Sei sulla pagina 1di 339

Gianvittorio Rizzano

RIABILITAZIONE STRUTTURALE

Parte 2: Progettazione ed esecuzione


degli interventi sugli edifici in
muratura ordinaria

Bozza delle dispense didattiche


PREFAZIONE
La riabilitazione strutturale rappresenta un tema di grande attualità sia per l’invecchiamento
del patrimonio edilizio esistente sia per l’evoluzione delle norme tecniche, ed in particolare
della normativa sismica, che va a regolamentare territori sempre più vasti sui quali gran
parte degli edifici esistenti sono stati progettati e realizzati, nel rispetto delle normative
dell’epoca, senza seguire criteri antisismici.
A tale problematica è dedicato il corso di “riabilitazione strutturale” della laurea
magistrale in ingegneria civile e della laurea magistrale in ingegneria edile – architettura, a
cui il presente volume fa riferimento. L’obiettivo è quello di affrontare le diverse
problematiche che intervengono nelle successive fasi del processo di consolidamento ed
adeguamento sismico degli edifici in muratura ed in cemento armato. In particolare, a
partire dall’analisi dell’evoluzione storica della normativa italiana fino agli eurocodici,
necessaria per una adeguata conoscenza delle caratteristiche strutturali originarie
dell’edificio e delle modalità con le quali intervenire, si intende esaminare le varie tecniche
di indagine e monitoraggio delle strutture, le cause del dissesto ed il corrispondente quadro
fessurativo, la modellazione della struttura, l’analisi delle sollecitazioni e la progettazione
degli interventi di consolidamento o di adeguamento sismico.
Ognuno dei temi precedentemente introdotti potrebbe essere probabilmente oggetto
di un corso o di una trattazione specifica, per cui la difficoltà e nello stesso tempo
l’obiettivo prefissato nell’organizzazione del corso e delle relative dispense è stato quello di
coniugare da un lato l’esigenza di fornire un quadro, per quanto possibile completo, della
problematica e di tutti gli aspetti che intervengono nella progettazione ed esecuzione degli
interventi, dall’altro di trattare in modo sufficientemente accurato i vari argomenti. Si è
cercato quindi un giusto equilibrio tra un’analisi dettagliata di pochi aspetti ed un’analisi
sommaria di tutti gli aspetti, con la speranza di riuscire a fornire gli strumenti e le
conoscenze di base necessarie per affrontare la riabilitazione degli edifici esistenti, con
particolare riferimento agli edifici in muratura, e nello stesso tempo di fornire gli spunti e le
indicazioni sui possibili approfondimenti che possano stimolare un processo di continuo
aggiornamento e progressivo ampliamento delle conoscenze.
Il tema della riabilitazione strutturale degli edifici in muratura viene affrontato
suddividendolo in due parti: la parte 1 è dedicata all’analisi e verifica degli edifici in
muratura ordinaria, la parte 2, contenuta nel presente volume, è dedicata alla progettazione
ed esecuzione degli interventi sugli edifici esistenti in muratura ordinaria.
Più in dettaglio, la parte 1, è suddivisa in sei capitoli. Nel capitolo 1, dopo aver
introdotto le normative di particolare interesse per gli edifici in muratura, vengono
esaminate le tipologie e tessiture dei pannelli murari, le proprietà dei materiali costituenti la
muratura e le proprietà meccaniche della muratura nel suo complesso. Nel capitolo 2, prima
di passare all’analisi delle sollecitazioni e verifiche dei vari elementi strutturali, viene
inquadrato il comportamento complessivo degli edifici in muratura individuando i
II Prefazione

parametri che governano la risposta strutturale sotto azioni sismiche. Nel capitolo 3, viene
esaminato il comportamento delle pareti alle azioni ortogonali analizzando le modalità di
verifica previste dalla varie normative sia nei confronti della presso flessione, con e senza
effetti del II ordine, che nei confronti del ribaltamento. Nel capitolo 4 si affronta il
comportamento delle pareti alle azioni nel piano valutando dapprima la resistenza degli
elementi costitutivi, ovvero dei maschi murari e delle fasce di piano, per poi esaminare
l’intera parete sia con modelli monodimensionali che con modelli bidimensionali. Nel
capitolo 5 si passa alla valutazione del comportamento dell’intero edificio considerando le
differenti tipologie di analisi previste dalle normative sismiche più avanzate con particolare
riferimento a quelle statiche lineari e non lineari. Infine, nel capitolo 6 vengono esaminati i
metodi di calcolo delle sollecitazioni degli elementi strutturali di impalcato rappresentati
dagli archi, le volte e le cupole.
La parte 2 è suddivisa in cinque capitoli numerati in prosecuzione a quelli della parte
1. Il capitolo 7 tratta l’analisi e diagnosi dei dissesti esaminando sia i dissesti statici dovuti a
cedimenti di fondazione, traslazioni e rotazioni, e a schiacciamento degli elementi murari,
sia i dissesti per azioni sismiche. Nel capitolo 8 vengono affrontate le problematiche
relative alle indagini distruttive e non distruttive sia sui materiali base costituenti la
muratura che sui pannelli murari in sito ed in laboratorio. Nel capitolo 9, a valle dell’analisi
del comportamento sismico degli edifici, sviluppata nella parte 1, e del rilievo dei dissesti e
delle indagini sperimentali sviluppate nei capitoli precedenti della parte 2, viene analizzata
la vulnerabilità sismica degli edifici in muratura con riferimento alla metodologia introdotta
dal Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti. Nel capitolo 10 vengono trattati gli interventi
di consolidamento. In particolare, dopo un inquadramento generale degli interventi,
vengono esaminate le tecniche di consolidamento, i criteri di progetto e le verifica con
riferimento alle fondazioni, alle strutture murarie verticali, agli orizzontamenti, alle
coperture, agli archi, alle volte ed alle cupole. Infine nel capitolo 11 viene presentata
un’applicazione su un caso studio rappresentatao da un edifico esistente simicamente
inadeguato. Vengono progettati ed esaminati diversi interventi di rinforzo sia sugli
impalcati, finalizzati alla realizzazione di un diaframma rigido capace di ripartire le azioni
sismiche tra i diversi maschi murari, sia interventi di rinforzo dei maschi murari con
tecniche tradizionali ed innovative.
Le analisi sviluppate nel presente volume sono state condotte nel rispetto delle
recenti “Norme tecniche per le Costruzioni” del 14 gennaio 2008 con la relativa circolare
esplicativa n. 617 del 26 febbraio 2009.
Al termine di questa premessa voglio ringraziare gli ingg. Immacolata Tolone,
Albano Squizzato, Massimo Latour, Riccardo Sabatino e Giuseppe Torello per la preziosa
collaborazione nella correzione delle bozze. In particolare il Capitolo 11 contiene sviluppi
numerici eseguiti dall’ing. Massimo Latour.

Università di Salerno, 1 marzo 2011

Gianvittorio Rizzano
Indice
CAPITOLO 7 – Analisi e diagnosi dei dissesti in edifici in muratura

7.1 Introduzione ..................................................................................................... 1


7.2 Cenni sullo studio delle lesioni .......................................................................... 2
7.2.1 Comportamento dei materiali fragili.................................................... 2
7.2.2 Traccia dei piani di crisi nello stato monoassiale di trazione............... 5
7.2.3 Sollecitazione monoassiale di compressione ....................................... 6
7.2.4 Sollecitazione di taglio puro ................................................................ 9
7.3 Direttricefessurativa ......................................................................................... 10
7.4 Quadri fessurativi dovuti a cedimenti delle fondazioni.................................... 13
7.4.1 Cedimenti terminali ........................................................................... 13
7.4.2 Cedimenti intermedi........................................................................... 17
7.4.3 Cedimenti di muri connessi con altri: cantonali................................. 20
7.4.4 Muri con aperture............................................................................... 22
7.5 Dissesti statici su archi, cupole e volte............................................................. 23
7.5.1 I dissesti da spinta .............................................................................. 24
7.5.2 Le fratture negli archi e nelle volte .................................................... 28
7.6 Dissesti sismici sugli edifici............................................................................. 30
7.6.1 Errata disposizione delle pareti in pianta ........................................... 31
7.6.2 Elevata dissimmetria .......................................................................... 32
7.6.3 Pareti sollecitate da azioni normali al loro piano, assenza di
efficaci collegamenti tra le pareti e tra queste e gli orizzontamenti ... 32
7.6.4 Rottura a taglio delle murature per azioni nel piano della parete....... 37
7.6.5 Insufficiente rigidezza dei solai nel proprio piano e loro cattivo
collegamento con le pareti ................................................................. 43
7.6.6 Strutture spingenti.............................................................................. 44
7.6.7 Dissesti dovuti al collegamento di strutture con diversa rigidezza .... 46
7.7 Dissesti sismici sulle chiese ............................................................................. 46
7.7.1 Quadri fessurativi tipici...................................................................... 46
7.7.2 Analisi critica dei meccanismi di danno con riferimento al
terremoto del 1976 in Friuli ............................................................... 52
7.7.3 Meccanismi di collasso e dissesti sulle chiese umbre ........................ 54
7.8 Bibliografia ................................................................................................... 65
IV Indice

CAPITOLO 8 – Metodi di indagine

8.1 Programmmazione delle indagini sperimentali................................................ 67


8.2 Tipologia delle prove sperimentali nel caso di edifici in muratura .................. 71
8.3 Prove sui materiali di costituenti la muratura: caratterizzazione fisico-
chimica ........................................................................................................... 74
8.3.1 Analisi mineralogiche e petrografiche ............................................... 74
8.3.2 Analisi chimiche ................................................................................ 76
8.3.3 Analisi fisiche .................................................................................... 77
8.3.4 Analisi delle caratteristiche cromatiche ............................................. 77
8.4 Prove sui materiali costituenti la muratura: caratterizzazione meccanica ........ 79
8.4.1 Prove distruttive ................................................................................. 79
8.4.1.1 Prova di compressione monoassiale ............................................ 79
8.4.1.2 Prova di compressione triassiale ................................................. 80
8.4.1.3 Prova di taglio diretto .................................................................. 80
8.4.1.4 Prova di point load....................................................................... 81
8.4.2 Prove non distruttive .......................................................................... 82
8.4.2.1 Le indagini ultrasoniche............................................................... 82
8.4.2.2 Prove sclerometriche.................................................................. 104
8.5 Prove sulle murature: caratterizzazione dimensionale e tipologica................ 105
8.5.1 Carotaggi ed indagini endoscopiche ................................................ 105
8.5.2 Magnetometria ................................................................................. 107
8.5.3 Termografia ..................................................................................... 108
8.6 Prove sulle murature: caratterizzazione meccanica dei pannelli murari ........ 110
8.6.1 Prove distruttive ............................................................................... 110
8.6.1.1 Prova di compressione monoassiale .......................................... 110
8.6.1.2 Prova di taglio diretto ................................................................ 111
8.6.1.3 Prova di compressione diagonale .............................................. 112
8.6.2 Prove non distruttive ........................................................................ 113
8.6.2.1 Prove con martinetti piatti ......................................................... 113
8.6.2.2 Prove soniche ............................................................................. 122
8.7 Monitoraggio ................................................................................................. 135
8.7.1 Comportamento statico .................................................................... 135
8.7.1.1 Rilievi con estensimetri .............................................................. 135
8.7.1.2 Rilievi con fessurimetri............................................................... 135
8.7.1.3 Rilievi con clinometri ................................................................. 137
8.7.2 Comportamento dinamico................................................................ 137
8.7.2.1 Prove di caratterizzazione dinamica .......................................... 138
8.8 Indagini diagnostiche e livelli di conoscenza secondo le NTC 2008 ............. 140
8.8.1 Dati necessari per l’identificazione del livello di conoscenza.......... 140
8.8.2 Geometria......................................................................................... 140
8.8.3 Dettagli costruttivi ........................................................................... 141
8.8.4 Proprietà dei materiali...................................................................... 142
V

8.8.5 Livelli di conoscenza ....................................................................... 144


8.9 Bibliografia ................................................................................................. 145

CAPITOLO 9 – Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in


muratura

9.1 Introduzione del concetto di rischio sismico.................................................. 147


9.2 Pericolosità sismica........................................................................................ 148
9.2.1 Pericolosità sismica locale ............................................................... 148
9.2.1.1 Le scale macrosismiche.............................................................. 149
9.2.1.2 Pericolosità regionale e classificazione sismica ........................ 150
9.2.2 Esposizione ...................................................................................... 153
9.3 Vulnerabilità ................................................................................................. 155
9.3.1 Vulnerabilità urbana......................................................................... 155
9.3.2 Vulnerabilità edilizia........................................................................ 156
9.3.3 Metodi indiretti per la valutazione della vulnerabilità edilizia:
METODO GNDT ............................................................................ 158
9.3.3.1 Scheda di I livello GNDT ........................................................... 159
9.3.3.2 Valutazione della vulnerabilità MSK sulla base della scheda di
I livello ....................................................................................... 159
9.3.3.3 Scheda di II livello GNDT .......................................................... 160
9.3.3.4 Valutazione della vulnerabilità con scheda di II livello ............. 167

CAPITOLO 10 – Tecniche di consolidamento di edifici dissestati

10.1 Inquadramento generale degli interventi........................................................ 169


10.2 Criteri di intervento sulle murature ................................................................ 170
10.2.1 Intervento passivo ............................................................................ 170
10.2.2 Intervento sostitutivo ....................................................................... 171
10.2.3 Intervento attivo ............................................................................... 171
10.3 Rinforzo delle fondazioni............................................................................... 172
10.3.1 Consolidamento mediante sottofondazione con muratura di
mattoni e malta di cemento .............................................................. 174
10.3.2 Consolidamento mediante sottofondazione con soletta in c.a.......... 178
10.3.3 Consolidamento mediante sottofondazione con cordoli-trave in c.a.
aderenti alla muratura esistente........................................................ 182
10.3.4 Consolidamento mediante infissione di pali trivellati in c.a. posti
sui due lati della muratura................................................................ 186
10.3.5 Consolidamento mediante infissione di pali trivellati in c.a. posti
sotto la struttura esistente................................................................. 190
10.3.6 Consolidamento mediante infissione di micropali in c.a.................. 192
10.4 Consolidamento delle strutture verticali ........................................................ 194
10.4.1 Consolidazione con iniezioni cementizie o simili............................ 195
VI Indice

10.4.2 Consolidamento mediante applicazione di betoncino armato .......... 201


10.4.3 Consolidamento mediante colatura di boiacca................................. 204
10.4.4 Consolidamento mediante sostituzione parziale del materiale (cuci-
scuci)................................................................................................ 207
10.4.5 Consolidamento mediante tiranti metallici ...................................... 213
10.4.6 Consolidamento mediante perforazioni armate................................ 217
10.4.7 Consolidamento mediante ridosso in c.a.......................................... 219
10.4.8 Consolidamento mediante colatura di boiacca, armatura delle
perforazioni, angolari e betoncino armato; perforazioni armate e/o
tirantini antiespulsivi........................................................................ 222
10.4.9 Consolidamento mediante inserimento di elementi metalli o in c.a. 227
10.5 Consolidamento di archi, volte in muratura e cupole..................................... 229
10.5.1 Consolidamento di archi a mezzo di tiranti...................................... 230
10.5.2 Consolidamento di archi a mezzo di tiranti attraverso
architravatura con riduzione della spinta dell’arco .......................... 236
10.5.3 Consolidamento di archi mediante perforazioni armate................... 237
10.6 Consolidamento di solai a volta ..................................................................... 240
10.6.1 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra
mediante la posa in opera di rinfianchi cellulari ed esecuzione di
un nuovo piano di estradosso ........................................................... 240
10.6.2 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra
mediante iniezioni cementizie, alleggerimento dei rinfianchi e posa
in opera di solaio appoggiato sui piedritti ........................................ 250
10.6.3 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra
mediante iniezioni cementizie, alleggerimento dei rinfianchi ed
esecuzione di cappa armata all’estradosso ....................................... 253
10.6.4 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra
mediante sospensione della volta ..................................................... 256
10.6.5 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra
al fine di ridurre la spinta mediante tiranti ....................................... 263
10.6.6 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra
al fine di ridurre la spinta mediante cavi attivi verticali................... 265
10.7 Consolidamento delle cupole ......................................................................... 268
10.7.1 Consolidamento di cupole mediante iniezioni armate ..................... 268
10.7.2 Consolidamento di cupole mediante cavi attivi ............................... 271
10.7.3 Consolidamento di cupole mediante fasciatura o cavi attivi
verticali ............................................................................................ 275
10.8 Bibliografia .................................................................................................... 280

CAPITOLO 11 – Caso studio: adeguamento sismico di un edificio esistente


in muratura

11.1 Introduzione ................................................................................................... 281


VII

11.2 Descrizione dell’edificio oggetto di analisi.................................................... 281


11.3 Analisi sismica dell’edificio nello stato di fatto............................................. 287
11.4 Intervento di miglioramento sismico mediante la realizzazione di un
impalcato rigido con doppio tavolato in legno............................................... 291
11.5 Intervento di miglioramento sismico mediante la realizzazione di una
soletta armata collegata al tavolato in legno e alla muratura a mezzo di
cordolo in acciaio ........................................................................................... 301
11.6 Intervento di miglioramento sismico mediante la sostituzione dei solai in
legno con solai latero-cementizi..................................................................... 305
11.7 Intervento di adeguamento sismico mediante rinforzo dei solai in legmo e
rinforzo dei maschi con iniezioni cementizie................................................. 309
11.8 Intervento di adeguamento sismico mediante rinforzo dei solai in legmo
con doppio tavolato e rinforzo dei maschi con intonaco armato.................... 314
11.9 Intervento di adeguamento sismico mediante rinforzo dei solai in legmo
con doppio tavolato e rinforzo dei maschi con placcaggio a taglio con
tessuti in FRP ................................................................................................. 322
Capitolo 7

ANALISI E DIAGNOSI DEI DISSESTI IN


EDIFICI IN MURATURA

7.1 Introduzione
Il quadro fessurativo e deformativo esibito da una struttura danneggiata è strettamente
legato ai dissesti che tale struttura ha subìto, così come ogni effetto è legato alla causa che
lo ha determinato. Il primo passo in un problema di diagnosi consiste dunque
nell’individuare le cause che hanno provocato i danni sulle strutture, vale a dire risalire
dalle lesioni ai dissesti che le hanno provocate. Individuati i dissesti, l’ulteriore passo
consiste nel ricercare le cause perturbatrici responsabili di questi ultimi e infine mettere in
atto una strategia di intervento allo scopo di far fronte a tali cause.
In definitiva il processo logico, in un problema di consolidamento, può essere
rappresentato secondo il seguente schema:
LESIONI ⇒DISSESTI⇒CAUSE DEI DISSESTI⇒CONSOLIDAMENTO
Il primo passo da compiere è dunque individuare i dissesti dall’osservazione dei
quadri fessurativi e deformativi. A tale scopo è utile studiare gli effetti che i vari tipi di
dissesti elementari producono sugli elementi murari, cioè assegnato il dissesto a cui può
essere soggetto un elemento costruttivo, individuare su questo, da un punto di vista
qualitativo, i possibili effetti in termini di deformazioni e fessurazioni. In tal modo, con un
procedimento inverso, si riuscirà agevolmente a risalire dalle lesioni ai dissesti che le hanno
provocate. Ciò è possibile in quanto esiste una corrispondenza biunivoca tra i dissesti e le
lesioni, cioè assegnato che sia uno di questi enti resta univocamente determinato l’altro.
Nel processo a ritroso di diagnosi, il dissesto considerato questa volta quale effetto,
non è la conseguenza di un’unica causa ma di un insieme di cause agenti o meno
contemporaneamente.
L’individuazione di tali cause costituisce la seconda fase di diagnosi che per essere
risolta necessita di uno studio accurato e approfondito, da coadiuvare con indagini, prove e
saggi spesso costose ma indispensabili per restringere il campo di ricerca e arrivare ad
individuare l’insieme di fattori che hanno provocato il dissesto.
Per illustrare questo processo può essere utile riportare un esempio: se si considera il
dissesto di traslazione verticale quale causa, esso presenta come effetto un ben definito
quadro fessurativo caratteristico di quel dissesto, ciò consente di formulare la diagnosi con
Pag. 2 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

sicura attendibilità. Se invece, con riferimento alla seconda fase di diagnosi, si considera
tale dissesto come effetto le cause che lo hanno determinato possono essere diverse:
eccessiva compressibilità del terreno; schiacciamento delle regioni murarie di base; lavori
di sterro nelle vicinanze; errori progettuali; ecc.
In conclusione ad ogni quadro fessurativo o deformativo elementare corrisponde un
determinato dissesto, ma ad ogni dissesto elementare non corrisponde un’unica causa ma
cause diverse che possono variamente interagire.
Nel seguito, in una prima fase, si analizzeranno brevemente gli effetti che i dissesti
più comuni determinano sugli elementi delle strutture murarie, fornendo in seguito le
possibili cause che li hanno determinati e i più comuni rimedi per fronteggiarli.

7.2 Cenni sullo studio delle lesioni


Nell’affrontare lo studio dei dissesti si analizza dapprima la rottura dei prismi elementari di
muratura sotto le diverse situazioni di sollecitazioni unitarie, definendo così i quadri unitari
di rottura, che, opportunamente combinati tra loro, siano in grado di riprodurre le
manifestazioni fessurative e deformative dei dissesti più complessi.

7.2.1 Comportamento dei materiali fragili


Con riferimento ai materiali fragili, come le murature, un criterio di resistenza
largamente impiegato è il criterio della curva intrinseca enunciato da Mohr e perfezionato
da Caquot. Tale criterio identifica la crisi con il raggiungimento di una tensione tangenziale
limite funzione dello sforzo normale applicato corrispondente al verificarsi di scorrimenti
irreversibili.
Dato un punto A di un corpo ed assegnato un elemento di normale n, è possibile
costruire una “curva intrinseca” che rappresenta l’insieme dei punti caratterizzati dal valore
della tensione tangenziale che provoca scorrimenti irreversibili per un assegnato valore
della tensione normale. In un piano σ-τ la curva intrinseca si presenta come in Fig. 7.1.
Nell’intorno di A, al variare di n avremo ∞2 curve intrinseche le quali, se il materiale
è isotropo risultano coincidenti e pari ad una superficie di rotazione intorno ad n, la cui
sezione meridiana è del tipo rappresentata in Fig. 7.2. Dato un elementino di normale n,
soggetto ad una σn e τnm, si dispone l’elementino con l’asse n parallelo ed equiverso all’asse
σ se σn è positiva (trazione) o di verso opposto se negativa (compressione) e l’asse m
parallelo ed equiverso all’asse τ se τnm è negativo (antioraria) oppure di verso opposto se
positiva (oraria).
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 3

n
σn
tn
n A σ
C1 τnm
m
tn

C0

Fig. 7.1: Curva intrinseca.

L’intersezione della retta di direzione tn con la curva intrinseca fornisce il


coefficiente di sicurezza mediante la valutazione del rapporto AC0/AC1.
Al cambiare della direzione si avranno coefficienti di sicurezza diversi. La
valutazione del più piccolo coefficiente di sicurezza può essere effettuata con i cerchi
principali di Mohr.
Se si riportano nel piano σ τ i cerchi principali di Mohr (Fig. 7.2), si sa che l’area
compresa tra il cerchio massimo e gli altri due rappresenta l’insieme dei punti caratterizzati
dalla presenza di σ e τ sulla giacitura assegnata (arbelo di Mohr). Considerando i punti
dell’arbelo di Mohr, il coefficiente di sicurezza s può essere ottenuto come:

⎛ AC0i ⎞
s = min ⎜⎜ ⎟⎟ (7.1)
⎝ ACi ⎠
Pag. 4 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

τ
C01 C02 C03

C2
C1 C3

A σ
Pη Pξ Pζ

Fig. 7.2: Cerchi principali di Mohr e coefficiente di sicurezza.

Per la determinazione di s si può impiegare una curva d’errore.


Il cerchio di crisi si ottiene come omotetico di quello massimo per effetto di
un’amplificazione pari ad s delle tensioni principali (Fig. 7.3).

τ
C0

A σ
P η0 Pη Pξ0 Pξ

D0

Fig. 7.3: Cerchio di crisi.


Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 5

Se si sceglie come polo Pη0 il parallelepipedo elementare deve essere orientato con
l’asse η // σ e l’asse ξ // τ
ξ//τ
Tracce dei
piani di crisi

η//σ

Fig. 7.4: Tracce dei piani di crisi.

Le tracce dei piani di crisi sono determinate dalle parallele alle rette Pη0 C0 e Pη0 D0
che passano per il polo e per il punto di tangenza del cerchio di crisi con la curva intrinseca
(Fig. 7.3, 7.4 e 7.4) e possono essere determinate anche direttamente dai cerchi di esercizio
essendo Pη C // Pη0 C0.
Nei materiali fragili la curva intrinseca si presenta molto aperta essendo - σ"0 >> σ '0
ovvero la tensione di rottura per sollecitazioni monoassiali di compressione in valore
assoluto molto maggiore di quelle a trazione. Inoltre la tensione di crisi idrostatica coincide
con quella a trazione.

7.2.2 Traccia dei piani di crisi nello stato monoassiale di trazione


Nello stato monoassiale di trazione si ha:
σx > 0 τxy = 0
σy = 0 τxz = 0 (7.2)
σz = 0 τyz = 0
dal momento che le tensioni tangenziali sono tutte nulle, le direzioni x, y e z sono direzioni
principali, ovvero:
τxy = τxz = 0 ⇒ x ≡ ξ
τyz = τyx = 0 ⇒ y ≡ η (7.3)
τzx = τzy = 0 ⇒ z ≡ ζ
Pertanto si ha:
Pag. 6 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

σx ≡ σξ > 0 e ση ≡ σζ = 0 (7.4)

y
τ
σξ σξ x

Traccia del
piano di crisi

σξ σ
Pζ=Pη P=Pξ

σξ σξ

Fig. 7.5: Piani di crisi per sollecitazione monoassiale di trazione.

Avendo posto ξ // σ si ha Pξ = Polo. Pertanto la congiungente il polo con il punto di


tangenza del cerchio massimo con la curva intrinseca (punto che coincide con il polo
stesso) è una retta verticale per cui le tracce dei piani di crisi sono verticali (Fig. 7.5). La
crisi si ha quando σ x ≡ σ '0 .

7.2.3 Sollecitazione monoassiale di compressione


Come per il caso dello stato monoassiale di trazione, anche nel caso di sollecitazione
monoassiale di compressione, dal momento che le tensioni tangenziali sulle facce di
normale x, y e z sono nulle, le direzioni x, y e z sono direzioni principali.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 7

Traccia dei
piani di crisi
τ
y C0

σx σx x

Pξ Pη=Pζ σ

D0 σξ σξ

Traccia dei
piani di crisi

Fig. 7.6: Tracce dei piani di crisi in presenza di compressione monoassiale.

Essendo:
τxy = τxz = τyz = 0 ⇒ x ≡ ξ
y ≡ η (7.5)
z ≡ ζ
Inoltre:
ση = 0 σζ = 0 ⇒ Pη ≡ Pζ ≡ 0 (7.6)
Si può ritenere con buona approssimazione che le direzioni dei piani di crisi sono
pressocchè orizzontali e coincidenti ed inoltre esse risultano perpendicolari alla tensione
principale algebricamente massima che nel caso in esame è quella agente in direzione y
ovvero ση = 0.
In definitiva si può affermare che i piani di crisi, anche quando siamo in presenza di
più tensioni principali diverse da zero risultano sempre ortogonali alla tensione
algebricamente maggiore (assumendo positive le trazioni). Pertanto, se due tensioni
principali o tutte e tre risultano coincidenti in valore, i piani di crisi risultano indeterminati.
È possibile rendersi conto di tale affermazione considerando il parallelepipedo
elementare soggetto a trazione e compressione. Si ha:
Pag. 8 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

σz

σx

Fig. 7.7: Pararallelepipedo elementare soggetto a trazione e compressione.

1
εx = (σ x + ν ⋅ σ z ) (7.7)
E

1
εz = (-σ z + ν ⋅ σ x ) < 0 (7.8)
E

1
εy = (-σ x + σ z ) (7.9)
E
Di conseguenza si osserva che i piani di crisi, che sono ortogonali alla direzione
della massima dilatazione, risultano ortogonali alle εx > εy > εz (quest’ultima è una
contrazione).
Quando siamo in presenza di tensioni principali diverse da zero il controllo del
raggiungimento della resistenza del materiale viene effettuato in termini di tensioni ideali.
In tal caso infatti, definite le deformazioni:

εξ =
1
E
[
σ ξ − ν ⋅ (σ ζ + σ η ] (7.10)

εη =
1
E
[
ση − ν ⋅ (σξ + σ ζ ] (7.11)

εζ =
1
E
[
σζ − ν ⋅ ( σ ξ + σ η ] (7.12)

si considerano quali tensioni ideali le tensioni:


σ 1 = E ⋅ εξ (7.13)
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 9

σ 2 = E ⋅ εη (7.14)

σ 3 = E ⋅ εζ (7.15)

Le tensioni ideali rappresentano in termini monoasiali gli effetti di stati tensionali


pluriassiali.

7.2.4 Sollecitazione di taglio puro

y
τ0 τ
x ξ
τ0
τ0
τ0 P

Pη σ
Pξ Pζ
η
Traccia del
piano di crisi

τ0
τ0
τ0
τ0

Fig. 7.8: Tracce dei piani di crisi per sollecitazione di taglio puro.

Essendo:
τzx = τzy = 0 ⇒ z ≡ ζ (7.16)
e
σζ = 0 =σz (7.17)
Avendo scelto x // σ e quindi il polo è P e le tracce dei piani di crisi sono inclinate a
45°.
Pag. 10 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

7.3 Direttrice fessurativa


Sebbene, per quanto visto, i piani di crisi sono sempre ortogonali alle tensioni
principali o alle tensioni ideali, se si osserva lo sviluppo di una lesione si riscontra che i
cigli, che hanno un andamento discontinuo, inscrivono una linea media la quale non risulta
ortogonale alla direzione principale di trazione che si può ottenere congiungendo due punti
corrispondenti dei lembi della frattura.

σ1

A A1
σ1
f fm

σ1 f1
π

2

t
π σ1
fm 2

Fig. 7.9: Direttrice fessurativa.

Per comprendere ciò bisogna studiare le direttrici di fessurazione, introducendo le


isostatiche di minimo e di massimo e le isodinamiche.
Dato un solido piano finito, in ogni suo punto è possibile determinare le tensioni
ideali minime e massime e le corrispondenti direzioni principali. Se tracciamo le due
direzioni nei punti ed infittiamo il reticolo di punti ci accorgiamo che le direzioni principali
minima e massima descrivono delle famiglie di curve tra loro ortogonali e denominate
isostatiche minime e massime.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 11

σ1=1

σ1=2

σ1=3
σ1=4 σ1=5
σ1=7 σ1=8 σ1
σ1=6 σ1=9
Δf φ2 (imin)

φ1 (imax)

o
x

Fig. 7.10: Isostatiche e isodinamiche

Se congiungiamo i punti delle varie isostatiche caratterizzati da eguali tensioni


abbiamo le curve dette isodinamiche di minimo e di massimo.
Considerando le isodinamiche di massimo l’inizio della fessurazione si avrà nel
punto della isostatica caratterizzata da tensione ideale massima se questa supera il limite
corrispondente alla formazione della fessura.
La direttrice fessurativa rappresenta la direzione lungo la quale si propaga la fessura.
Essa dipende dall’andamento dello stato tensionale nell’intorno del punto in cui si origina la
fessura. Nel punto P si origina una fessura che crea una separazione tra i lembi nelle
direzioni delle isostatiche di minimo.
Pag. 12 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

y
F D

1
2
3
4
5
6 P 7
f
1 2 3 4 5 6 6 5
A f1 4 3
f2 2

f3 1
B
f4
o
c E x
ψ σ1 φ1 (imax) φ2 (imin)

Fig. 7.11: Andamento della fessurazione

La fessura può propagarsi o secondo la direzione delle isostatiche di minimo oppure


secondo un’altra direzione ψ se lungo questa le tensioni risultano maggiori. Infatti,
considerando i punti A e B equidistanti da P si ha che la tensione in B è maggiore che in A
per cui in B se consideriamo le isostatiche di massimo e di minimo si avrà la formazione di
un distacco sulla direzione della isostatica di minimo e un’apertura di entità inferiore
rispetto a quella in P essendo diminuita la tensione. Ci accorgiamo quindi che:
1) La direttrice di fessurazione può non essere ortogonale alle isostatiche di
massimo;
2) i “ventri” delle singole fratture iniziali risultano ortogonali alle isostatiche
di massimo e si riducono di ampiezza allontanandosi dal punto di innesco
della fessurazione.
Si può infine osservare che quando la fessurazione non segue l’isostatica di minimo
potrebbe dar luogo a fessure separate, cosiddette a rami multipli, lungo più isostatiche di
minimo. In questo caso la direttrice di fessurazione si ottiene come congiungente dei centri
delle singole fratture.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 13

direttrice di
P2'
fessurazione
A1 P1' B1 φ2 (imin)

A’ A P B B’ φ1 (imax.)
P1
A1 B1
P2

o
x

Fig. 7.12: Direttrice fessurativa

7.4 Quadri fessurativi dovuti a cedimenti delle fondazioni


I cedimenti vengono innanzitutto distinti in cedimenti fondali terminali e intermedi.
Nel primo caso la parte ceduta interessa una zona terminale della muratura, nel secondo
caso una zona interna. Inoltre, i cedimenti possono essere distinti in lunghi, medi e corti a
seconda della prevalenza o meno delle tensioni normali su quelle tangenziali nell’ipotesi
molto semplificativa, come vedremo, di assimilare il pannello murario in un solido
astiforme.

7.4.1 Cedimenti terminali


Consideriamo che il cedimento ha interessato un tratto di lunghezza l dall’estremità
del pannello murario.
Pag. 14 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.13: Tratto soggetto a cedimento terminale

La parte a sbalzo del solido, considerato come un’asta, produce in corrispondenza


della sezione al limite del cedimento un momento e un taglio. Se γ è il peso specifico del
muro e a il suo spessore si ha:
a ⋅ h ⋅ l2
M=γ
2 (7.18)
V = γ⋅a ⋅h ⋅l

Dal momento scaturiscono tensioni normali:

M a ⋅ h ⋅ l2 6
σ= =γ ⋅ (7.19)
W 2 a ⋅ h2
mentre dal taglio si ha:

τ= =
( )
V ⋅ S' (γ ⋅ a ⋅ h ⋅ l ) ⋅ a ⋅ h 2 /8 3
= γ⋅l
a ⋅I (
a ⋅ a ⋅ h 3 /12 ) 2
(7.20)

Il cedimento si definisce lungo, medio o corto a seconda che:

> 3⋅ γ ⋅ l2 > 3
σ τ ovvero γ⋅l (7.21)
< h <2
ossia:
>h
l (7.22)
<2
Si intuisce subito che le tre situazioni corrispondenti a quadri fessurativi diversi,
come rappresentato in Fig. 7.14:
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 15

Fig. 7.14: Tipologia del cedimento terminale

Essi corrispondono, infatti, alla prevalenza delle tensioni normali di trazione nella
parte alta della parete dovute al momento (cedimento lungo), oppure alla prevalenza delle
tensioni tangenziali massime sull’asse neutro e caratterizzate da lesioni a 45° (cedimento
corto) o, infine, all’instaurarsi di entrambe le lesioni nel caso di σ ≈ τ e quindi cedimento
medio.
Esaminiamo più in dettaglio il possibile quadro fessurativo costruendo le isostatiche
di minimo.

Fig. 7.15: Diagrammi delle Caratteristiche della sollecitazione per cediemnto terminale
Pag. 16 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

In seguito al cedimento nel tratto IH, il pannello si scarica completamente nel tratto
IH e tende a sollevarsi nel tratto GH. Per l’equilibrio il diagramma di reazione del terreno
che perde i contributi IHML e QPO subirà l’incremento rappresentato dall’area OMN.

A A’

B B’

C C’

Fig. 7.16: Andamento delle isostatiche di minimo

Possiamo tracciare conseguentemente il diagramma del taglio e del momento. Per


effetto di taglio e momento si hanno le tensioni normali e tangenziali σx, σy, τx, come
rappresentate in Fig. 7.16.
Nella sezione S si ha τ=0, mentre a sinistra di T il taglio è negativo, a destra è
positivo.
Si possono individuare, in definitiva, quattro tipologie di curve di fessurazione:
1) Tipo α: è la caratteristica fessurativa del tronco non interessato dal cedimento.
2) Tipo a: è a gola rovescia inclinata verso la parte non ceduta e interessa il tratto a
sinistra del punto di taglio nullo.
3) Tipo b: inversa di quella precedente.
4) Tipo c: fessurazione a forma parabolica che taglia normalmente la testa ed
interessa la parte soggetta a cedimento.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 17

Le fessurazioni di tipo a sono tipiche di cedimenti lunghi, quelle di tipo b dei


cedimenti medi, quelle di tipo c dei cedimenti corti.

7.4.2 Cedimenti intermedi


Anche per i cedimenti intermedi è possibile distinguere il caso dei cedimenti lunghi,
medi e corti. Supponendo il tratto soggetto a cedimento come un’asta incastrata-incastrata
nelle sezioni al limite del cedimento, si ha:

Fig. 7.17: Parametri geometrici relative al muro soggetto a cedimento intermedio

a ⋅h⋅l2
M =γ
12
(7.23)
a ⋅h⋅l
T =γ
2
e quindi:
M a ⋅h⋅l2 6 γ ⋅l2
σ= =γ ⋅ =
W 12 a⋅h 2
2h
(7.24)
V ⋅ S' a⋅h⋅l a ⋅ h /8
2
3
τ= =γ ⋅ = γ⋅l
a⋅I 2 (
a ⋅ a ⋅ h /12
3
)
4

Pertanto, il cedimento risulta lungo, medio o corto a seconda che:

> γ ⋅ l2 > 3
σ τ ovvero γ⋅l (7.25)
< 2h < 4
ossia:
Pag. 18 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

>3
l h (7.26)
<2
Nei tre casi si hanno quindi i possibili tre sommari fenomeni fessurativi:

l>3/2h l=3/2 h l<3/ 2h

Cedimento lungo Cedimento med io Ced imen to corto

Fig. 7.18: Tipologie di cedimento intermedio

Nel caso dei cedimenti intermedi si può inoltre individuare il caso dei cedimenti
molto lunghi. In questo caso, se la tensione di trazione in mezzeria, che è la metà di quella
all’incastro, risulta superiore alla tensione tangenziale si ha la formazione di una eventuale
fessura in mezzeria al lembo inferiore prima della creazione di fessure a 45° a taglio.

Fig. 7.19: Cedimento intermedio molto lungo

Ciò avviene se:

1 γ ⋅ l2 3
σ1/2 = σ inc = > γ⋅l (7.27)
2 4h 4

ovvero se:
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 19

l > 3h (7.28)
Anche in questo caso è possibile studiare in maniera più completa i possibili
andamenti fessurativi tracciando il quadro completo delle isostatiche di minimo (Fig. 7.20).
In questo caso si individuano le seguenti regioni:
fα: regioni prive di cedimento;
fa: cedimenti lunghi;
fb: cedimenti medi;
fc: cedimenti corti;
d: cedimenti molto lunghi.

Fig. 7.20: Diagramma di reazione del terreno per muro soggetto a cedimento intermedio

7.4.3 Cedimenti di muri connessi con altri: cantonali


Consideriamo due muri collegati nello spigolo e soggetti ad un cedimento. Affinchè
avvenga il cedimento occorre che ci sia la rotazione intorno a O1O2 dell’intero spigolo.
Pag. 20 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

m1 m2
x
x

ω'x ω'x
ω'
ω'
O1 O2
ω'z
ω'z z

Fig. 7.21: Rotazioni dei cantonali

ω’x per m1 e ω’z per m2 → flessione


ω’z per m1 e ω’x per m2 → torsione
Occorre osservare che la parete m2 ostacola la flessione di m1 e viceversa. Per poter
capire l’andamento del quadro fessurativo occorre esaminare il comportamento di un
prisma soggetto a torsione (Fig. 7.22).
Dall’osservazione del comportamento del prisma si desume che la rottura che
avviene in presenza di torsione non è caratterizzata da piani di frattura ortogonali ai
paramenti.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 21

Fig. 7.22: Solido soggetto a torsione

Pertanto, nel caso in esame di cedimenti d’angolo, dal momento che i muri m1 e m2
si vincolano flessionalmente a vicenda, la fessurazione sul paramento esterno della
muratura sarà generalmente del tipo a taglio, ovvero conforme a quella dei pannelli di
lunghezza media o corta, e l’andamento dei piani di frattura nello spessore della muratura
non sarà ortogonale al paramento murario come nel caso dei cedimenti terminali dei muri
isolati ma sarà divergente per effetto della torsione .
Pag. 22 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

7.4.4 Muri con aperture


Nel caso di cedimenti terminali o intermedi di muri con aperture, la fessurazione va
ad interessare esclusivamente le fasce di piano. Queste possono considerarsi incastrate in
corrispondenza dei ritti per cui sono soggette a momento flettente e taglio:

A D

O F

B C

Fig. 7.23: Isostatiche di minimo nelle fasce di piano

Pertanto, in A e C avremo i valori massimi della trazione, mentre lungo OF il


massimo valore della tensione tangenziale. Le isostatiche di minimo hanno il seguente
andamento:
Pertanto, la fessurazione si manifesta con creazione di lesioni in A e C con
andamento verticale ed in mezzeria a 45° per effetto del taglio.
In generale, possiamo affermare che se le fasce di piano sono lunghe si ha la
formazione delle fessure in A e C, se la fascia è tozza (finestre strette e verticalmente
distanziate) si ha una fessura centrale a 45° o, in alternativa, entrambe le tipologie di fessure
per fasce non snelle nè tozze.
In definitiva, per i cedimenti terminali e intermedi di pareti sfinestrate, si
manifestano i seguenti quadri fessurativi:
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 23

Fig. 7.24: Andamenti dei quadri fessurativi

7.5 Dissesti statici su archi, cupole e volte


Gli archi e le volte in muratura devono essere soggetti in ogni sezione solo a sforzi
di compressione a causa della limitata capacità di resistenza a trazione della muratura. Le
spinte che tali strutture esercitano sui piedritti composte con i carichi verticali non devono
determinare lungo l’altezza di questi sforzi di trazione, ciò equivale a dire che in ogni
sezione la risultante dei carichi deve cadere all’interno del nocciolo centrale di inerzia.
Da ciò deriva che i dissesti che interessano questi elementi strutturali possono essere
prodotti da:
• Variazione di forma o di assetto dell’arco o della volta;
• Variazione di forma o di assetto dei piedritti;
• Degradazione dei materiali con conseguente diminuzione della resistenza a
compressione;
• Variazione dei carichi agenti (ad es. incremento dei carichi verticali, sisma).
Le variazioni di forma sono in genere dovute alla spinta eccessiva sui piedritti che
tende ad allontanarli determinando l’abbassamento in chiave dell’arco o della volta, oppure
a un cedimento dei piedritti causato da dissesti in fondazione.
La diminuzione della resistenza a compressione sia della volta che dei piedritti è,
come già detto, determinata dalla degradazione del materiale murario, in particolare delle
malte che sono più soggette alle azione del gelo-disgelo, umidità ecc., i dissesti conseguenti
alla fatiscenza sono detti “spontanei”.
La variazione dei carichi a cui i piedritti e le strutture voltate erano originariamente
sottoposte può essere determinata da incrementi dei sovraccarichi accidentali dovuti a
cambiamento delle destinazioni d’uso dei locali sovrastanti, da lavori di trasformazione
interna, o da sisma.
Pag. 24 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

7.5.1 I dissesti da spinta


La spinta degli archi e delle volte può essere normale o parallela ai paramenti sui
quali esse si appoggiano. Se il suo valore diventa eccessivo genera delle deformazioni che
si manifestano con rigonfiamenti nei muri di piedritto tanto più estese quanto più la
muratura è scadente. Nel caso di spinta normale al piano medio dei paramenti, il muro si
deforma in verticale secondo una linea sinusoidale non simmetrica rispetto al centro di
spinta, con la parte superiore più estesa rispetto a quella inferiore e tanto più quanto più i
piani sono alti e l’azione dei solai è incerta (Fig. 7.25 e Fig. 7.26)
In orizzontale il profilo del rigonfiamento è sinusoidale simmetrico rispetto al centro
di inflessione con ampiezza minore di quella nella direzione verticale. I rigonfiamenti nel
piano del paramento assumono forma di ellissi con diametro maggiore verticale e il centro
di spinta coincidente con il fuoco inferiore (Fig. 7.27)
Si consideri la sezione orizzontale del rigonfiamento per il centro di spinta (Fig.
7.28a), nel punto A a causa dell’assenza del taglio (per ragioni di simmetria), la frattura
giace nel piano verticale normale al paramento, invece, nelle zone laterali del muro B e C a
causa del taglio le fratture assumono inclinazione divergente dalla mezzeria verso l’esterno
del paramento.
Nel piano verticale per il centro di spinta le fratture assumono andamento simile a
quelle per i punti B e C ma meno inclinate sulla verticale a causa del peso proprio e del
taglio(Fig. 7.28b).
La superficie di frattura si dispone intorno alla regione deformata aprendosi verso
l’esterno con tendenza ad espellere la massa di materiale interno.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 25

Fig. 7.25: Localizzazione della spinta e deformata nel piano verticale

Fig. 7.26: Localizzazione della spinta e deformata nel piano orizzontale


Pag. 26 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.27: Zona soggetta a dissesto

Fig. 7.28: Andamento delle fessure

Le volte a botte, a padiglione, a vela, non stabiliscono centri di spinta ma regioni


lungo le quali si esercita la spinta. A tal proposito, si consideri la Fig. 7.29, nei punti D
dove la freccia è massima si generano fratture in senso orizzontale, lo stesso accade nei
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 27

punti A e C; nelle sezioni orizzontali le fratture si localizzano nei punti E ed F di massima


curvatura sul lato esterno del muro, nei punti G ed H su quello interno.
I muri trasversali m1 e m2 tendono dapprima ad opporsi alla deformazione ma
superata la resistenza a trazione del materiale si fratturano lungo la verticale A-C se le
ammorsature tra i muri trasversali e quelli longitudinali non sono efficienti, lungo la curva
ABC se le suddette ammorsature sono efficaci.
Nei vecchi edifici le volte sono in genere ubicate nei piani inferiori (scantinati e
piano terra) pertanto la spinta da esse esercitata sui muri di piedritto può provocare
deformazioni che si estendono sino alle fondazioni nascono così sollecitazioni sul terreno
dalla parte esterna che tendono a favorirne la rotazione.

Fig. 7.29: Localizzazione delle fissure per spinta di volte

Nelle zone non terminali dei piani terra coperti con volte che scaricano su muri
ortogonali a quelli di facciata, può verificarsi il cedimento delle murature per eccessivo
Pag. 28 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

sovraccarico o il cedimento della fondazione, ciò provoca la rottura in chiave degli


archivolti a causa della cedimento dell’appoggio e nei paramenti superiori compariranno le
caratteristiche fessurazioni del cedimento intermedio visto in precedenza (Fig. 7.30)
Nelle volte a padiglione le spinte tendono a divaricare i quattro muri di imposta
accumulando tensioni di trazione lungo gli spigoli di intersezione tra i muri di piedritto.
Queste sollecitazioni sono massime a livello di imposta provocano in questi punti l’iniziale
rottura che poi tende a propagarsi verticalmente lungo l’intersezione tra i muri d’ambito
(Fig. 7.31).

Fig. 7.30: Dissesti di archi

Fig. 7.31: Lesioni in volte a padiglione

7.5.2 Le fratture negli archi e nelle volte


Negli archi e nelle volte dissestate le fratture sono generalmente in chiave o alle reni.
Nelle strutture voltate a tutto sesto, ellittiche o ribassate la deformazione si manifesta con
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 29

una depressione della chiave e con innalzamento delle reni. Le fratture in genere seguono le
generatrici: in chiave si presentano divaricate verso l’intradosso, alle reni divaricate verso
l’estradosso (Fig. 7.32)
Negli archi e nelle volte a sesto acuto, specie se costruite con intradosso di materiale
leggero, la massa di riempimento in genere presente sulle reni ne può provocare la
depressione con conseguente impennamento della chiave (Fig. 7.33).

Fig. 7.32. Rottura in chiave e alle reni a) in un arco policentrico, b) in un arco a tutto sesto

Fig. 7.33. Rottura in chiave e alle reni in un arco a sesto acuto.

Nelle volte a crociera le fratture si riscontrano sempre in chiave e alle reni, iniziano
all’intersezione fra le unghie e quindi nei costoloni se presenti e si propagano lungo la
superficie delle falde (Fig. 7.34).
Pag. 30 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.34: Rottura in chiave e alle reni dei costoloni di una volta a crociera.

7.6 Dissesti sismici sugli edifici


In genere le vecchie costruzioni in muratura sono poco idonee a resistere ad azioni
dinamiche orizzontali, ciò è dovuto sostanzialmente all’elevata massa dei materiali di cui
sono composte che determina notevoli forze di inerzia alle quali le strutture resistenti non
sono capaci di opporsi.
È stato già illustrato come il funzionamento degli edifici in muratura sotto sisma sia
notevolmente influenzato sia dalla capacità, da parte dei diaframmi orizzontali, di ripartire
le forze sismiche sulle pareti verticali che dall’efficacia dei collegamenti tra tutti gli
elementi che costituiscono la costruzione. Le pareti verticali sotto l’azione delle forze
orizzontali esibiscono meccanismi di collasso diversi dipendenti dalla geometria, dai
materiali e dallo stato tensionale preesistente. Ciò influenza l’entità e il tipo di danno subìto
dalle strutture investite dal sisma.
I danni da sisma sono legati al tipo di terremoto, nei riguardi delle costruzioni le
grandezze fondamentali sono l’energia liberata e il contenuto in frequenza del segnale
sismico. Le azioni sismiche sono tanto maggiori quanto maggiore è l’energia liberata e
quanto più le frequenze che costituiscono il segnale si avvicinano a quelle proprie delle
costruzioni, cioè alle condizioni di risonanza.
Un altro fattore che ha grande influenza nei confronti dei dissesti sismici è l’insieme
terreno – fabbricato, infatti, a parità di altre condizioni, al variare del tipo di terreno si
determinano amplificazioni o decrementi delle accelerazioni sismiche e quindi incrementi o
decrementi delle forze di inerzia sulla costruzione. In effetti ogni terreno amplifica le
accelerazioni sismiche e quindi le forze di inerzia che sollecitano la costruzione in un
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 31

campo comprendente le proprie frequenze e le attenua nei campi di frequenza esterni.


Poiché le costruzioni in muratura hanno una frequenza propria simile a quella dei terreni
molto compatti, (periodo intorno a 0,5s) è questa che induce i maggiori incrementi di
energia sul fabbricato. I terreni sciolti o poco compatti hanno periodi propri più grandi e
quindi assorbendo le accelerazioni trasmettono all’edificio minore energia.
Ciò porta a pensare che un edificio in muratura posizionato su un terreno sciolto si
trovi in condizioni più favorevoli rispetto ad uno situato su un terreno compatto, ciò non è
confortato dal comportamento reale in quanto i terreni sciolti sotto le azioni dinamiche
facilitano l’insorgere di cedimenti differenziali in fondazione che determinano dissesti nelle
strutture in elevazione spesso più gravi di quelli sismici.
I dissesti dovuti al sisma sono anche condizionati dalla disomogeneità del terreno
sotto l’area di impronta del fabbricato o dall’eccessiva disuniformità delle tensioni
trasmesse al suolo dovuta ad esempio a modifiche successive come sopralzi di una parte
della costruzione.
La durata del sisma è determinante in quanto i cicli alterni possono
progressivamente scollegare gli elementi provocando danni localizzati sino al crollo
parziale o totale dell’edificio.
Nella figura seguente sono riportati schematicamente i principali dissesti sismici
osservati in strutture in muratura.

Fig. 7.35: Dissesti sismici più frequenti

7.6.1 Errata disposizione delle pareti in pianta


È il caso di una scorretta organizzazione della pianta dell’edificio per quanto attiene
l’effetto di controventamento che i due ordini di muratura ortogonali esercitano fra loro. È
evidente, infatti, che un pannello murario con un elevato rapporto L/H e non bloccato da
pannelli ortogonali posti a distanze accettabili (la N.I. ammette una distanza massima fra le
murature di sette metri) sarà impegnato, per effetto delle azioni sismiche orizzontali, da
regimi flessionali importanti che possono pregiudicarne la stabilità.
Pag. 32 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

7.6.2 Elevata dissimmetria


Tale caratteristica, come è noto, risulta particolarmente dannosa per le costruzioni in
zona sismica, in quanto si producono sensibili incrementi delle sollecitazioni taglianti
dovute alla coppia torcente inerziale prodotta dalla eccessiva distanza in pianta tra
baricentro delle masse e baricentro delle rigidezze. La struttura che è chiamata ad opporsi
alle azioni sismiche orizzontali non risulta sfruttata al meglio in quanto all’aggravio delle
sollecitazioni su alcuni maschi si accompagna lo scarico di altri. Situazioni di questo tipo
possono nascere su piante ad L o a C, ovvero in caso di densità murarie molto diverse tra
zone della stessa costruzione, o infine in presenza di aperture di dimensioni eccessive, non
distribuite uniformemente in pianta. (vedi paragrafo ripartizione delle azioni orizzontali).

7.6.3 Pareti sollecitate da azioni normali al loro piano, assenza di


efficaci collegamenti tra le pareti e tra queste e gli orizzontamenti
È già stato evidenziato come la incompleta collaborazione fra le murature,
evidenziata dagli scollamenti in corrispondenza dei martelli e dei cantonali, è la causa dei
danni ed in definitiva rappresenta un importante elemento di giudizio sulla vulnerabilità
della costruzione. Infatti, le connessioni tra le componenti della costruzione in condizioni
statiche contribuiscono marginalmente alla stabilità globale dell’opera ma in occasione di
evento sismico acquistano un ruolo determinante. È pertanto necessario che il tipo di
vincolo che realizza tali connessioni sia di tipo bilaterale: ad esempio le orditure dei solai in
legno in condizioni statiche scaricano le loro azioni sulle murature sottostanti per semplice
contatto, ma in caso di sisma e in assenza di vincoli, esse oppongono la sola resistenza di
attrito tra trave e superficie di appoggio che non è sufficiente ad impedirne lo sfilamento.
Bisogna inoltre tener presente che le pareti sulle quali poggia il solaio, sollecitate
dall’azione sismica ortogonale al loro piano, richiedono agli orizzontamenti i vincoli
necessari ad assorbire le forze sismiche, in assenza di efficaci collegamenti può verificarsi
il collasso della struttura.
Il collasso per ribaltamento in direzione normale al piano della parete, definito di
primo modo, è in genere la principale causa di danno negli edifici sotto azione sismica.
L’innesco di un meccanismo di ribaltamento, anche se non provoca il crollo della
parete, può produrre pericolosi fuori piombo che devono essere recuperati per portare la
costruzione in sicurezza.
Il distacco del muro di facciata da quello di controvento può avvenire in due modi:
per taglio, quando si verifica la rottura della sezione parallela all’azione sismica (Fig. 7.6);
per trazione, quando la sezione di rottura è ortogonale all’azione sismica, in questo caso, se
la connessione è efficiente, si verifica il trascinamento del cantonale o del martello.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 33

Fig. 7.36: Terminologia nelle relazioni tra elementi strutturali e azione sismica.

Fig. 7.37: Esempi di collasso di primo modo (tratta da [1]).

Se le travi sono ben ancorate si riduce notevolmente il rischio di ribaltamento, anche


una sola trave collegata può evitare il movimento relativo tra le pareti.
Nel caso di ammorsamenti efficienti tra muro di facciata e muri di controvento può
innescarsi un meccanismo di collasso detto “a flessione” che chiama in causa l’effetto arco
che si sviluppa orizzontalmente all’interno dello spessore della parete, questa viene spinta
Pag. 34 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

all’esterno e si fessura nella parte centrale lungo un asse verticale. Se tale spessore è
notevole le spinte di equilibrio riescono a raggiungere valori sufficienti ad evitare il
collasso, nel caso invece di pareti sottili questo effetto non basta a garantire la stabilità della
parete (Fig. 7.38).
In Fig. 7.39 è schematizzato tale meccanismo di collasso con la formazione di
cerniere nell’arco resistente, lo sviluppo del cinematismo dipende dalle caratteristiche
dell’interasse dei muri di controvento, dal tipo di muratura e dalla capacità di contrasto dei
muri laterali, nel caso di una parete con aperture gli archi resistenti si dispongono in genere
nella fascia sopra gli architravi (Fig. 7.40).
Le murature a sacco o a doppia cortina, sono particolarmente sensibili nei confronti
di questo tipo di collasso, infatti, mancando il collegamento tra i paramenti che
costituiscono la muratura, la zona esterna viene espulsa senza che l’effetto arco possa
interessare l’intero spessore della parete (Fig. 7.40)
Nel caso invece di parete monolitica l’arco di scarico può svilupparsi sull’intero
spessore, e il collasso innesca un meccanismo che interessa tutto lo spessore del muro.
Sempre nel caso di pareti ben ammorsate il meccanismo di collasso può subire anche
un’evoluzione diversa: la parete investita da forze ortogonali al suo piano ribalta attorno
alla base trascinando con sé porzioni delle pareti di controvento. (Fig. 7.41 caso B) Questa
modalità di collasso, negli edifici storici nel caso che i muri siano ben collegati, è più
frequente di quella a “flessione” vista in precedenza.

Fig. 7.38 Collasso fuori piano (tratta da [1]).


Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 35

Fig. 7.39: Collasso di una muratura a sacco riconducibile al funzionamento ad arco che si
innesca nello spessore del paramento per azioni sismiche ortogonali (tratta da [1]).

Fig. 7.40: Meccanismi di collasso fuori dal piano, formazione delle cerniere verticali.
Pag. 36 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.41: Meccanismi di danno fuori dal piano in presenza di murature ortogonali
collegate tra loro.

Fig. 7.42: Paramento esterno di una muratura a sacco parzialmente crollato (tratta da [1]).
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 37

7.6.4 Rottura a taglio delle murature per azioni nel piano della parete
I meccanismi di collasso che coinvolgono pareti sollecitate da azioni nel loro piano
vengono definiti di primo modo. Uno dei sistemi fessurativi più ricorrenti è quello di rottura
per taglio, (vedi figure seguenti) tuttavia come già detto, questa non è la causa principale di
crollo, i maschi murari anche se danneggiati per taglio non esauriscono la loro capacità
portante. Le lesioni associate al meccanismo di collasso per taglio sotto azioni cicliche
hanno forma a X e possono manifestarsi nei maschi murari nel caso di edifici bassi e con
fasce di piano efficienti ovvero nelle fasce di piano nel caso di edifici alti o con fasce di
piano meno resistenti (come nel caso di riduzione degli spessori sotto le finestre per
l’alloggiamento dei radiatori). La parete trasmette al suolo le azioni orizzontali attraverso la
formazione di bielle compresse sino a che non viene a determinarsi un cinematismo che
evolve verso il collasso, tuttavia il moltiplicatore associato è in genere maggiore rispetto al
caso dei meccanismi di primo modo.

Fig. 7.43: Parete con apertura sollecitata da azioni longitudinali: innesco dei meccanismi
resistenti e dei cinematismi di collasso.
Pag. 38 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.44: Dissesti sismici di un edificio con portico al piano terra (tratta da [7]).

Fig. 7.45: Fratture caratteristiche a “croce di S. Andrea” causate dalla rottura per taglio
delle fasce di piano. (tratta da [7]).
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 39

Fig. 7.46: Abbassamento dei conci di chiave nelle aperture ad arco. (tratta da [7]).

Fig. 7.47: Forze in una direzione: distacco della facciata a e formazione delle fratture c.
Forze nella direzione opposta: distacco della parete b e fratture di taglio c’ (tratta da [7]).
Pag. 40 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.48: Distacco di una parte di facciata a causa del punzonamento delle capriate. Le
zone d’angolo possono resistere se i muri ortogonali sono ben collegati fra loro. (tratta da
[7]).

Nelle figure seguenti sono riportati i danni per taglio subiti dai setti di alcuni edifici
in occasione del terremoto dell’Umbria nel Settembre 1997.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 41

Fig. 7.49 Lesione per fessurazione diagonale (tratta da [1]).

Fig. 7.50 Lesione per fessurazione diagonale (tratta da [1]).


Pag. 42 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.51 Lesione per fessurazione diagonale (tratta da [1]).

Fig. 7.52 Lesione per fessurazione diagonale (tratta da [1]).


Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 43

Fig. 7.53 Lesione per fessurazione diagonale (tratta da [1]).

