋅ senω − 2x ⋅ senϑ ⋅ senω ⋅ cos ω) − c 2 ⋅ cos2 ω

dove x = r ⋅ senϑ poiché la (4) è verificata solo lungo la diagonale.


Con riferimento alla figura 108, si può inoltre scrivere:

 dϑ 
n ⊥ ⋅ cos ϕ ⋅ ds = 2 ⋅ N ⋅ sen  (50)
 2 
 

dove ϕ, come indicato in figura 109, è l’angolo del diedro, ϑ è l’angolo


che la verticale forma con la retta normale alla diagonale nel punto
considerato, mentre N è la forza che si genera sulla diagonale a causa

307
CAPITOLO 4

della componente di n ⊥ ortogonale alla diagonale stessa (nel piano


verticale).
Le relazioni fra gli angoli ω, ϑ, ϕ e ϑ sono definite di seguito:

dx = rdϑ ⋅ tgω (51)

dx = rdϑ ⋅ cos ϑ (52)

uguagliando:

tgω = cos ϑ (53)

Fig. 108. Sforzi sulla diagonale generati dalla componente di n ⊥ ortogonale alla
diagonale stessa, nel piano verticale.

308
LE VOLTE A PADIGLIONE

Inoltre:

dx ⋅ 2 dx
= (54)
cos ϑ senω

da cui:

cos ϑ = 2 ⋅ senω (55)

A
rdϑ
ω

A' 45° ϑ
D' C
ϕ
90°
D
ϑ 45°
dx

Fig. 109. Elemento triangolare a ridosso della diagonale con indicati gli angoli ω,
ϕ, ϑ e ϑ .

L’angolo ϕ del diedro si ricava attraverso la formula di Carnot:

309
CAPITOLO 4

D' D 2 + DC 2 − D' C 2
cos ϕ = (56)
2 ⋅ D' D ⋅ DC

dove:


D' D = D' B ⋅ senϑ = r ⋅ cos ϑ ⋅ senϑ ⋅ (57)
2

DC = BC ⋅ cos ω = r ⋅ cos ω ⋅ cos ϑ ⋅ dϑ (58)

BC dϑ
D' C = = r ⋅ cos ϑ ⋅ (59)
2 2

da cui:

sen 2 ϑ 1
+ cos 2 ω −
cos ϕ = 2 2 (60)
senϑ
2⋅ ⋅ cos ω
2

Si noti che l’angolo BD̂' C = 90° , infatti:

DB BC ⋅ senω BC
D' B = = = (61)
cos ϑ 2 ⋅ senω 2

poiché D' B̂C = 45° ⇒ BD̂' C = 90°


Sapendo inoltre che ds = rd ⋅ d ϑ e semplificando, la (50) si può
scrivere come:

n ⊥ ⋅ cos ϕ ⋅ rd = N (62)

Sostituendo la (62) nella (49) si ottiene:

310
LE VOLTE A PADIGLIONE

N
= g ⋅ ( −r ⋅ sen 2 ϑ ⋅ cos ϑ ⋅ cos 2 ω + r ⋅ cos ϑ ⋅ sen 2 ω +
cos ϕ ⋅ rd (63)
− 4r ⋅ senϑ ⋅ senϑ ⋅ senω ⋅ cos ω) − c 2 ⋅ cos ω 2

da cui:

c 2 = ( −g ⋅ r ⋅ sen 2 ϑ ⋅ cos ϑ ⋅ cos 2 ω + g ⋅ r ⋅ cos ϑ ⋅ sen 2 ω +


N 1 (64)
− 4gr ⋅ sen 2 ϑ ⋅ senω ⋅ cos ω − )⋅
cos ϕ ⋅ rd cos 2 ω

Dove il raggio della diagonale si ricava come illustrato di seguito:


rdϑ
ds = (65)
cos ω

ds = rd dϑ (66)

uguagliando:

 r  dϑ
rd =  ⋅ (67)
 cos ω  dϑ

esprimendo ϑ in funzione di ϑ , si ha:

   cos ϑ  
ϑ = cos −1 (tan ω) = cos −1 tan sen −1    (68)
   2  
  

    cos ϑ   
dcos −1  tan sen −1   
    2   
dϑ      
=  (69)
dϑ dϑ

311
CAPITOLO 4

r senϑ 1
rd = ⋅ ⋅ ⋅
cos ω
( )
2
2    cos ϑ   
1 −  tan sen −1  
   2 
   
(70)
1 1
⋅ ⋅
  cos ϑ    cos ϑ 
2
cos 2  sen −1  
1−  
  2   2 
    

mentre N vale:

Nv
N= (71)
sen ϑ

dove Nv è la componente verticale di N e si determina attraverso


l’equilibrio verticale globale della struttura:

ϑf

Nv + ∫0 (− g ⋅ r ⋅ cos ϑ f ) ⋅ senϑ f ⋅ r ⋅ cos ϑ ⋅ dϑ + P = 0 (72)

Poiché:

ϑf

P = g ⋅ ∫ r ⋅ (ϑ f − ϑ) ⋅ r ⋅ cos ϑ ⋅ dϑ =
0 (73)
= g ⋅ r ⋅ ϑ f ⋅ senϑ − cos ϑ − ϑ ⋅ senϑ 0 = g ⋅ r ⋅ (1 − cos ϑ f )
2 ϑf 2

si ha:
(
Nv = g ⋅ r 2 ⋅ cos ϑ ⋅ sen2ϑ − (1 − cos ϑ) ) (74)

312
LE VOLTE A PADIGLIONE

In conclusione lo sforzo nx si può scrivere come:

nx =
g
r
( )
⋅ cos ϑ ⋅ x 2 − r 2 ⋅ sen 2 ϑ + gr ⋅ cos 3 ϑ +
(75)
n⊥
− 4rg ⋅ sen 2 ϑ ⋅ cos ϑ −
cos 2 ω

dove:

n⊥ =
(
2gr ⋅ 2 cos ϑ − cos 3 ϑ − 1 ) (76)
1 − cos ϑ
4

La trattazione presentata consente quindi di ricavare formule in forma


chiusa per la determinazione degli sforzi nϑ, nx, e n ⊥ e quindi per la
valutazione della spinta all’imposta e per la determinazione delle trazioni
lungo le diagonali.
Bisogna tuttavia precisare che la soluzione membranale si basa
sull’ipotesi che la superficie funicolare del carico coincida in ogni punto
con la superficie media. Nei paragrafi precedenti è stato dimostrato che
questo si avvicina alla realtà per volte con rapporto freccia/luce inferiore a
1/5, ma si discosta enormemente dalla soluzione esatta per volte con
rapporti freccia/luce maggiori. Questo appare evidente se si considera per
esempio una volta a tutto sesto, per la quale, applicando la teoria
membranale, si ottiene una spinta all’imposta nulla, che evidentemente
rappresenta un paradosso.
Per ovviare a questo problema, alla luce di quanto dimostrato nei
paragrafi precedenti, la spinta orizzontale sui muri perimetrale per una
volta a padiglione andrebbe valutata ad un angolo θ di circa 65°, punto in
cui si potrebbe formare la cerniera plastica.
Nelle figure seguenti sono rappresentati gli andamenti degli sforzi nϑ,
nx, e n ⊥ .

313
CAPITOLO 4

Fig. 110. Andamento degli sforzi nϑ, nx in una generica volta a padiglione su base
quadrata.

n⊥

Fessure

Fig. 111. Andamento degli sforzi n ⊥ lungo la diagonale di una generica volta a
padiglione su base quadrata.

314
LE VOLTE A PADIGLIONE

4.10.2. Schema ad archi

Nell’ottica di studiare la possibilità di adottare schemi di calcolo


semplificati in grado di cogliere le principali problematiche delle volte a
padiglione, appare utile riproporre lo schema ad archi affiancati, impiegato
da numerosi manuali per valutarne la spinta all’imposta, modificandolo per
simulare il comportamento lungo le diagonali e valutandone il limite di
validità e l’efficacia alla luce dei risultati ottenuti nei paragrafi precedenti.
Applicando lo schema ad archi, la volta a padiglione può essere
schematizzata appunto come una serie di archi affiancati non collaboranti
(fig. 112): i fusi fra loro contrapposti si equilibrano sia in chiave, dove i due
archi di cerchio ab e bc si incontrano direttamente, sia lungo le diagonali
dove invece gli archi de ed fg si appoggiano ai punti e ed f. Se si suppone
che gli archi siano soggetti al solo regime membranale e che quindi la
funicolare del carico coincida con la linea media, ipotesi che si avvicina
alla realtà per volte ribassate, allora la forza Fm membranale è sempre
diretta secondo la tangente all’arco ed è centrata nel baricentro (fig. 113).
Inoltre le componenti orizzontali Nx e verticali Vz sono legate dalla
semplice relazione trigonometrica, per la quale si ha:

Vz = Nx ⋅ tgα (77)

dove α è l’angolo che la tangente alla curva forma con il piano orizzontale.
Estraendo dalla struttura i meridiani de e fg e il parallelo ef, il
comportamento statico della volta a padiglione può essere schematizzato
come in figura 114, dove de e fg sono gli archi collegati dal puntone ef, Rx
e Rz sono le reazioni orizzontali e verticali dei vincoli posti agli estremi
degli archi sulla linea d’imposta della volta e p è il peso proprio della
struttura.

315
CAPITOLO 4

Fuso 3
Fuso 1 Fuso 2

b
a c

e f
d g
Fuso 4

Fig. 112. Schema del comportamento ad archi affiancati.

Nx
Fm Vz
α
e

x
imposta
z
d

Fig. 113. Schema semplificato del modello ad archi.

Nello schema presentato il puntone ef non sostiene carichi verticali,


ovvero è in grado di trasmettere solo ed esclusivamente azioni orizzontali
che permettono all’arco de di essere equilibrato orizzontalmente dall’arco

316
LE VOLTE A PADIGLIONE

ef. Mettendo in evidenza l’azione interna Nx trasmessa dal puntone ef, lo


schema statico risulta analogo a quello rappresentato in figura 115 e
quindi, data la simmetria, è possibile prendere in considerazione solo
l’arco de.

Considerando l’arco de, in prossimità della diagonale, coincidente


con l’estremo e dell’arco, la forza Nx, componente orizzontale di Fm, è
equilibrata dall’azione Nx proveniente dal parallelo, mentre la forza Vz,
componente verticale della Fm, sembra non essere contrastata da
nessun’altra forza (fig. 116).

e f

x
d g

p p z

e f

Rx Rx
d g

Rz Rz

Fig. 114. Modello schematico di due archi e del corrispondente puntone.

p Nx Nx Nx Nx p

e f

Rx Rx
d g
x
Rz Rz

Fig. 115. Modello schematico di due archi e del corrispondente puntone con
evidenziate le azioni interne.

317
CAPITOLO 4

Nx

Vz==?
R* ?

Fm

Nx

Fig. 116. Schema del nodo tra il meridiano e il parallelo.

Fig. 117. Rappresentazione delle forze di trazione sulla diagonale.

318
LE VOLTE A PADIGLIONE

La forza Vz, quindi, si scarica sulla diagonale, nella quale, di


conseguenza, si sviluppa una trazione nella direzione parallela alla
diagonale stessa. Secondo questo schema, quindi, la diagonale si
comporta come una fune che contiene la spinta verso l’alto, evitando così
il sollevamento dei due fusi adiacenti (fig. 117).
Per la determinazione delle forze Nx e Vz, componenti della forza
membranale Fm rispettivamente lungo gli assi x e z, si suppone che la
volta sia costituita da una serie di archi affiancati e che tali archi siano in
grado di ruotare attorno al punto d (fig. 118).
Con riferimento alla figura 118, per l’equilibrio alla rotazione di ogni
arco attorno al punto d si ha:

Σ Md= Vz ⋅ (l- xe) + P ⋅(l - xG ) – Nx ⋅ ze = 0 (78)

dove P è la risultante della forza peso applicata nel baricentro dell’arco, xe


e ze sono le coordinate del punto e di applicazione della forza Fm e xG è la
coordinata del baricentro dell’arco considerato secondo il sistema di
riferimento indicato in figura 118.
Le due componenti di Fm, Nx e Vz, sono legate dall’espressione:

Vz
Nx = (79)
tgα

La forza Vz vale quindi:

P ⋅ (l − x G )
Vz = (80)
ze
− (l − x e )
tgα

Conoscendo il valore di Vz si può ricavare il valore di Nx attraverso la


relazione (79).

Applicando lo schema ad archi presentato ad una volta ribassata con


rapporto freccia luce pari ad 1/5, che abbiamo visto essere il limite sotto il
quale il comportamento può essere assimilato, con buona

319
CAPITOLO 4

approssimazione, a quello di una membrana, si ottengono per la forza Vz


e per la spinta Rx i grafici riportati rispettivamente nelle figure 119 e 120.

l - Xe Xe

Fm
VR*z
P
α Nx
e

G Ze

z
d
x
l - XG XG
l

Fig. 118. Schema ad arco impiegato nell’equilibrio dei momenti.

320
LE VOLTE A PADIGLIONE

Andamento della forza Rx

70

60

50 x
40

Nx [kg]
30
Nx
20

10

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]

Fig. 119. Grafico delle forze Nx calcolate attraverso lo schema ad archi per volte
con rapporto freccia/luce pari a 1/5.

Andamento della forza Vz

45
40
35
x
30
Vz [kg]

25
20
15 Vz
10
5
0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]

Fig. 120. Grafico delle forze Vz calcolate attraverso lo schema ad archi per volte
con rapporto freccia/luce pari a 1/5.

321
CAPITOLO 4

4.11. Considerazioni sulla validità dei modelli semplificati

La trattazione sui meccanismi che si generano nelle volte a


padiglione ha fatto emergere alcuni aspetti del loro comportamento
strutturale finora sconosciuti.
Si è infatti dimostrato che all’interno delle volte a padiglione, in
seguito alle lesioni lungo le diagonali e al centro del fuso, si sviluppano
delle flessioni importanti nella porzione di volta in prossimità dell’imposta
e che, in seguito alla ridistribuzione degli sforzi, tali flessioni si estendono
anche nel resto del fuso.
Gli sforzi flessionali, tuttavia, tendono a ridursi al diminuire del
rapporto freccia/luce; si è infatti osservato che, per volte con un rapporto
freccia/luce inferiore a 1/5, la flessione interessa solo un breve tratto nella
porzione inferiore della volta.
Ciò ha suggerito di riprendere la teoria membranale classica,
ovviamente adattandola alle volte a padiglione per tener conto delle
condizioni lungo le diagonali, e lo schema ad archi, anch’esso rielaborato
e riadattato alla tipologia di volte studiate, al fine di valutarne la
correttezza ed eventualmente il campo di validità e di fornire così utili
schemi semplificati, sicuramente meno rigorosi e precisi rispetto alla
teoria presentata nel paragrafo 4.7, ma più immediati e rapidi da
applicare.
Per quanto riguarda la teoria membranale classica, come si può
osservare dal grafico in figura 121, gli sforzi lungo i meridiani, per volte
con un rapporto freccia/luce inferiore a 1/5, coincidono con quelli ottenuti
dalla teoria basata sull’analisi limite per quasi tutto lo sviluppo della volta.
La conoscenza delle forze che agiscono lungo i meridiani è un elemento
essenziale in un eventuale intervento di consolidamento, in quanto la
componente orizzontale di tali forze rappresenta la spinta esercitata dalle
volte sulle murature perimetrali.

322
LE VOLTE A PADIGLIONE

Sforzi meridiani al centro del fuso

1,2
S o ttimizzato (f=3m)
1
S o ttimizzato (f=2m)

0,8 S o ttimizzato (f=1,5m)

[kg/cmq]
S o ttimizzato (f=1,2m)
0,6
S prima della
fessurazio ne (f=3m)
0,4
S prima della
fessurazio ne (f=2m)
0,2 S prima della
fessurazio ne (f=1,5m)
S prima della
0 fessurazio ne (f=1,2m)
0 1 2 3 4
x [m ]

Fig. 121. Grafico, per diversi rapporti freccia/luce, del confronto fra gli
sforzi meridiani calcolati al centro del fuso con la teoria basata sull’analisi
limite e con quella membranale.

La spinta valutata attraverso la teoria membranale rimane costante


lungo tutta l’imposta, infatti la formula non è funzione della coordinata x,
ma solo del raggio e dell’angolo ϑ:

R x = n ϑ ⋅ cos ϑ = −g ⋅ r cos 2 ϑ (81)

Questo andamento ricalca quello ottenuto attraverso le teorie più


raffinate ed è giustificabile, come già chiarito in precedenza, dal fatto che
nel piano del fuso si creano degli archi naturali di scarico che
trasferiscono parte del carico dal centro della volta verso le diagonali.
I grafici riportati nelle figure 122, 123, 124 e 125 mostrano il
confronto fra la spinta all’imposta valutata con la teoria basata sull’analisi
limite e quella valutata con la teoria membranale per diversi valori del
rapporto freccia/luce. Come si può osservare, l’entità della spinta trovata
attraverso la teoria membranale fornisce valori accettabili per volte con un

323
CAPITOLO 4

rapporto freccia/luce inferiore ad 1/4, ma, per volte con rapporti


freccia/luce maggiori la teoria membranale fornisce valori estremamente
bassi, fino al caso limite delle volte a tutto sesto, nelle quali l’angolo
all’imposta è pari a 90° e perciò la spinta all’imposta risulta addirittura
nulla. Questo, evidentemente, rappresenta un paradosso dovuto al fatto
che la soluzione membranale si basa sull’ipotesi che la funicolare del
carico coincida in ogni punto con la linea media della volta. Tale
assunzione si è però dimostrata vera solo per volte molto ribassate (con
rapporti freccia/luce inferiore a 1/5-1/4), per le quali infatti la spinta
calcolata con la teoria membranale risulta accettabile.
Bisogna tuttavia sottolineare il fatto che, come è noto, per valutare gli
sforzi nella volta attraverso la teoria membranale, sarebbe necessario
considerare, non la superficie media, ma quella funicolare del carico, che,
come ampiamente discusso, può risultare di difficile determinazione. La
soluzione ottimale consiste nel considerare la superficie media per volte
con rapporto freccia/luce inferiore ad 1/4 e utilizzare alcuni semplici
accorgimenti per la valutazione della spinta per volte con rapporti
freccia/luce superiori. Alla luce delle conoscenze acquisite tramite lo
studio effettuato, si può infatti affermare che la spinta orizzontale
all’imposta, per volte con rapporto freccia/luce superiore a 1/4, non va
valutata all’imposta, ma nel punto, lungo lo spicchio considerato, in cui
l’eccentricità è massima e quindi nel punto in cui, plausibilmente, si
potrebbe formare una cerniera. Dallo studio presentato nel paragrafo 4.7
si è osservato che l’eccentricità, per volte a tutto sesto, corrisponde ad un
angolo ϑ di circa 65°, tuttavia si è anche visto che la spinta, per ϑ
superiori a circa 52°, rimane costante (fig. 82 a pagina 79). Questo
significa che, per valutare la spinta nel punto in cui l’eccentricità è
massima, basta determinarla nel punto in cui iniziano a svilupparsi le
lesioni nella direzione dei meridiani (per ϑ=52°).
Il grafico in figura 126 mostra il confronto fra la spinta valutata con la
teoria basata sull’analisi limite e quella valutata con la teoria membranale
a 52° per una volta a tutto sesto. Appare evidente che le due spinte sono
molto simili, infatti la soluzione membranale, rielaborata alla luce delle
conoscenze acquisite, fornisce valori che differiscono da quelli ottenuti

324
LE VOLTE A PADIGLIONE

con la teoria basata sull’analisi limite solo di circa il 10%. La piccola


differenza registrata è dovuta al fatto che applicando la teoria basata
sull’analisi limite, in seguito alla fessurazione, si verifica una
ridistribuzione degli sforzi che porta ad una lieve riduzione della spinta.

Spinta orizzontale all'imposta


per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/2
y
600

500

400
[kg/m]

300 spinta da analisi limite


(f=3m)

200
spinta da teoria
membranale (f=3m)
100

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 122. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla teoria basata
sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/2).

325
CAPITOLO 4

Spinta orizzontale all'imposta


per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/3
y
600

500

400
[kg/m]

300 spinta da analisi limite


(f=2m)
200
spinta da teoria
membranale (f=2m)
100

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 123. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla


teoria basata sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/3).

Spinta orizzontaleall'imposta
per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/4
y
600

500

400
[kg/m]

300 spinta da analisi


limite(f=1,2m)

200
spinta da teoria
100 membranale (f=1,5m)

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 124. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla teoria basata
sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/4).

