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Duttilità e gerarchia delle resistenze

La capacità antisismica di una struttura è misurata, più che dalla sua resistenza, dalla sua capacità di
assorbire energia. Ciò implica che le azioni esercitate da un certo sisma possono essere descritte in
termini di forze statiche equivalenti solo se la struttura si mantiene in campo elastico. In tal caso, la
sua capacità di assorbimento di energia è infatti proporzionale alla resistenza, pertanto
l’assorbimento energetico richiesto dal sisma di progetto è assicurato se la struttura è in grado di
sopportare elasticamente una certa distribuzione di forze statiche. Sotto terremoti forti, si farà
invece ricorso alla duttilità (adattabilità plastica della struttura, capacità di subire elevate
deformazioni plastiche e di dissipare energia in cicli di isteresi). La sopravvivenza delle strutture in
cemento armato sottoposte ad azioni eccezionali non può essere affidata alla sola resistenza, per
problemi di costi economici; si deve invece prevedere la fuoriuscita della struttura dal campo
elastico, con deformazioni plastiche anche rilevanti, senza tuttavia che essa pervenga al collasso. E’
necessario pertanto che le strutture posseggano una adeguata “duttilità”.
E’ evidente come, per una struttura ad n gradi di libertà, la duttilità non possa essere definita in
modo univoco. Si introduce perciò una duttilità globale calcolata con riferimento ad un parametro
significativo della deformazione strutturale (in un telaio, ad esempio, si considera lo spostamento
dell’ultimo piano).
E’ necessario pertanto che le strutture posseggano una adeguata “duttilità”.
E’ infatti possibile definire diversi “livelli” di duttilità:
1. duttilità di materiale
2. duttilità di sezione
3. duttilità di elemento
4. duttilità di struttura

Duttilità di materiale
A livello del materiale, la duttilità si valuta sui legami costitutivi. Se per esempio si considerano i
legami sperimentali di calcestruzzo o oppure i legami normativi (NTC 2018, Par. 4.1.2.1.2.1 per il
calcestruzzo e Par 4.1.2.1.2.2 per l’acciaio), assegnato un certo stato tensionale nel punto, l’area al
di sotto del diagramma costitutivo fino al punto σ-ε rappresenta l’energia per unità di volume che il
materiale ha immagazzinato cioè l’energia nel volume di dimensioni unitarie costruito intorno al
punto di cui si valuta lo stato tensionale. E infatti la dimensione di tale area è FL−2, e cioè FL
(energia)diviso L3 (volume).
Allo scarico da tale punto solo una parte dell’energia viene restituita. Se viene restituita tutta il
materiale è elastico. Altrimenti l’aliquota non restituita è stata dissipata plasticamente ed è servita a
salvaguardare l’intera struttura, senza pervenire al collasso; conseguentemente il materiale presenta
deformazioni permanenti allo scarico.
La duttilità si definisce numericamente in modo semplice se il legame costitutivo è elasto-plastico.
In particolare la duttilità μ, in termini di σ-ε, si definisce come il rapporto fra la deformazione
ultima e la deformazione di snervamento.
Per esempio, con riferimento all’acciaio da normativa e acciaio B450C, poiché il progettista può
utilizzare una deformazione ultima pari al 6,75%, mentre l’allungamento allo snervamento è
1,86%0, la duttilità di progetto è circa 36, ovvero un numero molto alto. Per quanto riguarda il
calcestruzzo, il modello elasto-plastico della normativa porta immediatamente a una duttilità di 2;
facendo riferimento allo snervamento che si otterrebbe a parità di area complessiva rispetto al
diagramma parabola-rettangolo si avrebbe una duttilità di 2,63. Dunque l’acciaio è enormemente
più duttile del calcestruzzo. Si consideri un materiale a comportamento elastico-perfettamente
plastico.
Fino ad fy il materiale ha comportamento elastico lineare. Se il materiale è duttile, oltre fy non
riprende più sforzi, ma continua ad allungarsi sotto carico costante. La duttilità del materiale μm è
quindi definita come:

Se il materiale è duttile, anche la risposta della sezione sarà di tipo duttile.

