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Gianvittorio Rizzano

RIABILITAZIONE STRUTTURALE

Parte 1: Analisi e verifica degli edifici


in muratura ordinaria
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ISBN 978-88-97821-07-6
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Tel. 089964500 pbx - Fax 089964360
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Finito di stampare nel mese di marzo 2012 per conto delle Edizioni Cues
dalla tipografia «Braille Gamma S.r.l.» di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)
PREFAZIONE
La riabilitazione strutturale rappresenta un tema di grande attualità sia per l’invecchiamento
del patrimonio edilizio esistente sia per l’evoluzione delle norme tecniche, ed in particolare
della normativa sismica, che va a regolamentare territori sempre più vasti sui quali gran
parte degli edifici esistenti sono stati progettati e realizzati, nel rispetto delle normative
dell’epoca, senza seguire criteri antisismici.
A tale problematica è dedicato il corso di “riabilitazione strutturale” della laurea
magistrale in ingegneria civile e della laurea a ciclo unico in ingegneria edile – architettura,
a cui il presente volume fa riferimento. L’obiettivo è quello di affrontare le diverse
problematiche che intervengono nelle successive fasi del processo di consolidamento ed
adeguamento sismico degli edifici in muratura. In particolare, a partire dall’analisi
dell’evoluzione storica della normativa italiana fino agli eurocodici, necessaria per una
adeguata conoscenza delle caratteristiche strutturali originarie dell’edificio e delle modalità
con le quali intervenire, si intende esaminare le varie tecniche di indagine e monitoraggio
delle strutture, le cause del dissesto ed il corrispondente quadro fessurativo, la modellazione
della struttura, l’analisi delle sollecitazioni e la progettazione degli interventi di
consolidamento o di adeguamento sismico.
Ognuno dei temi precedentemente introdotti potrebbe essere probabilmente oggetto
di un corso o di una trattazione specifica, per cui la difficoltà e nello stesso tempo
l’obiettivo prefissato nell’organizzazione del corso e del presente volume è stato quello di
coniugare da un lato l’esigenza di fornire un quadro, per quanto possibile completo, della
problematica e di tutti gli aspetti che intervengono nella progettazione ed esecuzione degli
interventi, dall’altro di trattare in modo sufficientemente accurato i vari argomenti. Si è
cercato quindi un giusto equilibrio tra un’analisi dettagliata di pochi aspetti ed un’analisi
sommaria di tutti gli aspetti, con la speranza di riuscire a fornire gli strumenti e le
conoscenze di base necessarie per affrontare la riabilitazione degli edifici esistenti, con
particolare riferimento agli edifici in muratura, e nello stesso tempo di fornire gli spunti e le
indicazioni sui possibili approfondimenti che possano stimolare un processo di continuo
aggiornamento e progressivo ampliamento delle conoscenze.
Il tema della riabilitazione strutturale degli edifici in muratura viene affrontato
suddividendolo in due parti: la parte 1, contenuta nel presente volume, è dedicata all’analisi
e verifica degli edifici in muratura ordinaria, la parte 2, oggetto del secondo volume, è
dedicata alla progettazione ed esecuzione degli interventi sugli edifici esistenti in muratura
ordinaria.
Più in dettaglio, la parte 1, è suddivisa in sei capitoli. Nel capitolo 1, dopo aver
introdotto le normative di particolare interesse per gli edifici in muratura, vengono
esaminate le tipologie e tessiture dei pannelli murari, le proprietà dei materiali costituenti la
muratura e le proprietà meccaniche della muratura nel suo complesso. Nel capitolo 2, prima
di passare all’analisi delle sollecitazioni e verifiche dei vari elementi strutturali, viene
inquadrato il comportamento complessivo degli edifici in muratura individuando i
II Prefazione

parametri che governano la risposta strutturale sotto azioni sismiche. Nel capitolo 3, viene
esaminato il comportamento delle pareti alle azioni ortogonali analizzando le modalità di
verifica previste dalla varie normative sia nei confronti della pressoflessione, con e senza
effetti del II ordine, che nei confronti del ribaltamento. Nel capitolo 4 si affronta il
comportamento delle pareti alle azioni nel piano valutando dapprima il comportamento
degli elementi costitutivi, ovvero dei maschi murari e delle fasce di piano, per poi
esaminare l’intera parete sia con modelli monodimensionali che con modelli
bidimensionali. Nel capitolo 5 si passa alla valutazione del comportamento dell’intero
edificio considerando le differenti tipologie di analisi previste dalle normative sismiche più
avanzate con particolare riferimento a quelle statiche non lineari. Infine, nel capitolo 6
vengono esaminati i metodi di calcolo delle sollecitazioni degli elementi strutturali di
impalcato rappresentati dagli archi, le volte e le cupole.
La parte 2 è suddivisa in quattro capitoli numerati in prosecuzione a quelli della
parte 1. Il capitolo 7 tratta l’analisi e diagnosi dei dissesti esaminando sia i dissesti statici
dovuti a cedimenti di fondazione, traslazioni e rotazioni, e a schiacciamento degli elementi
murari, sia i dissesti per azioni sismiche. Nel capitolo 8 vengono affrontate le
problematiche relative alle indagini distruttive e non distruttive sia sui materiali base
costituenti la muratura che sui pannelli murari in sito ed in laboratorio. Nel capitolo 9, a
valle dell’analisi del comportamento sismico degli edifici, sviluppata nella parte 1, e del
rilievo dei dissesti e delle indagini sperimentali sviluppate nei capitoli precedenti della parte
2, viene analizzata la vulnerabilità sismica degli edifici in muratura con riferimento alla
metodologia introdotta dal Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti. Infine, nel capitolo 10
vengono trattati gli interventi di consolidamento. In particolare, dopo un inquadramento
generale degli interventi, vengono esaminate le tecniche di consolidamento, i criteri di
progetto e le verifica con riferimento alle fondazioni, alle strutture murarie verticali, agli
orizzontamenti, alle coperture, agli archi, alle volte ed alle cupole.
Nel presente volume, attesa la recente approvazione delle “Norme tecniche per le
Costruzioni” del 14 gennaio 2008 con la relativa circolare esplicativa n. 617 del 26 febbraio
2009, in relazione ai singoli aspetti della progettazione e verifica degli edifici in muratura
ordinaria, vengono evidenziate e commentate le modifiche introdotte dalle nuove norme
rispetto al quadro normativo precedente rappresentato sia dall’Ordinanza del Presidente del
Consiglio dei Ministri n. 3274/2003 e 3431/2005 che dal Decreto Ministeriale LL.PP. del
16 gennaio 1996.
Al termine di questa premessa voglio ringraziare l’amico prof. Vincenzo Piluso,
compagno di viaggio da sempre nella mia esperienza universitaria e costante occasione di
confronto ed approfondimento, il dott. Massimo Latour per la preziosa collaborazione nella
stesura delle applicazioni numeriche, i dott. Riccardo Sabatino e Giuseppe Torello con i
quali ho condiviso l’implementazione del codice di calcolo FREMA, oggetto di analisi ed
applicazione nel capitolo 4, la dott.ssa Immacolata Tolone, collaboratrice di numerose
attività di ricerca, e l’ing. Albano Squizzato per l’aiuto nella correzione delle prime bozze
delle dispense del corso di Riabilitazione Strutturale, da cui il presente volume trae origine.

Università di Salerno, 20 marzo 2012 Gianvittorio Rizzano


Indice
1.1 Inquadramento normativo..............................................................................................1
1.2 Tipologie e tessiture della muratura...............................................................................7
1.2.1 Muratura con elementi artificiali .....................................................................7
1.2.2 Murature con elementi naturali......................................................................13
1.3 Tipologia e caratteristiche dei materiali base naturali..................................................15
1.3.1 Il tufo giallo ...................................................................................................15
1.3.2 Il tufo grigio...................................................................................................17
1.3.3 Il travertino ....................................................................................................18
1.3.4 La pietra calcarea...........................................................................................19
1.4 Le malte ….….. ...........................................................................................................19
1.4.1 Le malte di calce aeree ..................................................................................21
1.4.2 Le malte di calce idrauliche ...........................................................................23
1.4.3 Le malte di calce cementizie..........................................................................24
1.4.4 Le malte bastarde...........................................................................................25
1.4.5 Le indicazioni normative in merito alle malte ..............................................25
1.5 Proprietà meccaniche della muratura...........................................................................27
1.5.1 Resistenza a compressione ............................................................................27
1.5.2 Modulo di elasticità .......................................................................................37
1.5.3 Legame σ-ε ....................................................................................................38
1.5.4 Resistenza a taglio .........................................................................................40

CAPITOLO 2 - Le azioni statiche e sismiche

2.1 Metodi di verifica della sicurezza strutturale...............................................................43


2.2 Le azioni ......................................................................................................................47
2.2.1 Azioni statiche e sismiche secondo le NTC 2008..........................................47
2.2.2 Azioni sismiche secondo l’OPCM 3274/03 e 3431/05..................................54
2.2.3 Azioni statiche secondo il D.M. 20/11/1987 .................................................57
2.2.4 Azioni sismiche secondo il D.M. 16/1/96 e C.M. 10/4/97.............................58
2.2.5 Azioni sismiche fuori piano secondo le NTC 2008 e
l’OPCM 3274/3431 .......................................................................................60
2.3 Le resistenze dei materiali ...........................................................................................62
2.4 Comportamento delle pareti per effetto di carichi verticali ed orizzontali...................65

CAPITOLO 3 – Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano

3.1 Premessa ......................................................................................................................69


3.2 Verifica a ribaltamento ................................................................................................70
3.2.1 Verifica a ribaltamento: applicazione numerica ad una parete
monopiano .....................................................................................................72
3.3 Verifica a pressoflessione per azioni non sismiche......................................................75
IV Indice

3.3.1 Analisi dei pannelli tozzi ...............................................................................76


3.3.2 Analisi dei pannelli snelli ..............................................................................78
3.3.3 Verifica a pressoflessione secondo le NTC 2008 e il DM 20/11/87..............84
3.4 Verifica a pressoflessione per azioni sismiche secondo l’OPCM 3274
e le NTC 2008..............................................................................................................87
3.5 Verifica a pressoflessione in presenza di cattivo ammorsamento:
spessore minimo delle pareti .......................................................................................89
3.6 Analisi numerica: verifica di una parete alle azioni ortogonali ...................................90

CAPITOLO 4 – Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano

4.1 Introduzione...............................................................................................................119
4.2 Analisi dei pannelli murari soggetti ad azioni normali e taglianti .............................120
4.2.1 Modelli monodimensionali con traversi infinitamente rigidi.......................120
4.2.2 Rigidezza dei maschi murari per azioni taglianti.........................................121
4.2.3 Resistenza dei pannelli murari soggetti ad azioni taglianti..........................123
4.2.3.1 Rottura per fessurazione diagonale .......................................................124
4.2.3.2 Rottura per taglio-scorrimento ..............................................................127
4.2.3.3 Rottura per pressoflessione....................................................................130
4.2.3.4 Resistenza dei maschi murari.................................................................132
4.2.4 Duttilità dei maschi murari ..........................................................................133
4.3 Analisi dei pannelli murari soggetti a sole azioni taglianti (fasce di piano) ..............134
4.4 Modellazione delle pareti soggette ad azioni nel piano ............................................138
4.4.1 Modelli monodimensionali con traversi infinitamente rigidi.......................138
4.4.1.1 Curva Pushover del singolo piano e metodo POR.................................138
4.4.1.2 Curva Pushover della parete multipiano ...............................................143
4.4.1.3 Metodo Porflex.......................................................................................145
4.4.1.4 Metodo delle fasce di piano ...................................................................152
4.4.2 Modelli monodimensionali con traversi di rigidezza flessionale
nulla .............................................................................................................156
4.4.2.1 Modelli con maschi indipendenti ...........................................................156
4.4.2.2 Modelli con maschi accoppiati da pendoli ............................................157
4.4.3 Modelli monodimensionali a telaio equivalente ..........................................161
4.4.3.1 Modello FREMA.....................................................................................162
4.4.3.1.1 L’elemento maschio murario ..............................................................164
4.4.3.1.2 L’elemento fascia muraria ..................................................................169
4.4.3.2 Modello SAM .........................................................................................172
4.4.3.3 Modello 3MURI .....................................................................................173
4.4.4 Modelli monodimensionali a puntoni ..........................................................175
4.4.5 Modelli bidimensionali con macroelementi finiti........................................176
4.4.5.1 Modello SISV .........................................................................................176
4.4.5.2 Modello MAS3d .....................................................................................180
4.4.6 Modelli bidimensionali con elementi finiti..................................................183
V

4.4.6.1
Discretizzazione in elementi finiti ..........................................................184
4.4.6.2
Condizioni di convergenza.....................................................................185
4.4.6.3
Problematiche relative all’analisi non lineare ......................................186
4.4.6.4
Leggi costitutive per la muratura...........................................................187
4.4.6.5
Calibrazione dei parametri meccanici nella modellazione agli
elementi finiti .........................................................................................193
4.4.7 Confronto tra i vari modelli .........................................................................197
4.5 Applicazione numerica: Verifica di una parete per azioni nel piano .........................203

CAPITOLO 5 – Analisi sismica degli edifici in muratura

5.1 Metodi di analisi strutturale .......................................................................................225


5.2 Analisi statica lineare.................................................................................................235
5.2.1 Ripartizione delle azioni orizzontali ............................................................235
5.2.2 Analisi semplificata per singoli piani ..........................................................239
5.3 Analisi statica non lineare..........................................................................................242
5.3.1 Analisi non lineare semplificata per sigoli piani..........................................245
5.4 Applicazione numerica: analisi statica non lineare....................................................247
5.4.1 Introduzione.................................................................................................247
5.4.2 Verifica dell’edificio nell’ipotesi di impalcato deformabile
con modello semplificato shear-type ...........................................................247
5.4.3 Verifica dell’edificio nell’ipotesi di impalcato rigido
con modello a telaio equivalente .................................................................252
5.4.3.1 Determinazione delle azioni sismiche globali........................................252
5.4.3.2 Verifica agli spostamenti con il metodo a telaio equivalente.................257

CAPITOLO 6 – Archi, volte e cupole

6.1 L’arco ........................................................................................................................263


6.1.1 Introduzione.................................................................................................263
6.1.2 Statica dell’arco ...........................................................................................266
6.1.3 Metodo grafico ............................................................................................270
6.1.4 Metodo analitico ..........................................................................................273
6.1.5 Caduta di spinta negli archi deformabili......................................................277
6.1.6 La verifica dei piedritti ................................................................................281
6.2 Le volte .....................................................................................................................282
6.2.1 Introduzione.................................................................................................282
6.2.2 La statica delle volte ....................................................................................284
6.2.2.1 La volta a botte.......................................................................................284
6.2.2.2 La volta a crociera..................................................................................285
6.2.2.3 La volta a padiglione..............................................................................288
VI Indice

6.3 Le cupole ...................................................................................................................291


6.3.1 Introduzione.................................................................................................291
6.3.2 La statica delle cupole .................................................................................294
6.4 Applicazione numerica: verifica di una volta a padiglione........................................299
6.4.1 Metodo analitico ..........................................................................................300
6.4.2 Metodo grafico ............................................................................................304

Bibliografia ........................................................................................................................311
Capitolo 1