326
LE VOLTE A PADIGLIONE

Spinta orizzontaleall'imposta
per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/5
y
600

500

400

[kg/m]
300 spinta da analisi limite
(f=1,2m)

200
spinta da teoria
membranale (f=1,2m)
100

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 125. Confronto fra la spinta orizzontale all’imposta ottenuta dalla


teoria basata sull’analisi limite e dalla teoria membranale (f/l=1/5).

Spinta orizzontale lungo i muri d'ambito


per volte con rapporto freccia/luce pari ad 1/2
y
600

500

400
[kg/m]

300
spinta da analisi limite
(f=3m)
200

100
spinta da teoria
membranale valutata
0 nel a 52° (f=3m)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 126. Confronto fra la spinta orizzontale ottenuta dalla teoria basata
sull’analisi limite e la spinta valutata ad un angolo ϑ pari a 52° applicando
teoria membranale (f/l=1/2).

327
CAPITOLO 4

La teoria membranale consente inoltre di ottenere lo stato di sforzo


lungo la diagonale e, in particolare, risulta interessante e di grande utilità
ai fini pratici la conoscenza delle azioni indicate con n ⊥ , che
rappresentano gli sforzi perpendicolari alla diagonale stessa.
La teoria membranale fornisce valori di n ⊥ positivi, ossia di
compressione, per un angolo ϑ minore di 51°,83, mentre restituisce valori
negativi, ossia di trazione, per un angolo ϑ maggiore di 51°,83,
coerentemente con quanto ottenuto dalle analisi ad elementi finiti e dalla
teoria basata sull’analisi limite.
Concludendo, quindi, la teoria membranale, pur essendo meno
rigorosa rispetto alla procedura basata sull’analisi limite presentata nel
paragrafo 4.7., risulta comunque un valido strumento, semplice e
immediato, per la valutazione di quegli elementi che possono risultare utili
in un intervento di consolidamento: essa riesce infatti a cogliere in
maniera precisa il comportamento strutturale delle volte a padiglione per
rapporti freccia luce inferiori a 1/5-1/4. È però necessario precisare che la
pedissequa applicazione della teoria membranale porterebbe, per volte
con rapporti freccia/luce superiori a 1/4, a risultati poco realistici, tuttavia,
come è stato dimostrato, un più attento e consapevole utilizzo di questo
strumento, rielaborato alla luce di quanto emerso nel presente lavoro, può
condurre a risultati validi e precisi.
Lo schema ad archi, invece, si discosta sostanzialmente dai risultati
ottenuti attraverso l’applicazione dell’analisi limite e delle analisi ad
elementi finiti. La spinta all’imposta ricavata attraverso lo schema ad
archi, infatti, ha un andamento massimo in centro e nullo lungo la
diagonale; questo indica chiaramente che nello schema ad archi viene
trascurata l’interazione tra archi affiancati, così importante in questo tipo
di volte, e quindi anche l’effetto guscio che si viene a creare nei fusi.

328
LE VOLTE A PADIGLIONE

Spinta orizzontale all'imposta


(rapporo freccia/luce pari a 1/5)

700

600
x
500
Spinta da
[kg/m] 400
modello
ad archi
300
Spinta da
200 analisi
limite
100

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m]

Fig. 127. Confronto fra la spinta orizzontale ottenuta dalla teoria basata sull’analisi
limite e la spinta ottenuta con lo schema ad archi affiancati, per una volta con
rapporto freccia/luce pari a 1/5.

In aggiunta, attraverso lo schema ad archi, nonostante venga colto il


problema lungo la diagonale, non è possibile individuare le reali cause
che portano alla sua fessurazione e quindi nemmeno l’entità degli sforzi di
trazione che generano tali lesioni.
Tuttavia, come si può osservare dal grafico in figura 127, se si
considera una volta con rapporto freccia/luce pari a 1/5, per la quale si è
visto che il regime di sforzo prevalente è di tipo membranale, gli integrali
della spinta all’imposta ottenuti con lo schema ad archi e con la teoria
basata sull’analisi limite, risultano praticamente identici.
Si può quindi concludere dicendo che, nonostante lo schema ad
archi abbia finora costituito un punto di riferimento nella valutazione degli
sforzi nelle volte a padiglione, e in particolare per la determinazione delle
spinte, alla luce dello studio presentato, si ritiene che una simile
schematizzazione, non tenendo conto dell’interazione tra archi attigui, non
sia in grado di cogliere il comportamento strutturale di queste volte, ma

329
CAPITOLO 4

possa solamente essere impiegato, eventualmente, per un primo


approssimativo approccio per l’individuazione delle forze in gioco in volte
fortemente ribassate.

4.12. Conclusioni

Le indagini effettuate hanno consentito di ottenere un duplice


risultato: da un lato è stato possibile far luce sul comportamento
strutturale delle volte a padiglione, le quali, probabilmente per la
complessità dei meccanismi che si generano al loro interno, finora non
erano mai state analizzate in maniera esaustiva e, dall’altro, il confronto
fra le analisi ad elementi finiti in campo non lineare e i risultati ottenuti
attraverso la teoria basata sull’analisi limite, hanno permesso di verificare
l’efficacia e la validità della teoria presentata, anche per volte complesse,
quali appunto le volte a padiglione.
Le evidenti difficoltà insite nello studio tridimensionale di volte
complesse attraverso schemi semplificati ha portato spesso gli studiosi ad
assimilare tali volte ad una serie di archi affiancati non interagenti, tuttavia
in alcuni tipi di volte, come per esempio nelle volte a padiglione,
particolarmente complesse a causa delle discontinuità lungo le diagonali,
si sviluppano effetti tridimensionali che incidono in maniera sostanziale sul
loro comportamento strutturale e che, per questo motivo, non possono
essere trascurati.
Attraverso analisi ad elementi finiti in campo non lineare, sarebbe
possibile valutare lo stato di sforzo all’interno delle volte, tuttavia tali
analisi richiedono spesso tempi troppo lunghi e quindi incompatibili con le
esigenze di un intervento di consolidamento, sia perché possono dar
luogo a problemi di convergenza, sia per le evidenti difficoltà
nell’interpretazione e nell’estrapolazione dei risultati, che richiedono la
creazione di un sistema di riferimento intrinseco ad ogni elemento.
Per questi motivi risulta di estrema importanza la possibilità di
definire modelli di calcolo di semplice interpretazione, in grado di simulare

330
LE VOLTE A PADIGLIONE

in maniera precisa e rigorosa, ma allo stesso tempo rapida, il


comportamento strutturale delle volte complesse.
Nel presente lavoro, grazie all’applicazione della teoria basata
sull’analisi limite alle volte a padiglione, è stato possibile individuare
attraverso una procedura computazionale relativamente semplice e
facilmente ripetibile per qualsiasi tipo di volta, la superficie delle pressioni
per le volte oggetto di studio e, di conseguenza, è stato possibile valutare
in maniera puntuale e rigorosa lo stato di sforzo nella struttura.
I risultati ottenuti attraverso la teoria presentata si sono mostrati
perfettamente coincidenti con quelli ottenuti attraverso le analisi ad
elementi finiti eseguite in campo non lineare, sottolineando così l’efficacia
della teoria presentata ed evidenziandone la flessibilità e la possibilità di
una sua valida applicazione a qualsiasi tipo di volta.
Grazie alla chiarezza dei risultati ottenuti attraverso l’applicazione
della teoria basata sull’analisi limite, è stato possibile cogliere i molteplici
aspetti del comportamento strutturale delle volte a padiglione.
Innanzitutto si è potuto notare che lungo le diagonali delle volte a
padiglione si sviluppano, nella fascia inferiore della volta, degli sforzi di
trazione perpendicolari alle diagonali stesse. Tali sforzi costituiscono la
causa delle fessure passanti, localizzate lungo le diagonali e a volte
anche al centro del fuso, che sovente interessano questo tipo di volta. Si
è inoltre dimostrato che queste lesioni, spesso imputate ai cedimenti dei
muri perimetrali, si sviluppano anche in volte vincolate rigidamente.
Un altro elemento di estrema importanza in un eventuale intervento
di consolidamento è la spinta orizzontale all’imposta; lo studio eseguito ha
permesso di comprendere che l’andamento di tale spinta non è massimo
al centro del fuso e nullo agli spigoli, come riportato in letteratura, ma
risulta pressoché costante, in quanto nel piano del fuso, anche dopo la
formazione di lesioni lungo le diagonali, si sviluppa un effetto guscio che
si manifesta attraverso la formazione di archi naturali di scarico in grado di
far defluire parte del carico verso le diagonali.
L’individuazione della posizione della superficie funicolare del carico
ha consentito, inoltre, di valutare l’entità dei momenti e degli sforzi di
taglio perpendicolari alla superficie della volta, responsabili dei possibili

331
CAPITOLO 4

meccanismi di scorrimento tra i conci. Si è potuto perciò notare che, al


diminuire del rapporto freccia/luce, tali momenti e tali componenti
tangenziali si riducono e che, quindi, lo stato di sforzo interno alla volta,
per volte ribassate, tende ad avvicinarsi alla soluzione membranale.
Alla luce di quanto acquisito circa il comportamento strutturale delle
volte a padiglione, sono quindi stati riproposti metodi di calcolo
semplificati, quali per esempio la teoria membranale e lo schema ad archi,
al fine di verificarne il limite di validità.
La teoria membranale, pur essendo meno precisa rispetto alla
procedura basata sull’analisi limite, risulta comunque un valido strumento,
semplice e immediato, per la valutazione di quegli elementi che possono
risultare utili in un intervento di consolidamento; in particolare si è
osservato che essa riesce a cogliere il comportamento strutturale delle
volte a padiglione con rapporti freccia/luce inferiori a 1/4, mentre per
rapporti freccia/luce superiori, l’applicazione rigorosa di tale teoria
fornirebbe risultati poco realistici. Tuttavia, alcuni semplici accorgimenti
nella valutazione della spinta all’imposta, suggeriti dalla trattazione
presentata in questo lavoro, consentono di ottenere validi risultati,
estremamente utili negli interventi di recupero strutturale,
indipendentemente dalla freccia della volta.
Lo schema ad archi, invece, si discosta dai risultati ottenuti attraverso
l’applicazione dell’analisi limite e delle analisi ad elementi finiti e perciò,
nonostante esso abbia finora costituito un punto di riferimento nella
valutazione degli sforzi nelle volte a padiglione, e in particolare per la
determinazione delle spinte, alla luce dello studio presentato, si ritiene
che una simile schematizzazione non sia in grado di cogliere il
comportamento strutturale di queste volte, ma possa solamente essere
impiegato, eventualmente, per un primo approssimativo approccio per
l’individuazione delle forze in gioco in volte fortemente ribassate.

332
LE VOLTE A PADIGLIONE

4.13. Bibliografia

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333
CAPITOLO 4

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Dipartimento di Ingegneria Civile, 1996.
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Il Polifilo, Milano 1968.
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334
LE VOLTE A PADIGLIONE

ƒ Milizia F., Principi di architettura civile (1785), a cura di Antolini G.,


Gabriele Mazzotta editore, Milano 1972.
ƒ Palladio A., I quattro libri dell’architettura (1570), a cura di Magagnato
L. e Marini P., Edizioni Il Polifilo, Milano 1980.
ƒ Portioli F., Foraboschi P. e Landolfo R., Comportamento strutturale di
volte a padiglione con e senza rinforzi in FRP, in “Costruire in laterizio”,
n.95, 2003.
ƒ Protti E., Archi, volte, scale nella moderna edilizia, Edizioni tecniche
utilitarie, Bologna 1935.
ƒ Rondelet J. B., Trattato teorico e pratico dell’arte di edificare, a cura
di Basilio Soresina, Tomo II, seconda parte, Tomo III, Editrice coi tipi di L.
Caranenti, Mantova 1831.
ƒ Scamozzi V., l’idea dell’architettura universale (1615), Ridgewood:
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ƒ Scurati Manzoni P., L’architettura romana dalle origini a Giustiniano,
Guerini Studio, Milano 1991.
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vaults: limit state analysis with finite friction, keynote in the VI International
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dell’insigne accademia di S. Luca (1831), Editorgrafica, Roma 1992.
ƒ Vitruvio, I dieci libri dell’architettura, a cura di Daniele Barbaro,
Edizioni Il Polifilo, Milano 1987.

NOTE:

1
D’Ayala D., Casapulla C., 2001.
2
Lugli G., 1957, 688.
3
Scurati Manzoni P., 1991, 429, 432.
4
Ivi, 432.
5
Alberti L. B., 1989, 240.
6
Palladio A., 1980, 73.

335
CAPITOLO 4

7
Ibidem.
8
Scamozzi V., 1982, 321.
9
Ivi, 309.
10
Ivi, 321.
11
Ivi, 320.
12
Valadier G., 1992, 11.
13
Ivi, 278-279.
14
Il termine “svelte”, più volte ripetuto dall’autore, è un termine dialettale che
significa alte.
15
Guarini G., 1968, 284.
16
Ibidem.
17
Milizia F., 1972, 519.
18
Castigliano A., 1882, 39.
19
Levi C., 1932, 300.
20
Curioni G, 1970, 376, 377.
21
Breymann G. A., 1885, 43, 44, 45.
22
L’aggraziatura, come già specificato nel capitolo 2 della prima parte di
questo lavoro, è costituita da uno strato di terra fine o sabbia, posto sulla
superficie lignea in modo da eliminare le irregolarità tra i giunti delle assi.
8
G. Astrua, 1996, 147, 148.
23
Protti E., 1935, 83-84.
24
Protti E., 1935, 98 e Breymann G. A., 1995, 88.
25
lo studio citato costituisce la tesi di laurea dell’autrice del presente lavoro, in
seguito pubblicata come Tecnical report presso l’Università degli Studi di Brescia
nel 2002.
26
Cigni G., 1978.; Defez A. 1991; Giuffrè A., 1996; Cangi, 2004 e molti altri.
27
Cigni G., 1978, 223.-225.
28
Cangi G., 2005.
29
Parte dei risultati di questo lavoro saranno presentati al Convegno
Internazionale SACH, che si terrà a Bath nel 2008 (Tomasoni E., D’Ayala D.,
2008).
30
Hendry, 1986.
31
Scamozzi V., 1982, 321.
32
Palladio A., 1980, 73.
33
Guarini G., 1968, 284.
34
Alcuni testi, fra cui Flugge W., 1973, determinano la costante c2 attraverso
l’equilibrio in direzione tangente alla diagonale. Nel presente lavoro tale costante è
valutata, invece, attraverso l’equilibrio in direzione normale alla diagonale, infatti
questo metodo risulta più semplice e immediato.

336
5. LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

5.1. Introduzione

Le volte in muratura vengono frequentemente assimilate a gusci in


cui il regime flessionale è secondario rispetto a quello membranale.
Questo è vero perché spesso, nell’edilizia storica, all’estradosso delle
volte è presente un riempimento pesante e incoerente, costituito
generalmente da materiale di risulta del cantiere, in grado di far rientrare
la curva delle pressioni all’interno dello spessore della volta stessa e di
abbattere il regime flessionale che può instaurarsi in una volta in
muratura.
Tale riempimento, tuttavia, pur contribuendo a limitare la flessione
nell’arco, può risultare spesso troppo gravoso per la struttura voltata, in
quanto, in seguito a modifiche di destinazione d’uso con conseguente
aumento dei carichi variabili o in seguito ad azioni orizzontali causate dal
sisma, potrebbe portare ad un eccessivo aumento del carico e delle
spinte orizzontali sui piedritti, con conseguente sfiancamento della
struttura voltata alle reni.
Attualmente, negli interventi di restauro dell’edilizia storica si tende
quindi a sostituire tale riempimento incoerente con materiale leggero e
coesivo o con frenelli, che funzionano come diaframmi in grado di far
lavorare l’arco a compressione anche in condizioni di carico sfavorevoli
come quelle di carico concentrato o asimmetrico.
L’esigenza di ridurre il carico verticale agente sulle volte pur
garantendo la loro stabilità flessionale ha guidato il presente lavoro verso
lo studio degli effetti dell’interazione tra il materiale di riempimento e la

337
CAPITOLO 5

volta. In particolare il presente capitolo ha come obiettivo la valutazione


dell’efficacia di un intervento di sostituzione del materiale di riempimento
con frenelli e lo studio del contributo offerto dai frenelli stessi
all’abbattimento del regime flessionale.
Per raggiungere questo scopo si è partiti da un’approfondita indagine
sulle tecniche costruttive impiegate in passato e sulle diverse tipologie di
riempimento utilizzate per le volte storiche in muratura, aspetto
fondamentale per poter poi progettare metodi di intervento efficaci e allo
stesso tempo compatibili con le strutture storiche. Sulla base delle
conoscenze acquisite, si è quindi proceduto a mettere in opera un
modello sperimentale per lo studio di un irrigidimento estradossale da
applicare alle volte antiche in muratura costituito da frenelli che, a
differenza del terreno o di altri materiali normalmente utilizzati come
riempimento, da un lato consente di alleggerire la struttura riducendo il
sovraccarico gravante sulla volta e dall’altro permette di realizzare una
struttura sufficientemente rigida da poter assorbire la flessione dell’arco.
Dall’analisi dei risultati ottenuti da prove di carico sul modello
sperimentale, si è cercato di chiarire i meccanismi che si instaurano
nell’arco e nelle volte irrigidite con frenelli in seguito all’applicazione di
azioni eccentriche.
In un precedente lavoro di ricerca, condotto presso l’Università degli
Studi di Brescia, era stato proposto un riempimento realizzato in
calcestruzzo additivato con polistirolo, leggero ma sufficientemente rigido
da poter garantire una certa rigidezza flessionale: verranno qui presentati
i confronti fra i risultati ottenuti dalle due prove sperimentali al fine di
valutare l’intervento di consolidamento più valido ed efficace per limitare
la flessione nelle strutture voltate.

338
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

5.2. Inquadramento storico

Uno degli aspetti legati alla costruzione delle volte del quale si
occuparono, seppur in maniera marginale, già gli architetti del passato
riguarda la realizzazione di un adeguato riempimento, in grado di
garantire, da un lato, la stabilità flessionale della volta e, dall’altro, il minor
aggravio possibile sulle strutture di sostegno.
Sebbene i termini rinfianco e riempimento vengano spesso confusi,
essi costituiscono due parti ben distinte della volta: mentre il rinfianco è
realizzato in muratura, è generalmente costruito contemporaneamente
alla struttura voltata e, dal punto di vista strutturale, essendo collocato alle
reni, si può considerare ancora parte dei piedritti, il riempimento è
costituito da materiale incoerente, spesso di risulta, ed è posizionato al di
sopra dell’arco (fig. 1).
Il materiale con cui è realizzato il riempimento è quasi sempre un
conglomerato di qualità più scadente rispetto a quello dell’arco, ma
nonostante questo la sua presenza garantisce l’assorbimento di
sollecitazioni alle quali l’arco da solo non sarebbe in grado di resistere.

Riempimento

Rinfianco

30°

Fig. 1. Rappresentazione schematica del rinfianco e del riempimento.

339
CAPITOLO 5

Il riempimento quindi, collocato al di sopra dell’arco o della volta,


porta ad un aumento del carico verticale sulla struttura, causando spesso
una notevole spinta sui piedritti, tuttavia, la sua funzione non è solo legata
alla creazione di un piano orizzontale su cui posizionare il pavimento, ma
è soprattutto quella di limitare lo sviluppo di sforzi flessionali.
Una soluzione suggerita da alcuni trattatisti per limitare il peso del
rinfianco pur garantendo un’adeguata rigidezza, già citata dall’Alberti1 e
ripresa in seguito da Francesco di Giorgio Martini2, consiste nel riprendere
l’antica tradizione di origine romana di alleggerimento con olle laterizie
(fig. 2). Oltre a questa tecnica, Francesco di Giorgio Martini aggiunge la
possibilità di impiegare degli archetti voltati nello spazio compreso tra la
curvatura della volta e i muri su cui appoggia, affermando che
all’estradosso delle volte l’irrigidimento può essere realizzato “anco con
archetti volti senza riempire, lasciando la sua vacuità. E quando da
riempire fosse, di carboni si riempia. Sopra de quali i pianciti fatti saranno.
E anco di pomice”3. È individuabile in tale azione costruttiva, una
continuità con la pratica medievale che proponeva controvoltine
posizionate all’estradosso delle strutture voltate maggiori (fig. 3).