7.6.5 Insufficiente rigidezza dei solai nel proprio piano e loro cattivo
collegamento con le pareti
Come già osservato, la funzione di diaframma rigido che esercita il solaio nel
proprio piano, impone una condizione di congruenza agli spostamenti orizzontali delle
murature, garantendo così un comportamento d’assieme semplice e nel contempo
affidabile, con una notevole razionalizzazione dei percorsi di trasmissione degli sforzi fra
gli elementi resistenti e da questi alle fondazioni.
Le azioni sismiche orizzontali prodotte dalle masse del solaio devono poter migrare
sulle murature parallele alle azioni stesse, senza che nascano deformazioni apprezzabili del
solaio che produrrebbero sollecitazioni flessionali nelle murature ortogonali. E’ così
evidente che il requisito di rigidezza del solaio nel proprio piano, pur essendo necessario,
non è sufficiente se non è garantita la trasmissione delle azioni tra il solaio e le murature.
Le azioni di inerzia che sollecitano le murature ortogonali alle forze sismiche, quelle
cioè impegnate con un comportamento a piastra, devono poter migrare nelle murature
parallele che hanno comportamento a lastra, ciò avviene in modo diretto sui bordi verticali
di collegamento ed in modo indiretto sui bordi orizzontali collegati dal solaio. Pertanto
l’efficacia del collegamento del solaio deve essere verificata non solo sulle due murature di
sostegno dei travetti, ma anche sulle altre.
Pag. 44 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

7.6.6 Strutture spingenti


Le coperture spingenti trasmettono, per effetto di soli carichi verticali, forze
orizzontali alle murature. Ciò si verifica frequentemente per le vecchie coperture con
strutture in legno, dove l’inflessione della trave di colmo, per effetto dei carichi verticali,
rende di tipo spingente il sistema di copertura e nel caso di archi e volte prive di idonei
sistemi di contenimento della spinta.
Questo schema di comportamento deve essere modificato in quanto determina
elevate sollecitazioni prodotte dalle oscillazioni sismiche proprio nelle parti alte della
costruzione, dove le accelerazioni orizzontali assumono i massimi valori. Si viene, infatti,
ad esaltare la tendenza al distacco delle murature di facciata da quelle di controvento, con la
formazione di pericolosi fuori piombo (Fig. 7.55).

Fig. 7.54: a) lesioni d’angolo causate dai puntoni diagonali in un edificio con muro di
spina; b) dalle forze di inerzia proprie del muro e dai puntoni trasversali del tetto; c) dalle
alterne azioni taglianti. (tratta da [7]]).
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 45

Fig. 7.55: Distacco del cantonale dovuta alla spinta dei puntoni della copertura (tratta da
[1])

Fig. 7.56: Crollo della zona d’angolo di un edificio con solaio ligneo, senza cordolo(tratta
da [14]).
Pag. 46 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

7.6.7 Dissesti dovuti al collegamento di strutture con diversa rigidezza


A tali dissesti sono riconducibili i danneggiamenti che si verificano nelle zone di
collegamento tra edifici o strutture di diversa rigidezza, a causa di fenomeni di
martellamento che possono verificarsi anche all’interno di uno stesso edificio tra zone di
rigidezza notevolmente differente. Tali fenomeni si riscontrano anche in edifici consolidati
con l’inserimento di strutture in acciaio o cemento armato di rigidezza incompatibile con
quella delle murature.

7.7 Dissesti sismici sulle chiese

7.7.1 Quadri fessurativo tipici


Una valutazione più attenta dei dissesti sismici merita l’edilizia ecclesiastica e più in
generale il patrimonio monumentale, rispetto all’edilizia ordinaria. Ciò perché i maggiori
sforzi, tesi alla salvaguardia, sono concentrati sui beni di valori storico – artistico.
Dai danni prodotti dai precedenti terremoti si è potuto osservare come il
comportamento sismico delle chiese risulti inquadrabile secondo fenomenologie ricorrenti.
Infatti, pur nella varietà delle tecniche costruttive delle dimensioni e delle forme con cui si
presentano le chiese di epoche ed importanza diverse, la fabbrica risulta quasi sempre
costituita dai seguenti macroelementi (parti strutturalmente autonome che coincidono in
genere con un elemento architettonico):
• Facciata;
• Aula (ad una o più navate);
• Presbiterio;
• Abside;
• Transetto;
• Cupola;
• Cappelle laterali;
• Campanile o una vela.
La struttura è quindi, nella maggior parte dei casi, leggibile abbastanza chiaramente
e un’analisi semplificata può essere eseguita attraverso valutazioni qualitative. Seguendo
questo approccio è fondamentale la lezione dei passati terremoti, anche quelli di intensità
modesta, che pongono in evidenza quali siano le principali caratteristiche della risposta
strutturale e quali le modalità di collasso.
Un importante esempio è rappresentato dall’analisi eseguita sulle chiese friulane
colpite dal terremoto del 1976, in cui si sono rilevate alcune tipologie di meccanismo di
collasso e quadri fessurativi ascrivibili ad ognuno dei macroelementi. Successivamente si è
generalizzata questa tipologia di danno sui macroelementi, confrontandola con i dissesti
delle chiese umbre a seguito dell’evento sismico del settembre 1997.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 47

Alcuni meccanismi di collasso dell’edilizia ecclesiastica rilevati sulle chiese del


Friuli a seguito del terremoto del Maggio 1976 sono riportati in seguito:

1. RIBALTAMENTO DELLA 2. MECCANISMI NELLA SOMMITÀ


FACCIATA DELLA FACCIATA
Pag. 48 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

3. MECCANISMI NEL PIANO 4. RISPOSTA TRASVERSALE DI AULA O


DELLA FACCIATA TRANSETTO

5. RISPOSTA LONGITUDINALE 6. VOLTE DELLA NAVATA CENTRALE


NAVATA CENTRALE
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 49

7. VOLTE NAVATE LATERALI E 8. ARCHI TRIONFALI


TRANSETTO

9. CUPOLA O TIBURIO 10. RIBALTAMENTO DELLEPARETI DI


ESTREMITÀ
Pag. 50 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

11. RIBALTAMENTO DELL’ABSIDE 12. VOLTE DEL PRESBITERIO O


DELL’ABSIDE

13. ROTTURA A TAGLIO DELLE 14. MARTELLAMENTO DELLA


PARETI COPERTURA
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 51

15. DISCONTINUITÀ MURARIE 16. TORRE CAMPANARIA


(CORPI ADIACENTI, ARCHI
RAMPANTI)
Pag. 52 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

17. CELLA CAMPANARIA 18. AGGETTI (VELA, GUGLIE, STATUE)

Fig. 7.57: Meccanismi di collasso dell’edilizia ecclesiastica.

7.7.2 Analisi critica dei meccanismi di danno con riferimento al terremoto


del 1976 in Friuli
Dall’esame di un campione di 60 chiese emergono spunti per numerose
considerazioni, si è infatti riscontrato che danni significativi si sono manifestati con
maggiore frequenza nelle volte dell’aula o dell’abside (oltre il 40%), o per ribaltamento
della facciata (39%), dell’abside (47%) o di altre parete di estremità della fabbrica (45%
meccanismo 10).
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 53

Fig. 7.58: Ribaltamento di pareti di estremità (meccanismo n°10).


Per ciò che concerne il danno nelle volte corrispondente a i meccanismi 6 e 12 si è
notato che sono molto simili. E’ significativo il fatto che quasi tutte le chiese hanno subito
danni alle volte.

Fig. 7.59: Volte della navata Fig. 7.60: Volte del presbiterio o
centrale (meccanismo 6). dell’abside (meccanismo 12).
Per quanto riguarda invece i meccanismi di ribaltamento, rappresentati dagli
indicatori 1, 11, e 10 della scheda, la distribuzione dei danni è sostanzialmente uniforme sui
primi tre livelli, evidenziando come si tratti di uno dei meccanismi di danno e di collasso
potenzialmente più pericolosi per le chiese, ma anche facilmente contrastabile con semplici
accorgimenti costruttivi (buon ammorsamento a incatenamento).

Fig. 7.61: Ribaltamento della facciata (meccanismo n°1).


Pag. 54 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.62. Ribaltamento dell’abside (meccanismo n°11).


I meccanismi di danneggiamento a taglio (3 e 13) sono risultati scarsamente
frequenti, evidenziandosi solo in presenza di scadente qualità della muratura o di geometrie
particolari della parete (aperture, snellezza dei maschi murari). Il collasso delle pareti nel
proprio piano si attiva in genere per elevati livelli di intensità sismica, non si esclude quindi
che in qualche caso si siano verificati fenomeni di amplificazione locale. Poco frequenti
sono risultati i danni per martellamento degli elementi di copertura.
Relativamente ai campanili (meccanismi 16, stabilità globale, e 17, cella
campanaria) i danni sono risultati abbastanza limitati, anche per la frequente presenza di
abbondanti cerchiature o incatenamenti; la cella resta comunque l’elemento più vulnerabile.
Va osservato che le torri considerate, appartenendo in prevalenza a centri storici importanti,
sono quasi tutte di buona fattura (muratura a conci) ed abbastanza tozze; nei comuni
montani si sono verificate invece molti danni a campanili più snelli e realizzati con
murature in pietrame di qualità scadente.
Infine per quanto riguarda gli aggetti il danno è difficilmente valutabile in quanto
l’eventuale meccanismo di ribaltamento attivato nel corso dell’evento non lascia tracce
visibili, specie se si considera che non si poteva esaminare da vicino la base dell’aggetto.
Sono stati molto rari i casi di crollo degli aggetti, probabilmente anche per la diversità tra le
frequenze del sisma e quelle proprie dell’elemento strutturale.

7.7.3 Meccanismi di collasso e dissesti sulle chiese umbre


Al fine di rendere più chiaro quanto finora esposto vengono di seguito illustrati, con
l’ausilio di alcune foto, alcuni casi che esemplificano i meccanismi di danno più
significativi.
Il ribaltamento della facciata costituisce un meccanismo di danno riscontrato assai
frequentemente; all’esterno esso si manifesta con lesioni verticali o sub-verticali nelle pareti
laterali in prossimità del prospetto principale.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 55

Fig. 7.63: Chiesa S.Chiara, Assisi.


Nel caso specifico della chiesa di S. Chiara ad Assisi (vedi Fig. 7.63 e Fig. 7.64) la
facciata risulta notevolmente irrigidita nel piano per la presenza di contrafforte che tuttavia,
aumentandone la massa, provoca azioni dinamiche che favoriscono il distacco dal resto
della fabbrica. Le lesioni sono in genere passanti e quindi il meccanismo si manifesta anche
all’interno, con analoghe lesioni verticali in tutti in tutti i muri ortogonali alla facciata come
nel caso di S. Maria Maggiore ad Assisi (vedi Fig. 7.65).
Pag. 56 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.64: Chiesa S.Chiara, Assisi.

Fig. 7.65: S. Maria Maggiore, Assisi.


Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 57

In questa chiesa il ribaltamento della facciata è stato innescato dal martellamento


delle strutture di copertura; la Fig. 7.66 mostra il danneggiamento localizzato della
muratura in corrispondenza degli appoggi delle travi lignee del tetto.

Fig. 7.66: S. Maria Maggiore, Assisi.

Fig. 7.67: S. Salvatore, Foligno.


Pag. 58 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

La Fig. 7.67, chiesa di San Salvatore a Foligno, evidenzia come anche le volte
strutturalmente non ammorsate nella facciata possano originare fenomeni di martellamento,
con danneggiamento di entrambi gli elementi strutturali.
Con riferimento, invece, alla facciata i meccanismi di taglio nel piano si sono
manifestati solo in presenza di indebolimenti dovuti alle aperture, come evidenziato nella
chiesa di Nocera Scalo (Fig. 7.68) e di Ponte Santa Lucia, frazione di Foligno (Fig. 7.69).
In quest’ultimo esempio la lesione a taglio interessa anche i due maschi murari laterali
indeboliti dalla presenza di aperture secondarie.

Fig. 7.68: Chiesa di Nocera Scalo.


Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 59

Fig. 7.69: Chiesa S. Lucia, Ponte S. Lucia – Foligno.


Nelle chiese con volte nell’aula le catene trasversali non sono molto frequenti e
questo ha favorito la formazione di lesioni in chiave che interessano sia gli arconi di
irrigidimento che la stessa volta; nella chiesa di S. Salvatore a Foligno (vedi Fig. 7.67) è
evidente la perdita di forma della volta.
Nella chiesa di S. Francesco a Nocera Umbra, ora Pinacoteca, sono presenti grandi
arconi (Fig. 7.70) acuti su cui grava l’orditura lignea della copertura; questo sistema
strutturale, del tutto idoneo a sopportare le azioni statiche anche in assenza di catene, si è
mostrato particolarmente vulnerabile all’azione sismica essendosi formato un cinematismo
con evidenti lesioni in prossimità della chiave dell’arco (Fig. 7.70, Fig. 7.71), all’imposta
ed al piede (meccanismo n°8), a testimonianza delle rilevanti rotazioni dei piedritti
verificatesi durante l’evento. Poco frequenti sono stati i danni gravi all’arco trionfale,
elemento in genere di minore luce e di maggiore rigidezza rispetto agli arconi.
Pag. 60 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.70: S. Franceso-Pinacoteca, Nocera Umbra.

Fig. 7.71: S. Francesco-Pinacoteca, Nocera Umbra.


Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 61

Il tipico meccanismo di danno sismico nella cupola consiste in lesioni inclinate ad


arco conseguenti ad un cinematismo per taglio e ribaltamento; questo si è chiaramente
manifestato nelle cupole della Chiesa Nuova ad Assisi (Fig. 7.72, meccanismo n°9).

Fig. 7.72: Chiesa Nuova, Assisi.

Altri meccanismi di danno legati al macroelemento cupola sono quelli nel tamburo,
nella cornice e negli arconi di sostegno e nella lanterna.
Per ciò che attiene ai meccanismi nelle pareti dell’abside e del presbiterio
(meccanismo n°11), questi, quando si manifestano con dei meccanismi di ribaltamento
presentano delle lesioni passanti come evidenziato nella Fig. 7.73. In questo caso, come in
molti altri, il danno rilevato costituisce un aggravamento di preesistenti lesioni dovute,
probabilmente, ad un altro evento sismico.
Pag. 62 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Il distacco è particolarmente leggibile quando l’abside è una struttura aggiunta in un


tempo successivo alla costruzione della chiesa o comunque è scarsamente ammorsato al
resto della fabbrica come evidenziato in Fig. 7.74 nella stessa chiesa di S. Franceso a
Bevagna.

(a) (b)
Fig. 7.73: (a) Abside, esterno – (b) Abside, interno - S. Francesco, Bevagna.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 63

Per ciò che attiene al lesionamento delle volte dell’abside rappresentato nella Fig.
7.75 (meccanismo n°12), questo, in genere è correlato alle lesioni nelle pareti dell’abside:
specie se sono presenti aperture, la volta tende a separarsi in spicchi.

Fig. 7.74: Distacco dell’Abside, esterno - S. Francesco, Bevagna


Pag. 64 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 7.75: Pinacoteca - S. Francesco, Nocera Umbra.


I campanili hanno subito danni significativi solo nelle opere minori, edificate con
tecniche e murature povere, oppure nelle zone la dove l’intensità sismica è stata
particolarmente elevata e dove le frequenze del sisma erano prossime a quelle dei
campanili. I danni alle celle camapanarie sono state limitate dalla presenza di catene
disposte all’epoca della costruzione o nel corso dei successivi interventi; tuttavia la
cerchiatura della cella non impedisce il ribaltamento dei piedritti. Nella Fig. 7.76 è
chiaramente attivo un cinematismo che coinvolge tutta la cella campanaria, esattamente con
uno dei meccanismi di danneggiamento proposti nel precedente abaco (meccanismo n°17) e
qui riproposto.
Capitolo 7: Analisi e diagnosi dei dissesti degli edifici in muratura Pag. 65

Fig. 7.76: Chiesa S. Maria Assunta, Sellano.

7.8 BIBLIOGRAFIA
[1] Regione dell’Umbria: Manuale per la riabilitazione e la ricostruzione postsismica
degli edifici; Tipografia del Genio Civile, Roma 1999.
[2] Sisto Mastrodicasa: Dissesti statici delle strutture edilizie, Hoepli Milano 1993.
[3] Sacchi, Landriani, Riccioni, (a cura di): Comportamento statico e sismico delle
strutture murarie. Ed CLUP, Milano. 1983.
[4] Giorgio Croci: Progettazione strutturale e consolidamento delle costruzioni; Hoepli
1981.
[5] Michele Pagano: Teoria degli edifici, edifici in muratura;.vol.1 Liguore editore,
Napoli 1968.
[6] Alberto Defez: Il consolidamento degli edifici Liguore editore, terza ediz., Napoli
1998.
Pag. 66 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

[7] Giuseppe Cigni: Il consolidamento murario, tecniche di intervento; edizioni Kappa,


Roma 1978.
[8] Theodosios P. Tassios: meccanica delle murature; Liguori editore, 1988.
[9] Guido Sarà: Ingegneria antisismica, vol. II; Liguori editore Napoli 1985.
[10] Paolo Rocchi: Manuale del consolidamento, contributo alla nascente trattatistica.
Edizioni DEI Roma, tipografia del Genio Civile. 1991.
[11] DT 2, Gruppo Interdisciplinare Centrale, Regione Autonoma Friuli – Venezia
Giulia: Raccomandazini per la riparazione strutturale degli edifici in muratura.,
1980.
[12] C. Faella, V. Consalvo, E. Nigro: Influenza della snellezza geometrica e delle fasce
di piano sulla valutazione della resistenza ultima di pareti murarie multipiano, Atti
dell’VIII Convegno l’ingegneria Sismica in Italia, Taormina (CT) 1997.
[13] Le chiese e i terremoti, a cura del GNDT.
[14] Ingegneria Sismica N°3 1997, quadrimestrale tecnico – scientifico, Patròn editore.
[15] L. Di Maio, Tecnologie di consolidamento delle strutture murarie: Discussione di
alcuni interventi. Tesi di Laurea in Progetti di Strutture, Università degli Studi di
Salerno, Facoltà di Ingegneria, A. A. 1998/99.
[16] A. De Cocinis, Analisi e diagnosi dei dissesti, principi di intervento per la tutela
delle opere monumentali. Tesi di Laurea in Progetti di Strutture, Università degli
Studi di Salerno, Facoltà di Ingegneria, A. A. 1998/99.
Capitolo 8

METODI DI INDAGINE

8.1 Programmazione delle indagini sperimentali


Una corretta progettazione degli interventi di consolidamento di un’opera richiede
l’analisi di numerosi aspetti: tecnico economico, culturale, artistico e sociale, pertanto essa
deve necessariamente basarsi su una conoscenza, per quanto possibile, approfondita sia
delle caratteristiche della struttura in esame che della sua efficienza statica e funzionale.
Per acquisire tali informazioni è necessaria, quando si affronta un problema di
verifica e successivo consolidamento, la programmazione di indagini tenendo presente che
da esse dipendono il tipo, la qualità ed il costo degli interventi.
Il tipo e l’ampiezza delle indagini è pertanto un’operazione importante e molto
delicata e deve essere definita nell’ambito di un corretto bilancio costi - benefici; essa
infatti ha un duplice obiettivo: dovrà sia soddisfare ad esigenze di tipo tecnico quale quella
di fornire dati attendibili e sufficienti per una corretta interpretazione dei fenomeni in atto
che portare ad un programma di prove il più possibile contenuto per limitare i costi e, nel
caso di opere monumentali, l’alterazione che alcuni tipi di controllo producono.
Naturalmente in questo bilancio si dovrà tener conto dell’importanza dell’opera sul piano
economico, sociale e culturale e in particolare dell’entità della pericolosità e delle perdite
connesse con un eventuale crollo o fuori servizio.
La programmazione di una campagna di indagini presenta quindi, sul piano tecnico,
gestionale e sociale, problematiche diverse per ogni classe di strutture: opere monumentali,
edifici per l’edilizia abitativa e sportiva ecc.
Per tali motivi risulta non agevole individuare dei criteri, validi in ogni situazione,
per progettare una campagna di indagini; allo scopo di prendere in esame le varie
problematiche di una attività diagnostica può essere comunque utile considerare l’evolvere
del processo di consolidamento di un’opera e le varie fasi in cui esso può essere
decomposto.

• Fase 1: esame generale dell’opera


L’obiettivo di questa fase è la descrizione dell’opera da un punto di vista generale
attraverso la definizione della geometria, dei materiali, della tipologia costruttiva, e
individuare, da un punto di vista qualitativo, il tipo di dissesto presente con riferimento ai
Pag. 68 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

materiali (fessurazione, corrosione, alterazioni chimiche etc.) e alla struttura (quadro


fessurativo, fuori piombo, cedimenti, etc.)

• Fase 2: costruzione del modello numerico strutturale e del modello di


ammaloramento e programmazione delle prove.
Rappresenta la vera fase diagnostica ed ha lo scopo di giungere a disporre, sul piano
strutturale, di un modello capace di analizzare con attendibilità il grado di sicurezza
dell’opera e di verificare l’efficacia degli interventi proposti; sul piano delle alterazioni dei
materiali, di un modello del meccanismo di degrado che individui le cause principali
(inquinamento, variazioni termiche, umidità ecc.) e suggerisca i rimedi più opportuni.

• Fase 3: taratura del modello con prove di carico e con l’installazione di


sistemi di sorveglianza
Il modello costruito mediante i dati delle due fasi precedenti deve essere convalidato
mediante confronto con il reale comportamento dell’opera che può essere conosciuto
tramite prove di carico o di sistemi di monitoraggio; in caso di forte disaccordo può
risultare necessario programmare nuove prove diagnostiche mirate a meglio definire le
caratteristiche dell’opera e dei materiali.

• Fase 4: progettazione ed esecuzione degli interventi


La verifica dell’idoneità e dell’efficacia degli interventi oggetto di progettazione può
essere accertata nella fase stessa della progettazione mediante l’esecuzione di indagini su
elementi di prove ai quali sono stati esemplificativamente applicati gli interventi in
progetto.

• Fase 5: controllo e collaudo degli interventi e della qualità dei lavori


I controlli dei materiali e sui procedimenti di messa in opera, spesso determinanti
per la buona riuscita degli interventi, devono essere eseguiti già in fase di progettazione e
continuati in corso d’opera. Un collaudo finale deve essere eseguito per valutare l’efficacia
complessiva dell’intervento.
Nelle successive tabelle 8.1, 8.2 e 8.3 vengono riportate, per le fasi salienti
precedentemente descritte, i metodi di indagine più diffusamente impiegati in relazione alle
differenti caratteristiche da determinare.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 69

Tab. 8.1: Esame generale dell’opera [8].


CARATTERISTICHE DI METODI D’INDAGINE
INTERESSE
DESCRIZIONE DELL’OPERA
- Dimensioni geometriche - Metodi topografici fotogrammetrici
- Materiali e tecniche costruttive: - Metodi sonici, tomografia,
tessitura della muratura, ordito dei termografia,
solai, disomogeneità, cavità, - Radar, endoscopia
- Natura dei terreni di fondazione - Prove penetrometriche
- Alterazioni e modifiche nel tempo, - Ricerche storiche
documentazione su eventi eccezionali
(sismi ecc.)
ALTERAZIONE E DEGRADO
DEI MATERIALI - Ispezioni visive delle superfici con
- Disordini e lesioni mappatura dei difetti e
- Disgregazione delle malte documentazione fotografica
- Umidità
ALTERAZIONE E DEGRADO
DELLA STRUTTURA
- Quadro fessurativo
- Disallineamenti, spostamenti,
strapiombi, inclinazioni ecc. - Ispezioni visive accompagnate da
- Cedimenti in fondazione rilievi topografici
- Lesioni di elementi
- Stato dei collegamenti: tra muro e
muro, tra pareti verticali e solette ecc.
DETERIORAMENTO DI
ELEMENTI NON STRUTTURALI
- Sistemi di smaltimento delle acque
Pag. 70 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Tab. 8.2: Indagini per la misura del degrado [8].


CARATTERISTICHE DI INTERESSE METODI DI INDAGINE
ANALISI DELLE AZIONI ESTERNE
- Peso proprio
- Variazioni termiche - Sistemi di monitoraggio dotati di
- Carichi di esercizio celle di carico, termoresistenze,
- Cedimenti piezometri, sismometri,
- Variazioni del livello di falda anemometri
CARATTERIZZAZIONE DEI
MATERIALI
- Prove di laboratorio su campioni,
- Resistenza a compressione uniassiale e
martinetti piatti
triassiale, resistenza a taglio
- Martinetti piatti, dilatometro
- Modulo di deformabilità
- Tomografia, edoscopia
- Caratteristiche della sezione
CARATTERIZZAZIONE DEL
TERRENO E DELLE FONDAZIONI
- Prove in sito (prove
- Stratigrafia
- Proprietà del terreno: coesione, angolo penetrometriche, prove su piastra
di attrito, consolidamento portanza ecc.)
- Prove di laboratorio (prove
ecc.
triassiali, di taglio, edometriche
ecc)
ALTERAZIONE DEI MATERIALI
- Composizione petrografica, origine e - Analisi petrografica
natura dei prodotti di alterazione
- Permeabilità - Prove di assorbimento d’acqua
- Contenuto d’acqua - Metodo gravimetrico, misure di
resistività, microonde
- Caratteristiche delle malte - Analisi chimiche
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 71

Tab. 8.3: Indagini per lo studio del comportamento strutturale [8].


CARATTERISTICHE D’INTERESSE METODI DI INDAGINE
PROVE E RILIEVI STATICI
- Misura degli sforzi per peso proprio - Martinetti piatti, tecniche di
- Prove di carico su elementi strutturali rilascio delle tensioni
(solai, sbalzi, coperture ecc.) - Misura di frecce e sforzi,
determinazione della legge: carico
deformazione
PROVE E RILIEVI DINAMICI
- Rilievo della risposta alla eccitazione
- Misura di accelerazioni, velocità,
ambientale (traffico, vento,
sollecitazioni
microvibrazioni)
- Prove di eccitazione forzata
SORVEGLIANZA - Messa in opera di sistemi
- Rilievo (statico e dinamico) dei carichi d’acquisizione dati con una
agenti e della risposta strutturale opportuna rete di sensori

8.2 Tipologia delle prove sperimentali nel caso di edifici in


muratura
Dall’analisi sviluppata nei precedenti paragrafi in merito alla programmazione delle
indagini sperimentali, nel caso di edifici in muratura, è possibile suddividere le differenti
netodologie di prova nei seguenti tre gruppi:
1. Prove sui materiali costituenti la muratura;
2. Prove sui pannelli murari;
3. Prove finalizzate al monitoraggio strutturale;
Per quanto concerne le prove sui materiali costituenti la muratura, innanzitutto allo
scopo di valutare lo stato e le cause dell’eventuale degrado nonché la compatibilità dei
materiali di apporto e la deteriorabilità sotto l’azione dell’ambiente, occorre dapprima
procedere, sulla malta e sul materiale lapideo, ad analisi mineralogiche e petrografiche,
analisi chimiche, analisi fisiche ed analisi delle caratteristiche cromatiche. Inoltre, con
riferimento alle caratteristiche meccaniche, possono essere effettuate prove distruttive e
prove non distruttive. Le prove distruttive consistono prevalentemente in prove di
compressione monoassiale sul materiale lapideo finalizzate alla valutazione del modulo di
elasticità e della resistenza a compressione, nonché prove di taglio diretto eseguite su
correnti di malta compresi tra due mattoni. Le prove non distruttive sul materiale
costituente la muratura sono rappresentate da analisi soniche o ultrasoniche, che consentono
di valutare le proprietà elastiche del materiale, e da prove sclerometriche in sito che
consentono la determinazione della durezza superficiale della malta e del materiale lapideo.
Pag. 72 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Le prove sulla muratura sono finalizzate da una parte alla conoscenza delle
caratteristiche geometriche, di tessitura, di imperfezione e degrado della muratura, dall’altra
alla valutazione delle proprietà meccaniche del pannello murario. Per quanto concerne il
primo aspetto, si può far ricorso a carotaggi meccanici con prelievo di campioni dalle
strutture murarie mediante i quali è possibile riconoscere la composizione della muratura
(riconoscendo ad esempio una muratura a sacco, la tessitura, la qualità dei correnti interni
di malta) nonché indagini diagnostiche entro i fori di sondaggio che possono essere
sviluppate mediante l’impiego di sonda televisiva, prove dilatometriche o indagini
geofisiche. Inoltre, mediante l’impiego di magnetometria è possibile individuare la
presenza di catene o tiranti nella muratura, nonché cavità per la presenza di tubazioni
impiantistiche e per mezzo di rilievi termografici è possibile ottenere informazioni relative
alla morfologia delle strutture nascoste dall’intonaco (archi, travi, etc.) e di mettere in luci
eventuali anomalie costruttive quali aperture tamponate o vani modificati. Per quanto
concerne invece la valutazione delle proprietà meccaniche della muratura, si può procedere
ancora una volta mediante prove distruttive o prove non distruttive. Le prove distruttive si
basano sul prelievo di opportuni campioni di muratura di grosse dimensioni da sottoporre a
prove di compressione monoassiale per la determinazione del modulo di deformabilità
trasversale e longitudinale e della resistenza a compressione. Le prove non distruttive
possono essere eseguite in maniera efficace, mediante l’impiego della tecnica dei martinetti
piatti o mediante indagini soniche. La prova con martinetti piatti consente di determinare lo
stato di sollecitazione della muratura, le caratteristiche di deformabilità e di resistenza. Le
indagini soniche, trovano la loro pratica applicazione nella caratterizzazione elastica della
muratura e nella rilevazione di eventuali discontinuità dei materiali costituenti la muratura.
Vanno infine evidenziate le problematiche relative al monitoraggio del
comportamento statico e dinamico delle opere monumentali in muratura. Relativamente al
comportamento statico, il monitoraggio può essere effettuato mediante l’impiego di
estensimetri meccanici, fessurimetri (eventualmente provvisti di trasduttori elettrici) per la
misura delle lesioni nelle murature, clinometri elettrici per la valutazione della rotazione
delle strutture. Per quanto riguarda il comportamento dinamico è possibile effettuare prove
di caratterizzazione dinamica mediante la registrazione della risposta in termini di
spostamento, velocità ed accelerazione della struttura sottoposta ad eccitazione. Le prove
dinamiche, ripetute nel tempo, consentono di mettere in luce l’eventuale insorgenza o
aggravarsi del degrado strutturale.
L’intero sistema di prove sperimentali sulle murature viene sinteticamente
rappresentato nel diagramma di Fig. 8.1.
Lasciando a corsi specifici i dettagli delle varie tipologie di indagine, nel seguito
vengono trattate in maniera più accurata le indagini non distruttive sia sui materiali che
compongono la muratura che sui pannelli murari per l’importanza che si ritiene possano
rivestire tali tipologie di indagine nella diagnostica degli edifici in muratura.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 73

• analisi mineralogiche e
petrografiche
Caratterizzazione
• analisi chimiche
chimico - fisica
• analisi fisiche
• analisi caratteristiche cromatiche

Prove sui materiali


costituenti la muratura
• prove distruttive:
di compressione monoassiale
Caratterizzazione di taglio diretto
meccanica • prove non distruttive:
analisi soniche ;
prove sclerometriche.

Caratterizzazione • carotaggi meccanici


dimensionale, • endoscopia
tipologica ed • magnetometria
imperfezioni • rilievi termografici

Prove sulla muratura

• prove distruttive:
di compressione monoassiale
Caratterizzazione
• prove non distruttive:
meccanica
martinetti piatti;
indagini soniche.

• rilievi con estensimetri


Comportamento statico • rilievi con fessurimetri
• rilievi con inclinometri

Monitoraggio

Comportamento • prove di caratterizzazione


dinamico - meccanico dinamica

Fig. 8.1: Schema delle più usuali tecniche di indagine sulle murature
Pag. 74 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

8.3 Prove sui materiali costituenti la muratura:


caratterizzazione fisico-chimica
Presupposto indispensabile per la progettazione degli interventi di consolidamento e
protezione è la conoscenza approfondita delle caratteristiche del materiale su cui si dovrà
intervenire. Il materiale muratura è in genere costituito da elementi lapidei e/o laterizi e
malta, le proprietà di un siffatto materiale sono strettamente connesse con quelle dei suoi
componenti base. Allo scopo di acquisire informazioni sulle possibili cause di degrado è
necessario innanzitutto caratterizzare il materiale dal lato chimico, la determinazione delle
caratteristiche fisiche (massa volumica apparente, reale, velocità di propagazione delle onde
elastiche) consente di valutare la consistenza del materiale e alcune sue caratteristiche
meccaniche, altri parametri quali porosità, coefficiente di saturazione, assorbimento
d’acqua per capillarità, portano ad informazioni sulla deteriorabilità del materiale.
Nel seguito si approfondiranno i seguenti aspetti:
- Mineralogico - petrografico;
- chimico;
- fisico;
- cromatico.

8.3.1 Analisi mineralogiche e petrografiche


La caratterizzazione mineralogico - petrografico dei materiali lapidei viene fatta mediante
le seguenti indagini:
- Microscopica ottica stereoscopica in luce riflessa (sezione opaca). Consente un
accurato esame della struttura superficiale della roccia e delle specie minerali
presenti. L’esame è effettuato su un frammento di materiale in una resina di idonea
composizione, sezionato e levigato; la sezione, opaca, viene osservata a luce
riflessa a ingrandimento relativamente basso. Questo esame consente di valutare
forma e colori delle particelle costituenti il materiale esaminato ed è
particolarmente utile nel caso di aggregati (malte, calcestruzzi).
- Microscopia ottica in luce trasmessa (sezione sottile). La microscopia ottica a
sezione sottile è un metodo basilare nello studio delle alterazioni delle pietre:
permette infatti di caratterizzare il materiale originario con precisione, definendone
la tessitura e la composizione mineralogica. Questa tecnica evidenzia, inoltre, le
differenze mineralogiche tra il materiale non alterato e gli strati superficiali
interessati dal processo di degrado. L’esame viene eseguito su una lamina di
spessore circa 0.03mm, preparata montando una sezione inglobata su un vetrino e
levigandola fino allo spessore desiderato. Essa viene osservata per trasparenza
(ingrandimento da medio ad alto), misurando le caratteristiche ottiche dei minerali
presenti nel campione.
- Analisi con microscopio elettronico a scansione (SEM). Questo strumento permette
l’esame a forte ingrandimento di sezioni o superficie di frattura del materiale, con
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 75

buon potere risolvente e grande profondità di campo. La metodologia di impiego di


questo strumento richiede che la superficie da esaminare sia resa conduttrice
depositandovi un sottile strato di metallo: pertanto si può studiare la morfologia ma
non il colore degli elementi costitutivi della pietra o della malta. Particolarmente
utile è l’esame delle forme cristalline o organogene sulle quali si può anche
eseguire, punto per punto, un’analisi per elementi, grazie alla microsonda a
fluorescenza di raggi X (con rilevatore a dispersione di energia) annessa al
microscopio.
- Analisi spettrofotometrica ai raggi infrarossi. (IR). Questa tecnica consente una
stima qualitativa e semiquantitativa delle principali specie mineralogiche presenti
nel campione. Consiste nell’analisi dell’attenuazione dell’intensità subita da un
fascio monocromatico per effetto dell’assorbimento da parte della sostanza in
esame. Questa analisi può essere anche usata per studiare la natura di materiali
organici presenti sulla superficie del materiale analizzato (per esempio residui di
trattamenti protettivi anteriori).
- Analisi per diffrazione ai raggi X (XR). Questo metodo permette un’analisi
qualitativa, e anche semiquantitativa, delle forme cristalline presenti in una pietra o
in una malta. Con tecniche particolari, può anche essere usato per definire la natura
dei materiali argillosi. L’analisi consiste nella misura dell’intensità della radiazione
diffratta ai vari angoli da un campione, ridotto in polvere finissima, investito da un
fascio di raggi X. Solo i materiali cristallini danno luogo ad uno spettro di
diffrazione; dalle caratteristiche di questo spettro è possibile identificare in modo
preciso la struttura che lo ha prodotto.
Pag. 76 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.2: Analisi mineralogiche [2].


Nella figura 8.1, a sinistra dall’alto in basso sono descritti: incrostazioni di aragonite
viste al microscopio ottico stereoscopico; sezione sottile di calcare fossilifero al
microscopio otticoa luce polarizzata; solfati di calcio al microscopio elettronico a
scansione. I diagrammi si rferiscono dall’alto rispettivamente a un’analisi di dispersione
energetica, a un’analisi spettrofotometrica IR e ad un’analisi diffrattometrica ai raggi X.

8.3.2 Analisi chimiche


L’analisi chimica di malte e pietre consente la definizione delle caratteristiche chimiche del
litotipo, del legante o dell’inerte. Confrontando i dati di analisi relativi a parti integre con
quelli relativi a parti alterate, è possibile acquisire ulteriori informazioni in merito alle
cause del degrado. In tal senso è utile anche la determinazione del dosaggio dei sali solubili,
presenti nella pietra sia come componenti naturali, sia come prodotti del degrado di natura
chimica o biologica. È possibile eseguire le seguenti analisi: misura del pH, della
conducibilità, del contenuto di calcio, magnesio, ecc., nonché determinazioni più
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 77

complesse, quali il dosaggio di sali solubili e la caratterizzazione completa di rocce e


soluzione acquose.

8.3.3 Analisi fisiche


La consistenza del materiale e, indirettamente, alcune sue caratteristiche meccaniche
possono essere valutate a partire dalla misura di grandezze fisiche quali: massa volumica
apparente, massa volumica reale, velocità di propagazione delle onde elastiche
longitudinali, curva granulometrica.
La porosità del materiale, e quindi il suo comportamento rispetto all’acqua, sono
invece misurati dai seguenti parametri: coefficiente di saturazione, assorbimento d’acqua
per capillarità e immersione, assorbimento d’acqua a bassa pressione, misura di
permeabilità al vapor d’acqua.
Tali parametri forniscono utili informazioni sulla deteriorabilità del materiale sotto
l’azione di agenti esterni presenti nell’ambiente. Alcune di queste misure (in particolar
modo l’assorbimento di acqua per capillarità e a bassa pressione) trovano inoltre
applicazione nella determinazione dell’efficacia di trattamenti protettivi. La misura di
permeabilità al vapor d’acqua è utile, ad esempio, per misurare le caratteristiche evaporanti
di un intonaco; essa è anche usata per definire se, e quanto, un trattamento protettivo
interferisce con l’evaporazione dell’acqua penetrata all’interno del materiale trattato.

8.3.4 Analisi delle caratteristiche cromatiche


L’analisi delle variazioni cromatiche indotte dagli interventi di consolidamento e protezione
riveste grandissimo interesse in quanto può determinare la scelta dei prodotti da adottare nei
trattamenti. Oltre alle variazioni cromatiche, è importante anche la valutazione della
lucentezza indotta sulla superficie della pietra dai diversi prodotti.
La misura del colore consiste nell’analisi della luce riflessa dal materiale, illuminato
da una sorgente luminosa standard. Una speciale apparecchiatura computerizzata
(colorimetro) consente di eseguire la misura colorimetrica con l’ausilio di un apposito
diagramma di cromaticità.
Per mezzo di un altro strumento computerizzato (glossmetro), si determina la
lucentezza misurando la quantità di luce riflessa dalla superficie della pietra.
Le analisi cromatiche sono anche importanti ai fini della verifica delle alterazioni
eventualmente indotte da materiali protettivi che si pensa di utilizzare nel restauro. In
questo caso si esegue un confronto tra il colore del materiale prima del trattamento, dopo il
trattamento e dopo invecchiamento naturale o artificiale in camere ambientali. Infatti molti
prodotti organici possono sviluppare colorazioni poco accettabili dopo periodi di
esposizione relativamente brevi.
Il colore della luce riflessa da un assegnato materiale viene determinato mediante
l’esplicitazione di tre parametri: luminosità, tono e purezza.
Pag. 78 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

La luminosità (o brillanza) è l’intensità luminosa per unità di superficie, e misura il


maggiore o minore grado di chiarezza del colore. Il tono di colore, cioè la tinta, corrisponde
alla lunghezza d’onda della radiazione luminosa. La purezza o saturazione, rappresenta il
grado maggiore o minore di colore “puro”: si considerano puri i colori dello spettro solare,
mentre ogni altro colore è costituito da una sovrapposizione di colori puri con una certa
quantità di bianco.
Questi tre parametri definiscono in modo univoco qualsiasi colore: sono pertanto
idonei a caratterizzare l’alterazione superficiale di colore di un qualsiasi materiale da
costruzione trattato con sostanze impermeabilizzanti, impregnanti ecc.
Il colorimetro fornisce le coordinate x, y del colore in condizioni di illuminazione
controllata. Ogni coppia di coordinate individua univocamente un punto sul diagramma
normalizzato del colore, caratterizzato a sua volta da una coppia di valori di lunghezza
d’onda e di purezza che sono i parametri cercati. Il parametro di luminosità Y è fornito
direttamente.
Nella caratterizzazione dei materiali da costruzione viene anche effettuata una prova
di determinazione dell’indice di giallo, essendo tale componente di colore associabile a
fenomeni di alterazione e degrado come l’ossidazione di alcuni componenti del materiale.
Le analisi di colore effettuate con colorimetro sono più complete di quelle effettuate
con spettrofotomentro, che si limitano a fornire la distribuzione dell’intensità luminosa in
funzione della lunghezza d’onda [2].

Fig. 8.3: Triangolo normalizzato del colore, per la definizione


della saturazione e della tinta [2].
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 79

Fig. 8.4: Risultati di una prova di caratterizzazione cromatica su un litotipo (arenaria)


sottoposto a diversi tipi di trattamento [2].

8.4 Prove sui materiali costituenti la muratura:


caratterizzazione meccanica

8.4.1 Prove distruttive


Le prove meccaniche consentono di determinare alcuni parametri e curve caratteristiche dei
materiali da costruzione (materiale lapideo o laterizio) per la definizione del
comportamento statico. Le prove sono standardizzate in modo da garantire la
confrontabilità dei risultati.

8.4.1.1 Prova di compressione monoassiale


Un campione di materiale lapideo di forma cilindrica è sottoposto ad un gradiente di
sollecitazione nella direzione longitudinale (Fig. 8.5). La prova può essere eseguita sia in
controllo di carico che in controllo di deformazione, in quest’ultimo caso il campione viene
strumentato con estensimetri disposti oltre che longitudinalmente anche trasversalmente.
Tutte le operazioni di prova e l’acquisizione dei dati è controllata da un calcolatore.
La prova fornisce il carico di rottura e il diagramma delle deformazioni assiali e diametrali
in funzione del carico assiale.
Pag. 80 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.5: Prova di compressione monoassiale

8.4.1.2 Prova di compressione triassiale


È eseguita sia in controllo di carico che di deformazione, con l’applicazione di un carico di
contenimento di tipo idrostatico, costante.
Il campione è dapprima sottoposto a compressione isotropa fino a che il carico di
contenimento non abbia raggiunto il valore previsto. Successivamente si incrementa la sola
sollecitazione assiale fino ad ottenere un accorciamento corrispondente a circa l’1% della
lunghezza iniziale del campione.
La prova fornisce il diagramma delle deformazioni assiali e diametrali in funzione
del carico assiale applicato, nonché i valori di resistenza di picco e residua. Dai risultati
della prova è possibile inoltre calcolare facilmente il modulo di Young e il coefficiente di
Poisson.

8.4.1.3 Prova di taglio diretto


La prova di taglio diretto è eseguita per determinare la resistenza lungo un piano di
discontinuità. I campioni sono sollecitati sia in direzione normale alla direzione del giunto
che in direzione tangenziale al giunto (sollecitazione di taglio).
Durante la prova la sollecitazione normale al giunto è mantenuta costante mentre
quella di taglio è incrementata sino a determinare lo scorrimento della parte superiore del
provino rispetto a quella inferiore (Fig. 8.6).
La prova fornisce il diagramma degli spostamenti orizzontali in funzione degli sforzi
di taglio e un parametro, detto di scabrezza, correlabile con l’angolo di attrito del materiale.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 81

Fig. 8.6: Prova di taglio diretto su campione di materiale lapideo

8.4.1.4 Prova di point load


Un campione cilindrico è sollecitato diametralmente per mezzo di un carico di tipo
puntiforme applicato tramite due punte sferiche. Incrementando il carico fino a rottura si
ottiene un indice caratteristico di resistenza meccanica (indice di point load) che consente,
tra l’altro, di stimare la resistenza del campione a sollecitazioni di tipo monoassiale (Fig.
8.6).
Altre prove eseguite sui materiali da costruzione sono: la prova di trazione diretta
(analoga a quella di compressione monoassiale) e la prova di trazione indiretta o brasiliana.
Quest’ultima è eseguita sollecitando un campione cilindrico a compressione crescente,
lungo lo sviluppo di due generatrici diametralmente opposte [1].
Pag. 82 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.7: Prova di point load

8.4.2 Prove non distruttive


I metodi non distruttivi che si utilizzano più frequentemente per la stima delle
caratteristiche meccaniche dei materiali strutturali sono le prove soniche ed ultrasoniche e
le prove sclerometriche.

8.4.2.1 Le indagini ultrasoniche


Con il termine indagini ultrasoniche si fa usualmente riferimento ad una complessa
metodologia di analisi sui materiali (ed ovviamente anche sulle strutture che ne sono
composte) basata sulla trasmissione di onde elastiche di vibrazione attraverso il mezzo in
esame.
Gli esami con ultrasuoni (UT) sfruttano i fenomeni della propagazione nei solidi,
liquidi o gas, di fasci d'onde elastiche, cioè onde di compressione e decompressione della
materia, con frequenza superiore a quella dei suoni udibili dall'orecchio umano.
Le onde ultrasonore, che vengono inviate nel sistema spaziale da esaminare, sono
attenuate dalla materia che incontrano e riflesse, deviate od assorbite dalle discontinuità.
L'eco è un fenomeno che dipende dalla riflessione delle onde sonore e quali rimbalzano
contro la superficie dell'ostacolo, di natura diversa da quella del mezzo di propagazione
(aria), fino a ritornare all'orecchio dell'ascoltatore, il metodo di rivelazione dei difetti con
UT è l'applicazione tecnologica di questo principio.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 83

Il fascio d'onde ultrasonore, ovvero il segnale, viene generato sfruttando le proprietà


piezoelettriche o magnetostrittive di alcuni cristalli, cioè la loro capacità di contrarsi ed
espandersi sotto l'azione di un campo elettrico o di un campo magnetico alternato.
Le vibrazioni del cristallo producono onde elastiche di frequenza ultrasonica, purché il
campo elettrico (o magnetico) alternato eccitante possieda l'adatta frequenza.
Gli ultrasuoni così generati vengono trasferiti direttamente nel materiale da controllare
grazie al contatto, o più propriamente al semplice accostamento del generatore (trasduttore)
alla superficie del pezzo, purché esista un mezzo adeguato tra le due interfacce, cioè capace
di trasferire il suono senza eccessivo assorbimento (si usano frequentemente sospensioni o
soluzioni acquose sature di colle cellulosiche).
Il fascio d'onde ultrasonore si propaga nel materiale da esaminare con la stessa
frequenza del generatore e con una velocità che dipende dal materiale attraversato, quando
il fascio incontra un ostacolo sarà riflesso, assorbito, deviato o diffratto secondo le leggi
comuni a tutti i fenomeni di propagazione delle onde.
Le onde riflesse possiedono la stessa frequenza di quelle incidenti, ma sono sfasate
rispetto ad esse, anche in funzione del cammino percorso, cioè della distanza del trasduttore
dai vari punti della superficie dell'ostacolo, analoga sorte spetta alle onde diffratte.
L'energia assorbita dal difetto colpito dalle onde incidenti fa sì che esso possa vibrare
emettendo a sua volta onde elastiche di frequenza tipica della sua risonanza e variamente
sfasate.
Dunque il segnale che ritorna verso il trasduttore è molto complesso perché è la
risultante della sommatoria di molte onde d'uguale frequenza, ma sfasate, e di altre di
frequenza diversa, pure sfasate fra loro. Tale segnale contiene tutte le informazioni sulle
dimensioni, geometria e natura dell'ostacolo incontrato dal fascio d'ultrasuoni incidenti.
Il fenomeno fisico della piezoelettricità o magnetostrizione, che è stato sfruttato per
generare l'onda, è reversibile, ne deriva che lo stesso cristallo capace di emettere ultrasuoni,
può generare un segnale elettrico o magnetico, quando venga investito da un fascio di onde
elastiche, perciò, quando l'onda riflessa od emessa dall'ostacolo ritorna alla sonda che l' ha
generata, darà un segnale elettrico che, opportunamente amplificato e filtrato, potrà essere
visualizzato sul quadrante dell'oscilloscopio, di cui sono sempre dotati gli strumenti
rivelatori d'ultrasuoni.
Gli sforzi della ricerca nel settore dei CnD con UT sono attualmente mirati alla
demodulazione dei segnali ricevuti dalla sonda ricevente attraverso l'applicazione delle
trasformate di Fuorier, analizzando il segnale nel dominio delle frequenze. Ciò
permetterebbe, nelle indagini finalizzate all’individuazione di singoli difetti interni al
materiale, non solo d'individuare la posizione e di valutare la dimensione equivalente dei
difetti, ma di vederne realmente la forma, diagnosticandone la natura. Nelle indagini,
invece, finalizzate alla valutazione della qualità complessiva del materiale, l’analisi nel
dominio delle frequenze consentirebbe una più accurata valutazione del livello di degrado
del materiale e una migliore correlazione tra parametri ultrasonici e caratteristiche
meccaniche del materiale.
Attualmente tutti gli strumenti rivelatori d'ultrasuoni si compongono di due parti, unite
o distinte: il generatore del segnale da inviare al materiale da esaminare ed il rivelatore, che
Pag. 84 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

riceve, amplifica, filtra e visualizza i segnali che ritornano alla sonda dopo la propagazione
(indagine finalizzata a valutare i singoli difetti) o del segnale pervenuto alla sonda ricevente
dopo aver attraversato l’intero campione (indagine finalizzata alla valutazione della qualità
complessiva del materiale).
Nell indagini basate sull’eco, poiché il materiale da esaminare possiede sempre un
confine, cioè una parete di fondo sulla quale il fascio in ingresso si riflette comunque, è
possibile ricavare informazioni sulla posizione del difetto presente nella massa, attraverso il
rapporto dei tempi di ritorno dell'eco del segnale e dell'eco di fondo, questo è possibile
perché la propagazione delle onde ultrasonore avviene sempre a velocità costante in un
mezzo omogeneo, per di più è possibile rivelare la presenza di un difetto interno anche nel
caso che questo non generi la riflessione, ma soltanto l'assorbimento del fascio incidente.
Infatti lo strumento visualizza il fondo sia come distanza (tempo per la ricezione
dell'eco di fondo), che per assorbimento (attenuazione dell'intensità del segnale di fondo
riflesso, per assorbimento da parte della materia attraversata). Se l'intensità del fascio
riflesso dalla parete di fondo diminuisce bruscamente in una certa posizione significa che
qualche ostacolo o discontinuità lo ha parzialmente assorbito e non è possibile individuare
la posizione del difetto, ma solamente valutarne la presenza ed il potere assorbente.
Disponendo di un generatore d'adeguata potenza è possibile individuare difetti distanti
anche parecchi metri dal trasduttore, questo permette il controllo dell'integrità trasversale di
elementi anche molto spessi; ed è possibile anche valutare approssimativamente la
dimensione della discontinuità incontrata dal fascio d'ultrasuoni, confrontando l'intensità
dell'eco ricevuto con quello di difetti standard, o con grafici appositamente costruiti, che si
possono anche applicare sul monitor dell'oscilloscopio (scale AVG).
L'attuale tecnica ha prodotto una vasta gamma di sonde (trasduttori e ricevitori) i cui
fasci d'onde ultrasonore si propagano in linea retta rispetto all'asse della sonda stessa,
oppure obliquamente (assai usate sono le sonde con propagazione a 30, 45, 60 e 70°), e
perfino in direzione ortogonale, cioè con onde perfettamente tangenti alla superficie.
I trasduttori ed i ricevitori possono esser incorporati nella stessa sonda od esser separati
per ottimizzare alcuni rilevamenti. Ogni sonda possiede caratteristiche specifiche che ne
ottimizzano l'uso per ogni morfologia e giacitura del difetto da evidenziare, nonché per ogni
tipo di materiale da esaminare (calcestruzzo, tufo, acciaio, ghisa, alluminio, ecc.).
Ogni sonda opera o tollera una data frequenza che può esser o meno ottimale per lo
scopo specifico dell'esame UT, dunque esiste una vastissima gamma di sonde, (trasduttori e
rivelatori) e di accessori, tali da consentire enormi possibilità e versatilità d'impiego, dal più
elementare esame, alla più sofisticata ricerca.
Più d'ogni altra indagine non distruttiva l'esame con ultrasuoni richiede un operatore di
grande esperienza, capace d'interpretare correttamente ogni segnale che compaia sul
monitor e di sfruttare appieno le possibilità che questa tecnica offre. Non è rara l'errata
interpretazione di segnali, già considerati difetti, che scompaiono ripetendo l'esame con una
sonda di più adatta frequenza, o con angolo di propagazione diverso.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 85

Tipologia delle onde


A seconda della direzione di oscillazione delle particelle del mezzo quando transita l’onda,
rispetto alla direzione di propagazione, si hanno essenzialmente i seguenti tre tipi di onda:
- Onde longitudinali (dette anche “onde di pressione – trazione (o rarefazione)” o
“onde P”), con esse le particelle del mezzo oscillano nella stessa direzione di
propagazione dell’onda. Poiché possiedono la velocità di propagazione più elevata,
sono chiamate anche “onde prime” o “onde P”, perché sono quelle che arrivano
prima ad un rilevatore quando al processo di vibrazione sono interessati vari tipi di
onda. Per tale motivo la loro velocità è indicata con Vp, si propagano in mezzi
solidi, liquidi e aeriformi.
La velocità di propagazione delle onde di pressione vale:

Ed 1 −ν d
Vp = ⋅ (8.1)
ρ (1 +ν d ) ⋅ (1 − 2ν d )
dove:
Ed= modulo di Young dinamico [Mpa];
νd= rapporto di Poisson dinamico;
ρ [kg/m3]=massa per unità di volume del mezzo;

Fig. 8.8: Onde longitudinali

- Onde trasversali (dette anche “onde di taglio o “onde S”): al loro passaggio le
particelle del mezzo oscillano in direzione ortogonale a quella di propagazione.
Sono più lente delle onde P; secondo il rapporto di Poisson νd, il rapporto Vs / Vp varia
tra 0.53 e 0.63; sono chiamate “onde Seconde” o “onde S” perché arrivano in un
secondo momento in un processo che interessi sia onde P che onde S.
Si propagano solo in mezzi che trasmettono sforzi di taglio (mezzi solidi):
Pag. 86 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Ed 1 G (8.2)
Vs = ⋅ =
ρ 2 ⋅ (1 + ν d ) ρ

Fig. 8.9: Onde trasversali

- Onde di superficie: si propagano interessando strati superficiali. Hanno un impiego


molto speciale e limitato rispetto alle precedenti molto utilizzate. Sono anche
leggermente più lente delle onde S (Vsf ≅0.98 Vs). La velocità di propagazione
secondo la formula approssimata di Bergman è:

0.87 + 1.12 Ed 1
Vsf = ⋅ ⋅ (8.3)
1 −ν d ρ 2 ⋅ (1 + ν d )

Fig. 8.10: Onde di superficie


Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 87

Durante la propagazione delle vibrazioni nel mezzo, le tensioni prodotte sono di livello
molto basso e di brevissima durata. Ciò rende trascurabili sia comportamenti non lineari del
mezzo che fenomeni viscosi.
Le costanti elastiche, in un processo di vibrazione, si riferiscono pertanto a determinazioni
effettuate in tali condizioni e quindi vengono definite dinamiche per distinguerle dai valori
determinati in condizioni statiche o quasi statiche alla pressa, dove invece comportamenti
non lineari e fenomeni viscosi possono avere una notevole influenza. Il modulo di Young
dinamico Ed va pertanto interpretato come la tangente alla curva tensione - deformazione
nel punto che ne identifica la situazione statica (e quindi nell’origine nel caso particolare di
tensione statica nulla nel mezzo).
Parametri caratteristici delle onde
Nel moto delle onde è importante definire i seguenti parametri (Fig. 8.11):
• Periodo T [s]: tempo impiegato per un ciclo completo di espansione e contrazione
della sorgente, o di pressione e depressione nel mezzo;
• Frequenza f [hertz-Hz]: numero di cicli, ossia di oscillazioni complete, per secondo;
• Lunghezza d’onda λ [m]: distanza fra due successivi fronti d’onda nella direzione di
propagazione della vibrazione;
• Velocità di propagazione V [m/s]: velocità con cui un fronte d’onda di vibrazione si
propaga nel mezzo nella direzione di propagazione;
• Intensità di vibrazione I: quantità di energia che transita in un secondo attraverso l’area
unitaria. Poiché nelle misure di vibrazione, in genere non si eseguono misure assolute,
ma misure relative, ossia si considerano i rapporti fra le ampiezze A di vibrazione, o
fra intensità I, tali rapporti si esprimono in decibel (dB).
• Pressione acustica [Pa]: pressione istantanea (depurata della componente statica)
presente in un dato punto del mezzo percorso da onde di vibrazione;
• Impedenza acustica Z: proprietà locale del mezzo che caratterizza il comportamento
acustico per i vari tipi di onde; essa è fornita dal prodotto della massa volumica ρ per
la velocità locale V di propagazione.
• Rilevatori di vibrazioni: dispositivi che a contatto con il mezzo danno un segnale
elettrico più o meno proporzionale al valore istantaneo di pressione (trasduttori
piezoelettrici).
Riflessione e rifrazione all’interfaccia.
Un’onda di vibrazione che viaggiando in un mezzo, incide sulla superficie di separazione
con un altro mezzo di diversa velocità di propagazione rispetto al primo, subisce su tale
interfaccia (Fig. 8.12):
• fenomeni di riflessione e (per angoli di incidenza non nulli) di rifrazione ed anche di
conversione del tipo d’onda;
• variazioni di intensità, infatti, a causa dei fenomeni di riflessione, rifrazione, ecc.,
l’onda di vibrazione prosegue nel 2° mezzo solo con una frazione, eventualmente
anche nulla, dell’intensità di incidenza; la restante frazione è riflessa nel 1° mezzo.
Pag. 88 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.11: a) istantanea dell’onda lungo l’elemento; b) posizione


di un punto dell’ elemento in funzione del tempo.
I suddetti fenomeni sono correlati alla impedenza acustica Z, infatti, questa è correlata alla
velocità del suono ed alla densità del materiale secondo le seguenti relazioni:
E
Z = ρ ⋅ V0 = ρ ⋅ E = (8.4)
V0

Nei test ad ultrasuoni che utilizzano un volume di onde a compressione, l’equazione (8.3)
risulta:

Z = ρ ⋅ v0 = ρ ⋅ E ⋅
(1 −ν )
(8.5)
(1 + ν ) ⋅ (1 − 2ν )
La frazione di energia che viene dissipata per riflessione all’interfaccia di due mezzi di
diversa impedenza acustica specifica (Z1, Z2) si può calcolare mediante la seguente
equazione:
4 ⋅ Z1 ⋅ Z 2
ΔI = 1 − (8.6)
(Z1 + Z 2 )2
Se Z1 e Z2 sono uguali dalla (8.6) si ricava che non viene dissipata energia
all’interfaccia dei due mezzi.
Chiaramente la frazione di energia trasmessa è data da:
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 89

4 ⋅ Z1 ⋅ Z 2
It = (8.7)
(Z1 + Z 2 )2

Fig. 8.12: Riflessione e trasmissione delle onde sonore


Da tali formule appare evidente che quanto più è elevata la variazione delle
impedenze acustiche fra i due mezzi, tanto maggiore è l’intensità riflessa, e minore quella
trasmessa.
In Tab. 8.4 si riportano, a titolo di inquadramento, per alcuni materiali molto
comuni, i valori di massa volumica, velocità di propagazione delle onde P e la relativa
impedenza acustica.
In Tab. 8.5 vengono invece riportati i valori della massa volumica ρ della velocità
vp delle onde longitudinali, della velocità vs delle onde di taglio e i conseguenti valori
dinamici del rapporto tra il coefficiente di Poisson νd e del modulo di elasticità Ed ricavati
su alcuni campioni di materiale lapideo, in raffronto con altri materiali.
Pag. 90 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Tab. 8.4: Impedenza acustica dei principali materiali [8]

Tab. 8.5: Valori di massa volumica, velocità di propagazione e costanti elastiche rilevate
su alcuni campioni di materiali lapidei comuni confrontati con altri tipi di materiali.
Massa Velocità di propagazione Coeff.te di Modulo di
volumic [m/s] Poisson elasrticità
Materiale
a dinamico dinamico Ed
Longitudinale Trasversale
[g/cm3] νd [Mpa]
Ardesia ⎥⎥ 2.74 6500 3600 0.28 91000
Ardesia ⊥ 2.74 5900 2800 0.36 58000
Basalto 2.72 5930 3140 0.30 70000
Arenaria 1.60 2400 1200 0.33 6000
Arenaria 1.80 2800 1500 0.30 10000
Calcare
2.66 6150 3260 0.30 74000
metamorfico
Gneiss 2.70 5300 2800÷3300 0.30÷0.27 55000÷75000
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 91

Calcestruzzo
2.30 4100 2600 0.17 36000
medio
Porcellana 2.41 5340 3120 0.24 58000
Ghiaccio 0.90 3980 1990 0.33 10000
Acqua 1.00 1500 - - -
Plexiglass 1.18 2670 1120 0.40 400
Direzionalità di una sorgente di vibrazione
La scelta della frequenza delle vibrazioni si esegue in funzione del tipo di analisi da
effettuare, (si passa da qualche decina di Hz o anche meno, fino a qualche decina di MHz),
infatti, le indagini sono condizionate da:
• precisione nelle misure;
• trasparenza alle onde di vibrazione del mezzo da analizzare; è necessario fare in modo
che le onde possano percorrere, secondo le direzioni e nei modi voluti, l’elemento da
indagare, e siano distinguibili e rilevabili nei punti opportuni;
• risoluzione, intesa come capacità (nei limiti concessi dalla trasparenza e dalle
dimensioni del mezzo in esame), di rilevare anomalie fino ad un certo limite inferiore.
Dovendo effettuare misure affidabili e significative della velocità locale di propagazione (e
quindi di tempi di transito) lungo determinate traiettorie ed eventualmente l’analisi
dell’intero segnale nel dominio delle frequenze, è evidente che un ruolo essenziale nelle
analisi è svolto dalla precisione con cui si effettuano le misure dei tempi di percorrenza. Ciò
significa che l’incertezza temporale con cui si determinano, per una data vibrazione, gli
istanti di partenza dall’emettitore, di transito per determinati punti e di arrivo in altri, deve
essere convenientemente piccola rispetto ai tempi in gioco. Poiché ai fini delle misure, le
vibrazioni sono trasformate dai trasduttori in segnali elettrici, si tratta di cogliere con
opportuna precisione il generarsi in determinati istanti degli attesi segnali elettrici.
La precisione con cui si possono eseguire misure sui tempi di propagazione, è fortemente
influenzata dalla scelta della frequenza propria delle vibrazioni utilizzate per le indagini,
che deve essere la più alta possibile al fine di massimizzare la precisione. Inoltre, la
frequenza propria influenza altri due importanti aspetti delle indagini ultrasoniche:
• direzionalità nelle caratteristiche di emissione delle sorgenti;
• “potere pertubativo” o “visibilità” delle anomalie nel mezzo analizzato.
Una sorgente è un corpo che a comando dell’operatore, genera vibrazioni del tipo
voluto (P – S) e di opportuna ampiezza, frequenza, durata, ecc.. Se la sorgente è posta in
intimo contatto con un mezzo elastico, queste vibrazioni penetrano nel mezzo e vi si
propagano.
Se si ipotizza che la sorgente abbia una superficie di contatto S, che in prima istanza
si può considerare semplicemente piana circolare di raggio a e che il mezzo elastico a
contatto con la sonda sia seminfinito (Fig. 8.13), applicando il principio di Huygens -
Fresnel, si ha che al variare del rapporto fra diametro 2a della superficie emittente e
lunghezza d’onda λ delle vibrazioni, queste vengono emesse interessando un cono di
emissione più o meno ampio avente il vertice nella sonda ed un angolo d’apertura γ
variabile appunto con il variare del rapporto fra dimensione a della sonda e lunghezza
Pag. 92 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

d’onda λ. Il cono di emissione diventa tanto più stretto (riduzione dell’angolo d’emissione
γ) quanto minore è la lunghezza d’onda rispetto al diametro della superficie emittente.