Duttilità di sezione
Se dal materiale si passa alla sezione, il comportamento strutturale è definito dal diagramma
momento-curvatura; a ogni momento applicato M, con sforzo normale nullo (flessione semplice) o
sforzo normale costante (pressoflessione), corrisponde una curvatura 1/r della sezione; il grafico di
tutte le coppie (M, 1/r) `è definito come il diagramma momento-curvatura. L’area al di sotto del
diagramma momento-curvatura, fissato un certo punto della curva, rappresenta l’energia per unità di
lunghezza che l’elemento strutturale ha immagazzinato. Con dizione semplificata si può dire che
rappresenta l’energia nella sezione. A conferma si osservi che l’area ha dimensioni F, ovvero FL
(energia) diviso L (lunghezza).
Consideriamo ora il comportamento di una trave inflessa, soggetta ad un carico flessionale costante.

Nell’ipotesi di conservazione delle sezioni piane, il concio di trave soggetto ad un momento M


compie una rotazione relativa dγ, che in fase elastica (M <= Me) è proporzionale ad dM.
Incrementando M, il comportamento flessionale del concio di trave a cavallo della sezione S può

allora essere descritto in termini di momento M e curvatura . Si parlerà quindi di duttilità di


sezione μs , definita come:

Con riferimento ad una generica sezione inflessa in c.a., si osserva che la duttilità di sezione
aumenta:

- all’aumentare delle prestazioni del conglomerato (resistenza e deformazione ultima), e


quindi del suo grado di confinamento,
- all’aumentare dell’armatura compressa,
- al ridursi dell’ armatura tesa,
- al ridursi della tensione di snervamento dell’armatura.
Lo sforzo normale ha sempre un effetto negativo sulla duttilità, come risulta dalla figura.

Schematizzando inoltre il legame momento-curvatura con una bilatera, si osserva che quando
M=Mu, la sezione plasticizza. Si parla, in tal caso, di cerniera plastica (a parità di momento Mu =
ML, la curvatura continua ad aumentare, in quanto la sezione dispone di una capacità di
rotazione relativa dγ infinita).
Duttilità di elemento
Se si volesse passare dall’energia immagazzinata nella sezione a quella dell’intero elemento, si
dovrebbe integrare il diagramma momento-curvatura sull’intera lunghezza dell’elemento, ottenendo
una rotazione che rappresenta la rotazione complessiva, in parte elastica e in parte plastica,
dell’elemento non lineare.
Si consideri un pilastro in c.a., a sezione costante, soggetto all’estremità libera ad una forza
orizzontale P e ad un’azione assiale W = mg = cost. Trascurando il peso proprio dell’elemento
distribuito sull’altezza l, il pilastro può essere ricondotto ad un oscillatore semplice di massa m =
W/g.

Al variare della forza P, il comportamento del pilastro inflesso può essere definito in termini di
relazione momento-curvatura (M-х). Analogamente, si può pensare di descrivere la risposta del
sistema strutturale al crescere di P in termini di spostamento u della sezione di sommità (P-u). Si
osserva, in particolare, che al crescere di P si raggiunge dapprima lo snervamento, con spostamento
uE della massa m. Lo snervamento corrisponde al raggiungimento di un momento ML alla base del
pilastro, con conseguente formazione di una cerniera plastica:

Fino alla soglia plastica, la deformazione del pilastro ha inoltre un andamento parabolico, dal
momento che sussiste un legame del tipo F = M/EJ:

Alla formazione della cerniera al piede del pilastro (u >= uE ), la sezione all’incastro entra in fase
plastica ( х>= хy). Si instaura pertanto un meccanismo in un sistema che inizialmente era isostatico.
Lo stato di sollecitazione lungo il pilastro resta praticamente immutato, mentre alla deformazione
preesistente uE si aggiunge una rotazione rigida alla base, compatibile con le capacità duttili della
cerniera. Lo spostamento ultimo uu della sezione di sommità viene infatti raggiunto quando alla
base del pilastro la cerniera esaurisce la capacità di rotazione plastica che è in grado di fornire. La
duttilità del pilastro (e in generale, la duttilità dell’elemento μelemento ) è quindi definita come:

Gli incrementi di spostamento in fase plastica possono inoltre essere valutati come:
dove lp è detta lunghezza della cerniera plastica. Lo spostamento u del pilastro (rigido) è dovuto
infatti alla sola rotazione della cerniera plastica. La disponibilità di una certa duttilità per l’elemento
strutturale richiede una duttilità molto maggiore a livello di sezione. Vale infatti la relazione:

Si può quindi affermare che :