Fig. 2. Tecnica di alleggerimento Fig. 3. Disegno, risalente al 1866, delle


con olle laterizie. (Di Giorgio controvoltine di alleggerimento delle navate
Martini F., 1967, tav. 39) laterali della Basilica di Sant’Ambrogio a
Milano. (Gatti Perer M., 1995, 180)

340
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Verso la fine del XVI secolo l’architetto lombardo Pellegrino Tibaldi


nella sua opera L’architettura, esordisce affermando che “le volte si
devono far legiere. Sono laudate quelle di tufo, perché essendo loro
piene, vaporosi e pregne di vacuo, si rendono legieri. In li gran ripieni
come sono li fianchi si faccino a voltarelle, che nominiamo volte occulte e
sordelle, overo porvi delle voltine e vasi grandi di tera cotta, lasciandoli
pieni di aria, poi sopra si po’ paregiar di muro”4. Le volte di minor luce
avranno i rinfianchi non costituiti da voltine di sostegno, ma “solo de
mattoni posti o in piedi o in piano e che tutti vadino al centro”5.
Tibaldi quindi, in accordo con i trattatisti a lui precedenti, conviene
sulla necessità della leggerezza delle volte, ma l’aspetto interessante
consiste nel fatto che, come Francesco di Giorgio Martini, egli suggerisce
la costruzione di rinfianchi alleggeriti, consigliando l’impiego di sordelle,
un termine lombardo che indica le voltine in muratura costruite fin
dall’epoca medievale, esistenti lungo tutte le navate laterali di importanti
costruzioni, tra l’estradosso della volta e l’intradosso del pavimento
superiore.
La conoscenza delle controvolte è sicuramente sopravvissuta al
periodo medievale: nel capitolato per le opere in muratura del Cortilone
della Ca’ Granda a Milano, già nella prima metà del ‘600, è prevista la
costruzione di volte dette sordine6, intendendo quasi sicuramente, con
questo termine, le piccole volte nascoste all’estradosso delle strutture
principali. Tali strutture assolvevano probabilmente ad una duplice
funzione, cioè risparmiare il materiale di riempimento, specialmente per
volte con grande monta, e sostenere il pavimento o la copertura posata
superiormente7.
Un sistema di volte e controvolte è stato rinvenuto per esempio
durante i lavori di restauro del convento di San Faustino a Brescia, in una
parte dell'ala del dormitorio costruito nella prima metà del ‘5008. Si tratta
di una struttura costituita da ampie volte lunettate sormontate da volte a
sesto ribassato sulle quali poggia il pavimento del primo piano. Tale
assetto divide il piano terreno che ospitava il refettorio, la sala capitolare e
la sacrestia dal dormitorio del piano superiore ed è probabilmente stato

341
CAPITOLO 5

concepito per limitare il riempimento della volta lunettata e quindi


alleggerire la struttura (fig.4).

Fig. 4. Sezione trasversale della volta lunettata del refettorio del complesso di San
Faustino a Brescia. All’estradosso si possono notare delle controvolte di
alleggerimento. (Mezzanotte G. 1997, 84)

Vincenzo Scamozzi, oltre a ribadire nuovamente l’efficacia della


tecnica di riempimento romana rispetto alle volte contemporanee in
muratura, suggerisce una soluzione alternativa più economica che
consiste in un riempimento eseguito con “carboni di legno fortissimo, posti
per ordine, e bene ammassati, perché essi sono di estrema leggierezza, e
lievano ogni humidità, e si conservano come eterni” 9. Si tratta di una
soluzione già esposta negli scritti di Francesco di Giorgio Martini, anche
se, in questa sede, oltre alla leggerezza ne viene riconosciuto
esplicitamente l’importante ruolo deumidificativo.
Anche il trattatista veneto quindi indica l’utilità di realizzare un
riempimento leggero, ma aggiunge, per la prima volta, l’importante
distinzione tra il rinfianco e il riempimento chiarendo che “I fianchi delle

342
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

volte sono quelli, che si trovano fra i piedi e la groppa, o schiena, e perché
quanto più è aggravata la volta, tanto maggiormente i fianchi spingono
fuori le spalle delle mura: e perciò vogliono esser da ambe le parti molto
gagliarde, forti e sicure: per il che è da avvertire che da’ piedi fino a’
fianchi le volte si possono fare di buona grossezza, e unirla bene con le
muraglie; ma d’indi in su verso la schiena della volta bisogna andare
molto riservati, e farle assai leggiere, e di buonissima materia: essendo
che quanto più peso hà la schiena della volta; tanto maggior fatica ella
accresce a’ fianchi, i quali con molta forza, e violenza spingono verso le
spalle”10.
Il suggerimento si rivela ancora più interessante se si considera che
è cronologicamente vicino alla pubblicazione degli studi dei matematici
francesi della seconda metà del Seicento, i quali non tarderanno molto a
definire il meccanismo di rottura e il ruolo dell’attrito nella statica di archi e
volte. Infatti, mentre fino al XVI secolo le indicazioni dei trattatisti e la
produzione letteraria erano prevalentemente orientate verso la pratica
costruttiva, a partire dalla prima metà del XVII secolo iniziano a
comparire le prime teorie statiche e si comincia a comprendere la
necessità strutturale di riempire le volte, dai piedritti fino alle reni, con
muratura in grado di rinfiancare e opporre resistenza alla spinta.
Per dare maggiore sicurezza alla volta, generalmente si eseguiva un
rinforzo nella zona delle reni, che consisteva in un raddoppio dello
spessore ben connesso alla volta dell’intradosso e spesso, per ridurre la
massa agente sulla volta, tale rinforzo, eseguito successivamente
all’esecuzione della volta inferiore, poteva proseguire per l’intero
estradosso presentando una o più riseghe (fig.5).
Era inoltre diffuso l’uso di un espediente strutturale, adottato per
esempio nelle volte cinquecentesche del piano terreno del Conservatorio
di Santa Caterina della Rosa (Roma), in cui, in corrispondenza di una
tramezzatura che grava sulla volta, era stato posto un arcone in mattoni,
parzialmente inglobato nello spessore della volta stessa, con funzione di
rinforzo e di ridistribuzione del carico accidentale ai muri del piedritto11
oppure la soluzione, rinvenibile in una volta a ombrello posta a copertura

343
CAPITOLO 5

di una sala al pianterreno appartenente al complesso di Santa Chiara a


Brescia, in cui sono stati realizzati dei costoloni di rinforzo (fig. 6).

Fig. 5. Volta a botte estradossata in cui sono chiaramente visibili i ringrossi del
rinfianco. (De Cesaris, 1996, .89)

Fig. 6. Particolare dei costoloni di rinforzo della volta a padiglione posta al piano
terreno del complesso di San Faustino a Brescia.

344
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Anche il teorico Francesco Milizia nel suo trattato I Principi di


Architettura Civile scrive: “si è veduto che le lesioni delle volte succedono
sempre ai reni, perché ivi la parte superiore esercita il maggior sforzo
della sua spinta. Dunque dà piedritti fino alle reni le volte vanno riempite
di muratura, la quale rinfianchi e opponga resistenza alla spinta”12. La
constatazione di tipo statico è esatta come pure la soluzione ipotizzata dal
Milizia che propone un rinfianco in materiale laterizio di dimensioni tali da
raggiungere le reni. Il materiale di riempimento non viene preso in
considerazione, in quanto, presumibilmente, non ne viene riconosciuto
ancora il ruolo strutturale.
In alternativa al ringrosso pieno e al riempimento di materiali
incoerenti, Rondelet descrive una tipologia costruttiva mai accennata
prima nella trattatistica, anche se probabilmente assai utilizzata nella
pratica costruttiva, consistente nella posa in opera di muriccioli in
materiale laterizio, posti all’estradosso delle volte. Rondelet descrive
questi muriccioli, detti comunemente frenelli, come una sorta di nervatura
estradossata, costole che a volte si portano fino al livello del piano
orizzontale superiore e che, all’occasione, possono sostenere il solaio
realizzato superiormente lasciando delle cavità interne. Tali strutture pur
contrastando lo sfiancamento della volta, non ne incrementano troppo il
peso13 (fig. 7).
Anche Durand afferma che, mentre per le volte semplici a botte i
fianchi si riempiono con ghiaietto e su questo viene poi realizzato il piano
di calpestio, nei fianchi delle volte composte è consigliabile realizzare dei
contrafforti a intervalli regolari, colmando i vuoti “con terra ben secca e si
pavimenta” 14. Anche in questo contesto il riferimento alla costruzione di
frenelli estradossali sembra prassi comune, mentre la soluzione di
colmare i vuoti risultanti costituisce una prima registrazione, nella
trattatistica, di una pratica che molto probabilmente accompagnava
abitualmente la posa in opera dei frenelli15 (fig. 8).

345
CAPITOLO 5

Fig. 7. Muretti trasversali di Fig. 8. Frenelli con riempimento tra i vuoti


irrigidimento detti frenelli. (De lasciati tra i muretti. (Durand J. N. L. 1991,
Cesaris, 1996, 89) tav. 4)

Nonostante le intuizioni e le molteplici soluzioni proposte per il


rinfianco, la trattatistica è ancora ben lontana dalla comprensione
dell’importanza del ruolo strutturale del riempimento. La sostituzione del
materiale di risulta con frenelli è legata più alla necessità di creare un
piano orizzontale e contemporaneamente di alleggerire la struttura,
piuttosto che di realizzare elementi in grado di contrastare la flessione
dell’arco.
Il Curioni infatti, senza fare nessun riferimento alla funzione statica
del riempimento, afferma che, tra il livello da raggiungere per la posa del
pavimento e l’estradosso della fabbrica, si dovrà predisporre un
riempimento “con rottami di fabbrica, con calcinaccio asciutto e con altri
minuti materiali che si trovano nel cantiere”; oppure consiglia l’uso di sottili
voltine a botte, denominate porcelle, che saranno disposte a debita
distanza se il pavimento è posato su travicelli, oppure accostate le une
alle altre se il pavimento è sorretto da una superficie continua, in modo da
limitare al minimo il riempimento16.
Anche il Levi riprende gli stessi concetti del Curioni, aggiungendo
che, quando per la forte monta delle volte, il peso del riempimento risulti

346
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

eccessivo, si possono costruire sulla volta piccoli speroni17 disposti a 1 m


l’uno dall’altro, sopra i quali vanno poi realizzate delle voltine in mattoni di
piatto a sesto ribassato, necessarie per alleggerire la volta e creare uno
spianamento per il piano superiore18.
È solo grazie ai contributi teorici e pratici della seconda metà del XIX
secolo, sviluppati per il consolidamento e il restauro di strutture già
esistenti, che è stato possibile chiarire il ruolo strutturale del riempimento
e soprattutto dei frenelli, indicati anche con il termine di rinfianchi
cellulari19. Alla luce delle nuove acquisizioni è diventata sempre più
diffusa la rimozione del riempimento e la messa in opera di un sistema
murario cellulare, costituito appunto da frenelli, i quali, agendo come dei
diaframmi murari estradossali, sono in grado di contribuire efficacemente
all’aumento della stabilità della volta, soprattutto in caso di sisma o carico
eccentrico.

5.3. Stato dell’arte

In alcuni recenti studi inerenti la stabilità di archi da ponte ed archi in


muratura è possibile individuare interessanti indicazioni sulla valutazione
del contributo offerto dal rinfianco, dal riempimento e dai frenelli alla
resistenza della struttura.
Basandosi sull’approccio di Haymann, ormai diventato il punto di
riferimento per lo studio degli archi in muratura, W. J. Harvey20, criticando
l’eccessiva fiducia riposta spesso nei risultati delle analisi ad elementi finiti
che, secondo l’autore, dipendono da molteplici fattori iniziali (dalle ipotesi
sulla geometria, dalle proprietà assegnate al materiale e dal metodo
numerico di risoluzione), presenta un metodo analitico che permette di
quantificare il contributo di resistenza offerto dal rinfianco. Osservando
che la cerniera all’intradosso si forma al di sopra dell’imposta, suppone
che la porzione di arco al di sotto del giunto di rottura ed il rinfianco
agiscano insieme per contrastare la spinta formando l’effettivo piedritto.
Poiché questo può avvenire solo in presenza di una piccola componente

347
CAPITOLO 5

di spinta orizzontale del rinfianco, Harvey mette in conto delle forze


orizzontali ipotizzando un valore del coefficiente di pressione in base al
meccanismo previsto (se la sezione dell’arco si muove verso il
riempimento, un valore compreso tra quello a riposo e quello di spinta
passiva). Con approssimazioni successive egli determina il valore del
coefficiente introdotto per il quale la linea delle pressioni giace
interamente nello spessore dell’arco. Il coefficiente di spinta passiva va
valutato basandosi sull’apparente stato del ponte, inoltre posizioni diverse
delle cerniere implicano diversi valori di Kp.
Harvey conclude affermando che, in particolare in presenza di carichi
asimmetrici, si generano pressioni passive nel riempimento sulla metà
scarica dell’arco. Tuttavia, per la difficile valutazione del contributo del
rinfianco, si deve necessariamente stimare prudenzialmente la reale
capacità portante di una struttura.
Altri autori hanno proposto funzioni analitiche per ricercare il
meccanismo di collasso ed i valori limite delle spinte sull’arco.
Nell’approccio proposto da Foraboschi P. e Blasi C. 21 viene tenuta in
considerazione la piccola resistenza a trazione e a taglio della muratura,
mentre viene trascurato il contributo dei rinfianchi alla stabilità dell’arco. In
studi successivi, Foraboschi ha riproposto e rivisto le funzioni presentate
in precedenza22 considerando il contributo del rinfianco solo in termini di
peso, ma dichiarando che il suo contributo in termini di resistenza (dovuto
alla coesione) è trascurabile. Tuttavia afferma che il rinfianco fornisce
un’azione esterna orizzontale in grado di incrementare la resistenza della
struttura perché agisce facendo rientrare la linea delle pressioni all’interno
della sezione dell’arco.
Nonostante, quindi, sia riconosciuto l’effetto stabilizzante del
riempimento e dei frenelli, il loro contributo è spesso trascurato.
Un’indagine per valutare l’apporto offerto da diversi tipi di riempimento
sulla rigidezza flessionale di una volta a botte è stata effettuata da E.
Giuriani, A. Gubana ed A. Arenghi23. Gli autori, attraverso uno studio agli
elementi finiti limitato al campo elastico, ritenuto significativo per le
condizioni di servizio, hanno studiato un caso particolare di volta a botte
con tre differenti tipi di riempimento: un rinfianco non collaborante con

348
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

l’arco (modulo elastico E pari a 0,1 MPa); un terreno denso e coesivo


(modulo elastico E pari a 100 MPa); un calcestruzzo alleggerito (modulo
elastico E pari a 1000 MPa). Le analisi hanno mostrato che il rinfianco
limita l’inflessione degli archi di cui è idealmente costituita la volta,
riducendo l’eccentricità della linea delle pressioni. Questo contributo è
significante anche quando il riempimento ha caratteristiche meccaniche
scarse come nel caso di un terreno coesivo. Al contrario, quando il
rinfianco è considerato solamente come carico permanente (fig. 9),
l’inflessione cresce in misura notevole e l’equilibrio non è possibile. La
conclusione è che il rinfianco con modulo elastico elevato migliora lo stato
tensionale della volta; con materiale incoerente l’analisi indica l’inefficacia
dell’azione di contenimento del riempimento.

Fig. 9. Eccentricità dell’azione assiale su un arco soggetto a carico permanente e


carico accidentale solo su metà campata. Come si può osservare i frenelli limitano
la flessione nell’arco, mentre un riempimento incoerente non collaborante porta ad
un notevole incremento dell’eccentricità. (Giuriani E., Gubana A., Arenghi A.,
1996)

349
CAPITOLO 5

Agli stessi anni risalgono le ricerche di A. Occhiuzzi e P. Clemente24


sugli archi in muratura. Lo studio di questi due autori è concentrato
sull’analisi dei diversi meccanismi di rottura riscontrabili su archi parabolici
e circolari, composti da conci lapidei semplicemente affiancati, in cui
vengono distinti i fenomeni collegati a cedimenti delle imposte da quelli
relativi alla variazione dei carichi agenti all’estradosso. Le indagini
condotte coinvolgono diversi parametri che influenzano il comportamento
della struttura: fondamentale è l’altezza in chiave del riempimento,
indicata con h, il peso specifico del riempimento γ e la freccia f.
Il meccanismo di collasso, che si instaura quando all’interno dell’arco
si generano più di tre cerniere, viene ricercato per tentativi, ipotizzando di
volta in volta la posizione delle cerniere e calcolando un moltiplicatore dei
carichi λ cinematicamente sufficiente mediante l’equazione di equilibrio
(fig. 10). Se la funicolare dei carichi è tutta interna alla sezione dell’arco,
λ è un moltiplicatore staticamente ammissibile, mentre, in caso negativo, il
procedimento va iterato spostando le cerniere nelle sezioni di massima
eccentricità. Le indagini numeriche, svolte, per capire l’influenza dei
parametri geometrici e del materiale di riempimento, considerano un
meccanismo di collasso con tre cerniere collocate in sezioni prefissate
(imposte e chiave), mentre le restanti due vengono determinate con
procedimento iterativo.
Con riferimento ai tre parametri adimensionali f, h e γ , dove f = f/L, h
= h/f e il rapporto γ tra i pesi specifici del riempimento e del materiale
strutturale, è stato individuato un intervallo tecnico che comprende il più
elevato numero di casi riscontrabili e quindi il valore più usuale. Per la
monta l’intervallo risulta compreso tra 0,1 e 0,5, con valore tipico pari a
0,25; per l’altezza del riempimento si sono assunti valori compresi tra 0 e
1, in cui il valore più significativo è molto prossimo al limite inferiore;
mentre per il rapporto dei pesi specifici si è considerato un intervallo tra 0
e 1, assumendo 0,5 come valore medio. Detto smin il valore minimo dello
spessore dell’arco affinché la curva delle pressioni sia completamente
all’interno del suo spessore, il grafico dell’andamento di smin = smin/L in
funzione di h mostra che smin si riduce all’aumentare di h (fig. 11). Per h
tendente a infinito si osserva che smin tende a zero per archi parabolici, in

350
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

quanto il carico permanente si avvicina ad un carico uniformemente


distribuito al quale, come è noto, corrisponde una funicolare parabolica.

Fig. 10. Andamento della linea delle pressioni ad una generica iterazione (sopra) e
reale linea delle pressioni (sotto) per un arco soggetto a carico accidentale
eccentrico. (Clemente P., Occhiuzzi A., Raithel A. 1995)
.

351
CAPITOLO 5

Fig. 11. Spessore minimo in funzione di h (altezza del riempimento) per un arco di
forma circolare e per un arco di forma parabolica. (Clemente P., Occhiuzzi A.,
Raithel A. 1995)

C. A. Fairfield e D.A. Ponniah, hanno invece studiato la capacita del


materiale di riempimento di diffondere un carico concentrato, osservando
che esso mobilita non solo una spinta attiva, ma anche una spinta
passiva, che previene la formazione delle cerniere alle imposte, riducendo
la luce effettiva dell’arco, con un incremento del carico ultimo (fig. 12). Gli
studi si sono avvalsi inizialmente di piccoli modelli in legno, passando in
seguito a modelli di arco in mattoni con una luce di 2 metri e infine sono
state compiute prove sperimentali su un arco di ponte con una luce di 8
metri25. I parametri indagati sono la densità del rinfianco, la sua altezza, la
forma dell’arco e il rapporto tra luce e altezza. Le prove condotte su due
modelli26 (un arco semicircolare ed uno a sesto ribassato) hanno
evidenziato una proporzionalità inversa del carico a rottura con la distanza
tra i muri d’estremità e l’imposta dell’arco; viceversa un incremento di
densità del materiale di riempimento provoca un aumento del carico
ultimo. Ciò viene spiegato con un aumento della rigidezza, che consente
una più grande dispersione degli sforzi applicati, e con l'incremento del
carico permanente, che implica la necessità di carichi accidentali più
elevati per deviare la linea delle pressioni quanto basta per formare un

352
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

meccanismo di collasso. E’ stato rilevato che l’effetto benefico prodotto


dal riempimento è più evidente negli archi a tutto sesto, rispetto a quelli
ribassati, essendo nel primo caso maggiore l’altezza del materiale di
riempimento che mobilita la spinta attiva.
C. A. Fairfield in un recente studio27 ha affinato quanto già presentato
in precedenza, elaborando un metodo modificato per la valutazione del
meccanismo di collasso capace di mettere in conto anche la dipendenza
della pressione esercitata dal riempimento dalla deformazione dell’arco. In
particolare, variando le caratteristiche geometriche dell’arco e le proprietà
meccaniche dei materiali e imponendo un iniziale cedimento verticale nel
punto di applicazione del carico, è stata creata una procedura di calcolo in
grado di determinare le forze e gli spostamenti verticali corrispondenti
all’instaurarsi del meccanismo di collasso, al fine di valutare il carico
ultimo della struttura. I risultati di questo lavoro hanno messo in evidenza
l’importanza del riempimento, infatti, come si può osservare nella figura
13, la spinta passiva del riempimento è funzione del cedimento verticale
dell’arco e questa diventa rilevante già per un cedimento di circa 30 mm.