TIPOLOGIE E PROPRIETA’ MECCANICHE


DELLE MURATURE

1.1 Inquadramento normativo


Il quadro normativo relativo alle costruzioni ha attraversato recentemente una fase di
significativa trasformazione in seguito all’approvazione dapprima delle norme “O.P.C.M.
3274/2003 e 3431/2005” emanate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e
recentemente delle definitive “Norme Tecniche per le Costruzioni D.M. 14/01/2008”
(NTC2008) emanate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con la relativa circolare
MM.LL.PP. del 26 febbraio 2009 (Istruzioni per l’applicazione delle “Norme Tecniche per
le Costruzioni”). Attesa la situazione di transizione e trasformazione legislativa nel seguito
verranno introdotte sia le normative attualmente vigenti che quelle precedenti a partire dagli
anni ’80 quando, in seguito al terremoto dell’irpinia, la normativa sulle costruzioni ha
subito un primo significativo cambiamento per la dichiarazione di sismicità di numerosi
territori nazionali sui quali in precedenza si operava escludendo le azioni sismiche.
Nell’introdurre le diverse normative, che nel seguito del presente volume verranno
di volta in volta richiamate nell’affrontare le diverse problematiche che caratterizzano il
processo di verifica e progettazione degli interventi sugli edifici in muratura esistenti, in
questa breve introduzione al quadro normativo si vuole focalizzare principalmente
l’attenzione sulla individuazione delle tipologie di intervento che le normative codificano
allo scopo di uniformare e chiarire la terminologia da impiegare nella descrizione degli
interventi stessi. Infatti, sebbene sono molti i termini che nell’ambito degli interventi tecnici
sulle strutture esistenti vengono correntemenete impiegati per la definizione dell’intervento
stesso quali, ad esempio, riparazione, recupero, consolidamento, ripristino, restauro,
miglioramento, adeguamento etc., le norme, con riferimento agli aspetti più prettamente
strutturali, restringono la terminologia a poche e chiare casistiche di intervento.
Prima dell’entrata in vigore delle attuali NTC2008, la realizzazione di nuovi edifici
o di interventi su edifici esistenti in muratura in zona non sismica era regolamentata dal
D.M. Min.L.L.P.P. del 20 Novembre 1987 “Norme tecniche per la progettazione,
esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento” [1]. Tale
normativa, unitamente alla circolare esplicativa, Circolare del Min.LL.PP. del 04 Gennaio
1989 n.30787 “Istruzioni in merito alle norme tecniche per la progettazione, esecuzione e
collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento” [2], forniva le indicazioni in
Pag. 2 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

merito alle caratteristiche meccaniche della muratura, alle norme di calcolo con le relative
verifiche sia con riferimento ad edifici in muratura con elementi artificiali che a quelli con
elementi resistenti naturali. Tale norma disciplinava in maniera dettagliata la realizzazione
di nuove costruzioni in muratura ed inoltre forniva le indicazioni per il consolidamento
degli edifici esistenti. In particolare, escludendo il caso degli edifici soggetti ad azioni di
natura sismica che veniva regolamentato da una specifica normativa, il D.M.87 definiva
l’intervento di consolidamento come “l’esecuzione di un complesso di opere che risultino
necessarie per rendere l’edificio atto a resistere alle azioni verticali ed orizzontali previste
in progetto”. Inoltre, prescriveva l’obbligo di procedere al consolidamento nei casi in cui si
volesse:
a) sopraelevare o ampliare l’edificio;
b) apportare variazioni di destinazione che comportano incrementi dei carichi
originari superiori al 20%;
c) effettuare interventi strutturali che traformano l’edificio in un organismo edilizio
diverso dal precedente;
d) esecuzioni di interventi strutturali, anche su parti strutturali dell’edificio, che
alterano il comportamento globale dell’edificio;
e) effettuare interventi strutturali consistenti in un insieme sistematico di opere.
La norma prescriveva inoltre che anche quando non si procedeva al consolidamento
occorreva redigere un progetto basato sulle seguenti operazioni:
1) rilievo finalizzato all’individuazione dello schema strutturale nello stato di fatto;
2) valutazione del livello di sicurezza attuale portando in conto l’eventuale degrado
dei materiali;
3) scelta degli interventi;
4) verifica di sicurezza del nuovo organismo strutturale.
Pertanto, se l’edificio in muratura era ubicato in zona non sismica, prima
dell’emanazione delle NTC2008, occorreva far riferimento esclusivamente al D.M.87 ed
alla sua circolare esplicativa, procedendo con un intervento di migliormaneto statico o di
consolidamento sulla base delle precedenti considerazioni ed effettuando le verifiche con il
metodo delle tensioni ammissibili oppure con il metodo semiprobabilistico agli stati limite.
In tale contesto, le azioni da considerare ovvero i carichi permanenti, i sovraccarichi
variabili per gli edifici, la neve, il vento e le variazioni termiche venivano dettagliatamente
descritti in uno specifico Decreto Ministeriale la cui versione più recente è costituita dal
D.M.LL.PP. 16/01/96 “Norme tecniche relative ai criteri generali per la verifica di
sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi” [4] con la Circolare esplicativa del
04/07/96 n.156 AA.GG. “Istruzioni per l’applicazione delle norme tecniche relative ai
criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi”[5].
Quando l’edificio in muratura ricadeva in zona sismica, oltre al D.M.87 occorreva
far riferimento alla specifica normativa sismica.
La prima normativa tecnica in senso moderno, nel settore sismico, è nata a seguito
del terremoto del 28 dicembre 1908. In tale normativa, emanata con Regio Decreto del 18
Aprile 1909, sono ben presenti i requisiti di “buone regole del costruire in zona sismica”, in
particolare quello dell’altezza, che non può di regola superare i 10 metri, prescrizioni per
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 3

assicurare la monoliticità, precisate ulteriormente nelle norme che si sono succedute. In


particolare merita di essere ricordata la Normativa del 6 Settembre 1912 che nella prima
parte dell’art.8 precisa: ”Gli edifici debbono essere costruiti con muratura armata o con
muratura animata...”, intendendo per quest’ultima una muratura realizzata con telaio
spaziale in c.a. intimamente inserito nella muratura portante, con pilastri ad ogni incrocio.
Le normative italiane più recenti riguardanti gli edifici in muratura in zona sismica
sono la Legge 2 Febbraio 1974, n°64 (Provvedimenti per le costruzioni con particolari
prescrizioni per le zone sismiche), il D.M. LL.PP. 24 Gennaio 1986 sostituito dal D.M.
LL.PP. 16 Gennaio 1996 (Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche) [3] con
relativa Circolare Min. LL.PP. 10 Aprile 1997 n°65 (Istruzioni per l’applicazione delle
“Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche” di cui al D.M. 16 Gennaio 1996) [6],
D.M. Min. LL.PP. 2 Luglio 1981 (Normativa per le riparazioni ed il rafforzamento degli
edifici danneggiati dal sisma nelle regioni Basilicata, Campania e Puglia) con relativa
Circolare Min. LL.PP. 30 Luglio 1981 n°21745 (Istruzioni relative alla normativa tecnica
per la riparazione ed il rafforzamento degli edifici in muratura danneggiati dal sisma), le
OPCM 3274/2003 e 3431/2005 emanate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e
recentemente del definitivo D.M. LL.PP. 14/01/2008 (NTC2008: Norme Tecniche per le
Costruzioni) con la relativa Circolare Min. LL.PP. del 26 febbraio 2009 (Istruzioni per
l’applicazione delle “Norme Tecniche per le Costruzioni”). In particolare, con riferimento
al D.M. Min. LL.PP. 2 Luglio 1981 e la sua circolare esplicativa, si sottolinea che alcuni
loro contenuti, come la caratterizzazione dei materiali, la descrizione degli interventi
strutturali, l’introduzione della verifica di edifici caratterizzati da un comportamento del
tipo shear-type con collasso dei maschi a taglio, hanno a lungo rappresentato un utile
riferimento anche in contesti non contemplati dal decreto ministeriale stesso.
In relazione alla tipologia di intervento, il D.M.16/01/96 per le costruzioni in zona
sismica, recependo quanto già introdotto nel D.M.02/07/81 e sostanzialmente in accordo
con le successive OPCM 3274/03 e 3431/05, distingue due tipologie di intervento sugli
edifici esistenti in zona sismica:
1) Intervento di miglioramento;
2) Intervento di adeguamento sismico.
In dettaglio si definisce intervento di adeguamento l’esecuzione di un complesso
di opere sufficienti per rendere l’edificio atto a resistere alle azioni sismiche precisando che
è fatto obbligo di procedere all’adeguamento a chiunque intenda:
a) sopraelevare o ampliare l’edificio (si intende per ampliamento la sopraelevazione
di parti dell’edificio di altezza inferiore a quella massima dell’edificio stesso);
b) apportare variazioni di destinazione che comportino, nelle strutture interessate
dall’intervento, incrementi dei carichi originari (permanenti e accidentali)
superiori al 20%;
c) effettuare interventi strutturali rivolti a trasformare l’edificio mediante un insieme
sistematico di opere che portino ad un organismo edilizio diverso dal precedente;
d) effettuare interventi strutturali rivolti ad eseguire opere e modifiche per innovare e
sostituire parti strutturali dell’edificio, allorchè detti interventi implichino
sostanziali alterazioni del comportamento globale dell’edificio stesso.
Pag. 4 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Nel D.M.16/01/96 si definisce invece intervento di miglioramento l’esecuzione di


una o più opere riguardanti i singoli elementi strutturali dell’edificio con lo scopo di
conseguire un maggior grado di sicurezza senza, peraltro, modificarne in maniera
sostanziale il comportamento globale.
E’ fatto obbligo di eseguire interventi di miglioramento a chiunque intenda
effettuare interventi locali volti a rinnovare o sostituire elementi strutturali dell’edificio. Nel
caso di interventi di miglioramento deve essere dimostrato che gli interventi progettati non
producano sostanziali modifiche nel comportamento strutturale globale dell’edificio.
Il progetto di un intervento su di un edificio è basato sulle seguenti operazioni:
a) individuazione dello schema strutturale nella situazione esistente;
b) valutazione delle condizioni di sicurezza attuale dell’edificio e delle caratteristiche
di resistenza degli elementi strutturali interessati dagli interventi, avuto riguardo
alla eventuale degradazione dei materiali e ad eventuali dissesti in atto;
c) scelta progettuale dei provvedimenti di intervento operata sulla base degli elementi
come sopra determinati;
d) verifica sismica, se necessaria, del nuovo organismo strutturale.
I criteri adottati nella scelta del tipo di intervento devono scaturire da uno studio
preliminare dell’organismo edilizio riguardante in particolare:
a) le caratteristiche, nella situazione esistente, sotto il profilo architettonico,
strutturale e della destinazione d’uso;
b) l’evoluzione storica delle predette caratteristiche con particolare riferimento
all’impianto edilizio originario ed alle principali modificazioni intervenute nel
tempo;
c) l’analisi globale del comportamento strutturale al fine di accertare le cause ed il
meccanismo di eventuali dissesti in atto.
Le Norme Tecniche per le Costruzioni D.M. 14/1/2008, distinguono tre tipologie di
interventi:
1) Interventi di miglioramento;
2) Interventi di adeguamento;
3) Riparazioni o interventi locali.
I primi due interventi coincidono nella definizione e nelle prescrizioni con quanto
contenuto nelle normative precedenti, ovvero con il D.M.16/01/96 per le costruzioni in
zona sismica e con le OPCM 3274/03 e 3431/05. Per quanto concerne invece le riparazioni
o interventi locali, le NTC2008 prevedono che quando gli interventi interessano porzioni
limitate della costruzione, non producono sostanziali modifiche al comportamento
complessivo della struttura o di altre parti della struttura stessa e comportano un
miglioramento della sicurezza preesistente, il progetto con la relativa relazione può essere
limitato alle sole parti interessate dall’intervento e a quelle con esse interagenti.
Per quanto concerne il patrimonio monumentale, ovvero per gli edifici aventi
particolare rilevanza storica, artistica ed archeologica, già il D.M.16/01/96 per le
costruzioni in zona sismica precisava al punto C.9.1.2 che l’intervento di miglioramento si
applica in particolare al caso degli edifici di carattere monumentale in quanto compatibile
con le esigenze di tutela e conservazione del bene culturale. Vanno però messe in risalto le
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 5

normative specifiche e documenti di indirizzo redatti per questa tipologia di edifici che
sono rappresentate dapprima dalla Circolare Min. Beni Cult. 18 Luglio 1986 n°1032
(Interventi sul patrimonio monumentale a tipologia specialistica in zone sismiche:
raccomandazioni) e dalle “Direttive per la redazione ed esecuzione di progetti di restauro
comprendenti interventi di miglioramento antisismico e manutenzione, nei complessi
architettonici di valore storico-artistico in zona sismica” redatto dal Comitato nazionale per
la prevenzione del patrimonio culturale dal rischio sismico del 14/07/89. Più recentemente
sono state emanate le Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del
patrimonio culturale allineate alle nuove Norme tecniche per le costruzioni che rappresenta
un testo di riferimento allegato al parere n. 92 dell’Assemblea Generale del Consiglio
Superiore dei LL.PP. reso nella seduta del 23 luglio 2010.
In Tab. 1.1 è riportato un quadro sintetico delle norme più significative relative agli
edifici in muratura.
Dalla breve disamina degli interventi previsti nelle norme attuali e quelle precedenti
emerge che gli interventi possono essere definiti e contraddistinti esclusivamente in base a
quanto predisposto dalle norme ovvero distinguendo gli interventi di consolidamento
statico, di miglioramento sismico, di adeguamento sismico ed interventi locali o di
riparazione. A tali definizioni va aggiunta anche quella di interventi di restauro intesi come
gli interventi operati sui beni monumentali. Essi si distinguono dagli altri interventi
essenzialmente per l’oggetto di cui si interessano e conseguentemente per il fine degli
interventi stessi. Infatti mentre il "restauro" è volto alla conservazione delle antiche
testimonianze gli altri interventi sono dettati da ragioni economiche e d'uso essendo
finalizzati al riuso di una particolare struttura e solo come conseguenza alla sua
conservazione. Nel caso del "restauro", invece, il riuso può eventualmente rappresentare
solo un mezzo particolarmente efficace per garantire la conservazione del monumento
stesso.
Nel rispetto, quindi, delle normative citate, nel seguito saranno pertanto trattate le
tematiche necessarie ad un intervento esaustivo sugli edifici esistenti affrontando le
seguenti problematiche:
a) rilievo dello stato di fatto con particolare riferimento al rilievo del quadro
fessurativo ed alle indagini preliminari finalizzate all’accertamento delle proprietà
meccaniche dei materiali costituenti l’edificio;
b) impostazione di un adeguato modello strutturale mediante il quale accertare il
livello di sicurezza nello stato di fatto posseduto dalla struttura;
c) analisi del dissesto ed individuazione delle cause del dissesto stesso;
d) progettazione degli interventi strutturali;
e) modellazione della struttura a valle degli interventi e valutazione del livello di
sicurezza raggiunto;
f) indagini sperimentali per l’accertamento dell’efficacia degli interventi realizzati e
loro eventuale monitoraggio nel tempo.
Nell’affrontare tali tematiche, saranno evidenziate le disposizioni previste sia nel
D.M. Min. LL.PP. 16 Gennaio 1996 (Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche)
Pag. 6 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

che nelle norme “O.P.C.M. 3274/2003 e 3431/2005” e nelle definitive “Norme Tecniche
per le Costruzioni D.M. 14/01/2008”.