- la condizione perché sia possibile la ridistribuzione degli sforzi è che la struttura sia iperstatica;
- la ridistribuzione può avvenire, solo se nelle sezioni critiche in cui si sono formate le cerniere
plastiche è presente un’elevata duttilità (elevata capacità di rotazione plastica);
- la duttilità delle sezioni non è sufficiente a garantire la duttilità della struttura, essendo
quest’ultima funzione anche della distribuzione delle resistenze (ML) delle singole sezioni.
La valutazione di tali rotazioni, e in particolare della parte plastica, è argomento di estrema
importanza per le costruzioni in zona sismica. Esistono diverse formulazioni che ne consentono la
valutazione. In primo luogo formulazioni teoriche complete, in cui vengono utilizzati tutti i modelli
costitutivi (calcestruzzo teso e compresso, acciaio teso e compresso, aderenza, influenza del taglio
ecc.). Dal punto di vista applicativo e normativo, si considerano formulazioni semplificate, che in
genere si basano sulla definizione di “lunghezza della cerniera plastica”, oppure formulazioni semi-
empiriche, basate sull’analisi sperimentale di molte prove effettuate in laboratorio e conseguenti
regressioni statistiche.
Alla luce di quanto appena illustrato, la norma vigente (NTC,2018) rivoluziona la progettazione
introducendo il criterio di “gerarchia delle resistenze”: in ogni sistema, che sia esso costituito da
diversi materiali, diverse tipologie di sezioni o di elementi strutturali, è necessario prediligere una
rottura duttile, cioè capace di immagazzinare più energia rispetto ad una rottura fragile. Ciò è
possibile sovradimensionando i meccanismi fragili (relativi a materiali, sezioni e/o elementi) e
quindi aumentando la resistenza degli elementi fragili rispetto a quella degli elementi duttili. In
particolare la norma pone Rfragile>Rd * Rduttile dove con Rd si indica il fattore di sovraresistenza.
Essendo quest’ultimo maggiore dell’unità, la norma pone un margine maggiore nel
sovradimensionamento di elementi fragili (ad es. pilastri) rispetto a quelli duttili (ad es. travi).