Fig. 12. Meccanismo di collasso in un arco con riempimento. Si possono notare la


spinta attiva e la spinta passiva esercitate dal materiale di riempimento nella zona
opposta al carico. (Ng K.-H., Fairfield C. A., 2003)

353
CAPITOLO 5

Fig. 13. Distribuzione del coefficiente di spinta passiva per diversi valori del
cedimento verticale per un arco soggetto a carico concentrato eccentrico. (Ng K.-
H., Fairfield C. A., 2003)

Anche il lavoro sperimentale e teorico di P. Gelfi e A. Capretti28,


precedente a quello di Ng K.-H., Fairfield C. A., mira a quantificare il
contributo del materiale di riempimento su archi e volte in muratura.
Solitamente la spinta passiva che può essere mobilizzata dal riempimento
viene trascurata in quanto il materiale di riempimento è considerato un
semplice sovraccarico verticale che contribuisce a centrare la linea delle
pressioni. Gelfi e Capretti hanno invece creato un modello fisico,
rappresentato in figura 14, costituito da cinque cerniere, in modo che il
carico esterno applicato in chiave potesse essere equilibrato dalla
resistenza passiva del materiale di rinfianco incoerente, costituito da
sabbia.

354
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Fig. 14. Schema del modello fisico impiegato per lo studio sperimentale del
contributo offerto dal materiale di riempimento. (Gelfi P., Capretti A., 2001)

Fig. 15. Grafico carico-spostamento sperimentale e teorico di un arco soggetto a


carico concentrato in chiave, con riempimento avente spessore di 1 cm. (Gelfi P.,
Capretti A., 2001)

I risultati delle prove sperimentali hanno mostrato chiaramente


l’influenza del riempimento alla stabilità dell’arco. Osservando la figura 15,
che rappresenta il grafico carico-spostamento dell’arco soggetto ad un
carico V concentrato in chiave, si può vedere che il riempimento

355
CAPITOLO 5

contribuisce a ridurre la deformazione dell’arco e quindi ad aumentare il


carico di collasso della struttura.
I risultati ottenuti dalle prove sperimentali sono stati poi modellati
numericamente assumendo per le pressioni passive la classica
distribuzione lineare in funzione della profondità. Il valore del carico di
rottura è naturalmente superiore al valore del carico di equilibrio VE
calcolato ignorando le pressioni passive (fig. 15).
Un esempio di verifica, condotto con l’ausilio del programma “Arco”
sviluppato dallo stesso autore29, di una tipica volta a botte dell’edilizia
storica, soggetta ad un carico asimmetrico di valore elevato (fig. 16),
mostra che, considerando il contributo della resistenza passiva del
materiale di riempimento, si può spesso soddisfare la verifica di strutture
voltate per le quali i metodi tradizionali di verifica fallirebbero, evitando
così onerosi ed invasivi interventi di consolidamento.
I valori del coefficiente di spinta passiva Kp da utilizzare nelle
verifiche sono nell’intorno del valore del coefficiente di spinta delle terre a
riposo e quindi non implicano deformazioni aggiuntive pericolose per la
stabilità dell’arco.
Altri lavori di ricerca, condotti da Cavicchi A. e Gambarotta L.,30 si
sono focalizzati sullo studio degli archi attraverso analisi ad elementi finiti,
includendo anche l’azione del riempimento. L’obiettivo di questi studi è
stato quello di mostrare l’efficacia delle analisi ad elementi finiti nella
valutazione del carico di collasso e l’influenza del riempimento sulla
stabilità dell’arco.
Lo studio del riempimento risulta quindi di grande importanza per
comprendere il reale comportamento globale delle strutture voltate, nelle
quali generalmente viene riscontrata la presenza di materiale di risulta
posizionato all’estradosso. Tuttavia, nonostante la comprensione
dell’interazione tra volta e rinfianco possa essere di enorme utilità al fine
di un intervento di recupero con sostituzione del materiale incoerente con
frenelli o riempimento alleggerito, la maggior parte degli studi sulle volte, a
parte alcune ricerche anglosassoni sui ponti in muratura e il lavoro di
Gelfi e Capretti, si è occupata solo marginalmente di questo aspetto.

356
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

La presente ricerca è stata stimolata proprio dalla necessità di capire


come i diversi metodi di irrigidimento estradossale possano influire sul
meccanismo di collasso.

Fig. 16. Andamento della linea delle pressioni e delle tensioni di compressione
senza e con il contributo della spinta passiva. (Gelfi P., Capretti A., 2001)

357
CAPITOLO 5

In questo lavoro viene infatti proposta una tecnica di consolidamento


che prevede la sostituzione di un riempimento pesante e incoerente con
frenelli disposti a circa un metro di distanza, sui quali viene poi realizzata
una soletta in calcestruzzo. L’obiettivo dello studio presentato è quello di
analizzare i meccanismi di collasso associati ai diversi metodi di
irrigidimento estradossale e di indagare sperimentalmente sul contributo
offerto dai frenelli ai fini della rigidezza flessionale della struttura.

5.4. Studio sperimentale del contributo irrigidente offerto dai frenelli

Spesso il materiale di riempimento utilizzato nell’edilizia storica


costituisce un notevole sovraccarico gravante sull’arco o sulla volta
sottostante e la sostituzione di tali masse con materiali più leggeri e di
caratteristiche coesive, oltre a diminuire il valore della spinta e del carico
sui piedritti, fornisce soluzioni statiche decisamente migliori.
Frequentemente, a questa operazione viene associata la creazione,
all’estradosso della volta, di una cappa in calcestruzzo di pochi centimetri
di spessore, armata o meno.
In alternativa si possono costruire dei muretti, detti frenelli, in grado di
assicurare l’aumento della stabilità della volta senza però appesantirla
troppo. Questi hanno la funzione di irrigidire la struttura andando ad agire
sulla volta sottostante come dei diaframmi murari in grado di contrastare
la flessione dell’arco.
È proprio per valutare l’efficacia di questo intervento che è stata
eseguita la prova sperimentale di seguito descritta.

5.4.1. Descrizione del modello sperimentale

Il patrimonio architettonico ci offre un’ampia varietà di volte che si


distinguono tra loro per tipo (a botte, a crociera, a padiglione, a vela, a

358
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

schifo, lunettate), ma anche per profilo della curva direttrice e per


spessore, passando da volte alquanto tozze con spessori notevoli a volte
estremamente sottili. Ovviamente lo studio sul materiale di riempimento
potrebbe essere esteso a tutti i tipi di volte, tuttavia, per localizzare il
problema e per ottenere risultati che non risentano di altri meccanismi che
si possono generare nelle volte composte, nel presente capitolo si è
scelto di limitare l’analisi alla volta a botte. Nelle volte a botte
sufficientemente lunghe e con contenimento laterale adeguato, infatti, il
comportamento a guscio può essere trascurato e il comportamento ad
archi affiancati non collaboranti si avvicina considerevolmente al
comportamento reale della struttura voltata.
Questo ha consentito di studiare la volta come un arco di profondità
unitaria, utilizzando un modello in scala 1:2.
Il modello sperimentale, già realizzato in occasione di precedenti
lavori di ricerca31, riproduce una porzione unitaria di volta a botte sul cui
estradosso è stato realizzato un frenello armato con cappa di 6 cm. La
geometria del modello sperimentale presenta un profilo policentrico con
rapporto freccia luce pari ad un quarto, che, come si è detto nella prima
parte di questo lavoro, risulta la più diffusa nell’edilizia storica per
costruzioni civili.
I profili dell’intradosso e dell’estradosso sono stati realizzati
seguendo un disegno proposto da G. Valadier32 (fig. 17). L’intradosso è
costituito da un arco ribassato a 3 centri con luce di 2 metri33 con rapporto
freccia/luce pari ad ¼ (fig. 18). Il raggio dell’arco maggiore R e quello
dell’arco minore r vengono determinati come indicato di seguito:

sin 60° ⋅ c − f
R= (1)
2 ⋅ sin 60° − 1

(R − f )
r=c− (2)
tan 60°

dove c rappresenta la corda o luce dell’aro ed è pari a 2 m e f, ossia la


freccia, vale 0,5 m, da cui si ricava:

359
CAPITOLO 5

R = 1,68 m

r = 0,31 m.

Essendo la volta in scala 1:2, anche gli spessori sono stati ridotti
nella stessa scala. In particolare il tratto centrale di raggio pari a 1,68 m è
stato realizzato con uno spessore di circa 6 cm, utilizzando perciò dei
mezzi mattoni, mentre lo spessore della porzione di volta con raggio pari
a 0,31 m è di 12 cm ed è costituito da mattoni interi. Il cambio di spessore
si ritrova in quasi tutte le coperture voltate: gli antichi costruttori, infatti,
prestavano molta cura alla realizzazione del punto d’innesto tra l’arco e
l’imposta e spesso, oltre ad ammorsare i mattoni nella muratura laterale
per dare maggiore sicurezza alla volta, nella zona delle reni veniva
raddoppiato lo spessore creando in tal modo il cosiddetto rinfianco.

Fig. 17. Disegno originale del Valadier riproducente una volta ribassata e
policentrica. (Valadier, 1992, vol IV)

360
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Fig. 18. Schematizzazione del modello ottenuto attraverso le indicazioni del


Valadier.

Al di sopra della volta è stato realizzato un muretto dello spessore di


6 cm posto centralmente. Questo elemento, detto frenello è stato armato
da entrambi i lati con una rete metallica fissata allo stesso mediante filo di
ferro passante attraverso i giunti di malta e successivamente rivestita con
uno strato di malta di circa 1 cm (fig. 19). Il frenello risulta sormontato da
una soletta avente uno spessore di 6 cm e larga 25 cm. È necessario
precisare che lo spessore della soletta risulta doppio rispetto a quello che
in genere viene eseguito in simili interventi, mentre la larghezza è stata
dimezzata rispetto a quella reale: questo è stato fatto al fine di impedire
problemi di instabilità della soletta che avrebbero potuto manifestarsi con
l’applicazione dei carichi in fase di prova. La soletta è stata armata con 4
strisce di rete metallica Φ2 passo 1 cm, in modo da avere la stessa
percentuale di armatura presente in un precedente modello realizzato con
riempimento alleggerito34 e i cui risultati saranno confrontati con quelli
ottenuti nel presente lavoro.

361
CAPITOLO 5

Fig. 19. Particolare della rete metallica con la quale è stato armato il frenello. (I.
Feigl, 1999)

Sono stati inoltre inseriti due spezzoni Φ6 da 20 cm, necessari per


creare un collegamento tra la soletta e il muro, forando il mattone e
utilizzando quindi una resina epossidica bicomponente per il fissaggio (fig.
20). Nella soletta è stata collocata anche una barra Φ 6, disposta
orizzontalmente e contrastata due piastre alle quali è stata saldata (fig.
21); tale barra, inserita per impedire lo spostamento laterale dei due muri
superiori soprattutto durante i primi cicli di carico, è stata poi rimossa al
fine di valutare il comportamento il meccanismo di collasso in assenza di
incatenamenti estradossali.
Nel modello sono infine state inserite catene intradossali costituite da
due tiranti esterni Φ 24, contrastate da due traverse (UPN 100). Questi
tiranti, strumentati con strain-gauges per monitorare la variazione di tiro
durante la prova di carico, si sono resi necessari per poter valutare il
comportamento flessionale della volta indipendentemente dai meccanismi
che si possono instaurare nella struttura a causa di spinte eccessive sui
piedritti.

362
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Fig. 20. Schema del modello sperimentale.

Fig. 21. Particolare della piastra di ancoraggio della catena estradossale posta
nella soletta.

363
CAPITOLO 5

5.4.2. Caratteristiche dei materiali impiegati

Per quanto riguarda i materiali utilizzati è noto che le caratteristiche


meccaniche di una struttura muraria sono influenzate sia dalla qualità
della malta sia dai mattoni impiegati, anche se, nonostante l’iterazione
esistente tra i due materiali, l’aspetto che più influenza il comportamento
meccanico delle strutture sono le caratteristiche della malta, essendo il
punto più debole del sistema murario.
In un arco, infatti, il collasso non avviene per schiacciamento della
muratura, ma per la creazione di meccanismi di rottura dovuti alla
formazione di cerniere plastiche.
Studi svolti su numerosi campioni di malte provenienti da edifici
antichi hanno messo in luce una notevole variabilità nei componenti e ciò
conferma la mancanza di una radicata tradizione costruttiva. Si rileva
quindi una generale difficoltà a definire una composizione univoca della
malta da muratura antica, estremamente variabile nelle diverse regioni
italiane35. L’analisi dei materiali costituenti murature antiche è tutt’oggi
oggetto di studio, in quanto i risultati sono influenzati da numerosi fattori,
tra i quali alcuni non controllabili, come quelli relativi alla realizzazione
dell’opera, all’eterogeneità del materiale, alle condizioni di conservazione
e ad eventuali modifiche o interventi di consolidamento apportati ad una
struttura.
In generale, a causa soprattutto delle alterazioni che il materiale
subisce nel tempo, la malta utilizzata nei giunti risulta essere di scadente
qualità e caratterizzata da bassi valori di resistenza a compressione.
Risulta estremamente difficoltoso conoscere il valore esatto della
resistenza a compressione e a flessione di malte già in opera, tuttavia,
sulla base degli studi eseguiti da Roberto Felicetti e Natalino Gattesco36 e
di alcune prove eseguite sui giunti di malta di una muratura antica
appartenente al complesso di S. Faustino in Brescia37, è stata stabilita
una resistenza a compressione media della malta pari a 10-15 kg/cm2
Sulla base delle indagini eseguite, per la realizzazione del modello è
stata preparata una malta costituita da 3 parti di sabbia fine, 3 parti di

364
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

sabbia grossa, 2 parti di calce idraulica, 1.5 parti di calce idrata e 2.6 parti
di acqua.
Le caratteristiche dei materiali impiegati sono riassunte in tabella:

Modulo Peso Resistenza Resistenza


elastico E specifico a comp. a trazione
[MPa] [kg/m3] [MPa] [MPa]
Muratura 5000 1850 30 -
38
Malta - 1700 1.0 – 1.5 -
Calcestruzzo 31000 2500 30 -
Acciaio FeB44k 210000 8000 - -

Tabella 1. Caratteristiche meccaniche dei materiali impiegati per la realizzazione


del modello.

Per la disposizione dei mattoni sono stati usati mattoni pieni di


dimensioni 25x12x5 cm, usualmente in commercio, collocati secondo lo
schema a blocco a tre teste. A causa delle modeste dimensioni dovute
alla scala, si è reso necessario l’utilizzo del quartino o Bernardino, dei tre
quarti e del mezzo lungo o tozzetto.

5.4.3. Condizioni al contorno

Per eseguire delle prove su modelli in scala, occorre tener conto del
fatto che, mentre i carichi applicati sotto forma di forze di superficie sono
indipendenti dalle dimensioni del prototipo, le azioni di massa dipendono
dal fattore di scala. Per un modello in scala 1:2, affinché questo sia
soggetto alle stesse azioni interne di quello in scala reale, è necessario
che il suo peso specifico γ sia doppio di quello reale.
Nel modello in esame, realizzato in scala 1:2, sono stati perciò
applicati dei carichi aggiuntivi in grado di simulare un peso proprio doppio

365
CAPITOLO 5

rispetto a quella reale, in modo tale che il modello fosse sottoposto alla
stesse sollecitazioni di una volta con luce di 4 metri.
Frequentemente, inoltre, le volte a botte si trovano al piano inferiore
dei palazzi e i piedritti risultano soggetti, oltre che alla spinta orizzontale
della volta stessa, alle azioni verticali trasmesse dai piani superiori. Per
riprodurre le condizioni al contorno di un contesto reale, ipotizzando la
presenza di due piani al di sopra della volta, i piedritti sono stati
precompressi mediante quattro barre filettate Φ 10, bullonate
superiormente a due traverse in acciaio (UPN 120) posizionate sui muretti
laterali e saldate inferiormente a piastre vincolate ai piedritti con spinotti.
La forza F, applicata per simulare l’effetto dei due piani superiori, è
pari a:

F = γ muratura ⋅ A ⋅ h p = 11kN (3)

dove il peso specifico della muratura γ muratura è stato assunto pari a 1850
3
kg/m , l’area A della sezione del muretto superiore è 22 cm x 45 cm e
l’ipotetica altezza di due piani sovrastanti hp vale 6m.
Tale forza è stata applicata con tesatura manuale dei tiranti disposti
sul muro e utilizzando uno strumento Withmore39 per la lettura della
deformazione e quindi della forza trasmessa. Tale carico è stato
applicato all’inizio della prova ed è stato lasciato sulla struttura per tutta la
durata della prova.

5.4.4. Applicazione dei carichi

Oltre ai carichi necessari per simulare un peso proprio doppio di


quello reale che, per i problemi di scala già illustrati, sono necessari
affinché il modello sia sottoposto alla stesse sollecitazioni di una volta con
luce di 4 m, si è deciso di applicare un carico accidentale distribuito solo
sulla semicampata di destra, con l’intento di attivare la flessione nell’arco

366
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

e di valutare l’effetto di un carico asimmetrico che spesso si ritrova nella


realtà a causa di particolari destinazioni d’uso.
Il comportamento del modello è quindi stato analizzato applicando un
carico eccentrico, approssimato con l’applicazione di due forze
concentrate, incrementato gradualmente nel corso della prova. Per
l’applicazione del carico sono stati utilizzate due traverse in acciaio (UPN
100) disposte perpendicolarmente alla corda dell’arco. La prima traversa,
posizionata sulla soletta con un pannello di legno per diffondere il carico
ed evitare la nascita di tensioni localizzate eccessive, è stata collegata
alla seconda, posizionata al di sotto della trave di contrasto (UPN 260)
inserita nei piedritti, attraverso due tiranti verticali costituiti da barre
filettate Φ 16. Tali barre, dopo essere state opportunamente tarate, sono
state munite di strain-gages40 che hanno permesso di avere una lettura
continua dei carichi applicati41.
Nota la geometria, i materiali di cui è costituito l’arco e ipotizzando un
carico accidentale di 350 kg/m2, le azioni dovute al peso proprio distribuito
p (4), a quello triangolare dovuto alla presenza del frenello ∆p (5) e a
quello accidentale q (6), applicato solo su metà campata, sono le seguenti
(fig.22):

p = 239,9 kg/m → carico applicato (4)

∆p = 92,5 kg/m → carico applicato (5)

q = 157,5 kg/m → carico applicato (6)

Con riferimento alla figura 23, i carichi applicati nei quattro punti A, B,
C e D, aventi un’area di competenza di circa 50 cm, valgono:

P = (p / 2) · l = 239,9 kg (7)

R = (∆p / 2) · 0,45 m = 29,81 kg (8)

Q = q · (l/2) = 157,5 kg (9)

367
CAPITOLO 5

dove l è la luce dell’arco ed è pari a 2m.


Poiché P rappresenta un carico uniformemente distribuito, è stata
ripartita in egual modo su tutti e quattro i punti; la forza R è stata invece
considerata solo nei punti esterni A e D42; mentre la forza Q è stata
suddivisa tra i punti C e D della semicampata di destra.
Riassumendo, i valori delle quattro forze sono:

F1 = (P / 4) + (R / 2) ≈ 70,4 kg (10)

F2 = P / 4 ≈ 60 kg (11)

F3 = (P / 4) + (Q / 2) ≈ 139 kg (12)

F4 = (P / 4) + (R / 2) + (Q / 2) ≈ 218 kg. (13)

Mentre per la semicampata di destra, sulla quale, oltre a queste


forze, sono presenti i carichi accidentali che verranno incrementati
durante le prove, si è utilizzata l’apparecchiatura costituita dalle due
traverse in acciaio descritta in precedenza, per la semicampata di sinistra,
dovendo applicare solo carichi costanti e di modesta entità per simulare
una densità doppia del materiale, si è utilizzato un semplice sistema
costituito da una traversa collegata, attraverso barre Φ 16, ad un piano
ligneo sul quale sono stati posizionati i pesi corrispondenti alle forze
calcolate (fig. 24).

q=157,5 kg/m

p=239,9 kg/m

∆p=92,5 kg/m
f = 0,5m

l = 2m

Fig. 22. Schema dei carichi in condizioni di esercizio.