Tab. 1.1 Quadro sintetico delle normative

Zona sismica Tipologia


Intervento

Consolidamento
Zona Edifici

Adeguamento

Migliramento

Riparazione
non danneg Edifici Edifici
sismica giati dal in zona monu-
sisma sismica mentali
del
1980

D.M.16/01/96
Carichi e
sovracc.

e
x x x x
C.M.LL.PP.
Quadro normativo precedente

4/7/97
Muratura in
ambito non

D.M.20/11/87
sismico

e x x x x x
C.M.04/01/89

Legge 64/74 x x x
ambito sismico
Muratura in

D.M.02/07/81 x x
x
C.M.n.21745
D.M.16/01/96 x x
x x
C.M.10/04/97

OPCM 3274/03 e 3431/05 x x x x x x


Nuovo quadro
normativo

Norme Tecniche per le


Costruzioni
x x x x x x x
D.M. 14/1/2008
e C.M.LL.PP. 26/2/2009
Direttiva 14/7/89
Norme specifiche per

Comit.Naz.Prevenz.
x x
patrimonio culturale dal
monumentali

rischio sismico
edifici

C.M.BB.CC. 18/7/86
x x
n.1032
Linee Guida C.M.LL.PP.
x x
21/7/2006
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 7

1.2 Tipologie e tessiture della muratura


Il muro portante in laterizio o in pietra naturale, è un componente strutturale
continuo verticale, piano o curvilineo, costituito dall’aggregazione, per mezzo di un legante
(malta), di un insieme di elementi resistenti (mattoni, blocchi, elementi lapidei) cui possono
essere integrati o meno elementi di rinforzo di altra natura (barre metalliche, getti
localizzati o distribuiti di conglomerato, ecc.. La resistenza complessiva del muro dipende,
oltre che dalle caratteristiche degli elementi adottati, dal tipo di legante, dalle modalità di
articolazione degli stessi e dall’eventuale presenza di elementi di rinforzo.
Allo scopo quindi di pervenire ad una caratterizzazione meccanica del muro portante
risulta preliminarmente necessario effettuare un appropriato inquadramento tipologico.
Le murature vanno distinte innanzitutto in due gruppi in base agli elementi resistenti
con cui sono costruite:
a) Murature con elementi artificiali;
b) Murature con elementi naturali.
Al primo gruppo appartengono i laterizi ed i blocchi in calcestruzzo normale o
alleggerito, al secondo gruppo gli elementi lapidei.

1.2.1 Muratura con elementi artificiali


Per quanto concerne le murature realizzate con elementi artificiali, occorre
innanzitutto caratterizzare tali elementi in funzione di:
• percentuale di foratura;
• giacitura in opera;
• volume complessivo;
• tecnologia produttiva.
In relazione alla percentuale di foratura, espressa mediante il parametro
ϕ = 100 ⋅ F/A , con F pari all’area dei fori passanti e A pari all’area lorda dei laterizi, gli
elementi resistenti in laterizio si distinguono in pieni, semipieni e forati con le limitazioni
indicate nella Tab. 1.2 (Fig.1.1).
Le dimensioni non costituiscono di per sé una caratteristica significativa ai fini della
classificazione; infatti dal momento che i principi di verifica strutturale delle murature
portanti, come indicato dalla normativa, sono espressi con riferimento alla resistenza
caratteristica dei singoli elementi e della muratura stessa le dimensioni degli elementi
Tab. 1.2: Tipologia laterizi (secondo DM 16/01/96 e NTC2008)
Tipi di elementi Percentuale di foratura Area media
Sezione normale dei fori
PIENI ϕ ≤ 15% f ≤ 9 cm2
SEMIPIENI 15% < ϕ ≤ 45% f ≤ 12 cm2
FORATI 45% < ϕ ≤ 55% f ≤ 15 cm2
Pag. 8 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

costitutivi non rappresentano una variabile caratterizzante (la normativa fa riferimento ai


soli spessori minimi che riguardano le murature).
Stesso dicasi per la forma degli elementi che la normativa indica come
“generalmente parallelepipeda”, e quindi a spigoli mutuamente ortogonali.
Lo stesso vale anche per i materiali di base che costituiscono l’impasto crudo degli
elementi in laterizio, che secondo le varie esigenze produttive e funzionali degli elementi,
possono avere una composizione diversificata destinata a qualificare il prodotto con
specifiche caratteristiche prestazionali. Infatti, ai fini delle verifiche strutturali è sufficiente
attenersi ai valori di resistenza meccanica a compressione e taglio degli elementi e/o della
muratura indicati dalla normativa.
Le varietà di mattoni pieni esistenti sul mercato nazionale è molto ampia, e risente
di consuetudini e tradizioni locali (Fig. 1.2). Le differenze principali riguardano il livello di
finitura e la forma degli elementi: le dimensioni del mattone pieno tradizionale sono diverse
da regione a regione, con variazioni in altezza, larghezza e lunghezza degli elementi;
tuttavia, essi conservano inalterata la morfologia del mattone classico ’modulare’, da porre
in opera col sussidio di una sola mano.
Nonostante i tentativi di unificazione dimensionale avviati dall’UNI non abbiano dato il
risultato sperato, i valori dimensionali di riferimento indicati a suo tempo - che hanno
peraltro dato origine alla nozione di ‘mattone UNI’- costituiscono ancora un valido
riferimento metrico ai fini progettuali.
Accanto al mattone di dimensioni standard esiste anche una serie di elementi pieni di
dimensioni multiple o sottomultiple. Il multiplo più comune è il cosiddetto ‘doppio UNI’
che, a parità di dimensioni di base (12×25 cm), ha un’altezza doppia (11÷12 cm).

Fig. 1.1: Tipologia dei mattoni in relazione alla foratura

s×b l
5.5×12.0 25.0
6.0×11.0 22.5 b
6.0×13.5 27.5

l s

Fig. 1.2: Dimensioni tipiche del mattone pieno


Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 9

I sottomultipli, ottenuti per taglio oppure forniti dal produttore, hanno dimensioni
variabili corrispondenti a frazioni del mattone standard, destinate a risolvere alcuni
particolari costruttivi.
I mattoni pieni possono essere di tipo massiccio, del tutto privi di fori, ovvero
presentare una modesta quantità di fori, parallelamente al lato minore degli elementi (la cui
superficie complessiva non supera in genere i 45÷50 cm2). Il numero di fori va da un
minimo di tre a un massimo di circa 20÷24; l’area della sezione normale di un foro varia
generalmente da un minimo di circa 1.8 cm2 (fori circolari con diametro pari a 1.5 cm per
ragioni produttive) al massimo di 9 cm2. I fori possono avere la stessa dimensione o essere
diversificati, sia per forma che per superficie, in base alle caratteristiche di produzione. Le
forme assunte dai fori sono sia di tipo curvilineo (circolari, ovoidali, ecc..) che rettilineo
(quadrati, rettangolari, ecc..). I mattoni pieni sono generalmente posti in opera sulla faccia
di dimensioni maggiori, secondo le giaciture tradizionali ‘di fascia’ o ‘di testa’,
consentendo di realizzare murature portanti di spessore variabile in funzione della
disposizione degli elementi in uno o più filari, una o più teste. La possibilità di posa in
opera dei mattoni con la dimensione minima come spessore (di piatto orizzontale o
verticale), per la realizzazione di murature cosiddette ‘in foglio’, particolarmente snelle,
viene consigliata unicamente per le pareti divisorie, non portanti.
Le pareti costruite in laterizio possono essere di tipo monolitico o a doppia parete.
Quelle monolitiche sono murature piene articolate in spessori variabili da 1 a più teste.
Quelle a doppia parete sono caratterizzate dalla presenza di due setti murari disposti
parallelamente a distanza ravvicinata (4÷6 cm) fra i quali viene lasciata un’intercapedine e
collegati trasversalmente da grappe metalliche o laterizi stessi. L’intercapedine può essere
lasciata libera, per consentire l’areazione interna del muro (da cui la denominazione di
’parete ventilata’) o può alloggiare materiali sciolti atti a incrementarne le caratteristiche di
coibentazione termica.
Le giaciture ed i concatenamenti (questi ultimi indicati, secondo una nomenclatura
tradizionale, anche con il termine “apparecchi”) rappresentano i vari tipi di disposizione
possibili dei mattoni nella formazione di una parete o di un muro secondo un prefissato
modello. I mattoni, normalmente si posizionano di fascia, cioè poggiati sul letto di malta
con la faccia più ampia, in modo che le teste risultino parallele o perpendicolari alla fronte
del muro; ma non sono da escludere altri tipi di posa.
Quando le facce dei mattoni sono parallele o perpendicolari alla sezione
longitudinale del muro possono aversi sei tipi diversi di giaciture (Fig. 1.3):
• di fascia (o anche per lungo o in grossezza), quando la lunghezza maggiore del
mattone è parallela al fronte del muro e il piano di posa è costituito dal “piatto” del
mattone;
• in chiave (o anche di testa), quando la lunghezza maggiore del mattone è
perpendicolare al fronte del muro e il piano di posa è costituito sempre dal
“piatto”;
• di costa, quando la faccia maggiore del mattone è perpendicolare al fronte del
muro e il piano di posa è costituito dalla “costa”, ovvero dal lato lungo del
mattone;
Pag. 10 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

• di coltello, quando la faccia maggiore è perpendicolare al fronte del muro e il


piano di posa è costituito dalla testa del mattone;
• di piatto (verticalmente od orizzontalmente), quando la faccia maggiore del
mattone è parallela al fronte del muro e il piano di posa è rispettivamente
individuato nella testa o nella costa del mattone.
Altre giaciture sono ottenibili disponendo i mattoni:
• a spina (o in diagonale), quando i laterizi sono posati in modo che nessuna delle
loro facce sia parallela o perpendicolare al fronte del muro, individuando, invece,
angoli diversi da quello retto (in genere gli angoli di rotazione più adottati sono di
45° e 60°);
• a spinapesce, quando si alternano le giaciture a spina in direzioni diverse;
• a dentatura, quando singoli mattoni sono fatti sporgere o rientrare gli uni rispetto
agli altri;
• a filari sporgenti (o rientranti), quando interi corsi di mattoni aggettano o risultano
arretrati rispetto al fronte del muro.
Per quanto riguarda i concatenamenti, il cui obiettivo è quello di garantire la
continuità della struttura assicurando così la massima solidità e resistenza meccanica, i più

Fig. 1.3: Tipologia della giacitura del mattone.


Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 11

affidabili risultano quelli realizzati disponendo i mattoni regolarmente in strati orizzontali,


appoggiati sempre sulla loro faccia maggiore e in posizione tale che i giunti verticali di un
filare siano “sfalsati” rispetto a quelli dei filari contigui, in modo tale che ogni mattone sia
sempre a cavallo dei due mattoni del filare sottostante.
In genere, lo sfasamento dei giunti verticali di due corsi contigui si fa uguale alla
misura di mezzo mattone (mezzo sfalsamento), oppure uguale a quella di un quarto di
mattone (sfalsamento di quarto). Al fine di ottenere tali sfalsamenti è necessario quasi
sempre ricorrere, agli inizi del muro, a sottomisure del mattone; se non fornite direttamente
dal produttore, sono ottenute tagliando i mattoni interi con adeguati strumenti.
Il mezzo sfalsamento – più noto come “concatenamento di fascia” – è usato in
genere, nelle pareti di una testa; lo sfalsamento di quarto è adottato nella maggior parte
degli altri apparecchi murari.
Fra i vari tipi di concatenamento si possono segnalare (Fig.1.4):
• il concatenamento a cortina (o di fascia);
• il concatenamento in chiave (o di testa);
• il concatenamento gotico (o polacco);
• il concatenamento a blocco;
• il concatenamento fiammingo (od olandese);
• il concatenamento a croce.
Con riferimento alla larghezza i muri in laterizio sono soliti essere distinti in muri ad una
testa, due teste, tre teste e così via in relazione al numero di volte che la larghezza del
mattone è contenuta nello spessore della muratura. Ad esempio, nel caso dei mattoni pieni
classici, le dimensioni del laterizio sono 5.5×12×25 cm per cui la “testa” è rappresentata
dalla misura di 12 cm.
Con riferimento al volume complessivo gli elementi di laterizio per murature portanti
sono distinti in mattoni e blocchi: i primi hanno un volume ≤ 5.500 cm3, i secondi un
volume > 5.500 cm3.
I mattoni e blocchi destinati a essere posti in opera senza intonacatura, con faccia a
vista, sono detti ‘da rivestimento’, mentre quelli non da rivestimento sono generalmente
indicati come ‘comuni’.
Per quanto riguarda, infine, la tecnologia produttiva, la normativa (D.M.20.11.87,
[1]) indica tre tipi di elementi: estrusi, pressati e formati ‘a mano’. Alla prima categoria
appartengono gli elementi ottenuti per estrusione del materiale di base, prima della cottura,
in pasta umida (che può essere, a sua volta, normale o alleggerita). Alla seconda, gli
elementi realizzati, per formatura meccanica in stampi, da un impasto a basso tenore di
umidità (o anche secco) pressato, che possono anche prevedere interventi di rettifica o
calibratura, sia durante che dopo il ciclo di produzione meccanica, o trattamenti speciali di
finitura. La terza categoria comprende gli elementi prodotti sia manualmente, con
procedimenti artigianali o semi – artigianali, sia con tecnologie industrializzate.
Pag. 12 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Blocco

Fig. 1.4: Tipologie del concatenamento.


Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 13

1.2.2 Murature con elementi naturali


Le murature con elementi naturali rappresentano la tipologia certamente più diffusa
nel salernitano e più in generale nella regione Campania a differenza delle murature in
laterizio che trovano un largo impiego al nord Italia e nel resto dell’Europa con particolare
riferimento ai paesi anglosassoni.
Una prima netta distinzione nell’ambito delle murature con elementi naturali va
effettuata tra le murature piene e le murature a sacco.
Le murature a sacco, terminologia risalente dagli antichi romani, sono costituite da
due paramenti esterni in pietrame con una intercapedine riempita con materiale misto in
genere pietrame di scarto, ovvero di dimensioni ridotte o irregolari.
Le murature piene, così come i paramenti esterni delle murature a sacco possono
essere distinti in funzione del grado di lavorazione del materiale stesso. Si possono così
distinguere tre livelli di lavorazione della pietra corrispondenti ad un progressivo
miglioramento anche della qualità che la pietra conferisce alla muratura:
• pietra arrotondata;
• pietra sbozzata o grossolanamente squadrata;
• pietra ben squadrata.
Dalla casistica evidenziata si rileva che la qualità delle costruzioni nel passato
dipendeva essenzialmente dai materiali e dalle tecniche impiegate nella loro realizzazione
e, generalmente, la scelta delle materie prime derivava dalla facilità di reperibilità in loco e
quindi dalla natura del sottosuolo precipua di ogni singola zona.
Questo ha fatto sì che, nella stessa epoca, le architetture si differenziassero, talvolta
in maniera rilevante, a seconda della zona in cui venivano realizzate.
Il sottosuolo campano è ricco di risorse naturali, provenienti in gran parte dai
numerosi vulcani che, con la loro attività, hanno garantito nel tempo una grande varietà e
quantità di prodotti naturali dotati spesso di buone qualità per la realizzazione delle
costruzioni architettoniche.
Vastissimo impiego ebbero, ed hanno in parte ancora oggi, nel salernitano i prodotti
vulcanici del Vesuvio e del Monte Somma e quelli dei Vulcani Flegrei (tra i quali il più
noto è quello della Solfatara di Pozzuoli), la cui escavazione ed il cui utilizzo costituirono,
sin dai tempi più antichi, una fonte di ricchezza non trascurabile nell’ambito dell’economia
campana. Tra i primi si annoverano le lave (materiali coerenti), le ferrugini o lave
scoriacee, le pozzolane, i lapilli e le sabbie o “arene” (materiali incoerenti); tra i prodotti
vulcanici flegrei, dovuti a fenomeni eruttivi succedutisi dal Pleistocene ad oggi (il vulcano
della Solfatara è tuttora attivo), si annoverano: il tufo giallo, il tufo grigio pipernoide, il
piperno, le trachiti, i prodotti di alterazione della trachite e dei tufi, le pozzolane, le sabbie e
le pomici o lapilli.
Nella provincia di Salerno, accanto ai tufi vulcanici, furono ampiamente utilizzati
nel campo delle costruzioni i calcari locali, nelle sue varie qualità, ed altre rocce
sedimentarie delle quali vi era grande disponibilità per la presenza di numerose cave.
Inoltre va sottolineato come spesso nei centri storici le diverse epoche di
costruzione, nell’arco dei secoli, hanno determinato una stratificazione che diviene spesso
evidente nella zona delle fondazioni e nelle murature dei diversi piani. A noi è giunta
Pag. 14 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

l’edilizia nell’assetto conferitole negli ultimi secoli. Ad esempio, come nel caso del centro
storico di Salerno, gli edifici sei e settecenteschi spesso inglobavano al loro interno
costruzioni precedenti. Evidente è il caso delle fondazioni, alla quota delle quali è facile
trovare resti di murature anche di epoca romana e quello delle murature dei primi piani, in
special modo quelle dei piani terra, che appartengono a edifici di epoca longobarda o
normanna.
In relazione alla tessitura, la tipologia muraria più diffusa nei centri storici dei
comuni del salernitano è rappresentata da una muratura di pietrame di varia pezzatura con
malta (Fig.1.5, Fig.1.6). Questo tipo di muratura, che può definirsi di pietrame caotico,
costituisce in genere un paramento a sezione piena omogenea nello spessore le cui
caratteristiche meccaniche sono regolate in massima parte dalla malta; nel caso in cui
questa era abbastanza buona, e tale risulta mediamente quella dell’area salernitana, il
materiale presentava una buona resistenza meccanica ed un buon grado di omogeneità nello
spessore. Un’altra tipologia muraria comunque presente negli edifici storici della Campania

Fig. 1.5: Muratura caotica: tufo grigio e Fig. 1.6: Muratura caotica di pietrame.
pietrame.
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 15

è rappresentata dalla muratura a sacco, realizzata con due paramenti esterni di pietra
squadrata, a volte alternata a mattoni pieni ed un riempimento di materiale vario derivante
anche dalla lavorazione di cantiere. Questa tecnica, comunque laboriosa, conduceva a
spessori dei muri intorno ai 60-80 centimetri.

1.3 Tipologia e caratteristiche dei materiali base naturali


La qualità e le dimensioni del materiale lapideo impiegato nelle murature presenti
nel salernitano, risultano generalmente molto variabili. In prevalenza erano utilizzati i
calcari, chiaro e scuro, il tufo giallo, il tufo grigio, il travertino e le arenarie.
In particolare, con riferimento all’area salernitana, sono stati impiegati
prevalentemente: i tufi, quello giallo che presenta discrete caratteristiche fisiche e
meccaniche e quello grigio, poco resistente e facilmente deteriorabile; il travertino,
proveniente dalla zona di Faiano, molto resistente e piuttosto cavernoso, quindi con peso
specifico contenuto, utilizzato a partire dall’XI secolo circa; il calcare chiaro ed il calcare
grigio, ambedue di provenienza locale, dotati di buone caratteristiche meccaniche – il
primo, proveniente da una zona a sud di Salerno, utilizzato sia in bozze squadrate, sia poco
lavorato; il secondo, proveniente dalla zona della costiera amalfitana, più resistente e quindi
di più difficile lavorazione, utilizzato appena sbozzato in scapoli e conci di varie
dimensioni; il piperno, importato dall’area napoletana, utilizzato in epoca longobardo-
normanna.
Nel seguito, vengono fornite le principali caratteristiche dei suddetti materiali,
mentre in Tab. 1.3 sono sintetizzati i valori delle principali proprietà meccaniche.

1.3.1 Il tufo giallo


Il tufo giallo, largamente impiegato in Campania, viene solitamente indicato come
“tufo giallo napoletano” [9]: sia per distinguerlo dagli altri tufi, quali quello grigio locale,
quello laziale e quello pugliese che per significare che questa è la vera, tipica, roccia
napoletana, diventato il materiale da costruzione più abbondante ed usato per ogni genere di
costruzione della zona.
Formatosi alla fine del ciclo eruttivo antico dei Campi Flegrei, circa 10÷12.000 anni
fa, il tufo giallo risulta il prodotto lapideo più superficiale, rivestendo con banchi di discreta
potenza (da 30 a 180 metri) materiali di precedenti eruzioni. Quasi sempre è a sua volta
ricoperto dai prodotti incoerenti, quali pomici, lapilli, pozzolane, delle fasi vulcaniche
successive, mentre solo in alcuni siti risulta affiorante.
La grande variabilità della composizione del tufo giallo deriva dalla sua formazione
per autocementazione di detriti vulcanici di varia natura (prevalentemente ceneri, pomici di
volumetria assortita, lapilli lapidei, scorie, talvolta blocchi rigettati) distribuiti caoticamente
nell’intera massa. Le sue caratteristiche, dalla consistenza all’aspetto, cambiano
sensibilmente, anche all’interno dello stesso deposito. In ogni caso resta una roccia tenera e
lavorabile: ed è in primo luogo su queste due proprietà, oltre che sulla grande abbondanza
Pag. 16 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

in loco, che il tufo ha ‘costruito’ e mantenuto, un primato pressoché totale nell’architettura


e nell’edilizia napoletane, risultando competitivo nei confronti degli altri materiali lapidei
locali e dei mattoni. Esse, infatti, hanno consentito di cavarlo agevolmente e di ridurlo, con
altrettanta facilità, in regolari blocchi da costruzione.
Fino agli inizi del 1900 l’estrazione avveniva non a cielo aperto bensì in cave
sotterranee che, aperte in depositi collinari in luoghi prossimi ai cantieri edili, riducevano o
annullavano i costi per il trasporto del materiale. Le cave sotterranee produssero una
infinità di cunicoli e grandi cavità, con gravi problemi di stabilità per cui furono soppresse e
fu consentita solo l’estrazione a cielo aperto. Questa, condotta con macchine tagliatrici che
producevano blocchi molto regolari, tra gli altri aveva anche il merito di eliminare i residui
della lavorazione delle pietre; cambiarono, così, anche le dimensioni dei blocchi, che
originariamente di cm 20×20×25 furono poi standardizzati in pezzi di cm 40×12×25.
Esistono, peraltro, numerose varietà di tufo giallo caotico, classificate in relazione
non solo alle caratteristiche ma anche alla terminologia di cava. Ciò dipende non tanto dalla
composizione chimico–fisica del materiale quanto dal fatto che si è in presenza di una
sostanza non omogenea bensì di un miscuglio caotico: dal punto di vista chimico, il tufo
giallo napoletano è composto mediamente per il 70% circa di silice (oltre il 50%) e
allumina e per la rimanente parte da ossido e sequiossido di ferro, da ossidi di calcio,
magnesio, sodio e potassio in percentuali variabili, oltre che acqua (circa il 10%).
Di qui il suggerimento di una classificazione puntuale del tipo di tufo sulla base di
una descrizione completa, nella quale non siano trascurati i dettagli in riguardo alla
struttura, grana, compattezza della massa, ricchezza o meno di pomici, le loro dimensioni e
stato di conservazione, durezza, e talora anche densità e grado di colore. Pertanto, pur
nell’ambito della generica classificazione di roccia dall’aspetto terroso, ruvida al tatto,
visibilmente porosa, tenera, molto lavorabile, le proprietà tecniche del tufo giallo
napoletano sono estremamente variabili.
La varietà più ricercata come materiale da costruzione è la cosiddetta pietra fine
(Fig.1.7) non tanto perché è quella che possiede le migliori proprietà fisiche e meccaniche,
quanto piuttosto perché, per la maggiore uniformità della grana, fine e compatta, si presenta
più facilmente lavorabile, al punto da essere considerato, ai fini dell’impiego in edilizia, il
tufo giallo propriamente detto.
In generale, la resistenza allo schiacciamento assume valori compresi in un ventaglio
discretamente ampio: da poche decine di kg/cmq fino ad oltre 170 kg/cmq. Con essa
variano anche le caratteristiche fisiche: il peso specifico apparente, compreso tra 1.20 e
1.70; il grado di compattezza, tra 0.50 e 0.70; il coefficiente di imbibizione, riferito al peso,
tra 0.20 e 0.40. La varietà di tufo giallo napoletano più comune ed impiegata presenta
mediamente una resistenza allo schiacciamento di 50 kg/cmq, con peso specifico apparente
di 1.23; grado di compattezza 0.55 e coefficiente di imbibizione, riferito al peso, di 0.37.
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 17

Fig. 1.7: Tufo giallo estratto da murature nel centro storico di Salerno.

Un contributo tutt’altro che trascurabile veniva poi offerto dalla proprietà di


aderenza alle malte, che il tufo possiede, grazie alla rugosità ed alla porosità superficiale,
specialmente nei confronti della malta di pozzolana. Con essa presenta infatti una affinità
naturale, essendo il tufo prodotto dall’autocementazione delle pozzolane. Tra tufo e malta,
pertanto, vi è una sorta di affinità chimica che conferisce grande monoliticità alle murature,
con apprezzabili valori delle proprietà meccaniche.

1.3.2 Il tufo grigio


Il tufo grigio campano, formatosi e proiettato lontano a seguito di una violentissima
eruzione esplosiva del grande vulcano Archiflegreo, alla fine del primo ciclo di attività dei
Campi Flegrei, non affiora più nell’area napoletana né in quella flegrea extraurbana, ma
soltanto a grande distanza, nella conca campana da Capua alla piana di Angri e Nocera e al
piano di Sorrento.
La caratteristica estetica dei tufi grigi adoperati in Campania è legata alla presenza di
inclusioni lenticolari di colore più scuro che ne connotano l’aspetto in maniera del tutto
simile a quella del “piperno” (Fig. 1.8). Le buone caratteristiche di lavorabilità hanno
consentito nel periodo medievale la realizzazione di murature a conci squadrati
caratterizzate da dimensioni variabili dai grossi blocchi a piccole tessere a seconda della
resa estetica e dell’epoca di realizzazione.
Pag. 18 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 1.8: Elementi di tufo grigi prelevati dalle murature nel centro storico di Salerno.

Tale materiale, come il tufo giallo, appartiene alla famiglia delle rocce piroclastiche
e viene geologicamente denominato ignimbrite campana. Il notevole utilizzo di questo
materiale come pietra da taglio nelle epoche storiche, prelevato nella piana dell’Agro, ha
fatto si che ancora oggi si usi l’appellativo di “tufo di Nocera”. Sono, infatti, frequenti le
individuazioni di tale materiale nelle fabbriche medioevali che caratterizzano il centro
storico dei comuni campani.

1.3.3 Il travertino
Il travertino è uno dei materiali di più antico impiego nell’area salernitana, ne sono
un esempio le realizzazioni dei templi di Paestum. Risalente all’epoca quaternaria esso è
classificabile tra le rocce sedimentarie di origine chimica la cui formazione è legata a
sorgenti di acqua ed alla loro naturale azione incrostante.
La grande diffusione di manufatti in travertino nella città di Salerno è dovuta sia alle
buone caratteristiche meccaniche e di lavorabilità, sia alle valenze dell’aspetto e alla
abbondante presenza di tale materiale nell’area di Pontecagnano. Di fatto è comunemente
individuato come “Pietra di Faiano”. La massima diffusione dell’uso di questa roccia, che
durante il periodo medioevale si sostituisce gradatamente al tufo grigio di Nocera, si ebbe
nel corso dell’epoca normanna.
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 19

1.3.4 La pietra calcarea


La significativa presenza della pietra calcarea come materiale da costruzione
nell’area salernitana è dovuta all’abbondanza del materiale in sito. L’uso prevalente nella
realizzazione delle murature è quello in cui i conci murari vengono allettati sulla malta in
totale assenza di lavorazione, in cui la tessitura è caratterizzata dal caos aggregativo degli
elementi lapidei. Murature di tal genere, sono presenti anche presso il Castello di Arechi.
Dal punto di vista geologico il calcare campano risale al limite tra l’era mesozoica
superiore e l’era terziaria inferiore ed appartiene alla famiglia delle rocce sedimentarie di
origine organica. Come detto tale materiale era adoperato per le elevate caratteristiche
meccaniche nella realizzazione delle strutture murarie ma anche per la produzione della
calce.
Tab. 1.3: Caratteristiche meccaniche degli elementi lapidei
Carico di rottura (N/mm2) Ec
Trazione Compressione 103 N/mm2
Tufi 0.2÷1.0 1÷17 1.5÷15
Travertini 5÷10 50÷60 8÷25
Calcari 3÷7 60÷140 40÷70
Arenarie 1÷4 40÷120 8÷30
Graniti 2÷6 100÷180 50÷60