2a
Angolo γ di
Divergenza del
Cono di emissione
Della sorgente

Fig. 8.13: Direzionalità dell’onda di vibrazione


Risulta, perciò, che con alte frequenze e quindi con piccole lunghezze d’onda (tanto
da rendere il diametro della sonda 2a >> λ), la vibrazione è immessa secondo un fascio
pochissimo divergente.
In tali condizioni la sonda è quindi fortemente direzionale e la vibrazione può essere
inviata secondo direzioni ben precise, interessando di volta in volta zone molto ristrette, ben
note e definite del mezzo in esame.
Al diminuire della frequenza, e quindi al diminuire del rapporto 2a / λ il trasduttore
perde la capacità di irradiare energia in un fascio ristretto: il fascio d’irradiazione si allarga
fino ad occupare quasi tutto il semispazio. Al diminuire del rapporto 2a / λ crescono
d’importanza i lobi laterali di emissione secondarie (onde S e di superficie).
In conclusione, per alte frequenze le sorgenti emettono vibrazioni secondo fasci
estremamente direzionali, interessando quindi solo zone di volta in volta limitate e
geometricamente ben definite del mezzo in esame; al diminuire della frequenza la
direzionalità si perde: tutto il mezzo viene investito da onde che si propagano con fronti
d’onda pressoché emisferici; e si generano anche sensibili onde di altro tipo, nonché onde
di superficie.
Con la teoria di Huygens-Fresnel, è facile dimostrare che nel problema al variare
della frequenza della radiazione incidente e quindi al variare della lunghezza d’onda λ, si
presentano i seguenti tre casi:
1. 2a >> λ: l’ostacolo è molto più grande della lunghezza d’onda della vibrazione
incidente. Esso riflette nettamente indietro, originando un ben definito fascio
riflesso, e ovviamente oltre l’ostacolo, una altrettanto ben definita zona d’ombra
nella trasmissione. L’ostacolo si trova in una configurazione ottimale per essere
rilevato.
2. 2a ≅ λ: le dimensioni dell’ostacolo sono dello stesso ordine di grandezza della
lunghezza d’onda della vibrazione incidente. I fenomeni di diffrazione allargano
l’onda riflessa in un cono divergente e l’onda si propaga secondo una molteplicità
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 93

di direzioni complesse in tale cono. Sia il fascio riflesso che quello (simmetrico)
d’ombra diventano sfumati, non ben definiti.
3. 2a << λ: le dimensioni dell’ostacolo sono molto minori della lunghezza d’onda
incidente. In tal caso l’ostacolo si comporta come una sorgente di Huygens-Fresnel,
che emette in tutto il semispazio e diventa assolutamente invisibile.
In conclusione, se si vuole rilevare un’anomalia di dimensioni geometriche 2a,
bisogna che la vibrazione immessa per l’analisi abbia una lunghezza d’onda tale da rendere
il più possibile reale la disuguaglianza 2a >> λ;
Se si ha che fare con un mezzo intrinsecamente ricco di disomogeneità, e si vuole
che esse non generino eccessive riflessioni, bisogna utilizzare lunghezze d’onda abbastanza
maggiori delle dimensioni di tali disomogeneità. Se le dimensioni sono dell’ordine di 2 ÷ 3
cm è necessario che la lunghezza d’onda sia almeno di 8 ÷ 10 cm, quindi non si deve
utilizzare una frequenza che superi i 50 KHz, o inferiore se si devono ulteriormente ridurre
i processi di riflessione da parte dell’inerte ed altre disomogeneità interne, oppure se queste
sono di dimensioni naturali ancora maggiori dei valori sopra indicati.
E’ altresì evidente che, se la vibrazione immessa non “vede l’inerte” e altre
disomogeneità intrinseche naturali, non vede neanche altre anomalie indesiderate dello
stesso ordine di grandezza.
In maniera sintetica, per la scelta della frequenza si può far riferimento, nel caso di
materiale omogeneo, a quanto riportato in Tab. 8.6.
Dal momento che la velocità degli impulsi può essere sensibilmente influenzata
dalle dimensioni trasversali del campione o dell’elemento strutturale in esame, rispetto alla
direzione di propagazione, sempre in Tab. 8.6 vengono riportate le dimensioni trasversali
minime richieste al campione in funzione della frequenza delle sonde.
Tab. 8.6: Scelta della frequenza di vibrazione delle sonde
Lunghezza della Frequenza naturale dei Dimensione trasversale
Traiettoria Trasduttori Minima
[mm] [kHz] [mm]
100 a 200 ≥ 60 70
200 a 1500 ≥ 40 150
> 1500 ≥ 20 300
Metodi di misura
La strumentazione tipo per le indagini ultrasoniche è caratterizzata da un’apparecchiatura
elettronica portatile in grado di generare impulsi ultrasonici e di misurare il tempo
necessario, a questi impulsi, per attraversare il materiale in esame.
Per determinare la velocità di trasmissione dell’onda ultrasonora ci si avvale di due
sonde piezoelettriche: una trasmittente ed una ricevente.
Il tempo impiegato dall’onda per raggiungere la sonda ricevente è visualizzato sul
display ed è misurato in micro – secondi (10-6 s).
Pag. 94 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

L’apparecchiatura è generalmente composta da (Fig. 8.14):


• Un dispositivo che a comando, emette impulsi di vibrazioni meccaniche (sonda
emittente) in sincronismo con un segnale elettrico che pilota l’avvio di una unità di
misura di intervalli di tempo e di una unità di visualizzazione della vibrazione in
ricezione;
• Un dispositivo che, ricevendo delle vibrazioni meccaniche, le trasforma in segnali
elettrici (sonda ricevente);
• Un dispositivo di amplificazione regolabile e di trattamento del segnale emesso dalla
sonda ricevente;
• Un dispositivo elettronico di misura dell’intervallo di tempo fra istante di emissione ed
istante di ricezione dell’impulso.

Fig. 8.14: Apparecchiatura ultrasonica

La Sonda emittente è costituita da un sistema di alimentazione elettronico che


genera brevi impulsi elettrici, e da un sistema trasduttore che trasforma ogni singolo
impulso elettrico ricevuto in una breve serie di oscillazioni meccaniche del trasduttore
stesso (in pratica il trasduttore entra in vibrazione alla sua frequenza naturale e si smorza
liberamente).
Il sistema di alimentazione elettronico è stato progettato in modo da poter produrre
singoli impulsi, a comando dell’operatore, o ripetitivi con cadenza fino a 50/s.
Il trasduttore, costituito da cristallo piezoelettrico, capace di trasformare una
tensione o corrente elettrica in deformazione meccanica, è racchiuso in un contenitore
metallico di protezione, in modo tale da realizzare un oscillatore meccanico alla frequenza
naturale di 50 kHz.
Le frequenze naturali dei trasduttori variano normalmente tra 20 e 200kHz, la scelta
dipende dal tipo di indagine che si deve effettuare.
Su distanze relativamente lunghe ed in dipendenza di particolari proprietà del
materiale si preferiscono sonde con frequenze minori di 20 kHz, in tal caso si opera nel
campo delle onde soniche. La sorgente non è più rappresentata da un cristallo piezoelettrico
che genera onde meccaniche a frequenza controllata ma viene sostituita con un generatore
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 95

(martello o percussore strumentato) elettricamente collegati all’apparecchiatura per il


sincronismo con l’unità di misura del tempo.
La Sonda ricevente è costituita da un trasduttore piezoelettrico con la stessa
frequenza di risonanza (50 kHz ) della sonda emittente.
La misura della velocità delle onde di propagazione è effettuata per via indiretta
stimando il tempo di transitodell’onda tra l’apparecchio trasmittente e quello ricevente posti
a contatto con la superficie del materiale da indagare. La velocità di propagazione degli
ultrasuoni è ovviamente data dalla relazione:
L
V= (8.8)
t
dove:
V – velocità ultrasuoni (m/sec)
L - distanza fra i centri delle superfici dei trasduttori (m)
t - tempo di transito fra l’istante di emissione e l’istante di ricezione dell’impulso (s)
L’apparecchiatura è dotata di un oscillatore al quarzo che scandisce il tempo in
decimi o centesimi di microsecondi (milionesimi di secondo) ed un contatore di impulsi che
conta il numero di oscillazioni fra un segnale elettrico di partenza ed un successivo segnale
elettrico di arresto.
Il segnale elettrico di partenza è correlato con la partenza dell’onda di vibrazione
dell’emittore.
Il segnale elettrico di arresto si ha quando nell’apparato di ricezione l’onda di
vibrazione in arrivo supera un valore di soglia fisso, mentre segnali o porzioni di segnali di
ampiezza minore del valore di soglia non sono rilevati dalla strumentazione.
La misura dei tempi di propagazione degli impulsi di vibrazione è eseguita, in
relazione alla direzione di propagazione degli impulsi rispetto alle superfici di emissione e
di ricezione, secondo le seguenti modalità:

• Metodo di trasmissione diretta (per trasparenza) (Fig. 8.15).


In questo metodo le sonde sono posizionate sulle facce opposte del campione da
indagare; tale metodo risulta essere quello più comunemente usato ed è preferibile
agli altri perché ha una maggiore sensibilità ed è legato ad una lunghezza della
traiettoria ben definita.
T

T = sonda emittente
Trasmissione diretta R = sonda ricevente

Fig. 8.15: Metodo per trasmissione diretta


Pag. 96 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

• Metodo di trasmissione semidiretta (diagonale) (Fig. 8.16).


Consiste nell’applicare i trasduttori in punti a due facce adiacenti (in genere
ortogonali); ad esso si ricorre quando la traiettoria da indagare si estende attraverso
un angolo di una struttura massiccia .
T

Trasmissione semidiretta R
T=sonda emittente
R=sonda ricevente
Fig. 8.16: Metodo per trasmissione semidiretta

• Metodo di trasmissione indiretta (superficiale) (Fig. 8.17).


Consiste nell’applicare i trasduttori in punti diversi di una stessa faccia
dell’elemento da testare, questo metodo è applicato quando l’accesso è limitato ad
una sola faccia della struttura. Questo metodo è il meno soddisfacente dei tre
perché l’energia del segnale prodotto dalla sonda emittente è normalmente
massima nella direzione perpendicolare alla superficie di accoppiamento, ed
inoltre poiché la velocità misurata è quella dell’onda che ha attraversato solo gli
strati superficiali dell’elemento; tale metodo non dà indicazioni complete lungo lo
spessore della parete.
T R

T = sonda emittente
Trasmissione indiretta
S = sonda ricevente

Fig. 8.17: Metodo per trasmissione indiretta

Fattori che influenzano le misure


Le misure delle velocità di vibrazione sono influenzate in modo sensibile da un certo
numero di fattori che riguardano le proprietà del campione d’indagine.
È importante valutare il grado di rugosità della superficie del campione affinché vi
sia un buon contatto acustico tra le superfici e le facce di ogni trasduttore, in caso contrario
possono generarsi variazioni di pressione sulle sonde che possono portare talvolta a
variazioni di ampiezza e modificazioni del segnale in ricezione.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 97

In tal caso affinché il processo di propagazione delle onde e quindi le misure delle
velocità, diventi riproducibile e costante (anche ad ulteriori incrementi del valore di
pressione adottato), si debbono ottimizzare le seguenti operazioni:
- preparazione della superficie di contatto fra sonde e materiali
- pressione sulle sonde
In conseguenza di tutto ciò la superficie del campione in prova, nei punti d’applicazione
delle sonde, deve essere:
- pulita;
- levigata mediante smerigliature, qualora risulti eccessivamente rugosa;
- sufficientemente piana da permettere un contatto uniforme con le sonde.
Temperature ambiente comprese fra 5° C e 30° C non alterano significativamente le misure
delle velocità degli ultrasuoni. Mentre a temperature comprese fra i 30° C e 60° C si
verifica una riduzione del 5 % della velocità di vibrazione, sia per le minime variazioni, in
questo campo di temperature del comportamento fisico – chimico del materiale, sia perché
in tale intervallo è normalmente compreso il campo di lavoro delle strumentazioni di
misura.
In questo intervallo di temperature, una umidità relativa ambientale variabile dal
60% al 90% ha una influenza minima nei rilievi su campioni in condizioni di equilibrio con
l’ambiente esterno.
Quando le determinazioni sperimentali vengono eseguite al di fuori degli intervalli
di temperature e di umidità suggeriti, si deve provvedere ad una opportuna correzione,
attraverso prove condotte su una serie di tre campioni prelevati in sito, eseguiti in
condizioni normalizzate (per esempio: temperatura 20° C; umidità relativa 90%), facendone
menzione nel verbale di rilievo.
Le indagini ultrasoniche non sono limitate dalle dimensioni e dalla forma del
campione ma bensì dalla potenza meccanica disponibile nella sonda trasmittente e dalla
sensibilità dell’apparato ricevente. Tuttavia l’intervallo di percorso è limitato:
- inferiormente dall’influenza che le condizioni di rugosità superficiali e le
caratteristiche fisiche del materiale (ad esempio la porosità) possono avere sulle
misure;
- superiormente, dalla variazione subita dal segnale in ampiezza e in frequenza.
Percorsi più lunghi possono essere indagati facendo uso di trasduttori con frequenze
naturali di vibrazione basse (10 a 20 kHz), per minimizzare l’assorbimento del segnale
nel campione. L’uso di onde con frequenze più elevate (≥ 50 kHz) permette, su
percorsi brevi, di ottenere misure di tempo più accurate.
Determinazione del modulo di elasticità
Dalla misura della velocità degli ultrasuoni si può ricavare direttamente il modulo elastico;
infatti, nel caso di un mezzo infinito, omogeneo, isotropicamente elastico, il modulo di
elasticità dinamico Ed e dato dalla relazione:

Ed =
(1 +ν )⋅ (1 − 2 ⋅ν )⋅ γ ⋅V 2 (8.9)
(1 −ν )⋅ g
dove:
Pag. 98 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

ν = coefficiente di Poisson;
γ = peso specifico del materiale [kg/m3 ];
V = velocità degli ultrasuoni [m/s];
g = accelerazione di gravità [m/s2 ].

La valutazione del modulo di elasticità normale E0 può essere effettuata impiegando la


correlazione con quello dinamico mediante la seguente relazione dovuta a Weber –
Hermann – Wesche con un intervallo di confidenza pari a 0.95:
Ed (8.10)
1.059 ≤ ≤ 1.065
E0
Determinazione del danno in materiali strutturali
Al fine di esaminare l’evoluzione del fenomeno di danneggiamento in modelli prismatici di
elementi murari, costituiti da laterizi pieni e malta di cemento, sottoposti a sforzo normale è
possibile far riferimento ad un’indagine sperimentale [10] che ha analizzato nel dominio del
tempo e delle frequenze, segnali ad ultrasuoni attraversanti campioni sottoposti a
compressione monoassiale crescente. In tale studio, sono state valutate le caratteristiche
meccaniche dei materiali e la soglia minima di sollecitazione da cui tali caratteristiche
iniziano a decadere.
Per l’analisi dei segnali ultrasonici è stata impiegata una stazione di misura,
costituita oltre che dall’unità ad ultrasuoni cui è collegata una coppia di trasduttori
piezoelettrici aventi frequenza nominale di 50 kHz e diametro esterno di 4.5cm, da un
analizzatore di forma d’onda collegato ad un personal computer ed ad un plotter.
L’analizzatore di forma d’onda ha permesso di condurre prove sui segnali ad
ultrasuoni sia nel dominio del tempo che della frequenza. Le prove di compressione sui
materiali presi in esame sono state eseguite mediante l’uso di una pressa idraulica.
Le tecniche impiegate, sono consistite in misure di velocità e di attenuazione del
segnale ultrasonico nell’attraversare il materiale (analisi nel dominio del tempo), e nel
rilevo delle variazioni dello spettro del segnale ad ultrasuoni (analisi nel dominio della
frequenza). La tecnica basata sulla misura della velocità è di semplice applicazione e non
richiede, a parte l’unità ad ultrasuoni, strumentazione costosa e particolare, essa però è
caratterizzata dall’essere poco sensibile nel rilevare l’insorgere del processo di
microfessurazione, all’interno dei materiali; tale processo risulta apprezzabile, infatti, a
partire dall’80% del carico ultimo. La tecnica basata sulla misura dell’attenuazione
consente, invece, di valutare l’insorgere del fenomeno della microfessurazione attorno al
20% del carico ultimo. Questa tecnica richiede, oltre l’unità ad ultrasuoni almeno l’uso di
un oscilloscopio per valutare l’ampiezza del segnale ricevuto. Dal rilievo dell’attenuazione,
che è effettuato mediante la misura dell’ampiezza picco – picco tra il primo ed il secondo
picco del segnale visualizzato, risulta che al variare del carico applicato diminuisce
l’ampiezza dell’onda ultrasonora (Fig. 8.18).
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 99

Fig. 8.18: Attenuazione del segnale all’aumentare del carico


Ancora maggiore sensibilità nel rilevare l’insorgere del processo di
microfessurazione si ottiene mediante l’analisi nel dominio della frequenza, che consiste
nell’esaminare lo spettro del segnale ad ultrasuoni attraversante il materiale sottoposto a
prova. Tale spettro può essere visto come la distribuzione alle varie frequenze dell’energia
posseduta dal segnale stesso. Dalla variazione di questa distribuzione all’aumentare del
carico, è possibile evidenziare l’insorgere della microfessurazione all’interno del materiale.
Per effettuare l’analisi in frequenza del segnale ad ultrasuoni è necessario disporre,
oltre che di una unità ad ultrasuoni, di una apparecchiatura adatta a fornire lo spettro del
segnale in esame, quale l’analizzatore di forme d’onda, che può essere utilizzato anche
nelle misure di attenuazione.
All’aumentare del carico applicato compaiono nello spettro picchi a frequenze
diverse ed in numero via via crescente. Inizialmente, infatti, l’energia ultrasonica è tutta
trasmessa a frequenze legate ai trasduttori utilizzati; in seguito, con l’insorgere della
microfessurazione all’interno del materiale, gli ultrasuoni subiscono una dispersione con
conseguente distribuzione dell’energia su più frequenze, che si manifesta con la comparsa
di altri picchi nello spettro. Tale tecnica consente di rilevare l’insorgere del fenomeno della
microfessurazione già a partire dal 5 – 10% del carico.
Previsione della resistenza a compressione del tufo giallo
Allo scopo di calibrare una metodologia per la previsione della resistenza a compressione
del tufo giallo mediante l’impiego di indagini ultrasoniche, sono stati esaminati in
laboratorio alcune serie di campioni di tufo giallo estratti da blocchi di omogenea
provenienza. A tale scopo sono stati prelevati alcuni campioni di tufo in cava ed alcuni
campioni da edifici esistenti. Per quanto riguarda i campioni estratti da cava, sono stati
confezionati 7 cubetti di lato 10 cm da blocchi estratti dalla cava di Tufino in provincia di
Napoli. Per quanto riguarda invece i blocchi estratti da edifici, al fine di calibrare la
metodologia di prova si è fatto riferimento a due edifici del centro storico di Salerno ed uno
di Avellino. Complessivamente sono stati considerati nell’analisi 28 campioni individuati
con le sigle riportate in Tab. 8.7. I provini sono stati sottoposti sia ad analisi ultrasoniche
che a prove di compressione fino a rottura.
Pag. 100 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Tab. 8.7: Campioni oggetto di sperimentazione.


Provenienza Piano Numero Sigla
3 5 F3GIA3, F3GIA6, F3GIA9, F3GIA10, F3GIA12
Via Fiore
4 2 F4GIA1, F4GIA2
M2GIA6, M2GIA7, M2GIA8, M2GIA9,
Via S. Michele 2 6
M2GIA10,M2GIA11
Edificio
1 8 AV1, AV2, AV3, AV4, AV5, AV6, AV7, AV8
Avellino
ATZGIA1, ATZGIA3, ATZGIA6, ATZGIA9,
Cava Tufino -- 7
ATZGIA10, ATZGIA11, ATZGIA12
I14GIA1, I14GIA2, I14GIA3, I14GIA41, I14GIA5,
Insula 14 -- 9
I14GIA6, I14GIA7, I14GIA8, I14GIA9
Insula 17 -- 2 I17GIA1, I17GIA2

I valori sperimentali della resistenza a compressione dei campioni sono riportati sempre in

Tab. 8.8. In Tab. 8.9 sono riportati i valori del coefficiente di correlazione tra la
resistenza a compressione e la velocità del segnale ultrasonico. Si osserva
complessivamente una correlazione modesta tra i due parametri sia con riferimento
all’intero gruppo di campioni che nell’ambito del singolo gruppo.
Per tale motivo, è stato acquisito l’intero segnale con lo scopo di valutare ulteriori
parametri eventualmente meglio correlati con le proprietà del materiale che governano la
resistenza a compressione.
In particolare, tenendo conto che la resistenza a compressione può essere
significativamente influenzata dalle imperfezioni interne del materiale, quali cavità e
intrusioni di scorie e pomici, sono stati considerati quali ulteriori parametri l’attenuazione
del segnale e la concentrazione spettrale del segnale ricevuto in un opportuno intervallo
nell’intorno della frequenza delle sonde impiegate.
L’attenuazione del segnale è stata valutata mediante il rapporto tra la massima
ampiezza del segnale ricevuto e la massima ampiezza del segnale emesso.
La concentrazione spettrale vicino alla frequenza propria delle sonde è stata ottenuta
dall’analisi del segnale nel dominio delle frequenze [6]. Dal momento che il segnale è
rappresentato per mezzo di un numero N discreto di punti, è stata applicata la seguente
trasformazione di Fourier:
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 101

H ( fn ) = ∑h k ⋅ e2π i f n tk
⋅Δ (8.11)

dove n è l’indice di frequenza, fn è il valore della n-esima frequenza, hk è il k-esimo punto


del segnale, tk è il valore del tempo corrispondente al k-esimo punto del segnale e Δ è
l’intervallo dei valori considerati. Pertanto, indicando con fd la frequenza delle sonde,
l’indice di concentrazione spettrale p viene definito come:
1.05 fd

∑H
f = 0.95 fd
2
(f)
p= f max (8.12)
∑H
f = f min
2
(f)

Tenendo conto che il peso delle frequenze differenti da quella propria delle sonde
aumenta all’aumentare delle imperfezioni interne dei provini, l’indice di concentrazione
spettrale p fornisce una misura del grado di imperfezione del materiale.
L’accuratezza e la ripetibilità delle misure dell’attenuazione e dell’indice di
concentrazione spettrale sono state valutate ripetendo cinque volte le misurazioni. In
accordo con [5], è stato possibile riscontrare che cinque letture sono sufficienti a
stabilizzare tali parametri.
Per quanto riguarda l’attenuazione del segnale, in accordo con [5,11], è stata
riscontrata una bassissima correlazione.
In Tab. 8.7, sono riportati i valori dell’indice di concentrazione spettrale ed in

Tab. 8.8 i coefficienti di correlazione con le resistenze a compressione. Si osserva che


anche tale indice mostra una contenuta correlazione con la resistenza considerando
complessivamente tutti i provini appartenenti ai diversi gruppi. E’ possibile invece
osservare una maggiore e significativa correlazione tra l’indice di concentrazione spettrale e
la resistenza nell’ambito dei singoli gruppi di provini evidenziando l’attitudine di tale
parametro a caratterizzare le variazioni di resistenza del tufo giallo nell’ambito di materiali
di omogenea provenienza.
In particolare, in Fig. 8.19, sono riportate le rette di regressione lineare eseguite tra
l’indice di concentrazione spettrale e la resistenza a compressione. Le espressioni, per tali
rette di regressione risultano le seguenti:

Tufo giallo cava Tufino (ATZGIA) ⇒ σr = 0.051 p + 3.122; (8.13)


Pag. 102 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Tufo giallo via Fiore (F3GIA) ⇒ σr = 0.069 p + 1.527; (8.14)

Tufo giallo via S. Michele (M2GIA) ⇒ σr = 0.068 p + 2.311; (8.15)

Tufo giallo via S. Michele (M2GIA) ⇒ σr = 0.068 p + 2.311; (8.16)

Tab. 8.8: Valori sperimentali della resistenza a compressione e parametri ultrasonici.


Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 103

σr vm
Provino pm
(N/mm2) (m/s)
F3GIA3 3.538 1398.0 31.5700
F3GIA6 3.141 1327.0 23.5600
F3GIA9 4.963 1458.0 45.5500
F3GIA10 3.728 1269.0 25.8500
F3GIA12 3.630 1264.0 36.7900
F4GIA1 3.330 1346.6 28.4000
F4GIA2 3.580 1546.3 29.3000
M2GIA6 3.528 1673.9 16.6741
M2GIA7 3.651 1495.8 22.9027
M2GIA8 4.074 1706.0 29.6737
M2GIA9 4.432 1480.1 28.1489
M2GIA10 4.499 1519.6 29.8612
M2GIA11 3.5849 1453.5 18.7489
ATZGIA01 3.419 1579,3 10.0536
ATZGIA03 3.737 1614.2 15.3751
ATZGIA06 3.899 1578.5 16.5049
ATZGIA09 3.820 1608.9 9.2255
ATZGIA10 4.195 1564.7 18.6005
ATZGIA11 3.786 1558.2 12.8192
ATZGIA12 3.941 1561.0 14.9622
AV1 1.730 1711.6 11.5223
AV2 2.040 1274.4 20.7157
AV3 1.651 1679.6 11.9417
AV4 2.305 1198.2 13.6562
AV5 2.951 1338.2 22.7741
AV6 2.031 1324.3 17.6010
AV7 2.396 1507.5 16.3458
AV8 2.552 1559.1 13.5652

Dalla Fig. 8.19 emerge sia la buona correlazione tra i due parametri, come
testimoniato dal coefficiente di correlazione, sia che le rette di regressione per tutti i gruppi
di tufo giallo sono caratterizzate da una pendenza quasi costante, ma termine noto
differente. Il valore medio di tali pendenze risulta pari a 0.62.
Allo scopo, quindi, di fornire una metodologia completa per la previsione della
resistenza è necessario poter individuare il termine noto delle singole rette di regressione
correlandolo ad altri parametri delle indagini ultrasoniche. A tale scopo, atteso il grado di
correlazione comunque presente tra la velocità ultrasonica e la resistenza a compressione, è
stato considerato tale parametro, considerando che la velocità è un parametro meno
sensibile alle variazioni modeste del materiale appartenente alla stessa cava, ma variabile
Pag. 104 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

tra i materiali provenienti da cave diverse, per cui potrebbe concorrere nell’individuazione
della retta descrittiva del materiale di una stessa cava.

Tab. 8.9: Correlazione tra resistenza a compressione e parametri ultrasonici.


Regressione Serie R2
F3 0.1136
M2 0.0190
σ r - vm ATZGIA 0.4159
AV 0.1993
TOT. 0.3725
F3 0.7593
M2 0.8034
σr - P% m ATZGIA 0.5464
AV 0.3472
TOT. 0.2681

C o nfro nto tra R esistenza e P %


σr [ N / mm 2 ]
7.00

6.00

y = 0.0689x +1.5271 F3GIA


y = 0.0679x +2.3104
5.00 R 2 = 0.76
y = 0.051x +3.122 R 2 = 0.80 M2GIA
R 2 = 0.55 ATZGIA
4.00
Av
Lineare (ATZGIA)
3.00
Lineare (M2GIA)
y = 0,062x +1,215 Lineare (F3GIA)
2.00 2
R = 0,35
Lineare (Av)

1.00

0.00
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 P%

Fig. 8.19: Curve di regressione p%-σr.

Applicando un’analisi di regressione lineare tra il valore medio delle velocità dei
singoli gruppi e il termine noto b delle rette p-σr individuate per i quattro gruppi, è stata
ricavata la seguente correlazione:
b = 0.0076 ⋅ vm − 9.198 (8.17)
caratterizzata da un coefficiente di correlazione pari a 0.71 (Fig. 8.20).
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 105

Relazione b-vm

4
y = 0.0076x - 9.198
3 R2 = 0.713
2
b

1
0
1350 1400 1450 1500 1550 1600
vm

Fig. 8.20: Curva di regressione b-vm.

A valle delle analisi eseguite, appare pertanto che, con riferimento a tufi gialli
caratterizzati da una velocità compresa nel campo investigato ovvero tra circa 1250 m/s e
1750 m/s, si può effettuare una previsione sufficientemente accurata della resistenza a
compressione utilizzando sia la velocità ultrasonica che l’indice di concentrazione spettrale
individuando con il primo parametro il termine noto della rette di correlazione e con il
secondo la pendenza ottenendo in definitiva la seguente espressione di correlazione tra i
parametri ultrasonici e la resistenza a compressione:
σ r = −9.198 + 0.0076 ⋅ vm + 0.062 ⋅ p (8.18)

8.4.2.2 Prove sclerometriche


Nell’analisi dei fenomeni di degrado assumono particolare importanza i parametri atti a
definire la durezza superficiale del materiale prima e dopo i trattamenti.
La durezza superficiale può essere valutata oltre che in laboratorio, anche in sito,
direttamente sul manufatto per mezzo delle prove sclerometriche. Tale metodo consiste nel
misurare l’altezza di rimbalzo di una massa lanciata con un’energia prestabilita contro la
superficie da saggiare. Per ogni area da saggiare vanno effettuate almeno dieci prove, si
calcola la media dei valori ottenuti, si scartano i valori più distanti e si ricalcola la media sui
restanti: si definisce in questo modo l’indice sclerometrico. Bisogna adottare dei
coefficienti correttivi in funzione dell’inclinazione della superficie da esaminare. Lo
spessore del campione deve essere maggiore di dieci centimetri, il punto di prova deve
trovarsi ad una distanza superiore a tre cm dai bordi.
Pag. 106 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.21: Prova sclerometrica per la determinazione della durezza superficiale [2].

8.5 Prove sulle murature: caratterizzazione dimensionale


e tipologica

8.5.1 Carotaggi ed indagini endoscopiche


Al fine di eseguire un esame dettagliato delle murature è necessario procedere al prelievo di
campioni nei punti più rappresentativi della struttura. Si utilizza a tal fine una carotatrice ad
avanzamento manuale o elettrico, dotata di corone diamantate a parete sottile (Fig. 8.22).
Queste attrezzature, molto maneggevoli e di semplice installazione, sono particolarmente
idonee per l’esecuzione di prelievi anche in punti di difficile accesso.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 107

Fig. 8.22: Carotatrice


I fori realizzati nelle strutture murarie per il prelievo dei campioni possono essere
utilizzati per indagini diagnostiche, che di seguito vengono illustrate, quali l’endoscopia,
prove dilatometriche e prove soniche.
Gli endoscopi sono utilizzati per l’esame in sito di cavità sia naturali che artificiali
allo scopo di osservare direttamente in punti inaccessibili morfologia, tipologia e stato di
conservazione superficiale dei materiali, solai piani e tutte quelle strutture o materiali che
possono essere facilmente indagate attraverso fori di piccolo diametro.
Esistono vari tipi di strumenti con caratteristiche costruttive differenti e con diverse
possibilità operative. In modo sintetico, gli endoscopi possono essere distinti in rigidi e
flessibili.
In Fig. 8.23 è mostrato l’impiego di un endoscopio rigido. L’apparato di ispezione
ha un diametro molto piccolo (∼ 12mm) in modo da poter essere inserito facilmente in fori
e fessure. È costituito da un tubo rigido al cui interno sono presenti prismi e lenti che
consentono di trasferire l’immagine da un’estremità (obiettivo) all’altra del tubo. In genere
lo strumento può essere prolungato fino a raggiungere alcuni metri di lunghezza.
In pratica la lunghezza totale raggiungibile è strettamente legata al suo diametro poiché il
potere risolutivo dell’immagine all’oculare è fortemente condizionato dalla luminosità della
stessa. L’illuminazione della zona ispezionata in genere è ottenuta tramite una lampada
posta accanto all’obiettivo. La testa portaobiettivo è regolabile secondo diverse angolazioni
per consentire diverse posizioni di ispezione.
Pag. 108 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.23: Prova endoscopica


Questo strumento consente la messa a fuoco su piani da pochi mm all’infinito; la
risoluzione dell’immagine, se ben illuminata, è ottima ed è possibile, in alcuni strumenti,
l’uso di uno zoom per l’avvicinamento dell’immagine al piano oculare. Le immagini che
giungono all’oculare dell’endoscopio possono essere registrate tramite una fotocamera
collegata allo strumento con apposito raccordo.
L’endoscopio deformabile è uno strumento costituito da un fascio di fibre ottiche in
cui coassialmente è montato un altro fascio di fibre ottiche. In questo modo il fascio
centrale trasporta l’immagine dalla estremità obiettivo all’altra. Le fibre che formano
l’anello esterno sono invece utilizzate per illuminare la zona indagata. La definizione
dell’immagine non è elevata in quanto essa è suddivisa da un fitto reticolo costituito da
gruppi di fibre ottiche.
Questo strumento, a differenza di quello rigido, offre la possibilità di raggiungere le
zone da indagare anche lungo percorsi curvi e di poter fare ispezioni da diverse posizioni
grazie alla mobilità della parte terminale che è comandata dall’esterno.
Ad esclusione di alcune situazioni in cui è necessaria la flessibilità della sonda, lo
strumento più usato è l’endoscopio rigido che, ad un’ottima risoluzione, unisce il vantaggio
di consentire all’operatore di conoscere in ogni momento la posizione nello spazio di
quanto osservato.

8.5.2 Magnetometria
La magnetometria permette di localizzare elementi metallici inglobati all’interno di
strutture costitute da materiali inerti, di caratteristiche magnetiche trascurabili.
La prova consiste nel far scorrere una sonda sulla superficie della muratura; i
materiali ferrosi sono segnalati dalla rilevazione di anomalie nel campo magnetico dello
strumento.
La tecnica è stata messa a punto per il rilievo di armature in strutture in
conglomerato; trasposta nel campo delle analisi di edifici in pietra o laterizi, viene utilizzata
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 109

per l’individuazione di catene o tiranti, ecc., e per la localizzazione di tubature o elementi di


impianti idrico-sanitari [2].

8.5.3 La Termografia
La termografia è una tecnica per la visualizzazione delle radiazioni infrarosse
impiegata in vari settori scientifici e industriali; nella diagnostica edilizia essa rappresenta
certamente una delle tecniche di indagine non distruttive per eccellenza. Le indagini di tipo
non distruttivo necessitano dell’applicazione di tecniche ausiliarie per la definizione
quantitativa di quanto rilevato.
Uno dei metodi più adatti a questa integrazione è, in alcuni casi, l’endoscopia che
prevede la visione diretta dell’oggetto di indagine.
L’endoscopia è principalmente basata sull’abilità dell’operatore, mentre la
termografia consente l’uso del computer per elaborare le immagini originali.
L’energia radiante di un corpo è funzione della sua temperatura superficiale; questa
è a sua volta condizionata dalla conducibilità termica e dal calore specifico che traducono
in termini quantitativi, rispettivamente, l’attitudine del materiale a trasmettere calore e a
riternerlo.
L’apparecchiatura termografica consente di rilevare la radiazione infrarossa (I.R.)
emessa dalle varie zone della superficie radiante, permettendone la registrazione e visione
in tempo reale.
Le immagini termiche (termogrammi) sono ottenute tramite la conversione, attuata
da un trasduttore, del segnale I.R. in segnale elettrico che, opportunamente elaborato, forma
sullo schermo del monitor un punto la cui luminosità è proporzionale all’intensità di
irraggiamento in corrispondenza di ogni punto del corpo radiante [2].
La strumentazione di base è costituita da una telecamera con rivelatore fotovoltaico
per la ricezione delle radiazioni I.R. e da una centralina di elaborazione e visualizzazione
delle immagini in bianco e nero sullo schermo di un monitor.
Le immagini possono essere rielaborate e restituite in falso colore. L’apparato nel
suo insieme è alimentato da batterie, trasportabile e di facile manovrabilità.
Per ottenere una immagine di buona qualità, priva di disturbi e con un’ottima
risoluzione termica è necessario che i rivelatori fotovoltaici siano raffreddati alla
temperatura più bassa possibile, stabile ed indipendente dalla temperatura ambiente.
La tecnica termografica si dimostra molto utile e flessibile nel campo della
diagnostica permettendo di rilevare:
- Tamponamenti di aperture nelle murature.
- Differenti materiali costituenti una muratura e ricoperti da uno strato di intonaco
come corsi di malta e mattoni, ciottoli, inserimenti di architravi e colonne in
pietra, inserti in legno, ferro.
- Orditura di elementi strutturali di sostegno in solai piani.
- Centinature di coperture voltate.
- Canalizzazioni di impianti idrico - sanitari e termici in funzione.
Pag. 110 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

- Distribuzione dell’umidità e presenza di ponti termici.


- Dispersioni dovute ad insufficiente coibentazione.
L’affidabilità dei risultati ottenibili dipende dal know-how operativo e in massima
parte dall’influenza delle caratteristiche fisico - ambientali al contorno, che possono alterare
i flussi di radiazione termica che giungono all’apparecchiatura.
È necessario dunque che l’oggetto dell’indagine, tanto un prospetto di un edificio
quanto un particolare strutturale, sia eccitato termicamente con una quantità di energia
sufficiente a creare un salto termico tra la superficie e l’ambiente di almeno alcuni gradi
centigradi. La presenza sulla superficie dell’oggetto dell’indagine di materiali riflettenti
quali marmi, vetri, ceramiche o materiali isolanti quali legno o stoffa, renderà impossibile il
raggiungimento di risultati accettabili.
Altri fattori che possono alterare i risultati dell’indagine sono gli atmosferici: vento,
pioggia e soleggiamento diretto, nonché la presenza di corpi estranei ad alta temperatura
posti in diretta vicinanza delle superfici indagate [2].

Fig. 8.24: risultati di un rilievo termografico sulla zona dell’apertura indicata nella foto
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 111

8.6 Prove sulle murature: caratterizzazione meccanica dei


pannelli murari

8.6.1 Prove distruttive


Le prove distruttive per la caratterizzazione meccanica della muratura, se eseguite con cura
al fine di non “disturbare” il campione oggetto di prova, rappresentano certamente lo
strumento più accurato per determinare le proprietà meccaniche della muratura. Sono
evidenti le difficoltà connesse all’esecuzione di tali prove proprio in relazione all’estrazione
del campione da sottoporre a prova. Infatti, volendo realizzare le prove in laboratorio
occorre realizzare con cura il taglio del campione di muratura e l’imballaggio del campione
stesso al fine di poterlo trasportare senza arrecargli danni. Maggiori garanzie nella qualità
del campione da sottoporre a prove distruttive si hanno realizzando le prove direttamente in
situ. In tal caso, infatti, occorre prestare cura essenzialmente al taglio lungo i lati verticali
ed il lato orizzontale superiore del campione al fine di isolarlo dalle adiacenti murature.
Per quanto concerne le dimensioni dei campioni da sottoporre a prova, in assenza di
specifiche indicazioni nelle norme relative agli edifici esistenti, si può far riferimento alle
indicazioni relative ai campioni per la caratterizzazione meccanica delle murature di nuova
costruzione. In tal caso, il D.M. 20/11/87 prevede che i campioni di muratura devono
comprendere almeno tre corsi di elementi e devono essere caratterizzati da una lunghezza
pari ad almeno due lunghezze di blocco ed un rapporto altezza/spessore variabile tra 2.4 e
5.

8.6.1.1 Prova di compressione monoassiale


Come per le prove di compressione monoassiale sui campioni di materiale lapideo,
l’elemento murario da sottoporre a prova di compressione viene sottoposto ad un gradiente
di sollecitazione nella direzione longitudinale (Fig. 8.25). La prova può essere eseguita sia
in controllo di carico che in controllo di spostamenti disponendo, in quest’ultimo caso, di
un trasduttore esterno tra i piatti della macchina o di almeno tre trasduttori disposti in
verticale sul provino oltre che eventualmente di trasduttori orizzontali per la valutazione del
coefficiente di Poisson.
Pag. 112 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.25: Prova a compressione.

Tutte le operazioni di prova e l’acquisizione dei dati vengono controllati tramite


elaboratore elettronico. La prova fornisce il carico di rottura e il diagramma delle
deformazioni assiali e diametrali medie del campione in funzione del carico assiale.

8.6.1.2 Prova di taglio diretto


Durante la prova di taglio diretto, la sollecitazione normale al campione è mantenuta
costante mentre quella di taglio è incrementata sino a determinare la rottura del campione.
La prova fornisce il diagramma degli spostamenti orizzontali in funzione degli sforzi di
taglio.
L’esecuzione di prove di taglio diretto in laboratorio, richiede l’impiego di un
doppio sistema di applicazione dei carichi: uno verticale, rappresentato da uno o più
martinetti per l’applicazione dello sforzo normale al campione, ed uno orizzontale,
rappresentato anch’esso da un martinetto, se si vuole eseguire la prova in controllo di forze,
oppure da un attuatore in grado di eseguire prove in controllo di spostamento sia monotone
che cicliche (Fig. 8.26a).
La prova può essere eseguita più semplicemente in situ mediante l’impiego di un
unico martinetto o attuatore per l’applicazione dell’azione tagliante lasciando il provino
soggetto allo sforzo normale agente dovuto ai carichi verticali agenti sulla parete che
contiene il campione. La preparazione del campione richiede di isolare il campione stesso
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 113

dalla muratura lungo i lati verticali mediante l’esecuzione di tagli di uno-due centimetri di
spessore (Fig. 8.26b).

a) prova su campione b) prova in situ


Fig. 8.26: Prova di taglio diretto su campione.

8.6.1.3 Prova di compressione diagonale


Nella prova di compressione diagonale, il campione di muratura sottoposto ad
un’azione di compressione secondo la diagonale, risulta contemporaneamente sollecitato da
un’azione normale ed un’azione tagliante (Fig. 8.26). Secondo le indicazioni delle norme
americane ASTM standards [16], il provino, di forma quadrata con lato pari a 1.2 m va
strumentato con due trasduttori di spostamenti, uno per la misura dell’accorciamento
secondo la diagonale di carico ed uno per la misura dell’allungamento secondo la diagonale
ortogonale a quella di carico.
Durante la prova, i valori della tensione tangenziale, dello scorrimento e del modulo
di elasticità tangenziale, si ottengono mediante le seguenti espressioni:
- tensione tangenziale Ss (in Mpa):
0.707 ⋅ P
Ss = (8.19)
An

dove P rappresenta il carico applicato in N e An l’area netta del provino fornita dal
prodotto dello spessore del provino per il valore medio delle altre due dimensioni
del campione (portando così in conto gli eventuali piccoli scarti tra i due lati del
provino) e moltiplicato ancora per un coefficiente pari alla percentuale di materiale
lapideo nella composizione della sezione;
- scorrimento γ:
Pag. 114 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

ΔV + ΔH
γ= (8.20)
g

dove ΔV rappresenta l’accorciamento verticale, ΔH l’allungamento orizzontale e g


la distanza tra i punti di misura;
- modulo di elasticità tangenziale G:
Ss
G= (8.21)
γ

a) prova su campione b) prova in situ


Fig. 8.27: Prova di taglio diagonale.

8.6.2 Prove non distruttive


Al fine di valutare le caratteristiche meccaniche dei pannelli murari mediante l’impiego di
indagini non distruttive, nel seguito vengono discusse due tipologie di prova, ovvero prove
con martinetti piatti e prove soniche, che per diffusione e potenzialità rappresentare le
principali metodologie di indagini non distruttive applicabili alle murature per la stima di
alcune proprietà meccaniche.

8.6.2.1 Prove con martinetti piatti


L’approccio più semplice per la caratterizzazione meccanica dei materiali costituenti le
strutture murarie è rappresentato dalle prove meccaniche di tipo distruttivo eseguite su
campioni di muratura indisturbati e rappresentativi del comportamento medio della
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 115

struttura. Questo porta spesso alla necessità di prelevare campioni di grandi dimensioni e
ciò non è sempre possibile; ad esempio, nel caso di edifici di interesse storico -
monumentale è impossibile prelevare campioni anche di dimensioni limitate. Occorre
inoltre tener presente che nel caso di vecchie murature con scadenti caratteristiche della
malta è di solito impossibile, a meno che non si adottino tecniche di prelievo
particolarmente sofisticate ed onerose, il prelievo di campioni indisturbati.
Tali problematiche possono essere evitate se si adottano tecniche di prova alternative
di tipo non distruttivo. In tale ambito, particolarmente interessante è una metodologia di
prova, messa a punto negli anni ’70, basata sull’uso di speciali martinetti piatti inseriti nella
muratura. La tecnica fu applicata per la prima volta nel 1979 per lo studio delle strutture
murarie del Palazzo della Ragione di Milano; da allora ha subìto continui miglioramenti
sino a diventare il mezzo di indagine più affidabile per la determinazione in sito delle
caratteristiche meccaniche di ogni tipo di muratura.
I martinetti piatti utilizzati hanno forme e dimensioni diverse per potersi adattare ad
ogni tipo di muratura, come rappresentato in (Fig. 8.28).
L’uso dei martinetti piatti per lo studio delle caratteristiche meccaniche delle
murature, permette di determinare i seguenti parametri:
a) stato di sollecitazione esistente nel punto di prova;
b) caratteristiche di deformabilità;
c) caratteristiche di resistenza a compressione;
d) caratteristiche di resistenza a taglio.
a) Misura dello stato di sollecitazione
La prova per la determinazione dello stato di sollecitazione è basata sul rilascio tensionale
che avviene a seguito dell’esecuzione di un taglio piano orizzontale e ortogonale alla
superficie del muro.
Il rilascio tensionale determina la parziale chiusura del taglio che può essere valutata
attraverso la misura, prima e dopo il taglio, della distanza tra punti opportunamente scelti.
Si inserisce uno speciale martinetto all’interno del taglio e viene aumentata la pressione
sino ad annullare la deformazione misurata dopo il taglio. Il valore, opportunamente
corretto, della pressione all’interno del martinetto in queste condizioni è pari allo stato di
sollecitazione presente nella muratura in corrispondenza del taglio.
Il taglio per l’introduzione del martinetto piatto, se la muratura è costituita da
laterizio, deve essere eseguito in corrispondenza di un corso di malta realizzando una serie
di fori di diametro 10mm, paralleli e perpendicolari alla superficie, mediante trapano a
percussione completando con utensili manuali allo scopo di arrecare il minor disturbo
possibile alla muratura. Di norma in tali casi si utilizzano martinetti di tipo (c). Nel caso di
murature in pietra squadrata con corsi di malta molto sottili, il taglio è eseguito mediante
disco diamantato di diametro 350mm; si usano in tal caso martinetti di tipo (d).
In caso di muratura con tessitura irregolare o disomogenea è opportuno incrementare
la profondità del taglio e utilizzare martinetti di tipo (e). Se la prova deve essere eseguita su
elementi strutturali di dimensioni ridotte, come ad esempio pilastri, si usano martinetti di
tipo (b).
Pag. 116 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

L’apparecchiatura per l’applicazione del carico è composta da: una pompa idraulica
manuale, due manometri (uno da 50bar e uno da 100bar), tubi flessibili per alte pressioni,
martinetto piatto. Le misure delle deformazioni sono eseguite mediante deformometro
meccanico millesimale di tipo rimovibile con una serie di basi di misura costituite da
piastrine metalliche incollate sulla superficie della muratura.

Fig. 8.28: Tipologia di martinetti piatti


La prova si articola nelle seguenti fasi:
1. Determinato il punto dove dovrà essere eseguita la prova, si procede all’incollaggio di
almeno tre basi costituite da piastrine metalliche come mostrato in (Fig. 8.29). Quando
le basi hanno fatto presa sulla superficie del muro, deve essere eseguita una misura
iniziale di riferimento con il deformometro meccanico rimovibile.
2. Si esegue il taglio perpendicolare alla superficie della muratura facendo in modo di
disturbare il materiale circostante il meno possibile; se si usa il trapano è necessario
porre molta attenzione alla perpendicolarità della punta rispetto alla superficie; ciò è
importante ai fini della misura dell’area ricavata con il taglio dalla quale dipende
l’affidabilità della prova. Eseguito il taglio è necessario pulire la cavità.
3. Si misura la parziale chiusura della fessura con il deformometro millesimale.
4. Misurata l’area di taglio con un righello si procede all’inserimento del martinetto
piatto. Se tra martinetto e superficie di taglio resta un gioco eccessivo bisogna inserire
dei lamierini allo scopo di rendere solidale il martinetto con la muratura.
5. Si procede all’aumento graduale della pressione all’interno del martinetto fino ad
annullare la deformazione misurata in precedenza, in corrispondenza della base di
misura centrale.
6. Si registra il valore di pressione p che porta la muratura alle condizioni prima del
taglio; il valore dello stato di sollecitazione nel punto di prova è dato da:
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 117

σ = Km ⋅ Ka ⋅ p (8.22)
Km= costante che tiene conto delle caratteristiche geometriche del martinetto e della
rigidezza della saldatura di bordo; questa costante deve essere determinata mediante
prova di taratura in laboratorio;
Ka=Aj/Ac, rapporto tra l’area del martinetto e quella del taglio;
p= valore della pressione dell’olio all’interno del martinetto che ripristina le
condizioni originarie della muratura.
b) Determinazione dello stato di sollecitazione su muratura con carico eccentrico
La tecnica di prova con martinetto piatto è particolarmente adatta per valutare
eventuali eccentricità di carico in muri o pilastri. A tale scopo è sufficiente eseguire la
prova sulle due facce opposte della parete. È stata eseguita una prova di taratura in
laboratorio, utilizzando un martinetto piatto di dimensioni 40x20cm, per verificarne
l’affidabilità. In Fig. 8.30a è riportato il diagramma di sollecitazione applicato alla
muratura, mentre in Fig. 8.30b sono riportati i risultati ottenuti mediante la prova con
martinetto piatto. È stata eseguita una prima prova su una faccia del campione per
determinare lo stato di sollecitazione, il valore misurato è stato riportato al centro del
martinetto. Successivamente il taglio è stato chiuso, mediante malta espansiva, e dopo
qualche giorno è stata eseguita un’altra prova sulla faccia opposta determinando il secondo
valore di sollecitazione. Si può notare come il diagramma di sollecitazione ottenuto dalle
prove è lineare ed i valori di sollecitazione sono molto prossimi a quelli derivanti
dall’applicazione dei carichi.

Fig. 8.29: Schema ottimale di disposizione delle basi estensimetriche per la misura delle
sollecitazioni.
Pag. 118 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.30: Schema ottimale di disposizione delle basi estensimetriche per la misura delle
sollecitazioni.
c) Determinazione delle caratteristiche di deformabilità
La determinazione delle caratteristiche di deformabilità è eseguita mediante due martinetti
piatti inseriti in due tagli paralleli realizzati ad una distanza pari a circa la lunghezza del
martinetto. I due martinetti delimitano in tal modo un campione di muratura di dimensioni
apprezzabili sul quale applicano una sollecitazione di compressione monoassiale. Per
mezzo di basi di misura poste sulla superficie del campione si valutano le deformazioni
assiali e trasversali, ottenendo un quadro completo del comportamento deformativo del
campione. Nella Fig. 8.31 è riportato lo schema ottimale per la disposizione delle basi
estensimetriche per la misura delle deformazioni assiali trasversali.
Per l’esecuzione della prova di deformabilità è consigliabile utilizzare i martinetti di
dimensioni maggiori. Sulle murature in laterizio è opportuno l’impiego di martinetti di tipo
(c) di dimensioni 40x20cm, mentre per le murature in pietra è consigliabile usare martinetti
a forma semicircolare, (e) e (f).
L’attrezzatura per eseguire la prova è analoga a quella descritta in precedenza per la
determinazione dello stato tensionale. I due martinetti devono essere connessi in parallelo
alla pompa di pressione.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 119

Fig. 8.31: Disposizione ottimale delle basi estensimetriche per la misura delle deformazioni
assiali trasversali.
Le fasi della prova per la determinazione delle caratteristiche di deformabilità sono
le seguenti:
1. Scelti i corsi di malta dove eseguire il taglio, si procede all’incollaggio delle
piastrine metalliche che realizzano le basi di misura delle deformazioni assiali e
trasversali.
2. Si eseguono alcuni cicli di carico, incrementando gradualmente la pressione nei
martinetti, con livelli di sollecitazione gradualmente crescenti. I valori massimi di
sollecitazione sono scelti in base al tipo di muratura in esame, comunque non
superiori al 50% della resistenza a compressione monoassiale. Per ogni livello di
sollecitazione devono essere eseguiti almeno due cicli di carico e scarico, inoltre a
carico costante devono essere esaminate le deformazioni di tipo viscoso (creep).
Indicando con δ il generico intervallo di sollecitazione, il modulo di deformabilità
può essere ottenuto dalla relazione:
δ
E= (8.23)
ε
dove ε è la deformazione dovuta a δ misurata in corrispondenza della base centrale.
d) Determinazione delle caratteristiche di resistenza a compressione
La prova con doppio martinetto appena descritta può essere utilizzata anche per valutare la
resistenza a compressione delle murature. A tal fine il carico applicato dai martinetti viene
gradualmente incrementato fino a quando compaiono le prime lesioni nei mattoni; il valore
della resistenza a compressione può essere stimato con buona approssimazione mediante
estrapolazione della curva sforzi deformazioni. Occorre rilevare che quando il campione si
Pag. 120 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

trova in condizioni prossime alla rottura, appaiono solo fessure locali nei mattoni e pertanto
il danno apportato alla muratura può ritenersi trascurabile; il ripristino delle condizioni
originarie della muratura risulta molto agevole.
Un diagramma tipico sforzi - deformazioni ottenuto con questa prova è riportato in
(Fig. 8.32); nella stessa figura è riportata anche la curva ottenuta tramite la prova
convenzionale di compressione uniassiale eseguita su un provino avente le stesse
dimensioni di quello individuato dai due martinetti. Tale confronto mostra che la prova con
martinetti piatti tende a sovrastimare il valore della resistenza a compressione rispetto a
quello fornito dalla prova convenzionale. Dall’esame dei risultati di una serie di prove
eseguite su diversi campioni si è osservato che questa sovrastima è compresa tra il 10% e
15%.

Fig. 8.32: Curva tipo sforzi – deformazioni ottenuta mediante prova con doppio martinetto
spinta fino a rottura del campione.
e) Determinazione della resistenza a taglio lungo i corsi di malta mediante martinetti
piatti.
La resistenza a taglio lungo i corsi di malta è un parametro di fondamentale importanza per
nelle verifiche di edifici in muratura. Con i martinetti piatti e l’ausilio di un martinetto
idraulico è possibile pervenire alla determinazione di questo parametro mediante tecnica di
tipo non distruttivo. L’esecuzione della prova consiste nelle seguenti fasi:
1. Si procede all’estrazione di un mattone che viene sostituito da un martinetto
idraulico Fig. 8.33a. Questo applica una sollecitazione di taglio al mattone
adiacente,
2. Si isola il mattone adiacente mediante la tecnica illustrata in Fig. 8.33b.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 121

3. Si dispongono due martinetti piatti sopra e sotto il mattone isolato, mediante i quali
viene applicata la componente di sollecitazione normale ai corsi di malta.
Con una serie di trasduttori elettrici si misurano gli scorrimenti relativi del mattone
sottoposto a prova rispetto ai corsi dei mattoni adiacenti nonché le deformazioni normali ai
corsi di malta. Lo schema delle basi di misura è illustrato in Fig. 8.34.
Tale tecnica permette di determinare i valori di resistenza a taglio di picco e residua
dei corsi di malta. Eseguendo alcune prove con diversi valori di sollecitazione normale è
possibile determinare il valore dell’angolo di attrito interno e quello della coesione della
malta, nella Fig. 8.35 sono riportati i risultati di una serie di prove eseguite su una muratura
esistente per determinare i parametri di resistenza a taglio.

Fig. 8.33: Prova di taglio lungo i corsi di malta.

Fig. 8.34: Basi di misura per l’esecuzione della prova di taglio lungo i corsi di malta.
Pag. 122 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.35: Valori della resistenza di picco e residui ottenuti su una muratura esistente.

La tecnica dei martinetti piatti rientra nelle prove di tipo non distruttivo, poiché dopo
l’esecuzione della prova, la muratura può essere facilmente riportata alle condizioni
originarie. I risultati forniti sono di sicura affidabilità in quanto il campione può ritenersi
certamente indisturbato e di dimensioni tali da risultare rappresentativo del comportamento
medio globale della struttura. Le attrezzature di carico e la strumentazione di misura sono
molto semplici e di rapida installazione, permettendo di eseguire una prova completa in 7-8
ore. Questo tipo di prova risulta quindi meno onerosa di una prova di tipo distruttivo
eseguita su un campione delle stesse dimensioni, infatti, quest’ultima richiede un tempo
non inferiore a 25-30 ore.
Un altro non trascurabile vantaggio consiste nella possibilità di lasciare i martinetti
all’interno della muratura durante gli interventi di restauro, in modo da usarli come celle di
pressione. È possibile così rilevare tempestivamente eventuali improvvisi sovraccarichi
indotti sulle strutture murarie dagli interventi di restauro.
Per tutti i tipi di prove sono state eseguiti test di taratura in laboratorio su campioni
di muratura appositamente realizzati.
Le prove di taratura per la determinazione dello stato di sollecitazione sono state
eseguite applicando al campione di muratura uno stato di sollecitazione noto e
confrontando questo valore con quello determinato mediante la prova con martinetto. La
correlazione tra i valori di sollecitazione misurati e quelli applicati è risultata molto buona,
la retta di interpolazione dei risultati sperimentali è praticamente coincidente con la retta
teorica (Fig. 8.36). Le differenze medie tra i valori applicati e quelli misurati non sono
superiori al 5%.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 123

La taratura della prova con martinetto doppio per la determinazione delle


caratteristiche di deformabilità, è stata eseguita su diversi tipi di murature. Nella Fig. 8.36,
sono riportati i valori del rapporto tra il modulo di Young determinato mediante prove con
martinetti piatti (Em) e quello determinato mediante prove di compressione di tipo
convenzionale (Ec) su campioni di dimensioni identiche a quelli delimitati dai martinetti. Si
nota che i valori del rapporto Em/Ec sono prossimi all’unità, le differenze sono contenute
entro l’8%, ciò significa che gli effetti del contenimento laterale dovuto alla muratura
adiacente il campione è poco influente. Per questo la prova con martinetto piatto può essere
considerata come una prova di compressione monoassiale di tipo convenzionale.
L’intero programma di taratura ha consentito di accertare che i martinetti piatti di
dimensioni 40x20cm forniscono risultati affidabili sia per la misura dello stato di
sollecitazione che per la determinazione delle caratteristiche di deformabilità, l’uso di
martinetti di dimensioni inferiori deve essere limitato alla sola misura dello stato di
sollecitazione.