Gerarchia delle resistenze


Per realizzare il massimo controllo sul comportamento strutturale si possono definire strategie atte
ad indirizzare il comportamento strutturale, privilegiando modalità di crisi più favorevoli al
soddisfacimento delle prestazioni di salvaguardia della vita umana. Si è già osservato che è bene
evitare, per quanto possibile, meccanismi di collasso fragili o altri meccanismi indesiderati (rottura
a taglio, collasso di collegamenti trave- colonna, plasticizzazione delle fondazioni, ….). Nella
comune progettazione sismica, si dispongono le zone dissipative della struttura in modo tale che si
attivi il modo di rottura scelto in fase di progetto per evitare il collasso di tipo fragile. È bene che le
zone in cui si verificano cedimenti (cerniere plastiche) siano distribuite lungo tutta la struttura senza
concentrazioni in corrispondenza di un unico piano (il cosiddetto piano soffice) e si sviluppino solo
sulle travi e non sulle colonne, eccetto che alla base dell’edificio. Nelle zone non dissipative la
capacità è superiore alla domanda.
Per arrivare a tale comportamento è necessario che in sede di progetto venga prevista un’adeguata
sequenza di formazione delle cerniere plastiche e dei valori delle resistenze, ed inoltre che il
passaggio da uno schema resistente all’altro si attui per eliminazione di elementi facilmente
riparabili.
Esiste un’ampia evidenza che le strutture progettate secondo le Normative di nuova generazione
posseggano ampi margini di resistenza che consentano loro di sopportare senza giungere a collasso
azioni sismiche di livello ben superiore a quello di progetto. Questi margini derivano da regole
supplementari di buona progettazione.
Il primo e fondamentale criterio (gerarchia delle resistenze) è quello di assegnare, in fase di
progetto, una resistenza differenziata ai vari elementi strutturali, in modo che il cedimento di alcuni
preceda e quindi prevenga quello di altri. Questi ultimi, ossia quelli da proteggere, sono gli elementi
il cui cedimento è critico nei confronti del collasso globale della struttura. Esempio tipico sono i
pilastri di un edificio, il cui cedimento viene impedito fornendo ad essi una resistenza di poco
superiore a quella delle travi che su di essi si innestano. Il criterio si estende a tutti gli elementi e
meccanismi di cui è necessario evitare il cedimento.
Il secondo criterio è quello di incrementare la duttilità degli elementi strutturali il cui cedimento è
accettato, anzi voluto. Per cedimento si intende il raggiungimento ed il superamento, da parte di un
elemento elastico, della fase elastica (e quindi reversibile), per entrare in quella delle deformazioni
cicliche ripetute e di grande ampiezza in campo anelastico. L’obiettivo delle regole di
dimensionamento è quello di consentire che tali deformazioni siano sopportate dagli elementi
strutturali senza che essi perdano la loro integrità e la loro funzione statica. La capacità di
deformazione anelastica si indica col termine “duttilità”.
Le regole di duttilità contenute nella Norma consentono di graduare con continuità questa
caratteristica da conferire agli elementi strutturali, nella misura richiesta a ciascuno di essi da ruolo
che gli stessi hanno nel meccanismo di deformazione globale della struttura.
I procedimenti di gerarchia delle resistenze e le regole di duttilità sono i cardini principali che
consentono, a parità di azione sismica di progetto, di raggiungere livelli di protezione molto elevati,
attraverso una visione globale ed una possibilità di controllo delle strutture.
La norma prevede che gli edifici in c.a. in zona sismica abbiano un’adeguata capacità di dissipare
energia in campo plastico per azioni cicliche ripetute senza che ci sia una significativa riduzione di
resistenza. Per avere un buon comportamento dissipativo le deformazioni anelastiche devono essere
distribuite nel maggior numero di punti negli elementi duttili. Per il conseguimento degli obiettivi
prestazionali previsti dalla norma è necessario seguire regole quali:
1) Gerarchia delle resistenze
In fase di progetto si assegna una resistenza differenziata ai diversi elementi strutturali in modo che
il danneggiamento o la crisi di alcuni preceda quello di altri. Qualora sussiste la possibilità di rotture
alternative, deve sempre avvenire prima quella con meccanismo duttile; il progettista deve innalzare
opportunamente la soglia di resistenza delle possibili rotture fragili, in questo modo il
comportamento è governato dal meccanismo duttile perché quello fragile non si può attivare.
Consideriamo una struttura elementare, ossia una catena costituita da due anelli: il primo duttile e il
secondo fragile (rottura improvvisa). Supponiamo che la catena debba sopportare uno sforzo F
crescente:
Dato che Fu1 dell’anello duttile è minore di Fu2 relativo all’anello fragile, il diagramma che descrive
il comportamento complessivo partirà da 0 e arriverà fino a Fu1; raggiunto il punto A, la forza F non
può più crescere, quindi si attiverà il comportamento duttile fino a rottura. Non è possibile rompere
la catena nell’anello fragile perché la forza non può superare Fu1 quindi, arrivati a Fu1, la forza non
può più aumentare e la catena inizierà a deformarsi. Questo comporta dunque che alcuni elementi
vanno progettati non in base alle sollecitazioni di calcolo ma in base alle resistenze degli stessi, cioè
si progetta pe la capacità richiesta (capacity design).