368
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

F1 F2 F3 F4

0.365 0.500 0.500 0.500 0.365

A B C D

Fig. 23. Schema delle forze applicate.

22 22

UPN 120 UPN 120

36.5
UPN 100 50
UPN 100 50
UPN 100 50
UPN 100 36.5

UPN 100 UPN 100

barre filettate 10 barre filettate 10

UPN 260

UPN 100 UPN 100

10

33.5 200 33.5

Fig. 24. Banco di prova: sistema di carico.

369
CAPITOLO 5

3.4.5. Strumentazione

Per posizionare i trasduttori induttivi LVDT che hanno permesso di


studiare il comportamento durante la prova, è stato creato un supporto
costituito da elementi tubolari opportunamente tagliati e saldati.
Per l’estradosso si è utilizzato un supporto,ad “u” rovesciata, su un
lato fissato alla soletta con malta di allettamento, mentre sull’altro
poggiante su una superficie liscia in modo da consentirne lo scorrimento e
la rotazione. Questo sistema ha permesso di realizzare un supporto
solidale con la struttura in grado di misurare gli spostamenti relativi della
soletta rispetto ai due punti più esterni. Sul supporto sono stati posizionati
tre i trasduttori induttivi LVDT: uno in centro e gli altri due ad una distanza
di 50 cm dai muri laterali.
All’intradosso sono stati disposti altri tre i trasduttori, di cui uno in
chiave e gli altri in corrispondenza delle reni, tramite un sostegno fissato
ai piedritti. Come si può osservare dalla figura 25 il supporto è stato
posizionato in corrispondenza della putrella alla base dei piedritti, al di
sotto delle catene estradossali, in quanto in questa zona i piedritti
rimangono fissi e non risentono delle azioni orizzontali esercitate dall’arco.
Questi sei strumenti sono serviti per monitorare gli spostamenti
verticali e ricavare quindi la deformata della soletta e dell’intradosso
dell’arco43.
Tramite tubolari in acciaio disposti verticalmente e saldati alla putrella
orizzontale inserita nella volta, sono stati disposti altri due i trasduttori
induttivi LVDT per lato, uno sopra le due catene Φ 24 e l’altro all’altezza
della soletta, per rilevare i movimenti orizzontali dei piedritti.
Lo schema illustrativo complessivo del supporto per la
strumentazione con indicata la posizione dei trasduttori è riportato in
figura 26.
Le aperture di fessura si sono misurate con un microscopio graduato.

370
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Fig. 25. Banco di prova con il sistema di carico e il supporto per la strumentazione.

Fig. 26. Schema del supporto realizzato per il posizionamento dei trasduttori.

371
CAPITOLO 5

Fig. 27. Trasduttori induttivi LVDT posizionati all’estradosso in chiave (sinistra) e


sulla parete laterale (destra).

Fig. 28. Trasduttori potenziometrici LVDT posizionati all’intradosso in chiave


(sinistra) e alle reni (destra).

372
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

5.4.6. Modalità di prova

Come già detto, è stato inizialmente applicato al modello un carico


pari al suo peso proprio44, per i problemi di scala precedentemente
illustrati, dopo di che il carico è stato incrementato solo sulla semicampata
destra dell’arco.
Dopo aver eseguito una serie di cicli preventivi per testare gli
strumenti, sono stati effettuati 8 cicli di carico in cui il carico è stato
applicato con un sistema manuale. Ad ogni ciclo sono stati inizialmente
applicati i carichi dovuti al peso proprio della struttura45 e quindi quello
accidentale di 350 Kg/m2 che, essendo la luce dell’arco pari a 2 metri e la
sua larghezza pari a 45 cm, nelle condizioni di esercizio risulta essere pari
a 158 Kg.
Poiché dai cicli preventivi si è osservata una grande resistenza del
modello e spostamenti pressoché impercettibili per valori del carico
prossimi al carico di esercizio, con il primo ciclo si è deciso di applicare un
carico pari a 7 volte il carico di esercizio. Il carico accidentale è poi stato
incrementato nei cicli successivi per valutare il comportamento della
struttura in presenza di carichi eccezionali. È stato infine eseguito un
ulteriore ciclo in cui il modello è stato portato a collasso, al fine di ottenere
il carico ultimo della struttura munita di frenello.
Nei primi 4 cicli la struttura si trovava nelle condizioni originarie
descritte nei paragrafi precedenti. Prima del quarto ciclo sono state
tagliate le piastre che ancoravano le due barre Φ 6, inserite nella soletta,
ai piedritti e, prima del quinto ciclo, tale catena è stata tolta
definitivamente modificando sostanzialmente la struttura: i dati
sperimentali dei primi tre cicli e di quelli successivi verranno perciò
presentati in paragrafi separati.
Durante tutta la prova si è sempre cercato di applicare il carico in
maniera lenta e graduale, inoltre il tempo minimo tra i vari cicli è stato di
circa 30 minuti, in modo tale da consentire alla struttura di assestarsi.

373
CAPITOLO 5

I cicli di carico sono riassunti nella tabella seguente:

Carico massimo [Kg] Catena estrad.


Ciclo n° 1 1200 Kg (7 volte il carico di esercizio) si
Ciclo n° 2 2080 Kg (12,5 volte il carico di esercizio) si
Ciclo n° 3 2980 Kg (18 volte il carico di esercizio) si
Ciclo n° 4 3500 (21,5 volte il carico di esercizio) no
Ciclo n° 5 2100 (12,5 volte il carico di esercizio) no
Ciclo n° 6 3500 (20 volte il carico di esercizio) no
Ciclo n° 7 4000 (24,5 volte il carico di esercizio) no
Ciclo n° 8 4500 (28 volte il carico di esercizio) no

Tabella 2. Cicli di carico eseguiti sul modello sperimentale.

5.4.7. Risultati delle prove sperimentali

Nei primi tre cicli, come è già stato detto, le prove sono state
condotte sul modello dotato di catena estradossale. Di seguito vengono
riportati i grafici relativi a questi primi tre cicli di carico.
Nel primo ciclo di carico, si è registrato uno spostamento massimo in
chiave di 1mm all’intradosso e 0,8 mm all’estradosso. La differenza fra i 2
valori è da imputare al fatto che il sistema di supporto degli strumenti
collocato all’estradosso risulta solidale con la struttura e perciò i valori
registrati rappresentano le frecce relative, mentre all’intradosso vengono
letti valori assoluti, indipendenti dai movimenti delle imposte. La stessa
differenza viene riscontrata per tutti i cicli di carico.
Di seguito vengono riportati i grafici relativi al diagramma carico-
spostamento dei primi tre cicli di carico. Il carico riportato in ordinata è la
media dei carichi applicati attraverso le quattro barre, quindi il carico
complessivo applicato si ottiene moltiplicando tale valore per quattro.
In questi tre cicli si può osservare che, nonostante l’entità dei carichi
applicati, i diagrammi hanno un andamento praticamente lineare.

374
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

1' 2' 3'


Primo ciclo
Carico massimo 1200 kg 4' 5'
2
800 4 1 3 5

700
600
500

carico (kg)
400 1 3 1' 2'
3' 2 strum.1
300
strum.2
200 strum.3
100 strum.1'
strum.2'
0
strum.3'
0 1 2 3 4
spostamento (mm)

Fig. 29. Grafico carico-spostamento relativo al primo ciclo di carico. Il carico


riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò
risulta pari ad un quarto del valore totale.

1' 2' 3'


Secondo ciclo
Carico massimo 2080 kg 4' 5'
2
4 1 3 5

800
700
600 1 3 1' 3' 2' 2
500
carico (kg)

400
strum.1
300 strum.2
200 strum.3
100 strum.1'
strum.2'
0
strum.3'
0 1 2 3 4
spostamento (mm)

Fig. 30. Grafico carico-spostamento relativo al secondo ciclo di carico. Il carico


riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò
risulta pari ad un quarto del valore totale.

375
CAPITOLO 5

1' 2' 3'


Terzo ciclo
4' 5'
Carico massimo 2980 kg 2
800 1 4 1 3 5
3 1' 3' 2' 2
700
600
500
carico (kg)

strum.1
400 strum.2
300 strum.3
strum.1'
200
strum.2'
100 strum.3'

0
-0,5 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4
spostamento (mm)

Fig. 31. Grafico carico-spostamento relativo al terzo ciclo di carico. Il carico


riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò
risulta pari ad un quarto del valore totale.

1' 2' 3'


Primi tre cicli di carico
(con catena estradossale) 4' 5'
Carico massomo 2980 kg 2
4 1 3 5
800
700
600
500
carico (kg)

400
strum.2
300
strum.2'
200
100
0
-100 0 1 2 3 4
spostamento (mm)
Fig. 32. Grafico carico-spostamento, misurato in chiave all’estradosso e
all’intradosso, dei primi tre cicli. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi
applicati dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.

376
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

In figura 33 è rappresentata l’evoluzione della deformata della soletta


interpolata mediante le misure dei tre trasduttori induttivi LVDT 1’, 2’ e 3’
posti all’estradosso, durante i primi tre cicli di carico (con catena
estradossale). Si nota che la parte opposta al carico subisce uno
spostamento verso il basso: se non fosse stato presente il frenello, la
soletta avrebbe subito un innalzamento provocato dalle spinte verso l’alto
esercitate dall’arco, tuttavia il frenello, essendo un elemento molto rigido,
impedisce, almeno in questa prima fase, questo meccanismo.
In figura 34 è invece riportata la deformata misurata dagli strumenti
posti all’intradosso: l’abbassamento in chiave risulta leggermente
superiore a quello registrato dallo strumento posto all’estradosso perché,
come già spiegato in precedenza, lo strumento 2 (all’intradosso) misura
gli spostamenti assoluti, comprensivi anche dello schiacciamento dei
piedritti.

Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti


all'estradosso
1' 2' 3'

4' 5'
0 2
4 1 3 5
-0,5 0 50 100 150 200

-1
spostamento (mm)

-1,5
-2
-2,5
-3 I ciclo (1200 kg)
II ciclo (2080 kg)
-3,5
III ciclo (2980 kg)
-4
Lunghezza della soletta (cm)

Fig. 33. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso.

377
CAPITOLO 5

Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti


all'intradosso
1' 2' 3'

4' 5'
0,5 2
4 1 3 5
0
-0,5 0 50 100 150 200
spostamento (mm)

-1
-1,5
-2
-2,5
-3 I ciclo (1200 kg)
II ciclo (2080 kg)
-3,5
III ciclo (2980 kg)
-4
Lunghezza della soletta (cm)

Fig. 33. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’intradosso.

Di seguito è riportata l’evoluzione del quadro fessurativo (figg. 34-


38).
Le immagini riportate mostrano che, dopo il primo ciclo a 1200 kg,
l’arco è rimasto integro e si sono manifestate solo microfessure nella
malta di rivestimento del frenello.
A partire dal secondo ciclo di carico (carico massimo pari a 2080 kg)
si sono invece rinvenute le prime lesioni in chiave, tra i giunti di malta dei
mattoni, e sui piedritti a livello dell’imposta, al di sopra della catena
intradossale.
Il quadro fessurativo conseguente al raggiungimento di un carico
massimo di 2080 kg, pari a 12,5 volte il carico di esercizio, ha
evidenziando un meccanismo differente rispetto a quello che si sarebbe
creato in mancanza del frenello. In assenza di un rinfianco coesivo, infatti,
come è noto, la fessurazione si sarebbe sviluppata nella zona delle reni,
in cui si ha una riduzione di spessore dell’arco, e non nei piedritti.
Il terzo ciclo, con carico massimo di 2980 kg, ha portato ad un
notevole aumento delle dimensioni delle lesioni, rendendo ancor più
evidente il meccanismo già evidenziato nel precedente ciclo di carico.

378
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Fig. 34. Microfessure generatesi nel frenello dopo il primo ciclo con carico
massimo pari a 1200 kg.

Fig. 35. Quadro fessurativo in chiave e sulla campata destra dopo il secondo ciclo
di carico (carico massimo pari a 2080 kg).

379
CAPITOLO 5

1,00 mm 0,90 mm

Fig. 36. Quadro fessurativo dei piedritti, in corrispondenza dell’imposta, dopo il


secondo ciclo di carico (carico massimo pari a 2080 kg).

0,20 mm 0,14 mm
0,00 mm
0,03 mm

Fig. 37. Quadro fessurativo in chiave e in corrispondenza della campata destra


dopo il terzo ciclo (carico massimo pari a 2980 kg).

380
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

1,90 mm
1,80 mm

Fig. 38. Quadro fessurativo dei piedritti, in corrispondenza dell’imposta, dopo il


terzo ciclo (carico massimo pari a 2980 kg).

Prima del 4° ciclo di carico sono state tagliate le piastre di contrasto


della barra Φ 6 che costituiva la catena estradossale e ciò ha modificato
sostanzialmente il comportamento della struttura, come appare in tutti i
grafici relativi a questo ciclo.
Il cambio di comportamento risulta evidente nel diagramma carico-
spostamento riportato in figura 39, dove si è constatato un improvviso
spostamento verso l’alto della soletta. Dopo questa prima fase, i
movimenti registrati sono tornati positivi, ossia diretti verso il basso,
coerentemente con il carico applicato.
Questo comportamento è probabilmente imputabile al fatto che,
eliminando la barra posta nella soletta, i piedritti, non più contenuti dalla
catena estradossale, hanno subito un assestamento con scorrimento
degli stessi verso l’esterno (fig. 40).
Questo meccanismo è messo ancor più in evidenza dal grafico in
figura 41, che mostra la variazione del tiro della catena all’aumentare del

381
CAPITOLO 5

carico. Per ogni catena, infatti, per un incremento di carico di circa 70 kg,
si è rilevato un aumento di tiro superiore ai 500 kg.
Anche la deformata della soletta mostra un comportamento anomalo,
imputabile al taglio della catena. Bisogna sottolineare che la deformata
della soletta rappresentata nel grafico in figura 42 è stata ottenuta
azzerando gli strumenti prima dell’inizio della prova. Per ottenere la
deformata totale è necessario prendere in considerazione le deformazioni
residue dei cicli precedenti, pari a circa 0,5 mm.

Quarto ciclo
Carico massimo 3500 kg
1000
1' 2' 3'
900
4' 5'
2 800
4 1 3 5
700
carico (kg)

600
500 strum.2
400 strum.1'

300 strum.2'
strum.3'
200
100
0
-2 -1 0 1
spostamento (mm)

Fig. 39. Grafico carico-spostamento relativo al quarto ciclo di carico. Il carico


riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò
risulta pari ad un quarto del valore totale.

382
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Spostamenti piedritti
Quarto ciclo
(carico massimo 3500 kg) 1' 2' 3'

1000 4' 5'


2
900 4 1 3 5
800
700

carico (kg)
600
500
400 strum.4
300 strum.4'
200
strum.5
100
strum.5'
0
-8 -6 -4 -2 0 2 4
spostamento (mm)

Fig. 40. Grafico degli spostamenti orizzontali registrati sui piedritti. Il carico
riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò
risulta pari ad un quarto del valore totale.

Tiro delle catene


Quarto ciclo (carico massimo 3500 kg)

1000
900
800
700
carico (kg)

600
500
400
300
200
100 catena anteriore
0 catena posteriore
0 250 500 750 1000 1250
tiro (kg)

Fig. 41. Tiro nelle catene durante il quarto ciclo con carico massimo di 3500 kg. Il
carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti,
perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.

383
CAPITOLO 5

Deformazione soletta rilevata dagli strumenti all'estradosso


Quarto ciclo
(carico massimo 3500 kg)

0,6
0,4
spostamento (mm)

0,2
0
-0,2 0 50 100 150 200
1440 kg

-0,4 2360 kg
2460 kg
-0,6 2960 kg
-0,8 3500 kg
posizione lungo la soletta (cm)

Fig. 42. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso. Il
carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti,
perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.

Dopo il quarto ciclo di carico, necessario affinché la struttura si


adattasse alla nuova configurazione priva di catena estradossale, la barra
Φ 6 è stata eliminata completamente, permettendo alla volta di deformarsi
liberamente sotto il carico accidentale eccentrico e di rendere più evidente
il meccanismo di collasso.
Gli ultimi quattro cicli, eseguiti sulla struttura priva di catena
estradossale, hanno mostrato che, con l’aumento della sollecitazione,
nella fase di scarico sono rimaste delle deformazioni residue. Tuttavia,
nonostante l’entità dei carichi applicati e l’ampiezza delle fessure in chiave
e nei piedritti in corrispondenza dell’imposta (figg. 47-50), il grafico carico
spostamento (fig. 43) non mostra un cambio di rigidezza associato alla
formazione di nuove lesioni.
Per quanto riguarda la deformazione, il grafico in figura 46 evidenzia
un abbassamento della soletta in ogni punto. Gli strumenti all’intradosso,
hanno invece rilevato, a partire dal settimo ciclo (carico massimo 400 kg),
un lieve innalzamento dell’arco alle reni nella semicampata opposta al
carico (fig. 47). Questo è giustificato dal fatto che, proprio a partire dal

384
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

settimo ciclo, si è manifestata una fessura che attraversa completamente


il piedritto (fig. 50); tutta la porzione di struttura comprendente la parte
superiore del piedritto e il frenello viene quindi spinta verso l’alto e tale
movimento non viene perciò registrato dalla strumentazione posta
all’estradosso che, come già specificato in precedenza, misura gli
spostamenti relativi.
È importante sottolineare che è grazie alla rigidezza del frenello che
nella soletta non si sono manifestati spostamenti verso l’alto nella zona
opposta al carico e che non si sono evidenziate lesioni verso l’estradosso
alle reni dell’arco.

Cicli di carico sulla struttura


priva di catena estradossale 1' 2' 3'
1200 4' 5'
2
4 1 3 5
1000

800
carico (kg)

600

400

200 strum. 1'


strum. 2'
0 strum. 3'
0 1 2 3 4 5 strum. 2
-200
spostamento (mm)

Fig. 43. Grafico carico-spostamento di tutti i cicli di carico eseguiti sul modello
privo di catena estradossale (dal quinto all’ottavo ciclo, carico massimo pari a
4500 kg). Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro
strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del totale.

385
CAPITOLO 5

Spostamenti dei piedritti dal quinto al'ottavo ciclo1' 2' 3'


Carico massimo 4500 kg 4' 5'
2
1200 4 1 3 5

1000

800
carico (kg)

600

400
strum.4
200 strum.4'
strum.5
0 strum.5'
-1 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5
-200
0
spostamento (mm)

Fig. 44. Grafico degli spostamenti orizzontali registrati sui piedritti. Il carico
riportato in ordinata è la media dei carichi applicati dai quattro strumenti, perciò
risulta pari ad un quarto del valore totale.

Variazione del tiro delle catene dal quinto all'ottavo ciclo


(Carico massimo 4500 kg)

1200

1000

800
carico (kg)

600

400
catena anteriore
200
catena posteriore
0
0 500 1000 1500
tiro (kg)

Fig. 45. Tiro nelle catene durante gli ultimi quattro cicli eseguiti sul modello privo di
catena estradossale. Il carico riportato in ordinata è la media dei carichi applicati
dai quattro strumenti, perciò risulta pari ad un quarto del valore totale.

386
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti
all'estradosso dal quinto al'ottavo ciclo
(Carico massimo 4500 kg)
0
0 50 100 150 200
-0,5

-1

spostamento (mm)
-1,5

-2 V ciclo (2100 kg)


VI ciclo (3500 kg)
-2,5 VII ciclo (4000 kg)
VIII ciclo (4500 kg)
-3

-3,5
posizione lungo la soletta (cm)

Fig. 46. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso
durante gli ultimi quattro cicli.

Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti


all'intradosso dal quinto al'ottavo ciclo
(Carico massimo 4500 kg)
2

0
spostamento (mm)

0 50 100 150 200


-1

-2 V ciclo (2100 kg)


VI ciclo (3500 kg)
-3 VII ciclo (4000 kg)
VIII ciclo (4500 kg)
-4

-5
posizione lungo la soletta (cm)

Fig. 47. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’intradosso
durante gli ultimi quattro cicli.