Fig. 8.36: Risultati delle prove di taratura con martinetti rettangolari 40x20 cm (tipo c).

8.6.2.2 Prove soniche


Analisi sperimentale di pannelli murari e valutazione del livello di degrado
E’ noto che il comportamento della muratura dipende dalla qualità dei materiali costitutivi.
Nella letteratura scientifica sono presenti numerose correlazioni tra la resistenza in
Pag. 124 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

compressione della muratura e le proprietà meccaniche dei materiali costituenti (materiali


lapidei e malta) [14]. A tale scopo, sempre con l’obiettivo di investigare sulla resistenza in
compressione della muratura mediante indagini non distruttive, in [8] è stata affrontata la
problematica della previsione della resistenza a compressione dei più diffusi materiali
lapidei impiegati nelle murature storiche presenti in Campania e più in generale nel sud
Italia. Tuttavia, è evidente che il comportamento della muratura dipende dalla qualità del
contatto tra malta e materiale lapideo responsabile dell’eventuale concentrazione locale
delle tensioni. Pertanto, la previsione della resistenza a compressione di murature degradate
può essere realizzata in maniera più efficace correlando la stessa da un lato alle proprietà
meccaniche dei materiali costitutivi e dall’altra al livello di degrado della muratura
commisurato all’entità delle discontinuità e del distacco tra malta e materiale lapideo. In [9]
è stata investigata la possibilità di prevedere il livello di degrado della muratura mediante
indagini non distruttive. In particolare, dal momento che la presenza di eventuali cavità
interne in murature degradate conduce ad una notevole riduzione dell’intensità del segnale
nel campo delle frequenze ultrasoniche, che quindi, molto spesso, non risulta rilevabile
dalla sonda ricevente, l’analisi è stata condotta impiegando indagini soniche che
rappresentano in tali circostanze un valido strumento di indagine. Nelle indagini soniche
l’onda di vibrazione viene applicata all’elemento da provare mediante un martello
strumentato collegato ad un timer. Il segnale viene acquisito mediante un ricevitore sonico
o accelerometro e viene automaticamente visualizzato sul display insieme al tempo di
propagazione (Fig. 8.38).

Fig. 8.37: Confronti fra i moduli di deformabilità ottenuti mediante martinetti piatti (Em) e
quelli ottenuti con prove di compressione monoassiale di tipo convenzionale (Ec).
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 125

Prima di procedere all’analisi di pannelli murari, in [9] è stata condotta un’indagine


preliminare su sotto-assemblaggi di muratura costituiti da due o tre elementi lapidei legati
da correnti di malta e caratterizzati da differente livello di qualità del contatto malta-
materiale lapideo. In particolare, a partire dal caso di assemblaggi realizzati prestando
particolare cura alla qualità della malta e del contatto malta-materiale lapideo si è passati ad
assemblaggi degradati mediante cicli di invecchiamento e poi ad assemblaggi in cui sono
stati deliberatamente lasciati dei vuoti all’interno dei correnti di malta. Mediante tale
analisi, è stato possibile accertare che quando siamo in presenza di muratura non degradata
con un contatto malta-materiale lapideo privo di discontinuità, la velocità con la quale
l’onda sonica attraversa la muratura ha scarti modesti, dell’ordine di poche unità per cento,
rispetto a quella che si ottiene analiticamente a partire dalle velocità dei materiali costituenti
la muratura. All’aumentare della discontinuità del contatto malta-materiale lapideo la
velocità della muratura progressivamente si riduce rispetto a quella teorica fino a giungere
alla completa non ricettività del segnale da parte della sonda ricevente in corrispondenza di
murature caratterizzate dalla presenza di grossi vuoti tra malta e materiale lapideo [5,9].

Fig. 8.38: Apparecchiatura sonica.


Pag. 126 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

E’ apparso quindi evidente da tale analisi sui sottoassemblaggi di muratura che l’entità della
discontinuità del corrente di malta è attendibilmente rilevabile tramite indagini soniche. Se
inoltre si tiene conto che una discontinuità della malta comporta anche una riduzione della
resistenza della muratura per effetto della concentrazione degli sforzi, è da attendersi una
correlazione tra la riduzione di velocità sonica della muratura degradata rispetto a quella
teorico-analitica di muratura perfetta con la resistenza della muratura stessa. Allo scopo di
esplicitare il legame tra velocità sonica, livello di degrado e resistenza della muratura, è
stato pianificato un programma sperimentale su edifici del centro storico di Salerno.
L’intero programma sperimentale è sinteticamente riportato in Tab. 8.10. Nel seguito
vengono esaminati i risultati sulle murature M2MU1, M2MU2, CA2MU1, realizzate con
tufo giallo, M2MU3, realizzata con calcari e tufo giallo, CA3MU3, realizzata con calcari,
tufo giallo e travertino e CA2MU2 e TL2MU1, realizzate solo con calcari. I risultati
dell’intero programma sperimentale sviluppato sono contenuti in [5]. Allo scopo di
investigare il livello globale di degrado di un pannello murario, sono state effettuate
indagini soniche in diversi punti del pannello stesso. Inoltre, in ciascun punto di indagine, le
misure sono state ripetute più volte. In Figura 8.24, ad esempio, vengono ritratti il pannello
murario M2MU2 e la mesh con nove punti di lettura adottata per le misurazioni soniche.
Nella Tab. 8.11 sono riportati i valori della velocità sonica registrati nei diversi punti. Si
può osservare la grande variabilità di detti valori della velocità nei diversi punti di lettura.
Tab. 8.10: Intero programma sperimentale su murature in pietra naturale
Ubicazione Piano Sigla Tipologia Tipologia Spessore Analisi soniche Carotaggi Analisi Martinett
edificio muratura muratura materiale endoscopiche i piatti
lapideo [cm] Numero di Numero di Numero di .
punti di misura prove tests
3 F3MU1 Caotica Tufo giallo e 2 2 -
Fiore grigio 40 11
3 F3MU2 Caotica Travertino 50 9 2 2 -
2 M2MU1 Blocchi Tufo giallo 54 (p) 12 - - -
San squadrati
Michele 2 M2MU2 Blocchi Tufo giallo 53 (p) 9 2 2 1
squadrati
2 M2MU3 Caotica Calcare e 51 (p) 9 2 2 1
tufo giallo
2 CA2MU1 Blocchi Tufo giallo 47 12 3 3 1
squadrati
Ex carcere 2 CA2MU2 Caotica Calcare 100 12 1 1 1
Calcare, tufo 3 3
3 CA3MU3 Caotica giallo e 52 9 1
travertino
3 CA3MU4 Caotica Calcare 80 9 1 1 -
GEMU1 Caotica Calcare, tufo - - -
Genovese giallo e 70 9
grigio
Torre 1 TL2MU1 Caotica Calcare 70 9 - - 1
Dei ladri 2 TL1MU2 Caotica Calcare 70 12 - - -
3 TL5MU3 Blocchi Tufo grigio 35 9
squadrati
(p) muratura con intonaco
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 127

Tab. 8.11: Valori della velocità sonica sulle murature M2MU1, M2MU2, M2MU3 e
CA2MU1
Punto di lettura
Muratura Misure 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
1 770 1250 1410 1160 140 820 1580 1160 370 890 1450 1120
M2MU1 2 830 1130 1240 1090 470 690 1380 850 400 800 1180 1070
3 800 990 1050 990 140 630 1140 860 430 740 1220 1010
Media 800 1123 1233 1080 250 713 1367 957 400 810 1283 1067
1 770 520 550 1170 640 920 590 400 1100 - - -
M2MU2 2 840 410 570 1230 560 910 580 400 1010 - - -
3 720 490 530 1060 500 900 570 420 940 - - -
Media 777 473 550 1153 567 910 580 407 1017 - - -
1 860 1140 630 600 810 860 500 710 680 - - -
2 900 990 620 600 710 890 500 660 610 - - -
3 790 960 680 590 700 880 490 680 610 - - -
4 870 910 650 590 610 910 440 720 680 - - -
M2MU3 5 760 930 590 550 640 840 440 730 610 - - -
6 730 990 660 650 680 840 510 580 610 - - -
7 740 900 590 610 630 760 490 560 630 - - -
8 840 940 630 560 660 780 410 640 630 - - -
9 920 940 560 570 580 740 440 - - - - -
10 800 1010 570 580 570 760 460 - - - - -
Media 821 971 618 590 659 826 468 660 633 - - -
1 341 440 620 220 560 450 650 560 790 650 490 500
2 349 460 680 200 510 460 720 480 630 590 440 490
3 303 530 470 220 440 410 430 540 640 560 410 460
4 330 470 400 230 480 420 450 510 620 510 480 330
CA2MU1 5 330 - 350 220 370 320 500 530 510 550 390 450
6 310 - 370 - 390 - 520 530 650 450 400 380
7 290 - - - - - 540 550 540 520 420 360
8 280 - - - - - 550 460 600 470 340 400
9 320 - - - - - 470 500 610 500 - 380
10 - - - - - - 430 480 590 460 - -
Media 317 475 482 218 458 412 526 514 618 526 421 417
Pag. 128 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

7 8 9

50

4 5 6

50
1 2 3

50 50

Fig. 8.39: Pannello murario M2MU2 e mesh dei punti esaminati

Allo scopo di evidenziare l’influenza delle imperfezioni interne in murature reali sul valore
della velocità sonica, sono state preliminarmente effettuate indagini endoscopiche in
corrispondenza di alcune sezioni di muratura investigate con indagini soniche. Ad esempio,
per la muratura M2MU2, sono stati investigati con indagine endoscopica i punti 4 e 8
caratterizzati rispettivamente dalla velocità sonica più alta e più bassa. L’analisi
endoscopica ha mostrato in corrispondenza del punto 8 la presenza di un significativo
distacco tra malta e materiale lapideo (Fig. 8.40) mentre un miglior contatto malta-
materiale lapideo è stato riscontrato in corrispondenza del punto 4 (Fig. 8.41). Tale risultato
è stato poi confermato dalle analisi soniche ed endoscpiche condotte sulle murature
M2MU3, CA2MU1, CA2MU2 e CA2MU3 [5].
Allo scopo di quantificare il livello di degrado della muratura commisurato al
maggiore o minore distacco tra malta e materiale lapideo, si è proceduto alla valutazione
della scarto tra il valore della velocità sonica Vexp misurato in sito direttamente sulla
muratura ed il valore analitico Van determinato a partire dalla velocità ultrasonica dei
materiali costituenti la muratura. Sempre con riferimento al pannello murario M2MU2, per
il tufo giallo l’analisi condotta sul materiale estratto dallo stesso edificio ha fornito un
valore medio della velocità ultrasonica pari a 1592 m/s mentre per la malta, l’indagine
ultrasonica condotta sempre su campioni estratti dalla muratura, ha fornito un valore della
velocità ultrasonica di 1575 m/s quindi molto prossimo a quello del tufo giallo [5].
Pertanto, tenendo conto che la sezione trasversale della muratura è caratterizzata
dalla presenza di tre conci lapidei, due correnti di malta e due strati di intonaco, ed
assumendo per semplicità, per l’intonaco la stessa velocità della malta, si ottiene il seguente
valore analitico del tempo di attraversamento dell’onda sonica:
0.12 0.41
tan = + = 333.73 ⋅ 10− 6 s (8.24)
1575 1592
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 129

e, pertanto, il valore analitico della velocità sonica risulta: Van=0.53/333.73⋅10-6=1588 m/s.


La precedente valutazione analitica della velocità sonica è necessaria quando i materiali
costitutivi della muratura, ovvero materiale lapideo e malta, sono caratterizzati da velocità
soniche diverse. Nel caso della muratura in esame M2MU2, dal momento che la velocità
sonica del materiale lapideo e della malta sono molto simili, è chiaro che la precedente
valutazione analitica della velocità può essere evitata essendo la velocità sonica della
muratura prossima a quella dei materiali costitutivi stessi. A partire dal valore analitico
della velocità sonica così calcolato e tenendo presente i valori sperimentali così come
riportati in Tab. 8.11, per il punto di lettura 8 si può definire il seguente valore DV del
livello degrado:
Van − Vexp
DV = = 0.744 (74.4%) (8.25)
Van

Invece, con riferimento al punto di lettura 4, si ottiene un valore ridotto del livello di
degrado pari a DV=27.39% in accordo a quanto osservato mediante endoscopio.
Partendo dalla valutazione del livello di degrado in ciascun punto di lettura, è
possibile stimare il livello di degrado complessivo della muratura DVM. A tale scopo,
relativamente alle murature M2MU2 e M2MU1, caratterizzate da velocità soniche del
materiale lapideo e della malta tra di loro prossime, tutte le possibili sezioni attraversate
dall’onda sonica sono caratterizzate dalla stessa valore analitico della velocità.
(Fig. 6.14-b)

0 cm 1 cm 0 cm 1 cm

Fig. 8.40: Distacco tra malta e materiale Fig. 8.41: Contato tra malta e materiale
lapideo (Punto 8) lapideo (punto 4)
Pertanto, nel caso della muratura M2MU2, assumendo per tutte le sezioni
attraversate dall’onda come valore analitico della velocità sonica quello del materiale
lapideo (Van=1592 m/s), il degrado complessivo della muratura, ottenuto come valore
medio fornito dalle letture in tutti i punti, risulta pari a DVM=55%. Un’analisi similare è
stata condotta per la muratura M2MU1 i cui valori sperimentali della velocità sonica sono
riportati in Tabella 8.10. Per tale muratura è risultato un valore medio della velocità sonica
pari a 924 m/s con un livello di degrado della muratura pari al 42.6%.
Pag. 130 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Un differente approccio può essere adottato per le murature caratterizzate da materiali di


differente velocità sonica quali le murature M2MU3, CA2MU1, CA3MU3, CA2MU2 e
TL2MU1. In questi casi, la valutazione del livello di degrado complessivo della muratura è
meno immediata in quanto le diverse sezioni attraversate dall’onda sonica sono
caratterizzate da valori analitici diversi della velocità per effetto della diversa composizione
della sezione trasversale della muratura. Occorre pertanto definire una tecnica per associare
a ciascuna lettura la probabile sezione attraversata e conseguentemente il corrispondente
valore analitico della velocità. A tale scopo si è fatto ricorso alla cluster analysis che
consente la separazione delle misure sperimentali della velocità sonica in gruppi. Nel
seguito, la cluster analysis è stata impiegata utilizzando, per la valutazione della distanza tra
i differenti cluster, il criterio di Ward basato sull’analisi della varianza della distribuzione
[15]. Nell’applicazione della cluster analysis, il numero dei gruppi, ciascuno corrispondente
ad una possibile differente tipologia di sezione trasversale attraversata dall’onda elastica,
può essere preliminarmente valutato partendo dalla dimensione dei conci lapidei e dalla
tessitura. Allo scopo di differenziare il semplice degrado della muratura corrispondente ad
una cattiva adesione della malta ai conci lapidei dalla presenza di grossi difetti dovute a
cavità interne, dal momento che in corrispondenza di tali vuoti la velocità sonica si abbatte
decisamente assumendo valori molto bassi [9], nella metodologia di seguito proposta si
assume di collocare in un apposito gruppo in aggiunta a quelli che caratterizzano le diverse
sezioni trasversali, tutte quelle eventuali misure di velocità sonica inferiori al 50% del
valore analitico minimo. Nella valutazione del livello di degrado della muratura, questo
cluster aggiuntivo, dal momento che non è possibile riferirlo ad una specifica sezione
trasversale attraversata, viene riferito in via approssimata al valore medio delle velocità
analitiche calcolate per la muratura in esame. In definitiva, l’approccio proposto per la
valutazione del livello di degrado di murature caratterizzate da materiali con differenti
velocità soniche, consiste nelle seguenti fasi:
a) definizione, per la muratura oggetto di analisi, della mesh di punti da sottoporre ad
analisi soniche; in corrispondenza di ciascun punto di lettura, è opportuno ripetere più
volte la lettura sonica per eliminare eventuali misure non significative e per tener conto
degli eventuali differenti percorsi che l’onda più seguire legati alle modalità stesse
della prova (posizione del punto di impatto ed inclinazione della massa battente);
b) determinazione delle possibili sezioni della muratura attraversate dall’onda elastica a
partire dalla dimensione dei conci lapidei e dalla tessitura della muratura;
c) calcolo del valore analitico della velocità per ciascuna possibile sezione assumendo per
i materiali lapidei e la malta valori della velocità ottenuti mediante analisi sugli stessi
materiali o, in mancanza, valori tipici;
d) suddivisione dei valori sperimentali della velocità sonica mediante la cluster analysis in
un numero di gruppi pari al numero di possibili differenti sezioni; se risultano presenti
valori sperimentali della velocità sonica più bassi del 50% del minimo valore analitico,
tale suddivisione viene effettuata in un numero di gruppi pari al numero di possibili
differenti sezioni aumentato di una unità;
e) valutazione del livello di degrado Dvi per ciascun gruppo mediante l’equazione (2); per
quanto riguarda l’eventuale gruppo aggiuntivo relativo alle misure inferiori al 50% del
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 131

minimo valore analitico, il livello di degrado viene, in maniera semplificata, valutato


con riferimento alla media dei valori analitici;
f) infine, stima del livello di degrado complessivo della muratura mediante l’impiego
della seguente formulazione:
ng

∑N i ⋅ DVi
DVM = i =1
ng (8.26)
∑ Ni
i =1

dove ng è il numero di possibili differenti sezioni attraversate e Ni è il numero di


elementi appartenenti all’i-esimo gruppo. L’applicazione della metodologia proposta
alle murature esaminate nel presente lavoro ha condotto ai risultati sinteticamente
riportati in tabella 8.11. In [5,9] sono contenuti gli interi sviluppi analitici.
Valutazione della resistenza di murature degradate
Allo scopo di mettere a punto un’approccio semplificato per la stima della resistenza a
compressione di murature degradate mediante l’impiego di indagini soniche e la preventiva
stima del degrado così come precedentemente mostrato, si è assunto come valore
sperimentale della resistenza a compressione dei pannelli murari esaminati, il valore fornito
dalle prove con martinetti piatti [5] riportati in Tab. 8.13.
A tale scopo, occorre sottolineare che molti autori hanno proposto diverse formulazioni
allo scopo di prevedere la resistenza a compressione di murature non degradate
caratterizzate da differenti qualità dei materiali costitutivi. In particolare, nel seguito con
riferimento alle murature costituite da soli elementi lapidei di tufo o miste ma con la
presenza di tufo, dal momento che tale materiale è generalmente caratterizzato da bassi
valore delle proprietà meccaniche, si adotta per la previsione della resistenza della muratura
non degradata la seguente formulazione [5] valida per murature di bassa qualità:
2
f wc ,an = ⋅ f bc − f 0 + δ ⋅ f mc (8.27)
3
dove si adotta f0=0.5 N/mm2 (murature con blocchi squadrati) e δ=0.5 (elementi lapidei
naturali); fbc e fmc sono rispettivamente la resistenza a compressione dei conci e della malta.
Con riferimento alle murature con pietrame calcareo, dal momento che la pietra calcarea
è caratterizzata da un’elevata resistenza mentre, per le murature in esame, la malta è
risultata di bassa resistenza, la resistenza della muratura nel suo insieme può essere stimata,
nell’ipotesi di assenza di degrado, da formulazioni valide per murature di media qualità. In
particolare, è stata impiegata la seguente formulazione proposta da Brocker [5]:

f wc ,an = 0.7 ⋅ f bc ⋅ 3 f mc (8.28)


Pag. 132 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Tab. 8.12: Cluster Analysis e valutazione del livello di degrado

Cluster Analysis Valore |Van-Vexp] / V DVM


analitico della (%)
Muratura Numero di Velocità media velocità Van
Cluster misure Vm [m/s] [m/s]
1 21 920 3620 74.6
M2MU3
2 20 732 2205 66.8 68.0
3 34 605 1590 61.9
4 10 468 2472 81.1

1 25 658 1536 57.2


CA2MU1
2 53 496 1184 58.1 60.0
3 5 180 1360 86.8
1 25 1114 3307 66.3
CA2MU2
2 19 740 1832 59.6 69.0
3 10 649 1130 42.6
4 42 387 2090 81.5
CA3MU3
1 74 437 1766 75.3 75.3
1 29 1074 3723 71.2
TL2MU1
2 31 678 2389 71.6 73.0
3 16 558 2625 78.7
Le resistenze a compressione del materiale lapideo e della malta, fbc ed fmc, sono state
desunte da prove sperimentali e riportati in Tab 8.13. Sempre in Tab. 8.13 sono riportati i
valori della resistenza a compressione della muratura valutati mediante le espressioni (8.27)
e (8.28). Si osserva che la valutazione della resistenza a compressione delle murature in
esame, ignorando il loro significativo degrado, conduce a valori irrealistici.
Allo scopo di tener conto del livello di degrado, sulla base dei dati disponibili, un deciso
miglioramento della previsione della resistenza a compressione si ottiene adottando la
seguente semplice relazione lineare:
f wc , D = f wc ,an ⋅ (1 − DVM ) (8.29)
Come evidenziato in Tab 8.13, mentre l’impiego delle relazioni (8.27) e (8.28) che
ignorano il livello di degrado della muratura conducono mediamente ad una notevole
sovrastima della resistenza a compressione, l’introduzione del livello di degrado tramite la
relazione (8.29) conduce ad un significativo miglioramento della previsione della resistenza
che risulta in media sottostimata del 13%.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 133

Tab. 8.13: Confronto tra valori sperimentali e valori stimati della resistenza a compressione
della muratura
Valore
sperimentale Valore della resistenza
della resistenza Valore analitico della resistenza in compressione in compressione con
in degrado (Eq. 6)
Muratura compressione
fwc,exp
2
fbc
2
fmc
2
Formula fwc,an
2
f wc ,an f wc , D
[N/mm ] [N/mm ] [N/mm ] adottata [N/mm ] DVM fwc,D
f wc ,exp (%) [N/mm ]
2 f wc ,exp

M2MU1 2.30 2.75 5.0 Eq. 4 3.835 1.67 42.6 2.20 0.95
M2MU3 1.661 2.75 5.0 Eq. 4 3.835 2.31 68.0 1.23 0.74
CA2MU1 1.278 3.865 2.5 Eq. 4 3.33 2.60 60.0 1.33 1.05
CA2MU2 3.195 8.31 2.5 Eq. 5 8.66 2.71 69.0 2.69 0.84
CA3MU3 1.278 3.865 2.5 Eq. 4 3.33 2.60 75.3 0.83 0.65
TL2MU1 2.308 8.81 2.5 Eq. 5 8.66 3.75 73.0 2.34 1.01
Media 2.61 0.87

Approccio semplificato
La metodologia precedentemente illustrata può essere resa più speditiva mediante
l’impiego di opportuni abachi. In Fig. 8.42 viene mostrato, in maniera esemplificativa,
l’abaco predisposto per la muratura CA2MU1. Esso è riferito ai valori della resistenza del
tufo giallo e della malta riscontrati per l’edificio in esame.
Tale abaco consente contemporaneamente di individuare il livello di degrado della
muratura e di prevedere la resistenza della muratura. In particolare, la parte sinistra
dell’abaco permette di valutare il livello di degrado sulle ordinate a partire dalle velocità
soniche rilevate sulla muratura e sul materiale base riportate, in termini di rapporto, sulle
ascisse. In pratica, tale parte sinistra dell’abaco contiene le curve di correlazione tra il
livello di degrado ed il rapporto tra velocità reale e velocità attesa al variare della sezione
attraversata, quest’ultima espressa in termini di rapporto tra lo spessore complessivo della
malta e lo spessore complessivo del materiale lapideo. La parte destra dell’abaco contiene
invece le curve di correlazione tra la resistenza della muratura e quelle dei materiali base,
malta e concio lapideo, portando in conto il livello di degrado secondo la relazione (8.29).
Ai fini dell’applicazione di tale abaco si può procedere in maniera più accurata portando
in conto la suddivisione in gruppi delle letture soniche mediante l’impiego della cluster
analysis oppure, in maniera più spedita ma chiaramente più approssimata, trascurando la
suddivisione in gruppi delle misure e facendo riferimento direttamente al valore medio
delle letture effettuate sulla parete.
Facendo ricorso alla procedura semplificata, nel caso della muratura CA2MU1 (Fig.
8.42), si calcola il valore medio complessivo delle velocità soniche misurate sulla parete e
riportate in Tab. 8.11. Tale valore medio risulta pari a 526 m/s circa. Per quanto concerne il
rapporto tm/tb, nel metodo semplificato può farsi riferimento a quello corrispondente alle
Pag. 134 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

sezioni trasversali più diffuse che, nel caso della muratura in esame, sono caratterizzate
dalla presenza di uno o due correnti trasversali di malta. Si ottiene quindi, un valore medio
del rapporto tm/tb pari a 0.10. Per quanto concerne il tufo giallo, dalle prove effettuate in sito
è emersa una velocità di 1596 m/s, mentre per la resistenza è stato assunto il valore medio
ottenuto dall’analisi complessiva sul tufo giallo pari a 38.65 kg/cm2. Pertanto, il rapporto
v/vb assume il valore di 0.33. Sulla base di tali valori, si ottiene la costruzione riportata in
Fig. 8.42. Da essa emerge un livello di degrado pari al 64% ed una previsione conservativa
della resistenza della muratura pari a 11 kg/cm2 a fronte di un valore della resistenza fornito
dalla prova con martinetti piatti di 12.8 kg/cm2.

Fig. 8.42: Determinazione della resistenza della muratura CA2MU1 tramite abachi
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 135

8.7 Monitoraggio
Il monitoraggio strutturale è finalizzato alla conoscenza del comportamento di un’opera sia
nella fase diagnostica, per stabilire se il degrado presenta aspetti evolutivi che possono
incidere negativamente sulla sicurezza delle strutture, sia in fase di consolidamento e a
lavori ultimati per la verifica degli interventi realizzati.
In fase diagnostica il monitoraggio consiste nella messa in opera di strumentazione
sia di tipo fisso che mobile, per la seconda fase si usa strumentazione di tipo elettrico,
analogica o digitale, interfacciabile con sistemi di acquisizione dati.
Nel seguito si dà una rapida descrizione degli strumenti e sistemi utilizzati per
monitorare il comportamento statico e dinamico delle costruzioni.

8.7.1 Comportamento statico

8.7.1.1 Rilievi con estensimetri


Gli estensimetri sono strumenti utilizzati per la misura delle deformazioni su strutture in
acciaio, cemento armato e muratura, possono essere sia di tipo meccanico che elettrico.
Quelli di tipo meccanico sono costituiti da un involucro nel quale scorrono due barre
metalliche collegate ad un movimento ad orologeria con relativo quadrante. Ognuna delle
barre termina con una punta che viene inserita in “basi” metalliche preventivamente fissate
sulla parete, ai lati della fessura. Le basi in genere sono di ottone, recano al centro un foro
sagomato che deve raccogliere la punta dello strumento rimovibile, vengono fissate alla
parete mediante dime che ne forniscono la distanza mutua iniziale. Il tipo elettrico è
analogo al precedente come posizionamento, è dotato di un trasduttore elettrico che
consente di trasformare una variazione di lunghezza in una variazione di campo
elettromagnetico più facilmente misurabile. Questo tipo di strumento può essere lasciato in
posizione, opportunamente protetto, per una registrazione analogica continua del progredire
del movimento della lesione.

8.7.1.2 Rilievi con fessurimetri


I fessurimetri sono strumenti utilizzati per la misura e registrazione di movimenti relativi tra
parti di uno stesso elemento strutturale o tra elementi diversi, su superfici verticali e/o
orizzontali. Quelli più comuni sono di tipo a piastra, formati da due piastre mobili
sovrapposte, sulla piastra superiore è riportato un reticolo su quella inferiore una scala
millimetrata. La misura dell’eventuale movimento relativo tra le parti sconnesse dalla
lesione è data dall’entità dello spostamento della piastra con reticolo rispetto a quella
millimetrata sottostante. Ne esistono di vari tipi: per rilevare lesioni su superfici con
movimenti sia verticali che orizzontali, lesioni agli angoli soggetti a movimenti
bidirezionali, cedimenti o assestamenti di pavimentazioni rispetto a murature, pilastri, per
misurare l’entità della perdita di planarità di superfici fessurate (Fig. 8.43).
Pag. 136 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.43: Fessurimetri

a) comparatore b) trasduttore di spostamenti


Fig. 8.44: Misura degli spostamenti relativi tra punti
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 137

Nei casi in cui è richiesta una maggiore precisione delle misure si fa uso di diversi
strumenti dotati di trasduttori elettrici in modo da consentire la lettura remota, oppure
fessurimetri elettronici per misure di tipo removibile dotati di display a cristalli liquidi (Fig.
8.44).
Per la misura di spostamenti relativi tra punti relativamente distanti si usano i
deformometri a filo: un filo di acciaio INVAR tra il riscontro e la carcassa dello strumento
trasmette le variazioni al trasduttore di spostamento.

8.7.1.3 Rilievi con clinometri


I clinometri (Fig. 8.44) sono strumenti per la determinazione di movimenti o
rotazioni delle strutture, vengono applicati alla parete da controllare mediante staffe, la
lettura può essere acquisita manualmente, con centralina elettronica digitale oppure con
sistema di acquisizione dati laddove sia richiesta l’acquisizione continua dei dati.
Forniscono informazioni sull’entità di eventuali spostamenti verticali solo se la struttura
sotto controllo è rigida e monolitica. La precisione raggiungibile è di un decimo di
millimetro di spostamento verticale tra due punti distanti dieci metri.

Fig. 8.45: Inclinometri (tratta da [1])

8.7.2 Comportamento dinamico


L’analisi delle caratteristiche dinamiche di edifici e monumenti è finalizzata alla
stima del rischio dovuto alle sollecitazioni dinamiche nel normale esercizio delle strutture,
consistenti solitamente nelle vibrazioni dovute a traffico urbano o ferroviario metropolitano
ecc. L’analisi può essere effettuata sia registrando direttamente la risposta alle sollecitazioni
Pag. 138 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

di esercizio, sia sottoponendo la struttura a vibrazione forzata (utilizzando masse rotanti


eccentriche) e registrandone la risposta.
I dati sperimentali possono servire alla validazione di codici di calcolo strutturale e,
raccolti a distanza di tempo (ripetendo le prove nel tempo sempre nelle medesime
condizioni), costituiscono un riferimento ai fini di un controllo a lungo termine di eventuali
fenomeni di degrado.

8.7.2.1 Prove di caratterizzazione dinamica


Le prove dinamiche sono effettuate sottoponendo la struttura ad un’eccitazione dinamica
forzata (Fig. 8.46), (per esempio ad una forza variabile sinusoidalmente) e registrandone la
risposta in termini di spostamenti, velocità ed accelerazioni. In alcuni casi l’eccitazione può
essere determinata da cause naturali: carico del vento, vibrazioni dovute al traffico, ecc.
La modellazione dinamica di un organismo strutturale avviene definendo la
distribuzione spaziale delle rigidezze, delle masse e degli smorzamenti, in relazione alle
caratteristiche meccaniche e geometriche degli elementi della struttura e delle loro mutue
connessioni.

Fig. 8.46: Prova di eccitazione dinamica in sito (tratta da [1])


Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 139

La modellazione di edifici in muratura esistenti presenta numerosi elementi di


incertezza; allo scopo di limitare il numero di grandezze in gioco il comportamento
dinamico può essere schematizzato tramite i modi principali di vibrare della struttura,
pervenendo così alla definizione di un modello modale. Questo è costruito sulla base di tre
parametri sperimentali associati a ciascun modo di vibrare: frequenze naturali,
smorzamenti, forme proprie di vibrare.
Le prove dinamiche sono effettuate tramite le seguenti fasi:
Eccitazione. Nel caso di prove in sito l’eccitazione è fornita normalmente da eccitatori
elettrodinamici, elettroidraulici o elettromeccanici. Questi apparecchi erogano forze di tipo
sinusoidali la cui intensità e frequenza è fatta variare automaticamente, in base a procedure
di prova stabilite. Nel caso di prove su modelli Fig. 8.47, l’eccitazione è fornita ancora da
eccitatori discreti, oppure da una tavola vibrante in grado di sviluppare terremoti artificiali.
Acquisizione e controllo. La risposta viene misurata tramite una rete di
accelerometri, sismometri e trasduttori di spostamento relativo. Il controllo delle modalità
di eccitazione e l‘acquisizione dei segnali è effettuato tramite un sistema integrato installato
su una unità mobile.
Elaborazione dei dati sperimentali. I dati memorizzati ed elaborati già in sito nel
corso delle prove possono essere ulteriormente analizzati in laboratorio. Determinati i
parametri per la caratterizzazione dinamica della struttura, è possibile calcolare la risposta
rispetto a qualsiasi carico dinamico assegnato, se la modellazione del materiale è di tipo
lineare, anche di intensità superiore a quello di prova, se tale ipotesi viene meno, la struttura
viene sollecitata da forze dello stesso ordine di grandezza di quelle reali.
Pag. 140 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 8.47: Prova di caratterizzazione dinamica su modello [1]

8.8 Indagini diagnostiche e livelli di conoscenza secondo le


NTC 2008

8.8.1 Dati necessari per la identificazione del livello di conoscenza


La valutazione della sicurezza degli edifici esistenti in muratura secondo le NTC 2008
richiede la verifica dello stato limite SL di danno, cui si associano danni alla struttura di
modesta entità, e dello SL ultimo, corrispondente a danni importanti negli elementi
strutturali. Si assume convenzionalmente che il soddisfacimento della verifica allo SL
ultimo implichi anche la sicurezza nei riguardi del collasso, considerata nel caso di edifici
in cemento armato e in acciaio.
Per il calcolo delle capacità degli elementi si utilizzano i valori medi delle proprietà dei
materiali esistenti, come ottenuti dalle prove in situ e da eventuali informazioni aggiuntive,
divisi per il Fattore di Confidenza, definito nel seguito in relazione al livello di conoscenza
raggiunto.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 141

La conoscenza dellÊedificio in muratura oggetto della verifica risulta di fondamentale


importanza ai fini di una adeguata analisi, e può essere conseguita con diversi livelli di
approfondimento, in funzione dellÊaccuratezza delle operazioni di rilievo, delle ricerche
storiche, e delle indagini sperimentali. Tali operazioni saranno funzione degli obiettivi
preposti ed andranno ad interessare tutto o in parte lÊedificio, a seconda della ampiezza e
della rilevanza dellÊintervento previsto.
EÊ necessario quindi predisporre un opportuno piano delle indagini finalizzato
allÊacquisizione di conoscenze adeguate su tre aspetti prioritari: la geometria, i dettagli
costruttivi e le proprietà dei materiali. Le indagini finalizzate allÊacquisizione di tali
conoscenze, come dettagliato nel seguito, potranno essere condotte secondo tre differenti
livelli di approfondimento che vengono definiti come indagini limitate, indagini estese ed
indagini esaustive. A seconda dellÊapprofondimento delle indagini sui tre aspetti citati, la
norma definisce il livello di conoscenza complessivo dellÊedificio distinguendolo, sulla
base della procedura di seguito descritta, in:
• LC1: Conoscenza Limitata;
• LC2: Conoscenza Adeguata;
• LC3: Conoscenza Accurata.

8.8.2 Geometria
La conoscenza della geometria strutturale di edifici esistenti in muratura deriva di regola da
operazioni di rilievo.
Tale operazione comprende il rilievo, piano per piano, di tutti gli elementi in muratura e
di eventuali nicchie, cavità, canne fumarie, il rilievo delle volte (spessore e profilo), dei
solai e della copertura (tipologia e orditura), delle scale (tipologia strutturale), la
individuazione dei carichi gravanti su ogni elemento di parete e la tipologia delle
fondazioni. La rappresentazione dei risultati del rilevo verrà effettuata attraverso piante,
prospetti e sezioni.
Dovrà inoltre essere rilevato e rappresentato lÊeventuale quadro fessurativo,
classificando ciascuna lesione secondo la tipologia (distacco, rotazione, scorrimento,
spostamenti fuori del piano, ...), e deformativo (evidenti fuori piombo, rigonfiamenti,
depressioni nelle volte, ...). La finalità è di consentire, nella successiva fase diagnostica,
lÊindividuazione dellÊorigine e delle possibili evoluzioni delle problematiche strutturali
dellÊedificio.

8.8.3 Dettagli costruttivi


I dettagli costruttivi da esaminare sono relativi ai seguenti elementi:
a) qualità del collegamento tra pareti verticali;
b) qualità del collegamento tra orizzontamenti e pareti ed eventuale presenza di
cordoli di piano o di altri dispositivi di collegamento;
c) esistenza di architravi strutturalmente efficienti al di sopra delle aperture;
Pag. 142 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

d) presenza di elementi strutturalmente efficienti atti ad eliminare le spinte


eventualmente presenti;
e) presenza di elementi, anche non strutturali, ad elevata vulnerabilità;
f) tipologia della muratura (a un paramento, a due o più paramenti, con o senza
collegamenti trasversali, ...), e sue caratteristiche costruttive (eseguita in mattoni o
in pietra, regolare, irregolare, ...).
Si distinguono:
Verifiche in-situ limitate: sono basate su rilievi di tipo visivo effettuati ricorrendo, di
regola, a rimozione dell'intonaco e saggi nella muratura che consentano di esaminarne le
caratteristiche sia in superficie che nello spessore murario, e di ammorsamento tra muri
ortogonali e dei solai nelle pareti. I dettagli costruttivi di cui ai punti a) e b) possono essere
valutati anche sulla base di una conoscenza appropriata delle tipologie dei solai e della
muratura. In assenza di un rilievo diretto, o di dati sufficientemente attendibili, dovranno
comunque essere assunte, nelle successive fasi di modellazione, analisi e verifiche, le
ipotesi più cautelative.
Verifiche in-situ estese ed esaustive: sono basate su rilievi di tipo visivo, effettuati
ricorrendo, di regola, a saggi nella muratura che consentano di esaminarne le caratteristiche
sia in superficie che nello spessore murario, e di ammorsamento tra muri ortogonali e dei
solai nelle pareti. LÊesame degli elementi di cui ai punti da a) ad f) dovrà estendersi in
modo sistematico allÊintero edificio.

8.8.4 Proprietà dei materiali


Particolare attenzione dovrà essere riservata alla valutazione della qualità muraria, con
riferimento agli aspetti legati al rispetto o meno della „regola dellÊarte‰.
LÊesame della qualità muraria e lÊeventuale valutazione sperimentale delle
caratteristiche meccaniche hanno come finalità principale quella di stabilire se la muratura
in esame è capace di un comportamento strutturale idoneo a sostenere le azioni statiche e
dinamiche prevedibili per lÊedificio in oggetto.
Di particolare importanza risulta la presenza o meno di elementi di collegamento
trasversali (es. diatoni), la forma, tipologia e dimensione degli elementi, la tessitura,
lÊorizzontalità delle giaciture, il regolare sfalsamento dei giunti, la qualità e consistenza
della malta.
Di rilievo risulta anche la caratterizzazione di malte (tipo di legante, tipo di aggregato,
rapporto legante/aggregato, livello di carbonatazione), e di pietre e/o mattoni
(caratteristiche fisiche e meccaniche) mediante prove sperimentali. Malte e pietre si
preleveranno in situ, avendo cura di prelevare le malte allÊinterno (ad almeno 5-6 cm di
profondità nello spessore murario).
Si distinguono:
Indagini in-situ limitate: servono a completare le informazioni sulle proprietà dei
materiali ottenute dalla letteratura, o dalle regole in vigore allÊepoca della costruzione, e per
individuare la tipologia corrispondente nella Tabella C8A.2.1 delle NTC 2008.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 143

Sono basate su esami visivi della superficie muraria. Tali esami visivi saranno condotti
dopo la rimozione di una zona di intonaco di almeno 1m x 1m, al fine di individuare forma
e dimensione dei blocchi di cui è costituita, eseguita preferibilmente in corrispondenza
degli angoli, al fine di verificare anche le ammorsature tra le pareti murarie.
Dovrà essere valutata, anche in maniera approssimata, la compattezza della malta.
Dovrà essere valutata la capacità degli elementi murari ad assumere un comportamento
monolitico in presenza delle azioni sismiche, valutandone la qualità della connessione
interna e trasversale attraverso saggi localizzati, che interessino lo spessore murario.
Indagini in-situ estese: le indagini di cui al punto precedente devono essere effettuate in
maniera estesa e sistematica, con saggi superficiali ed interni per ogni tipo di muratura
presente. Prove con martinetto piatto doppio e prove di caratterizzazione della malta (tipo
di legante, tipo di aggregato, rapporto legante/aggregato...), e eventualmente di pietre e/o
mattoni (caratteristiche fisiche e meccaniche) sono richieste per verificare la
corrispondenza della muratura alle tipologie definite nella Tabella C8A.2.1. E' richiesta una
prova per ogni tipo di muratura presente. Metodi di prova non distruttivi (prove soniche,
prove sclerometriche, penetrometriche per la malta, ...) possono essere impiegati a
complemento delle prove richieste. Qualora esista una chiara, comprovata corrispondenza
tipologica per materiali, pezzatura dei conci, dettagli costruttivi, in sostituzione delle prove
sull'edificio oggetto di studio possono essere utilizzate prove eseguite su altri edifici
presenti nella zona dell'edificio. Le Regioni potranno, tenendo conto delle specificità
costruttive del proprio territorio, definire zone omogenee a cui riferirsi a tal fine.
Indagini in-situ esaustive: servono per ottenere informazioni quantitative sulla
resistenza del materiale. Si richiede, in aggiunta alle verifiche visive,ai saggi interni ed alle
prove di cui ai punti precedenti, di effettuare una ulteriore serie di prove sperimentali che,
per numero e qualità, siano tali da consentire di valutare le caratteristiche meccaniche della
muratura.
La misura delle caratteristiche meccaniche della muratura si ottiene mediante
esecuzione di prove, in situ o in laboratorio (su elementi non disturbati prelevati dalle
strutture dellÊedificio).
Le prove possono in generale comprendere prove di compressione diagonale su pannelli
o prove combinate di compressione verticale e taglio. Metodi di prova non distruttivi
possono essere impiegati in combinazione, ma non in sostituzione di quelli sopra descritti.
Qualora esista una chiara, comprovata corrispondenza tipologica per materiali,
pezzatura dei conci, dettagli costruttivi, in sostituzione delle prove sull'edificio oggetto di
studio possono essere utilizzate prove eseguite su altri edifici presenti nella zona
dell'edificio. Le Regioni potranno, tenendo conto delle specificità costruttive del proprio
territorio, definire zone omogenee a cui riferirsi a tal fine.
I risultati delle prove devono essere esaminati e considerati nellÊambito di un quadro di
riferimento tipologico generale che tenga conto dei risultati delle prove sperimentali
disponibili in letteratura sino a quel momento per le tipologie murarie in oggetto, e che
consenta di valutare, anche in termini statistici, la effettiva rappresentatività dei valori
trovati.
Pag. 144 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

8.8.5 Livelli di conoscenza


Con riferimento al livello di conoscenza acquisito si definiscono i valori dei parametri
meccanici ed i fattori di confidenza secondo quanto segue.
Il livello di conoscenza LC3 si intende raggiunto quando siano stati effettuati il rilievo
geometrico, verifiche in situ estese ed esaustive sui dettagli costruttivi, indagini in situ
esaustive sulle proprietà dei materiali.
Il livello di conoscenza LC2 si intende raggiunto quando siano stati effettuati verifiche
in situ estese ed esaustive sui dettagli costruttivi ed indagini in situ estese sulle proprietà dei
materiali.
Il livello di conoscenza LC1 si intende raggiunto quando siano stati effettuati il rilievo
geometrico, verifiche in situ limitate sui dettagli costruttivi ed indagini in situ limitate sulle
proprietà dei materiali.
Tab. 8.14: Livelli di conoscenza in funzione dellÊinformazione disponibile.

Per i diversi livelli di conoscenza, per ogni tipologia muraria, i valori medi dei parametri
meccanici verranno definiti come segue:
LC1 - resistenze: i minimi degli intervalli riportati in Tabella C8A.2.1 per la tipologia
muraria in considerazione; moduli elastici: i valori medi degli intervalli riportati
nella tabella suddetta;
LC2 - resistenze: medie degli intervalli riportati in Tabella C8A.2.1 per la tipologia muraria
in considerazione; moduli elastici: valori medi degli intervalli riportati nella tabella
suddetta;
LC3 - caso a) Nel caso siano disponibili tre valori sperimentali di resistenza. Resistenze:
media dei risultati delle prove; moduli elastici: media delle prove o valori medi degli
intervalli riportati nella Tabella C8A.2.1 per la tipologia muraria in considerazione.
caso b) Nel caso siano disponibili due valori sperimentali di resistenza. Se il valore
di resistenza è compreso nell'intervallo riportato nella Tabella C8A.2.1 per la
tipologia muraria in considerazione, si assumerà come resistenza il valore medio
dell'intervallo, se è maggiore dellÊestremo superiore dellÊintervallo si assumerà
questÊultimo come resistenza, se è inferiore al minimo dell'intervallo, si utilizzerà
come valore medio il valore medio sperimentale. Per i moduli elastici vale quanto
indicato per il caso LC3 – caso a.
Capitolo 8: Metodi di indagine Pag. 145

caso c) Nel caso sia disponibile un valore sperimentale di resistenza. Se il valore di


resistenza è compreso nell'intervallo riportato nella Tabella C8A.2.1 per la tipologia
muraria in considerazione, oppure superiore, si assumerà come resistenza il valore
medio dell'intervallo. Se il valore di resistenza è inferiore al minimo dell'intervallo,
si utilizzerà come valore medio il valore sperimentale. Per i moduli elastici vale
quanto indicato per il caso LC3 – caso a.

8.9 Bibliografia
[1] R. Riccioni, P. P. Rossi: Restauro edilizio e monumentale, diagnosi e consolidamento.
ISMES Roma 1990.
[2] G. Brunetti: Indagini termografiche ed endoscopiche. Atti del seminario sul tema:
sperimentazione su strutture, attualità ed affidabilità delle metodologie di indagine.
Venezia 12 –13 Febbraio 1993.
[3] A.W. Hendry, Structural Brickwork, The Macmillan Press, 1981.
[4] O. Brocker, Steinfestigkeit und Wandfestigkeit, Betonstein Zeitung 27, 1961.
[5] C. Faella and G. Rizzano, Analisi teorico-sperimentale per la previsione delle
proprietà meccaniche delle murature dell’area Salernitana mediante l’impiego di
indagini non distruttive, Department of Civil Engineering, University of Salerno,
Report n. 96, January, 2002.
[6] D.W. Fitting and L. Adler, Ultrasonic Spectral Analysis for Nondestructive
Evaluation, Plenum Press, New York, 1981.
[7] J. Krautkramer and H. Krautkramer, Ultrasonic Testing of Materials, Springer-Verlag,
Germany, 1990.
[8] C. Faella, G. Rizzano, Prediction of the Masonry Resistance by means of Sound Tests:
Experimental and Theoretical Analysis on Tuff Stones, 6th International Masonry
Conference, Proceedings of the British Masonry Society, No. 9, Londra, November
2002.
[9] C. Faella, G. Rizzano, Prediction of the Masonry Resistance by means of Sound Tests:
Experimental and Theoretical Analysis on Masonry Walls, 6th International Masonry
Conference, Proceedings of the British Masonry Society, No. 9, Londra, November
2002.
[10] G. Rizzano, I. Tolone, Influence of Normal Stress on Ultrasonic Parameters for
Concrete Specimens, International Conference on Restoration, Recycling and
Rejuvenation technology for Engineering and Architecture Application, Cesena, 2004.
[11] P. Da Ponte, Rilevamento e controllo del danno in materiali strutturali mediante
tecniche ultrasoniche, Convegno AIMETA, Amalfi, 1990.
[12] CALVI, G.M.: Correlation Between Ultrasonic and Load Test on Old Masonry
Specimens, 8th IBMAC, Dublin, 1988.
[13] KINGSLEY, G.R., NOLAND, J.L., and ATKINSON, R.H.: Non destructive
Evaluation of Masonry Structures using Sonic and Ultrasonic pulse Velocity
Techniques, 4th North American Masonry Conference, Los Angeles, 1987.
Pag. 146 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

[14] TASSIOS, P.T., Meccanica delle murature, Liguori Editore, Napoli, December, 1998
[15] EVERITT, B., Cluster Analysis, Halsted Press, Division of J. Wiley & Sons, New
York, 1981.
[16] ASTM E519-2, Standard Test Method for Diagonal Tension (Shear) in Masonry
Assemblages, december, 2002.
[17] T.P. Tassios, Physical and mathematical models for redesign of damaged structures,
Introductory Report, IABSE Symposium, Venice, 1983.
[18] T.P. Tassios, E. Vintzeleou, A. Trohanis, Interaction diagrammes for reinforced and
unreinforced masonry walls, CIB Symphosium, Warsaw, 1984.
[19] P. P. Rossi: L’impiego dei martinetti piatti nello studio delle murature. Atti del
seminario sul tema: sperimentazione su strutture, attualità ed affidabilità delle
metodologie di indagine. Venezia 12 –13 Febbraio 1993.
[20] G. Sacchi Landriani, Roberto Riccioni (a cura di): Comportamento statico e sismico
delle strutture murarie. CLUP, Milano, 1982.
[21] F. Cianfrone: Indagini microsismiche ed ultrasoniche. Atti del seminario
“sperimentazione su strutture” Venezia 12-13 febbraio 1993.
[22] P. Da Ponte:“Rilevamento e controllo del danno in materiali strutturali mediante
tecniche ultrasoniche”, Convegno AIMETA Amalfi 1990.
[23] A. Zanetti: Tomografia sonica. Atti del seminario sul tema: sperimentazione su
strutture, attualità ed affidabilità delle metodologie di indagine. Venezia 12 –13
Febbraio 1993.
[24] A. Castoldi: Programmazione dei diversi tipi di prova per le diverse problematiche.
Atti del seminario sul tema: sperimentazione su strutture, attualità ed affidabilità delle
metodologie di indagine. Venezia 12 –13 Febbraio 1993.
[25] Regione dell’Umbria: Manuale per la riabilitazione e la ricostruzione postsismica degli
edifici; Tipografia del Genio Civile, Roma 1999.
[26] G. Deprisco: Individuazione delle caratteristiche tipologiche di elementi murari
mediante l’impiego di ultrasuoni, Tesi di Diploma in Ingegneria delle Infrastrutture,
relatore prof. Ciro Faella, correlatore ing. Gianvittorio Rizzano, Facoltà di Ingeneria,
Università degli Studi di Salerno, A. A. 1997/98.
[27] F Lupinacci, Analisi nel dominio del tempo e della frequenza su segnali ad ultrasuoni
provenienti da provini in calcestruzzo, Tesi di Laurea, facoltà di Ingegneria,
Università della Calabria, A.a. 1987/1988
[28] Rapporto prove dipartimento ingegneria civile università degli studi di Salerno
Capitolo 9

DEFINIZIONE DELLA VULNERABILITÀ


SISMICA PER EDIFICI IN MURATURA

9.1 Introduzione del concetto di rischio sismico


L’importanza economica e sociale dei danni provocati dai terremoti, quali quello del
1976 in Friuli 1976 e del 1980 in Irpinia, per citare solo i più luttuosi, ha generato nella
coscienza dell’uomo ed in particolare in quella degli studiosi, un forte stimolo verso la
ricerca di nuove e più efficaci strategie di difesa del patrimonio edilizio. In particolar modo
si è generata la convinzione di avviare un’organica politica di prevenzione, mirata alla
riduzione, nell’ambito del territorio nazionale, del rischio sismico, che può essere definito
come la “probabilità, che le conseguenze degli effetti di un certo terremoto sul piano
economico e sociale superino, in un certo intervallo di tempo, una certa soglia” (Petrini).
Quando si parla di terremoti o di sisma dunque, quello di rischio, è un concetto
fondamentale e risulta importante definire i fattori che lo influenzano, perché in teoria
agendo su uno di tali fattori si può modificare lo stesso.
La stima del rischio sismico di un sistema è effettuata, combinando sostanzialmente
tre elementi:
a) La pericolosità sismica del territorio (P), che rappresenta “la probabilità che un
evento con certi effetti si verifichi in un dato punto ed in un certo intervallo di
tempo.”
b) L’esposizione (E) di beni e di persone al rischio, che indica la loro consistenza, la
loro localizzazione e la loro suddivisione in classi di vulnerabilità.
c) La vulnerabilità (V), che può essere definita, nella più generale possibile come
“la sensibilità di un sistema alle azioni sismiche ovvero la sua propensione a subire
danni per effetto di un evento stressore (es. terremoto).
Il grado di rischio di un territorio, è quindi espresso, dalla seguente relazione:
R = f (P, E, V) (9.1)
Risulta evidente dunque che per un determinato nucleo abitativo, caratterizzato da
una certa pericolosità e da una certa esposizione, l’unico parametro su cui si può intervenire
per attenuare il rischio è la vulnerabilità.
Pag. 148 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

9.2 Pericolosità sismica


La stima della pericolosità sismica di un’area può essere realizzata sia sulla base di
metodi deterministici che probabilistici. I metodi deterministici si basano sulla
modellazione numerica dei processi di rottura delle sorgenti, i metodi probabilistici
considerano invece la probabilità del verificarsi di un terremoto come evento aleatorio.
Quest’ultima metodologia è più frequentemente utilizzata.
Secondo l’approccio probabilistico, la pericolosità viene definita come la probabilità
di eccedenza di un parametro descrittivo del moto del terreno (intensità macrosismica;
picco di accelerazione al suolo, valori spettrali, ecc.) in un determinato intervallo di tempo.
Con tale parametro si può calcolare il numero medio annuo di terremoti attesi con
un’intensità superiore ad una certa soglia. La pericolosità può essere suddivisa in “locale” e
“regionale”.

9.2.1 Pericolosità locale


La pericolosità locale è correlata a condizioni locali sfavorevoli, le quali possono
incrementare l’intensità degli effetti sismici attesi in base alla pericolosità della regione.
Le condizioni locali comprendono la geologia, le proprietà dinamiche dei terreni di
fondazione e la morfologia territoriale (ad esempio: rilievi, pendii, ecc.).
L’individuazione di queste caratteristiche territoriali fanno parte degli studi di
microzonazione sismica.
Per redigere le mappe di “microzonazione sismica”, bisogna utilizzare dati di natura
geotecnica e geologica da inserire in appositi modelli di calcolo che permettono di
analizzare la risposta sismica locale. Queste mappe possono essere considerate come carte
tematiche da utilizzare nel processo di formazione di un piano regolatore, e sono da
confrontare con le altre informazioni di carattere economico, sociale e culturale.
La microzonazione sismica presenta comunque dei costi molto elevati, per cui si
sono sviluppati metodi di analisi della pericolosità locale semplificati; queste metodologie
indagano sulle situazioni geologiche e geomorfologiche suscettibili di causare locali
fenomeni di amplificazione degli effetti sismici, attesi in base al livello di “pericolosità
regionale”. Si definiscono in questo modo degli scenari di pericolosità sismica potenziale
riunibili in quattro gruppi:
1) nel primo gruppo vi sono le situazioni franose in atto o potenziali che possono
essere indotte durante un evento sismico;
2) nel secondo gruppo sono presenti particolari situazioni morfologiche e
topografiche che possono amplificare lo scuotimento per la presenza di materiale
incoerente al di sopra di un substrato roccioso (alluvioni, falda di detrito, conoide
di deiezione);
3) nel terzo gruppo vi sono configurazioni che presentano effetti misti di
amplificazione e cedimento (zone interessate da faglie, fratture, ecc.)
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 149

4) nel quarto gruppo vi sono i terreni a debole coesione interessati da falde acquifere
superficiali, o zone carsiche interessate da gallerie e cavità.

9.2.1.1 Le scale macrosismiche


Nel corso dei secoli, si sono alternate diverse scale macrosismiche con l’intento di
fornire risultati più precisi e nello stesso tempo di seguire l’evoluzione tecnologica dei
manufatti edilizi. La prima proposta risale al 1627 ad opera dell’italiano Pocardi, che
indicava 4 gradi di intensità. Nel XIX secolo le proposte si fecero più numerose, finché si
giunse a quella che fu considerata la prima scala macrosismica vera e propria nel 1873 ad
opera dell’italiano De Rossi e dello svizzero Forel, con una scala avente 10 livelli di
severità. Quest’ultima fu poi ripresa e corretta da Mercalli nel 1902, la quale con ulteriori
modifiche è giunta fino ad oggi nelle due versioni MCS (Mercalli – Cancani – Sieberg),
MM (Mercalli Modificata) ed MSK (Medvedev – Sponheur – Karnik). Queste presentano
12 gradi d’intensità, ad ognuno dei quali sono associati gli effetti del sisma su persone, cose
ed edifici.

• La scala MCS
Tale scala è basata solo su effetti indiretti e danni stimati qualitativamente e non
sull’analisi quantitativa dei danni provocati.
La quasi totalità dei terremoti passati è stata classificata in base a questa scala;
pertanto, resta uno strumento insostituibile (almeno per i prossimi secoli) per i dati di
pericolosità. Si riportano di seguito le caratteristiche essenziali di questa scala.

INTENSITA’ (MCS) EFFETTO PRODOTTO


I Percettibile solo da sismografi
II Recepito solo da rari soggetti nervosi
III Tremolio percepito solo da poche persone
IV Liquidi stagnanti vengono mossi
V Oscillazione di leggeri oggetti in sospensione
Dormienti si svegliano
VI Piccole campane rintoccano
Molti oggetti si rovesciano
Numerose persone fuggono
VII Grandi campane rintoccano
Molte tegole cadono
Cadono decorazioni da torri alte
VIII Tronchi d’albero pendono o si staccano
Mobili pesanti si rovesciano
Campanili e ciminiere di fabbriche cadono
Danni ad ¼ degli edifici
Crolli rari
Pag. 150 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

IX Tubature di ferro si deformano


Danni ad ½ degli edifici
Crolli di ¼ delle costruzioni
X Binari piegati e tubature piegate
Grandi massi si staccano dai pendii
Danni a ¾ degli edifice
Crolli ad ½ delle costruzioni
XI Ponti crollano e binari si spezzano
Crepe nelle strade e mutamenti nel suolo
XII Laghi scompaiono; Fiumi deviano
Crollo di tutte le costruzioni
Tabella 9.1: Scala MCS.

• La scala MSK
Con il passare degli anni si è cercato di migliorare la scala MCS, in quanto risultava
più interessante classificare un terremoto sulla base di uno scenario di danno anziché sugli
effetti sintomatici come le crepe sulle strade o la caduta di oggetti dai mobili.
La scala MSK è del 1964 e si articola su 12 gradi. Solo dal V grado in su sono
associati danni alle strutture. Il danno è stimato per tre categorie tipologiche; sono definite
di tipo A le costruzioni in pietrame, di tipo B quelle in mattoni e di tipo C quelle armate.