1.4 Le malte
Per la realizzazione delle murature è necessaria la presenza della malta (un impasto
di consistenza plastica capace di far presa ed indurirsi fino al punto da dar vita ad una
connessione rigida) che avvolgendo gli elementi della muratura li renda solidali in una
struttura unitaria e compatta, ripartendo i carichi su tutta la superficie degli elementi
costituenti i vari corsi. I principali requisiti che si richiedono ad una malta, affinché il suo
impiego in una determinata opera muraria sia ottimale, risultano essere:
• buona lavorabilità (tale da ridurre i tempi di posa in opera ottenendo, al contempo,
una buona esecuzione dei giunti);
• indurimento relativamente rapido (per accelerare i tempi di realizzazione);
• resistenza adeguata al tipo di struttura di progetto;
• buona aderenza agli elementi che costituiscono la muratura (tale da non consentire
alcun passaggio di acqua attraverso le giunzioni);
• buona durata nel tempo senza procurare inconvenienti e danneggiamenti agli altri
materiali.
La lavorabilità dipende dalla quantità e qualità del legante usato (in genere
aumentando le quantità si ottiene una migliore lavorabilità); lo stesso vale per l’acqua
dell’impasto.
Pag. 20 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Tempo di indurimento. Tale processo è dovuto alla perdita dell’acqua di impasto per
cause diverse (assorbimento da parte dei mattoni e dei leganti idraulici, evaporazione). Il
tipo di bagnatura praticata ai mattoni influenza notevolmente il fenomeno della sottrazione
di acqua, con conseguenze dirette sui tempi di indurimento della malta e sulle prestazioni
finali del manufatto.
Resistenza meccanica. La resistenza di una malta deve variare a seconda del tipo di
opera muraria. I diversi leganti disponibili (calce aerea, calce idraulica, cemento)
consentono di ottenere resistenze congruenti con i vari tipi di strutture da eseguire.
Aderenza. Una buona aderenza si ottiene utilizzando mattoni puliti, privi di polvere
e opportunamente bagnati, unitamente a malte a lenta presa che trattengono bene l’umidità
durante il processo di indurimento.
Durata. La buona conservazione della malta dipende molto dalle condizioni
meteoriche e di esposizione, sia durante le fasi di costruzione che di esercizio; gli agenti più
nocivi sono il gelo e la presenza di sali solubili.
La malta è un composto che si ottiene miscelando la sabbia con acqua e con un
legante.
Per quanto concerne la sabbia, esso è un materiale costituito da piccolissimi
frammenti litoidi derivanti dalla frantumazione di pietre più grandi, sia per fenomeni
naturali, sia per azioni artificiali di lavorazione prodotte dall’uomo. La distinzione dei vari
tipi di sabbia (di fiume, di mare, di cava) dipende dalla provenienza: a sabbie diverse
corrispondono caratteristiche e prerogative di comportamento differenziate nel momento in
cui vengono utilizzate nella formazione delle malte.
La composizione granulometrica - ovvero la classificazione delle sabbie in base alle
dimensioni dei diversi granuli costituenti – individua, in genere, tre famiglie tipologiche:
• sabbie fini (con diametri dei granuli inferiori a 0.5 mm);
• sabbie medie (con diametri dei granuli compresi fra 0.5÷2 mm);
• sabbie grosse (con diametri dei granuli compresi fra 2÷5 mm).
In genere la sabbia impiegata nella malta rappresenta il 60÷70% della massa
complessiva. Essa, in qualità di materiale inerte formante l’ossatura minerale delle malte,
svolge un triplice ruolo: riduce il costo del legante, impedisce la formazione di screpolature
e fessurazioni derivanti dal “ritiro” tipico dei leganti utilizzati allo stato puro, agevola il
passaggio dell’anidride carbonica all’interno dell’impasto, necessario per lo svolgimento
del processo di presa ed indurimento della malta stessa.
Come già evidenziato, le caratteristiche qualitative delle malte dipendono molto
dalla composizione granulometrica della sabbia ma anche dalla stessa qualità ed integrità di
quest’ultima; innanzitutto deve risultare pulita e ruvida al tatto e poi deve essere esente da
sostanze dannose quali componenti organici o di natura chimica (cloruri, solfati, ecc..).
L’acqua di impasto deve risultare pulita e limpida, priva di sostanze organiche o
grassi; inoltre non deve essere aggressiva, né contenere solfati o cloruri in percentuali
dannose.
I leganti sono rappresentati da quelle materie che, attraverso processi di reazione
chimica, producono, trasformazioni fisiche le quali dalla plasticità della materia conducono
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 21

all’indurimento e alla presa (ovvero la solidarizzazione di particelle incoerenti) prima fra i


componenti della malta stessa e poi fra quest’ultima e gli elementi da murare.
Tra i vari tipi di leganti utilizzabili nella confezione dei vari tipi di malte, per
murature si possono citare:
• le calci aeree;
• le calci idrauliche;
• il gesso;
• il cemento;
• l’agglomerato cementizio.
Miscelando questi leganti con inerti (sabbia) e acqua si ottengono le malte fra cui,
indubbiamente, le più importanti sono quelle di calce e di cemento.
Le malte di calce si dividono in malte aeree e malte idrauliche a seconda che la
presa e l’indurimento avvengano solo in presenza di aria o anche in presenza di acqua. Per
la realizzazione di murature in mattoni a faccia a vista è conveniente usare questi tipi di
malte che presentano buona aderenza ai laterizi, facile lavorabilità, mancanza di reazioni
indesiderate.
Le malte di cemento (migliori sotto il profilo delle caratteristiche di resistenza
meccanica rispetto alle malte di calce), a causa dei sali e dei costituenti secondari contenuti
nei cementi, possono dar vita ad antiestetici fenomeni di efflorescenze e macchiature.

1.4.1 Le malte di calce aeree


Le malte aeree impiegano come legante la calce, che è un prodotto di
decomposizione di calcari più o meno puri per azione del calore.
La calce viene generalmente distinta in calce viva, ovvero ossido di calce, ottenuto
direttamente dalla cottura dei calcari, ed in calce spenta, ovvero idrato di calce [Ca(OH)2],
ottenuto dall’idratazione dell’ossido di calce.
Più in dettaglio, per la produzione della calce si parte dalla cottura dei calcari che sono
costituiti essenzialmente da carbonato di calcio, CaCO3.
Per riscaldamento, il calcare si dissocia dando luogo a calce viva CaO e anidride
carbonica:
CaCO 3 → CaO + CO 2 − 42Kcal (1.1)
Affinché si possa avere la completa dissociazione del calcare a pressione
atmosferica, occorre raggiungere la temperatura di 895° C.
La calce viva può essere fornita come diretto prodotto della cottura dei calcari (calce
viva in zolle) oppure sotto forma di idrato o grassello che si ottengono mediante lo
spegnimento della calce viva, ovvero mescolando la calce viva con acqua. Infatti,
aggiungendo acqua alla calce viva si ottiene:
CaO + H 2 O → Ca (OH )2 + 15,6Kcal (1.2)
con la formazione quindi di idrato di calce [Ca(OH)2].
Pag. 22 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Se si parte da un ossido di calcio puro, la quantità di acqua necessaria allo


spegnimento è del 32%. Nella pratica, occorre usarne un quantitativo superiore, fino al
50%, per tener conto dell’evaporazione dovuta all’innalzamento della temperatura
provocato dalla esotermicità dell’idratazione. La reazione avviene, inoltre, con un aumento
di volume di circa 10%. Se all’idrato di calce si aggiunge altra acqua o se lo spegnimento
viene eseguito con una quantità di acqua superiore a quella necessaria per ottenere l’idrato
di calcio, si ottiene una massa pastosa, untuosa al tatto, che prende il nome di grassello che,
quindi, contiene dal 35 al 45% di acqua libera [8].
La preparazione del grassello, fino a qualche decennio fa, avveniva direttamente in
cantiere dove la calce viva in zolle veniva disposta, per uno spessore di 20 cm circa, in un
recipiente a forma di imbuto (trugolo) innaffiandola gradualmente con getti d’acqua; le
zolle gonfiandosi e sgretolandosi diventavano una poltiglia omogenea che, opportunamente
filtrata dalle impurità a mezzo di una rete, passava in un’ampia fossa (bagnolo o calcinaia)
di circa 60-80 cm di altezza, scavata presso il cantiere.
La poltiglia di acqua e calce lasciata a riposo entro le calcinaie perde parte
dell’acqua in eccesso, si rassoda e ad un certo momento comincia a fessurarsi.
Proprio nella condizione di incipiente fessurazione viene valutata la resa in grassello
ottenuta come rapporto tra il volume del grassello ed il peso della calce viva.
Sulla base del rendimento in grassello, le calci vengono distinte in grasse, quando il
rendimento supera 2.5, ed in magre se tale rendimento è compreso tra 1.5 e 2.5. Le prime
sono di qualità migliore. Esse derivano dai calcari più puri e risultano più plastiche, si
mescolano meglio con i granelli di sabbia dando luogo a malte più omogenee e meglio
lavorabili.
Per ottenere una malta di calce, la calce idrata o il grassello vengono impastati con
acqua e sabbia. L’anidride carbonica contenuta nell’aria reagisce con la calce disciolta
nell’acqua utilizzata per l’impasto dando luogo a carbonato di calcio (CaCO3) e acqua
secondo la reazione esotermica:
Ca (OH )2 + CO 2 → CaCO 3 + H 2 O (1.3)
Siccome la solubilità del carbonato di calcio è minore di quella dell’idrato di calcio,
mano a mano che procede la carbonatazione si genera la precipitazione del carbonato sotto
forma di cristallini che si interpongono tra gli elementi della sabbia aderendo ad essi e
legandoli formando un composto via via sempre più consistente e duro.
Poiché il processo di carbonatazione avviene dall’esterno verso l’interno, il velo di
carbonato di calcio che si forma sulle singole particelle di sabbia fa diminuire la porosità
fino talvolta a bloccare il processo di carbonatazione di strati più interni. Ciò, insieme alla
scomparsa dell’acqua, spiega perché all’interno di alcune murature sia possibile ancora
oggi riscontrare la presenza di idrato di calcio non carbonatato. Appare quindi evidente che
per ottenere una buona malta occorre che l’impasto conservi un certo grado di umidità e che
i materiali da legare (mattoni, tufi, ecc..) siano sufficientemente bagnati in modo da non
sottrarre acqua all’impasto.
Rispetto alla calce viva in zolle (da spegnere nelle tradizionali calcinaie) oggi, al suo
posto, è subentrata in uso la calce idrata in polvere prodotta industrialmente e caratterizzata
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 23

da una più facile conservazione e preparazione. La calce idrata non è che calce spenta
mediante l’utilizzazione di tecnologie meccanizzate di lavorazione (con spegnimento a
vapore) che prevedono, nelle loro fasi finali, la macinazione e la conservazione del prodotto
asciutto in sacchi da 30 kg.
Rispetto alla calce tradizionale, ottenuta artigianalmente mediante la tecnica
descritta precedentemente, quella moderna prodotta industrialmente presenta caratteristiche
inferiori, sia sotto il profilo della resistenza meccanica che sotto quello della plasticità, e
conseguentemente, della lavorabilità e posa in opera.
La causa di ciò è attribuibile alle modalità di spegnimento a vapore della calce (nella
tecnologia di produzione moderna) che conduce la calce ad assumere una configurazione
finale di polvere microcristallina, differentemente dallo spegnimento in fossa usato
tradizionalmente che permetteva la crescita di “grandi” cristalli a lamine esagonali.
Questa struttura in forma di lamelle consentiva la formazione di malte molto
plastiche anche con aggiunte limitate di acqua per la facilità dello scorrimento, fra loro,
delle lamelle; le malte confezionate con calce in polvere richiedono, invece, a pari
plasticità, una quantità maggiore di acqua che finisce per conferire loro caratteristiche
meccaniche inferiori.
La quantità di calce da usare nella preparazione della malta affinché possa richiudere
tutti i vuoti presenti tra i granuli della sabbia che rappresentano circa il 30÷40% dell’intero
volume, è dell’ordine di 1 volume di grassello ogni 2÷3 volumi di sabbia e, nel caso delle
calci in polvere, di 15 kg per 100 kg di sabbia.
Le calci aeree non hanno capacità di indurimento nell’acqua, come pure in luoghi
ricchi di umidità o privi di aria (qual’è, ad esempio, il caso di murature con grossi spessori
in cui la malta delle zone più interne a volte non riesce ad indurire neanche a distanza di
secoli poiché priva di qualsiasi contatto con l’atmosfera esterna). In genere il processo di
indurimento, che avviene per trasformazione dell’idrato di calcio in carbonato di calcio, ha
uno sviluppo che procede dall’esterno verso l’interno.
In definitiva, volendo sintetizzare le caratteristiche delle malte aeree si può
osservare:
• notevole resa della calce viva (ovvero il favorevole rapporto tra volume finale
ottenuto dall’impasto e la somma dei volumi dei singoli componenti);
• elevata plasticità e lavorabilità;
• resistenze meccaniche basse che implicano una utilizzazione in murature
scarsamente sollecitate;
• indurimento lento;
• deteriorabilità in atmosfere aggressive o in presenza di gelo.

1.4.2 Le malte di calce idrauliche


Le malte di calce idrauliche posseggono la capacità di far presa sia in presenza di
acqua che di aria; il loro uso, pertanto, consente di realizzare opere in luoghi non idonei alle
malte di calce aeree (murature sotto il piano campagna, in siti umidi, o addirittura
sott’acqua).
Pag. 24 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Sin dall’antichità fu scoperto che era possibile trasformare una malta di calce aerea
in una malta di calce idraulica con l’aggiunta o la sostituzione parziale o totale della sabbia
con pozzolana. La pozzolana, roccia clastica appartenente ai tufi vulcanici alterati, è un
prodotto naturale formato prevalentemente da silicati idrati di allumina e silice (per un
70%) e da altri elementi, quali ossidi di ferro, calcio, potassio, sodio, ecc.., per la restante
parte. Di colore rossastro, la pozzolana si trova, in genere, sotto forma di sabbia incoerente,
tranne quella proveniente dalle cave laziali che risulta compatta sotto forma di tufi, i quali
vanno frantumati e vagliati prima di essere impiegati nella formazione delle malte.
La pozzolana, quando è ridotta a grana fine e risulta priva di sostanze eterogenee,
viene impastata con calce ed acqua dando vita a malte prevalentemente idrauliche con
prestazioni di elevata qualità che conferiscono all’impasto capacità di far presa anche
sott’acqua e caratteristiche di resistenza decisamente migliori di quelle delle malte aeree.
In genere per ottenere una buona malta idraulica si mescola una parte di calce con
tre o quattro di pozzolana.
La produzione di malte di calce idrauliche, invece, è stata ottenuta solamente agli
inizi del XIX secolo, mediante cottura di miscele accuratamente preparate.
Per la preparazione di una calce idraulica occorre impiegare un calcare impuro,
contenente sostanze argillose. Se la cottura di questi calcari avviene ad una temperatura
maggiore rispetto a quella di un forno per calce aerea, intorno ai 1000÷1200°C, il prodotto
della cottura non è costituito solo da ossido di calcio ma anche dai prodotti di reazione di
questo con i costituenti dell’argilla (silice, allumina). Vengono, quindi, a formarsi silicati ed
alluminati di calcio che possiedono le proprietà idrauliche. L’idraulicità di una malta è,
quindi, commisurata alla presenza di detti costituenti. Si definisce, infatti, indice di
idraulicità I il rapporto tra la quantità di argilla e l’ossido di calcio presenti:
Argilla
I= (1.4)
CaO
Sulla base dell’indice di idraulicità si distinguono le calci da debolmente idrauliche,
caratterizzate da I= 0.10÷0.16 e da un tempo di presa di 15÷30 giorni, a preminentemente
idrauliche con I= 0.42÷0.50 e tempo di presa di 4 giorni.
Le malte idrauliche, impiegate specialmente nella formazione di murature realizzate
in ambienti umidi o aventi grossi spessori, presentano in genere caratteristiche di resistenza
meccaniche superiori a quelle delle malte aeree ma sempre inferiori a quelle di cemento (da
½ a ¼) tali da renderle idonee all’uso in muri moderatamente sollecitati.
Altre caratteristiche delle malte idrauliche consistono in un’alta coesione e plasticità
degli impasti, che facilitano la lavorabilità e la posa in opera, insieme ad una struttura
finemente porosa.

1.4.3 Le malte cementizie


Le malte cementizie, quantunque presentino caratteristiche di resistenza elevate,
portano con sé una serie di inconvenienti, che ne riducono fortemente l’adozione.
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 25

Innanzitutto è sempre necessario preparare le malte in piccole quantità a causa del


rapido fenomeno di presa del cemento. Un secondo inconveniente è legato al forte ritiro
provocato dal cemento che può dar luogo alla formazione di fessure e ad una cattiva
aderenza fra malta ed elementi lapidei. Una ulteriore limitazione all’uso di malte di
cemento in opere murarie, specialmente con mattoni faccia vista, deriva dalla potenziale
pericolosità chimica del cemento a causa delle presenza di sali solubili particolarmente
dannosi in quanto, in presenza di acqua, possono provocare indesiderati fenomeni di
efflorescenza. I sali più pericolosi, in genere, sono quelli di sodio e di potassio.