387
CAPITOLO 5

0,13 mm 0,14 mm

1,30 mm 0,80 mm

0,10 mm 0,02 mm

Fig. 48. Quadro fessurativo dopo il quinto ciclo di carico (carico massimo pari a
2100 kg).

0,14 mm 0,16 mm

1,60 mm

0,12 mm 1,00 mm

0,18 mm 0,04 mm

Fig. 49. Quadro fessurativo dopo il sesto ciclo di carico (carico massimo pari a
3500 kg).

388
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

0,18 mm 0,20 mm

2,41 mm

0,16 mm 1,70 mm

1,22 mm 0,20 mm 0,06 mm

Fig. 50. Quadro fessurativo dopo il settimo ciclo di carico (carico massimo pari a
4000 kg).

0,18 mm 0,35 mm

3,10 mm

0,02 mm 2,20 mm

1,65 mm 0,44 mm 0,08 mm

Fig. 51. Quadro fessurativo dopo l’ottavo ciclo di carico (carico massimo pari a
4500 kg).

389
CAPITOLO 5

Dopo gli 8 cicli di carico, vista l’entità delle fessure sui piedritti, sono
stati tolti gli strumenti all’intradosso e si è proseguito ad incrementare il
carico sulla campata di destra al fine di individuare il meccanismo di
collasso della struttura. I risultati sperimentali hanno mostrato che, al
raggiungimento di un carico pari a 6900 kg, la fessura in corrispondenza
della chiave (nel secondo giunto verso destra), si è estesa anche al
frenello, causando una perdita di carico (fig. 52)
Con la ripresa del carico si è osservato un ulteriore incremento della
freccia e la formazione della quarta cerniera, con il raggiungimento del
collasso della struttura, come indicato nelle figure 53 e 54.
Il carico massimo raggiunto è stato 9500 kg.

Fig. 52. Fessura in corrispondenza della chiave al raggiungimento del carico


massimo pari a 6800 kg. Si può notare che la fessura si è estesa al frenello.

390
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Fig. 53. Deformata dell’arco a collasso (carico massimo pari a 9500 kg).

Fig. 54. Particolari delle quattro fessure nell’arco giunto a collasso (carico
massimo pari a 9500 kg).

391
CAPITOLO 5

5.5. Considerazioni sui risultati delle prove sperimentali

I risultati delle prove sperimentali, eseguite su un modello fisico di


volta in muratura con frenello, permettono di affermare che, per carichi
anche rilevanti (circa 7 volte i carichi d’esercizio), il comportamento della
struttura è di tipo elastico-lineare; per carichi superiori inizia ad instaurarsi
un quadro fessurativo che evidenzia un comportamento ad arco a tre
cerniere, con cerniera centrale localizzata nella soletta e cerniere laterali
localizzate nei piloni all’imposta. Il fatto che le cerniere si siano formate
nei piloni anziché nell’arco, in corrispondenza delle reni, evidenzia l’effetto
irrigidente del frenello, che impedisce la flessione nell’arco e trasferisce gli
effetti del carico ai piedritti; ovviamente questo porta anche ad un
notevole aumento del carico ultimo della struttura.
Nei primi tre cicli di carico, osservando il grafico carico spostamento
(fig. 55), è stato possibile individuare un lieve cambio di pendenza,
associato alla formazione di lesioni in chiave e all’imposta. È importante
sottolineare che la variazione del modulo elastico della struttura è
praticamente impercettibile e, anche nei cicli successivi (fig 56), in cui le
lesioni si sono diffuse in tutto lo spessore dell’arco, non si è manifestato,
come ci si sarebbe aspettato, nessun cambio di pendenza: anche questo
è imputabile alla grande rigidezza del frenello.
Per quanto riguarda l’incatenamento estradossale è necessario
sottolineare che la presenza di questo presidio strutturale limita
notevolmente le deformazioni che, dato il comportamento ad arco a tre
cerniere, sono fortemente influenzate dalle deformazioni delle pareti
laterali. Tuttavia, dai risultati presentati nel paragrafo precedente, si è
osservato che la presenza di una barra metallica posta all’interno della
soletta non modifica il comportamento della struttura, infatti, anche dopo
l’eliminazione di tale incatenamento si sono continuati a registrare
spostamenti dei piedritti verso l’interno e un abbassamento della soletta
sia nella porzione di arco in cui è stato applicato il carico, sia nella
semicampata opposta al carico.

392
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

1' 2' 3'


Primi tre cicli di carico
4' 5'
(con catena estradossale) 2
Carico massomo 2980 kg 4 1 3 5

800

700

600
500

carico (kg)
400

300 strum.2'
200
100

0
0 1 2 3 4
-100
spostamento (mm)

Fig. 54. Grafico carico-spostamento misurato in chiave all’estradosso per i primi


tre cicli. Come si può osservare, il cambio di rigidezza tra i vari cicli molto
modesto.

Cicli di carico sulla struttura


priva di catena estradossale 1' 2' 3'
1200 4' 5'
2
4 1 3 5
1000

800
carico (kg)

600

400

200
strum. 2
0
0 1 2 3 4 5
-200
spostamento (mm)

Fig. 55. Grafico carico-spostamento misurato in chiave all’estradosso per gli ultimi
quattro cicli. Il grafico non mostra cambi di rigidezza tra i vari cicli di carico.

393
CAPITOLO 5

Un simile comportamento, caratteristico di strutture con


incatenamento estradossale46, si è mostrato tipico anche di strutture con
frenello di irrigidimento posto all’estradosso. Il frenello, infatti, impedisce la
formazione di lesioni alle reni verso l’estradosso e consente di trasferire
gli effetti del carico all’imposta dell’arco.
Il meccanismo di collasso si instaura con la formazione della quarta
cerniera, quando nella soletta si apre una fessura sul lato opposto al
carico. Tale fessura è dovuta al superamento della resistenza a trazione
del calcestruzzo della soletta, che risulta prevalentemente tesa.
Nel piedritto opposto al carico si instaura inoltre uno scorrimento
provocato dalle forti tensioni tangenziali.
Da quanto emerso appare evidente che il frenello è in grado di
contribuire all’abbattimento del regime flessionale perché si comporta
come un diaframma. Il frenello assume quindi il compito di assorbire le
forze applicate e di trasformarle in un carico uniformemente distribuito
sull’arco, assorbendo la flessione che i carichi applicati generano e
creando al suo interno un corrente superiore compresso ed uno inferiore
teso (fig. 56).
Se l’arco è soggetto ad un carico asimmetrico applicato solo su metà
campata (fig. 57), esso tende ad alzarsi nella semicampata scarica e ad
abbassarsi in quella carica. Il frenello si oppone al sollevamento della
semicampata sinistra della volta, creando in essa una compressione che
abbatte il regime flessionale generato dal carico.

P P

Fig. 56. Arco caricato con forze concentrate e schema dell’ effetto del frenello.

394
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

p
p
q

Fig. 57. Arco con carico asimmetrico.

5.6. Confronti tra diversi metodi di irrigidimento flessionale

In un lavoro di ricerca precedente47, è stata eseguita la medesima


prova su un modello in cui il frenello è stato sostituito da un riempimento
alleggerito in materiale coerente. Risulta quindi interessante riportare i
principali risultati ottenuti per questo modello al fine di confrontare il
comportamento dei due differenti sistemi di irrigidimento estradossale.

5.6.1. Risultati delle prove sperimentali su una volta con riempimento in


materiale alleggerito

Il modello sperimentale realizzato per le prove sulla volta con


riempimento in materiale alleggerito risulta identico, per geometria della
volta stessa, condizioni al contorno e modalità di carico, a quello
impiegato per le prove sulla volta con frenello, illustrate nei capitoli
precedenti.
Il materiale di riempimento impiegato è costituito da calcestruzzo
alleggerito con polistirolo, materiale leggero e coerente, avente le
seguenti caratteristiche:

395
CAPITOLO 5

Modulo Peso Resistenza Resistenza


elastico E specifico a comp. a trazione
[MPa] [kg/m3] [MPa] [MPa]
Riempimento 2700 700 1,30 0,2

Tabella 3. Caratteristiche del materiale di riempimento.

Le prove, eseguite applicando un carico eccentrico solo su metà


campata, sono consistite in 7 cicli di carico-scarico (tab. 4) . Nell’ultimo
ciclo la struttura è stata portata a rottura. Nei primi quattro cicli all’interno
della struttura era presente una catena estradossale. Prima del 5° ciclo la
catena estradossale è stata eliminata. Nella tabella seguente sono
riportati i carichi massimi applicati:

Ciclo di Carico massimo Catena estradossale


Carico [kg]
n° 1 600 SI
n° 2 1600 SI
n° 3 1900 SI
n° 4 2600 SI
n° 5 1600 NO
n° 6 1600 NO
n° 7 4080 NO

Tabella 4. Cicli di carico eseguiti sul modello sperimentale con riempimento


alleggerito.

Nella figura 58 è riportato il diagramma carico-spostamento dei primi


quattro cicli di carico, eseguiti sulla struttura con catena estradossale (le
frecce sono relative ad un sistema di riferimento solidale con le imposte).
Nei primi tre cicli di carico i diagrammi hanno un andamento praticamente
lineare. Nel quarto ciclo, a causa di un’evoluzione del quadro fessurativo
in chiave, al raggiungimento di un carico pari a circa 1600 kg, si è
manifestato un cambiamento di pendenza.

396
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

1' 2' 3'


Cicli di carico con catena estradossale
4' 5'
2
3000 4 1 3 5

2500

2000

carico (kg)
1500
1° ciclo

1000
2° ciclo

3° ciclo
500

4° ciclo
0
0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0
spostamento (mm)

Fig. 58. Andamento dello spostamento all’estradosso in chiave.

Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti


all'estradosso al termine del quarto ciclo
(Carico massimo 2600 kg)
0,5

0
0 50 100 150 200
spostamento (mm)

-0,5

-1

-1,5
IV ciclo (2600 kg)

-2

-2,5
posizione lungo la soletta (cm)

Fig. 59. Deformazione della soletta rilevata dagli strumenti posti all’estradosso.

397
CAPITOLO 5

In figura 59 è rappresentata l’evoluzione della deformata della soletta


interpolata mediante le misure di cinque comparatori posti all’estradosso
durante il quarto ciclo di carico (carico massimo pari a 2600 kg). Si nota
l’innalzamento della parte opposta al carico provocato dalle spinte verso
l’alto esercitate dall’arco sul riempimento.
Nelle figure 60 e 61 è rappresentata l’evoluzione degli spostamenti
orizzontali delle pareti laterali. Entrambe le pareti tendono a spostarsi
verso l’esterno a causa, probabilmente, della spinta all’imposta e dello
scarso contenimento delle catene. A livello dell’imposta si ha la
formazione di due fessure orizzontali, mentre tra le pareti ed il materiale di
riempimento si formano fessure verticali di ampiezza modesta. I piedritti,
quindi, tendono a ruotare attorno alla cerniera formatesi all’imposta.
A livello della soletta, la parete destra subisce uno spostamento
verso l’interno in quanto la catena estradossale impedisce
l’allontanamento dei piedritti.

Fig. 60. Evoluzione della deformazione della parete sinistra durante il quarto ciclo.
La posizione dei comparatori meccanici per la misura degli spostamenti è stata
indicata con la sigla M. In rosso sono evidenziate le fessure.

398
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Fig. 61. Evoluzione della deformazione della parete destra durante il quarto ciclo.
La posizione dei comparatori meccanici per la misura degli spostamenti è stata
indicata con la sigla M. In rosso sono evidenziate le fessure.

A partire dal quinto ciclo di carico, è stata eliminata la catena


estradossale costituita dalla barra φ 6 inserita nella soletta; tale modifica
ha modificato sostanzialmente il comportamento della struttura. Il cambio
di comportamento è ben evidente nel diagramma carico-spostamento
riportato in figura 62.
La curva del quinto ciclo di carico (carico massimo pari a 1600 kg),
dopo un primo tratto con rigidezza simile a quella dei cicli precedenti,
presenta una rigidezza molto bassa con conseguente notevole
incremento di freccia che raggiunge il valore di 2.5 mm, a fronte di un
valore di 0.7 mm registrato nel secondo ciclo con lo stesso valore di
carico. Dopo lo scarico si è mantenuta una freccia residua di 0.9 mm.

399
CAPITOLO 5

In seguito all’eliminazione della catena estradossale, si modifica il


comportamento strutturale dell’arco e nella struttura si evidenzia un nuovo
quadro fessurativo con distacco delle pareti dalla soletta (fig. 63).
Il quadro fessurativo in chiave rimane invece lo stesso.
Per una migliore comprensione, anche intuitiva, delle differenze nel
comportamento strutturale in presenza ed in assenza di catena
estradossale, in figura 63 sono riportate le deformate della struttura,
ricostruite in base alle misure effettuate, con spostamenti amplificati 100
volte: come si può osservare, dopo l’eliminazione della catena
estradossale, in seguito all’assestamento della struttura, le pareti laterali
subiscono uno spostamento verso l’esterno.
Nei cicli successivi (fig. 62) si osserva che i grafici carico-
spostamento ripresentano, almeno nel tratto iniziale, la stessa pendenza
dei cicli precedenti.
La curva del settimo ciclo di carico (carico massimo pari a 4080 kg),
nel tratto iniziale fino a 700 kg, ha infatti la stessa pendenza degli altri
cicli. Superato tale carico, la pendenza diviene quella del ramo finale della
curva del 4° ciclo, pendenza che rimane costante fino ad un carico di
4080 kg (con freccia di 3.3 mm), in corrispondenza del quale si sono
improvvisamente aperte due fessure nella soletta con perdita di carico
(3750 kg) e incremento della freccia (fig. 64).
Come si può vedere dalla figura 65, inoltre, in seguito alla
fessurazione, si è manifestato uno scorrimento tra la soletta e il materiale
di riempimento.
In figura 66 è rappresentata la deformazione della soletta nella fase
di carico del settimo ciclo. In questa fase si osserva, sulla semicampata
sinistra, un incremento di sollevamento, che si mantiene pressoché
costante anche durante la fase di scarico,con un valore di 0,71 mm
(misurato dal comparatore elettronico E5).
Nonostante l’entità del carico applicato, il materiale di riempimento, si
mantiene omogeneo subendo uno scollamento solamente nelle zone a
contatto con i muri laterali ed in chiave.

400
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE
1' 2' 3'
spostamento in chiave all'estradosso
4' 5'
2
4500 4 1 3 5

4000

3500

3000 1° ciclo

carico (kg)
2500 2° ciclo

3° ciclo
2000
4° ciclo
1500 5° ciclo
1000 6° ciclo

ciclo a rottura
500

0
0,0 1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0
spostamento (mm)

Fig. 62. Grafico carico-spostamento rilevato dallo strumento posto in chiave.

16 kN

4° ciclo (con catena estradossale)

16 kN

5° ciclo (senza catena estradossale)

Fig. 63. Deformata con carico pari a 1600 kg: quarto ciclo (sopra), quinto ciclo
(sotto).

401
CAPITOLO 5

SX DX

Fig. 64. Particolare delle fessure in chiave sviluppatesi al raggiungimento di un


carico massimo pari a 4080 kg.

Fig. 65. Quadro fessurativo in chiave al raggiungimento di un carico massimo pari


a 4080 kg (sotto), con il particolare dello scorrimento tra la soletta e il materiale di
riempimento (sopra)

402
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

2,0

1,0

0,0
0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220

spostamento (mm) -1,0

-2,0 1100 kg

2100 kg
-3,0

3100 kg
-4,0
4080 kg

-5,0
3750 kg

-6,0 4100 kg

-7,0

lunghezza soletta (cm)

Fig. 66. Evoluzione della deformata della soletta rilevata dagli strumenti posti
all’estradosso durante il settimo ciclo (carico massimo pari a 4080 kg).

38.5 kN

Fig. 67. Quadro fessurativo prima del raggiungimento del carico massimo di 4080
kg.

403
CAPITOLO 5

37.5 kN

Fig. 68. Quadro fessurativo dopo la formazione delle due lesioni in chiave, a
carico assestato di 3750 kg.

60 cm
44.86 kN

Fig. 69. Quadro fessurativo a collasso, con la formazione della quarta cerniera
plastica localizzata nella semicampata sinistra.

404
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

Fig. 70. Struttura a collasso con carico massimo pari a 4490 kg.

Fig. 70. Particolare della quarta cerniera.

405
CAPITOLO 5

Dopo la rottura della soletta, si è eseguito un ulteriore ciclo di carico


per stabilire se la struttura è in grado di mobilitare ulteriori risorse statiche
e per evidenziare meglio il meccanismo di collasso. Il carico massimo
raggiunto è di 4490 kg e il quadro fessurativo è rimasto pressoché
invariato fino alla formazione improvvisa della quarta cerniera plastica, in
seguito alla quale si instaura il meccanismo di collasso (fig. 69).
Nella figura 70 è riportata un immagine della struttura a collasso,
mentre nella figura 71 è riportato il particolare della quarta cerniera
localizzata nella semicampata opposta al carico.

5.6.2. Confronti e considerazioni finali

Dal confronto fra i risultati delle due prove sperimentali appare


evidente che il materiale di riempimento alleggerito, pur contribuendo in
maniera rilevante ad assorbire le flessioni generate dal carico eccentrico,
risulta meno efficace rispetto al frenello.
Innanzitutto il meccanismo di collasso nei due casi risulta differente:
in entrambi i modelli si ha la formazione di una cerniera in chiave verso
l’intradosso e nella semicampata opposta al carico verso l’estradosso,
ma, mentre per l’arco con materiale di riempimento alleggerito, si
sviluppano due fessure alle reni che provocano il distacco del
riempimento dai piedritti, nell’arco con frenello le lesioni sono localizzate
nei piedritti, all’imposta dell’arco. Questa differenza mostra che il frenello,
avente modulo elastico maggiore rispetto al riempimento alleggerito, non
consente l’apertura di fessure all’estradosso, ma trasferisce gli effetti del
carico ai sistemi di sostegno (fig 71).
La maggiore efficacia del frenello rispetto al materiale di riempimento
alleggerito è messa in evidenza anche dalla deformazione della soletta.
Un arco soggetto ad un carico eccentrico, come è noto, tende a sollevarsi
nella semicampata opposta al carico; questo innalzamento lo si può
chiaramente osservare nell’arco con riempimento alleggerito, mentre
risulta inibito nell’arco con frenello. Il frenello, infatti, impedisce il

406
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

sollevamento della semicampata sinistra, limitando notevolmente la


flessione nell’arco.
Infine, il carico di collasso per l’arco munito di frenello di irrigidimento
è circa doppio di quello con materiale di riempimento alleggerito.

Fig. 71. Confronto tra il meccanismo di collasso dell’arco con frenello (sinistra) e
quello dell’arco con riempimento alleggerito (destra).

5.7. Conclusioni

La presente ricerca sperimentale eseguita su un arco


rappresentante un segmento di volta con frenello mostra, come è già
stato messo in evidenza da precedenti lavori numerici e teorici, che un
riempimento in materiale coesivo consente di limitare notevolmente la
flessione all’interno della volta.
La tecnica di consolidamento di strutture voltate in muratura
mediante sostituzione del materiale di riempimento tradizionale incoerente
con frenelli o con un materiale molto più leggero ma coesivo, quindi,
appare una soluzione interessante negli interventi nell’edilizia storica in
quanto ha un duplice effetto: consente di ridurre l’impegno statico dei
piedritti e delle fondazioni, grazie alla notevole diminuzione del peso, e
contrasta il regime flessionale dell’arco, che può così sopportare
condizioni di carico particolarmente sfavorevoli, quali quella di carico
concentrato o distribuito in modo non simmetrico.