9.2.1.2 Pericolosità regionale e classificazione sismica


Il metodo di valutazione della pericolosità regionale si basa sulla zonazione del
territorio effettuata analizzando tre tipi di dati: dati storici (ossia notizie sui terremoti
passati); dati strumentali (ossia registrazioni di terremoti); dati fisici (riguardanti le
caratteristiche sismogenetiche del territorio). Poiché la rete sismica ha pochi anni di vita, i
dati strumentali in Italia sono scarsi, a differenza dei dati storici. Occorreranno invece
ancora molti studi affinché i dati fisici prevarranno sui precedenti.
Stante tale situazione, le mappe di scuotibilità del territorio italiano che oggi si
possono tracciare sono ancora essenzialmente basate sui dati storici, ossia sui cosiddetti
cataloghi dei terremoti.
La mappa di scuotibilità riporta la distribuzione delle intensità sismiche (MCS) con
un determinato periodo di ritorno, cioè l’intervallo di tempo che in media bisogna attendere
affinché si verifichi un evento superiore ad una certa soglia. L’approccio metodologico più
moderno (Grandori 1987) per la valutazione della pericolosità regionale è articolato nelle
seguenti fasi:
1) Determinazione della sequenza temporale degli eventi sismici in ciascuna zona
sismogenetica (dal catalogo dei terremoti).
2) Determinazione della distribuzione probabilistica dei tempi di intercorrenza tra
evento ed evento al sito, ossia dei tempi di attesa tra due eventi consecutivi, a
prescindere dalla loro intensità f(t).
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 151

3) Determinazione delle distribuzioni probabilistiche delle intensità epicentrali, per


l’intera area oggetto dello studio: FIo(I): ovvero della legge di ricorrenza fra ciascun
valore dell’intensità e la sua frequenza annua.
4) Determinazione della distribuzione probabilistica dei risentimenti al sito mediante
riduzione della distribuzione delle intensità epicentrali, utilizzando opportuni
modelli di attenuazione in funzione della distanza epicentrale FI(I).
5) Calcolo in tutti i comuni della zona, della probabilità di eccedenza che si verifichi
un evento con intensità i>I in un assegnato intervallo di tempo.
Questa procedura assume l’ipotesi di indipendenza tra la distribuzione dei tempi di
intercorrenza e la distribuzione delle intensità, in altri termini, il tempo di attesa tra un
evento ed il successivo (a prescindere dalla loro entità) e l’intensità degli eventi stessi, sono
considerate variabili aleatorie indipendenti; si tratta di un’ipotesi a rigore non valida per una
singola struttura sismogenetica, in quanto si può presumere una relazione fra la severità
dell’evento ed il tempo di accumulazione dell’energia di deformazione della crosta
terrestre.
Per capire l’importanza della distribuzione dei tempi di intercorrenza, bisogna
osservare che se si è all’interno di una crisi sismica, il tempo di attesa fra un evento ed il
successivo sarà in genere breve, se invece la crisi è ultima sarà necessario attendere un
tempo relativamente lungo prima di un nuovo evento per cui il rischio immediato sarà in
genere crescente col trascorrere del tempo. Le funzioni f(t) ed FI(I) descrivono
compiutamente la pericolosità di un sito: infatti la prima, contiene informazioni sui tempi di
attesa tra evento ed evento, la seconda quelle sull’intensità degli eventi.
Il metodo approssimato per condurre quest’analisi è stato quello originariamente
proposto da Cornell nel 1968, e successivamente tradotto in codici da diversi autori. Le
ipotesi alla base di questo metodo sono le seguenti:
1) I tempi di intercorrenza dei terremoti, seguono la distribuzione statistica di Poisson
(gli eventi sono indipendenti fra loro e stazionari nel tempo).
2) La legge di ricorrenza fra numero di terremoti e loro intensità è di tipo
esponenziale:
Log ( N ) = a − b ⋅ I (9.2)
da cui si può ottenere un periodo di ritorno T associato a ciascun valore di intensità
macrosismica. I coefficienti a e b si ricavano da una regressione ai minimi quadrati
delle distribuzioni cumulate delle intensità. Il valore della massima intensità
associata a ciascuna zona è stata posta uguale al massimo storico.
3) La legge di attenuazione è del tipo:

I o − I = k ⋅ log 1 + D 2 / h 2 (9.3)

con Io = Intensità epicentrale; I = Intensità al sito; k = Coefficiente di attenuazione;


D = Distanza epicentrale (in km) del sito; h = Profondità dell’epicentro (in km).
Pag. 152 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

4) La sismicità all’interno di ogni zona sismogenetica è uniforme, ossia i terremoti


hanno la stessa probabilità di comparsa su tutta la zona e seguono la stessa legge di
ricorrenza.
Per il calcolo della pericolosità, secondo questa metodologia, è necessario disporre
dei seguenti parametri: geometria delle zone sismogenetiche (ZS); relazioni di ricorrenza
sismica per ciascuna zona e relazioni di attenuazione. Il codice fornisce come output la
probabilità di eccedenza di un evento in un determinato periodo di tempo.
In base alla ipotizzata distribuzione di Poisson dei tempi di intercorrenza, la
probabilità p(Io, t) che un evento (i) superi l’intensità Io nell’intervallo di tempo (t) è data
da:
−t
p (i > I o , t ) = 1 − e T (9.4)

in cui T è il tempo medio di attesa affinché un valore d’intensità I, superi una soglia Io. Tale
valore si ricava da leggi di ricorrenza del tipo:
Log ( N ) = a − b ⋅ I o (9.5)
in cui N è il numero medio annuo di eventi d’intensità I>Io e T=1/N.
Dalla formula di Poisson possiamo quindi calcolare la probabilità di eccedenza di un
evento sismico Io, in un tempo t arbitrario, dopo aver calcolato N e quindi T(I>Io) dalla
legge di ricorrenza. Per comprendere meglio l’importanza della legge di intercorrenza,
possiamo fare il seguente esempio: in base alla sola legge di ricorrenza potremo giungere
all’errata conclusione che un evento con T(I>Io)=100 anni, in un intervallo di tempo t=100
anni, abbia una probabilità p(I>Io)=1, il che ovviamente non è vero: infatti tale risultato si
verifica solo se l’intervallo temporale tende all’infinito. La relazione poissoniana ci dice
invece che se T=100 e t=100, l’evento ha una probabilità di verificarsi: p(I>Io)=63%. Si
chiarisce a questo punto anche la differenza tra probabilità di eccedenza p(I>Io) e la
frequenza annua di ricorrenza (N) di un evento sismico: quest’ultima, infatti, si ricava
direttamente dalle leggi di ricorrenza e può essere usata nelle stime di rischio, poiché in
questo caso si considera un arco temporale infinito. Poiché le leggi di ricorrenza
solitamente sono proposte in termini di frequenze cumulate, si dovranno eventualmente
effettuare solo delle opportune conversioni se siamo interessati alle frequenze relative
annue. La probabilità di eccedenza invece, oltre ad essere per definizione una frequenza
cumulata, esprime la probabilità che un evento sia superato in un intervallo temporale
limitato.
La stima della pericolosità è stata effettuata suddividendo il territorio italiano i
maglie geografiche di circa 8x10 km e ricavando (per tentativi, dalla formula di Poisson) in
ciascuna maglia il valore d’intensità MCS che ha una probabilità di eccedenza del 10% in
tempi di 10, 50 o 100 anni. Tali tempi di osservazione con una p(I, t)=10% corrispondono a
periodi di ritorno di circa 95, 475, 1000 anni (congruenti sia coi tempi di vita media delle
costruzioni, che con la copertura temporale del catalogo). Le carte di pericolosità sono state
ottenute tracciando le curve
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 153

A partire dagli studi successivi al terremoto del 1980, la conoscenza della mappa di
scuotibilità sismica disponibile per un territorio, consente di procedere alla classificazione
sismica del territorio stesso, ossia alla suddivisione di quest’ultimo in zone omogenee dal
punto di vista del pericolo sismico, contraddistinte da un grado di sismicità a partire dal
quale si possono definire le azioni sismiche di progetto delle costruzioni.
In realtà è molto difficile calibrare tale protezione a quella che si accetta nei
confronti di altri rischi connessi alle principali attività umane. In ultima analisi la
definizione di un coefficiente di sismicità è una scelta politica che deriva dal giusto
compromesso tra maggiore sicurezza e maggiore costo sociale. Ne consegue che la
classificazione sismica è la sintesi della valutazione di un rischio che si ritiene accettabile.
Pertanto essa dovrebbe essere valutata non solo tenendo conto della pericolosità della zona
ma esaminare il livello di esposizione e la vulnerabilità al danneggiamento.
Bisogna poi considerare che in generale, il costo dell’adeguamento sismico ricade
interamente sui cittadini che abitano in tali zone, poiché solo sotto la spinta emotiva a
seguito di eventi drammatici si mobilita la solidarietà nazionale, e questo implica un
aggravio economico che i comuni più depressi non possono sostenere e per i quali risulta
più conveniente assumere un livello di rischio più alto. Va tenuto anche presente, che i
maggiori costi da affrontare per le nuove costruzioni, sono poca cosa rispetto agli interventi
di adeguamento che dovrebbero eventualmente essere predisposti per migliorare la
situazione esistente.
Purtroppo però, la classificazione sismica italiana, ha seguito sino al 1980 il criterio
empirico di includere i comuni nelle zone sismiche, soltanto dopo il verificarsi in questo
secolo di un terremoto distruttivo nell’area; per cui spesso i terremoti dei secoli precedenti,
non sono stati tenuti in considerazione.
Le norme sismiche italiane (a partire dal D.M. 3/3/75 fino all’attuale D.M. 16/1/96)
prevedono tre gradi di sismicità: 1a categoria con S=12, 2a categoria con S=9 e 3a categoria
con S=6. Una volta fissato il valore del coefficiente sismico da utilizzare in una certa zona,
la legge richiede che l’edificio resista a quel determinato livello di forze orizzontali.

9.2.2 Esposizione
L’esposizione sismica indica la qualità e le quantità di beni materiali e risorse umane
componenti la realtà territoriale ed urbana il cui stato, comportamento e sviluppo può essere
alterato da un evento sismico. Per i danni edilizi, l’esposizione al rischio può essere
quantificata alla misura dei volumi totali, raggruppati per classi tipologiche, presenti in una
zona a rischio sismico. Moltiplicando i costi unitari (al metro cubo o al metro quadro di
superficie) da sostenere per riparazioni o ricostruzioni (in un certo intervallo di tempo), per
le quantità complessive danneggiabili (prevedibili in base ad un’analisi accoppiata di
pericolosità e vulnerabilità), si può ottenere una stima del danno economico totale atteso.
Per i danni umani invece l’esposizione è rappresentata dal numero di persone
coinvolte in vario modo dall’evento, per le quali sono attesi danni in termini di morti, feriti
e senzatetto.
Pag. 154 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Per la determinazione della perdita economica diretta, è necessario stimare, per ogni
comune, i volumi o le superfici degli edifici, ed i costi medi unitari di riparazione per
differenti livelli di danno.
Per considerare gli effetti diretti sulla popolazione, bisogna distinguere due
categorie:
• “Persone potenzialmente coinvolte da crolli”: pari alla somma di morti più feriti.
• “senzatetto”: pari al prodotto delle abitazioni inagibili per il numero medio di
abitanti per abitazione.
Per quantificare il numero di decessi e più in generale per analizzare il problema
dell’esposizione umana, occorre considerare l’ora dell’evento, la destinazione d’uso
prevalente dell’area (industriale, agricola, abitativa) e altre variabili sulle percentuali di
sopravvivenza. Una formula di stima del numero di decessi in funzione di questi parametri
è la seguente (proposta da Coburn, 1992):
Ks = D5 x [M1xM2xM3x(M4+M5)] (9.6)
dove:
• Ks = numero dei decessi attesi.
• D5 = numero di abitazioni crollate.
• M1 = numero di abitanti per abitazione.
• M2 = percentuale di occupanti nelle varie ore del giorno, funzione del tipo di
società.
• M3 = percentuale di occupanti intrappolati a causa del crollo, in funzione della
tipologia costruttiva.
• M4 = percentuale di occupanti che muoiono subito (circa il 30% di M3).
• M5 = percentuale di occupanti che muoiono dopo essere stati estratti dalle macerie
(circa il 60% di M3-M4).
Statisticamente l’ordine di grandezza dei decessi, rilevato dagli ultimi forti terremoti
in Italia dovrebbe essere compreso fra il 17% ed il 23% delle persone coinvolte nei crolli,
mentre il rapporto tra i morti e feriti varia tra 1:3 ed 1:5. Inoltre per descrivere
compiutamente l’insieme degli elementi che concorrono a definire le caratteristiche
dell’esposizione sociale, è necessario considerare anche la distribuzione, la struttura e le
condizioni socioeconomiche della popolazione insediata; le funzioni pubbliche e produttive
presenti; il sistema delle infrastrutture e le relazioni economiche fra l’area esaminata con
quelle circostanti.
La disponibilità dei dati sui danni indotti e la possibilità di quantificare l’esposizione
urbana indiretta potrebbe portare in un prossimo futuro alla stima del danno sociale totale,
ma per ora questa procedura è incompatibile con le risorse ed i tempi disponibili per questo
studio: pertanto al fine di definire criteri di priorità per interventi futuri, sono state elaborate
delle procedure (Ferrini 1988), che tengono conto do questi aspetti in modo indiretto: ossia
moltiplicando i valori dei danni attesi (dalle analisi indirette) per opportuni fattori correttivi
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 155

ricavati in base a considerazioni qualitative sulle funzioni sociali esercitate, sulla densità di
utenti impiegati nelle stesse e sul periodo di utilizzazione di un servizio.
Infine bisogna osservare che le analisi di esposizione a livello regionale possono
fornire utili indicazioni sia nel pesare le valutazioni di rischio effettuate su singole aree, che
nel rapportare le ipotesi d’intervento per la riduzione del rischio con le politiche generali di
assetto del territorio: infatti nell’ottica della determinazione del danno edilizio atteso, la
valutazione dell’esposizione serve per classificare e quantificare il patrimonio costruito,
attribuendo pesi diversi agli indici di danno determinabili per ciascuna tipologia dei
manufatti esistenti.

9.3 Vulnerabilità
La vulnerabilità esprime la correlazione non lineare esistente tra l’intensità di un
evento stressore (causa) ed il danno atteso (effetto); per ogni sistema possiamo costruire
perciò una specifica curva di vulnerabilità che lega la variabile indipendente terremoto alla
variabile dipendente grado di danno. La suddetta relazione pur se non lineare è comunque
diretta: infatti a parità d’intensità il danneggiamento aumenta col crescere della
vulnerabilità, che per tale motivo può essere anche definita come la propensione di un
sistema a subire danni per effetto di una determinata azione.
A posteriori la valutazione della vulnerabilità di una costruzione corrisponde al
rilevamento diretto del danno prodotto dal sisma, mentre è di grande importanza per la
prevenzione, la valutazione a priori della vulnerabilità.
L’analisi della vulnerabilità può riferirsi ad un insediamento urbano nel suo insieme
(vulnerabilità urbana) oppure ad un sistema puntuale, come un singolo edificio
(vulnerabilità edilizia).

9.3.1 Vulnerabilità urbana


Il sistema urbano esposto al rischio sismico non è composto solo dal patrimonio
edilizio, ma innanzitutto dalle persone che vi abitano, dai servizi infrastrutturali presenti e
dalle relazioni socioeconomiche che in esse si svolgono: pertanto la vulnerabilità urbana
nella sua accezione più generale può essere definita come propensione al danno sociale
complessivo, non quantificabile globalmente in termini economici.
Possiamo distinguere tre tipi di vulnerabilità urbana:
• Diretta: definibile in rapporto alla crisi del singolo elemento strutturale sia
puntuale (edifici, ospedali, scuole), che a rete (acquedotti, fognature, elettrodotti).
• Indotta: relativa agli effetti di crisi generati indirettamente dal collasso di uno degli
elementi precedenti (ad esempio la crisi del sistema viario provocato
dall’ostruzione di un’arteria).
Pag. 156 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

• Differita: in relazione agli effetti successivi allo stato di emergenza (utilizzazione


di scuole come alloggi, riduzione occupazionale, diminuzione dei redditi per la
popolazione residente, ecc.).
Un’altra via perseguibile per valutare la vulnerabilità urbana è quella di considerare
un insediamento come un sistema funzionale in grado di fornire certe funzioni (abitative,
produttive, ricreative) che consentono la vita di una comunità. Ciascuna funzione può
essere garantita a diversi livelli, misurabili tramite opportuni standards.
L’insediamento urbano può essere perciò simulato per mezzo di modelli non più
meccanici (come la rigidezza, la duttilità, la resistenza), ma funzionali definite dagli
standards. In quest’ottica la vulnerabilità può essere vista come probabilità di un calo degli
standards in relazione ad una certa intensità sismica.
Elementi che migliorano significativamente la vulnerabilità del sistema urbano
possono essere i seguenti: modelli urbani diffusi a bassa densità; spazi liberi in misura
superiore a quella delle zone non sismiche; sistemi di approvvigionamento idrico di tipo
gravitazionale (senza fonti energetiche per il funzionamento); gasdotti con dispositivi di
distacco automatico in caso di sisma; doppie condotte per i sistemi idrici principali; arterie
di traffico regionale dislocate in zone periferiche; costruzioni regolari in pianta, isolate fra
loro o aggregate con giunti termici; possibilità di rapida evacuazione e preparazione sociale
all’emergenza.
Il problema più spinoso in questo caso è l’attribuzione di opportuni pesi da
assegnare ai vari indicatori, ciò potrebbe essere risolto tramite una stima dei danni
economici procapite rilevabili attraverso dati ISTAT sulle popolazioni colpite da un sisma.
Purtroppo, manca ancora una verifica dell’efficacia dei metodi d’analisi ed i dati disponibili
sono insufficienti per suggerire strategie d’intervento urbanistico, per la riduzione della
vulnerabilità urbana indiretta.

9.3.2 Vulnerabilità edilizia


La vulnerabilità edilizia definisce l’insieme delle caratteristiche costruttive che
rendono un edificio più o meno danneggiabile.
In termini operativi, essa definisce la probabilità oppure il valore del danno D per un
dato terremoto di intensità I:
Vulnerabilità → P[D/I] (9.7)
Negli ultimi anni un notevole sforzo è stato dedicato da parte di vari operatori alla
ricerca di metodologie per la valutazione e l’analisi della vulnerabilità edilizia.
Tale orientamento è giustificato, essenzialmente, da due motivi:
1. la constatazione della elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio esistente, come è
stato messo in luce dai recenti terremoti e dai costi (morti, feriti, riparazioni), a tale
vulnerabilità associati, che la comunità nazionale ha dovuto sopportare.
2. il cambiamento d’indirizzo nella politica urbanistica con la conseguenza di
preferire l’obiettivo del recupero dei centri urbani a quello della loro sostituzione.
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 157

Per classificare i metodi per la valutazione di vulnerabilità sono stati impiegati


diversi criteri.
Uno dei più completi e recenti, per ciò che riguarda gli edifici, è quello proposto da
Corsanego A. e Petrini V.
Sulla base di tale metodo, le tecniche esistenti per valutare la vulnerabilità edilizia
possono essere classificate nei seguenti diversi modi:

1) Classificazione in base al tipo di risultato prodotto:


‰ Tecniche dirette (forniscono in un solo passo un danno possibile)
‰ Tecniche indirette (in una prima fase determinano un indice di vulnerabilità e di
seguito istituiscono una correlazione fra sisma e danni in funzione dell’indice)
‰ Tecniche convenzionali (sono tecniche empiriche usate per confrontare edifici in
aree di uguale sismicità).

2) Classificazione in base al tipo di misura utilizzata:


‰ Tecniche quantitative (esprimono relazioni probabilistiche e deterministiche
numeriche).
‰ Tecniche qualitative (descrivono la vulnerabilità per mezzo di aggettivi: alta,
media, bassa, ecc.)

3) Classificazione in base alla fonte di conoscenza prevalente:


‰ Tecniche statistiche (basate sull’elaborazione dei dati dei danni).
‰ Tecniche di calcolo della risposta sismica
‰ Tecniche ibride (che combinano più fonti)

4) Classificazione in base al modello fisico di riferimento:


‰ Tecniche tipologiche (raggruppano le classi di vulnerabilità in base alle
caratteristiche costruttive, di età o dei materiali che compongono il manufatto
edilizio).
‰ Tecniche meccanicistiche (sostituiscono l’edificio con un modello matematico
teorico)
‰ Tecniche semeiotiche (valutano la vulnerabilità in base ad un certo numero di
fattori, correlati alla resistenza di un edificio).
In particolar modo, le tecniche dirette tipologiche sono usualmente basate su
esperimenti di terremoti reali, i cui dati vengono elaborati mediante procedure statistiche,
per ottenere matrici di probabilità di danno per un limitato numero di categorie di
costruzioni. Il singolo edificio, infatti viene catalogato in una precisa tipologia strutturale
tra un numero limitato di tipologie, individuate mediante poche caratteristiche strutturali
essenziali. Si tratta di tecniche molto spedite, dal punto di vista operativo, richiedendo
Pag. 158 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

indagini non molto specialistiche, ed è per questo che si prestano ad essere utilizzate, per
raccogliere informazioni su vaste aree.
Le tecniche dirette meccaniche sono basate su esperimenti virtuali numerici e
sostituiscono all’edificio un suo modello teorico di simulazione del comportamento
sismico. Gli esperimenti numerici sono effettuati specificatamente, per ciascuna costruzione
oppure, per categorie di costruzioni; l’applicazione di tali modelli richiede una
catalogazione delle costruzioni, che includa le loro caratteristiche meccaniche (drift,
duttilità, etc.). I valori, che tali parametri possono assumere, sono associati a matrici di
probabilità di danno ed il risultato consiste nel definire un livello di danno, per una singola
costruzione o una singola categoria.
Le tecniche convenzionali sono basate su esperimenti virtuali di esperti. Esse hanno
come risultato un punteggio convenzionale, (indice di vulnerabilità), per una singola
costruzione o categoria, che non dà alcuna previsione di danno. Sono utili in sostanza per
raffrontare edifici diversi, ubicati in un’area di uguale sismicità.
Le tecniche indirette fanno uso sia di esperimenti reali di terremoti, che di
esperimenti virtuali di esperti. Dal punto di vista concettuale tali tecniche si articolano in
due fasi. Nella prima si determina un opportuno indice di vulnerabilità V, sulla base di un
insieme di fattori ritenuti importanti nella definizione del comportamento sismico. Nella
seconda si determina una correlazione tra terremoti e danni, in funzione dell’indice V. In
pratica le tecniche indirette possono essere pensate come un’evoluzione delle tecniche
convenzionali, poiché, partendo dai risultati delle tecniche convenzionali, arrivano alla
previsione del danno, attraverso elaborazioni statistiche di dati di esperimenti di terremoti.
Tali tecniche richiedono indagini molto più complesse e costose di quelle dirette e si
prestano a cogliere informazioni specifiche sul singolo edificio.

9.3.3 Metodi indiretti per la valutazione della valutazione della


vulnerabilità edilizia: METODO GNDT
Tra i metodi indiretti, in Italia la maggior parte delle applicazioni è stata effettuata
secondo la metodologia proposta dal GNDT.
Tale metodologia consente di valutare la vulnerabilità di un singolo edificio
attraverso l’attribuzione della costruzione ad una certa tipologia strutturale individuata da
poche caratteristiche essenziali.
Indagini dettagliate, effettuate sulla base delle schede di rilevamento messe a punto
dai ricercatori del GNDT, consentono di misurare la vulnerabilità di un edificio tramite
fattori indicativi della qualità e dell’organizzazione del sistema resistente, dei materiali,
delle tecniche costruttive e della configurazione geometrica degli stessi; in base alle
caratteristiche riscontrate, per ciascun fattore sono stati attribuiti dei punteggi parziali
relativi alla classe di vulnerabilità di appartenenza, la cui somma, opportunamente pesata
tramite l’importanza dei fattori stessi, permette di determinare un indice complessivo di
vulnerabilità (variabile ad esempio da 0 a 382.5 per gli edifici in muratura).
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 159

La metodologia consente di formulare giudizi di vulnerabilità, eseguibili a due livelli


di complessità, in base al grado di accuratezza nella valutazione della vulnerabilità. A tale
scopo il GNDT, sin dal 1984, ha prodotto una scheda di rilievo comprensiva di tre parti:
1) Esposizione e vulnerabilità di I livello;
2) Vulnerabilità di II livello per la muratura;
3) Vulnerabilità di II livello cemento armato.

9.3.3.1 Scheda di I livello GNDT


La scheda di primo livello riporta informazioni di carattere generale, atte ad
individuare un aggregato strutturale sia in muratura che in cemento armato e la sua
possibile ripartizione in singoli edifici, nonché alla determinazione, per i singoli edifici,
della esposizione e della vulnerabilità di massima con riferimento alla classificazione
effettuata dalla scala macrosismica MSK, di cui si è detto in precedenza. La scheda di
primo livello si compone di otto sezioni definite nella Tabella 9.2

Sezione Descrizione
1 Dati relativi alla scheda
2 Localizzazione edificio
3 Dati metrici
4 Uso
5 Età della costruzione - interventi
6 Stato delle finiture ed impianti
7 Tipologia strutturale
8 Estensione e livello del danno
Tabella 9.2: Descrizione della scheda di I livello del GNDT.
Significativa è la sezione 8, nella quale il livello del danno (suddiviso in sei livelli da
A -nessun danno- ad F -danno totale-), deve essere indicato ai vari piani e separatamente
per:
a) Strutture verticali;
b) Strutture orizzontali e coperture;
c) Scale;
d) Tamponature in edifici in c.a. e tramezzi in edifici in c.a. ed in muratura.
Vanno inoltre indicati l’estensione del danno più frequente e il danno massimo
riscontrato.
La scheda di primo livello non si presta ai rilevamenti inerenti le costruzioni a
carattere monumentale e comunque al di fuori dei canoni della edilizia abitativa.
Pag. 160 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

9.3.3.2 Valutazione della vulnerabilità MSK sulla base della scheda di I


livello
La scala MSK definisce tre classi di strutture (A, B, C) con differenti resistenze
sismiche crescenti dalla classe A alla C.
Tali classi, più in dettaglio, si possono così definire:
• STRUTTURA DI CLASSE A: costruzioni in pietrame naturale, costruzioni
rurali, case con mattoni crudi o con malta di argilla e case con argille o limo;
• STRUTTURA DI CLASSE B: costruzioni in mattoni comuni, in grossi blocchi o
in prefabbricati, muratura con telai di legname, costruzioni in pietra squadrata;
• STRUTTURA DI CLASSE C: costruzioni armate, strutture in legno ben fatte.
Occorre tenere presente che in recenti rilevamenti la classe C è stata suddivisa
ulteriormente in due sottoclassi C1 (abitazioni in muratura di buone caratteristiche) e C2
(abitazioni in c.a.).

9.3.3.3 Scheda di II livello GNDT


Tale scheda è predisposta per gli edifici in cemento armato, per gli edifici in
muratura e per gli edifici industriali.
La scheda di secondo livello per la muratura fa uso di un valore numerico chiamato
“indice di vulnerabilità” (da qui il nome di metodo dell’indice di vulnerabilità), che
rappresenta la qualità sismica di ogni edificio ed è ottenuto come somma pesata di valori,
che influenzano il comportamento sismico di elementi, di carattere strutturale e non, di
interesse ai fini della vulnerabilità.
Gli elementi considerati, nella scheda del GNDT sono 11; i quali, con le relative
classi e pesi, sono riportati nella Tabella 9.3.
Con riferimento a ciascun parametro, la scheda risulta divisa in cinque parti,
destinate ad accogliere le seguenti informazioni:
• Parametro;
• Classe:
classificazione dei parametri richiesti in quattro possibili classi: A, B, C,
D;
• Qualità dell’informazione:
grado di attendibilità dell’informazione, E, M, B, A, in cui si intende per:
− E = qualità elevata: è conseguibile mediante misure dirette effettuate in
sito o lettura di elaborati e grafici affidabili;
− M = qualità media: vi si perviene da letture indirette o misure desunte da
elaborati non esecutivi;
− B = qualità bassa: caratterizza situazioni in cui si operi con misure
dedotte solo da ragionevoli ipotesi o informazioni;
− A = qualità assente: ove la valutazione del rilevatore ha valore puramente
indicativo.
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 161

• Elementi di valutazione:
da rilevare se richiesti;
• Schemi - richiami:
promemoria di quanto riportato nel manuale di compilazione.
Appare importante, nell’effettuare la descrizione dei parametri, evidenziare i criteri
adottati per la definizione dei diversi pesi attribuiti ai vari elementi. Tale aspetto é molto
importante, dal momento che da tali pesi dipende il valore dell’indice di vulnerabilità VI e
la correlazione tra lo stesso ed il valore di danno atteso.

Classe
Parametro Peso
A B C D
1) Tipo ed organizzazione del
1
sistema resistente
2) Qualità del sistema resistente 0 5 25 45 0.25

3) Resistenza convenzionale 0 5 25 45 1.5


4) Posizione dell’edificio e
0 5 25 45 0.75
fondazione
5) Orizzontamenti 0 5 15 45 VAR.

6) Configurazione planimetrica 0 5 25 45 0.5

7) Configurazione in elevazione 0 5 25 45 VAR.


8) Distanza massima tra le
0 5 25 45 0.25
murature
9) Copertura 0 5 25 45 VAR.

10) Elementi non strutturali 0 0 25 45 0.25

11) Stato di fatto 0 5 25 45 1

Tabella 9.3: Parametri previsti dalla scheda di secondo livello del GNDT per la
determinazione della vulnerabilità sismica
1) Tipo ed organizzazione del sistema resistente.
L’attribuzione di un edificio ad una delle quattro classe viene effettuata, esaminando
come elemento significativo la presenza e l’efficacia dei collegamenti fra pareti ortogonali,
tali da assicurare l’efficienza del comportamento scatolare della struttura.
Pag. 162 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Ai fini della resistenza sismica questo parametro è sicuramente uno dei più
significativi. Da qui l’attribuzione di un peso uguale ad 1 per tale elemento.

2) Qualità del sistema resistente.


Con questo parametro si tiene conto dei diversi tipi di muratura utilizzati,
differenziandone, in modo qualitativo, le caratteristiche di resistenza al fine di valutarne
l’efficienza.
La classificazione viene effettuata in funzione di due fattori: da un lato il tipo di
materiale e la forma degli elementi costituenti la muratura, dall’altro l’omogeneità di
materiali e di pezzatura per tutta l’estensione della parete.
Per quanto concerne il peso di tale parametro, occorre osservare che la natura delle
strutture verticali (diversi tipi di muratura utilizzata, e descrizione qualitativa delle
caratteristiche di resistenza), interviene anche nella valutazione dell’efficienza degli
elementi resistenti (Resistenza convenzionale), attraverso il valore della resistenza
tangenziale di riferimento, caratteristica del tipo di muratura; questo parametro invece
intende tenere conto della maggiore o minore probabilità di ricsdere in zone di ridotta
resistenza nell’ambito dell’intero sistema delle strutture verticali. Per tale motivo tale
elemento viene considerato come secondario, con un peso più basso pari a 0.25.

3) Resistenza convenzionale.
La valutazione della resistenza di un edificio in muratura alle azioni sismiche, segue
un procedimento semplificato che richiede il rilevamento dei seguenti dati, relativi al piano
di verifica:
• N: numero di piani a partire da quello di verifica (incluso)
• At: area coperta media al disopra del piano di verifica
• Ax, Ay: area totale degli elementi resistenti in due direzioni ortogonali. La
lunghezza degli elementi resistenti è misurata tra gli interassi dei muri ortogonali
di intersezione.
L’area degli elementi inclinati di un angolo α, rispetto alla direzione considerata, va
moltiplicata per cos2 α, dove α rappresenta il più piccolo degli angoli di inclinazione
dell’elemento, rispetto alla direzione di riferimento .
Indicando con:
• A: valore minimo fra Ax e Ay
• B: valore massimo fra Ax e Ay
• a 0 = A / At
• γ=B/A
si dimostra che C, rapporto fra il taglio ultimo a livello del piano di verifica ed il peso P
della parte di edificio al disopra, è dato con buona approssimazione da:
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 163

a0 ⋅ τ K q⋅N
C= ⋅ 1+ (9.8)
q⋅N 1.5 ⋅ a0 ⋅ τ K (1 + γ )

dove:
• τK = valore di riferimento della resistenza tangenziale, caratteristica del tipo di
muratura;
• q = peso medio per unità di area coperta di un livello dell’edificio (somma del
peso di un solaio e di una quota di interpiano di muratura riferita all’unità di area).
Il valore della resistenza τK, in assenza di informazioni sperimentali, può essere
desunta dai valori di riferimento riportati nel manuale di compilazione, relativo alla scheda
di II livello. Tali valori, si ispirano a quelli suggeriti dal D.M. del 2/7/1981.
Il peso medio per unità di area coperta, può essere valutato in funzione del peso
specifico medio della muratura PM, del peso medio per unità di superficie del solaio PS
(relativo ai soli carichi permanenti) e della altezza media di un interpiano h, mediante la
seguente relazione:
( A + B ) ⋅ h ⋅P
q= M ⋅PS (9.9)
AT

L’altezza media di interpiano è stata valutata facendo la media delle singole altezze
di piano, già riportata nella scheda di primo livello.
Il peso specifico medio delle murature PM è stato ricavato, in base ai valori riportati
nel manuale (estratti dalla circolare del ministero dei lavori pubblici del 1982); in
particolare è stato scelto il valore relativo alla muratura di tufo.
Il peso medio per unità di superficie del solaio PS, è stato stimato con una certa
approssimazione, tenuto conto che nella valutazione di q, tale operazione non comporta
errori significativi, essendo il valore di PS, nettamente inferiore rispetto al primo addendo,
che troviamo nella formula di q.
Confrontando infine il valore di C con quello suggerito dalla normativa C* = 0.4,
mediante il rapporto α = C / C* si procede alla determinazione della classe dell’edificio.
Con questo parametro viene in pratica effettuata una valutazione della resistenza
ultima degli elementi verticali in modo convenzionale, nel senso che si procede ad un
calcolo semplificato. L’entità degli elementi resistenti è il fattore di primaria importanza ai
fini della resistenza sismica di un edificio: ciò si traduce nell’assegnare a questo parametro
un peso pari a 1.5.

4) Posizione dell’edificio e tipo di fondazione


Con questa voce si vuole valutare l’influenza del terreno e delle fondazioni. Gli
aspetti da considerare sono i seguenti:
a) Consistenza del terreno e pendenza percentuale
b) Eventuali fondazioni a quote diverse
Pag. 164 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

c) Spinte non equilibrate di terrapieni.


Appare evidente che la valutazione di tali elementi mediante indagine visiva e
ricognizioni sul posto, risulta molto difficile, se non impossibile, senza l’ausilio di
certificazioni eventuali allegate al progetto dell’edificio.
Inoltre per questo parametro nella definizione delle classi, non si tiene conto di
situazioni caratterizzate da fenomeni franosi o da liquefazione: in questi casi sono
prevedibili forme di divieto di uso dei suoli a fini edilizi o interventi particolarmente
onerosi e delicati. Con questa precisazione, appare chiaro che la distinzione fra terreni
stabili e non si riferisce in questo ambito, essenzialmente alla possibilità che un evento
sismico provochi cedimenti differenziali a livello delle fondazioni. Tenendo conto di queste
limitazioni si è assegnato a tale parametro un peso pari a 0.75.

5) Orizzontamenti
La qualità degli orizzontamenti è molto importante, come già detto in precedenza,
nella determinazione della vulnerabilità. I requisiti, che bisogna verificare per l’attribuzione
dell’edificio ad una delle quattro classi, sono i seguenti:
a) Funzionamento a lastra ad elevata rigidezza per deformazioni nel suo piano (es.
presenza di una solettina di calcestruzzo eventualmente armata).
b) Efficace collegamento agli elementi verticali (es. presenza di getti in c.a. di
collegamento).
In questo caso il peso da utilizzare nella combinazione dei punteggi relativi ai vari
elementi non è costante, dipendendo dal numero di orizzontamenti rigidi e ben collegati. Il
peso è ricavato dalla seguente relazione:
k = 0.5 / a0 (9.10)
dove a0 è il rapporto fra il numero di orizzontamenti che competerebbe alla classe A o B ed
il numero totale di orizzontamenti. Se k risultasse maggiore di uno, si assumerà k = 1.
Questo parametro, dunque, rientra senza dubbio negli elementi importanti ai fini
della resistenza sismica; la qualità degli orizzontamenti, infatti ha una notevole importanza
nel garantire un buon funzionamento degli elementi resistenti, essendo d’altra parte non
raro il caso di edifici, nei quali si è verificato il collasso degli orizzontamenti con
conseguenze notevoli in termini di danni e vittime.

6) Configurazione planimetrica.
L’assegnazione di un edificio alle varie classi, per questo parametro, avviene sulla
base della condizione più sfavorevole, relativamente al piano di verifica, definita dai
parametri Β1 e Β2.
Il parametro Β1 è significativo nel caso di edifici rettangolari (valuta il rapporto tra i
due lati (rapporto che se è elevato, è indice di buona resistenza sismica).
Il parametro Β2 è significativo nel caso di edifici, che si discostano dalla forma
rettangolare. I parametri suddetti vengono così definiti:
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 165

a b
Β1 = Β2 = (9.11)
l l
La regolarità della pianta di un edificio è, in genere un elemento importante ai fini
della distribuzione delle azioni sismiche fra i vari elementi resistenti: nel caso di edifici in
muratura, però l’importanza di questo elemento è in parte limitata dalla presenza di
strutture resistenti distribuite abbastanza uniformemente; pertanto a tale parametro è stato
assegnato un peso pari a 0.5.

7) Configurazione in elevazione.
Una distribuzione regolare della resistenza e della rigidezza lungo l’altezza
dell’edificio costituisce, insieme alla regolarità delle piante, un fattore significativo ai fini
di un buon funzionamento sismico delle strutture.
La mancanza di regolarità in elevazione d’altra parte, può modificare in modo
significativo il comportamento dinamico dell’edificio dando luogo, di conseguenza ad un
aggravio delle sollecitazioni sismiche; per tenere conto di ciò si attribuisce peso 1 a questo
elemento. Se l’irregolarità dell’edificio è dovuta solamente alla presenza di porticati al
piano terra, il peso viene ridotto a 0.5: ciò si giustifica, considerando che di tale situazione
si tiene già conto, analizzando l’entità degli elementi resistenti.

8) Distanza massima tra le murature.


Con tale voce, si tiene conto per ogni muro portante, della benefica presenza di muri
trasversali. Le classi sono definite in funzione del rapporto fra l’interasse tra i muri
trasversali e lo spessore del muro maestro.
Questo elemento è considerato secondario ai fini della valutazione della
vulnerabilità: ciò si traduce nell’attribuire a tale parametro peso 0.25.

9) Copertura.
Gli elementi di valutazione per questo parametro sono i seguenti:
a) Tipo di copertura peggiore presente: spingente, poco spingente, non spingente.
b) La presenza o assenza di cordoli di sottotetto.
c) La presenza o assenza di catene.
d) Il carico permanente della copertura
e) Il perimetro l della copertura
f) La lunghezza lA di appoggio della copertura data dalla differenza tra il perimetro e gli
spazi tra i vari muri.
I parametri a, b, c, sono quelli che, servono a determinare la classe di appartenenza
di un edificio.
Per quanto concerne il peso di questo parametro esso viene definito come segue:
Pag. 166 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

k = 0.5 + a1 + a2 (9.12)
dove:
• a1 = 0.25 per copertura in latero - cemento o comunque di peso maggiore o uguale
a 200 Kg/m2, e pari a 0 negli altri casi;
• a2 = 0.25 se il rapporto tra il perimetro della copertura e la lunghezza complessiva
delle zone di appoggio è maggiore o uguale a 2, a2 = 0 negli altri casi.

10) Elementi non strutturali.


Si tratta sicuramente di un elemento secondario ai fini della vulnerabilità; si tiene
conto in questa voce infatti di infissi, appendici e altri oggetti, che possono causare danno a
persone o cose. Per tale motivi il peso assegnato a tale parametro è 0. 25.

11) Stato di fatto.


Lo stato di conservazione dell’edificio influisce sicuramente sulla sua resistenza
sismica, ecco perché per tale fattore il peso utilizzato è 1.
La scheda di secondo livello richiede un impiego di tecnici più specializzati ed una
profusione di impegno molto maggiori rispetto a quella di primo livello, che risulta meno
tecnica.
L’indice di vulnerabilità che si ricava, compreso tra 0 e 382.5 (in diverse
applicazioni l’indice viene normalizzato nell’intervallo 0 - 100), non fornisce alcuna
informazione sulla distribuzione di danno.
Occorre operare, come d’altronde è nello spirito dei metodi indiretti mediante
tecniche di regressione statistiche, su campioni di edifici che nel passato hanno subito
terremoti di varie intensità, e per i quali sia disponibile una stima di vulnerabilità al fine di
massimizzare la correlazione tra l’indice di vulnerabilità VI e il danno. La definizione del
danno è possibile in diversi modi, a seconda del tipo di informazioni raccolte e l’uso dei
risultati richiesti.
Un primo modo consiste nel definire un danno meccanico. Questa via richiede una
definizione dipendente dal legame costitutivo del materiale o dell’elemento. Un secondo
modo consiste nel definire il danno come rapporto fra il costo del ripristino e il costo totale
dell’edificio.
Quando si parla di vulnerabilità si fa uso più frequente del secondo modo, mentre si
tende ad usare il primo, quando si effettua un’analisi di stabilità.
Partendo da queste considerazioni il GNDT, adottando l’approccio classico della
regressione statistica è giunto a definire una relazione matematica, che lega il valore di un
opportuno indice di danno (parametro misuratore del danno) assunto come variabile
dipendente e l’indice di vulnerabilità VI, assunto come variabile indipendente, in funzione
della intensità sismica o di un parametro ad essa collegato (es. accelerazione massima al
suolo).
Capitolo 9: Definizione della vulnerabilità sismica per edifici in muratura Pag. 167

L’indice di danno, che è definito tra (0, 1) e corrisponde a considerare i 6 stati di


danno, ordinati in modo crescente dal migliore al peggiore, viene definito dalla seguente
relazione:
4 n
D= ∑∑ ci ⋅ k j ⋅ dij (9.13)
i =1 j =1

dove:
• ci è l’incidenza in termini di costo per l’elemento i-esimo inteso come rapporto fra
costo medio degli elementi di tipo i (strutture verticali, orizzontali, scale,
tamponature e tramezzi) e costo totale dell’edificio.
• Kj = è il peso del piano j-esimo (rapporto fra i volumi del piano considerato e
quello totale per le strutture verticali e per le tamponature ed i tramezzi, oppure tra
la superficie del piano j-esimo e quella totale per le strutture orizzontali e le scale).
• dij = indice di danno per l’elemento i-esimo fra i 4 previsti (strutture verticali,
orizzontali, scale, tamponature e tramezzi) e per il piano j-esimo, definito dalla
seguente relazione:
dij = e de + ( 1- e ) dm /3 (9.14)
Con:
de : indice di danno più frequente per l’elemento i-esimo e per il piano j-
esimo;
dm: indice di danno massimo per l’elemento i-esimo e per il piano j-esimo.

9.3.3.4 Valutazione della vulnerabilità con la scheda di secondo livello


In tabella 9.4 viene riportata, a titolo esemplificativo, l’analisi di vulnerabilità
effettuata per un edificio in muratura.

Punteggio
Punteggio
Parametro Classe della Peso
parziale (VI)
classe
1) Tipo ed organizzazione del
A 0 1 0
sistema resistente
2) Qualità del sistema resistente C 25 0.25 6.25

3) Resistenza convenzionale C 25 1.5 37.5


4) Posizione dell’edificio e
B 5 0.75 3.75
fondazione
5) Orizzontamenti A 0 0.5 0
Pag. 168 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

6) Configurazione planimetrica D 45 0.5 22.5

7) Configurazione in elevazione A 0 1 0
8) Distanza massima tra le
A 0 0.25 0
murature
9) Copertura B 15 0.5 7.5

10) Elementi non strutturali A 0 0.25 0

11) Stato di fatto A 0 1 0

Tabella 9.4: Punteggi relativi ai singoli parametri, per la determinazione dell’indice di


vulnerabilità

L’indice di vulnerabilità totale VI, che si ricava dalla somma dei punteggi parziali,
risulta essere pari a 77.5, valore che normalizzato nell’intervallo 0-100, risulta essere 20.26.
In tale scala il GNDT definisce bassa una vulnerabilità che ha indice ≤ 20, media una
vulnerabilità con indice 50 e alta una vulnerabilità con indice ≥ 80, pertanto l’edificio
oggetto di studio, nelle condizioni suddette, può essere inquadrato in una fascia di
vulnerabilità medio - bassa.
Capitolo 10

TECNICHE DI CONSOLIDAMENTO DI
EDIFICI DISSESTATI

10.1 Inquadramento generale degli interventi

La tendenza al recupero dei centri storici, mantenendo le caratteristiche globali e


tipologiche degli edifici esistenti, la necessità di intervenire per eliminare il degrado delle
vecchie costruzioni in muratura nel rispetto delle tecniche costruttive e dei materiali
esistenti, stanno portando i tecnici ad una maggiore conoscenza del costruito ed alla
necessità di indagini sempre più approfondite e specifiche per il singolo edificio, in
relazione al quadro statico e storico di esso.
Soltanto dopo la completa acquisizione conoscitiva delle caratteristiche dell’edificio
si può decidere l’insieme di interventi da effettuare, tenendo conto anche della destinazione
d’uso degli immobili e di un accettabile grado di sicurezza. Ogni operazione da effettuare
deve essere articolata attraverso le fasi di indagine, di diagnosi e di definizione degli
interventi da attuare.
La prima indagine da fare è di tipo storico-ambientale, accompagnata dal rilievo
completo del manufatto dal punto di vista geometrico strutturale, evidenziando e
“leggendo” gli eventuali rimaneggiamenti subiti attraverso le fasi temporali del suo
accrescimento e delle sue trasformazioni.
Vanno individuati i materiali costitutivi, le tecnologie costruttive e gli interventi
operati sugli elementi tecnici dell’organismo edilizio.
Si deve effettuare uno studio completo del “quadro fessurativo” da completare con
saggi diretti, preferibilmente di tipo non distruttivo, e con l’individuazione dei vari
orizzontamenti esistenti e delle loro effettive condizioni statiche, con particolare riferimento
allo stato delle fondazioni.
La conoscenza acquisita in questa prima fase porterà ad una diagnosi corretta ed
all’individuazione del modello statico esistente, costituendo la base da cui poter iniziare a
lavorare per le eventuali variazioni e integrazioni da realizzare.
Per la diretta conoscenza delle caratteristiche dei materiali di costruzione degli
elementi portanti verticali (setti murari), si può procedere con relativa facilità alla
determinazione delle tensioni di rilassamento o di quelle di rottura attraverso l’uso di
martinetti piatti, realizzando, anche prove di tipo ciclico.
Pag. 170 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

I valori di resistenza ottenuti con tali prove sono indispensabili per le successive
operazioni di verifica dell’edificio nelle condizioni esistenti. Al fine di individuare
disomogeneità e discontinuità nelle murature si possono effettuare indagini soniche
attraverso lo studio della velocità di propagazione delle onde nelle murature; se nella
struttura sono disponibili o praticabili perforazioni si può procedere ad indagini di tipo
“cross-hole” o “down-hole”.
Per la determinazione delle caratteristiche elastiche delle murature si possono
effettuare prove ultrasoniche, con possibilità di visualizzare il segnale attraverso un
oscilloscopio digitale. Con diverse finalità si eseguono anche indagini termografiche,
indispensabili per l’individuazione di aperture successivamente occultate, di elementi
attualmente nascosti, quali tiranti, catene, canne fumarie. La relazione esistente tra la
conducibilità termica dei vari componenti murari e le loro densità permette di approfondire,
attraverso la termografia, lo studio dei materiali.
Per quanto riguarda gli orizzontamenti, prima di decidere fra interventi di semplice
miglioramento, di integrazione, rafforzamento o sostituzione, si deve procedere a prove di
carico, preferibilmente di tipo ciclico, con il controllo delle massime deformazioni e delle
capacità di recupero in campo elastico. Con prelievi di tipo distruttivo ma localizzati e di
limitata asportazione di materiale si procede inoltre a carotaggi, per la valutazione delle
resistenze a compressione e dei pesi specifici. Da tali prelievi si possono ricavare pure i
campioni per la determinazione delle proprietà fisico- chimiche, della porosità, della
capacità di imbibizione e della permeabilità dei materiali di costruzione.
Per la conoscenza delle sottomurazioni e delle fondazioni oggi è possibile procedere
ad un esame in sito con mezzi accessibili di tipo endoscopico.
In relazione al particolare edificio ed alle sue caratteristiche costruttive vanno
effettuate altre indagini, ma soprattutto va eseguito un quadro fessurativo completo, da
valutare e da interpretare anche con l’ausilio di una dettagliata documentazione fotografica,
con l’ubicazione delle foto sia nelle piante che nei prospetti.

10.2 Criteri di intervento sulle murature

10.2.1 Intervento passivo


Si definisce passivo un intervento di consolidamento che affianca alle strutture
esistenti nuovi mezzi per assorbire i carichi più severi, mantenendo sostanzialmente
l’organismo strutturale (comprese le parti inefficienti) nella situazione attuale per quanto
riguarda i carichi esistenti. Le parti deficitarie non vengono sottratte alle proprie funzioni
portanti, ma mantenute inalterate, vengono fornite nelle situazioni più gravose di un aiuto
complementare. Tali aiuti consistono:

• in un incremento delle resistenze meccaniche delle strutture esistenti;


Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 171

• nella creazione di nuove strutture affiancate alle esistenti, idonee a sgravare


queste nel caso dell’applicazione di azioni più severe (sovraccarichi, sismi,
azioni eoliche, ecc.).
Un’operazione avente tale natura pone una struttura in condizione di adempiere con
adeguata sicurezza alle proprie funzioni, laddove prima tali funzioni venivano espletate in
condizioni di sicurezza non sufficiente.
Il consolidamento passivo, quindi, realizza un ideale spostamento della situazione
ultima (innalzamento delle azioni limite), allontanandola rispetto alla situazione di servizio,
laddove però la situazione di servizio, (quella presente al momento dell’intervento), rimane
sostanzialmente fissa, non venendo alterata dall’intervento.
Con riferimento ai risultati strutturali conseguiti, ed alla sicurezza, va segnalato che
un intervento passivo incrementa l’ente resistente, lasciando invece immutato l’ente
sollecitante.
Alcune tra le principali tecniche d’intervento passivo sono:
• Iniezioni di malte o compositi a base di legante speciale.
• Iniezioni chiodate.
• Rivestimento con paretine armate (placcaggio).
• Cordoli.

10.2.2 Intervento sostitutivo


Si definisce sostitutivo l’intervento di consolidamento inteso a sostituire una parte
dell’organismo strutturale che sia ammalorata, o di resistenza inferiore a quella occorrente,
oppure che abbia un comportamento strutturale non soddisfacente. L’obiettivo è di
realizzare una muratura di idonee caratteristiche meccaniche per le azioni esistenti.
La sostituzione avviene con altra muratura di adeguate caratteristiche, o con altri
elementi che si vanno a sostituire, come funzione portante, alla muratura esistente.
Una tra le principali tecniche d’intervento sostitutivo è il cuci e scuci, a volte però si
sostituisce la muratura con profilati metallici, come si fà nelle colonne.

10.2.3 Intervento attivo


Si definisce attivo quell’intervento che esplica completamente la propria funzione
strutturale all’atto dell’esecuzione, partecipando senza il bisogno di un incremento delle
azioni agenti. Tale intervento fornisce forze che modificano convenientemente la situazione
esistente.
Con un intervento attivo, si migliorano, innalzandole, sia le situazioni di servizio
(esistenti al momento dell’intervento), che le condizioni ultime, rispetto alle corrispondenti
situazioni proprie della fase pre-consolidata.
Un esempio di intervento attivo è quello che utilizza tiranti posti in conveniente
trazione nel corso della messa in opera, in modo da produrre sull’organismo strutturale
Pag. 172 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

azioni coattive di considerevole e prefissata entità; s’intuisce che l’ancoraggio dei tiranti e
le tecniche di pretrazione presentano delicati aspetti esecutivi, ai quali è bene prestare la
massima attenzione.

10.3 Rinforzo delle fondazioni


Molti dei dissesti delle strutture murarie in elevazione, oltre che da cause che ne
alterano le condizioni di equilibrio, dipendono da deficienze delle strutture di fondazione o
da cedimenti del terreno.
Tuttavia è opportuno precisare che in talune circostanze le norme consentono di
omettere le verifiche delle fondazioni.
In particolare, in zone non sismiche, il DM 20/11/87 precisa che i provvedimenti
sulle strutture di fondazione e le relative verifiche possono essere omesse, qualora siano
contemporaneamente verificate le seguenti circostanze:
a) nella costruzione non sono presenti dissesti di qualsiasi natura attribuibili a
cedimenti delle fondazioni;
b) gli interventi di consolidamento non comportano alterazioni dello schema
strutturale del fabbricato sostanziali per la trasmissione delle sollecitazioni al terreno;
c) gli stessi interventi non comportano rilevanti modificazioni dei pesi e dei
sovraccarichi dell'edificio;
d) non sono in atto modificazioni sensibili dell'assetto idrogeologico della zona che
possano influenzare la stabilità delle fondazioni.
Indicazioni analoghe vengono fornite dal DM 16/01/96 per gli edifici in zona
sismica. In tal caso, è possibile omettere i provvedimenti sulle strutture di fondazione
quando siano verificate contemporaneamente tutte le seguenti circostanze:
a) nella costruzione non siano presenti importanti dissesti di qualsiasi natura
attribuibili a cedimenti delle fondazioni e sia stato accertato che dissesti della stessa natura
non si siano prodotti neppure in precedenza;
b) gli interventi di adeguamento non comportino sostanziali alterazioni dello
schema strutturale del fabbricato;
c) gli stessi interventi non comportino rilevanti modificazioni delle sollecitazioni
trasmesse alle fondazioni;
d) siano esclusi fenomeni di ribaltamento della costruzione per effetto delle azioni
sismiche valutate assumendo β = 2.
Infine va rilevato che nell’OPCM 3274/93 non si fa alcun riferimento a circostanze
nelle quali è possibile omettere la verifica e l’adeguamento delle strutture di fondazione.
Allorché si manifesta un dissesto, in mancanza di progetti esecutivi e di relazioni
tecniche relative all’edificio interessato o, se tali elaborati esistono, a verifica dello stato di
conservazione delle opere, è necessario accertarsi della consistenza delle strutture di
fondazione e della natura del terreno su cui esse gravano.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 173

Per far questo, il sistema più semplice, ma spesso non sufficiente, è quello di
eseguire scavi verticali a pozzo a ridosso dei muri.
Tali pozzi avranno dimensioni (almeno 1.20 x 1.50m) tali da consentire lo scavo a
mano e l’estrazione del materiale di risulta.
Dovranno essere approfonditi fino al piano di posa delle fondazioni e pertanto, in
relazione alla natura del terreno e alla profondità raggiunta, dovranno essere sbadacchiati
opportunamente.
Dal pozzo sarà possibile rilevare:
• Le caratteristiche costruttive della fondazione;
• Le sue dimensioni:
• Il suo stato di conservazione;
• La natura dello strato superficiale di terreno su cui grava.
Da questo esame si ottengono dati certi per quanto riguarda la fondazione ma molto
incerti per quanto riguarda il terreno di cui possono rilevarsi soltanto le caratteristiche dello
strato superficiale.
Pertanto è sempre opportuno eseguire saggi nel terreno mediante trivellazioni e
carotaggi, spinti ad una profondità rapportata al carico e alla larghezza della fondazione, al
fine di accertare se il cedimento è semplicemente dovuto alla compressibilità dello strato
superficiale o ad altre cause derivanti dalla natura degli strati sottostanti più o meno
profondi o dal regime idraulico del terreno o da erosioni.
Con le cognizioni eseguite mediante queste indagini nel terreno, con la conoscenza
dei dati relativi alle strutture di fondazione esistenti e con l’analisi delle cause che,
alterando le condizioni di equilibrio delle strutture di elevazione, possono avere contribuito
al dissesto, è possibile scegliere il tipo di intervento tra quelli attuabili, sempre ricordando
che tale intervento deve essere coordinato con gli altri, che lo precederanno e lo seguiranno
secondo i casi, da eseguire nelle strutture in elevazione.
Allo scopo di classificare i possibili interventi di rinforzo delle fondazioni è
possibile innanzitutto distinguere gli interventi di rinforzo in due categorie:
1) Interventi che riducono lo stato tensionale nel terreno di fondazione realizzando
un incremento della superficie di scarico;
2) Interventi che trasferiscono parzialmente o totalmente le sollecitazioni su strati di
terreno più profondi e di migliori proprietà meccaniche mediante l’approfondimento del
piano di posa.
In relazione alle precedenti due categorie, si osserva che alcuni interventi possono
produrre entrambi gli effetti, ovvero un allargamento ed un approfondimento del piano di
posa, ed è questo il caso delle sottofondazioni, mentre altri interventi realizzano o il solo
allargamento della superficie di scarico, come l’intervento con cordoli aderenti alla
muratura, o soltanto il coinvolgimento di strati più profondi del terreno di fondazione come
l’intervento con infissione di pali o micropali. Nel seguito, pertanto, vengono esaminate le
modalità esecutive e le caratteristiche dei seguenti interventi su fondazioni:
Pag. 174 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Incremento della Approfondimento


superficie del piano di posa
Sottofondazione con muratura di mattoni e x x
malta di cemento
Sottofondazione con soletta in c.c.a. x x
Sottofondazione con cordoli aderenti in c.c.a. x
Infissione di pali trivellati in c.c.a. posti sui due x
lati della muratura
Infissione di pali trivellati sotto la fondazione x
esistente
Infissione di micropali x

10.3.1 Consolidamento mediante sottofondazione con muratura di


mattoni e malta di cemento
Le sottofondazioni o sottomurazioni dei muri sono estese all’intera base fondale e
trovano impiego nei terreni di fondazione profondi non più di 4 o 5 m sotto la superficie del
suolo, da un punto di vista costruttivo consistono nella realizzazione di una nuova
fondazione sotto quella esistente, ma in continuità, ed il più possibile in contrasto con
quest’ultima.
Con la sottomurazione si trasferisce il carico ad un piano di posa più profondo,
ritenuto più idoneo, in tal modo si sfrutta la maggiore portanza degli strati di terreno più
profondi, allargando contemporaneamente la base d’appoggio per ridurre il carico unitario
sul terreno.
La sottomurazione deve essere eseguita con ogni possibile cautela per non turbare
l’equilibrio statico del sistema murario da consolidare né quello degli edifici vicini,
specialmente nei muri perimetrali che non fruiscono di un contrasto bilaterale.
Questo tipo d’intervento si attua in presenza di fondazioni mal realizzate, dissestate
o addirittura di muri non fondati quando, per ottenere un soddisfacente consolidamento del
sistema, non è tuttavia possibile ed opportuno intervenire anche dall'interno del fabbricato.
La convenienza di questa operazione è in particolare modo condizionata dal fatto
che i carichi trasmessi al piede siano modesti e che i lavori possano essere eseguiti a poca
profondità.
Con questo intervento si ripristina o si migliora la dovuta funzione di trasmettere
omogeneamente al terreno i carichi del sistema edilizio, anche in funzione di dover
soddisfare a nuove condizioni di carico previste dal progetto di intervento complessivo
sull'edificio.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 175

Fig. 10.1: Individuazione del nuovo piano fondale


Modalità esecutive dell'intervento:
a) Si eseguono le puntellature delle strutture in elevazione; Si divide la vecchia fondazione
in cantieri della lunghezza dai 3 ai 4 m corrispondenti ai pieni fra l’una e l’altra apertura
di porta o di finestra del piano terreno (cantiere dei pieni).
Se le aperture sono più distanziate fra di loro, il pieno fra esse interposto si divide in
due o più cantieri. Si individuano poi i cantieri corrispondenti ai vuoti delle porte e delle
finestre del piano terreno (cantiere dei vuoti). Ciascun cantiere viene distinto da un
numero d’ordine, per indicare la successione con la quale i lavori dovranno essere
eseguiti (Fig. 10.2).
La serie dei numeri, cominciando dall’1, interesserà i cantieri dei vuoti, per
estendersi poi ai pieni. La numerazione deve essere disposta in modo che ciascun
numero differisca almeno di due unità dai numeri contigui allo scopo di non attaccare
un cantiere contiguo a un altro appena ultimato. Se il fronte è molto lungo uno stesso
numero può essere ripetuto più volte per stabilire altrettanti cantieri simultanei di
lavoro.
Pag. 176 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.2: Successione di cantieri sottofondali


Con questa procedura si mira all’attacco delle regioni meno gravate dalle
sollecitazioni per assicurarsi dei solidi organi di partenza per l’attacco graduale delle
altre regioni più sollecitate; i cantieri dei vuoti andranno estesi per interessare i cantieri
contigui dei pieni.
b) Esecuzione degli scavi, da entrambi i lati del muro per i muri di grosso spessore
(S>1,50m) o da un solo lato per i muri di spessore normale, in corrispondenza delle
aperture presenti nella muratura sovrastante, sbatacchiando le pareti man mano che si
va in profondità;
c) Raggiunta coi primi settori, la quota di imposta della vecchia fondazione (Fig. 10.3), si
procede alla suddivisione in più sottoscavi o sottocantieri (larghi circa 1,20 m a
seconda delle caratteristiche della muratura esistente e della terra).
d) Rimossa la terra di scavo anche sotto la fondazione esistente, in corrispondenza dei
sottocantieri, si esegue un getto di spianamento in magrone di calcestruzzo (h=12/15
cm.), inserendo dei puntelli tra l’intradosso della muratura e il fondo dello scavo;
e) si esegue la muratura in mattoni e malta di cemento con lo spessore di progetto,
lasciando sui fronti le regolari riseghe; sui fianchi le ammorsature per i successivi muri
sottofondali contigui, lasciando tra nuova e vecchia muratura lo spazio di un filare di
mattoni;
f) si mette provvisoriamente a contrasto la nuova muratura con la vecchia mediante
l’inserzione di cunei in legno duro nel cavo fra le due murature, cacciati a forza, ma
senza urti;
g) sostituzione successiva per 3-4 giorni con cunei più grossi (per compensare
l'abbassamento della nuova muratura);
h) ad assestamento avvenuto (4° giorno) estrazione dei cunei e muramento dell'ultimo
filare di mattoni, eseguito con mattoni foggiati a cuneo, forzati a contrasto con colpi di
martello, interponendo fra muro e mattoni, un legno dolce per evitare rotture del
laterizio, intasando fino a rifiuto con malta di cemento gettata a profusione nel vano.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 177

Fig. 10.3: Suddivisione in sottocantieri


Raggiunto il punto e) si può iniziare il 2° scavo. Se fra i due settori di scavo la
distanza è considerevole, si possono iniziare contemporaneamente.
Nel caso di operazioni diffuse e con edifici molto lesionati è necessaria l'apposizione
di puntellature provvisorie nelle zone piene, a sostegno parziale dei carichi gravanti.