1.4.4 Le malte bastarde


Per malte bastarde si intendono tutti quegli impasti in cui oltre ai componenti
fondamentali di base, acqua, sabbia, legante, vengono aggiunte altre sostanze al fine di
aumentare la qualità delle malte stesse.
In genere nelle malte bastarde sono presenti due tipi di leganti allo scopo di
combinare le caratteristiche migliori di entrambi; le più comuni sono quelle derivanti dalla
miscelazione di calce e cemento che consentono di ottenere una consistente resistenza
meccanica. Inoltre con l’uso di malte bastarde, che adottano i due leganti, calce e cemento,
con un basso volume di quest’ultimo (in genere con rapporto di 3:1), si evitano i tipici
effetti negativi delle malte cementizie, ovvero formazione di sali solubili, bassa porosità,
ritiro eccessivo, conservandone parte degli aspetti positivi.
Nelle malte bastarde è particolarmente consigliabile l’adozione di cemento
pozzolanico, in quanto la pozzolana neutralizza gli effetti dei sali solubili che potrebbero
provocare fenomeni di efflorescenza, sia pur in misura ridotta per la ulteriore presenza della
calce d’impasto. Normalmente per le malte bastarde viene usato cemento tipo 325.

1.4.5 Le indicazioni normative in merito alle malte


Nella progettazione, oppure in interventi di ristrutturazioni, o consolidamenti di
opere murarie, è importante scegliere malte che siano chiaramente compatibili con i carichi
previsti e presentino caratteristiche correlate alle capacità di resistenza dei mattoni
impiegati. Appare, infatti, irrazionale, oltre che antieconomico, l’adozione di malte ad alta
resistenza contestualmente a laterizi o materiali lapidei, con basse caratteristiche
meccaniche, o viceversa, visto che uno dei due materiali sarebbe sottoutilizzato.
Le NTC2008 prevedono due tipologie di malte:
1) malte a prestazione garantita;
2) malte a composizione prescritta.
Le malte a prestazione garantita sono individuate non sulla base dei componenti ma
unicamente in relazione alla loro resistenza a compressione media. Esse vengono pertanto
indicate come M2.5, M5, M10, M15, M20 dove i numeri 2.5, 5, 10 … indicano il valore
medio della resistenza a compressione espresso in N/mm2. Non è ammesso l’impiego di
malte di resistenza inferiore 2.5 N/mm2, mentre è possibile utilizzare malte di resistenza
superiore a 20 N/mm2 purchè la resistenza sia dichiarata dal produttore.
Pag. 26 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Le malte a composizione prescritta sono definite nelle NTC2008 in relazione alla


composizione in volume di cemento, calce aerea, calce idraulica, sabbia e pozzolana (Tab.
1.4). Esse risultano coincidenti con quelle indicate dal decreto ministeriale del 20/11/1987
[1] dove vengono individuate con le sigle M4, M3, M2 e M1, come riportato in Tab. 1.4.
Inoltre, lo stesso decreto prevede che malte di diverse proporzioni nella
composizione confezionate anche con additivi, preventivamente sperimentate, possono
essere ritenute equivalenti a quelle indicate qualora la loro resistenza media a compressione
risulti non inferiore ai valori riportati in Tab. 1.4.
Nell’Eurocodice 6 la classificazione delle malte viene effettuata in funzione della
resistenza a compressione minima a 28 gg. Chiaramente la resistenza delle malte risulta
legata alla composizione in volume dei diversi componenti, per cui l’Eurocodice 6 [7]
fornisce la classificazione riportata in Tab.1.5.

Tab. 1.4: Tipologie delle malte a composizione prescitta ( NTC2008 e D.M. 20/11/87).
Classe Classe Tipo di Composizione Resistenza
meccanica a
NTC DM malta Cemento Calce Calce Sabbia Pozzolana compressione
2008 20/11/87 aerea idraulica [N/mm2]
M2.5 M4 Idraulica - - 1 3 -

M2.5 M4 Pozzolanica - 1 - - 3 2.5

M2.5 M4 Bastarda 1 - 2 9 -

M5 M3 Bastarda 1 - 1 5 - 5

M8 M2 Cementizia 2 - 1 8 - 8

M12 M1 Cementizia 1 - - 3 - 12

Tab. 1.5: Tipologie della malta secondo l’Eurocodice 6 [7].


Tipo di Resistenza meccanica a Composizione
malta compressione [N/mm2] Cemento Calce idraulica Sabbia
M20 20 - - -
M15 15 1 0÷0.25 3
M10 10 1 0.25÷0.5 4÷4.5
M5 5 1 0.5÷1.25 5÷6
M2 2 1 1.25÷2.5 8÷9
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 27

1.5 Proprietà meccaniche della muratura

1.5.1 Resistenza a compressione


La resistenza a compressione della muratura rappresenta certamente una delle
principali caratteristiche meccaniche della muratura indispensabile per la valutazione sia
delle prestazioni statiche che sismiche di edifici in muratura.
Tale caratteristica meccanica risulta comunque di non facile determinazione attesa
l’enorme quantità di fattori da cui essa risulta significatamente influenzata quando si passa
dai materiali base al loro assemblaggio in pannelli murari. Infatti, se da un lato appare
evidente che la resistenza a compressione del pannello murario dipende dalla resistenza a
compressione degli elementi costitutivi (materiale lapideo o laterizio, malta) risulta
comunque facilmente comprensibile che lo spessore della malta in relazione a quella del
materiale lapideo, la maggiore o minore regolarità della superficie di appoggio dei singoli
conci che comportano una maggiore o minore concentrazione di sforzi rappresentano
ulteriori importanti fattori che influenzano la resistenza della muratura. Allo scopo di
evidenziare il ruolo esercitato dai più importanti fattori che influenzano la resistenza a
compressione, ovvero le caratteristiche meccaniche dei materiali base ed il rapporto tra lo
spessore della malta e del concio, si può considerare un ideale sub-assemblaggio costituito
da due conci legati da un corrente di malta sottoposto ad uno stato monoassiale di
compressione σz (Fig. 1.9).

σ z
y
ttbb/2

σ bx
x
tm

z σ by σ m x
tbt/2
b

σ m y

b
σ z

Fig. 1.9: Modello elementare di muratura


Pag. 28 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Si fa riferimento al caso di conci caratterizzati da resistenza e modulo elastico più


elevati di quelli della malta. Nell'ipotesi di comportamento lineare isotropo dei conci e del
legante, le deformazioni trasversali dei due elementi, risultano:

ε bx =
1
Eb
[ (
σ bx + ν b ⋅ σ z − σ by )] (1.5)

ε by =
1
Eb
[
σ by + ν b ⋅ (σ z − σ bx ) ] (1.6)

ε mx =
1
Em
[ (
- σ mx + ν m ⋅ σ z + σ my )] (1.7)

ε my =
1
Em
[
- σ my + ν m ⋅ (σ z + σ mx ) ] (1.8)

dove Eb ed Em sono i moduli di elasticità rispettivamente dei conci e della malta, mentre νb
e νm i corrispondenti coefficienti di Poisson.
Imponendo l’uguaglianza delle deformazioni trasversali del concio e del legante, si
ha:

ε bx = ε mx ⇒
1
Eb
[ (
σ bx + ν b ⋅ σ z − σ by )] =
1
Em
[ (
- σ mx + ν m ⋅ σ z + σ my )] (1.9)

Tenendo conto dell’uguaglianza degli sforzi trasversali in direzione x e y sulla malta


e sui conci, si ha:
σ bx
σ bx ⋅ d ⋅ t b = σ mx ⋅ d ⋅ t m ⇒ σ mx = (1.10)
α
con α=tm/tb.
Sostituendo la (1.10) nella (1.9), tenendo presente che, per l’ipotizzata isotropia,
σbx=σby e ricavando σbx si ottiene:
α ⋅ (ν m − βν b )
σ bx = σ z = σ by (1.11)
αβ + 1 − αβν b − ν m

con β=Em/Eb.
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 29

σbx

σzu

σbx σbx

Fig. 1.10: Dominio di resistenza in regime di compressione-trazione del blocco lapideo

L’equazione (1.11) fornisce il valore della tensione trasversale che si genera sul
concio lapideo in funzione della tensione normale. Tale tensione trasversale di trazione
rappresenta chiaramente un’azione sfavorevole che riduce il valore dello sforzo normale
che il concio lapideo è in grado di sopportare.
Infatti, assumendo in maniera semplificata per il blocco lapideo un dominio di
resitenza lineare in regime di compressione longitudinale-trazione trasversale (Fig. 1.10) e
ponendo λ=fbt/fbc si ha:
σ bx
σz u = − + f bc (1.12)
λ
dove σzu rappresenta quindi la resistenza della normativa fwc.
Tenendo conto della (1.11), si ha:

1 ⎛ α ⋅ (ν − βν ) ⎞
σ zu = − ⋅⎜ m b
σ zu ⎟⎟ + f bc (1.13)
λ ⎜⎝ αβ + 1 − αβν b − ν m ⎠
e quindi:
f bc
σ zu =
1 ⎛ α ⋅ (ν − βν ) ⎞ (1.14)
1+ ⋅⎜ m b

λ ⎜⎝ αβ + 1 − αβν b − ν m ⎟⎠
Pag. 30 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

ovvero:
f wc 1
=
f bc ⎡ α(ν m − βν b ) ⎤ (1.15)
⎢1 + ⎥
⎣ λ (1 + αβ − ν m − αβν b ) ⎦
In [14] è stata applicata la (1.14) al caso di due murature sottoposte a
sperimentazioni da Hendry [13] e caratterizzate da due differenti tipi di legante:
• legante di buona qualità: β=1/3, νb=0.15, νm=0.25, λ=1/15;
• legante di scarsa qualità: β=1/10, νb=0.15, νm=0.35, λ=1/15.
I risultati sono stati dapprima confrontati con quelli delle prove sperimentali.
Con riferimento all’influenza del rapporto spessore giunto/altezza del pietrame sulla
resistenza della muratura, si osserva che per un certo spessore dei conci di muratura, la
resistenza a compressione della stessa diminuisce fortemente all’aumentare dello spessore
del giunto (Fig. 1.11).
Con riferimento invece all’influenza dei materiali costituenti sulla resistenza a
compressione della muratura in Fig. 1.12 è mostrata l’applicazione della (1.15) assumendo
α·β≈0.

Prove su murature di mattoni


0.8 (Hendry,1981)

Buona qualità
0.6
fwc/fbc
0.4

0.2
Scarsa qualità

0
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8
α=tm/tb
Fig. 1.11: Influenza del rapporto spessore del giunto/altezza del pietrame sulla resistenza
a compressione della muratura [14]
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 31

50

wc [MPa]

40

Applicazione numerica
30
Hendry 1981
fmc 21 MPa

20

fmc 3.5 MPa


10

0
0 10 20 30 40 50 60 70
fbc [MPa]

Fig. 1.12: Influenza della resistenza dei materiali costituenti sulla resistenza della
muratura [14]
Dall’analisi della Fig. 1.12 emerge che:
1. la resistenza della muratura cresce all’aumentare della resistenza dei conci; tale
incremento è più rapido quando si adopera un legante di buona qualità;
2. l’aumento della resistenza della muratura, all’aumentare della resistenza del
legante, non è di tipo lineare; per raddoppiare la resistenza della muratura occorre
quadruplicare la resistenza della malta.
L’applicazione numerica mostrata ha evidenziato già su un ideale sub-assemblaggio
l’influenza dei principali parametri meccanici e geometrici. Nelle murature reali
intervengono, come già sottolineato, ulteriori fattori che difficilmente possono essere colti
con un modello analitico, come la regolarità della superficie di contatto malta-materiale
lapideo, la presenza di cavità o vuoti, etc.
Pertanto, in bibliografia [12,13,14,15] sono presenti diverse formulazioni desunte
direttamente dai risultati sperimentali e che possono essere distinte sulla base della qualità
dei materiali costituenti come segue:
Pag. 32 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

• Materiali di buona qualità:

f wc = 4 f mc [MPa] (Hendry,1981) (1.16)

f bc f bc ⋅ f mc f mc
f wc = + − + 1.4 [MPa] (1.17)
6 4 20

⎧⎪ (1 − 0.8 ⋅ 3 α ) ⋅ f bc f bc < f mc
f wc = ⎨ (1.18)
⎪⎩(1 − 0.8 ⋅ 3 α )[f mc + 0.4(f bc − f mc )] f bc > f mc

spessore giunto
dove : α= (1.19)
spessore blocco

• Materiali di media qualità:

(4 + 0.1f mc )
f wc = f bc +2 (MPa)
hw (1.20)
12 + 5
bw

f wc = 0.7 f bc 3 f mc (MPa) (Br&o&cker,1961) (1.21)

• Materiali di bassa qualità [14]:

⎛2 ⎞
f wc = ⎜ f bc − f 0 ⎟ + δ ⋅ f mc (MPa)
⎝3 ⎠
dove:
f0 = 0 per blocchi di mattoni
f0 =0.5 MPa per blocchi di pietrame
f0 =2.5 MPa per pietrame non squadrato
e
δ = 0.5 per pietrame
δ = 0.1 per mattoni

correlata alla resistenza della malta e dei conci.


Nelle NTC2008, sostanzialmente in accordo con il D.M. 20/11/87, la resistenza
caratteristica a compressione fk di murature nuove viene fornita in funzione della classe
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 33

della malta e della resistenza caratteristica a compressione del concio fbk come mostrato in
Tab. 1.6.
I valori forniti dalla Tab. 1.6 sono utilizzabili solo per murature caratterizzate da
giunti orizzontali e verticali riempiti di malta e di spessore compreso tra 5 e 15 mm.
La resistenza caratteristica dei conci è fornita nel caso di elementi resistenti
artificiali da:
f bk = f bm ⋅ (1 − 1,64δ ) (1.22)
con δ coefficiente di variazione pari a S/fbm, S scarto quadratico medio e fbm valore medio,
valutati con cadenza annuale su un numero minimo di 30 elementi dalle case produttrici.
Nel caso di elementi resistenti naturali la resistenza caratteristica fbk sarà determinata
mediante la seguente relazione:
f bk = 0.75 ⋅ f bm (1.23)
con fbm resistenza media calcolata in base al regio decreto 16/11/39.
Nel caso dei tufi la resistenza fbm va valutata con cadenza annuale su almeno 30
elementi da prove nella direzione di lavoro a cura della casa produttrice.
Non sono ammessi tufi la cui resistenza media sia inferiore a 20 kg/cm2.

Tab. 1.6: Resistenza caratteristica a compressione della muratura (NTC2008 e D.M.


