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LE BARRIERE ARCHITETTONICHE

Domanda 124 –Normativa barriere architettoniche


Domanda 132 – Come supero un dislivello di 60 cm
Domanda 278 – Abbattimento barriere architettoniche

A livello normativo nazionale, il campo di applicazione in materia di abbattimento barriere


architettoniche è oggi disciplinato dalla combinazione di quanto previsto dal:
 DM 236/1989,
 L. 13/1989,
 L. 104/1992
 DPR 503/1996,
 fino al D.P.R. 380/2001 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia.

L'eliminazione delle barriere architettoniche è un diritto del cittadino sancito dalla Costituzione.
Secondo quanto previsto dal DM 236 del 14 giungo 1989, per barriere architettoniche si
intendono:
- gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di persone
con capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea;
- gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti,
attrezzature o componenti;
- la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilità
dei luoghi e delle fonti di pericolo in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.
Le prime indicazioni normative in materia di barriere architettoniche risalgono alla fine degli anni
'60 e da allora si sono succeduti molti provvedimenti legislativi. L'ultima novità normativa è
rappresentata dal Testo Unico sull'edilizia n° 380/2001 secondo cui tutte le opere realizzate negli
edifici pubblici e privati aperti al pubblico in difformità dalle disposizioni vigenti in materia di
accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, nelle quali le difformità siano tali da
rendere impossibile l'utilizzazione dell'opera da parte delle persone diversamente abili, sono
dichiarate inagibili.
Esempi classici di barriera architettonica sono i gradini, le porte con luce netta ridotta, le
pendenze eccessive, gli spazi ridotti; esistono tuttavia innumerevoli casi di barriere meno evidenti,
come i parapetti pieni che impediscono la visibilità a una persona in carrozzina o di bassa statura ed
i sentieri di ghiaia o con fondo dissestato. Nel caso di persone non vedenti possono rappresentare
casi di barriera architettonica anche semafori privi di segnalatore acustico o oggetti sporgenti.
Il decreto 236/89 introduce per la prima volta i concetti di accessibilità, visitabilità e adattabilità
quali criteri da tener conto nella fase progettuale.
Il primo criterio è l’accessibilità (il grado più alto di utilizzo dello spazio costruito) ossia la
possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere
l’edificio e le singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire di spazi ed
attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia. Nello specifico si definisce unità
ambientale uno spazio elementare e definito idoneo a consentire lo svolgimento di attività tra loro
compatibili; si definisce invece unità immobiliare un insieme di unità ambientali tra loro
funzionalmente connesse.
La normativa prevede che debba essere garantita l'accessibilità:
- per i percorsi esterni e le parti comuni di tutti gli edifici e, inoltre, che sia accessibile almeno il 5%
degli alloggi di edilizia residenziale sovvenzionata (con un minimo di un'unità immobiliare per ogni
intervento);
- per gli ambienti destinati ad attività sociali (come quelle scolastiche, sanitarie, culturali, sportive);
- per gli edifici sedi di aziende o imprese soggette alla normativa sul collocamento obbligatorio.
Il secondo criterio è la visitabilità cioè la possibilità, anche da parte di persone con ridotta o
impedita capacità motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio
igienico di ogni unità immobiliare. Sono spazi di relazione gli spazi di soggiorno o pranzo
dell’alloggio e quelli dei luoghi di lavoro, servizio ed incontro. Con questo termine si vuole indicare
quindi un più ridotto grado di fruibilità dello spazio, limitando l'accessibilità ad alcune parti
dell'edificio (quelle di relazione e i locali igienici).
Il terzo criterio è l’adattabilità ossia la possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito a
costi limitati con la finalità di renderlo completamente ed agevolmente fruibile anche da parte di
persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. Questo criterio non stabilisce pertanto
dei requisiti dimensionali da attuare al momento, quanto la possibilità di garantire in futuro la
completa accessibilità. Detto criterio si applica a tutti gli edifici per i quali non sia già richiesta
l'accessibilità o la visitabilità.
In merito agli accessi ed ai percorsi orizzontali, l’art. 8 punto 8.1.1 del DM 236/1989 afferma che la
luce netta della porta di accesso di ogni edificio e di ogni unità immobiliare deve essere di
almeno 80 cm mentre la luce netta di tutte le altre porte deve essere di almeno 75 cm. Devono
inoltre essere preferite soluzioni per le quali le singole ante delle porte non abbiano larghezza
superiore ai 120 cm. Per quanto concerne i corridoi, i percorsi devono avere una larghezza
minima di 100 cm con appositi allargamenti atti a consentire l’inversione di marcia da parte di
persone su sedia a rotelle. Non devono inoltre presentare variazioni di livello (in caso contrario il
dislivello va superato mediante rampe).
Per il superamento dei dislivelli la normativa prevede come soluzione l’impiego di rampe,
ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici.
Per quanto riguarda la rampa, la larghezza minima deve essere pari a:
- 90 cm, per consentire il transito di una persona su sedia a ruote;
- 150 cm per consentire l’incrocio di due persone.
Ogni 10 metri di lunghezza ed in presenza di interruzioni mediante porte, la rampa deve prevedere
un piano orizzontale di dimensioni minime 150X150 cm. La pendenza delle rampe, inoltre, non
deve superare l’8% salvo pendenze superiori nei casi di adeguamento. Non viene considerato
accessibile il superamento di un dislivello superiore ai 320 cm ottenuto mediante rampe inclinate in
successione. Una rampa progettata con accuratezza sia nella forma che nei materiali e ben integrata
architettonicamente con lo spazio circostante, costituisce un percorso alternativo per tutti e non una
corsia riservata a pochi.
Per quanto riguarda l’ascensore, il DM 236/1989 distingue tre casi:
- per gli edifici di nuova edificazione non residenziali le dimensioni minime della cabina deve
essere di 140 cm di profondità e 110 cm di larghezza con porta posta sul lato corto di luce netta
minima di 80 cm e piattaforma minima di distribuzione di 150X150 cm;
- per gli edifici di nuova edificazione residenziale, la cabina deve avere dimensioni minime di 130
cm di profondità e 95 cm di larghezza con porta posta sul lato corto di luce netta minima di 80 cm e
piattaforma di distribuzione di dimensioni minime 150X150 cm;
- per adeguamento di edifici preesistenti è prevista una cabina di dimensioni minime 120 cm di
profondità e 80 cm di larghezza con porta posta sul lato corto di lice netta minima di 75 cm e
piattaforma minima di distribuzione di 140X140 cm.
Si definisce servoscala un’apparecchiatura costituita da un mezzo di carico opportunamente
attrezzato per il trasporto di persone con ridotta o impedita capacità motoria, marciante lungo il lato
di una scala o di un piano inclinato e che si sposta, azionato un motore elettrico, nei due sensi di
marcia vincolato a guide. I servoscala sono consentiti in alternativa ad ascensori e preferibilmente
per superare differenze di quota non superiori ai 4 metri. Tuttavia il servoscala rappresenta spesso la
soluzione meno idonea in quanto sono le stesse persone con disabilità a non voler usare strutture
destinate solo a loro, che costituiscono elemento discriminatorio e quindi a sua volta emarginante e
spesso di difficile gestione, per non parlare della loro pericolosità in situazioni di emergenza.
La piattaforma elevatrice è una soluzione per il superamento dei dislivelli modesti e di norma non
superiore a 4 metri. Tale soluzione garantisce vantaggi analoghi a quelli dell’ascensore in termini di
fruibilità, con un impatto meno invasivo. In tutti i casi, infatti, la piattaforma elevatrice richiede una
fossa di dimensioni pari a pochi centimetri e può essere finita, superiormente, con la medesima
pavimentazione dell’ambiente in cui essa andrà installata.
Il DPR 380/01 sancisce che tra le attività di edilizia libera rientrano anche gli interventi volti
all’eliminazione delle barriere architettoniche che però non comportino la realizzazione di rampe o
ascensori esterni ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio. In quest’ultimo caso
infatti sarà necessaria la Segnalazione Certificata di Inizio Attività.
Per quanto riguarda i servizi igienici, il DM 236/1989 afferma che questi devono avere una
dimensione tale da garantire la manovra e l’uso degli apparecchi anche alle persone con impedita
capacità motoria. Vengono pertanto forniti requisiti minimi dimensionali relativi agli spazi di
accostamento laterale, trasferimento laterale ed accostamento frontale nonché le caratteristiche degli
apparecchi sanitari (tazza, bidet, lavabo e doccia). Già in precedenza, con il DPR n. 384 del 27
aprile 1978, nell’art. 14 si stabiliva che, al fine di consentire l'utilizzazione dei locali igienici anche
da parte di persone a ridotte o impedite capacità motorie, i locali igienici stessi devono essere
particolarmente dimensionati e attrezzati. In particolare venivano introdotte le dimensioni minime
della porta di accesso con luce netta minima di 85 cm apribile verso l'esterno e le dimensioni
minime del locale igienico pari a 1,80 x 1,80 m.