Fig. 10.4: Realizzazione della fondazione

Quando si debba sospendere il lavoro durante il riposo e la sera, è necessario ben


contrastare il piano superiore murario, col soffitto dello scavo fondale. Tutte le puntellature,
col procedere delle murature, vengono a mano a mano rimosse per essere sostituite con altri
contrasti.
Pag. 178 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Catteristiche dell’intervento: La sottomurazione eseguita per cantieri provoca in generale


un rilassamento della struttura. E’ difficile ottenere una conveniente compressione del
nuovo piano di posa, questo sarà caricato solo quando su di esso andrà a gravare il peso
totale dell’immobile, intervento passivo, a prezzo di marcati cedimenti.
Nei lavori di sottofondazione è necessario impiegare murature con malta di cemento
tipo 130 Kg/cm² per realizzare con l’ausilio di una buona battitura, un calo di entità
trascurabile.
Sebbene il pietrame calcareo trovi conveniente impiego, è indubbio che in questi
lavori i migliori risultati si ottengono con l’impiego di mattoni pieni purché bagnati a
fondo.
Eseguite le murature sottofondali i vuoti degli scavi di approccio, vanno colmati con
terre argillose costipate per intercettare le eventuali acque del sottosuolo.
In questo tipo di intervento, consigliabile in zona sismica, la permanenza degli utenti
è incompatibile, ed è determinante l’incidenza delle condizioni al contorno. Per
l’esecuzione non si ha bisogno di attrezzatura o manodopera specialistica, tuttavia è
indispensabile un calcolo dimensionale accurato.

10.3.2 Consolidamento mediante sottofondazione con soletta in c.a.


In luogo delle comuni sottofondazioni in muratura si impiegano a volte le platee in
calcestruzzo armato quando il coefficiente di ampliamento è notevole (rapporto tra la
larghezza della base fondale e quella di spiccato).
Le sottofondazioni in c.a. non sono molto adatte negli interventi di sottomurazione,
in quanto debbono entrare in carico prima che abbiano raggiunto l’indurimento.
La sottomurazione deve essere eseguita con ogni possibile cautela per non turbare
l’equilibrio statico del sistema murario da consolidare né quello degli edifici vicini,
specialmente nei muri perimetrali che non fruiscono di un contrasto bilaterale.
Questo tipo di intervento si attua in presenza di fondazioni mal realizzate, dissestate
o addirittura di muri non fondati quando, per ottenere un soddisfacente consolidamento dei
sistema, non è tuttavia possibile o opportuno intervenire anche dall'interno del fabbricato.
La convenienza di questa operazione è particolarmente condizionata dalla possibilità
che i lavori siano eseguiti a poca profondità.
Con questo intervento si ripristina o si migliora la dovuta funzione di trasmettere
omogeneamente al terreno i carichi dei sistema edilizio, anche in funzione di dover
soddisfare a nuove condizioni di carico previste dal progetto di intervento complessivo
sull'edificio.

Modalità esecutive dell'intervento:


a) Esecuzione degli scavi in corrispondenza delle aperture presenti nella muratura
sovrastante; gli scavi saranno leggermente più larghi delle aperture; eseguiti uno alla
volta e in modo che fra il primo ed il secondo, vi siano almeno due settori di intervallo.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 179

b) Raggiunta col primo settore la quota d'imposta della vecchia fondazione, si procede
alla suddivisione in più sottoscavi (larghi circa mt. 1,20 a seconda delle caratteristiche
della muratura esistente e della terra); si procede allo scavo fino al nuovo piano fondale
di progetto.
c) Rimossa la terra di scavo anche sotto la fondazione esistente si esegue un getto di
spianamento in magrone di calcestruzzo (h=10/15 cm.).
d) Si posa in opera l'armatura metallica e si procede al getto della porzione di cordolo,
lasciando un certo spazio fra l'estradosso dello stesso e l'intradosso della vecchia
fondazione.
e) Trascorsi due o tre giorni dal getto si riempie lo spazio di cui sopra con muratura di
mattoni e malta di cemento lasciando ancora lo spazio di una fila di mattoni.
f) Inserimento di cunei in legno duro nel cavo fra le due murature; questi vanno sostituiti
per i seguenti 3-4 giorni con cunei più grossi, per compensare l'abbassamento della
nuova muratura.
g) Ad assestamento avvenuto (4° giorno) si estraggono i cunei e si procede al muramento
dell'ultimo filare di mattoni, intasando fino a rifiuto con malta di cemento.

Fig. 10.5: Realizzazione della soletta in c.a.


La maggiore difficoltà consiste nel collegamento fra le armature dei vari tratti di
cordolo. Una buona esecuzione è possibile solo lasciando sporgere spezzoni di armatura
longitudinale attraverso la casseratura dei lati e quindi sovrapporre o saldare gli spezzoni
con i ferri adiacenti, per garantire la giusta continuità delle armature nel cemento armato.
Onde prevenire i problemi di rilassamento della struttura indicati in precedenza, è
possibile eseguire l’intervento con alcuni accorgimenti tali da garantire subito la messa in
sollecitazione della sottofondazione.
Si procede come in precedenza fino al punto b.
Pag. 180 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.6: Posizionamento del martinetto


c) Si scava per un tratto sufficiente a mettere in opera il primo martinetto idraulico.
d) Sul terreno si posiziona una piastra in c.a. la cui superficie è in funzione della
σatt. del terreno e del carico P trasmesso dal martinetto che viene posto tra la
piastra di base e l’intradosso della fondazione.
e) Inserito un martinetto idraulico si esercita la compressione voluta fra la base e la
testa del martinetto che viene quindi fissata con i dadi di bloccaggio. Con questo
sistema il terreno di fondazione viene saggiato punto per punto e l’operatore
può avvertire immediatamente il momento in cui venisse raggiunto il carico di
rottura.
f) Si inseriscono quindi dei puntelli in acciaio in sostituzione dei martinetti e si
mette in opera la gabbia di armatura.
g) Il getto di calcestruzzo deve avvenire con particolari accorgimenti. La
cassaforma deve essere tale da consentire il completo costipamento al di sotto
del muro. Pertanto la sponda, ha un altezza superiore della base del muro da
sottofondare con la parte superiore inclinata.
Il calcestruzzo reso fluido con additivi, viene costipato con vibratore meccanico
attraverso l’apertura compresa fra la parte inclinata della cassaforma ed il muro. Si crea così
un aggetto a sezione triangolare che viene eliminato subito dopo la rimozione della
cassaforma.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 181

Fig. 10.7: Puntelli in acciao


Nei casi di dissesti che hanno alterato le primitive condizioni di equilibrio, con
spostamento del centro di sollecitazione della risultante dei carichi fuori dal nocciolo
centrale d’inerzia della superficie di base, con conseguenti sollecitazioni di trazione su tale
piano, la soletta opportunamente dimensionata e incastrata alla fondazione può modificare
la dimensione e la posizione del nocciolo centrale di inerzia in modo che la risultante dei
carichi sia interna ad esso con sollecitazioni di sola compressione del terreno.

Fig. 10.8: Soletta in c.a.


Pag. 182 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Caratteristiche dell’intervento: In questo tipo di intervento, consigliabile in zona sismica, la


permanenza degli utenti è incompatibile, ed è determinante l’incidenza delle condizioni al
contorno. Per l’esecuzione non si ha bisogno di attrezzatura o manodopera specialistica,
tuttavia è indispensabile un calcolo dimensionale.
Nell’esecuzione di tipo 2 si ha il vantaggio di non scaricare la muratura e di non
privarla della sua sollecitazione interna, di saggiare il terreno puntualmente e di
precomprimerlo, attingendo alla sigma attiva, oltre che di creare una riserva di energia da
immagazzinare nella struttura per far fronte ad eventuali assestamenti; inoltre vi è la
possibilità di evitare l’uso di costose puntellature.

10.3.3 Consolidamento mediante sottofondazione con cordoli – trave in


c.a. aderenti alla muratura esistente
In questo tipo di intervento si allarga la fondazione al solo fine di ridurre il carico unitario
sul piano di posa delle vecchie strutture.
La riduzione del carico sulla superficie di terreno sotto le vecchie strutture fondali si
avrà soltanto quando entrerà in forza l’opera di allargamento, il che avviene quando tutto il
complesso, per l’aumento dei carichi, ha un sensibile cedimento verticale; questo perché la
vecchia fondazione agisce su un terreno già costipato mentre le opere di allargamento,
all’atto della costruzione, poggiano su superfici dello stesso terreno non ancora influenzate
dal carico.
Questo tipo di intervento si attua in presenza di dissesti dovuti ad incoerenza o
addirittura ad assenza di strutture di fondazione propriamente intese. Sovente questa
condizione ricorre negli edifici originariamente bassi e successivamente sopraelevati. Vi è
la possibilità di operare su entrambe le facce della muratura da sottofondare. Il sistema
analizzato risulta conveniente quando i lavori possono essere eseguiti a poca profondità.
Con questo intervento, oltreché adeguare e migliorare la funzione propria della
fondazione, allargando anche sensibilmente la base della stessa, si ottiene un efficace
collegamento fra tutta la struttura muraria.
Modalità esecutive dell’intervento
a) Esecuzione degli scavi da ambo i lati del tratto di muratura interessata, fino al piano di
posa della fondazione esistente;
b) Rimossa la terra di scavo si esegue un getto di spianamento in magrone di calcestruzzo;
c) Predisposizione dei casseri, armature e getto dei cordoli trave dopo aver creato, nella
muratura esistente, un incavo di alcuni centimetri pari all'altezza del cordolo-trave. Il
cordolo è costituito da barre ad aderenza migliorata Ø16-20 e staffe del diametro Ø10
disposte in senso trasversale con un passo di 20 cm. In corrispondenza della posizione
dei collegamenti trasversali previsti si lasciano sporgere dei ferri verso l'alto, ferri di
ripresa;
d) Avvenuto l'indurimento del getto si eseguono i varchi nella muratura, si mettono in
opera le armature e si eseguono i getti con cemento espansivo.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 183

Ø8 / 20 cm
Ferri di cucitura Ø16
Pavimentazione
4 Ø16 Massetto
Rete elettrosaldata

2 Ø8

Ø16 4 Ø16
Ø10 / 20 cm
Ø8
2 Ø16

Fig. 10.9: Cordoli in c.a. aderenti alla muratura esistente


I traversi di collegamento si possono realizzare alla stessa quota delle travi aderenti,
avendo cura di utilizzare cementi additivati di tipo espansivo; o si dovrà bagnare il getto
abbondantemente per diversi giorni per ridurre o eliminare gli effetti del ritiro. Nella
soluzione con traversi realizzati successivamente solo per questi si dovrà fare attenzione per
i problemi esposti circa il ritiro.
L'interasse dei traversi è tanto minore, quanto peggiore è la condizione della
muratura sovrastante; esso dipende dal carico che grava sulla fondazione esistente e dalla
sua fatiscenza. Se le condizioni sono di vera e propria fatiscenza, occorrerà prima procedere
a iniezioni di cemento o ricostruzioni a cuci e scuci, prima di intervenire nella apertura dei
varchi. Se non si vuole usare cemento espansivo per i traversi occorre, in attesa dei
consolidamento e dei ritiro dei c.a. provvedere ad una puntellatura provvisoria.
E’ possibile operare anche solo da un lato della muratura (Fig. 10.10) in caso di muri
perimetrali o in altre situazioni particolari, avendo cura di creare degli innesti nella
muratura esistente adeguati; questo è possibile attraverso il collegamento con manufatti in
calcestruzzo a coda di rondine gettati in opera.
Questi vengono collegati alle travi cordolo con delle barre Ø16, sarà opportuno
disporre due barre ad aderenza migliorata Ø16 anche all’interno della muratura esistente
che colleghino direttamente il cordolo alla stessa.
In alternativa ai traversi in c.a., come collegamento tra le travi cordolo e la muratura
esistente, possono essere impiegate delle barre di acciaio ad aderenza migliorata.
Pag. 184 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Pavimentazione
Ø16
Rete Elettrosaldata

A A
2 Ø8
Ø10 / 20 cm
4 Ø16
Ø16

Ø8

2 Ø16

2+2 Ø16

Sezione
A-A

Fig. 10.10: Cordolo realizzato solo da un lato della muratura


Queste del tipo Ø16-20, saranno sporgenti su entrambe le facce di una lunghezza di
poco inferiore alla larghezza della trave aderente, inserite nella muratura in fori orizzontali
in numero di 6-10/mq, queste vanno messe in opera prima del getto del magrone, cioè
prima del punto 2 dello schema precedente, esse vanno solidarizzate alla struttura esistente
tramite delle iniezioni di malta di cemento espansivo all’interno dei fori.

Pavimentazione Massetto
Rete Ø8 / 25X25 cm

Tavella

Ø16
Ø10 / 20 cm

Ø16 ; i=variabile
Fig. 10.11: Intervento con barre di acciaio ad aderenza migliorata
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 185

PIANODI CAMPAGNA

Ø16
Ø10 /20 cm
Ø16

Fig. 10.12: Intervento con barre di acciaio ad aderenza migliorata nei muri perimetrali
Anche questo intervento può essere realizzato nei muri perimetrali, o in altre
situazioni particolari in cui si dovrà intervenire da un solo lato della fondazione (Fig.
10.12).
Allo scopo di mettere sotto carico il terreno all’atto di realizzazione dell’intervento
di rinforzo delle fondazioni, si può procedere come segue (Fig. 10.13):
a) Si realizzano gli scavi per campioni raggiungendo il piano di posa della fondazione
esistente.
b) Si costruiscono delle lastre in c.a. non aderenti alla muratura esistente;
c) Si praticano, ad opportuna altezza, fori passanti attraverso la muratura entro cui si
inseriscono traversi di acciaio o di c.a. sporgenti sui due paramenti;
d) Si costruiscono due suole in c.a. collegate ai traversi e poste a conveniente distanza
dalle lastre;
e) Si mettono in opera, tra lastre e suole, dei martinetti idraulici che, messi in pressione,
sollecitano il terreno con un carico unitario noto;
f) Si inseriscono blocchi distanziatori in acciaio o in calcestruzzo tra lastre e suole e si
asportano i martinetti;
g) Si getta tra lastre e suole un conglomerato di cemento espansivo.

Caratteristiche dell’intervento:
Questo intervento può essere usato quando, in conseguenza di notevoli modifiche
progettate nelle strutture in elevazione, si preveda un forte aggravio dei carichi sulla
fondazione che provochi quei cedimenti che mettano in forza anche le opere di
allargamento. Quando non vi siano previsioni di maggiori carichi le dette opere di allarga-
Pag. 186 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.13: Pre-carico del terreno di fondazione


mento saranno efficaci solo se si opererà in modo da mettere preventivamente sotto carico
il terreno rendendo l’intervento attivo sin dall’inizio (Fig. 10.13).

10.3.4 Consolidamento mediante infissione di pali trivellati in c.a., posti


sui due lati della muratura
Questo tipo di intervento si attua quando si deve operare con interventi sottofondali
di notevole profondità o in presenza di acque freatiche, si va quindi a ricercare le condizioni
di portanza richieste dalla struttura non presenti in superficie, quando si debba trasferire il
carico su strati resistenti più profondi o si ricerca una situazione di livello di falda costante.
La soluzione è consigliabile quando il cedimento della fondazione è dovuto alla
poca resistenza o alla diminuita resistenza di strati profondi del terreno. Questa procedura si
può mettere in atto quando è possibile operare anche all’interno dell’edificio.
Per non produrre scuotimenti, che possono essere dannosi per le strutture dissestate,
si useranno pali trivellati costruiti in opera con o senza tubo forma e pali ad elementi
prefabbricati infissi mediante pressione statica.
I pali trivellati, si costituiranno aderenti alla muratura, disponendoli o dai due lati del
muro, quando è possibile utilizzare le attrezzature di perforazione da entrambi i lati, o dal
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 187

solo lato esterno quando la ridotta altezza dei locali interni non consente l’uso delle
attrezzature di perforazione.
L’obiettivo dell’intervento consiste nel trasmettere il carico delle fondazioni su strati
di terreno idonei a sopportarlo, sia come carico di punta che come attrito laterale.
Modalità esecutive dell’intervento.
I pali trivellati, si costituiranno aderenti alla muratura, disponendoli dai due lati del muro,
quando è possibile utilizzare le attrezzature di perforazione da entrambi i lati.
a) Esecuzione degli scavi da ambo i lati del tratto di muratura interessata, fino al piano di
posa della fondazione esistente;
b) Trivellazione dei fori aderenti alla muratura, dopo aver determinato il piano di posa
dell’intradosso dei traversi colleganti i pali, se il terreno non è sufficientemente
coerente, i fori devono essere protetti con un tubo forma di ferro affondato nel terreno
a mano a mano che la perforazione procede.
c) Introduzione dell’armatura metallica per tutta la lunghezza del palo oppure per quanto
previsto dagli esecutivi di cantiere.
d) Esecuzione del getto fino al piano di posa dei traversi, durante quest’ultimo il tubo
forma se presente viene estratto a poco a poco in modo che la sua estremità inferiore
rimanga sempre immersa nel calcestruzzo senza mai scoprire la parete terrosa del
foro, per evitare franamenti e conseguenti interruzioni del getto, si lasciano sporgere i
ferri di collegamento dei traversi.
e) Si eseguono i varchi nella muratura, si predispongono le casserature, si mettono in
opera le armature e si procede al getto.

Fig. 10.14: Pali trivellati disposti ai due lati della muratura


Pag. 188 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Per sopperire ai fenomeni di ritiro dei calcestruzzo, può risultare opportuno operare
con cementi espansivi nei traversi.
Per i pali non vi è la necessità di utilizzare cementi espansivi dal momento che
questi sono quasi sempre immersi in terre umide.
Una variante del precedente intervento consiste nella realizzazione dei pali trivellati
aderenti alla muratura esistente ma collegati in testa da una trave di collegamento, oltre ad
esserci dei traversi che attraversano la fondazione.
Si possono utilizzare, come traversi di collegamento travi-cordolo oppure si
inseriscono nella struttura di fondazione esistente, eventualmente consolidata, delle barre
d’acciaio nervato in dei fori opportunamente predisposti, prima del getto della trave-
cordolo, riempiti con malta epossidica, facendo in modo che le barre si trovino all’interno
della trave cordolo per una lunghezza tale da garantire un adeguato ancoraggio.
I traversi di collegamento si possono realizzare ad una quota diversa dalle travi
cordolo longitudinali ed eseguirne i getti in due tempi differenti, in maniera tale che sia
possibile utilizzare cementi espansivi solo per i traversi di collegamento.
Nel caso in cui non è possibile intervenire da ambo i lati della muratura, le teste dei
pali, costruiti in aderenza dal solo lato esterno, saranno collegate con una trave in c.a.
aderente, leggermente incassata o sottostante la muratura dalla quale, ad intervalli uguali
agli interassi dei pali, usciranno delle mensole armate a flessione che sosterranno il muro. I
pali in questo caso saranno sollecitati a pressoflessione, perciò si opera con diametri
maggiori rispetto ai casi precedenti.

Fig. 10.15: Traverse di collegamento travi-cordolo


Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 189

Fig. 10.16: Pali trivellati disposti ad un lato della muratura


Se si è costretti ad allontanarsi dal paramento del muro, i pali potranno disporsi a
doppia fila o a quinconce per meglio resistere alla flessione che si incrementa in
conseguenza dell’aumentata sporgenza delle mensole a sostegno del muro.

Fig. 10.17: Pali disposti in doppia fila


Pag. 190 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

L’esecuzione è analoga al tipo tre, con la differenza che vi sono un numero


maggiore di pali da trivellare, e bisogna avere cura nell’esecuzione della mensola di
collegamento con la fondazione esistente, in quanto questa rappresenta parte cruciale per la
buona riuscita dell’intervento.

Caratteristiche dell’intervento
Le nuove strutture sottofondali, dovendo reagire efficacemente contro le masse
murarie esistenti, presuppongono in queste sufficienti condizioni di solidità in difetto della
quale le murature dovranno essere rigenerate con riprese murarie in sostruzione o con
iniezioni di cemento.
E’ talvolta tollerato l’impiego di sonde a percussione, però nella generalità dei casi
si raccomanda l’impiego di sonde alla rotazione a macchina per eliminare le vibrazioni
prodotte dalle sonde alla percussione.

10.3.5 Consolidamento mediante infissione di pali trivellati in c.a., posti


sotto la struttura esistente
L’intervento viene eseguito al di sotto della fondazione esistente infiggendo nel
terreno conci di pali a tronchi prefabbricati di piccola dimensione, di cui il primo a punta
conica, tramite pressione statica esercitata da martinetto idraulico messo a contrasto tra la
base della fondazione e la sommità dell’elemento che si va infiggendo.
Con questo sistema si possono raggiungere notevoli profondità al di sotto del piano
di posa della fondazione originale.
Occorre osservare alcuni accorgimenti per trasmettere ai pali stessi la quota di carico
pertinente della costruzione, in modo tale da non danneggiare la struttura fondale con delle
azioni concentrate non previste.
E’ un intervento utilizzabile quando non vi sono problemi di urgenza e non è
rilevante il problema dei maggiori costi di esecuzione.
Modalità esecutive dell'intervento:
a) Nella porzione di muratura o di fondazione esistente da sottofondare si crea, con una
demolizione, il vano atto a contenere una trave di ripartizione in c.a.. La demolizione
avviene in 3 fasi:
1. creazione di piccole aperture in breccia di 26-30 cm, procedendo dall’alto verso
il basso, alte come la trave da costruire più 20 cm, poste a distanza di 1÷1,20m;
eseguite a mano o con l’ausilio di mezzi meccanici in funzione del materiale,
delle dimensioni dell’opera, e della sicurezza;
2. inserimento di coppie di martinetti a vite, a contrasto superiormente con la
muratura esistente e inferiormente con piastre in c.a. prefabbricate;
3. completamento della demolizione dei sodi di muratura rimasti.
b) Messa in opera, nel vano ricavato con la demolizione, delle armature del trave in c.a..
Casseratura delle sponde (il fondino è già realizzato con le piastre in c.a. sotto i
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 191

martinetti e con quelle sistemate negli interspazi delle seconde demolizioni). Getto del
calcestruzzo dall'alto per mezzo del vano lasciato superiormente al trave.
c) A presa e ritiro avvenuti, si riempie il vano superiore con muratura di mattoni pieni e
malta di cemento, lasciando uno spazio equivalente ad una fila di mattoni.
d) Inserimento di cunei in legno duro nel cavo, con sostituzione successiva di cunei più
grossi.

Fig. 10.18: Infissione di pali trivellati


Pag. 192 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

e) Ad assestamento avvenuto (4° giorno) estrazione dei cunei e muramento dell'ultimo


filare di mattoni, intasando a rifiuto con malta di cemento.
f) Si può riempire il vano fra trave in c.a. e muratura sovrastante con cemento espansivo,
ma occorre molta attenzione per non generare pericolose tensioni nel vecchio
manufatto.
g) Esecuzione dello scavo nel 1° settore individuato dal progetto, si introduce il primo
tronco di palo cavo prefabbricato fornito di puntazza alla quale sono saldati 5Ø12,
comprimendolo nel terreno mediante martinetto idraulico che contrasterà col trave in
c.a. realizzato come detto prima.
h) Affondato il primo tronco, si inserisce il 2° ripetendo l'operazione di compressione
mediante martinetto, si posa in opera il nuovo tratto di armatura e si riempie la parte
cava in calcestruzzo a ricco dosaggio e rapida presa, con l'accortezza di far sporgere le
armature di circa 40-50 cm per assicurare una buona continuità. L'operazione si ripete
fino al raggiungimento della profondità di progetto.
i) Si raccorda l'ultimo tronco del palo con il piano fondale della trave in c.a., dandogli
forma tronco conica rovesciata (pulvino) per aumentare l'area di distribuzione del
carico.
Se risulta più conveniente, la trave in c.a. può essere inserita, con lo stesso
procedimento, anche a quota superiore a quella del vecchio piano fondale, realizzando poi
le camere di lavoro per la infissione dei pali con aperture in breccia sotto la nuova trave.
Caratteristiche dell’intervento.
Si può eseguire in alcuni casi un’operazione di precarica dei pali stessi onde scontare
i primi cedimenti della loro messa in forza e renderli subito operanti. Ciò si ottiene
inserendo, tra la testa del palo e la struttura dei martinetti. Il loro uso può essere utile anche
per produrre, mediante un’azione attiva un livellamento della struttura. Questo sistema
consente il posizionamento dei pali esattamente al di sotto della muratura esistente,
interessando zone di terreno presumibilmente già plasticizzate.

10.3.6 Consolidamento mediante infissione di micropali in c.a.


L’intervento mira ad aumentare la capacità portante del terreno sottofondale. I
micropali, pali con diametro che va dai 50mm ai 300mm, mediando la resistenza degli strati
di terreno attraversati, costituiscono con questo un complesso resistente a sollecitazioni di
compressione, trazione e taglio. Questi trasmettono il carico prevalentemente per aderenza
laterale, ed hanno quindi lievi cedimenti di assestamento.
Tale sistema va prevalentemente usato quando, per limitazioni poste dal contorno,
risulti onerosa e difficile la esecuzione di scavi o di messa in opera delle normali trivelle da
pali.
L’obiettivo dell’intervento consiste nell’ottenere, oltre ad un rafforzamento del
masso fondale (ottenuto grazie alle «cuciture» che si effettuano con il passaggio nella
muratura dei micropali), una sottofondazione capace di consolidare il terreno per la
diffusione della malta cementizia iniettata a pressione.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 193

Modalità esecutive dell'intervento


a) Formazione dei ponteggi e della piazzola per la sonda.
b) Perforazione del terreno con sonda a rotazione, si utilizza un tubo con corona tagliente
ad elevato numero di giri (anche attraverso murature, trovanti o calcestruzzo) fino alla
profondità prevista dal progetto; i detriti della perforazione vengono eliminati in
continuità, da una corrente fluida (acqua, fango o aria compressa) la quale risale
nell’intercapedine, portando con sé i detriti in superficie.
c) Introduzione nel foro della armatura prevista (gabbia in barre tonde, barra unica, tubi
metallici, trefoli in acciaio, putrellina).

Fig. 10.19: Infissione di micropali in c.a.


Pag. 194 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

d) Mediante contro-tubo (o tubo di iniezione) si esegue l'iniezione in pressione di malta


cementizia o di calcestruzzo a dosaggio elevato (600 Kg di cemento a mc.) con
formazione del bulbo e sfilamento graduale dei tubi carotieri mediante martinetti,
grazie all’iniezione a pressione della malta si realizza il particolare funzionamento
strutturale dei micropali.
Si possono realizzare anche micropali con un tubo d’acciaio molto pesante
cementato nel terreno con malta di cemento fluida iniettata a pressione dall’interno e che
fuoriesce attraverso valvole predisposte lungo il tubo. La ristretta intercapedine tra foro e
tubo non consente però di ottenere un sufficiente spessore di cemento e ciò non garantisce
una buona aderenza tubo/cemento/terreno, per cui la portanza viene realizzata per
resistenza alla punta ove è possibile formare con una maggiore pressione di iniezione una
espansione. Questo tipo di pali hanno una maggiore portanza rispetto ai pali radice ma
quando non raggiungono uno strato di terreno resistente, hanno a parità di carico cedimenti
molto maggiori.
Un’innovazione nell’esecuzione dei pali radice sono i pali radice a base espansa; al
piede dell’armatura si predispone una cella cava costituita da un involucro resistente
deformabile che rimane vuoto durante il getto del palo. A getto avvenuto nella cella viene
inviata miscela cementizia a pressione, la cavità predisposta consente la formazione di una
bolla fluida la quale, rompendo le pareti dell’involucro preme con uniforme pressione sul
terreno formando così, in qualsiasi terreno anche impermeabile o semipermeabile, un bulbo
di base.
Caratteristiche dell’intervento
Una fondazione con micropali non annulla la fondazione esistente, ma si giustappone a
questa con funzione supplementare. E’ infatti inattiva finché non si manifesti un sia pur
minimo cedimento, nel qual caso la palificata risponde immediatamente assumendosi parte
del carico, riducendo così la sollecitazione sul terreno. Se il fabbricato continuasse a cedere
i pali risulterebbero sempre più caricati fino ad assumere, al limite, l’intero carico.
La metodologia presenta notevoli vantaggi sia esecutivi che statici. Le attrezzature
di cantiere hanno ingombri molto limitati e i fenomeni di vibrazione sono assenti
annullando così il pericolo di danneggiare strutture esistenti. Dal punto di visto statico, oltre
al conferimento di una notevole capacità portante, attraverso le iniezioni a pressione si
migliora anche la qualità dei terreni sciolti, o mediamente compatti, nell’intorno dei
micropali.
La facilità nel potere orientare i micropali, comunque inclinati, consente la
ripartizione del carico su di una zona più ampia di quella d’impronta della struttura.

10.4 Consolidamento delle strutture verticali

Le strutture murarie hanno caratteristiche molto diverse per il variare di materiali e


di malte impiegate.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 195

Le murature portanti in elevazione si possono classificare dettagliatamente a


seconda del materiale, della sua pezzatura, del tipo di malta impiegata, delle modalità
costruttive.
Si distinguono:
a) muri di pietra informe a secco;
b) muri di pietra informe con malta;
c) muri di pietra squadrata, conci;
d) muri a getto in conglomerato non armato;
e) muri a getto in conglomerato armato;
f) muri in blocchi di conglomerato gettati fuori opera;
g) muri in mattoni di argilla pieni e semipieni;
h) muri in mattoni di argilla forati;
i) muri a struttura mista;
j) muri rivestiti di pietra o di marmo.
Tra gli elementi di fabbrica verticali portanti, oltre i pilastri isolati in muratura,
devono comprendersi anche le colonne in pietra composte da base, fusto e capitello, uniti
tra loro da elementi metallici.
Non si può quindi fare riferimento ad un generalizzato modello statico che va invece
individuato caso per caso studiando il manufatto su cui intervenire.
I dissesti poi, per la loro entità e per le cause che li hanno prodotti, presentano una
casistica così ampia che ne rende molto difficile una classificazione.
Nell’impossibilità di generalizzare, i sistemi di intervento che si descrivono nel
seguito, vanno attentamente scelti, caso per caso, sulla base di tutti gli elementi acquisiti,
nella fase di indagine e di diagnosi, e relativi al dissesto del manufatto in esame.

10.4.1 Consolidamento mediante sostituzione parziale del materiale


(cuci–scuci)
L’intervento considerato appartiene agli interventi chiamati muratura in sostruzione,
cioè quelli in cui si sostituisce la muratura fatiscente, con interventi graduali di demolizioni
e ricostruzioni a piccoli tratti successivi, comunemente cuci e scuci. Si effettua
convenientemente in presenza di murature lesionate o degradate, ma limitatamente a zone
circoscrivibili e quando tecniche differenti non siano applicabili (per inaccessibilità, per
esiguità dell'operazione, ecc.).
Con tale tecnica si ripristina la continuità strutturale di elementi murari degradati
attraverso la sostituzione graduale degli stessi, senza interrompere la funzione statica della
muratura nel corso dell'operazione.
Modalità esecutive dell’intervento
a) E’ necessario provvedere a razionali puntellamenti del muro su cui si opererà che,
seppur dissestato, costituisce sempre un elemento di sostegno, anche se modesto, delle
masse che vi gravano.
Tuttavia anche se il muro è puntellato non si devono mai formare strappi molto ampi
poiché togliendo troppo materiale murario, i puntelli e le residue parti del muro
Pag. 196 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

potrebbero cedere sotto l’eccessivo carico delle masse murarie sovrastanti. E’ bene
quindi procedere con la stessa cautela che si userebbe se la struttura non fosse
puntellata e la massa muraria fosse molto incoerente e piena di anomalie; infatti le
effettive condizioni del muro si potranno conoscere solo quando si procederà alle
prime demolizioni.
b) Delimitata la parte di muratura da sostituire, si individuano le zone dei successivi
interventi con il criterio distributivo di alternarli in modo da avere sempre il massimo
possibile di muratura resistente.
Si apre uno strappo in breccia nella prima zona di intervento, ricostruendo la porzione
demolita con muratura di mattoni pieni e malta di cemento magra, ammorsando da una
parte la nuova struttura con la parte della vecchia muratura resistente, curando i
mattoni nelle concavità dei bordi usando per colmare, anche scaglie di mattoni e malta
cementizia, e dall'altro lasciando le ammorsature libere di ricevere la successiva
muratura di sostituzione.
Nel caso di presenza di lesioni, queste possono essere:
• passanti, cioè che interessano tutto lo spessore del muro;
• non passanti, che interessano solo uno dei paramenti;
• capillari appena visibili.
Le lesioni passanti si risarciscono con la graduale sostituzione a scuci e cuci del tratto
di muro interessato dalla lesione per tutto il suo spessore iniziando dal basso e
procedendo verso l’alto fin dove la fessurazione non diviene capillare.
Per muri di spessore non superiore alle due teste si interviene da un solo lato; per
spessori maggiori si interviene dai due lati con due muratori, uno per lato, che lavorano
coordinatamente affinché nella muratura di risarcimento gli elementi siano bene
ammorsati fra loro sia sui paramenti che in spessore.
Per le lesioni non passanti si interviene soltanto sul paramento fessurato.
Iniziando le demolizioni, in entrambi i casi, i bordi dello strappo si regolarizzano per
facilitare le ammorsature, si raschiano e si lavano con abbondante acqua.
Se le lesioni da risarcire a scuci e cuci sono discoste si interviene separatamente; se
sono vicine si interviene con unica cucitura di maggiore estensione.
Le lesioni capillari si risarciscono scrostando l’intonaco in corrispondenza di esse per
una larghezza di circa 10cm, raschiando la malta dei giunti nella muratura, spazzolando
con spazzola metallica e acqua e ripristinando l’intonaco.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 197

Fig. 10.200: Puntellamento del muro

Fig. 10.21: Individuazione delle zone su cui intervenire


Pag. 198 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.212: Delimitazione della parte di muratura da sostituire

Fig. 10.22: Cucitura della lesione


Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 199

c) Forzatura della nuova muratura con la soprastante vecchia muratura mediante


l'inserimento dì cunei di legno da controllare nel tempo, togliere a ritiro avvenuto e
sostituire con mattoni allettati con malta abbastanza fluida, fino a rifiuto.
d) Si ripetono le operazioni per le altre zone di intervento.
Nel caso di dissesti dovuti a schiacciamento, l’intervento assume carattere di
particolare delicatezza in quanto occorre sostituire il materiale schiacciato
sovraccaricando, nella fase di strappo, le restanti parti del muro che hanno pur esse
ridotta resistenza.

Fig. 10.24: Reticolo per l’individuazione della sequenza delle aree su cui intervenire

Nei muri portanti senza aperture che generalmente sono poco soggetti a
schiacciamento, occorre procedere prima di tutto ad eseguire idonei puntellamenti esterni
ed interni per ridurre il carico gravante sulle murature da sostituire. Poi si traccia un reticolo
sul paramento del muro, formato da linee orizzontali continue, dell’altezza non superiore a
un metro e mezzo, e linee verticali sfalsate di altezza che va dai 50cm ad un metro, che
individuerà una sequenza di aree su cui procedere alla sostruzione con muratura a scuci e
cuci operando interventi successivi che, allineamento per allineamento, interessano aree
non contigue con la solita numerazione indicante l’ordine di successione dei lavori in modo
che il numero di ciascun cantiere differisca di almeno due unità da quelli dei cantieri
contigui.
Talvolta durante l’esecuzione dei lavori, accade d’accertare delle particolarità e delle
anomalie nelle strutture che non consentono, contrariamente al programma stabilito,
l’attacco a tutto spessore e per l’intera ampiezza, di qualche cantiere. In tali casi è
necessario un attacco a tratti parziali passanti o anche non passanti nell’ambito dello stesso
cantiere, è necessario insomma dividere il cantiere in più sottocantieri.
Pag. 200 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.23: Anmmorsamento con la muratura esistente

Se il muro ha notevole spessore e la sua consistenza è precaria, è bene attaccarlo


prima da un lato facendo penetrare il più possibile la muratura e poi dall’altro per
completare il lavoro. In ogni caso la parte del muro che non accenni a dar forza, può essere
attaccata senza pericolo; dove invece dimostra di lavorare molto, per accogliere gli sforzi
che il materiale disgregato contiguo non aveva recepito, è necessario rimuovere prima il
materiale disgregato e su questo intervenire, per attirarvi le linee di forza e poi intervenire
sulla parte di muratura gravata dal carico.
Nei muri portanti con aperture, tutto il carico è sostenuto dai maschi murari,
compresi tra le aperture, che come avviene spesso nei piani terreni possono avere ridotta
sezione a causa di aperture molto larghe. Occorre in questo caso provvedere, oltre che alle
puntellature esterne ed interne, a costruire, entro le aperture limitrofe ai maschi schiacciati,
adeguati sbadacchi che possono essere in legname nei casi meno gravi o in muratura nei
dissesti maggiore entità. Si ottiene così una continuità muraria che consente di intervenire,
come nei muri senza aperture, per la sostruzione dei maschi schiacciati.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 201

Nei lavori di sostruzione dei pilastri isolati le difficoltà aumentano con il diminuire
della sezione del pilastro, che come solido prismatico soggetto a compressione può essere
soggetto ai seguenti tipi di rottura: rottura iperbolica diretta; rottura prismatica; rottura
iperbolica inversa singolarmente presenti o coesistendo nello stesso solido generando
fratture di forme molto varie derivanti dalla combinazione di quelle sopra citate.
Si costruisce la puntellatura e la sbadacchiatura in muratura dei vani adiacenti al
pilastro, si sostituisce interamente il pilastro quando questo è formato in un solo pezzo di
pietra da taglio o è costruito in muratura con sezione orizzontale ridotta, o si sostituisce la
muratura in modo graduale quando il pilastro in muratura ha sezione più ampia.
I lavori di sostruzione delle murature richiedono magisteri diversi secondo che il
muro dissestato oltre ad essere soggetto o meno a spinte di archi e volte, sia in buono stato
o lesionato o in precarie condizioni di schiacciamento, prevalentemente in quelli di facciata
nei quali mancano i contrasti a spostamento verso l’esterno. Secondo i casi si costruiranno
sbadacchi nelle aperture di porte e finestre interessate al dissesto e si predisporranno
opportuni puntelli che possano svolgere azione di sostegno e ritegno delle masse murarie
sovrastanti e contrapporsi alle spinte delle volte, i puntelli si collegheranno alla sommità
con un irrigidimento orizzontale posto all’altezza del centro di pressione. I lavori di
sostruzione a scuci e cuci delle murature si eseguiranno con la massima cautela a piccoli
tratti con allineamenti verticali successivi correttamente ammorsati.
A sostruzione avvenuta occorre controllare accuratamente la presa della malta nei
giunti degli ultimi tratti costruiti, prima di procedere alla rimozione dei puntelli e delle
sbadacchiature che sarà bene mantenere in opera per almeno 15 giorni. Togliendo puntelli e
sbadacchiature la nuova muratura, messa in forza progressivamente durante la costruzione
con l’uso di cunei di ferro o spezzoni di mattoni duri, assume interamente la sua funzione
portante e i suoi assestamenti saranno tanto minori quanto minore sarà lo spessore dei
giunti orizzontali tra i mattoni, migliore la qualità della malta, più lunga la sua stagionatura.
Le murature in sostruzione si eseguono generalmente usando mattoni pieni di argilla
di buona qualità e malta cementizia, salvo i casi di restauro architettonico in cui si
impiegano blocchi di pietra dura squadrata conformi a quelli presenti nelle strutture da
consolidare.

10.4.2 Consolidamento mediante colatura di boiacca


L’intervento consiste nell’iniettare il latte di cemento nelle cavità del muro per
carico naturale (il latte di cemento è una miscela cementante di cemento e acqua nella
quantità di 100 Kg di cemento in 100-150 litri d’acqua).
Tale tecnica risulta efficace quando si riscontrano nella muratura le seguenti
proprietà:
• Degrado della malta, porosa o addirittura mancante
• Apparecchio murario irregolare e sconnesso.
• Presenza di lesioni ben evidenti.
Pag. 202 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

E’ una tecnica da attuare in quelle situazioni di degrado e fatiscenza che non


permettono l’uso di mezzi quali trapano e carotatrici, in quanto potrebbero disturbare la
struttura, quindi in quei casi di opere di notevole interesse storico–artistico.
Pertanto, tale intervento si può intendere come sostitutivo delle iniezioni, in tutte le
situazioni di grave dissesto della muratura, quando non è conveniente o possibile sostituirle
e quando l'intervento riguardi porzioni limitate.
Con questo intervento si ottiene il rafforzamento della struttura muraria attraverso la
reintegrazione del legante.
E’ opportuno, in particolare nelle zone sismiche, associare a questo intervento altri
accorgimenti tecnici tendenti ad assicurare il perfetto collegamento fra muri ortogonali e fra
le parti murarie disomogenee e discontinue (tiranti orizzontali, cuciture armate e simili).

Fig. 10.24: Fasi esecutive

Modalità esecutive dell’intervento.


a) Operazioni preliminari
Poiché non si interviene «a pressione» come nel caso delle iniezioni, assume minore
importanza la fase di predisposizione degli intonaci, tuttavia occorre stuccare le
fessurazioni per impedire la successiva fuoriuscita di miscela, e scrostare l’intonaco
esistente ove alla percussione mostra di essere distaccato dal supporto, al fine di evitare
l’insaccamento della malta tra l’intonaco e il paramento.
b) Esecuzione delle prime perforazioni
Si esegue la prima fila di perforazioni, orizzontale, partendo dal basso e con interasse e
diametro variabile in funzione della natura, spessore e consistenza dell'elemento
murario.
In ogni caso i fori saranno passanti ed ottenuti con attrezzi a rotazione, evitando quindi
la percussione.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 203

Fig. 10.25: File di perforazioni

La preparazione della bocca di accesso può avvenire anche nella parte di muratura più
diradata, allargando i fori già esistenti con scalpelli o raschini metallici, evitando per
questi l’uso dei perforatori.
Si deve procedere alla stuccatura dei giunti e delle lesioni nella muratura messa a nudo,
dove l’intonaco è stato scrostato perché distaccato o inadatto a garantire la tenuta alla
fuoriuscita dell’acqua.
c) Colatura
Su una delle due facce i fori d'uscita vengono otturati con malta di gesso; dall'altra
parte si iniziano le colature di miscela cementizia (1 parte di acqua 1 di cemento)
applicando un imbuto ai boccagli predisposti nei fori.
Se si vuole aumentare leggermente la pressione del latte di cemento, l’imbuto si può
installare a quota più alta collegandolo con un tubo innestato a tenuta alla bocca di
accesso.
Prima di eseguire la colatura si inietta con abbondanza acqua per agevolare una
migliore penetrazione della miscela, fino alla stabilizzazione del livello nell’imbuto
stesso che indica il completo riempimento dei vuoti nella muratura. L’acqua,
penetrando in tutti i vuoti e saturando sia la malta che il materiale del muro, preparerà
la via alla penetrazione del latte di cemento che, non venendo privato dell’acqua di
miscela non raggrumerà.
Si versa nell’imbuto del latte di cemento che, essendo più pesante dell’acqua, colerà a
fondo riempendo tutti i vuoti fino alla bocca di immissione, l’acqua più leggera del
latte di cemento verrà spinta verso l’alto e tracimerà dall’imbuto.
L'operazione di colatura, dato il forte ritiro della miscela durante la presa, va ripetuta
più volte a distanza di qualche ora. Questa operazione non è necessaria se si
aggiungono al cemento prodotti antiritiro o additivi che lo rendano moderatamente
espansivo, onde evitare forti stati di coazione nella struttura da restaurare; è
consigliabile usare miscele già pronte che garantiscano determinati livelli di
espansione.
Pag. 204 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.26: Colatura di boiacca

d) Progressione dell'intervento
Si ripetono le stesse operazioni passando successivamente alle file superiori di forature.
Nel caso di strutture molto fatiscenti, qualora si ritenga pericoloso sollecitare con le
perforazioni la zona bassa più caricata, si inverte l'ordine delle operazioni partendo
dall'alto.
Unica variante è che si passa alla seconda fila di forature quando ancora non è
avvenuto completamente il consolidamento delle prime colature, per cui si lasciano in
opera i boccagli della prima fila per completare l'intasamento mentre si procede già alle
colature nella seconda fila e così via.
e) Controllo della riuscita dell’operazione mediante percussione col martello o con sonda
carotiera.
I materiali utilizzati per tale intervento sono boiacca, additivi se utilizzati e gesso.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 205

10.4.3 Consolidamento con iniezioni cementizie o simili


L’intervento attiene al consolidamento di una parete muraria lesionata a mezzo di
una serie di iniezioni con miscele leganti di prodotti a base cementizia, o formulati chimici,
realizzate a pressione variabile in funzione delle condizioni della muratura da trattare.
La finalità è quella di restituire alla muratura la monoliticità iniziale, attraverso la
sostituzione della malta originaria con i nuovi materiali iniettati, ove questa risulti
mancante, riempendo i vuoti e risarcendo le lesioni.
Questa tecnica di consolidamento, considerata fino a non molti anni fa soltanto
specialistica e quindi riservata a rari interventi di restauro monumentale, è entrata nella
pratica in seguito agli eventi sismici che colpirono la regione Friuli nel 1976 e ne è stata
dimostrata sia l'efficacia che la facilità di esecuzione.
Oltre che una tecnica di riparazione, da attuarsi in presenza di uno stato fessurativo
verificatosi, deve essere intesa come una tecnica di rafforzamento capace di conferire alla
struttura muraria caratteristiche meccaniche migliori non solo di quelle dello stato in cui si
trova il manufatto, ma anche di quelle originarie.
Trattandosi di un intervento che tende ad integrare con nuovo legante gli inerti
esistenti nella muratura ed a colmare tutti i vuoti e le discontinuità presenti, risulta chiaro
che la sua efficacia è affidata quasi esclusivamente alla accuratezza dell'esecuzione non
essendo possibile procedere a verifiche a posteriori, possibili solo estraendo campioni di
muratura per sottoporli ad esami e prove.
Questa tecnica, nelle zone sismiche, deve essere associata ad altri accorgimenti
tendenti ad assicurare il perfetto collegamento fra i muri ortogonali e fra le parti murarie
disomogenee o discontinue (tiranti orizzontali, cuciture armate e simili).
E’ una tecnica che di solito è patrimonio di poche ditte specialistiche, ma data la
semplicità dell'attrezzatura richiesta, è auspicabile che anche nuove aziende ne acquisiscano
la pratica, al di fuori della realtà degli interventi di riparazione in zona danneggiata dal
terremoto o di restauro scientifico, con il risultato di poter efficacemente contribuire ad
un'opera di tipo preventivo quando si richiede di intervenire sul patrimonio edilizio
esistente.
Modalità esecutive dell’intervento.
a) Operazioni preliminari
Poiché uno dei rischi ricorrenti è quello di iniettare inavvertitamente parti non
interessate (intercapedini fra solai e soffitti, canne fumarie, intercapedini di isolamento
verticali, tubazioni, ecc.) occorre preventivamente accertarsi di tutte queste possibilità
in modo da poter esercitare un efficace e costante controllo durante le fasi successive.
b) Ripristino degli intonaci (muri intonacati).
Gli intonaci su entrambe le facce dell'elemento da iniettare devono comportarsi,
durante le fasi successive, come un vero e proprio «cappotto» di contenimento della
miscela cementizia da iniettare a pressione: è pertanto indispensabile che siano in
perfetto stato. In caso contrario si procederà al loro risarcimento o rifacimento.
Si avrà cura di sigillare tutte le possibili vie di uscita della miscela (telai di infissi,
innesto di tubazioni, innesto di strutture orizzontali, ecc.).
Pag. 206 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

c) Intonaco speciale (murature a faccia vista).


Quando la muratura da consolidare deve conservare una o entrambe le facce a vista,
occorre eseguire una intonacatura che consenta una successiva facile e non onerosa
asportazione senza alterare l'aspetto definitivo del manufatto.
Si può impiegare un intonaco costituito da argilla, sabbia, mattone macinato,
rispettivamente in proporzione di volume del 40%, 30%, 30%, applicabile anche a
macchina senza che debba essere lisciato.
d) Scrostamento dell’intonaco esistente
Si può operare anche scrostando l’intonaco esistente, salvo i casi in cui l’intonaco è
coperto da decorazioni ed è quindi da preservare con particolari interventi; la
salvaguardia degli intonaci affrescati non è più un problema che si pone, in quanto le
moderne tecniche di restauro consentono di distaccare le superfici affrescate senza
danno e ricollocarle poi a consolidamento ultimato;
e) Preservazione di intercapedini.
Qualora l'elemento murario sia interessato da intercapedini che devono essere
preservate (isolamento), occorre preventivamente procedere al loro riempimento con
resine espanse, vermiculite o simili.

Fig. 10.279: Individuazione della sequenza delle aree su cui intervenire


Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 207

f) Pre-iniezioni (murature notevolmente incoerenti)

Fig. 10.28: Colatura di boiacca molto liquida

Quando la muratura da consolidare sia gravemente danneggiata, tale da non consentire


di attuare le fasi successive con la dovuta sicurezza, occorre procedere ad un
consolidamento non definitivo, ma tale da permettere le ulteriori operazioni.
Si utilizzano al proposito tutti gli elementi di discontinuità presenti nella muratura,
senza praticare perforazioni, ed applicando dei tubi di plastica del diametro di cm
1÷1,5 con del gesso, posti a 40 50 cm di distanza l'uno dall'altro. Attraverso questi
ugelli si cola con l'ausilio di un imbuto della boiacca molto liquida, procedendo sempre
dal basso verso l'alto e per tratti non superiori ai 2 o 3 metri quadrati, preferibilmente
simmetrici e distanti fra di loro in modo che il materiale introdotto non crei col proprio
peso dannosi squilibri nelle strutture.
g) Esecuzione dei lavori
I fori vengono eseguiti con perforatori meccanici a rotazione con fioretto a corona di
diamanti o di acciaio extra-duro, evitando la percussione.
L’uso di queste sonde presenta il vantaggio di fornire campioni cilindrici o carote delle
murature, è possibile rilevare le caratteristiche e i materiali di cui il muro è costituito
per le conseguenti determinazioni sui provvedimenti da adottare.
Il loro diametro frequenza, direzione e profondità sono funzione del tipo di muratura,
del suo spessore, dello stato di conservazione e perciò non può essere stabilita una
regola di comportamento che prescinda da un progetto da farsi caso per caso.
Pag. 208 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

In generale si può affermare che oltre spessori di 50-60 cm è opportuno eseguire le


perforazioni sulle due facce, e che nelle murature di mattoni i fori devono essere
inclinati a 45° verso il basso, per ottenere una più ampia diffusione del getto, e devono
essere prolungati con diametro inferiore (1÷1,5 cm) per altri 20 ÷ 30 cm oltre il foro
principale.
Normalmente il diametro dei fori va da 20 a 30 mm, e la profondità è pari a 2/3 dello
spessore della parete e con un interasse funzione delle condizioni statiche della parete,
per assicurare il congiungersi delle zone iniettate, compreso tra 20-50 e a volte 80 cm.
I fori si allineeranno orizzontalmente a diversi livelli; iniziando l’operazione da quelli
del primo livello si applicherà, ad una estremità, quella del lato da cui si opera, uno
spezzone di tubo detto boccaglio sigillato con malta di cemento a rapida presa mentre,
all’altra estremità, si formerà un tappo di cemento; quando si debbano preservare
intonaci decorati occorre ridurre al minimo il diametro dei fori che si iniziano dal
paramento retrostante e si arrestano ad una certa distanza dal paramento decorato.
Le sonde a rotazione durante il loro funzionamento, iniettano acqua sotto pressione,
che porta in sospensione fino alla superficie, la polvere e i piccoli frammenti di
materiale tagliati dall’utensile; il colore conferito all’acqua di lavaggio dal contenuto
solido in sospensione, rivela in prima approssimazione, la qualità del materiale
perforato, le soluzioni di continuità, il grado di porosità e ogni altra caratteristica fisica
del materiale attraversato.
Nei tubi sonda detti sensitivi l’avanzamento più o meno celere dell’apparecchio
rilevabile alla levetta a mano, fornisce indizi sulla resistenza del materiale perforato e
sulla eventuale presenza di vuoti interni, segnalati da scatti in avanti dell’utensile.
Nel caso di scrostamento dell’intonaco esistente si procede alla stuccatura dei giunti e
delle lesioni, nella muratura messa a nudo, limitatamente alla parte bassa.
h) Collegamento in successione dei boccagli del primo livello con il tubo collegato con la
pompa di iniezione.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 209

Fig. 10.31: Collegamento dei boccagli con il tubo di iniezione

i) Lavaggio
Si procede al lavaggio interno della muratura da iniettare, iniziando dall'alto ed
estendendolo a tutta la zona da trattare nella giornata.
Occorre verificare che tutta la muratura risulti bagnata e ciò è possibile osservando
l'umidità sugli intonaci.
Inoltre, nel corso di questa operazione, possono individuarsi vie di fuga da cui potrebbe
fuoriuscire la miscela da iniettare e che dovranno essere sigillate.
j) Iniezione
L'iniezione vera e propria si effettua con l'impiego delle seguenti attrezzature:
• compressore;
• serbatoio a tenuta stagna per la miscela da iniettare;
• mescolatrice per confezionare la miscela;
• tubature di gomma per trasportare la miscela a pressione;
• ugelli cilindrici rigidi da inserire nei fori di varia forma e dimensione.
Al posto di apparecchiature a motore possono essere impiegate, per piccoli interventi o
in casi particolarmente delicati, pompe manuali. Il flusso deve essere sempre continuo,
senza creare vuoti.
Pag. 210 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

La miscela da iniettare può essere di vario tipo, in funzione delle caratteristiche del
manufatto e dei risultati che si vogliono ottenere.
In genere si impiega una miscela acqua-cemento in parti uguali o con leggera
prevalenza di acqua (0,8/1,0) e per pressione fino a 2,5÷3 atmosfere, a volte si usa
anche acqua–cemento–sabbia fine.
Tuttavia non esiste una regola di carattere generale, per cui caso per caso potrà variare
composizione e pressione, anche nell'ambito dello stesso intervento.
Allo stesso modo è possibile ricorrere all'impiego di additivi fluidificanti, che
consentano di intervenire in murature con connessioni sottili o di mattoni e di ridurre la
percentuale d'acqua, come pure di additivi espansivi, utilizzabili viceversa in presenza
dì grandi cavità; per rendere la miscela più stabile e quindi facilitare la penetrazione si
può aggiungere bentonite, preventivamente disciolta ed emulsionata con acqua e poi
aggiunta alla miscela di acqua–cemento, il rapporto massimo in peso bentonite–
cemento è 2–3/100.
Oltre a ciò si possono iniettare anche resine epossidiche o simili leganti, le resine
epossidiche sono costituite da due componenti liquidi: la resina vera e propria e
l’indurente, il gruppo base è il gruppo epossidico, cui si aggiunge un reattivo
(indurente), che ha il compito di trasformare la fase liquida in solida. La composizione
fondamentale può essere modificata con l’aggiunta di additivi, allo scopo di attenuare o
esaltare specifiche proprietà. La miscela dei due componenti solidifica senza sviluppo
di sostanze volatili, ed il processo di indurimento avviene senza ritiro.
Tuttavia, dato l'alto costo e la complessità e delicatezza di confezione e dosaggio, le
resine epossidiche richiedono maestranze altamente specializzate e sono idonee per
interventi del tutto particolari (risarcimento di elementi in c.a.; riparazione di elementi
decorativi; incollaggio fra materiali disomogenei; ecc.).
Un perfezionamento della tecnica delle iniezioni si ha con l’impiego delle malte
attivate, la caratteristica principale consiste in una profonda diluizione nell’acqua della
malta a mezzo di una turbina ad alta velocità che ha per risultato la produzione di una
sospensione stabile dovuta all’ulteriore frazionamento delle particelle di cemento per
effetto del moto turbinoso provocato dalla turbina; il latte di cemento, come se fosse
dotato di un potere lubrificante, penetra profondamente anche nei meati più piccoli
ove, in condizioni normali, nemmeno sotto pressione sarebbe potuto penetrare.
In ogni caso si procede dal basso verso l'alto, dai lati esterni e simmetricamente verso il
centro, avendo cura di rimescolare la miscela cementante durante l’iniezione con un
agitatore rotante connesso con la pompa.
Attraverso i fori si inietta la miscela fino alla fuoriuscita dal foro più vicino, si chiude il
primo foro e si passa al successivo e cosi via garantendosi in questo modo la completa
saturazione dell'elemento.
Qualora durante l'iniezione si verifichino fuoriuscite non dovute di miscela, si tampona
con cemento in polvere.
Gli ugelli usati devono essere rimossi non appena la miscela ha fatto la prima presa e,
infine, si rimuovono le eventuali sbavature e si riprende l'intonaco così da ottenere una
superficie muraria perfettamente liscia.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 211

Si può procedere al controllo della riuscita dell’operazione mediante percussione con


martello o con sonda carotiera.
Con le iniezioni a pressione, impiegando circa 100-120 Kg di cemento per metro cubo
di muratura, si ottiene una grande compattezza ed un rilevante aumento della resistenza
del muro.
Nei dissesti più gravi e più pericolosi, dovuti a schiacciamento o pressoflessione,
occorre, prima delle iniezioni, approntare le puntellature di sostegno e di ritegno e i
presidi definitivi come fasciature, cerchiature, cuciture, tiranti antiespulsivi.
Nelle strutture molto fatiscenti è conveniente procedere alle iniezioni dall’alto verso il
basso procedendo, foro per foro dapprima a perforare un breve tratto di muro, iniettare
il cemento a pressione tollerabile dal muro, e poi si prosegue ad un ulteriore
perforazione nello stesso foro, prima che il cemento si sia indurito, fino a raggiungere
un’altra cavità, si inietta altro cemento, e così via fino alla perforazione completa del
muro.
Questo è un metodo più lento di quello in cui si procede dal basso verso l’alto ma più
sicuro perché si procede con successive perforazioni man mano che la struttura si va
consolidando.
Ultimamente si utilizzano invece che miscele acqua–cemento altre miscele a base di
resine o di altre sostanze chimiche che hanno buona penetrazione ed elevata resistenza.