Siamo riusciti ad evitare un meccanismo fragile, ma ciò comporta come si vede, una riduzione di
duttilità del sistema rispetto alla duttilità dei singoli elementi. Nel II esercizio, il sistema rispetta la
gerarchia delle resistenze in quanto la resistenza dell’elemento fragile (2) è maggiore di quella dei
duttili (1-3); per vedere il comportamento complessivo abbiamo guardato il primo spigolo A.
Nelle strutture la gerarchia delle resistenze deve essere garantita a tutti i livelli strutturali: dei
materiali, delle sezioni, degli elementi e dell’intera struttura; la progettazione deve essere mirata al
sovradimensionamento dei meccanismi/elementi fragili. Si può progettare la struttura in maniera
che il collasso avvenga in maniera ottimale, seguendo percorsi ottimali predeterminati,
concentrando la dissipazione delle zone duttili. Si progetta una sequenza di rotture duttili nel
meccanismo di resistenza di una struttura alla luce della gerarchia delle resistenze:
Salvaguardarsi da rotture di tipo fragile;
Dissipare energia tramite cicli isteretici ampi e stabili;
Conseguire vantaggi economici rispetto ad una progettazione della struttura in fase elastica.
Le costruzioni soggette all’azione sismica devono essere progettate secondo un comportamento
strutturale:
- Dissipativo agli SLU (q>1), tenendo conto della non linearità dei materiali e quindi degli
elementi e della struttura;
- NON DISSIPATIVO agli SLE (q=1), non si tiene conto della non linearità.
La norma prevede 2 livelli di capacità dissipativa: CDA e CDB. La differenza tra le due classi
risiede nell’entità della plasticizzazione. Progettare in CDA ci permette di ridurre l’entità
dell’azione sismica (qCDA>qCDB) ma ci costringe a rispettare prescrizioni più limitative per garantire
una maggiore duttilità e ci determina anche una differente applicazione della gerarchia delle
resistenze. Sugli elementi si distinguono 2 zone:
1) ZONE DISSIPATIVE: parti strutturali curate dal punto di vista dei dettagli costruttivi che
devono dissipare l’energia in ingresso con cicli di isteresi ampi (elevata duttilità) e stabili (non
interessati da fenomeno di degrado di resistenza pishing).
2) ZONE NON DISSIPATIVE: parti della struttura che devono restare in fase elastica.
Progettare secondo la filosofia della gerarchia delle resistenze consiste nel disporre le zone
dissipative nell’intero sistema, in modo che siano responsabili dell’attivazione della rottura duttile
in modo tale da massimizzare la capacità della struttura di deformarsi e quindi di dissipare energia.
Tutte le altre zone, invece, vengono progettate per rimanere in campo elastico (più o meno) sotto
l’azione di forze pari alla resistenza delle zone duttili.
I principi di gerarchia delle resistenze si basano sui principi del Capacity Design.
 Le zone dissipative devono essere progettate in funzione delle massime caratteristiche della
sollecitazione (N,T,M) derivanti dalle combinazioni di carico di progetto.
A) ANALISI DEI CARICHI
B) COMBINAZIONE DEI CARICHI
C) CALCOLO CARATTERISTICHE DELLA SOLLECITAZIONE INTERNA (N,T,M)
D) PROGETTO DELLE ZONE DISSIPATIVE TALI CHE PER OGNI COMBINAZIONE
MED<MRD.
 Le zone non dissipative, dovendo restare in campo elastico, devono essere progettate in
funzione delle massime caratteristiche di resistenza ultima che le zone dissipative sono in grado
di trasmettere. L’anello di acciaio rappresenta la zona dissipativa, quindi va progettato in modo
che FED < FRCACC. L’anello di vetro va progettato con il II criterio, cioè essendo l’elemento
fragile, va progettato in funzione delle massime sollecitazioni che l’anello duttile può
trasmettere FRDACC<FRDvetro.
Le incertezze sul comportamento dei materiali e le incertezze sulla modellazione vengono tenute
conto mediante l’inserimento di un fattore parziale di sicurezza γRD definito FATTORE DI
SOVRARESISTENZA, che dipende dalla classe di duttilità (CDA = 1,3 e CDB = 1,1). Il materiale
che fornisce duttilità alla struttura è l’acciaio, pertanto è necessario assicurare che vengano
realmente sviluppati i meccanismi che coinvolgono tale materiale; ciò comporta che vengano
utilizzati acciai di resistenza quanto più prossima a quella di calcolo.
Indipendentemente dalla classe di duttilità, le sezioni in c.a. devono essere debolmente armate, cioè
l’armatura deve snervare con il calcestruzzo poco sollecitato. È importante quindi contenere la
profondità dell’asse neutro in condizioni di collasso, così da far aumentare la curvatura in
condizioni ultime ; tale condizione si raggiunge limitando le % meccaniche di armatura
in zona tesa.
2) Pilastri più resistenti delle travi (per scongiurare l’attivazione di mecc. fragili: piano soffice)
Fornisce meccanismi in cui per avere il collasso, si devono formare un maggior numero di cerniere.
La norma prevede per il c.a. di considerare per il calcolo i momenti resistenti delle travi moltiplicati
per un coefficiente amplificativo γRD funzione della classe di duttilità. Il meccanismo dissipativo
prevede la localizzazione delle cerniere all’estremità delle trave e le sollecitazioni di progetto dei
pilastri sono ottenute a partire dalla resistenza di estremità delle travi, facendo in modo che ad ogni
nodo trave-pilastro, la resistenza complessiva dei pilastri sia maggiore di quella delle travi.

Si assume il nodo in equilibrio ed i momenti nelle travi e nei Pilastri tra loro concordi. Nel caso i
momenti nel pilastro siano discordi, nella relazione va messo il maggiore nella sommatoria dei
pilastri e il minore nella sommatoria delle travi. Considerare il pilastro fragile deriva dal fatto che,
essendo pressoinflesso, si può controllare poco la duttilità; nella trave invece si può controllare la
duttilità tramite (ω- ω’).

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