407
CAPITOLO 5

Un intervento di questo tipo, inoltre, presenta le ideali caratteristiche


richieste, in quanto non altera significativamente la funzione statica
originaria della struttura, è reversibile e non invasivo. Sia la soluzione con
frenello, sia quella con materiale di riempimento alleggerito, pur
migliorando la stabilità della struttura, non ne stravolgono il
comportamento statico-meccanico originale, inoltre, impiegate per il
ripristino strutturale di volte di edifici di valore storico e architettonico,
permettono di realizzare interventi reversibili.
La prova eseguita sulla volta munita di frenello ha mostrato che,
anche per carichi elevati (7 volte il carico di esercizio), la volta non risulta
fessurata; solo per carichi superiori si instaura un quadro fessurativo che
evidenzia un comportamento ad arco a tre cerniere, con cerniera centrale
localizzata in prossimità della chiave dell’arco e cerniere laterali
localizzate nei piedritti. Questo significa che la presenza dell’irrigidimento
estradossale non consente la formazione delle classiche fessure alle reni,
ma permette di trasferire il carico sui piedritti, che si lesionano a livello
dell’imposta, portando di conseguenza ad un aumento del carico di
collasso della struttura.
Questo meccanismo ha mostrato, inoltre, una maggiore resistenza
rispetto a quello del modello con riempimento alleggerito.
Dal confronto presentato nella parte finale si può notare che la
soluzione con materiale di riempimento alleggerito, pur contribuendo in
maniera rilevante ad assorbire le flessioni generate dal carico eccentrico,
risulta meno efficace rispetto al frenello.
Anche il meccanismo di collasso risulta differente nei due casi; infatti,
mentre la presenza del frenello, consente di impedire la formazione di
cerniere alle reni dell’arco e di trasferire le azioni risultanti
dall’applicazione del carico ai piedritti, il materiale di riempimento
alleggerito si lesiona proprio alle reni, attraverso il distacco dai piedritti.
È risultato infine che la presenza di una catena estradossale limita
notevolmente le deformazioni, pur non alterando il meccanismo di
collasso: nella struttura con frenello, infatti, in seguito all’eliminazione
della catena estradossale, non si sono evidenziate nuove lesioni nella
struttura e i piedritti hanno continuato a ruotare verso l’interno.

408
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

5.8. Bibliografia

ƒ AA. VV., Arch Bridges, Atti del Fist International Conference on Arch
Bridges, UK, 3-6 September 1995, ed. T. Telford, London 1995.
ƒ AA.VV., Storia delle tecniche murarie e tutela del costruito,
esperienze e questioni di metodo, a cura di S. Della Torre, Atti del
convegno di studi, Università di Brescia Aprile 1995, Guerini Studio,
Milano 1996.
ƒ Abruzzese D., Como M., Lanni G., Some results on the strenght
evaluation of vaulted masonry structures, in Proceedings of Fourth
International conference on Structural Studies of historical Buildings,
STREMA ’95, Crete Greece, 1995, Cal Mechanics Publications,
Southampton 1995, 431-440.
ƒ Alberti L. B., L’architettura (De re aedificatoria), a cura di Giovanni
Orlandi e Paolo Portoghesi, edizioni il Polifilo, Milano 1966.
ƒ Blasi C., Foraboschi P., Analytical approach to collapse mechanisms
of circular masonry arch, in “ASCE – Journal of Structural Engineering”,
vol. 120 n. 8, 1994.
ƒ Bonavia M., Volte, in Manuale del recupero del Comune di Roma,
Edizioni DEI, Roma 1989.
ƒ Boothby T. E., Analysis of Masonry Arches and Vaults, in Progress in
Structural Engineering and Materials, ltd. John Wiley & Sons, July 2001.
ƒ Caleca L., De Vecchi A., Tecnologie di consolidamento delle strutture
murarie, Libreria Dario Flaccovio Editrice, Palermo 1987.
ƒ Cigni G., Il consolidamento murario: tecniche d'intervento, ed. Kappa,
Roma 1978.
ƒ Cavicchi A., Gambarotta L., Collapse analysis of masonry bridges
taking into account arch-fill interaction, in “Engineering structures”, vol. 27,
2005.
ƒ Cavicchi A., Gambarotta L., Lower bound limit analysis of masonry
bridges including arch-fill interaction, in “Engineering structures”, 2007.
ƒ Curioni G., L’arte di Fabbricare. Costruzioni civili, stradali, idrauliche,
Negro, Torino 1870.

409
CAPITOLO 5

ƒ Di Giorgio Martini F., Trattati di architettura, ingegneria e arte militare,


a cura di Corrado Maltese, edizioni Il Polifilo, Milano 1967.
ƒ Durand J. N. L., Lezioni di architettura (1819), a cura di E. D’Alfonso,
CLUP, Milano 1986.
ƒ Fairfield A., Ponniah D. A., Geotechnical considerations in arch
bridge assessment, in “Journal of the Institution of Highways and
Transportation”, vol. 40 n. 7, 1993.
ƒ Fairfield C. A., Ponniah D. A, Soil pressure measurement for arch
bridge assessment, in Proceeding of the 5th International Conference on
Structural Faults and Repair, Edinburgh 1993, vol. 3, 283-288.
ƒ Fairfield C. A., Ponniah D. A., Model tests to determine the effect of
fill on buried arches, in Proceeding of the Institution of Civil Engineers –
Structures and Building, vol. 104, 1994.
ƒ Felicetti R, Gattesco N., A penetration test to study the mechanical
response of mortar in ancient masonry buildings, in “Material and
structures”, vol. 31, 1998.
ƒ Foraboschi P., Meccanismi di collasso dell’arco murario con
rinfianco, in Giornale del Genio Civile, gennaio-febbraio-marzo 1995.
ƒ Gelfi P., Capretti A., Backfill role on the stability of arches and vaults,
in Structural studies, Repairs and Maintenance of Historical Buildings VII,
Wit Press, UK 2001.
ƒ Giuriani E., Gubana A., Arenghi A., Backfill and spanderls to limit the
vault bending, in Proc. Strema ’99, Eds. C. A. Brebbia, W. Jager,
Southampton, Boston 1999, 738-748.
ƒ Giuriani E., Gubana A., Arenghi A., Il ruolo degli elementi strutturali
secondari nel comportamento delle volte – Global behaviour of vault
structures, in “Technical Report”, n. 13/2, Università degli Studi di Brescia,
Dipartimento di Ingegneria Civile, 1996.
ƒ Giuriani E., Gubana A., Estrados ties for structural restoration of
vaults, Proceedings of Fourth International conference on Structural
Studies of historical Buildings, in Strema ’95, Crete Greece, 1995, Cal
Mechanics Publications, Southampton 1995.
ƒ Giustina I., Problemi di lessico tecnico nella documentazione relativa
a cantieri ricchiniani, in Storia delle tecniche murarie e tutela del costruito,

410
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

esperienze e questioni di metodo, a cura di Della Torre S., Guerini Studio,


Milano 1996.
ƒ Harvey W. J., Smith F. W., Semicircular Arches, in “Proc. Instn Civ.
Engrs.”, vol. 83, 1987, 845-849.
ƒ Harvey W. J., Application of the mechanism analysis to masonry
arches, in “The structural Engineer”, vol. 66 n. 5, 1988.
ƒ Heyman J., The masonry arch, Ellis Horwood Lim., Chichester 1982.
ƒ Levi C., Trattato teorico-pratico di costruzioni civili, rurali, stradali ed
idrauliche, vol. I e II, Ulrico Hoepli, Milano 1932.
ƒ Mezzanotte G., Percorsi del restauro in San Faustino a Brescia,
Edizioni Il Polifilo, Università degli Studi di Brescia, 1997.
ƒ Milizia F., Principi di architettura civile (1785), a cura di Giovanni
Antolini, Gabriele Mazzotta editore, Milano 1972.
ƒ NG K., Fairfield C. A., Modifying the mechanism method of masonry
arch bridge analysis, in “Construction and Building Materials”, vol. 18, n.
2, 2004, 91-97.
ƒ Occhiuzzi A., Clemente P., Meccanismi di rottura e sicurezza degli
archi murari, in 4th Italian Workshop ASS.I.R.C.CO, Kappa ed., Roma
1992.
ƒ Palladio A., I quattro libri dell’architettura (1570), a cura di Magagnato
L. e Marini P-, Edizioni Il Polifilo, Milano 1980.
ƒ Ponniah D. A., Fairfield C. A., Fill stresses in a new brick arch bridge
subject heavy axle-load tests, in “Proceedings of the Institution of Civil
Engineers, Structures and Buildings”, vol. 122, n. 2, 1997, 173-185
ƒ Rondelet J. B., Trattato teorico e pratico dell’arte di edificare, a cura
di Basilio Soresina, Tomo II, seconda parte, Tomo III, Editrice coi tipi di L.
Caranenti, Mantova 1831.
ƒ Salvadori S., Indagine sperimentale sull’interazione tra volta e
materiale di riempimento alleggerito, Tesi di laurea, Università degli studi
di Brescia, A.A. 2001/2002.
ƒ Scamozzi V., L’idea dell’architettura universale (1615), Gregg,
Ridgewood 1964.
ƒ Tibaldi P., L’Architettura, a cura di G.Panizza, Il Polifilo, Milano 1990.

411
CAPITOLO 5

ƒ Valadier G., L’architettura pratica dettata nella scuola e cattedra


dell’insigne accademia di S. Luca (1831), Editorgrafica, Roma 1992.

NOTE:

1
Alberti L. B., 1989, 246.
2
Di Giorgio Martini F., 1967, 93.
3
Ibidem.
4
Tibaldi P., 1990, 111-112.
5
Ivi, p. 112.
6
Giustina I., 1996, 220.
7
Caleca L., 1994, 253-254.
8
Mezzanotte G., 1997.
9
Scamozzi V., 1982, 324.
10
Ibidem.
11
Bonavia M., 1989, 85.
12
Milizia F., 1972, 534-535.
13
Rondelet J. B., 1831, 96.
14
Durand J. N. L. 1986, 77.
15
Ivi, 183.
16
Curioni G., 1870, 191.
17
Gli speroni, secondo Carlo Levi, sono dei muretti larghi 30 o 40 cm,
realizzati all’estradosso della volta e diretti normalmente ai piedritti, con lunghezza
dipendente dall’ampiezza e dalla freccia della volta stessa (Levi C., 1932, 314.).
18
Levi C., 1932, 314..
19
Fiorani, Esposito, 1989.
20
Harvey W. J., 1988.
21
Blasi C., Foraboschi P., 1994.
22
Foraboschi P., 1995..
23
Giuliani E., Gubana A., Arenghi A., 1996.
24
Clemente P., Occhiuzzi A., Raithel A. 1995.
25
Fairfield C. A., Ponniah D. A., 1993.
26
Fairfield C. A., Ponniah D. A., 1994.
27
Ng K.-H., Fairfield C. A., 2003
28
Gelfi P., Capretti A., 2001.
29
Arco.exe è un programma di.di calcolo disponibile in internet all’indirizzo
http://civserv.ing.unibs.it/utenti/gelfi/arco.htm.
30
Cavicchi A., Gambarotta L., 2005 e Cavicchi A., Gambarotta L., 2007.

412
LE VOLTE A BOTTE E IL PROBLEMA FLESSIONALE

31
Feigl I., 1999.
32
Valadier G., 2000.
33
Una luce di 2 metri rappresenta realisticamente un modello in scala 1:2 di
una tipica volta dell’edilizia storica.
34
Feigl I., 1999.
35
Fiorani, 1996.
36
R. Felicetti e N. Gattesco, 1998.
37
Feigl I., 1999.
38
Valore misurato con prove di compressione, eseguite 2 mesi dopo il getto,
sulle 6 metà risultanti da 3 provini 4x4x16 cm sottoposti precedentemente a prove
di flessione.
39
Il Withmore è uno strumento mobile che misura la variazione della distanza
tra due punti contrassegnati con delle borchiette. Conoscendo il modulo elastico
del materiale è possibile risalire alla trazione applicata alle barre attraverso la
formula:
 ∆l 
σ = E⋅ 
d
dove E è il modulo elastico dell’acciaio, ∆l è la variazione di lunghezza
registrata dallo strumento e d è la distanza fra le due placchette collocate sulla
barra (d è solitamente pari a 30 cm).
40
Gli strain-gages utilizzati hanno una precisione di 1 micron / 1 metro.
41
I carichi sono stati applicati manualmente avvitando i bulloni posizionate
sulla traversa superiore.
42
Sarebbe stato più corretto applicare il peso proprio R del materiale di
riempimento, nel baricentro del volume da esso occupato, ma esso non è molto
differente a quello in cui è stata applicata la forza R; la coordinata x G del
baricentro risulta infatti essere pari a 25.86 cm, quindi praticamente coincidente
con il punto 1.
43
La misura degli spostamenti sia all’intradosso che all’estradosso è servita
anche come verifica per eventuali malfunzionamenti della strumentazione.
44
Sulla semicampata di sinistra sono stati posizionati dei pesi noti,
mentre su quella di destra si è raggiunto lo stesso valore operando
manualmente sulle quattro barre munite di strain-gauges.
45
Nel calcolo del carico da applicare si è tenuto conto del peso dei vari
elementi costituenti il banco di prova (traverse in acciaio e tiranti), sottraendolo dal
peso totale da aggiungere.
46
Giuriani E., Gubana A., 1995.
47
Salvadori S., 2002.

413
6. CONCLUSIONI

Attraverso il presente lavoro sono stati indagati alcuni aspetti del


comportamento strutturale delle volte finora poco chiari.
Uno dei principali risultati dello studio presentato è la formulazione di
una teoria basata sull’analisi limite, in grado di fornire in maniera rigorosa
e allo stesso tempo veloce lo stato di sforzo nelle volte. Nel presente
lavoro questa teoria, sviluppata sulla base dello studio di D’Ayala e
Casapulla (2001) per cupole emisferiche, viene perfezionata e resa
applicabile a qualsiasi tipo di volta. La teoria proposta consente non solo
di individuare la superficie funicolare del carico, ma anche di comprendere
a fondo il reale comportamento strutturale delle volte analizzate, grazie
alla possibilità di valutare gli effetti tridimensionali di interazione tra gli
archi che si possono sviluppare nelle strutture studiate, effetti che
possono risultare particolarmente importanti nel caso di volte complesse.
L’applicazione di questa teoria alle volte a padiglione ha consentito,
da un lato, di verificare l’efficacia e la validità della teoria presentata e,
dall’altro, di far luce sul comportamento strutturale di questo particolare
tipo di volte.
I risultati ottenuti attraverso la teoria presentata si sono mostrati
perfettamente coincidenti con quelli ottenuti attraverso le analisi ad
elementi finiti eseguite in campo non lineare che, generalmente, risultano
talmente complesse a causa dei problemi di convergenza e per le evidenti
difficoltà nell’interpretazione e nell’estrapolazione dei risultati, da risultare
difficilmente impiegabili in interventi di consolidamento.
La teoria basata sull’analisi limite si è mostrata invece un valido
strumento, di semplice interpretazione e in grado di simulare in maniera

415
CAPITOLO 6

precisa e rigorosa, ma allo stesso tempo rapida, il comportamento


strutturale delle volte complesse.
Lo studio si è quindi focalizzato sulla comprensione del
comportamento strutturale delle volte a padiglione. Partendo dallo studio
di Giuriani E. e Tomasoni E. (2002), grazie anche all’applicazione della
teoria basata sull’analisi limite, sono stati analizzati i complessi
meccanismi statici che si generano al loro interno, giungendo alla
definizione di modelli ulteriormente semplificati, estremamente utili in
interventi di consolidamento.
Innanzitutto si è potuto notare che lungo le diagonali delle volte a
padiglione si sviluppano, nella fascia inferiore della volta, sforzi di trazione
perpendicolari alle diagonali stesse. Tali sforzi costituiscono la causa delle
fessure passanti, localizzate lungo le diagonali e a volte anche al centro
del fuso, che sovente interessano questo tipo di volta. Si è inoltre
dimostrato che queste lesioni, spesso imputate ai cedimenti dei muri
perimetrali, si sviluppano anche in volte vincolate rigidamente.
Un altro elemento di estrema importanza in un eventuale intervento
di consolidamento è la spinta orizzontale all’imposta; lo studio eseguito ha
permesso di comprendere che l’andamento di tale spinta non è massimo
al centro del fuso e nullo agli spigoli, come riportato in letteratura, ma
risulta pressoché costante, in quanto nel piano del fuso, anche dopo la
formazione di lesioni lungo le diagonali, si sviluppa un effetto guscio che
si manifesta attraverso la formazione di archi naturali di scarico in grado di
far defluire parte del carico verso le diagonali.
L’individuazione della posizione della superficie funicolare del carico
ha consentito, inoltre, di valutare l’entità dei momenti e degli sforzi di
taglio perpendicolari alla superficie della volta, responsabili dei possibili
meccanismi di scorrimento tra i conci. Si è potuto perciò notare che, al
diminuire del rapporto freccia/luce, tali momenti e tali componenti
tangenziali si riducono e che, quindi, lo stato di sforzo interno alla volta,
per volte ribassate, tende ad avvicinarsi alla soluzione membranale.
Alla luce di quanto acquisito circa il comportamento strutturale delle
volte a padiglione, sono quindi stati proposti metodi di calcolo semplificati,

416
CONCLUSIONI

quali per esempio la teoria membranale e lo schema ad archi, al fine di


verificarne il limite di validità.
La teoria membranale, modificata per tener conto delle condizioni al
contorno lungo le diagonali, si è mostrata un valido strumento, semplice e
immediato, per la valutazione di quegli elementi che possono risultare utili
in un intervento di consolidamento; in particolare si è osservato che essa
riesce a cogliere il comportamento strutturale delle volte a padiglione con
rapporti freccia/luce inferiori a 1/5, mentre per rapporti freccia/luce
superiori, l’applicazione rigorosa di tale teoria fornirebbe risultati poco
realistici. Tuttavia, alcuni semplici accorgimenti nella valutazione della
spinta all’imposta, suggeriti dalla trattazione presentata in questo lavoro,
consentono di ottenere validi risultati indipendentemente dalla freccia
della volta.
Lo schema ad archi, invece, proposto in numerosi testi di
consolidamento, si discosta enormemente dai risultati delle analisi ad
elementi finiti e da quelli ottenuti attraverso l’applicazione della teoria
“membranale” basata sull’analisi limite e perciò, nonostante esso abbia
finora costituito un punto di riferimento nella valutazione degli sforzi nelle
volte a padiglione, in particolare per la determinazione delle spinte, alla
luce dello studio presentato, si ritiene che una simile schematizzazione,
non essendo in grado di cogliere gli effetti tridimensionali di interazione tra
gli archi, così importanti per le volte a padiglione, possa solamente essere
impiegato per un primo approssimativo approccio per l’individuazione
delle forze in gioco in volte fortemente ribassate.
Infine, l’ultimo aspetto indagato attraverso il presente lavoro, riguarda
lo studio della rigidezza flessionale delle coperture voltate.
Attraverso una ricerca sperimentale, eseguita su un arco
rappresentante un segmento di volta con frenello, si è mostrato, come è
già stato messo in evidenza da precedenti lavori numerici e teorici, che un
riempimento in materiale coesivo consente di limitare notevolmente la
flessione all’interno della volta. Il contributo del presente studio è
consistito nell’evidenziare, attraverso il confronto fra due prove
sperimentali su un arco con materiale di riempimento alleggerito e con
frenello, le differenze nel comportamento strutturale delle due strutture e

417
CAPITOLO 6

nell’individuazione della tecnica di consolidamento più efficace ai fini di


ridurre la flessione nell’arco.
In particolare si è potuto osservare che la soluzione con materiale di
riempimento alleggerito, pur contribuendo in maniera rilevante ad
assorbire le flessioni generate dal carico eccentrico, risulta meno efficace
rispetto al frenello.
Anche il meccanismo di collasso risulta differente nei due casi; infatti,
mentre la presenza del frenello, consente di impedire la formazione di
cerniere alle reni dell’arco e di trasferire le azioni risultanti
dall’applicazione del carico ai piedritti, il materiale di riempimento
alleggerito si lesiona proprio alle reni, attraverso il distacco dai piedritti.

418
7. BIBLIOGRAFIA GENERALE

• AA. VV., Arch Bridges, Atti del Fist International Conference on Arch
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426
APPENDICI
APPENDICE A. GRAFICI DEGLI SFORZI NELLE VOLTE A
PADIGLIONE RICAVATI DALLE ANALISI NON
LINEARI

Di seguito sono riportati i grafici degli sforzi in una volta a padiglione


su base quadrata con luce pari a 6m e freccia pari a 3m, soggetta a peso
proprio e realizzata in muratura di mattoni (γ=1850 kg/m3, E=5E+9 N/m2
e ν=0,15). Tali sforzi, indicati in figura 1, sono letti in un sistema di
riferimento intrinseco solidale ad ogni elemento.
La volta è stata modellata utilizzando il programma di calcolo agli
elementi finiti Algor e simulando una resistenza a trazione nulla della
muratura.

Fig. 1. Sforzi agenti su un elemento appartenente alla volta a padiglione.

429
APPENDICE A

Per agevolare la lettura degli sforzi, ogni fuso della volta a padiglione
è stato suddiviso in paralleli e meridiani, come indicato in figura 2.