Altro aspetto di fondamentale importanza è il raccordo del tema delle barriere architettoniche
con la normativa di sicurezza ed antincendio. In tutti i piani dell’attività nei quali vi può essere la
presenza non occasionale di occupanti che non abbiano sufficienti abilità per raggiungere
autonomamente un luogo sicuro tramite vie di esodo verticali, deve essere prevista almeno una delle
seguenti misure:
 spazi calmi, ossia luoghi sicuri temporanei dove gli occupanti possono attendere assistenza
per completare l’esodo verso un luogo sicuro con dimensioni tali da poter ospitare tutti gli
occupanti con disabilità;
 esodo orizzontale progressivo ossia la modalità di esodo che prevede lo spostamento degli
occupanti dal compartimento di primo innesco in un compartimento adiacente capace di
contenerli e proteggerli fino a quando l’incendio non sia estinto o fino a che non si proceda
ad una successiva evacuazione verso luogo sicuro.
 minimizzare i percorsi per raggiungere uno spazio calmo (massimo 30 m)
 dotarsi di piani di evacuazione ed emergenza con procedure idonee di assistenza sia per
chi può sfollare, sia per chi si trova in condizioni di ridotte capacità motorie e/o sensoriali e
deve attendere l'arrivo dei soccorsi.
I compartimenti con profilo di rischio compreso in D1 e D2 devono disporre di almeno un
ascensore antincendio. In particolare il profilo D riguarda occupanti che ricevono cure mediche
mentre i numeri 1 e 2 indicano rispettivamente una velocità caratteristica prevalente di incendio
lenta e media. Nella classificazione degli ascensori (aperti, protetti, a prova di fumo, antincendio, di
soccorso) gli unici da poter essere utilizzati in caso di incendio sono gli ascensori antincendio e
quelli di soccorso. Nello specifico, l’ascensore antincendio (codice di classificazione SD) deve
rispettare le prescrizioni previste per l’ascensore a prova di fumo. La classe di resistenza al fuoco
del vano ascensore deve corrispondere a quella dei compartimenti serviti e comunque non inferiore
a 60. L’ascensore dovrà smontare su ciascun piano in un atrio protetto (dall’incendio) con
caratteristiche almeno pari a quelle previste per il filtro a prova di fumo dal quale si accede. La
superficie lorda dell’atrio protetto non può essere inferiore a 5 mq.

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