20/11/87).
Resistenza a Tipo di malta
compressione
fbk dell’ele- M15 M10 M5 M2.5
mento
N/mm2 Kg/cm2 N/mm2 Kg/cm2 N/mm2 Kg/cm2 N/mm2 Kg/cm2 N/mm2 Kg/cm2
Elementi
naturali
1.5 15 1.0 10 1.0 10 1.0 10 1.0 10
di pietra
squadrata
Elementi
2.0 20 1.2 12 1.2 12 1.2 12 1.2 12
artificiali
3.0 30 2.2 22 2.2 22 2.2 22 2.0 20
5.0 50 3.5 35 3.4 34 3.3 33 3.0 30
Elementi
7.5 75 5.0 50 4.5 45 4.1 41 3.5 35
artificiali
10.0 100 6.2 62 5.3 53 4.7 47 4.1 41
o naturali
15.0 150 8.2 82 6.7 67 6.0 60 5.1 51
di pietra
squadrata 20.0 200 9.7 97 8.0 80 7.0 70 6.1 61
30.0 300 12.0 120 10.0 100 8.6 86 7.2 72
40.0 400 14.3 143 12.0 120 10.4 104 - -
Pag. 34 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Nei casi in cui non è applicabile la Tab. 1.6, la resistenza a compressione va


determinata su almeno 6 muretti mediante la relazione (ai sensi del D.M. 20/11/87):
f wk = f wm − k ⋅ s (1.24)
con fwm resistenza media, s stima dello scarto e k pari a 2.33, 2.18, 2.10, 2.05, 1.93
rispettivamente per un numero di provini pari a 6, 8, 10, 12, 20.
I muretti devono avere le stesse caratteristiche della muratura da realizzare, devono
inoltre comprendere almeno tre corsi di elementi e devono essere caratterizzati da una
lunghezza pari ad almeno due lunghezze di blocco ed un rapporto altezza/spessore variabile
tra 2.4 e 5.
Con riferimento specifico agli edifici esistenti in muratura, la Circolare del
Ministero LL.PP. del 04/01/89 esplicativa del DM 20/11/87 precisava chiaramente che,
trattandosi di opere già realizzate con materiali e tecnologie tra le più disparate, le
prescrizioni valide per le nuove costruzioni non possono avere valore cogente, ma
rappresentano un utile riferimento. In particolare, per quanto concerne la resistenza della
muratura, non forniva alcuna indicazione, lasciando al progettista la libertà di meglio
operare.
A tal riguardo, sempre nell’ambito della normativa italiana, vanno richiamate le
indicazioni in merito alla resistenza a compressione delle murature esistenti fornite dalla
Circolare Ministeriale 21745/81 “Istruzioni relative alla normativa tecnica per la
riparazione ed il rafforzamento degli edifici in muratura danneggiati dal sisma” emanata a
seguito degli eventi sismici del 1980 per le regioni Campania, Basilicata e Puglia.
Tale circolare affermava, dapprima in modo generico, che l’effettiva resistenza delle
murature potesse essere accertata mediante apposite indagini e che l’estensioni di tali
indagini dovesse essere commisurata allo stato di omogeneità e di conservazione
dell’organismo murario. Successivamente, allo scopo di superare le difficoltà che
indubbiamente si incontrano nella determinazione della resistenza in situ e che potrebbero
talvolta indurre il progettista ad assumere valori di resistenza dettati dall’esperienza ma non
cautelativi, affermava che in mancanza di dati sperimentali, per la resistenza a
compressione non si poteva contare su valori superiori a quelli riportati in Tab. 1.7 per
ciascun tipo di muratura.
Anche l’OPCM 3274 (allegato 11.D) e le Norme Tecniche per le Costruzioni 2008
(Circolare esplicativa del 26/2/2009), forniscono valori indicativi delle proprietà
meccaniche della muratura. In particolare, con riferimento a murature non consolidate, con
malta di caratteristiche scarse, in assenza di ricorsi o listature e con paramenti
semplicemente accostati o mal collegati, le NTC2008 forniscono i valori della resistenza a
compressione media fm, della resistenza media a taglio in assenza di sforzo normale τ0, del
valore medio del modulo di elasticità normale E e tangenziale G, e del peso specifico medio
w riportati in Tab. 1.8. Inoltre, in Tab.1.9, vengono riportati i coefficienti correttivi dei
parametri meccanici riportati in Tab. 1.8 per tener conto della presenza di malta di buona
qualità, di ricorsi o listature, di connessioni con i paramenti trasversali, di interventi di
consolidamento.
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 35

Per quanto riguarda l’EC6, la resistenza caratteristica a compressione delle murature


nuove viene determinata sulla base delle seguenti formulazioni:

f k = k ⋅ f b0.7 ⋅ f m0.3 (1.25)

f k = k ⋅ f b0.85 (1.26)

valide rispettivamente per murature con correnti di malta di dimensioni medie e per
murature con correnti di malta di dimensioni costanti, minori o uguali a 3 mm.

Tab. 1.7: Indicazione delle caratteristiche meccaniche della muratura fornite dalla
Circolare Ministeriale n°21745/81.
fvk0 =τk σk
TIPO DI MURATURA
[N/mm2] [N/mm2]
1. MURATURE NON CONSOLIDATE NON LESIONATE
Mattoni pieni
0,12 3,00
Malta bastarda
Blocco modulare (con caratteristiche rispondenti alle prescrizioni
del D.M.03/03/75): 29x19; 19cm 0,08 2,50
Malta bastarda
Blocco in argilla espansa o calcestruzzo
0,18 3,00
Malta bastarda
Muratura in pietra (in presenza di ricorsi di mattoni estesi a tutto
lo spessore del muro, il valore rappresentativo di τk può essere
incrementato del 30%
a) pietrame in cattive condizioni 0,02 0,50
b) pietrame grossolanamente squadrato e bene organizzato 0,07 2,00
c) a sacco in buone condizioni 0,04 1,50
Blocchi di tufo di buona qualità 0,10 2,50
2. MURATURE NUOVE
Mattoni “pieni” con fori circolari
Malta cementizia 0,20 5,00
Rm ≥1450 t/m2
Mattoni forati doppio UNI rapp. vuoto/pieno = 40%
Malta cementizia 0,24 5,00
Rm ≥1450 t/m2
3. MURATURE CONSOLIDATE
Mattoni pieni, pietrame squadrato, consolidate con 2 lastre in
0,18 5,00
calcestruzzo armato da cm 3 (minimo)
Pietrame iniettato
Murature in pietra a sacco consolidate con due lastre in cls 0,11 3,00
armato da cm 3 (minimo)
Pag. 36 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Nelle (1.25) e (1.26) fb e fm rappresentano i valori della resistenza media a


compressione dei conci e della malta mentre k è una costante che dipende dal tipo di concio
e di malta. K vale ad esempio 0.5 per i materiali lapidei squadrati con correnti di malta di
spessore medio mentre è compreso tra 0.25 e 0.8 nel caso di murature con elementi
resistenti artificiali con valori progressivamente più alti, nell’ambito di detto intervallo, al
diminuire della percentuale di foratura e al diminuire dello spessore del corrente di
malta[7].

Tab. 1.8: Indicazione delle caratteristiche meccaniche della muratura


fornite dalle NTC2008 (C.M. del 26/2/2009)
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 37

Tab. 1.9: Coefficienti correttivi dei valori delle caratteristiche meccaniche


della muratura fornite dalle NTC2008 e CM 26/2/2009

1.5.2 Modulo di elasticità


Per quanto concerne il modulo di elasticità longitudinale e tangenziale, diverse sono
le formulazioni empiriche proposte da vari autori. In particolare, Wesche in [15] ha
proposto la seguente espressione:

Ew = k ⋅ Eb (1.27)

con Eb ≅(300÷400)fbc e k fornito in Tab. 1.10.


Un’ulteriore proposta è quella dovuta a Hendry [13], il quale fornisce la seguente
espressione del modulo di elasticità tangenziale all’origine Ew0:
f wc
E w0 = 2 ⋅ (1.28)
εu

con εu =2.5÷3.5%o.

Tab. 1.10: Valori del coefficiente k della muratura


Legante Mattoni Blocchi di cemento
M1 0.4 0.4
M2, M3 0.7 0.6
M4 0.9 0.7
Pag. 38 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Per quanto concerne il modulo di elasticità secante per σ=fwc egli propone:
E w = 0.75 ⋅ E w0 ≅ (400 ÷ 1000) ⋅ f wc (1.29)
Kalender propone invece il seguente valore:
E w0 = (500 ÷ 800) ⋅ f wc (1.30)
Per quanto concerne invece le indicazioni normative, ovvero le NTC2008, in
accordo sia con l’OPCM 3274 ed il D.M. 20/11/87, suggerisce i seguenti valori dei moduli
di elasticità longitudinale e tangenziale secanti:
E w = 1000 ⋅ f wk (1.31)

G = 0.4 ⋅ E (1.32)
dove fwk è la resistenza caratteristica a compressione della muratura.
Sempre nell’ambito delle norme italiane, la Circolare Ministeriale 21745 forniva
invece le seguenti espressioni:

G = 1100 ⋅ τ k (t/m 2 ) (1.33)

Ew = 6⋅G (1.34)
con τk resistenza a taglio riportata in Tab. 1.7.
Per quanto concerne l’EC6, esso fornisce le stesse espressioni suggerite dal D.M.
20/11/87 ovvero le equazioni (1.31) e (1.32).

1.5.3 Legame σ-ε


Gran parte delle difficoltà che si incontrano nel formulare una teoria semplice delle
strutture in muratura deriva dalla impossibilità di descrivere in modo immediato il legame
costitutivo sforzi-deformazioni.
In Fig. 1.13a è rappresentato il modello qualitativo di un diagramma monoassiale
sforzi-deformazioni, assumendo positivi gli sforzi di compressione e le deformazioni di
contrazione. Dal lato delle compressioni si distinguono: un primo tratto OA elastico lineare,
un tratto AB non lineare dovuto alla formazione nel materiale murario di zone fessurate, il
punto B che corrisponde alla tensione massima sopportabile dal materiale per
schiacciamento, un tratto BC, a sforzi decrescenti, in cui la muratura, anche se ampiamente
fessurata, non ha ancora perduto completamente la sua capacità statica di sopportare un
carico, cosa che succede invece nel punto C, in cui avviene la rottura. A trazione si nota un
breve tratto lineare OL direttamente seguito dalla rottura. Questo tratto comunemente viene
trascurato ed approssimato con il segmento OH. In termini deformativi, guardando alla
muratura come ad un materiale omogeneo ed isotropo, si può pensare ad un primo tratto
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 39

OA a deformazioni reversibili (elastiche) e ad un secondo tratto AC a deformazioni


irreversibili (inelastiche), ad un punto C in cui si attinge la massima deformazione
consentita dal materiale prima che avvenga la rottura.
Il comportamento reale può essere schematizzato, ai fini di una descrizione analitica,
in diversi modi. Di seguito si riportano quelli più frequentemente utilizzati, trascurando la
resistenza a trazione del materiale (Fig.1.13a):
- modello elastico lineare (tratto OA);
- elastico non lineare (OAB punteggiato);
- modello elastico perfettamente plastico (ODE);
- elasto – plastico – incrudente – perfettamente plastico (OABF).
Sulla base delle osservazioni sperimentali effettuate da Hendry [13], è possibile
esprimere il legame tensione-deformazione a compressione della muratura mediante la
seguente formulazione (Fig. 1.13b):
2
σ ⎛ ε ⎞ ⎛ ε ⎞
= 2 ⋅ ⎜⎜ ⎟−⎜
⎟ ⎜ε

⎟ (1.35)
f wc ⎝ εu ⎠ ⎝ u ⎠
Tale legame consente di descrivere anche il ramo degradante della curva σ-ε. La
deformazione viene adimensionalizzata rispetto al valore εu, corrispondente alla resistenza a
compressione della muratura, assunto pari a 2.5÷3.5%o (Fig. 1.13b).

σ/fwc

1.0

0.6

1.0 1.6 ε/εu


Ew0 Ewu

(a) Diagramma qualitativo σ − ε (b) Curva adimensionale tensioni-


deformazioni (Hendry 1981), [12]
Fig. 1.13: Diagramma σ − ε
Pag. 40 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Nell’Eurocodice 6 viene adottato il legame σ-ε parabola rettangolo descritto in Fig. 1.14.
σ
Diagramma ideale

fk

Diagramma di progetto

Fd=fk/γm

2‰ ε
Fig. 1.14: Legame tensioni deformazioni adottato dall’EC6 [7]

1.5.4 Resistenza a taglio


La resistenza a taglio della muratura rappresenta, come la resistenza a compressione,
una proprietà fondamentale per la caratterizzazione meccanica della muratura. Essa risulta
di non facile determinazione sperimentale per cui le varie normative suggeriscono
generalmente correlazioni semplificate con la resistenza dei materiali costitutivi.
A tal riguardo, le NTC2008, in sostanziale accordo con il D.M. 20/11/87,
definiscono la resistenza caratteristica a taglio delle murature nuove in presenza dell’effetto
combinato delle forze orizzontali e dei carichi verticali agenti nel piano del muro tramite la
seguente relazione:
f vk = f vk0 + 0.4 ⋅ σ n (1.36)
nella quale fvk0 rappresenta la resistenza caratteristica a taglio in assenza di carichi verticali
e σn la tensione normale media dovuta ai carichi verticali agenti nella sezione di verifica.
I valori di fvk0 possono essere dedotti dalla resistenza caratteristica a compressione fbk degli
elementi resistenti e dalla classe della malta così come riportata nella Tab. 1.11 secondo le
NTC2008.
Molto simili sono i valori di fvk0 forniti dal D.M. 20/11/87 riportati nelle Tab. 1.12, Tab.
1.13 e Tab.1.14. Tali tabelle sono valide rispettivamente per murature in elementi artificiali
in laterizio pieni e semipieni, per murature in elementi artificiali in calcestruzzo pieni e
semipieni e per murature in pietra naturale squadrata.
Le precedenti tabelle 1.11-1.14 possono essere impiegate solo per murature aventi
giunti verticali e orizzontali riempiti di malta dello spessore compreso tra 5 e 15 mm. In
caso contrario occorre determinare la resistenza a taglio fvk0 mediante prove di
Capitolo 1: Tipologie e proprietà meccaniche delle murature Pag. 41

compressione diagonale su almeno 6 muretti come descritti per la determinazione della


resistenza a compressione.
I valori di fvk dovranno in ogni caso risultare inferiori a fvk,lim pari a:
f vk,lim = 1.4 ⋅ f bk (1.37)
essendo fbk il valore caratteristico della resistenza degli elementi in direzione orizzontale e
nel piano del muro.
Per le murature di edifici esistenti, come per la resistenza a compressione anche per
quella a taglio le prescrizioni precedenti vanno assunte quale riferimento. Tuttavia, la
Circolare Ministeriale 21745/81 fornisce il valore di fvk0 riportato in Tab. 1.7.
Tab. 1.11: Valori di fvk0 per murature in elementi naturali o artificiali (NTC2008)
Resistenza
Tipo di elemento resistente caratteristica a
fvk0
compressione fbk Classe di malta
dell’elemento
N/mm2 N/mm2 kg/cm2
fbk > 15 M10 ≤ M ≤ M20 0.30 3.0
Laterizio pieno e semipieno
7.5 ≤fbk ≤ 15 M5 ≤ M ≤ M10 0.20 2.0
fbk ≤ 7.5 M2.5 ≤ M ≤ M5 0.10 1.0
Calcestruzzo; Silicato di fbk > 15 M10 ≤ M ≤ M20 0.20 2.0
calcio; Cemento autoclavato; 7.5 ≤fbk ≤ 15 M5 ≤ M ≤ M10 0.15 1.5
Pietra naturale squadrata
fbk ≤ 7.5 M2.5 ≤ M ≤ M5 0.10 1.0