10.4.4 Consolidamento mediante applicazione di betoncino armato


L’intervento consiste nella proiezione a pressione di una miscela secca costituita da
sabbia e cemento, o gunite (cement-gun, cemento sparato), sulla superficie della muratura
da consolidare al fine di creare una fodera protettiva che conferisca alla struttura anche una
spiccata impermeabilità.
Questo intervento di facile se pur onerosa esecuzione è attuabile in caso di murature
variamente lesionate ma a differenza delle iniezioni, comporta un aumento finale della
sezione muraria su entrambe le facce con la conseguenza di renderne limitato o comunque
condizionato l'impiego soprattutto nei casi in cui sono da conservare elementi decorativi.
Quando poi si debba intervenire su murature a faccia vista questa tecnica risulta del
tutto inattuabile. E’ invece adatta per ripristinare la continuità fra parti non sufficientemente
ammorsate o tra le quali si siano determinate lesioni.
Tale tecnica migliora le caratteristiche meccaniche della muratura e ne ristabilisce la
continuità strutturale mediante l'applicazione di lastre in cemento armato su entrambe le
facce, reciprocamente collegate attraverso elementi metallici.
Su edifici storico–artistici l’uso del betoncino cancella le tracce del paramento
originario ed è quindi sconsigliabile. Un inconveniente di questo procedimento può
manifestarsi nel caso di murature di pessima qualità, o gravemente lesionate, a causa della
pressione esercitata sul paramento durante l’operazione.
Pag. 212 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.32: Perforazioni e posizionamento dei ferri di armatura

Modalità esecutive dell’intervento.


a) Preparazione delle murature
Si procede ad una accurata pulizia di tutta la superficie muraria su cui si deve
intervenire, previa adeguata puntellatura se necessaria, rimuovendo tutto l'intonaco ed
il legante arido superficiale su entrambe le facce ed utilizzando, oltreché gli attrezzi
consueti anche getti di aria compressa e getti d’acqua.
b) Perforazioni
Con attrezzo a rotazione ed evitando la percussione si eseguono i fori passanti che
serviranno per collegare le armature.
In genere, per murature diffusamente lesionate di spessore fino a 50 cm, si praticano 6
fori del diametro di 40mm per ogni metro quadrato di superficie.
Questo è un dato indicativo che può variare in funzione dello stato, natura, dimensione
della muratura.
Alla perforazione si può sostituire anche solo parzialmente l'estrazione di alcuni
elementi murari, in particolare quando i muri sono molto degradati.
c) Posizionamento dell'armatura
Su entrambe le facce della muratura si posizionano i ferri di armatura, in genere
costituiti da reti di acciaio ad aderenza migliorata elettrosaldate.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 213

Se la lesione da riparare è isolata, l'intervento deve estendersi convenientemente ai due


lati del giunto.
Se l'intervento riguarda un intero setto, deve essere esteso anche alle murature che a
questo si collegano, risvoltando convenientemente le armature e quindi il betoncino,
realizzando così un importante miglioramento del collegamento tra le pareti ortogonali.
Le reti saranno collegate fra di loro con spezzoni di tondino o ganci passanti attraverso
i fori od i varchi precedentemente ricavati, situati a circa 70-80cm di distanza l’uno
dall’altro.
Si devono mettere in opera distanziatori dell’armatura dal muro di spessore adeguato o
comunque non inferiore a 2 cm, per consentire il completo avvolgimento delle barre da
parte dell’intonaco.
d) Esecuzione delle lastre di betoncino.
Si bagnano abbondantemente le superfici murarie. A mano, ma più convenientemente
con l'impiego di un compressore, viene proiettata contro la superficie come
precedentemente predisposta una miscela secca di cemento e sabbia, in proporzione di
1 a 4, diluita con acqua in modo da ottenere un impasto fluido, fino a raggiungere uno
spessore minimo di 3÷4cm.

Fig. 10.33: Esecuzione del betoncino29


Pag. 214 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.34: Risvolto delle armature alle murature ortogonali

I materiali utilizzati per tale intervento sono:


• Barre o rete elettrosaldata di acciaio.
• Per le armature di parete: barre Ø6÷8 a maglia quadrata (è conveniente la rete
elettrosaldata), con lato di 15÷20 cm.
• Per i collegamenti trasversali: 5 spezzoni Ø8 per metro quadro di parete, alloggiati
entro fori realizzati con trapano a rotazione.
• Intonaco di cemento, dosaggio a 6 quintali, additivato con prodotti adesivi in
quantità pari al 5% in peso di legante.
• Malta per iniezioni, realizzata con cemento 425 additivato con prodotti
fluidificanti ed anti-ritiro fino al 5% in peso del legante.

È inoltre possibile realizzare un consolidamento mediante ridosso in c.a.


L’intervento consiste in una costruzione di una vera e propria parete in cemento
armato, che partendo dalle fondazioni si innalzano in aderenza con la muratura togliendo a
questa totalmente o parzialmente la sua funzione portante.
L’ammorsamento della parete in c.a. con la vecchia muratura può avvenire tramite
l’inserimento in quest’ultima di barre d’acciaio, o con la realizzazione di travi cordolo o
mensole in c.a.
Questo intervento nella sua facilità di esecuzione è fortemente condizionato dalla
possibilità di alterare sensibilmente l'aspetto formale e le dimensioni dell'elemento murario
su cui si interviene.
In pratica è adattabile in costruzioni prive di pregio, per muri controterra, per muri
ciechi quando siano gravemente lesionati e non risulti conveniente adottare altri sistemi più
sofisticati e costosi.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 215

Con questo intervento si ottiene un efficace consolidamento di strutture murarie


dissestate o mal dimensionate affiancando ad esse, e rendendolo solidale, un setto in
calcestruzzo armato che in genere avrà uno spessore minimo di 8÷10cm.
Modalità di esecuzione dell’intervento

a) Preparazione
Il muro deve essere accuratamente pulito fino al vivo dalla parte su cui si interviene,
sulla faccia opposta, quando le condizioni del manufatto non diano le dovute garanzie
di sicurezza per le necessarie fasi del lavoro, saranno posti in opera eventuali
puntellature.
Se il muro deve essere sottofondato sarà opportuno procedere a questa operazione dopo
l'applicazione del ridosso in c.a.
In questo caso le opere di puntellatura del muro saranno predisposte in questa stessa
fase preparatoria quindi, nella fase di esecuzione della sottofondazione, si preferirà
l'impiego del c.a. garantendo continuità strutturale fra cordolo di fondazione e ridosso
in c.a.
Per ottenere ciò in fase 2 si ripiegheranno le armature metalliche alla base del ridosso
in c.a. per includerle successivamente nel getto del cordolo di fondazione.
b) Posizionamento dell'armatura.
L'armatura adottata (barre a rete elettrosaldata φ8/20x20)) viene posizionata contro la
superficie del muro esistente e a questo collegata opportunamente.
E’ possibile al riguardo eseguire fori di grande diametro oppure togliere elementi della
muratura ricavando alvei, possibilmente passanti, in cui inserire spezzoni metallici
legati all'armatura principale.
c) Esecuzione del getto.
Si posiziona la casseratura di contenimento, si bagna abbondantemente e, dall'alto, si
esegue il getto di conglomerato con tutte le avvertenze proprie delle lastre verticali
sottili.
Pag. 216 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.35: Realizzazione della sottofondazione

a) b)
Fig. 10.36: a) Ridosso in c.a. con fori di grande diametro; b) Ridosso in c.a.con alvei
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 217

10.4.5 Consolidamento mediante perforazioni armate


Questo intervento può applicarsi quando si debbano ripristinare le connessioni
d’angolo, laddove le ammorsature abbiano perso la loro efficacia, ovvero rendere solidali
mutuamente elementi strutturali, costituire cordoli di collegamento, pseudo–cordoli,
qualora non sia possibile o consigliabile eseguirli in c.a. Si vuole ottenere un aumento di
resistenza a trazione della muratura attraverso le armature inserite nei fori, è una tecnica
molto indicata anche nei casi di schiacciamento costituendo un impedimento alla libera
dilatazione trasversale.
L’intervento è riservato quasi esclusivamente al consolidamento di importanti opere
monumentali, può trovare facile applicazione quale integrazione delle iniezioni cementizie
nei punti di giunzione fra i diversi muri e quando occorra garantire la continuità strutturale
fra elementi eterogenei (riempimento di brecce, sostituzioni di parti, ecc.). In casi
particolari questo intervento può estendersi a tutto il parametro murario.
Con questo intervento si ottiene un ottimo collegamento fra materiali ed elementi
eterogenei nonché uno stato di coesione maggiore fra le parti dello stesso elemento.
La particolare direzione che si può conferire alle perforazioni consente inoltre di
conferire all'elemento interessato particolari caratteristiche meccaniche. Nelle murature
lesionate per pressoflessione, il sistema consente di ottenere il triplice vantaggio di
ripristinare la continuità delle parti distaccate, di aumentare la resistenza a compressione e
di assorbire gli sforzi di trazione generati dalla flessione.
Modalità di esecuzione dell’intervento
a) Preparazione
La parte muraria oggetto di intervento, se non precedentemente consolidata con
iniezioni o simili, deve essere adeguatamente puntellata qualora sia in condizioni di
dissesto tale da non garantire l'assoluta sicurezza nella fase della perforazione.
Si segnano sui muri i punti di attacco della trapanazione e, sulla base del progetto, ci si
assicura della effettiva possibilità di eseguirle senza recare danneggiamenti non voluti.
b) Perforazioni
Si eseguono le perforazioni con strumento a rotazione (sonda carotatrice) col diametro,
profondità e direzione previsti dal progetto, in media Ø35-45mm, e secondo un ordine
che di volta in volta verrà stabilito per garantire la massima sicurezza.
In generale le perforazioni sono incrociate a 90°, in modo che le barre siano
opportunamente sovrapposte, senza soluzione di continuità.
c) Armatura dei fori.
I fori vengono abbondantemente bagnati con acqua a modesta pressione e quindi
riempiti di boiacca di cemento o di malte speciali o ancora di resine utilizzando la
medesima attrezzatura vista per le iniezioni.
Pag. 218 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.37: Reticoli cementati Fig. 10.38: Dettagli costruttivi

Quindi si introducono le barre di acciaio ad aderenza migliorata, Ø10-18mm, che a


presa avvenuta, vengono tagliate a filo della muratura.
Nel caso di murature a faccia vista è opportuno che le barre siano preventivamente
tagliate a misura così che sia possibile stuccare il foro con idoneo materiale che non
alteri l'aspetto del muro ad intervento eseguito.
I materiali utilizzati per tale intervento sono:
• Legname per puntellature.
Boiacca, malta, resine, acciaio ad aderenza migliorata.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 219

Fig. 10.39: Perforazioni armati

10.4.6 Consolidamento di colonne mediante colatura di boiacca,


armatura delle perforazioni, angolari e betoncino armato;
perforazioni armate e/o tirantini antiespulsivi
Il fenomeno più comune di dissesto delle colonne è rappresentato dallo
schiacciamento. Attraverso l’inserimento di barre nel pilastro e realizzazione di una fodera
in c.a. si ottiene un notevole aumento della resistenza dell’elemento. E’ possibile effettuare
frettaggi con microbarre di acciaio inserite all’interno della colonna ed invisibili ad
intervento ultimato.
Questo intervento è l'estensione agli elementi snelli delle tecniche illustrate nelle
schede relative alle pareti, con i dovuti accorgimenti ed integrazioni.
Pag. 220 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Con questa tecnica si ottiene, da un lato di integrare il legante all'interno


dell'elemento murario, dall'altro di migliorarne le caratteristiche ed il comportamento con
l'apporto di nuove sezioni resistenti rese solidali con la muratura originaria.
Modalità di esecuzione dell’intervento
• Tipo 1
a) Preparazione delle murature.
Si procede ad una accurata pulizia di tutta la superficie muraria rimuovendo tutto
l'intonaco ed il legante arido con l'impiego eventuale, oltreché degli attrezzi consueti,
anche di getti di aria compressa.
b) Perforazioni armate.
Secondo quanto stabilito dal progetto si esegue la prima serie inferiore di perforazioni
passanti, utilizzando attrezzi alla sola rotazione.
Prima di applicare il boccaglio si inserisce nel foro una barra di acciaio ad aderenza
migliorata di diametro opportuno.
c) Colatura della miscela cementizia.
Dopo aver tappato il foro d'uscita e con l'ausilio di un imbuto, previa abbondante
bagnatura con acqua, si esegue la colatura della miscela cementizia; è comunque
possibile effettuare anche delle iniezioni a bassa pressione.
d) Completamento della colatura.
Si ripetono le fasi 2 e 3 per ogni successiva porzione di muratura, fino a
completamento.
e) Armatura esterna.
Si posizionano negli spigoli opportuni angolari di acciaio e staffa, l'elemento con
tondino di acciaio o con rete elettrosaldata, provvedendo a rendere solidali queste
armature fra di loro e con le barre precedentemente infisse nei fori mediante saldature.
f) Esecuzione delle lastre di betoncino.
Si bagna abbondantemente il tutto, quindi a mano, ma più convenientemente con
l'impiego di un compressore, si proietta contro la superficie come precedentemente
predisposta, una miscela secca di cemento e sabbia, in proporzione di 1 a 4, diluita con
acqua in modo da ottenere un impasto fluido, fino a raggiungere uno spessore minimo
di 3÷4 cm.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 221

Fig. 10.300: Betoncino armato

• Tipo 2
Si può disporre anche un’armatura elicoidale formata da tondini a doppia spirale,
Ø6-10mm con un passo 6-10cm, che meglio si adattano a recepire gli sforzi agenti sulla
colonna, nel caso siano in atto o si prevedano dissesti per schiacciamento.
Pag. 222 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.311: Realizzazione di pilastri provvisori

Per scaricare l’elemento prima del consolidamento si realizzano pilastri provvisori in


muratura di mattoni, avendo cura di farli entrare sotto sforzo per recepire le azioni che
gravavano sul pilastro da consolidare.
a) Si scrosta l’intonaco che riveste il pilastro, che poi viene pulito con una spazzola
metallica bagnando con abbondante acqua.
b) Poi si applicano ai paramenti ferri piatti, 10x30mm, in prossimità degli spigoli
leggermente smussati.
c) Si avvolge il tondino Ø6-10 ad elica, tirandolo con pinze antiespulsive e tenaglie e
fissandolo ai ferri piatti con punti di saldatura.
d) Si mettono in opera i tirantini antiespulsivi o le cuciture metalliche entro i fori
precedentemente trapanati.
e) Si costruisce una cassaforma a tenuta d’acqua che racchiuda il pilastro. Si riempie
d’acqua la cassaforma fino ad una certa altezza eliminando tutte le perdite. Poi si versa
il latte di cemento fino alla quota precedentemente raggiunta dall’acqua che, più
leggera del cemento, si sposta verso l’alto; si versa altro latte di cemento e così via fino
al riempimento completo della cassaforma. Se non si sono utilizzati additivi anti ritiro,
il getto va integrato nei giorni successivi per riempire i vuoti lasciati dal ritiro.
f) Infine si rimuove la cassaforma dopo 3 o 4 giorni dall’ultimo versamento.
Per le colonne cilindriche, le cerchiature tradizionali sono realizzate con anelli di
ferro piatto, formati da due o più elementi collegati con giunti a forchetta, messi in opera a
caldo. Gli anelli raffreddandosi si contraggono ed entrano in tensione aderendo alla
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 223

colonna. Nelle colonne più dissestate oltre agli anelli che costituiscono l’armatura di forza,
si impiegano anche piatti verticali di ripartizione chiamati longheroni, più o meno
ravvicinati a seconda dell’entità del dissesto.
• Tipo 3
I tirantini antiespulsivi vengono inseriti entro fori eseguiti nella muratura con sonde
a rotazione. Hanno forma di bullone con testa e dado muniti di rondelle capichiave,
vengono riscaldati, inseriti nei fori e leggermente serrati per fare aderire le due rondelle alla
muratura. La contrazione che si ha con il raffreddamento genera sulle facce la tensione
antiespulsiva, a raffreddamento avvenuto si fanno delle iniezioni di cemento entro i fori per
fare aderire il tirantino alla muratura.
I tirantini antiespulsivi si usano a sussidio delle cerchiature o da soli per consolidare
i sostegni non intonacati di particolare valore architettonico che verrebbero deturpati dalle
cerchiature.

Fig. 10.41: Tiranti antiespulsivi e cerchiature


Pag. 224 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

• Tipo 4
Le cuciture metalliche si eseguono inserendo monconi di acciaio ad aderenza
migliorata entro i fori eseguiti nella muratura con sonde a rotazione, i monconi si fanno
aderire alla muratura mediante iniezioni di cemento all’interno dei fori.
Dopo aver consolidato la colonna con iniezioni di malta a pressione o a gravità si
procede alla esecuzione di fori posti diagonalmente e sovrapposti tra loro in modo da creare
una maglia interna ad elica, si procede con l’inserimento di barre d’acciaio, poi
solidarizzate alla colonna con iniezioni di resina.

Fig. 10.42: Cuciture metalliche

Le armature vengono poste in opera a 45° così da poter assorbire variazioni dei
carichi con il solo mutamento del valore dello sforzo assiale, trazione o compressione.
La differenza tra i tirantini antiespulsivi e cuciture metalliche consiste nel fatto che i
primi, essendo in tensione fin dalla messa in opera, agiscono immediatamente sulla
muratura contrastando la deformazione laterale già in atto, mentre le seconde entrano in
forza per contrastare la deformazione solo quando questa va aggravandosi ulteriormente.
I materiali utilizzati per tale intervento sono:
• Legname per cassaforme;
• Ferro per armature, ferro fucinato per piastre;
• Boiacca , Betoncino , Resine, Additivi.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 225

10.4.7 Consolidamento di pareti nei confronti del ribaltamento mediante


applicazione di tiranti metallici
La finalità è di assicurare mediante tesatura dei tiranti, inglobati nell’organismo
murario, un comportamento sufficientemente monolitico del complesso sotto un
conveniente stato di coazione, senza provocare alcuna variazione delle linee
architettoniche.
L’impiego di barre tese per il consolidamento delle murature è molto antico, tiranti o
catene metalliche sono usati nelle strutture spingenti per contrastare o eliminare la spinta di
archi e volte che provocano la rotazione dei sostegni murari. I tiranti hanno la funzione di
impedire l’aggravarsi delle deformazioni in atto ma non di eliminarle, essi possono essere
realizzati con barre o con trefoli di acciaio armonico. Ove si verifichino deformazioni per
pressoflessione o carico di punta, l’applicazione delle catene avverrà in corrispondenza dei
solai al di sotto del pavimento, così da ridurre la luce libera d’inflessione.
L'impiego dei tiranti metallici è una tecnica di consolidamento molto efficace che
però deve intendersi complementare ad altri interventi quando le murature in oggetto siano
già degradate o lesionate (iniezioni o colature cementizie, cuci-scuci, ecc.).
Quando con questa tecnica si intenda migliorare il comportamento antisismico delle
strutture e non soltanto collegare elementi contigui di muratura con riferimento ad una
normale condizione statica, allora assume particolare importanza sia il dimensionamento
che la localizzazione e la posa in opera dei tiranti per non indurre effetti negativi.
Sono in via di sperimentazione e di applicazione nuovi sistemi di impiego dei tiranti
metallici nelle murature esistenti volti a migliorarne il comportamento durante i fenomeni
sismici (precompressione di murature, tiranti verticali).
Modalità esecutive dell’intervento
a) Segnare i livelli e gli assi dei tiranti su entrambe le facce del muro.
b) Tracciatura e trapanatura delle murature con creazione dei fori di passaggio di
25÷30mm mediante carotatrice a rotazione.
c) Determinazione e preparazione dei tiranti che avranno la lunghezza intercorrente fra le
due facce esterne dei muri da contrastare più 20 cm. Alle due estremità ogni tirante
verrà filettato per una lunghezza di circa 10 cm con filettatura M 16.
L'ancoraggio può anche realizzarsi con capochiave a paletto da porre con angolazione
di 45° rispetto alle ortogonali muro/solaio in modo da interessare, con il tiraggio,
ambedue le strutture di contrasto.
d) Scasso nella muratura per inserimento delle piastre di ancoraggio, il piano di posa delle
piastre dovrà essere preparato con malta a ritiro compensato. Posa in opera degli
ancoraggi (piastre dello spessore di 15 mm, lato 20-25 cm o circolari Ø 30 cm) e
inserimento dei tiranti.
e) Riempimento, con malta cementizia, dello spazio fra piastra di ancoraggio e muratura.
Dove la malta potrebbe venire in contatto con i tiranti, proteggere questi con tubi di
plastica da togliere dopo alcune ore.
f) Dopo alcuni giorni (3-4) porre in tensione i tiranti con i dadi filettati, attraverso chiavi
dinamometriche. Raggiunta la tensione voluta, si saldano i dadi. Dati sperimentali
Pag. 226 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

indicano che basta indurre uno sforzo di compressione addizionale sulla sezione
nominale della parte interessata di 1-1,5 Kg/cm², per ottenere un miglioramento anche
notevole della resistenza delle murature. Il tiraggio si può effettuare sostituendo ai dadi
di testa un manicotto centrale con filettature sinistradestra.
Nel caso di tiraggio a caldo, filettature e dadi vengono sostituiti da cunei metallici
(zeppe) da forzare leggermente con i capichiave, quindi si riscalda il tratto centrale del
tirante in modo da allentare le zeppe che vengono di nuovo forzate.
g) Si riempiono con iniezioni di cemento a bassa pressione tutti i fori e aperture attraverso
i quali corrono i tiranti.
Se la muratura esterna è da finire con intonaco e si sono predisposti gli ancoraggi
incamerandoli nella muratura, si sigillano le tracce con malta di cemento, si applica la
rete metallica sulla piastra e successivamente si intonaca con malta di cemento.

Fig. 10.42: Catene metalliche Fig. 10.43: Piastra di ancoraggio

E’ sempre opportuno porre in opera per ogni muro coppie di tiranti paralleli
leggermente incassati nella muratura, in modo da non indurre nelle stesse sollecitazioni di
presso-flessione. La tecnica è analoga, con la possibilità di ricavare nel muro delle sedi
(tracce) in cui alloggiare i tiranti per poi sigillare il tutto con malta dopo la fase di tiraggio.
Nel caso di tiranti verticali la trivellazione prosegue nel terreno per alcuni metri e la
parte finale del cavo viene sguainata, per effetto dell’iniezione si crea in tale zona un grosso
bulbo che funge da ancoraggio inferiore.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 227

Non esistono in pratica grosse difficoltà che impongano limitazioni della lunghezza
della trivellazione verticale, mentre per quella orizzontale il vincolo a mantenere la traccia
all’interno dello spessore della muratura limita la lunghezza degli interventi sui 15-20m.
I tiranti possono essere posti in opera anche all’esterno delle murature, essi sono
costituiti da barre metalliche aderenti alle murature e spesso poste in scanalature ricavate
sulla loro superficie in modo da occultarne la vista. Sono estremamente utili dispositivi,
come i tenditori, in grado di riprendere eventuali cadute di tiro che dovessero verificarsi nel
corso degli anni.
Si possono risarcire spanciamenti dovuti a schiacciamento della muratura,
effettuando delle perforazioni multiple nella zona interessata.

Fig. 10.44: Risarcitura di spanciamenti tramite perforazioni armate


Pag. 228 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.45: Tirantatura di architravi32


Si possono tirantare anche degli architravi in pietra, avendo cura di incrociare le
direzioni di tiro in maniera tale da garantire una maggiore resistenza nel piano,
intervenendo in due direzioni contemporaneamente.
I materiali utilizzati per tale intervento sono:
• Ferro per tiranti, Ferro fucinato per piastre, capochiave.
• Malta cementizia, spessori di tubo di plastica.

10.5 Consolidamento di archi, volte in muratura e cupole


E’ noto che archi e volte in muratura, per la loro stabilità, devono essere soggetti
esclusivamente a tensioni interne di compressione, che non superino il carico di sicurezza
del materiale, e che le azioni inclinate da esse esercitate su sostegni, componendosi con i
carichi verticali, non devono indurre nei sostegni stessi sforzi di trazione in tutte le sezioni
dalla sommità alle fondazioni, né scorrimenti sul piano orizzontale, né ribaltamento. Per
ottenere questo, data l’incapacità delle ossature murarie di resistere a sforzi di trazioni,
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 229

occorre dare a tali strutture forme e dimensioni rapportate ai carichi gravanti ed ai vincoli
presenti.
Nel consolidamento degli archi e volte è necessario stabilire innanzi tutto le cause
del dissesto che possono derivare da:
a) cedimenti dei piedritti dovuti a:
1. cedimenti fondali di trascinamento, di traslazione e di rotazione;
2. dissesti interni delle murature, indipendenti dai cedimenti fondali, dovuti
esclusivamente a deficienze strutturali o ad azioni esterne impreviste
come l’assestamento, lo schiacciamento, la presso-flessione, l’azione di
strutture spingenti, i fenomeni vibratori e sismici;
b) cedimenti spontanei degli archi e delle volte dovuti spesso alla mancata verifica
delle condizioni di stabilità.
c) cedimenti spontanei degli archi e delle volte determinati da:
1. forte carico dovuto al peso del materiale di riempimento o a sovraccarichi
eccessivi spesso incrementati da variazione di destinazione dei locali o da
trasformazioni interne;
2. insufficienza degli spessori della struttura portante in relazione al carico
ed al rapporto tra freccia e luce;
3. errata valutazione delle capacità di resistenza del materiale impiegato;
4. azione disgregatrice di sostanze chimiche;
5. vetustà che nel tempo disgrega le malte e il materiale murario: umidità,
gelo, aggressioni atmosferiche che agiscono su malte cattive e soprattutto
su malte di gesso, su pietre porose e su mattoni scadenti;
d) cedimenti dei piedritti, che possono essere dovuti alla incapacità di contrastare
l’azione della spinta; in certi casi infatti, pur non essendo soggetti a cedimenti
spontanei i piedritti, per effetto della sola spinta degli archi o delle volte,
subiscono degli spostamenti iniziali che danno origine a moti spontanei. D’altra
parte i cedimenti spontanei dei piedritti, indipendenti dalla spinta, provocano negli
archi e nelle volte veri e propri moti di trascinamento che determinano stati
fessurativi che sovrapponendosi a quelli dovuti ai piedritti in cedimento
determinano il quadro complessivo di fatiscenza. Dovendo procedere al
consolidamento, diagnosticate le cause e l’entità del dissesto, si interverrà,
secondo le esigenze, con le opere di consolidamento delle fondazioni e dei
sostegni, e poi con il consolidamento delle strutture spingenti

10.5.1 Consolidamento di archi a mezzo di tiranti


Tale tipologia tende ad annullare le componenti di spinta presenti in un sistema di
forze originate da elementi voltati.
Essa consiste nell’inserimento di elementi metallici, al livello d’imposta delle
strutture, i quali risultano sollecitati con sforzi normali positivi dopo essere stati posti in
carico.
Pag. 230 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

La messa in opera dei tiranti è conveniente quando non è possibile aumentare le


dimensioni delle spalle di imposta e permette di eliminare i pericoli di dissesto per
pressoflessione dovuti allo spostamento verso l'esterno degli elementi verticali.

Modalità di esecuzione dell’intervento.


• Tipo 1
1ª fase
• Foratura dei piloni o delle murature su cui scarica l'arco, all’altezza delle reni
dello stesso.
• Tracciatura e trapanatura delle murature con creazione dei fori di passaggio di
25÷30mm mediante carotatrice a rotazione.

Fig. 10.46: Inserimento di tiranti metallici

2ª fase:
• Il dimensionamento dei tiranti, che possono essere messi in opera a caldo o a
freddo, si farà in funzione dell’entità della spinta e del carico di sicurezza
dell’acciaio. I tiranti avranno la lunghezza intercorrente fra le due facce
esterne dei muri delle spalle da contrastare più 20 cm, alle due estremità ogni
tirante verrà filettato per una lunghezza di circa 10 cm con filettatura M 16.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 231

Fig. 10.47: Azioni che sollecitano l’arco

• L'ancoraggio può anche realizzarsi con capochiave a paletto da porre con


angolazione di 45° rispetto alle ortogonali muro/solaio in modo da interessare,
con il tiraggio, ambedue le strutture di contrasto.
• Scasso nella muratura per inserimento delle piastre di ancoraggio, il piano di
posa delle piastre dovrà essere preparato con malta a ritiro compensato. Posa
in opera degli ancoraggi (piastre dello spessore di 15mm, lato 20-25 cm o
circolari Ø 30 cm) e inserimento dei tiranti.
• Nella scelta dei tipo e dimensionamento del capochiave occorre procedere alla
verifica che la reazione al punzonamento del muro sia eguale o (meglio)
maggiore della spinta orizzontale esercitata dall'arco.
• L'ancoraggio può anche realizzarsi con capochiave a paletto da porre con
angolazione di 45° rispetto alle ortogonali muro/solaio in modo da interessare,
con il tiraggio, ambedue le strutture di contrasto.
Pag. 232 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.48: Ancoraggio dei tiranti33

• I tiranti metallici vanno inseriti alla quota dei giunti alle reni ed estesi a tutta la
zona porticata per evitare che gli effetti della spinta si trasferiscano sui
piedritti limitrofi a quello in cedimento.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 233

Fig. 10.49: Alloggiamento del tirante metallico

Fig. 10.50: Tirante metallico

Nel caso in cui si è in presenza di più archi contigui, la foratura dovrà interessare, alla
quota delle reni, tutti gli archi contigui, e la catena dovrà essere passante per tutti gli archi,
con ancoraggi posti solo alle estremità (Figura 10.57)
Pag. 234 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.51: Tirante metallico per archi contigui

• Tipo 2
Si possono mettere in opera i tiranti estradossali, che vengono disposti, al fine di
neutralizzare la spinta degli archi, al disopra della chiave dell’arco e all’interno
dello stesso.

Fig. 10.52: Tiranti estradossati

Così ubicati riducono gli effetti della spinta ma non li annullano e risultano tanto
meno efficaci quanto le masse di spalla sono più gracili.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 235

In questo caso il tirante anziché essere disposto all’altezza dei centri di spinta, in
modo da neutralizzare totalmente le componenti orizzontali delle azioni inclinate
dell’arco, viene sistemato alla quota dell’estradosso, gli interi muri di spalla
lavorano come travi incastrate, all’altezza del tirante, perché le reazioni dei
capichiave ivi applicata e la continuità muraria fanno ritenere le sezioni esenti da
rotazione; la base dei muri può ritenersi incastrata, perché i massi fondali
subiscono rotazioni trascurabili per la loro mole, per l’ampiezza della base e per il
contrasto col terreno circostante supposto ben costipato.
Di conseguenza i muri di spalla risultano soggetti a pressoflessione e taglio. Per
effetto di queste sollecitazioni si hanno distribuzioni delle tensioni che consigliano
di assumere con molta prudenza i risultati delle indagini statiche di questa struttura
con tirante estradorsale che, nel complesso, risulta meno efficace di quella col
tirante posto all’altezza dei centri di spinta. Una variante al tirante estradorsale è
l’imbracatura dell’arco, che risulta ancor meno efficace del tirante estradorsale,
essa consiste nell’inserire un’ulteriore tirante inclinato secondo la direzione della
spinta e ben collegato alle spalle laterali ed al tirante stesso.
I materiali utilizzati per tale intervento sono: ferro per tiranti, ferro fucinato per
piastre, capochiave, malta cementizia.

10.5.2 Consolidamento di archi a mezzo di tiranti attraverso


architravatura con riduzione della spinta dell’arco
La funzione di tale intervento è quella di equilibrare la spinta in presenza di un
sistema di forze tali da indurre stati di pressoflessione nelle strutture di sostegno.
La messa in opera delle architravature sovrastanti è utile quando, per ragioni
estetiche o funzionali non è consigliabile mettere in opera i tiranti.
In tal modo la spinta laterale sui piedritti viene trasformata in quella verticale,
eliminando i pericoli di dissesto per pressoflessione.
Tale intervento molto valido, presenta però il problema di dover incidere nella
muratura esistente, con ovvia conseguenza di lasciare a vista ad intervento compiuto le
tracce dello stesso, quindi poco indicato nel caso di strutture di valore artistico
Modalità di esecuzione dell’intervento
a) Puntellatura della struttura ad arco ed opere provvisionali di controspinta nei piedritti
di sostegno dell'arco.
b) Su una delle due facce della muratura sovrastante l'arco, si procede alla formazione di
una traccia, lunga fino ad interessare la zona dei piedritti.
c) Inserimento, nella traccia così predisposta, di un profilato metallico, previamente
forato in tre punti, per permettere il successivo passaggio dei bulloni di
inchiavardatura.
Pag. 236 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.53: Architravatura

d) Sulla parte opposta della muratura come le fasi b) e c).


e) Messa in opera dei bulloni di inchiavardatura e ripristino delle superfici esterne delle
murature interessate.
Nel caso di murature a faccia–vista, le tracce saranno approfondite, fino a permettere
la messa in opera degli elementi di ripristino.
I materiali utilizzati per tale intervento sono: legname per puntellature, profilati in
acciaio, bulloni e dadi, malta cementizia.

10.5.3 Consolidamento di archi mediante perforazioni armate


Il consolidamento avviene a mezzo dell’inserimento di barre d’acciaio in opportuni
fori praticati all’interno della muratura la volta e successivamente iniettati con malta
speciale.
Questo tipo di intervento è idoneo a consolidare archi dissestati in muratura di
mattoni o in elementi di pietra, che per dimensione e per caratteristiche devono essere
conservati preservandone funzione ed aspetto
Tale azione ripristina la continuità fra i vari elementi costituenti l'arco e può essere
integrata, consolidando anche una fascia muraria soprastante l'arco stesso, in modo da
assegnare ad una porzione di muro un comportamento a trave.
Modalità di esecuzione dell’intervento
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 237

a) Preparazione.
L'intervento può essere eseguito dall'intradosso o dall'estradosso.
Il secondo caso ricorre sempre quando risulta opportuno puntellare la struttura
rendendo quindi inaccessibile la faccia inferiore dell'arco.
In ogni modo si procederà, sulla base del progetto, al tracciamento dei punti di attacco
delle perforazioni.
Di norma queste hanno: direzione radiale quando eseguite dal basso verso l’alto,
tangenziale quando eseguite dalla faccia del muro soprastante l'arco.
b) Perforazioni.
Si eseguono le perforazioni con strumento a rotazione del diametro, profondità e
direzione previsti dal progetto, realizzate in serie successive e secondo un ordine che di
volta in volta verrà stabilito per garantire la massima sicurezza.

Fig. 10.344: Perforazioni armate


Pag. 238 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.55: Trave di scarico realizzata mediante perforazioni armate35

Si consiglia una distanza di 50cm tra un foro ed un altro appartenenti alla stessa serie, e
di 10 cm tra due diverse serie, in modo da ottenere una buona intersezione delle
armature.
In pianta la distanza tra due serie mediamente è di 10cm, ed ogni serie viene ripetuta su
tutto lo sviluppo della volta ogni 70 cm.
c) Armatura dei fori.
I fori vengono abbondantemente bagnati e quindi riempiti di boiacca di cemento o di
malte speciali o ancora di resine utilizzando la medesima attrezzatura vista per le
iniezioni.
Quindi si introducono le barre di acciaio ad aderenza migliorata che, a presa avvenuta,
vengono tagliate a filo della muratura.
Nel caso di murature a faccia–vista è opportuno che le barre siano preventivamente
tagliate a misura così che sia possibile stuccare il foro con idoneo materiale che non
alteri l'aspetto del muro ad intervento eseguito.
Particolare cura va posta nell’esecuzione, la buona riuscita dell’intervento è affidata
all’aderenza degli elementi metallici con la miscela di iniezione e di questo insieme con la
muratura.
Un eventuale sfilamento delle armature sarà da attribuirsi più alla perdita di aderenza
tra l’interfaccia muratura–sigillatura che tra l’interfaccia, di norma più affidabile
sigillatura–armatura.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 239

I materiali utilizzati per tale intervento sono: legname per puntellature, trapano
perforatore a rotazione; boiacca, malta, resine, ferro in barre ad aderenza migliorata.

10.6 Consolidamento di solai a volta


10.6.1 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra
mediante la posa in opera di rinfianchi cellulari ed esecuzione di
un nuovo piano di estradosso
L’intervento consiste nella riduzione della spinta mediante la rimozione delle masse
non strutturali gravanti sulle volte e nel riequilibrio della curva delle pressioni interne
mediante l’esecuzione di muretti (frenelli) disposti normalmente alle generatrici.
Il dissesto di una volta può essere dovuto alla sua configurazione geometrica ed
anche al carico su essa gravante. Agire su questo, riducendone l’entità, è un’operazione
utile quando non si possa o non si voglia demolire e ricostruire la volta per cambiarne la
forma. La eliminazione dei pesanti riempimenti di rinfianco, messi in opera per realizzare il
piano di calpestio sovrastante, e la loro sostituzione con altre strutture più leggere è un
intervento che conduce ad una riduzione dei carichi di circa la metà.
Questo tipo di intervento può essere adottato di preferenza nel caso di grandi volte,
con luci superiori ai 6÷8 metri, le quali per la loro configurazione siano affaticate da grandi
masse di rinfianco.
Si intende tuttavia che la volta risulti ben costruita e costituita di buon materiale;
infatti qualora la configurazione geometrica della volta non assecondasse il poligono delle
pressioni, le sezioni fossero insufficienti, il materiale degradato, non si potrebbe adottare
questo sistema.
Con questo tipo di intervento si ottengono i seguenti risultati:
• ricostruzione di una massa di rinfianco ben dimensionata e ben eseguita;
• corretta ed omogenea distribuzione dei carichi;
• buon collegamento fra le parti che costituiscono la volta con impedimento di
scorrimento reciproco;
• irrigidimento complessivo del sistema.
Modalità di esecuzione dell’intervento
a) Puntellatura.
Tutta la volta oggetto dell'intervento deve preventivamente essere sostenuta da un
sistema di centine che inviluppino la superficie di intradosso, allo stesso modo che se
la volta dovesse essere costruita ex–novo.
Inoltre, poiché il rifacimento dei rinfianchi comporta una eliminazione temporale della
funzione benefica che la volta poteva avere neutralizzando la spinta di altre volte
contigue, si costruiranno sbadacchiature adeguate per assolvere questo compito per un
periodo transitorio.
Pag. 240 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Queste opere provvisionali possono essere estremamente complesse ed onerose in


funzione del tipo e della dimensione della volta da consolidare nonché della sua
collocazione rispetto alle altre parti dell'edificio.
Infatti, qualora il piano sottostante la volta sia costituito da altro solaio, l'opera di
puntellazione deve essere estesa fino ad un piano di appoggio assolutamente sicuro.

Fig. 10.56: Opere provvisionali

Prima di porre in opera il manto della puntellatura si provvede alla stuccatura con
cemento a lenta presa delle eventuali lesioni o soluzioni di continuità riscontrabili
all'intradosso.
b) Demolizioni e rimozioni.
Tutto il materiale sovrapposto alla volta dovrà essere demolito e rimosso fino al vivo
dell'estradosso della struttura.
E’ evidente come in ciascuna situazione si possa ritrovare un caso a sé stante: in ogni
caso si tratta di eliminare il pavimento, il sottofondo, l'eventuale piano di posa e il
materiale di rinfianco.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 241

Fig. 10.57: Demolizione e rimozione del materiale sovrapposto alla volta

Questa operazione procederà per successivi strati paralleli, partendo dalla zona di
chiave verso l'esterno della volta.
Nelle volte a botte si inizia lungo la generatrice superiore e, per tratti uguali, si procede
dall'una e dall'altra parte fino ai rinfianchi.
Nelle volte a crociera e a padiglione, partendo dal centro, si procede lungo quattro
fronti, secondo gli anelli della volta nel caso della crociera o secondo le generatrici in
quella a padiglione, fino al livello di imposta.
Tutte queste operazioni saranno condotte manualmente e con la massima cura per
evitare di danneggiare il materiale che costituisce la volta in ogni sua parte.
Pag. 242 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.58: Consolidamento della volta con cappa armata

c) Pulitura della faccia estradossale.


A questo punto si procede ad una accurata pulitura di tutto l'estradosso della volta e, in
particolare, si elimina il legante fra i vari elementi che si presenta arido ed
inconsistente. Ciò sarà attuato impiegando spazzole metalliche, raschietti, getti di aria
compressa.
d) Consolidamento diretto della volta all'estradosso.
Risarcimento del legante nei giunti: Conci di pietra.
Il risarcimento del legante può essere effettuato con colatura di boiacca cementizia a
pressione atmosferica o con l'impiego di iniettori a bassa pressione. Similmente
possono essere impiegate resine epossidiche.
In presenza di gravi lesioni con distacco e scorrimento reciproco degli elementi, questi
possono essere collegati fra di loro con vere e proprie cuciture da effettuarsi con barre
di acciaio ad aderenza migliorata immerse in resina, previa perforazione dei conci.
Risarcimento del legante nei giunti: Muratura di mattoni.
Il risarcimento del legante può essere effettuato con colatura di boiacca cementizia a
pressione atmosferica. Nel caso di vere e proprie lesioni si possono praticare iniezioni a
pressione sia di boiacca sia di resine epossidiche.
Costituzione di una cappa armata.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 243

Un’eventuale intervento teso al consolidamento della volta consiste nella formazione di


una cappa in conglomerato cementizio armato, posta all'estradosso.

Fig. 10.59: Realizzazione di frenelli in mattoni


Essa ha la duplice funzione di aumentare la sezione resistente della struttura e di
impedire lo scorrimento reciproco delle parti che la costituiscono.
Per prima cosa si pone in opera l'armatura adagiando la rete metallica elettrosaldata
Ø6/10 in modo che segua perfettamente la forma dell'estradosso della volta. Per
ottenere ciò la rete potrà essere tagliata, piegata, sovrapponendo debitamente le
eventuali giunzioni.
Pag. 244 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.60: Volta a botte con frenelli in mattoni e cordolo in c.a. ancorato alla muratura

Si procederà quindi al collegamento della rete con la muratura, attraverso l'infissione di


chiodi metallici nella stessa. Tali chiodi potranno essere stati alloggiati
precedentemente nei giunti durante l'esecuzione delle opere descritte nel punto 4.1.
Quindi si effettuerà il getto di calcestruzzo, per uno spessore non inferiore a 4cm,
costante o variabile a seconda delle indicazioni progettuali.
e) Ricostituzione delle masse di rinfianco.
Prima della costruzione della cappa armata, si provvede a gettare la massa di
calcestruzzo che costituisce il rinfianco della volta.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 245

Fig. 10.61: Costruzione di rinfianchi cellulari

Solo il progetto ne determinerà la quantità e la forma in dipendenza della funzione


statica che il rinfianco dovrà assolvere, in ordine ad una eventuale «correzione»
dell'andamento della curva delle pressioni, utilmente con maggiore spessore in
corrispondenza dei rinfianchi di imposta affinché la curva delle successive risultanti,
verificata per la nuova condizione di carico, sia sempre interna al nocciolo centrale
d’inerzia delle sezioni.
f) Costruzione dei rinfianchi cellulari.
I rinfianchi cellulari sono costituiti da muretti (frenelli) in muratura di mattoni o in c.a.,
disposti perpendicolarmente alle generatrici delle falde. L'interasse di questi muretti ed
il loro spessore è naturalmente variabile in dipendenza del tipo di volta e del tipo di
solaio piano da sovrapporre ad essi, indicativamente si può considerare di 80÷120cm.
Pag. 246 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.62: Volta a botte con rinfianco cellulare con frenelli primari e secondari

Fig. 10.63: Volta a padiglione con rinfianco cellulare a frenelli e tavelloni


Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 247

Fig. 10.364: Volta a crociera con rinfianco cellulare

Per migliorare la funzione dei frenelli occorre attuare il miglior collegamento fra gli
stessi e l'estradosso della volta.
Ciò può realizzarsi attraverso chiodi metallici da infiggere nella volta lungo la
superficie di contatto fra questa e i muretti cosicché questi possano in parte
comprenderli.
Nel caso si sia costituita una cappa armata saranno lasciati opportuni spezzoni di ferro
sporgenti e collegati alla rete di armatura. Le successive cellette che risultano devono
essere in reciproca comunicazione, attraverso aperture lasciate nei frenelli, al fine di
consentire circolazioni d’aria che riducano gli effetti termici. Queste camere d'aria
potranno essere utilizzate per il passaggio di condutture e canalizzazioni.
Per volte di grande luce è utile costruire muretti trasversali di irrigidimento dei frenelli.
Nel caso di volte decorate, per le quali si teme che le infiltrazioni della malta di
cemento tra i giunti possa rovinare l’intradosso, si possono usare, prima della
costruzione dei frenelli, manti estradossali di resine epossidiche applicate a freddo con
l’aggiunta di teli di fibre di vetro che, avendo una buona resistenza a compressione,
sono in grado di sostituire la cappa in calcestruzzo, specialmente nel consolidamento di
volte leggere.
g) Realizzazione del piano di copertura.
Non ci si sofferma sui modi in cui è possibile realizzare il piano di copertura sopra la
volta, utilizzando i muretti per appoggio, dal momento che svariati ed altrettanto validi
possono essere i sistemi adottati.
h) Opere complementari.
Pag. 248 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

L'analisi condotta sulla volta per determinare lo stato e le cause di un eventuale


dissesto devono necessariamente essere estese a tutto il sistema statico cui la volta si
relaziona.
In particolare occorre stabilire se hanno ceduto i muri o i pilastri di piedritto ed in
questo caso, trovatene le cause, occorre procedere prioritariamente al loro
consolidamento.
Quando si renda necessario, è possibile ottenere un efficace isolamento termico ed
acustico, utilizzando lo spazio compreso fra l'estradosso, il piano di calpestio ed i
muretti ponendo in opera a seconda dei casi, materiale coibente sfuso, in lastra, in
materassino, ecc.
In quei casi in cui non è richiesta la formazione di un piano di calpestio sovrastante, il
consolidamento delle volte molto dissestate può effettuarsi con la costruzione di una
seconda volta in cemento armato aderente all’estradosso di quella esistente e ad essa
collegata mediante chiodature o cuciture armate in modo da aumentare la resistenza
della volta esistente o di sostenere interamente il peso. In ogni caso è sempre bene
curare un buon collegamento dei rinfianchi con le spalle.
L’esecuzione delle imperniature di collegamento risulta necessaria al fine di
annullare i naturali scorrimenti fra frenello e superficie della volta.
Ove il frenello si attesti direttamente sulle murature perimetrali, le imperniature in
questione si possono omettere.
Va posta attenzione per le volte a botte eseguite a sacco per cantieri successivi non
collegati tra loro, in quanto si passa da uno schema di carico ripartito a carichi concentrati.
Per quanto riguarda la controvolta in cemento armato (cappa armata) in presenza di
superfici affrescate il getto della cappa sarà preceduto da una semplice o doppia spalmatura
isolante eseguita con formulati epossidici alternata con uno strato di lana di vetro.
L’aderenza tra vecchia e nuova struttura può essere garantita da connettori o più
semplicemente dalla scabrosità delle superfici di contatto. Nel caso della spalmatura con
formulati epossidici, sarà necessario spandere a fresco sulla resina epossidica un
pietrischetto che garantisca un buon attacco del c.a.
I materiali utizzati per tale intervento sono:
• Per la puntellatura:
- chioderia e ferramenta varie, cemento a lenta presa per stuccatura,
- legname in tavole per le centine e di puntelli in legno tipo Trieste, per le
sbadacchiature (o puntelli metallici).
• Per la pulizia estradossale: spazzole o raschietti.
• Per la volta in conci di pietra:
- cemento 425, resine epossidiche, barre di acciaio ad aderenza migliorata Ø 12 16
mm.;
- attrezzature per iniezione della boiacca di cemento o delle resine epossidiche e
per la perforazione dei conci da parte di ditte specializzate.
• Per la costruzione della cappa armata:
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 249

- calcestruzzo di cemento 325 a q. 3,00/mc.;


- rete elettrosaldata ad aderenza migliorata;
• Per la ricostruzione della massa di rinfianco:
-calcestruzzo il cui impasto e quantità risulteranno dalle indicazioni di calcolo;
• Per la costruzione di rinfianchi cellulari:
- mattoni pieni o calcestruzzo di dosaggio indicato dal calcolo, tavole in legno per
carpenteria;

10.6.2 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra


mediante iniezioni cementizie, alleggerimento dei rinfianchi e posa
in opera di solaio appoggiato sui piedritti
L’intervento di propone di scaricare il più possibile le volte esistenti, operando
anche un intervento locale di consolidamento, e realizzare un solaio che reggerà tutti i
carichi degli impalcati.
Questo tipo di intervento può essere adottato per volte di dimensioni contenute, con
luci inferiori ai 5 ÷ 6 metri, gravanti in preferenza su piedritti in muratura piuttosto che su
pilastri o colonne.
Deve inoltre verificarsi la condizione che il piano di calpestio all'estradosso sia già
all'origine convenientemente più alto della struttura voltata oppure una maggiorazione di
questa sia ottenibile senza compromettere l'utilizzazione del solaio stesso.
Tuttavia si intende che la volta risulti ben costruita e costituita di buon materiale;
infatti, qualora la configurazione geometrica della volta non assecondasse la curva delle
pressioni, le sezioni fossero insufficienti, il materiale degradato, non si potrebbe adottare
questo sistema.
Con questo tipo di intervento i risultati sono:
• alleggerimento e corretto ridimensionamento dei rinfianchi;
• buon collegamento fra tutte le parti che costituiscono la volta;
• perdita da parte della volta della funzione di sopportare i carichi di esercizio del
soprastante impalcato che vengono direttamente trasmessi ai piedritti.
Modalità di esecuzione dell’intervento
a) Puntellatura.
b) Demolizioni e rimozioni.
c) Pulitura della faccia estradossale.
d) Iniezioni della volta.
A questo punto si procede al vero e proprio consolidamento della volta mediante la
parziale sostituzione del legante inconsistente ed il riempimento di tutte le soluzioni di
continuità presenti nella stessa con nuovo ed efficace legante.
Il principio su cui poggia questo tipo di intervento è lo stesso che per le murature in
elevazione, ma differenti possono essere gli accorgimenti e le specifiche tecniche da
impiegare.
Pag. 250 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

In particolare, nella grande generalità dei casi non occorre praticare delle perforazioni e
non occorre iniettare a pressione maggiore di quella atmosferica.
A differenza delle murature, essendo la volta completamente puntellata, si può, in
condizioni di sicurezza, procedere alla pulizia richiamata nella precedente fase c).
Fanno eccezione le volte costruite in materiale lapideo aggregato alla rinfusa a
costituire un vero e proprio conglomerato (ciottoli, brecce) e quelle di notevole
spessore.
In questi casi è possibile dover fare ricorso a perforazioni. Le perforazioni potranno
estendersi per tutto lo spessore della volta oppure essere limitate, senza quindi
fuoriuscire all'intradosso. Nel primo caso si perforerà anche il manto della puntellatura
per poi stuccare la base del foro con cemento a lenta presa.

Fig. 10.6537: Iniezione nella volta e solaio gravante sui piedritti

In ogni caso si impiegheranno esclusivamente attrezzi a rotazione onde evitare


qualsiasi fenomeno di vibrazione.
Le perforazioni avranno di norma direzione perpendicolare alla volta, ma è possibile
anche prevedere direzioni diverse quando giudicate preferibili.
Sia la «colatura» di legante sia la sua immissione a pressione saranno eseguite per
fasce parallele, partendo dai piedritti e proseguendo verso la chiave, secondo le
generatrici della volta.
Pulita la superficie della volta ed effettuate le eventuali perforazioni, si procede ad una
accurata umidificazione di tutte le parti interessate al consolidamento. Questa
operazione dovrà essere limitata o addirittura evitata in particolari condizioni
(decorazioni all'intradosso della volta), in questo caso è consigliabile impiegare resine
epossidiche anziché miscele cementizie.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 251

Per la scelta del legante da utilizzare, di volta in volta, in sede di progetto e/o di
esecuzione dei lavori, si valuterà l'opportunità di impiegare boiacche, miscele
additivate, resine, con le caratteristiche specifiche più idonee.
La colatura di queste sostanze eseguita a pressione atmosferica verrà effettuata con
l'ausilio di imbuti o simili, costipando a mano, e ripetendo l'operazione fintantoché la
struttura non rifiuta altro materiale.
L'iniezione a pressione sarà effettuata con l'impiego di pompe a mano oppure anche a
motore, purché vi sia assoluta affidabilità nel controllo della pressione che, in ogni
caso, deve essere bassa.
Posti in opera i boccagli si procede ad iniettare acqua di lavaggio, quando possibile, e
quindi il materiale cementante.
E' sempre opportuno, completata l'operazione per l'intera struttura, procedere ad
ulteriori iniezioni dopo 24-48 ore, utilizzando gli stessi boccagli, così da riempire
completamente i vuoti dovuti al ritiro del materiale o a sedimentazione.
e) Rinfianchi.
La massa di rinfianco vera e propria verrà costituita con getto di calcestruzzo in
quantità e forma opportune, determinate in sede di progetto, con l'obiettivo di
«correggere» eventualmente l'andamento della curva delle pressioni.
Gli spazi compresi fra l'estradosso della volta e l'intradosso del solaio soprastante
potranno risultare vuoti oppure essere utilizzati per il passaggio di condutture varie o
ancora come illustrato in fase g).
f) Costruzione del solaio.
Si pone in opera un solaio gravante direttamente sui piedritti, tale che la volta non sia
interessata né dal suo peso né dai carichi di esercizio relativi. E’ chiaro che l'eventuale
armatura di sostegno necessaria per condurre questa operazione, non dovrà essere
appoggiata all’estradosso della volta, ma dovrà essere sostenuta dall’alto mediante
l’impiego di travi provvisorie di sostegno.
g) Opere complementari.
L'analisi condotta sulla volta per determinarne lo stato e le cause di eventuale dissesto
devono necessariamente essere estese a tutto il sistema statico cui la volta si relaziona.
In particolare occorre stabilire se hanno ceduto i muri o i pilastri di piedritto ed in
questo caso, trovatene le cause, occorre procedere prioritariamente al loro
consolidamento.
Quando si renda necessario, è possibile ottenere un efficace isolamento termico ed
acustico utilizzando lo spazio compreso fra l'estradosso della volta ed il soprastante
solaio, ponendo in opera, a seconda dei casi, materiale coibente sfuso, in lastra o in
materassino.
Pag. 252 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

10.6.3 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra


mediante iniezioni cementizie, alleggerimento dei rinfianchi ed
esecuzione di cappa armata all’estradosso
Con questo intervento si salvaguarda la volta esistente, collegandola ad una
controvolta estradossale in cemento armato.
Laddove la volta originaria non risulti particolarmente dissestata, nella redazione del
calcolo si potrà tenere conto delle resistenze residue, contenendo gli spessori e l’armatura di
rinforzo.
Questo tipo di intervento può essere adottato per volte di dimensioni varie, gravanti
indifferentemente su muri, pilastri o colonne di piedritto.
In genere possono essere conservate le quote originali di estradosso.
Se la volta conserva integralmente il proprio schema statico, si intende che la stessa
risulti bene costruita e costituita da buon materiale; qualora la configurazione geometrica
non assecondasse la curva delle pressioni, le sezioni fossero insufficienti, o il materiale
risultasse degradato, non si potrebbe adottare questo sistema.
Con questo tipo di intervento si ottengono i seguenti risultati:
• alleggerimento e corretto ridimensionamento dei rinfianchi;
• buon collegamento fra tutte le parti che costituiscono la volta;
• mantenimento dello schema statico originario.
Modalità di esecuzione dell’intervento
a) Puntellatura.
b) Demolizioni e rimozioni.
c) Pulitura della faccia estradossale.
d) Iniezioni della volta.
Il vero e proprio consolidamento della volta inizia ora mediante la parziale sostituzione
del legante inconsistente ed il riempimento di tutte le soluzioni di continuità presenti
nella stessa con un nuovo ed efficace legante.
e) Rinfianchi.
La massa di rinfianco vera e propria verrà costituita con getto di calcestruzzo in
quantità e forma opportune, determinate in sede di progetto, con l'obiettivo di
«correggere» eventualmente l'andamento della curva delle pressioni. Quindi si riempirà
lo spazio compreso fra l'estradosso della volta e il piano di spiccato della soprastante
caldana da realizzare con materiale inerte leggero. Varie possono essere le soluzioni e
di volta in volta le circostanze specifiche suggeriranno quella più idonea. In generale si
potrà raggiungere lo scopo di alleggerire i rinfianchi con riempimenti di argilla espansa
sfusa o legata, di vermiculite, di pomice sfusa o legata, ma anche, in p.v.c. o in acciaio,
collegati reciprocamente con un getto di calcestruzzo leggero ed accorgimenti e
tecniche simili.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 253

Fig. 10.66: Realizzazione di una controvolta in c.a.38

Fig. 10.67: Cappa armata all’estradosso


Pag. 254 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

f) Cappa armata.
Il piano estradossale viene realizzato con una cappa in calcestruzzo armato.
Spessore e tipo di armatura varieranno nei vari casi, a partire da uno spessore minimo
di 4cm, con armatura costituita da rete metallica elettrosaldata Ø4, 10×10.
Dove possibile è inoltre opportuno, sempre auspicabile nelle zone sismiche, collegare
questa cappa armata ai muri perimetrali mediante la costituzione di un cordolo in c.a.
da ricavarsi nella muratura stessa.
g) Opere complementari.
L'analisi condotta sulla volta per determinare lo stato e le cause di eventuale dissesto
devono necessariamente essere estese a tutto il sistema statico cui la volta si relaziona.
In particolare occorre stabilire se hanno ceduto i muri o i pilastri di piedritto ed in
questo caso trovatene le cause, occorre procedere prioritariamente al loro
consolidamento.
In presenza di superfici affrescate il getto della controvolta sarà preceduto da una
semplice o doppia spalmatura isolante alternata con uno strato di lana di vetro eseguita con
formulati epossidici.
L’aderenza tra vecchia e nuova struttura può essere garantita da connettori o più
semplicemente dalla scabrosità delle superfici di contatto.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 255

Fig. 10.68: Iniezioni cementizie, cappa armata e alleggerimento dei rinfianchi

10.6.4 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra


mediante sospensione della volta
L’intervento consiste nell’appendimento della volta esistente alle murature laterali
superiori, mediante un sistema simmetrico di tiranti di acciaio, o con l’inserimento di
profilati metallici e di tiranti di apprendimento (Fig. 10.76). Preventivamente la volta viene
consolidata con una controvolta estradossale in c.a. ad essa resa solidale.
Questo tipo di intervento può essere adottato per volte di dimensioni varie, gravanti
indifferentemente su muri, pilastri o colonne di piedritto.
Pag. 256 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Particolarmente indicato per le volte a sesto acuto, quando si voglia ridurre la spinta
orizzontale in chiave che, in una verifica di stabilità mostri si essere tanto elevata da far
innalzare la curva delle pressioni che può uscire dall’estradosso.
Nel caso di zone sismiche, dove si deve eliminare la spinta della volta sui sostegni,
senza demolire le strutture spingenti dissestate per sostituirle con solai piani, nella volta
viene annullata la sua funzione portante e quindi spingente a mezzo di tiranti di sospensione
ancorati ad un solaio soprastante che la trasforma in una semplice struttura portata.
Modalità di esecuzione dell’intervento
• Tipo 1
a) Puntellamento della volta.

Fig. 10.69: Sospensione del solaio a volta mediante cavi


Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 257

b) Rimozione del riempimento sino alle reni.


c) Inserimento di spezzoni in acciaio ad aderenza migliorata in perfori passanti nella
volta; successivamente sigillati con resina epossidica.
d) Posa della rete elettrosaldata all’estradosso e suo fissaggio alla volta.
e) Posa e tesatura dei cavi di strallatura in acciaio.

Fig. 10.70: Esecuzione di una soletta in c.a. collegata alla muratura


Pag. 258 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

f) Getto della controvolta in calcestruzzo.


g) Eventuale esecuzione di soletta in c.a. collegata alla muratura da un cordolo imperniato
(Fig. 10.70).
I tiranti hanno particolare efficacia quando si applicano a due volte contigue poiché, in
questo caso, le trazioni applicate si equilibrano ed i piedritti non vengono sollecitati a
flessione e restano sollecitati soltanto da azioni verticali (Figg. 10.71 – 10.72).

Fig. 10.71: Tiranti applicati a volte contigue

• Tipo 2
a) Puntellamento della struttura con una centina completa, come se la volta dovesse
essere costruita.
b) Rimozione del pavimento e dei materiali di riempimento di rinfianco.
c) Rigenerazione diffusa dell’estradosso della volta, attraverso spazzolatura e lavaggio
delle connessioni all’estradosso.
d) Iniezione e risarcitura delle lesioni principali passanti, dall’intradosso.
e) Costituzione di una controvolta in calcestruzzo armato con rete elettrosaldata collegata
alla volta con spezzoni di barra ad aderenza migliorata, connettori, o tramite chiodi.
Esecuzione dei fori nella volta e dei muretti in c.a. in cui si lasciano i fori per inserire i
tiranti in acciaio che vengono solidarizzati mediante iniezioni di cemento espansivo.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 259

Fig. 10.72: Piedritti sollecitati solo da azioni verticali

f) Posa di travi metalliche costituenti la struttura alternativa di sostegno (Figg. 10.73 –


10.74).
g) Inserimento e bloccaggio dei tiranti di sospensione.
Al posto delle travi metalliche è possibile realizzare un vero e proprio solaio in c.a.,
che ha la funzione di sorreggere la volta sottostante, all’interno del quale si
ancoreranno i tiranti già ancorati all’estremità inferiore all’intradosso della volta (Fig.
10.75).
h) La costituzione di muretti in c.a. all’interno dei quali saranno disposti i cavi fa sì che il
collegamento del solaio alla volta sia attivo in entrambe le direzioni, e per questo
motivo il solaio deve essere abbastanza rigido in modo da non trasmettere a
quest’ultima, per effetto dei sovraccarichi, dannose deformazioni.
A tal fine è consigliabile l’uso di solai in c.a. misto a laterizi con travetti
prefabbricati comuni o precompressi che presentano, tra l’altro, il vantaggio di non
richiedere, per la posa in opera, carpenteria che resterebbe perduta.
Pag. 260 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.73: Posa in opera di travi metalliche

L’intervento viene adottato prevalentemente quando, per motivi statici, sia


assolutamente necessario tagliare la volta creando un giunto tecnico.
La conseguente perdita dell’equilibrio impone l’adozione di tale soluzione; in tal
caso, anche la controvolta in c.a. presenterà in mezzeria una soluzione di continuità; è
comunque un intervento da evitare in zona sismica.
Nel caso di profilato metallico superiore, malgrado il suo inserimento con funzione
di nuova struttura portante, lo schema statico non viene variato in quanto la volta continua a
lavorare come tale, e solo in caso di spostamenti differenziali delle imposte e relativa
perdita di portanza della volta le travi entrano in carico. Si ricorre a questo tipo di
intervento soprattutto quando non si riesce a garantire la stabilità delle imposte in aderenza,
in presenza di costruzioni rigide.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 261

Fig. 10.74: Consolidamento mediante travi metalliche e connettori39

Fig. 10.75: Inserimento e bloccaggio dei tiranti


Pag. 262 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

10.6.5 Consolidamento di solai a volta in murature di mattoni o di pietra


al fine di ridurre la spinta mediante tiranti
Tale tipo di intervento segue le stesse modalità esecutive dell’intervento di
consolidamento di archi a mezzo di tiranti, descritto come intervento di tipo 1 al paragrafo
10.5.1.
Nel caso di volta a botte si metteranno in opera più tiranti, sempre applicati in
corrispondenza dei piani alle reni, distanziati in rapporto allo spessore dei muri che
sostengono la volta. Infatti a ciascun tirante viene affidato il compito di neutralizzare la
spinta della parte di volta gravante sul tratto di muro compreso tra i punti medi degli
interassi di tre tiranti contigui; se questo muro è sottile, è piccola la superficie del cono di
punzonamento del capochiave ed elevati gli sforzi di flessione sul piano orizzontale a cui è
sottoposto il muro tra due tiranti successivi. Quindi per muri più sottili occorre disporre i
tiranti ad interasse minore. I tiranti o catene, sono poco accettabili esteticamente nelle volte
a botte, negli archi ed ancora meno nelle volte a crociera e a padiglione.