P0

P5

P 10

P 15

P 20

P 25
M0 M5 M 10 M 15 M 20 M 25

Fig. 2. Pianta della volta a padiglione con evidenziata la suddivisione di un


semifuso in paralleli e meridiani.

430
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

A.1. Grafici degli sforzi σm

σ m lungo il parallelo 25

1,2

0,8
σ m [kg/cmq]

0,6

0,4

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 3. Andamento degli sforzi σm lungo il venticinquesimo parallelo.

σ m lungo il parallelo 20

1,2

0,8
σ m [kg/cmq]

0,6

0,4

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 4. Andamento degli sforzi σm lungo il ventesimo parallelo.

431
APPENDICE A

σ m lungo il parallelo 15

1,2

0,8
σ m [kg/cmq]

0,6

0,4

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 5. Andamento degli sforzi σm lungo il quindicesimo parallelo.

σ m lungo il parallelo 10

1,2

0,8
σ m [kg/cmq]

0,6

0,4

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 6. Andamento degli sforzi σm lungo il decimo parallelo.

432
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

σ m lungo il parallelo 5

1,2

0,8

σ m [kg/cmq] 0,6

0,4

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 7. Andamento degli sforzi σm lungo il quinto parallelo.

σ m lungo il meridiano 0

1,2

1
x

0,8
σm [kg/cmq]

0,6

0,4

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m ]

Fig. 8. Andamento degli sforzi σm lungo il meridiano centrale.

433
APPENDICE A

σ m lungo il meridiano 5

1,2

1
x

0,8
σ m [kg/cmq]

0,6

0,4

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 9. Andamento degli sforzi σm lungo il quinto meridiano.

σ m lungo il meridiano 10

0,7

0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]

0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 10. Andamento degli sforzi σm lungo il decimo meridiano.

434
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

σ m lungo il meridiano 15

0,7

0,6
x
0,5

σ m [kg/cmq] 0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 11. Andamento degli sforzi σm lungo il quindicesimo meridiano.

σ m lungo il meridiano 20

0,7

0,6
x
0,5
σ m [kg/cmq]

0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 12. Andamento degli sforzi σm lungo il ventesimo meridiano.

435
APPENDICE A

A.2. Grafici degli sforzi σp

σ p lungo il parallelo 25

0,45

0,4

0,35

0,3
σ p [kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 13. Andamento degli sforzi σp lungo il venticinquesimo parallelo.

σ p lungo il parallelo 20

0,45

0,4

0,35

0,3
σ p [kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 14. Andamento degli sforzi σp lungo il ventesimo parallelo.

436
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

σ p lungo il parallelo 15

0,45

0,4

0,35

0,3

σ p [kg/cmq] 0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 15. Andamento degli sforzi σp lungo il quindicesimo parallelo.

σ p lungo il parallelo 10

0,45

0,4

0,35

0,3
σ p [kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 16. Andamento degli sforzi σp lungo il decimo parallelo.

437
APPENDICE A

σ p lungo il parallelo 5

0,45

0,4

0,35

0,3
σ p[kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

y [m]

Fig. 17. Andamento degli sforzi σp lungo il quinto parallelo.

σ p lungo il meridiano 0
0,45

0,4
x
0,35

0,3
σ p [kg/cmq]

0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
x [m ]

Fig. 18. Andamento degli sforzi σp lungo il meridiano centrale.

438
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

σ p lungo il meridiano 5

0,45

0,4

0,35
x

0,3

σ p [kg/cmq] 0,25

0,2

0,15

0,1

0,05

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 19. Andamento degli sforzi σp lungo il quinto meridiano.

σ p lungo il meridiano 10

0,7

0,6 x
0,5
σ p [kg/cmq]

0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 20. Andamento degli sforzi σp lungo il decimo meridiano.

439
APPENDICE A

σ p lungo il meridiano 15

0,7

0,6
x
0,5
σ p [kg/cmq]

0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 21. Andamento degli sforzi σp lungo il quindicesimo meridiano.

σ p lungo il meridiano 20

0,7

0,6 x
0,5
σ p[kg/cmq]

0,4

0,3

0,2

0,1

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

x [m]

Fig. 22. Andamento degli sforzi σp lungo il ventesimo meridiano.

440
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

A.3. Grafici dei momenti mm

mm lungo il parallelo 25

60
50
40
30
20
m m [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-20
-30
-40
-50
-60

y [m]

Fig. 23. Andamento dei momenti mm lungo il venticinquesimo parallelo.

mm lungo il parallelo 20

60
50
40
30
20
m m [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]

Fig. 24. Andamento dei momenti mm lungo il ventesimo parallelo.

441
APPENDICE A

mm lungo il parallelo 15

60
50
40
30
20
m m [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]

Fig. 25. Andamento dei momenti mm lungo il quindicesimo parallelo.

mm lungo il parallelo 10

60
50
40
30
20
m m [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]

Fig. 26. Andamento dei momenti mm lungo il decimo parallelo.

442
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

mm lungo il parallelo 5

60
50
40
30
20
mm [kg.m/m] 10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]

Fig. 27. Andamento dei momenti mm lungo il quinto parallelo.

mm lungo il meridiano 0

60
50
40
x
30
20
m m [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 28. Andamento dei momenti mm lungo il meridiano centrale.

443
APPENDICE A

mm lungo il meridiano 5

60
50
40
x
30
20
m m [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 29. Andamento dei momenti mm lungo il quinto meridiano.

mm lungo il meridiano 10

60
50
40 x
30
20
m m [kg.m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 30. Andamento dei momenti mm lungo il decimo meridiano.

444
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

mm lungo il meridiano 15

60
50
40 x
30
20
m m [kg.m/m] 10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 31. Andamento dei momenti mm lungo il quindicesimo meridiano.

mm lungo il meridiano 20

60
50
40
x
30
20
mm [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 32. Andamento dei momenti mm lungo il ventesimo meridiano.

445
APPENDICE A

A.4. Grafici dei momenti mp

mp lungo il parallelo 25

60
50
40
30
20
m p [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]

Fig. 33. Andamento dei momenti mp lungo il venticinquesimo parallelo.

mp lungo il parallelo 20

60
50
40
30
20
m p [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]

Fig. 34. Andamento dei momenti mp lungo il ventesimo parallelo.

446
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

mp lungo il parallelo 15

60
50
40
30
20
m p [kg.m/m] 10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]

Fig. 35. Andamento dei momenti mp lungo il quindicesimo parallelo.

mp lungo il parallelo 10

60
50
40
30
20
m p [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]

Fig. 36. Andamento dei momenti mp lungo il decimo parallelo.

447
APPENDICE A

mp lungo il parallelo 5

60
50
40
30
20
m p [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
y [m]

Fig. 37. Andamento dei momenti mp lungo il quinto parallelo.

mp lungo il meridiano 0

60
50
40 x
30
20
m p [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 38. Andamento dei momenti mp lungo il meridiano centrale.

448
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

mp lungo il meridiano 5

60
50
40
x
30
20

m p [kg.m/m] 10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 39. Andamento dei momenti mp lungo il quinto meridiano.

mp lungo il meridiano 10

60
50
40
x
30
20
10
m p [kg.m]

0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 40. Andamento dei momenti mp lungo il decimo meridiano.

449
APPENDICE A

mp lungo il meridiano 15

60
50
40 x
30
20
m p [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 41. Andamento dei momenti mp lungo il quindicesimo meridiano.

mp lungo il meridiano 20

60
50
40
x
30
20
m p [kg.m/m]

10
0
-10 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
-20
-30
-40
-50
-60
x [m]

Fig. 42. Andamento dei momenti mp lungo il ventesimo meridiano.

450
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

A.5. Grafici degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn

Per le convenzioni di segno usate per definire gli sforzi di taglio si fa


riferimento alle figure 43, 44 e 45.

Fig. 43. Schema di un elemento con indicata la convenzione di segno usata per gli
sforzi di taglio τmp, τpn e τmn.

Sforzi di taglio lungo il parallelo 25

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]

tmn
-0,4
tmp
-0,6
tpn

-0,8

-1

y [m]

Fig. 44. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
venticinquesimo parallelo.

451
APPENDICE A

Sforzi di taglio lungo il parallelo 20

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]

-0,4
tmn

-0,6 tmp

tpn
-0,8

-1

y [m]

Fig. 45. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
ventesimo parallelo.

Sforzi di taglio lungo il parallelo 15

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]

-0,4
tmn

-0,6 tmp

tpn
-0,8

-1

y [m]

Fig. 46. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
quindicesimo parallelo.

452
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

Sforzi di taglio lungo il parallelo 10

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn

-0,6 tmp

tpn
-0,8

-1

y [m]

Fig. 47. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
decimo parallelo.

Sforzi di taglio lungo il parallelo 5

0,2

0
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]

-0,4
tmn

-0,6 tmp

tpn
-0,8

-1

y [m]

Fig. 48. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il quinto
parallelo.

453
APPENDICE A

Sforzi di taglio lungo il meridiano 0

0,2

0 x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]

tmn
-0,4
tmp
-0,6
tpn
-0,8

-1

x [m]

Fig. 49. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
meridiano centrale.

Sforzi di taglio lungo il meridiano 5

0,2

0 x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]

-0,4
tmn

-0,6 tmp

tpn
-0,8

-1

x [m]

Fig. 50. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il quinto
meridiano.

454
GRAFICI RICAVATI DALLE ANALISI NON LINEARI

Sforzi di taglio lungo il meridiano 10

0,2

0 x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]
-0,4
tmn

-0,6 tmp

tpn
-0,8

-1

x [m]

Fig. 51. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
decimo meridiano.

Sforzi di taglio lungo il meridiano 15

0,2

0
x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]

-0,4
tmn

-0,6 tmp

tpn
-0,8

-1

x [m]

Fig. 52. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
quindicesimo meridiano.

455
APPENDICE A

Sforzi di taglio lungo il meridiano 20

0,2

0 x
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3

-0,2
[kg/cmq]

-0,4
tmn

-0,6 tmp

tpn
-0,8

-1

x [m]

Fig. 53. Andamento degli sforzi di taglio τmn, τmp e τpn momenti mp lungo il
ventesimo meridiano.

456
APPENDICE B. GRAFICI DELLE AZIONI INTERNE NELLE
VOLTE A PADIGLIONE AL VARIARE DEL
RAPPORTO FRECCIA/LUCE

Di seguito sono riportati i grafici degli sforzi ottenuti attraverso


l’applicazione della teoria basata sull’analisi limite, presentata nei capitoli
3 e 4 della seconda parte di questo lavoro, su volte a padiglione con
rapporto freccia/luce pari ad 1/3, 14 e 1/5.
Le volte analizzate sono impostate su pianta quadrata con luce di 6m
e freccia rispettivamente di 2 m, 1,5 m e 1,2 m. Con riferimento alla figura
1, il raggio di ogni volta è stato determinato attraverso la semplice
relazione:

(l + f 2 )
R= (1)
2f

mentre l’angolo di apertura θ è dato da:

(R − f )
ϑ = arccos (2)
R

457
APPENDICE B

z f

x
l

R θ a

Fig. 1. Schema della direttrice delle volte a padiglione analizzate, con indicati la
freccia f e il raggio di curvatura R.

B.1. Volta a padiglione con freccia di 2 m (f/l = 1/3)

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1


(rapporto freccia/luce=1/3)
700

600

500

400
S [kg]

300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]

Fig. 2. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della


coordinata x del sistema di riferimento globale.

458
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2


(rapporto freccia/luce=1/3)
600

500

400

S [kg]
300

S prima della
200 fessurazione
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato

x [m ]

Fig. 3. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della


coordinata x del sistema di riferimento globale.

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3


(rapporto freccia/luce=1/3)
600

500

400
S [kg]

300

S prima della
200 fessurazione
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato

x [m ]

Fig. 4. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della


coordinata x del sistema di riferimento globale.

459
APPENDICE B

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4


(rapporto freccia/luce=1/3)
700

600

500

400
S [kg]

300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani

100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato

x [m ]

Fig. 5. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della


coordinata x del sistema di riferimento globale.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1


(rapporto freccia/luce=1/3)
0,1

0,08

0,06

0,04
0,02
e [m]

0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06

-0,08 eccentricità
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 6. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.

460
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2


(rapporto freccia/luce=1/3)
0,1
0,08

0,06
0,04

0,02

e [m]
0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06
eccentriità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 7. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3


(rapporto freccia/luce=1/3)
0,1

0,08

0,06

0,04
e [m]

0,02 eccentricità
(soluzione non
ottimizzata)
0
0 1 2 3 4
-0,02 eccentricità
(soluzione
-0,04 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 8. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.

461
APPENDICE B

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4


(rapporto freccia/luce=1/3)
0,1
0,08
0,06
0,04

0,02
e [m]

0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 9. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 1)


(rapporto freccia/luce=1/3)
600

500

400

300 Tmerid
[kg]

200

100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 10. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 1.

462
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 2)


(rapporto freccia/luce=1/3)
600

500

400

300 Tmerid
[kg]
200

100

0 S*
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 11. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 2.

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 3)


(rapporto freccia/luce=1/3)
600

500

400

300 Tmerid
[kg]

200

100

S*
0
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 12. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 3.

463
APPENDICE B

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4)


(rapporto freccia/luce=1/3)
600

500

400

300 Tmerid
[kg]

200

100

S*
0
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 13. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 4.

Momento flettente lungo gli spicchi

15

10

5
.e [kg.m]

0
0 1 2 3 4 M=N.e (spicchio 1)
M=N

-5
M=N.e (spicchio 2)

-10
M=N.e (spicchio 3)

-15
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]

Fig. 14. Grafico del momento flettente lungo i quattro spicchi.

464
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Hp lungo la diagonale

500

400

300

200
[kg]
100

0 Hp
0 1 2 3 4 5
-100

-200
x' [m ]

Fig. 15. Andamento della forza cerchiante Hp lungo la diagonale.

Spinta orizzontale all'imposta

450 y

400

350

300

250
[kg]

200

150
spinta (soluzione
100 non ottimizzata)

50
spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 16. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.

465
APPENDICE B

B.2. Volta a padiglione con freccia di 1,5 m (f/l = 1/4)

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1


(rapporto freccia/luce=1/4)
700

600

500

400
S [kg]

300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]

Fig. 17. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2


(rapporto freccia/luce=1/4)
600

500

400
S [kg]

300

S prima della
200 fessurazione
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato

x [m ]

Fig. 18. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

466
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3


(rapporto freccia/luce=1/4)
600

500

400

S [kg]
300

S prima della
200 fessurazione
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato

x [m ]

Fig. 19. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4


(rapporto freccia/luce=1/4)
700

600

500

400
S [kg]

300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani

100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato

x [m ]

Fig. 20. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

467
APPENDICE B

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1


(rapporto freccia/luce=1/4)
0,1

0,08

0,06

0,04
0,02
e [m]

0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06

-0,08 eccentricità
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 21. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2


(rapporto freccia/luce=1/4)
0,1
0,08

0,06
0,04

0,02
e [m]

0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06
eccentriità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 22. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.

468
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3


(rapporto freccia/luce=1/4)
0,1
0,08
0,06

0,04
0,02

e [m] 0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 23. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4


(rapporto freccia/luce=1/4)
0,1
0,08
0,06
0,04

0,02
e [m]

0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 24. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.

469
APPENDICE B

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 1)


(rapporto freccia/luce=1/4)
600

500

400

300 Tmerid
[kg]

200

100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 25. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 1.

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 2)


(rapporto freccia/luce=1/4)
600

500

400

300 Tmerid
[kg]

200

100

0 S*
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 26. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 2.

470
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 3)


(rapporto freccia/luce=1/4)
600

500

400

300 Tmerid
[kg]
200

100

S*
0
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 27. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 3.

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4)


(rapporto freccia/luce=1/4)
600

500

400

300 Tmerid
[kg]

200

100

S*
0
0 1 2 3 4
Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 28. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 4.

471
APPENDICE B

Momento flettente lungo gli spicchi

15

10

5
.e [kg.m]

0
0 1 2 3 4 M=N.e (spicchio 1)
M=N

-5
M=N.e (spicchio 2)

-10
M=N.e (spicchio 3)

-15
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]

Fig. 29. Grafico del momento flettente lungo i quattro spicchi.

Hp lungo la diagonale

500

400

300

200
[kg]

100

0 Hp
0 1 2 3 4 5
-100

-200
x' [m ]

Fig. 30. Andamento della forza cerchiante Hp lungo la diagonale.

472
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Spinta orizzontale all'imposta

450 y

400

350

300

250
[kg] 200

150
spinta (soluzione
100 non ottimizzata)

50
spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 31. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.

473
APPENDICE B

B.3. Volta a padiglione con freccia di 1,2 m (f/l = 1/5)

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 1


(rapporto freccia/luce=1/5)
700

600

500

400
S [kg]

300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato
x [m ]

Fig. 32. Grafico della forza S lungo lo spicchio 1 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 2


(rapporto freccia/luce=1/5)
700

600

500

400
S [kg]

300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani

100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato

x [m ]

Fig. 33. Grafico della forza S lungo lo spicchio 2 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

474
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 3


(rapporto freccia/luce=1/5)
700

600

500

400

S [kg] 300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani
100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato

x [m ]

Fig. 34. Grafico della forza S lungo lo spicchio 3 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

Risultante S degli sforzi meridiani agenti sullo spicchio 4


(rapporto freccia/luce=1/5)
700

600

500

400
S [kg]

300
S prima della
fessurazione
200
lungo i meridiani

100 S* dopo la
fessurazione
0 lungo i meridiani
0 1 2 3 4 S* ottimizzato

x [m ]

Fig. 35. Grafico della forza S lungo lo spicchio 4 diagrammata in funzione della
coordinata x del sistema di riferimento globale.

475
APPENDICE B

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1


(rapporto freccia/luce=1/5)
0,1

0,08

0,06

0,04
0,02
e [m]

0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06

-0,08 eccentricità
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 36. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 1.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2


(rapporto freccia/luce=1/5)
0,1
0,08

0,06
0,04

0,02
e [m]

0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06
eccentriità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 37. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 2.

476
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3


(rapporto freccia/luce=1/5)
0,1
0,08
0,06

0,04
0,02

e [m] 0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 38. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 3.

Eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4


(rapporto freccia/luce=1/5)
0,1
0,08
0,06
0,04

0,02
e [m]

0
0 1 2 3 4 eccentricità
-0,02 (soluzione non
-0,04 ottimizzata)

-0,06
eccentricità
-0,08
(soluzione
-0,1 ottimizzata)
x [m ]

Fig. 39. Grafico dell’eccentricità della forza S* lungo lo spicchio 4.

477
APPENDICE B

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 1)


(rapporto freccia/luce=1/5)
600

500

400

300 Tmerid
[kg]

200

100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 40. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 1.

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 2)


(rapporto freccia/luce=1/5)
700

600

500

400
Tmerid
[kg]

300

200

100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 41. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 2.

478
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 3)


(rapporto freccia/luce=1/5)
700

600

500

400
Tmerid
[kg] 300

200

100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 42. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 3.

Componente Nmer e Tmer della forza S (spicchio 4)


(rapporto freccia/luce=1/5)
700

600

500

400
Tmerid
[kg]

300

200

100
S*
0
0 1 2 3 4 Nmer
-100
x [m ] T mer

merid
Fig. 43. Andamento della forza S* e delle sue componenti N e Tmerid lungo lo
spicchio 4.

479
APPENDICE B

Momento flettente lungo gli spicchi

15

10

5
.e [kg.m]

0
0 1 2 3 4 M=N.e (spicchio 1)
M=N

-5
M=N.e (spicchio 2)

-10
M=N.e (spicchio 3)

-15
M=N.e (spicchio 4)
x [m ]

Fig. 44. Grafico del momento flettente lungo i quattro spicchi.

Hp lungo la diagonale

500

400

300
[kg]

200

100
Hp

0
0 1 2 3 4 5
-100
x' [m ]

Fig. 45. Andamento della forza cerchiante Hp lungo la diagonale.

480
AZIONI INTERNE AL VARIARE DEL RAPPORTO F/L

Spinta orizzontale all'imposta

450 y

400

350

300

250
[kg] 200

150
spinta (soluzione
100 non ottimizzata)

50
spinta (soluzione
0
ottimizzata)
0 0,5 1 1,5 2 2,5 3
y [m ]

Fig. 46. Spinta orizzontale esercitata dalla volta lungo le pareti perimetrali.

481

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