Fig. 10.76: Tiranti in corrispondenza delle reni


Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 263

Fig. 10.77: Volta a crociera con tiranti diagonali posti all’altezza delle reni40

Nelle volte a crociera infatti dovrebbero essere disposti diagonalmente o


perimetralmente all’altezza delle reni mentre in quelle a padiglione dovrebbero incrociarsi
all’interno del locale per eliminare le spinte che sollecitano, non uniformemente, i muri di
perimetro.
E’ per questo che nelle costruzioni di notevole importanza architettonica si usano,
per il consolidamento di archi e volte, anziché le catene, altri sistemi che, anche se più
onerosi, riducono la spinta senza turbare l’estetica.
Pag. 264 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.78: Schema di assorbimento delle pinte in una volta a padiglione

10.6.6 Consolidamento di solai a volta in muratura di mattoni o di pietra


al fine di ridurre la spinta mediante cavi attivi verticali
La funzione di tale intervento è quella di equilibrare la spinta in presenza di un
sistema di forze tale da indurre stati di pressoflessione nelle strutture.
Il metodo consiste nell’inserire cavi messi in tensione all’interno di fori effettuati in
verticale o inclinati nelle murature; i cavi vengono poi solidarizzati con la muratura
mediante iniezioni di cemento o di resine.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 265

Il sistema richiede cautela ma risulta abbastanza semplice grazie anche all’uso di


moderne macchine perforatrici a rotazione che consentono di eseguire fori precisi e di
lunghezza molto elevata, fino a qualche decina di metri.
Tale intervento consente una diffusa e uniforme solidarizzazione della struttura,
efficace contro gli effetti sismici, arrecando disturbi di modesta entità sia alle strutture
portanti che alle finiture.

Fig. 10.79: Cavi in tensione posti nelle murature


Pag. 266 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.80: Riduzione delle tensioni al piede della struttura di sostegno

Modalità di esecuzione dell’intervento


a) Esecuzione di fori, di 50÷100mm di diametro con sonde a rotazione fornite di punte
diamantate che consentono di forare anche murature in pietra squadrata.
b) Introduzione del cavo di acciaio armonico, che è prolungato fino al di sotto della
fondazione e trattenuto al piede tramite cordoli o bulbi in calcestruzzo, altrimenti
fissato tramite piastre di ancoraggio.
c) Tesatura del cavo con una tensione, che non dovrebbe superare metà del tiro
ammissibile per gli acciai adottati, ottenuta tramite martinetto idraulico o dado avvitato
alla testa filettata connessa al cavo e bloccata da piastra in acciaio.
d) Iniezione all’interno del foro di boiacca di cemento o di resina introdotta a pressione in
modo da garantire una buona aderenza tra cavo e muratura.
Oltre questi cavi di forza principali è spesso utile intervenire nelle murature, specie in
corrispondenza delle lesioni, con cuciture armate.
Tale intervento può essere eseguito anche senza la rimozione delle masse strutturali
che gravano sulla volta.
A differenza degli altri sistemi di assorbimento della spinta orizzontale, tale
intervento non riduce gli stati tensionali al piede della struttura di sostegno, ma li modifica
inserendo un differente regime di carico.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 267

10.7 Consolidamento delle cupole


10.7.1 Consolidamento di cupole mediante iniezioni armate.
Si può procedere con una cerchiatura mediante iniezioni armate, che vanno a
consolidare la struttura esistente e la collegano ad una controcupola in cemento armato.
Considerata l’importanza che il carico della lanterna rappresenta ai fini della stabilità
della cupola su cui si imposta, si migliora il collegamento tra i due elementi architettonici
mediante l’esecuzione di imperniature.
Tale intervento si attua in presenza di cupole lesionate o dissestate, a causa di carico
da schiacciamento, che fa comparire lesioni sulla parte inferiore della cupola ed ha come
obiettivo il contenimento della spinta con il conseguente miglioramento del collegamento
lanterna–calotta.
Modalità di esecuzione dell’intervento
• Tipo 1: Cerchiatura mediante iniezioni armate
a) Rigenerazione del corpo delle cupole mediante percolazione di prodotti a base
cementizia assai diluiti.
b) Fasciatura della cupola mediante materiali impermeabili e termo–resistenti.
c) Getto di un betoncino cementizio a stabilità volumetrica.

Fig. 10.81: Cerchiatura della struttura esistente mediante iniezioni armate


Pag. 268 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

1) Si procede comunque prima con la rimozione del manto di copertura e pulitura


accurata della superficie estradossale, poi si passa alla spalmatura di un formulato
epossidico.
2) Posa a fresco di fasciature in lana di vetro, e nuova spalmatura di formulato
epossidico.

Fig. 10.82: Sezione della cupola rinforzata

3) Stenditura a fresco di graniglia di aggancio.


4) Esecuzione di fori per l’ancoraggio di barre di acciaio ad aderenza migliorata, che
dovranno garantire il collegamento tra la cupola esistente e la controcupola che si
realizzerà in betoncino armato. La direzione dei fori va scelta con particolare cura,
è consigliabile una doppia inclinazione a 45° rispetto al paramento murario in
modo da garantire la collaborazione delle barre agli sforzi provenienti da qualsiasi
direzione.
5) Getto di una controcupola di 3÷5cm di calcestruzzo a stabilità volumetrica armata
con rete elettrosaldata.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 269

Fig. 10.83: Collegamento della cupola esistente con la controcupola

• Tipo 2: Iniezioni fra lanterna e calotta.


a) Si procede alla rimozione della parte superiore del manto di copertura.
b) Esecuzione dei perfori, con inserimento della armature costituite da barre di acciaio ad
aderenza migliorata, sigillando i fori con iniezioni di resina epossidica.
c) Si ricostituisce il manto di copertura.
Pag. 270 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.84: Collegamento della lanterna alla calotta mediante perforazioni armate

L’intervento tipo 1, accoppia l’effetto impermeabilizzante a quello rigenerativo del


corpo delle cupole.
In casi di maggiore dissesto sarà opportuno preconsolidare la fascia orizzontale
compresa tra 0° e 45° dall’orizzontale con barre armate opportunamente inclinate e
sovrapposte. In caso di intradossi affrescati la sigillatura delle barre dovrà avvenire con
formulati epossidici.
L’intervento tipo 2 è da considerarsi necessario qualora sia accertato il venir meno di
questo mutuo collegamento tenendo ben presente che in antico, la connessione strutturale
era rappresenta da “catene in macigno” costituite da elementi in pietra ad incastro poste in
tondo alla base della lanterna, ed ancorati alla cupola.

10.7.2 Consolidamento di cupole mediante cavi attivi


La metodologia consiste nella posa in opera, in un’adeguata sede da ricavare nel
corpo murario della struttura di contenimento, di un cavo in acciaio sul quale viene
esercitata una leggera tensione e successivo bloccaggio. Se la pianta della cupola è circolare
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 271

si può adoperare un cavo in acciaio armonico, alloggiato in sede, nella quale è presente una
piastra o sella di acciaio di ripartizione ben collegata alla muratura.
L’intervento deve essere di norma eseguito sulla struttura di contenimento
rappresentata dal tamburo e si esegue solitamente su cupole a pianta poligonale o circolare
in cui si vuole contenere la spinta utilizzando un cavo ad effetto cerchiante.
Modalità di esecuzione dell’intervento
• Tipo 1: Cerchiatura di una cupola a pianta poligonale
a) Si procede alla realizzazione della sede di alloggiamento dei cavi mediante la
rimozione del paramento murario o dell’intonaco; previa impermeabilizzazione della
sede con una spalmatura di resina epossidica.

Fig. 10.85: Cerchiatura di una cupola a pianta esagonale

b) Posa in opera di un profilato UPN 80-100, per la ripartizione dei carichi da


precompressione.
Pag. 272 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

c) Sistemazione del cavo e sua messa in trazione fino al raggiungimento della tensione
desiderata.
d) Bloccaggio del cavo mediante manicotti flettenti.

Fig. 10.86: Posizionamento dei cavi

• Tipo 2: Cerchiatura di una cupola a pianta circolare.


Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 273

a) Preparazione delle sedi per l’alloggiamento dei cavi e delle piastre di ancoraggio.
Impermeabilizzazione della sede mediante spalmatura con resina epossidica. Posa di
uno strato di teflon o altro materiale compressibile a basso coefficiente di attrito.

Fig. 10.87: Cavo di acciaio armonico tesato

b) Sistemazione della piastra metallica di ripartizione e del cavo.


c) Tesatura del cavo e suo bloccaggio al raggiungimento della tensione desiderata.
Pag. 274 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.88: Consolidamento mediante cavi attivi

Questo intervento va eseguito in presenza di murature che localmente non presentino


elevato valore architettonico, o su murature particolarmente degradate in presenza di
strutture di appoggio poligonali.

10.7.3 Consolidamento di cupole mediante fasciatura o cavi attivi verticali


L’intervento prevede la posa in opera di un betoncino in calcestruzzo armato di
sezione ridotta. Si opera sul tamburo di sostegno realizzando un graticcio di maggiore
resistenza costituito da pseudo cordoli incrociati con pseudo pilastri realizzati con fasce di
maglia elettrosaldata fissata alla struttura con iniezioni armate. Si può ottenere il
contenimento della spinta mediante l’inserimento di barre di acciaio ad aderenza migliorata
nel senso verticale e nella loro tesatura previa realizzazione di un bulbo terminale di
ancoraggio.
Intervento ottimale in presenza di superfici affrescate divise in campiture nel
perimetro delle quali si possono eseguire le fasce di irrigidimento, in presenza di degrado
diffuso della struttura di contenimento, di strutture di limitato valore storico–artistico, di
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 275

paramento rimovibile in mattoni o rivestito con intonaco. Nel caso non sussistano le
condizioni elencate è possibile intervenire non eseguendo le fasciature con maglia
elettrosaldata, ma affidando interamente alle imperniature infittite la funzione di cerchiare
la struttura.
Gli obiettivi di tale intervento consistono nel contenere la spinta sui supporti della
cupola costituendo un irrigidimento dei sostegni. Nel caso dei cavi verticali, lo scopo è di
riportare la risultante delle forze entro il nocciolo centrale di inerzia così da contenere la
spinta in questione.
Modalità di esecuzione dell’intervento
• Tipo 1: Fasciatura
L’intervento prevede la posa in opera di betoncino in calcestruzzo armato di sezione ridotta.

Fig. 10.89: Intervento eseguito sul tamburo


Pag. 276 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.90: Contenimento della spinta

Si opera sul tamburo di sostegno realizzando un graticcio di maggior resistenza.


a) Rimozione del paramento esterno, o dell’intonaco nei tratti orizzontali e verticali
predeterminati.
b) Rigenerazione diffusa della muratura.
c) Esecuzione di iniezioni armate nelle fasce orizzontali e verticali previste, per la
formazione di pseudo cordoli e pseudo pilastri, onde andare a formare un graticcio di
maggiore resistenza.
d) Posizionamento della rete elettrosaldata e getto del conglomerato cementizio sulla
faccia esterna del paramento.
e) Ricostruzione dell’intonaco o del paramento murario.

• Tipo 2: Inserimento di cavi attivi verticali


Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 277

a) Perforazione della muratura per la lunghezza voluta e inserimento di barre di acciaio


armonico.
b) Ancoraggio a mezzo di immissione ad alta pressione di miscela a base cementizia,
espansiva, con conseguente formazione di un bulbo di attacco.
c) Tesatura del cavo fino al raggiungimento della tensione desiderata.

Fig. 10.91: Inserimento di barre di acciaio armonico


Pag. 278 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 10.92: Inserimento di cavi attivi verticali

L’inserimento dei cavi attivi verticali è consigliabile in presenza di spinte accentuate


derivanti per lo più dalla esistenza di sistemi ribassati, o per motivi di ordine tecnico–
artistico non si voglia intervenire sulla parte laterale della struttura di contenimento.
Capitolo 10: Tecniche di consolidamento di edifici dissestati Pag. 279

10.8 Bibliografia
[1] S. Mastrodicasa, Dissesti statici delle strutture edilizie. Diagnosi Consolidamento
istituzioni teoriche Applicazione pratiche, Editore U. Hoepli Milano. Perugia1993.
[2] J. Heyman, The Stone Skeleton – Structural Engineering of Masonry Architecture,
Cambridge University Press 1995.
[3] P. Rocchi, Manuale del consolidamento, Edizioni Dei-Tipografia del Genio Civile.
Roma 1991.
[4] L. Caleca, A. De Vecchi, Tecnologie di consolidamento delle strutture murarie,
Edizioni Dario Flaccovio. Palermo 1983.
[5] ERTAG – Ente Regionale Toscano per l’assistenza tecnica e gestionale, Tecnica e
pratica del recupero edilizio, Edizioni Alinea Firenze. Aprile 1983.
[6] A. Defez, Il consolidamento degli edifici, Liguori editore. 1990.
[7] R. di Stefano, Il consolidamento strutturale nel restauro architettonico, Edizioni
scientifiche Italiane, 1990.
[8] L. Gelsomino, Consolidamento e recupero strutturale, Recupero edilizio 8. Edizioni
Alinea Firenze.
[9] AA.VV., Consolidamento degli edifici in muratura lesionati dai terremoti, Edizioni
ESA Roma 1980.
[10] G. Rufo, Prezzi informativi dell’edilizia – Recupero Ristrutturazione Manutenzione,
Dei – Tipografia del Geni Civile, 1999.
[11] AA.VV., Criteri di calcolo per la progettazione degli interventi, Servizio sismico
nazionale –Sallustiana editore Roma, 1998.
[12] L. Nizzi Grifi, Restauro statico dei monumenti. Diagnosi e consolidamento, Alinea
editore, 1981.
[13] A. Cerami, Indagini ed interventi sulle strutture in muratura, La qualità del costruire
Atti del convegno – Caltanissetta 1997.
[14] P. Mancuso, A. Failla, Iniezioni con malte cementizie e resine, Istituto Scienza delle
costruzioni – Ingegneria Palermo, 1980.
[15] M. Aquilino, A. Gallo Curcio, F. Piccarreta, Incamiciatura di murature con intonaco
cementizio armato, Istituto Scienza e Tecnica delle costruzioni – Architettura Roma,
1980.
[16] G. Croci, M. Cerone, La tecnica delle iniezioni armate nel consolidamento delle
murature, Istituto Scienza delle costruzioni – Ingegneria Roma , 1980.
[17] L. F. Lamanna, A. Bellicini, Il risanamento delle strutture in cemento armato e
muratura. Capitolato tecnico, Carocci Editore Roma , 1998.
[18] F. Braga e AA.VV., Commentario al D.M. 16.01.1996 e alla circolare n.65/AA.GG.
del 10.04.1997 del Ministero LL.PP., Lamisco Editore Potenza, 1998.
[19] R. Gigante, Interventi di ristrutturazione statica degli edifici in muratura, Il sole 24
ore Milano, ottobre 1998.
[20] P. Capaldini, D. Ripa di Meana, B. Selvatici, Restauro statico dei monumenti.
Diagnosi e consolidamento, Alinea editore, 1981.
Capitolo 11

CASO STUDIO: ADEGUAMENTO SISMICO


DI UN EDIFICO ESISTENTE IN MURATURA

11.1 Introduzione
Allo scopo di inquadrare le principali problematiche che intervengono nell’adeguamento
sismico mediante un’applicazione ad un caso studio, nel seguito viene esaminato l’edificio
rappresentato in Figg. 11.1 e 11.2. Tale edificio, è stato già oggetto di analisi nel primo
volume con riferimento alle verifiche fuori piano, con il conseguente progetto delle catene,
e alle verifiche nel piano delle pareti nell’ipotesi di impalcato deformabile.
Nel presente capitolo, l’analisi viene svolta con l’obiettivo di adeguare simicamente
l’edificio per cui verrà considerato il comportamento globale tridimensionale della struttura.

11.2 Descrizione dell’edificio oggetto di analisi


L’analisi sviluppata nel seguito è relativa al caso di un edificio esistente in muratura
ordinaria (Fig.11.1-11.2) i cui impalcati sono realizzati con orditura di travi lignee e
tavolato scarsamente collegati alle murature. Nell’esempio proposto, i paramenti murari
saranno considerati mal collegati fra di loro, ipotizzando uno scarso ammorsamento in
corrispondenza dei cantonali e dei martelli murari.
Dal punto di vista normativo, trattandosi di un edificio esistente, è necessario fare
riferimento al capitolo 8 delle NTC2008. A tal riguardo, per una costruzione esistente, le
norme tecniche, in rapporto al livello di conoscenza acquisito dal progettista in merito alla
geometria ed alle caratteristiche meccaniche dei materiali, prescrivono l’applicazione di un
fattore riduttivo delle proprietà meccaniche, il quale rappresenta un fattore parziale di
sicurezza sulla conoscenza strutturale, geometrica e meccanica, dell’edificio.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 281

N PIANTA PIANO TERRA

1.00
2.20

1.00
2.20
2 1 2.8 0.8 5.15 0.8 2.8 1 2

A
1.00
2.20

0.80
1.50

0.80
1.50

1.00
2.20
0.90 0.90
RIP 2.20 LAVANDERIA 2.20
3.6

0.90
2.20

0.90
2.20
5.4

H=3.00

1.20 1.20
1.2

2.20 FONDO 2.20


2.2
1.20 1.20
2.65
10.20

3 1.85 2.20 2.20


2.20
2.20

2.20
2.20
1.40
2.20
1.8

0.4

7.05
0.63 1.4

B 2.50 2.50 B
2.5

2.20 2.20
3.6

INGRESSO
0.7
2.50
2.20

2.50
2.20

1.20
3.00

2.50
2.20
2.50
2.20
1.1

0.8 2.5 1.25 2.5 1.5 1.25 1.5 2.5 1.25 2.5 0.8

18.35

PIANTA PIANO PRIMO


A

2 1 2.8 1 1.78 1.2 1.77 1 2.8 1 2


1.20
0.80
1.00
2.20

1.00
2.20

1.00
2.20

1.00
2.20

CAMERA CAMERA
3.8

5.5
0.90
2.20

0.90
2.20

0.90
2.20

0.90
2.20

0.80 0.80
0.8

1.50 1.50
0.90 0.90
BAGNO 2.20 0.90 0.90 2.20
2.20 2.20
1.20
2.20

1.20
2.20
2.65

3.1 1.2 2.95 0.90


2.20 0.90
0.63 2.20

B 1.20 1.20
B
0.80
2.20
1.2

1.50 0.90 0.90 1.50


3.8

2.20 2.20
SOGGIORNO CUCINA
0.5 BAGNO
1.75

1.20
1.50

1.20
1.50

1.20
1.50

1.20
1.50
A

0.8 1.2 3.85 1.2 4.25 1.2 3.85 1.2 0.8

Fig. 11.1: Piante livelli significativi


Pag. 282 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

PROSPETTO SUD PROSPETTO EST

PROSPETTO NORD PROSPETTO OVEST

Fig. 11.2: Prospetti e quadro fessurativo

Nel caso esaminato si assume un livello di conoscenza adeguato (LC2) a cui corrisponde,
come riportato in Tabella 11.1, un fattore di confidenza pari ad 1.2.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 283

Tab. 11.2: Tabella dei livelli di conoscenza estratta dalla C.M. 2009

Per quanto concerne la tipologia muraria, l’edifico in esame è caratterizzato da una


muratura in tufo a conci. Pertanto, dalla tabella 11.2 vengono desunti, per tale edificio, gli
intervalli dei valori medi della resistenza a compressione, della resistenza a taglio in
assenza di sforzo normale e dei moduli di elasticità normale e tangenziale, evidenziati nella
stessa tabella.
Pag. 284 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Tab. 11.2: Tabella delle proprietà meccaniche estratta dal D.M. 2009

In Tab. 11.3 vengono riportati i valori delle proprietà meccaniche adottate successivamente
nel calcolo. Queste vanno considerate come dei valori medi desunti dalla Tabella 11.2.

Tab. 11.3: Caratteristiche meccaniche scelte

f wcm [ N / cm 2 ] f vm0 [ N / cm 2 ] E[ N / mm 2 ] G[ N / mm 2 ] γ [daN / m 3 ]


190,0 3,5 1080 360 1900
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 285

Occorre precisare che i valori indicati in tabella C8A2.1 della Normativa sono da riferirsi a
condizioni di muratura con malta di scadenti caratteristiche, giunti non particolarmente
sottili ed assenza di ricorsi o listature che regolarizzano la tessitura e l’orizzontalità dei
corsi di malta. Inoltre, per le murature storiche, si assume che esse siano a paramenti
scollegati ovvero siano assenti elementi sistematici di connessione trasversale (diatoni).
Qualora una o più delle suddette caratteristiche fossero diverse, i valori riportati in Tabella
C8A2.1 della norma vanno modificati applicando i coefficienti riportati in tabella 11.4. Nel
caso in esame, le analisi verranno condotte con i valori riportati in Tabella 11.3 avendo
ipotizzato per lo stato di fatto della muratura in esame l’assenza di tutti i fattori modificativi
della tabella 11.4.

Tab. 11.4: Tabella coefficienti correttivi delle proprietà meccaniche estratta dal D.M. 2009

Pertanto, applicando il fattore di confidenza pari ad 1.2, le analisi che seguiranno, condotte
mediante un’analisi statica non lineare, saranno basate sui seguenti valori di progetto delle
proprietà meccaniche:

f wd = f wm /FC = 190 / 1.2 = 158.33 N / cm 2


(11.29)
f vod = f vom / FC = 3.5 / 1.2 = 2.92 N / cm 2

Per quanto riguarda gli orizzontamenti e la copertura, l’edifico in esame è caratterizzato


dalla presenza di solai in legno e tetto in legno come rappresentato in Fig. 11.3.
Pag. 286 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

(a) Impalcato tipo (b) Impalcato di copertura

Fig. 11.3: Impalcato tipo ed impalcato di copertura

11.3 Analisi sismica dell’edificio nello stato di fatto


L’edificio viene analizzato impiegando il codice di calcolo 3muri descritto nel volume 1. In
particolare, in Fig. 11.4, vengono riportati i valori dei carichi assunti nelle analisi.
- Peso proprio delle travi:
600 ⋅ 0,2 ⋅ 0,2 = 24 daN m
- Assito tavole:
600 ⋅ 0,03 ⋅ 0,9 = 16,2 daN m
- Carico Permanente strutturale G1k = 45 daN m
- Massetto di cls s = 7 cm:
1400 ⋅ 0,07 ⋅ 0,9 = 88,2 daN m
- Pavimento in ceramica:
1400 ⋅ 0,07 ⋅ 0,9 = 18 daN m
- Cartongesso:
30 ⋅ 0,9 = 27 daN m
- Incidenza tramezzi (Par.3.1.3.1) NTC2008:
80 ⋅ 0,9 = 88,9 daN m
- Carico Permanente non strutturale G2k = 247 daN m

Q d = E + G k1 + G k 2 + ∑ψi
2i Q ki

Fig. 11.4: Analisi dei carichi


Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 287

Il modello strutturale dei singoli piani e quello globale sono rappresentati in Fig.
11.5, mentre nelle Figg. 11.6 e 11.7 vengono riportate le modellazioni tipo delle singole
pareti in direzione X e Y.
I parametri sismici adottati nell’analisi sono riportati in Figura 11.7 e le
combinazioni di carico in Fig. 11.8.

Fig. 11.5: Modello strutturale


Pag. 288 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 11.5: Macromodello della parete 1

Fig. 11.6: Macromodello della parete 2


Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 289

Fig. 11.7: Parametri relativi all’azione sismica

Fig. 11.8: Parametri relativi all’azione sismica

I risultati dell’analisi sono sinteticamente riportati in Fig. 11.9. Si osserva che il fattore di
sicurezza minimo in direzione X è pari a 0.609 e in direzione Y è pari a 0.389.
Pag. 290 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Direzione X Direzione Y

Fig. 11.9: Risultati dell’analisi sismica

11.4 Intervento di miglioramento sismico mediante la


realizzazione di un impalcato rigido con doppio tavolato
in legno
La prima soluzione di rinforzo che viene applicata all’edificio si inquadra nell’ambito di un
intervento di miglioramento. Si sottolinea che, ai sensi sia dell’attuale normativa sismica
che di quelle precedenti, l’intervento di adeguamento sismico è obbligatorio qualora si
intenda: sopraelevare la costruzione, ampliare mediante opere strutturalmente connesse,
apportare variazioni di classe e/o destinazione d’uso che comportino un aumento di carichi
globali in fondazione di più del 10%, effettuare interventi strutturali volti a trasformare la
costruzione in un organismo edilizio diverso.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 291

Gli interventi di miglioramento, al punto 8.4 delle NTC29008, vengono definiti


come gli interventi che accrescono la capacità di resistenza delle strutture esistenti alle
azioni considerate. In particolare, al punto 8.7.4, le NTC2008 precisano che gli interventi
devono essere finalizzati a curare i seguenti aspetti:
• Miglioramento dei collegamenti tra solai e pareti o tra copertura e pareti o fra
pareti in martelli e angolate;
• Riduzione ed eliminazione delle spinte di archi e volte;
• Rafforzamento delle pareti intorno alle aperture.
In tale contesto si inserisce il primo intervento applicato all’edificio in esame
consistente nel rinforzo degli impalcati. In dettaglio, il ruolo dei solai nel comportamento
sismico delle costruzioni in muratura è duplice:
• trasferire le azioni orizzontali di loro competenza alle pareti disposte nella
direzione parallela al sisma;
• costituire un vincolo per le pareti sollecitate da azioni ortogonali al proprio piano.
Allo scopo di conferire al solaio in legno la capacità di assolvere alle due funzioni
senza sostituire gli elementi portanti in legno ed il sovrastante tavolato, è possibile
intervenire con due tecniche alternative:
• posando sul tavolato esistente, longitudinalmente rispetto alle travi dell’orditura,
un secondo tavolato con nuovi tavoloni continui, resi collaboranti alle travi
mediante perni anche di legno (Fig. 11.10);
• impiegando un rinforzo con soletta collaborante in calcestruzzo, eventualmente
leggero e valutando l’effetto di tale intervento sia in relazione alla ripartizione
delle azioni tra gli elementi verticali sia all’aumento delle masse (Fig. 11.11).
Nel caso in cui gli elementi lignei non siano adeguatamente collegati alle murature,
è necessario collegare i tavolati o la soletta alle pareti tramite elementi puntuali o cordoli
(Fig. 11.12).
Prima di procedere al progetto dell’irrigidimento dell’impalcato in legno, si effettua
il nuovo calcolo della struttura considerando l’effetto diaframma rigido dell’impalcato
rinforzato.
Nel caso di rinforzo con secondo tavolato in legno, viene considerato il maggior
peso derivante dal secondo tavolato.
In Fig. 11.12 ed in Tab. 11.3 sono riportati i risultati dell’analisi sviluppata con
l’impalcato rigido. Si osserva il notevole incremento del livello di sicurezza raggiunto con
il solo intervento di irrigidimento dell’impalcato in legno con l’applicazione di un secondo
tavolato e l’ammorsamento dell’impalcato nella muratura. Tale incremento, in entrambe le
direzioni, supera il 70%.
Pag. 292 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 11.10: Rinforzo con doppio tavolato in legno

Fig. 11.11: Rinforzo con soletta cementizia

Fig. 11.12: Collegamento dell’impalcato in legno alle murature


Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 293

Direzione X Direzione Y

Fig. 11.13: Risultati dell’analisi sismica

Tab. 11.3: Sintesi dei risultati in termini di valori minimi dei fattori di sicurezza

Allo scopo di definire compiutamente l’intervento di rinforzo dell’impalcato con la


realizzazione dei un secondo tavolato ed il collegamento dei due tavolati alla muratura, nel
seguito viene effettuato in particolare il progetto dei collegamenti tra tavolati e muratura.
Dall’analisi globale dell’edificio è possibile ricavare il massimo tagliante alla base
che risulta pari a 120000 kg (Fig. 11.14).
Pag. 294 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 11.14 Massimo tagliante alla base


Il solaio al piano i-esimo viene considerato caricato nel piano orizzontale dalla forza
Fi distribuita lungo la direzione normale a quella del verso dell’azione sismica considerato
per cui per l’intero impalcato soggetto al tagliante sismico di piano, può essere adottato uno
schema di calcolo semplificato, rappresentato in Fig. 11.15, nel quale l’impalcato viene
considerato appoggiato in corrispondenza delle pareti murarie e soggetto ad un’ carico
orizzontale pari a:
0.66 • Fi 0.66 • 80000
Qsisma = = = 4444 Kg / m (11.2)
L 18

Fig. 11.15 Schema di calcolo dell’impalcato


Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 295

Dall’analisi dello schema di calcolo dell’impalcato, viene valutato il taglio che


l’impalcato deve trasmettere a ciascuna muratura per cui, scelto un interasse di progetto per
gli elementi di ancoraggio alla muratura, viene valutato il taglio che ciascuno di essi deve
sostenere, come rappresentato in Fig. 11.16. Nel caso in esame, risulta un’azione tagliante
sul singolo sistema di connessione pari a 3860 kg.
La progettazione del sistema di collegamento richiede il dimensionamento della
sezione del piatto di collegamento e dei chiodi di fissaggio del piatto al tavolato di legno
(Fig. 11.17).
Per quanto riguarda il piatto, assumendo uno spessore del piatto di 5 mm, si può
progettare il seguente valore della larghezza del piatto:
N 2730
b= = = 2,44cm → 5cm (11.3)
f yd t 2238 × 0,5
Pertanto, la verifica del piatto fornisce, ai sensi delle NTC 2008 punto 4.2.4.1.2, il
seguente valore con riferimento alla sezione piena:

N pl , Rd = btf yd = 5595kg (11.4)

Fig. 11.16 Schema di calcolo dell’impalcato


Pag. 296 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 11.17 Schema di calcolo degli elementi di connessione

Con riferimento alla sezione forata si ottiene:


0,9(b − d nail )tf yd
N pl , Rd = = 6811kg (11.5)
γ M2
dove dnail è il diametro del foro pari a 6 mm volendo impiegare chiodi da 6 mm.
Per quanto concerne il progetto dei chiodi, si fa riferimento alla CNR DT206/2007.
In particolare, vengono effettuate sia la verifica a rifollamento che la verifica di resistenza.
Per la resistenza a rifollamento si ottiene:

f hk = 0,082 ρ k d −0.3 = 0,082 × 530 × 6 −0.3 = 25,4MPa (11.6)

Per la resistenza plastica del chiodo si ottiene:

1,8 d 3 1,8 63
M yk = f uk = 600 = 18987 Nmm (11.7)
d 0.4 6 6 0.4 6
Sulla base dei precedenti valori, in accordo alla CNR DT206/2007, considerando i
possibili meccanismi di rottura (Fig. 11.18) si ottiene il seguente valore della resistenza di
progetto del singolo chiodo:
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 297

(11.8)

FV , Rk ,1 = 254 × 6 × 0,6 = 914 kg

4 ⋅190
FV , Rk , 2 = 914 ⋅ 2 + = 4226 kg
254 ⋅ 0,6 ⋅ 6 2

FV , Rk ,3 = 2,3 ⋅ 189987 ⋅ 25,4 ⋅ 3 = 3912 kg


Pertanto, la resistenza del singolo chiodo è pari a:

FV , Rk ,1 914
Fnail = = = 703 kg (11.9)
γM 1,3
e quindi si adotta un numero di chiodi pari a:
2730
N chiodi = =4 (11.10)
703

Fig. 11.18 Meccanismi di collasso dei chiodi


Pag. 298 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Analoghe considerazioni possono essere effettuate per altre tipologie di collegamento


(collegamento realizzato con piatti in materiale pultruso, con barre filettate etc.).
Il collegamento tra l’impalcato in legno e la muratura, oltre ad assolvere la funzione
di trasferimento dell’azione sismica può assumere il ruolo di vincolare le pareti per le
azioni fuori piano sostituendo le catene (Fig. 11.19).
Dalla verifica a ribaltamento della’parete longitudinale, effettuata nel primo volume,
emerge la necessità di un’azione stabilizzante esercitata dai collegamenti pari a 447 kg/m
(Fig. 11.20).
Pertanto, considerando la lunghezza complessiva della parete e la disposizione di 10
collegamenti si ottiene il seguente valore dell’azione fuori piano sul singolo sistema di
collegamento:
447 • 1835
Fcoll = = 820 ⋅ kg (11.11)
10
La verifica del singolo piatto di collegamento con i relativi chiodi risulta soddisfatta
in quanto essa deve essere effettuata con riferimento ad un valore della forza pari a 580 kg
(=820/√2) che risulta inferiore all’azione sismica con la quale sono stati progettati gli
elementi di collegamento.

Fig. 11.19 Schema di calcolo degli elementi di collegamento per azioni fuori piano
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 299

S a ⋅ Wa
Fa =
V
H + FV FC.3
qa

80
Fw1
W1

F2
⎡ 3(1 + z H ) ⎤

30
F2

Sa = α ⋅ S ⋅ ⎢ − 0,5⎥
FF2

⎣1 + (1 − Ta T1 )
2

M Rib,B − M Stab,B

300
Fc 2 =
Fw2
W2

h2

daN
Fc 2 = 477 B

m x

30

Fig. 11.20 verifica a ribaltamento della parete


Per quanto riguarda la verifica a punzonamento della piastra di ancoraggio del
sistema di collegamento alla muratura, si procede con la stessa metodologia che si impiega
nel progetto delle catene, esaminata nel volume 1. Nel caso in esame, la verifica risulta
soddisfatta in quanto la resistenza di progetto è pari a:

pm t (1.5 f vdo ) 3 3 3
FRd = sen30° = pm tf vdo = pm tf vd 0
cos 30° 2 3 2
(11.12)
⎛ t 3⎞ 3 ⎛ 40 3⎞ 3
FRd = 4⎜⎜ l + 2 ⎟t
⎟ f Vd 0 = 4⎜⎜ 25 + 2 ⎟40
⎟ 0.29 = 1932kg
⎝ 2 3 ⎠ 2 ⎝ 2 3 ⎠ 2

Infine, un’ulteriore verifica va effettuata a schiacciamento per la muratura a contatto


con le travi in legno (Fig. 11.21). La verifica, fornisce:
Pag. 300 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

⎛ a ⎞⎛ A ⎞
N Rdc = βAb f d = ⎜⎜1 + 0,3 1 ⎟⎟⎜1,5 − 1,1 b ⎟ Ab f d
⎝ hc ⎠⎜⎝ Aef ⎟⎠ (11.13)

N Rdc = Ab f d = 15 ⋅ 20 ⋅16 = 4800kg ≥ 1700kg

Fig. 11.21 verifica a schiacciamento della muratura

11.5 Intervento di miglioramento sismico mediante la


realizzazione di una soletta armata collegata al tavolato
in legno e alla muratura a mezzo di cordolo in acciaio
E’ possibile conseguire l’irrigidimento di piano in alternativa prevedendo la
realizzazione di una soletta armata opportunamente collegata alle travi in legno ed alle
murature perimetrali (Figg. 11.22 e 11.23). In questo modo si ottiene un triplice effetto:
• Piano rigido;
• Incatenamento di piano;
• Rinforzo a flessione delle travi lignee di impalcato.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 301

Fig. 11.22 Connettori soletta-legno


Pag. 302 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 11.23 Irrigidimento con soletta collaborante e cordolo perimetrale in acciaio


Ipotizziamo che l’intervento sia effettuato realizzando una soletta di 5 cm, con un
incremento di carico pari a 125 kg/mq, ed utilizzando un profilo UNP 120 perimetrale. In
Figg. 11.24 e 11.25 è rappresentata la nuova modellazione tipo delle pareti con cordoli.

Fig. 11.24: Macromodello della parete 1


Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 303

Fig. 11.25: Macromodello della parete 2


I risultati dell’analisi sono rappresentati in Fig. 11.26 e sintetizzata in Tab. 11.4 dove
vengono riassunti i valori dei fattori di sicurezza. Si osserva che l’intervento con soletta
cementizia, connettori e cordolo perimetrale comporta anch’esso un significativo
incremento della resistenza globale dell’edifico sia in direzione X che in direzione Y.
Rispetto all’intervento con doppio tavolato in legno, l’incremento di resistenza viene in
parte limitato dall’incremento di peso derivante dalla soletta cementizia. Tuttavia va
osservato che la connessione della soletta cementizia con le travi in legno comporta anche
un significativo incremento della resistenza flessionale del solaio ed un significativo
miglioramento delle condizioni di esercizio del solaio con una notevole riduzione della
deformabilità e delle vibrazioni del solaio.

Direzione X Direzione Y
Pag. 304 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 11.26: Risultati dell’analisi sismica

Tab. 11.4: Sintesi dei risultati in termini di valori minimi dei fattori di sicurezza
FS X FS Y Efficacia Intervento X Efficacia Intervento Y Media
Stato di Fatto 0,609 0,389
Solaio Ligneo Doppio Tavolato 1,038 0,67 70,4% 72,2% 71,3%
Solaio Ligneo + Soletta 5 cm+UNP120 0,981 0,68 61,1% 74,8% 67,9%
11.6 Intervento di miglioramento sismico mediante la
sostituzione dei solai in legno con solai latero-cementizi
Un intervento radicale relativo ai solai è costituito dalla sostituzione dei solai in
legno con solai latero-cementizi. Tale intervento è stato largamente impiegato nel passato,
tuttavia vanno sottolineati gli aspetti critici di tale intervento. In particolare occorre
considerare che, essendo molto spesso le murature esistenti a doppio paramento senza
elementi trasversali di collegamento, si crea un duplice effetto negativo (Fig. 11.27):
1. da una parte si determina uno scarico del nuovo solaio pesante solo sul paramento
interno che quindi resiste con una sezione minore di quella dell’intera parete;
2. dall’altra i carichi verticali provenienti dai piani superiori vengono confluiti sul
paramento esterno che può entrare in crisi per problemi di instabilità per carico di
punta. Inoltre, nel momento in cui l’azione sismica investe l’orizzontamento, la
presenza di un cordolo rigido in c.a. può creare effetti di martellamento sulla parete
esterna con espulsione fuori del piano della muratura.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 305

Fig. 11.27: Aspetti negativi nella sostituzione dei solai in legno con solai latero-cementizi
Proprio per la presenza di tali effetti negativi, le nuove norme tecniche precisano che
devono essere evitati cordoli inseriti nello spessore della muratura ai livelli intermedi
mentre possono risultare utili cordoli in acciaio realizzati con piatti o profili sui due
paramenti collegati tra loro tramite barre passanti. Essi forniscono una certa rigidezza
flessionale fuori dal piano della parete ed ostacolano lo sviluppo di meccanismi di rottura
delle fasce di piano.
Consideriamo tuttavia il caso della realizzazione di un nuovo solaio latero-
cementizio con la creazione di un cordolo in c.a. come descritto in Fig. 11.28. I risultati
dell’analisi condotta portando in conto l’incremento di carico derivante dal solaio latero-
cementizio sono rappresentati in Fig. 11.29 e sinteticamente riassunti in Tab. 11.5. Si
osserva che il maggior peso dell’impalcato comporta una riduzione del miglioramento della
prestazione sismica rispetto alle due soluzione di irrigidimento dell’impalcato analizzate nei
precedenti paragrafi.
Pag. 306 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fig. 11.28:Realizzazione di un nuovo solaio latero-cementizio con cordolo in c.a.

Tab. 11.5: Sintesi dei risultati in termini di valori minimi dei fattori di sicurezza
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 307

Fig. 11.29: Risultati dell’analisi sismica

Per quanto concerne il progetto e la verifica degli ancoraggi a coda di rondine, si


procede valutando le azioni che agiscono sul singolo elemento con lo stesso approccio
impiegato nel caso del collegamento dell’impalcato in legno alla muratura.
In particolare, indicato con ncr,x ed ncr,y il numero totale di code di rondine presenti in
direzione X e in direzione Y, occorre effettuare una verifica/progetto dell’armatura presente
nelle code di rondine ed una verifica/progetto delle tensioni applicate sulla muratura.
Per quanto concerne l’armatura delle code di rondine, considerando la disposizione
delle stesse nei cordoli come riportato in Fig. 11.29a, si ricavano le seguenti formule di
verifica/progetto:

Fs, x Fs , x
≤ f sd ⇒ As =
ncr , x ⋅ As ⋅ cos(45°) ncr , x ⋅ f sd ⋅ cos(45°)
(11.14)
Fs , y Fs , y
≤ f sd ⇒ As =
ncr , y ⋅ As ⋅ cos(45°) ncr , y ⋅ f sd ⋅ cos(45°)
Per quanto concerne invece la verifica nei confronti della tensione trasmessa alla
muratura, si ottengono le seguenti espressioni per la verifica e per il progetto delle
dimensioni della coda di rondine:

Fs, x Fs , x
≤ f wd ⇒ d = (11.15)
ncr , x ⋅ d ⋅ s ncr , x ⋅ f wd ⋅ s
Pag. 308 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Fs, y Fs, y
≤ f wd ⇒ d =
ncr , y ⋅ d ⋅ s ncr, y ⋅ f wd ⋅ s
dove d è la profondità della coda di rondine ed s l’altezza della coda di rondine coincidente
con quella del cordolo.

a. Azione nel piano del pannello murario b. Azioni fuori piano


Fig. 11.29: Azioni sugli elementi di collegamento a coda di rondine

Per la verifica nei confronti delle azioni fuori piano si procede applicando lo stesso
metodo di analisi impiegato per la verifica delle muratura soggetta all’azione delle piastre
di ancoraggio delle catene o delle piastre di ancoraggio dei collegamenti in acciaio tra
impalcato in legno e muratura. In particolare, occorre effettuare la verifica a punzonamento
della muratura considerando la superficie di distacco tronco-piramidale rappresentata in
Fig. 11.29b.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 309

11.7 Intervento di adeguamento sismico mediante rinforzo


dei solai in legno e rinforzo dei maschi con iniezioni
cementizie
Un intervento tendente all’adeguamento sismico del fabbricato deve necessariamente
fornire un incremento di resistenza in direzione Y lungo la quale la risposta sismica è
particolarmente deficitaria. Pertanto, atteso il buon livello di miglioramento globale che si
ottiene con il rinforzo del solaio in legno sia con soletta collaborante in c.a. che con doppio
tavolato in legno, nel seguito si esaminano diverse ulteriori soluzioni di rinforzo nelle quali
tali due interventi vengono integrati con un rinforzo dei maschi murari.
Il primo caso esaminato consiste nell’applicazione del rinforzo dei maschi murari in
direzione Y con iniezioni cementizie.
Al fine di verificare la struttura una volta rinforzata, è possibile valutare
l’incremento di resistenza dei maschi murari impiegando la Tab. C8A2.2 della C.M.
2/2/2009 (Fig. 11.30). Pertanto, applicando il fattore di confidenza pari ad 1.2 ed il
coefficiente amplificativo delle proprietà meccaniche pari ad 1.7 (Fig. 11.30), le analisi che
seguiranno saranno basate sui seguenti valori di progetto delle proprietà meccaniche:

f wd = f wm /FC = 190 / 1.2 ⋅ 1.7 = 269.1 N / cm 2


(11.16)
f vod = f vom / FC = 3.5 / 1.2 ⋅ 1.7 = 4.96 N / cm 2

Fig. 11.30:Fattore amplificativo delle proprietà meccaniche della muratura


Pag. 310 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Iniezioni sulle
sole pareti in
direzioni Y

Fig. 11.31: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con soletta cementizia
collaborante ed iniezioni sui maschi in direzione Y)

In Fig. 11.31 vengono riportati i risultati dell’analisi. Si osserva che rinforzando i


soli maschi in direzioni Y si ha un notevole incremento di resistenza in tale direzione.
Complessivamente, si ottiene un fattore di sicurezza in direzione X pari a 0.912 ed un
fattore di sicurezza in direzione Y pari a 1.118.
Allo scopo di pervenire ad un adeguamento sismico, si è proceduto quindi a
rinforzare l’edificio progettando un rinforzo con iniezioni in entrambe le direzioni. I
risultati dell’analisi sono riportati in Fig. 11.32. E’ importante evidenziare che intervenendo
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 311

in entrambe le direzioni non si è comunque raggiunto l’obiettivo dell’adeguamento sismico


in quanto in direzione Y si ottiene un fattore di sicurezza inferiore all’unità seppure di poco.
Successivamente viene esaminato l’effetto del rinforzo strutturale conseguibile
applicando per l’impalcato l’intervento con doppio tavolato in legno e per i maschi murari
l’intervento di iniezione dapprima solo sui maschi in direzione Y e poi su tutti i maschi.

Iniezioni su
tutte le pareti sia
in direzioni X
che in direzione
Y

Fig. 11.32: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con soletta cementizia
collaborante ed iniezioni sui maschi in direzione X e Y)
Pag. 312 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

In Fig. 11.33 sono riportati i risultati dell’analisi condotta rinforzando i maschi


murari solo in direzione Y. Si osserva che i valori dei fattori di sicurezza risultano pari a
0.95 in direzione X e pari a 1.188 in direzione Y. Entrambi i fattori di sicurezza, per effetto
del ridotto incremento di peso e di massa derivante da questa tipologia di intervento,
risultano superiori agli analoghi fattori di sicurezza ottenuti con l’intervento di
consolidamento con soletta collaborante.

Iniezioni sulle
sole pareti in
direzioni Y

Fig. 11.33: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con doppio tavolato ed
iniezioni sui maschi in direzione Y)
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 313

Infine in Fig. 11.34 viene presentato il caso di rinforzo con l’impiego di un doppio
tavolato in legno ed iniezioni cementizie in entrambe le direzioni. Si osserva che l’obiettivo
dell’adeguamento sismico può essere ritenuto praticamente raggiunto seppure in misura
appena sufficiente.

Iniezioni su
tutte le pareti sia
in direzioni X
che in direzione
Y

Fig. 11.34: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con doppio tavolato ed
iniezioni sui maschi in direzione X e Y)
Pag. 314 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

In Tab. 11.6 è riportata la sintesi di tutti i risultati forniti dalle diverse tipologie di
intervento esaminate nel presente paragrafo ed in quelli precedenti.
E’ importante sottolineare che nella progettazione degli interventi per quanto
possibile va limitato l’incremento dei carichi gravanti sulla struttura. Inoltre, il rinforzo dei
maschi murari con iniezioni cementizie comporta un significativo aumento della resistenza
e della rigidezza dei maschi interessati dall’intervento e quindi un complessivo
miglioramento della prestazione sismica dell’edificio nella direzione nella quale sono stati
rinforzati i maschi murari ma nello stesso tempo comporta un incremento complessivo delle
azioni sismiche per effetto della riduzione del periodo di vibrazione della struttura ed un
incremento delle masse sismiche per cui nella direzione non rinforzata si registra una
riduzione del fattore di sicurezza.

Tab. 11.6: Sintesi dei risultati in termini di valori minimi dei fattori di sicurezza forniti
dalle differenti tipologie di intervento esaminati

11.8 Intervento di adeguamento sismico mediante rinforzo


dei solai in legno con doppio tavolato e rinforzo dei
maschi con intonaco armato
Nel presente paragrafo viene esaminato l’effetto del rinforzo dell’edificio ottenibile
applicando il rinforzo degli impalcati in legno con un doppio tavolato ed il rinforzo dei
maschi murari mediante intonaco armato. In particolare, il rinforzo dei maschi murari viene
esaminato sia nell’ipotesi di applicare un intervento tradizionale con rete metallica e malta
cementizia sia con una tecnica più innovativa con rete in fibra di vetro (sistema Fibrenet).
Al fine di verificare la struttura una volta rinforzata, si valuta per prima cosa
l’incremento di resistenza dei maschi murari impiegando la Tab. C8A2.2 della C.M.
2/2/2009 (Fig. 11.35). Pertanto, applicando il fattore di confidenza pari ad 1.2 ed il
coefficiente amplificativo delle proprietà meccaniche pari a 2 (Fig. 11.30), le analisi che
seguiranno saranno basate sui seguenti valori di progetto delle proprietà meccaniche:
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 315

f wd = 190 / 1.2 ⋅ 2.0 = 316.67 N / cm 2


(11.17)
f vod = 3.5 / 1.2 ⋅ 2.0 = 5.83 N / cm 2

Fig. 11.35: Fattore amplificativo delle proprietà meccaniche della muratura

In Fig. 11.36 vengono riportati i risultati dell’analisi. Si osserva che rinforzando i


soli maschi in direzioni Y non si raggiunge l’obiettivo dell’adeguamento sismico in quanto
si ottiene un fattore di sicurezza in direzione X pari a 0.889 ed un fattore di sicurezza in
direzione Y pari a 1.359.
Pag. 316 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Intonaco armato
solo sulle pareti
in direzioni Y

Fig. 11.36: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con doppio tavolato ed
intonaco armato sui maschi in direzione Y)

Allo scopo di pervenire ad un adeguamento sismico, si è proceduto quindi a


rinforzare l’edificio progettando un rinforzo con intonaco armato in entrambe le direzioni. I
risultati dell’analisi sono riportati in Fig. 11.37. In questo caso, rinforzando l’edificio in
entrambe le direzioni si raggiunge l’obiettivo dell’adeguamento sismico in quanto in
direzione Y si ottiene un fattore di sicurezza pari a 1.654 ed in direzione Y un fattore di
sicurezza pari a 1.068.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 317

Intonaco armato
applicato su
tutte le pareti sia
in direzioni X
che Y

Fig. 11.37: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con doppio tavolato ed
intonaco armato sui maschi in direzione Y)

In Tab. 11.7 è riportata la sintesi di tutti i risultati forniti dalle diverse tipologie di
intervento esaminate nel presente paragrafo ed in quelli precedenti. Si osserva che il
rinforzo dei solai in legno con doppio tavolato associato al rinforzo dei maschi murari con
intonaco armato fornisce il più elevato valore dell’incremento medio dei fattori di
sicurezza.
Pag. 318 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Tab. 11.7: Sintesi dei risultati in termini di valori minimi dei fattori di sicurezza forniti
dalle differenti tipologie di intervento esaminati

L’intervento con intonaco armato è stato largamente utilizzato in passato mostrando


una buona efficacia. Tuttavia, un problema manifestato dall’intervento con reti metalliche è
rappresentato dalla corrosione. Per questa ragione recentemente sono state introdotte
tecniche che sostituiscono alle reti metalliche reti in fibra di vetro (Fig. 11.38). L’impiego
di tali reti richiede però la definizione delle proprietà meccaniche della muratura rinforzata.
A tale scopo, è possibile far riferimento alle proprietà indicate dalle ditte produttrici
ricavate sulla scorta di indagini sperimentali. Ad esempio, con riferimento all’intonaco
armato con reti in fibre di vetro, la Fibrenet s.r.l. fornisce le correlazioni ricavate da
indagini sperimentali tra le caratteristiche geometriche e meccaniche dei rinforzi (Fibre ed
intonaco) e la resistenza a compressione e taglio dell’elemento rinforzato (Fig. 11.39).

Fig. 11.38: Intonaco armato con reti in fibre di vetro


Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 319

Fig. 11.39: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con doppio tavolato ed
intonaco armato sui maschi in direzione Y)

I risultati dell’analisi strutturale condotta con intonaco armato con reti di fibre di
vitro applicato sui soli maschi in direzione Y sono riportati in Fig. 11.40. Si osserva che
l’efficacia dell’intervento è decisamente superiore a quello fornito dall’applicazione di
intonaco armato con reti metalliche. Ciò deriva essenzialmente dal valore più elevato della
resistenza a taglio fornito dalla parete rinforzata con reti in fibre di vetro.
Pag. 320 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Intonaco armato
con reti in fibre di
vetro applicato
sulle pareti in
direzione Y

Fig. 11.40: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con doppio tavolato ed
intonaco armato in fibre di vetro sui maschi in direzione Y)

In Fig. 11.41 sono riportati i risultati forniti dall’intervento di rinforzo con intonaco
armato con fibre di vetro applicato sia alle pareti in direzioni X che alle pareti in direzione
Y. Si osserva il pieno raggiungimento dell’obiettivo dell’adeguamento sismico con un
fattore di sicurezza pari a 2.106 in direzione X e 1.198 in direzione Y.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 321

Intonaco armato
con reti in fibre
di vetro su tutte
le pareti sia in
direzioni X che
Y

Fig. 11.41: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con doppio tavolato ed
intonaco armato con reti in fibre di vetro sui maschi in direzione X e Y)

In Tab. 11.18 sono sinteticamente riportati i valori dei fattori di sicurezza forniti da
tutti gli interventi esaminati.
Pag. 322 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Tab. 11.8: Sintesi dei risultati in termini di valori minimi dei fattori di sicurezza forniti
dalle differenti tipologie di intervento esaminati

11.9 Intervento di adeguamento sismico mediante rinforzo


dei solai in legno con doppio tavolato e rinforzo dei
maschi con placcaggio a taglio con tessuti in FRP
L’analisi dell’intervento di rinforzo mediante l’impiego del doppio tavolato in legno
senza un rinforzo dei maschi murari, sviluppata nel paragrafo 11.4, ha mostrato una
deficienza in direzione Y dovuta dal collasso a taglio dei maschi in tale direzione.
L’intervento di rinforzo potrebbe essere focalizzato pertanto sul miglioramento della
prestazione a taglio di tali maschi murari mediante l’applicazione di un placcaggio in FRP
ad esempio del tipo raffigurato in Fig. 11.42.

Fig. 11.42: Rinforzo a taglio con placcaggio in FRP


Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 323

Fig. 11.43: Maschio da rinforzare a taglio con placcaggio in FRP

A titolo di esempio, supponiamo di voler valutare l’efficacia di un rinforzo a taglio


eseguito disponendo tessuti in fibra di vetro del tipo Mapewrap G-UNI-AX. Esaminiamo il
caso del maschio centrale al secondo piano delle pareti P2 – P4 (Fig. 11.43).
Dall’analisi condotta nel paragrafo 11.4 si ottengono le sollecitazioni in fase di
collasso riportate in Fig. 11.43. L’analisi del rinforzo a taglio comporta i seguenti sviluppi
analitici.

• Resistenza a Pressoflessione [NTC 2008]


⎛ l 2 tσ 02 ⎞⎛ ⎞ ⎛ 355 2 ⋅ 30 ⋅ 31,50 2 ⎞⎛
Mu = ⎜ ⎟⎜1 − σ 0 ⎟=⎜ ⎟⎜1 − 1,5 ⎞⎟ = 25262 kgm (11.18)
⎜ 2 ⎟⎜ 0,85 f d ⎟ ⎜ 2 ⎟⎝ 0,85 ⋅ 16 ⎠
⎝ ⎠⎝ ⎠ ⎝ ⎠
• Resistenza a Taglio-Scorrimento [Mohr-Coulomb

⎛ ⎞ ⎛ ⎞
⎜ ⎟ ⎜ ⎟
1,5 f + 0 ,4σ ⎜ 1,5 ⋅ 0 ,29 + 0 ,4 ⋅ 1,5 ⎟ = 9851 kg
G.E.Vu = lt ⎜ vd 0 ⎟ = 355 ⋅ 30 (11.19)
⎜ 3λf vd 0 ⎟ ⎜ 3 ⋅ 0,42 ⋅ 0,29 ⎟
⎜ 1+ ⎟ ⎜ 1+ ⎟
⎝ 2σ ⎠ ⎝ 2 ⋅ 1,5 ⎠
• Resistenza a Fessurazione diagonale [Turnsek – Cacovic]

1,5 f vd 0 σ0 1,5 ⋅ 0,29 1,5


Vu = l t 1+ = 355 ⋅ 30 ⋅ 1+ = 9818 kg (11.20)
b 1,5 f vd 0 1 1,5 ⋅ 0,29
Pag. 324 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

h
1< b = < 1,5
l
• Energia specifica di frattura [CNR DT 200/2004]

ΓFk = 0,015 f mk ⋅ f mtm = 0,015 1,6 ⋅ 0,1 ⋅ 1,6 = 0,007589N / mm (11.21)

• Tensione di delaminazione [CNR DT 200/2004]

1 2 E f Γ fk 1 2 ⋅ 80700 ⋅ 0,007589
f fdd = = = 42,10MPa (11.22)
1.2 tf 1.2 0,48

• Contributo muratura [CNR DT 200/2004]


1 1
VRd ,m = dtf vd = 350 ⋅ 30 ⋅ (0,29 + 0,4 ⋅ 1.50) = 7590kg (11.23)
1,2 1,2
• Contributo rinforzo [CNR DT 200/2004]

1 0.6 ⋅ d ⋅ A fw ⋅ f fdd 1 0.6 ⋅ 3500 ⋅ 0.48 ⋅ 2 ⋅ 300 ⋅ 42.10


VRd , f = = = 4122kg
γ Rd pf 1.20 500 ⋅ 10 (11.24)

• Resistenza della biella compressa di muratura

f md
VRd ,max = 0.3 td = 24480kg (11.25)
2
• Tensione di delaminazione [CNR DT 200/2004]

VRd = VRd ,m + VRd , f = 11712kg + 19% (11.26)

• Tensione di delaminazione [CNR DT 200/2004]

ΓFk = 0,015 f mk ⋅ f mtm = 0,015 1,6 ⋅ 0,1 ⋅ 1,6 = 0,007589N / mm (11.21)

L’analisi è stata condotta ipotizzando la sovrapposizione di due strisce di FRP. L’adozione


di più strisce sovrapposte, comporterebbe la modifica della tensione di delaminazione ed il
contributo a taglio del rinforzo come riportato in Fig. 11.44.
In Fig. 11.45, è rappresentato l’intervento progettato sui maschi della parete P2-P4.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 325

Fig. 11.44: Maschio da rinforzare a taglio con placcaggio in FRP

Fig. 11.45: Rinforzo dei maschio della parete P2-P4

L’efficacia dell’intervento progettato ai fini dell’adeguamento sismico è testimoniata


dall’analisi strutturale complessiva dell’edificio. I risultati di tale analisi sono rappresentati
in Fig. 11.46. Si osserva che l’edificio risulta simicamente adeguato in quanto il fattore di
sicurezza in direzione X risulta pari a 1.037 mentre in direzione Y risulta pari a 1.809.
Pag. 326 Progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici in muratura ordinaria

Rinforzo a
taglio con FRP
sulle pareti in
direzione Y

Fig. 11.46: Risultati dell’analisi sismica (rinforzo dei solai in legno con doppio tavolato e
rinforzo dei maschi in direzione Y a taglio con FRP)

La sintesi dei risultati forniti da tutte le analisi eseguite nel presente capitolo è
riportata in tab. 11.9. Si osserva che diverse tecniche di rinforzo hanno consentito di
ottenere l’adeguamento sismico del fabbricato. Tuttavia, l’impiego dell’intonaco armato ha
richiesto un intervento globale sull’edificio interessando sia i maschi in direzione X che i
maschi in direzione Y. Solo l’intervento con rinforzo mirato a taglio mediante FRP ha
consentito di limitare l’intervento ai soli maschi in direzione Y.
Capitolo 11: Caso studio:adeguamento sismico di un edificio esistente Pag. 327

Tab. 11.9: Sintesi dei risultati in termini di valori minimi dei fattori di sicurezza forniti
dalle differenti tipologie di intervento esaminati

Potrebbero piacerti anche