Tab. 1.12: Valori di fvk0 per murature in elementi artificiali in


laterizio pieni e semipieni (DM 20/11/87)
Resistenza caratteristica a
Tipo di malta fvk0
compressione fbk dell’elemento
N/mm2 kg/cm2 N/mm2
kg/cm2
fbk ≤ 15 fbk ≤ 150 M1-M2-M3-M4 0.20 2.0
fbk > 15 fbk > 150 M1-M2-M3-M4 0.30 3.0

Tab. 1.13: Valori di fvk0 per murature in elementi in calcestruzzo


pieni e semipieni (DM 20/11/87)
Resistenza caratteristica a
Tipo di malta fvk0
compressione fbk dell’elemento
N/mm2 kg/cm2 N/mm2
kg/cm2
fbk ≤ 3 fbk ≤ 30 M1-M2-M3 0.20 1.0
M4 0.10 1.0
fbk > 3 fbk > 30 M1-M2-M3 0.20 2.0
M4 0.10 1.0
Pag. 42 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Tab. 1.14: Valori di fvk0 per murature pietra naturale squadrata (DM 20/11/87)
Resistenza caratteristica a
Tipo di malta fvk0
compressione fbk dell’elemento
N/mm2 kg/cm2 N/mm 2
kg/cm2
fbk ≤ 3 fbk ≤ 30 M1-M2-M3 0.10 1.0
M4 0.10 1.0
fbk > 3 fbk > 30 M1-M2-M3 0.20 2.0
M4 0.10 1.0

Infine, per quanto concerne l’EC6, nel caso di murature con correnti di malta di
spessore medio o sottile (tm ≤3mm) vengono suggerite, rispettivamente, le seguenti due
formulazioni:
f vk = f vk0 + 0.4 ⋅ σ d (1.38)

f vk = 0.7 ⋅ (0.034f b + 0.14 ⋅ σ d ) (1.39)


dove σd rappresenta la concomitante tensione verticale e fb la resistenza a compressione del
concio. Per la determinazione di fvk0, l’EC6 fornisce una tabellazione dei valori in funzione
della classe della malta e della tipologia del concio. Tali valori variano da 0.10 N/mm2 per
conci in pietre naturali e malta M1-M2 a 0.40 N/mm2 nel caso di malta di spessore sottile ed
elementi resistenti artificiali in silicati di calcio.
Capitolo 2

LE AZIONI STATICHE E SISMICHE

2.1 Metodi di verifica della sicurezza strutturale


E’ noto che la sicurezza strutturale può essere valutata impiegando metodi deterministici o
metodi probabilistici.
Nei metodi probabilistici si tiene adeguatamente conto della natura aleatoria dei
fattori da cui dipende la sicurezza della struttura ovvero da un lato dei fattori che
influenzano la determinazione delle sollecitazioni nella struttura come i carichi (in termini
di entità, punto di applicazione, durata, etc.), lo schema strutturale, le imperfezioni
strutturali geometriche e meccaniche, dall’altro dei fattori che influenzano la valutazione
della resistenza della struttura, quali le incertezze nelle caratteristiche meccaniche dei
materiali, le dimensioni geometriche degli elementi, la composizione della sezione
trasversale, etc.
Pr (Z)

INSUCCESSO SUCCESSO

0 Z=R-S
Area = Probabilità di
insuccesso

Fig. 2.1: Funzione di densità di probabilità della variabile esito Z=R-S.

Pertanto, in un’analisi probabilistica completa occorrerebbe considerare tutte le singole


variabili come aleatorie e costruire la statistica della variabile esito:
Pag. 44 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Z=R-S (2.1)
dove R ed S rappresentano rispettivamente le variabili aleatorie resistenza e sollecitazione
dipendenti dalle summenzionate fonti di aleatorietà.
Dallo studio della statistica di Z=R-S può essere valutata la probabilità
corrispondente alla condizione R<S che rappresenta la probabilità di insuccesso.
Un approccio probabilistico completo consente, peraltro, di valutare la probabilità di
insuccesso o fragilità corrispondente a differenti valori del rapporto tra lo stato di
sollecitazione e le caratteristiche di resistenza.
Infatti, atteso che per S intendiamo l’effetto delle azioni (ovvero tensioni,
caratteristiche della sollecitazione, deformazioni, spostamenti, etc.) e con R la risposta della
struttura (cioè a seconda dei casi i valori massimi o minimi che le grandezze precedenti
possono raggiungere compatibilmente con le caratteristiche dei materiali), è possibile
costruire le “curve di fragilità” qualitativamente indicate in Fig. 2.2.

Pr
100%
95%
ità
ional

gravi
i funz

i
i liev

i
Croll
sti
d

Dann

Disse
ione
Riduz

5%
0%
S/R
Riduzione di
funzionalità

Elevata
Danni Probabilità
Entità del Bassa lievi
danno Probabilità
Costo del Dissesti
gravi Crollo
ripristino

Fig. 2.2: Curve di fragilità e di danno


Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 45

La Fig. 2.2 mostra che all’aumentare del rapporto S/R tra sollecitazione e resistenza
aumenta la probabilità di insuccesso e quindi di avere danni nella struttura e nello stesso
tempo l’entità del danno stesso. Da tale considerazione appare quindi che risulta possibile
richiedere una differente probabilità di insuccesso a seconda della condizione di dissesto
attesa. E’ evidente che la probabilità di raggiungere una condizione di perdita di
funzionalità può essere accettata per un’entità (e quindi per un valore della probabilità di
insuccesso) senz’altro superiore a quella corrispondente al collasso della struttura che può
comportare la perdita di vite umane. In altre parole è possibile distinguere differenti livelli
prestazionali della struttura a cui associare probabilità di insuccesso differenti. Siamo nello
spirito del “Performance Based Design”.
Tuttavia, l’analisi probabilistica completa non è uno strumento di indagine
correntemente utilizzabile e proponibile nella pratica professionale per l’eccessivo onere
computazionale che essa richiede. Significativa è la ricerca scientifica su tale tema che ha
avuto un notevole impulso negli ultimi anni finalizzata alla messa a punto di procedure che,
introducendo alcune modeste ipotesi semplificative, sono in grado di fornire la probabilità
di insuccesso con un numero più contenuto di analisi.
Rinunciando ad un’analisi probabilistica si ricorre pertanto ai metodi deterministici.
In tale contesto si inseriscono il metodo delle tensioni ammissibili ed il metodo
semiprobabilistico agli stati limite. Se da un lato con tali metodi si abbandona l’analisi
probabilistica, tuttavia, la natura aleatoria dei principali fattori che governano la verifica
strutturale ovvero le azioni e le resistenze dei materiali, viene comunque tenuta in conto
impiegando nella definizione dei due metodi opportuni frattili della distribuzione dei carichi
e delle resistenze dei materiali. Senz’altro il metodo semiprobabilistico agli stati limite tiene
conto in misura maggiore dell’aleatorietà dei parametri in gioco rispetto al metodo delle
tensioni ammissibili tanto è che generalmente tale metodo viene inquadrato come un’analisi
probabilistica di livello I ovvero di livello più basso rispetto all’analisi probabilistica
completa detta di III livello.
La differenza sostanziale tra il metodo delle tensioni ammissibili ed il metodo
semiprobabilistico agli stati limite consiste nel fatto che mentre il primo effettua una
verifica della struttura essenzialmente sotto carichi di sevizio, il secondo definisce differenti
stati limite imponendo la verifica nei confronti sia degli stati limite corrispondenti alla
perdita di funzionalità, indicati come stati limite di esercizio, sia degli stati limite ultimi
corrispondenti al collasso della struttura.
Tra i più consueti stati limite di esercizio si ricordano lo stato limite di eccessive
deformazioni, vibrazioni, danneggiamenti locali quali fessurazioni del calcestruzzo, danni
per fatica, corrosione.
Tra gli stati limite ultimi più consueti si ricordano la perdita di equilibrio della
struttura o di una sua parte, il raggiungimento della capacità di resistenza di parte della
struttura o collegamenti, o della struttura nel suo insieme, rottura di membrature per fatica o
per fenomeni viscosi, instabilità locale di elementi strutturali o globale dell’intera struttura,
raggiungimento delle capacità portanti del terreno.
La probabilità di insuccesso che si accetta in condizioni di esercizio è dell’ordine di
10-2-10-3. Pertanto, nel metodo delle tensioni ammissibili per i carichi si adottano i valori
Pag. 46 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

caratteristici frattile 95%, mentre per i materiali si parte dai valori caratteristici frattile 5% e
per tener conto di tutti i fattori trascurati quali la differenza tra il materiale in opera e quello
delle prove sperimentali, le approssimazioni nel modello di calcolo, durata e applicazioni
dei carichi, si definiscono valori ammissibili delle tensioni nei materiali ridotte. La verifica
di tipo puntuale consiste nel controllare che in ogni fibra della struttura la tensione non
supera il valore ammissibile.
Poiché vengono esaminate le condizioni di esercizio della struttura, il metodo fa
propria l’ipotesi di elasticità lineare (materiale impegnato a tensioni basse) e piccoli
spostamenti ovvero le ipotesi di validità del principio di sovrapposizione degli effetti.
Chiaramente, nel metodo delle tensioni ammissibili si fa l’ipotesi che il margine di
sicurezza nei confronti della rottura assunto coincidente con il rapporto tra tensione
ammissibile e resistenza del materiale sia idoneo a garantire un livello di sicurezza pari a
10-5÷10-6 nei confronti delle condizioni di collasso.
Proprio in relazione a tale considerazione il metodo semiprobabilistico agli stati
limite fornisce un notevole miglioramento rispetto al metodo delle tensioni ammissibili.
Infatti, poiché esso considera separatamente la verifica agli stati limite di esercizio ed agli
stati limite ultimi consente di definire diversamente carichi e resistenze dei materiali nelle
due differenti condizioni pervenendo a livelli di sicurezza diversi nei due casi e adeguati
alle richieste normative. Pertanto, mentre nei confronti dello stato limite di esercizio si fa
riferimento per i carichi al frattile 95% e per le resistenze dei materiali al frattile 5%, nei
confronti degli stati limite ultimi vengono introdotti i coefficienti parziali di sicurezza
amplificando i carichi secondo un coefficiente γf e riducendo le resistenze secondo un
coefficiente γm. In tal modo, è possibile differenziare il livello di sicurezza richiesto dalle
verifiche nei confronti degli stati limite di esercizio, assunto generalmente dell’ordine di
10-3÷10-4, da quello richiesto nei confronti degli stati limite ultimi, pari a 10-6÷10-7.
Pertanto, la sicurezza, nell’ambito del metodo semiprobabilistico agli stati limite, viene
quindi garantita dal seguente controllo:

⎛R ⎞
S (γ f ⋅ Fk ) ≤ R ⎜⎜ mk ⎟⎟ (2.2)
⎝ γm ⎠
Con riferimento alle costruzioni in muratura, il D.M. 20/11/87 consentiva di
effettuare la verifica sia con il metodo delle tensioni ammissibili che con il metodo
semiprobabilistico agli stati limite. Quando si adottava il metodo semiprobabilistico agli
stati limite il D.M. 20/11/87 al punto 2.4.2 precisava che le verifiche agli stati limite di
esercizio potessero essere omesse in quanto l’elevata rigidezza dell’insieme conduce a
deformazioni molto piccole.
Per gli edifici in zona sismica, il D.M. 16/01/96 consentiva ancora la possibilità di
effettuare la verifica sismica sia secondo il metodo delle tensioni ammissibili che secondo il
metodo agli stati limite. Tuttavia, con riferimento agli interventi sugli edifici esistenti ed in
particolare agli interventi di adeguamento delle costruzioni in muratura ordinaria precisava
che la verifica andasse eseguita allo stato limite ultimo corrispondente alla rottura delle
murature. Tale approccio veniva seguito anche dal D.M. 02/07/81 “Normativa per la
Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 47

riparazione ed il rafforzamento degli edifici danneggiati dal sisma nelle regioni Basilicata,
Campania e Puglia” che nella sua circolare esplicativa n.21745 del 30/07/81 precisava che
la verifica delle murature andava effettuata allo stato limite ultimo.
Si osserva quindi che, per le strutture in muratura esistenti, già da molti anni è in uso
la verifica agli stati limite sotto azioni sismiche, a differenza di quanto avviene per le
strutture in c.a. sia nuove che esistenti, per le quali fino al settembre 2009 il metodo delle
tensioni ammissibili è stato largamente impiegato.
Le norme più recenti, a partire dall’O.P.C.M. 3274 e 3431, conducono, in linea con
gli Eurocodici, all’abbanono delle verifiche alle tensioni ammissibili e all’impiego quindi
unicamente della verifica agli stati limite anche per le strutture in c.a.
Tali ordinanze sono state espressamente richiamate e in parte fatte proprie da una
prima versione delle Norme Tecniche per le costruzioni (D.M. 14 settembre 2005), la quale
lasciava ancora la possibilità di effettuare una verifica alle tensioni ammissibili nel caso
degli edifici di Classe 1, caratterizzati da una vita utile di 50 anni, soggetti a normale
affollamento senza particolari funzioni pubbliche e strategiche, costituiti da materiale con
modesto comportamento plastico e soggetti ad azioni linearmente crescenti. Nel D.M.
14/1/2008, tale tipologia di verifica è consentita solo per le costruzioni di tipo 1 e 2 e Classe
d’uso I e II, limitatamente a siti ricadenti in Zona 4.

2.2 Le azioni

2.2.1 Azioni statiche e sismiche secondo le NTC2008


Le NTC2008 consentono di eseguire la valutazione della sicurezza e la progettazione degli
interventi sulle costruzioni esistenti con riferimento ai soli SLU, rispetto alla condizione di
salvaguardia della vita umana (SLV) o, in alternativa, alla condizione di collasso (SLC) (§
8.3). In particolare per le costruzioni in muratura si assume che il soddisfacimento dello
Stato limite di salvaguardia della vita umana implichi anche il soddisfacimento dello Stato
limite di collasso (§C.8.7.1.1).
Per quanto concerne la combinazione di carico di tipo non sismica, la normativa
fornisce la seguente espressione allo S.L.U.:

γ G1 G1,K + γ G 2 G2,K + γ P PK + γ Q1 QK 1 + ψ 0i ∑γ i Qi
QKi (2.3)

dove:
γG1 coefficiente parziale di sicurezza dei carichi permanenti strutturali;
γG2 coefficiente parziale di sicurezza dei carichi permanenti non strutturali;
γQi coefficienti parziali di sicurezza relativi ai carichi accidentali;
γP coefficiente parziale di sicurezza della precompressione pari a 1;
Pag. 48 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

G1,K valore caratteristico del peso proprio degli elementi strutturali;


G2,K valore caratteristico del peso proprio degli elementi non strutturali;
PK valore caratteristico dell’azione di precompressione, a cadute di tensione avvenute;
ψ0i coefficiente di combinazione delle azione variabile Qi forniti in Tab. 2.1;
QKi valore caratteristico delle azioni variabili Qi.
Per quanto concerne i coefficienti parziali di sicurezza, la normativa fornisce valori
diversi in relazione ai seguenti diversi Stati Limite Ultimi:
- stato limite di equilibrio come corpo rigido (EQU);
- stato limite di resistenza della struttura compresi gli elementi di fondazione (STR);
- stato limite di resistenza del terreno (GEO).
I valori dei coefficienti parziali di sicurezza γG1, γG2 e γQi relativi ai succitati Stati
Limite Ultimi sono riportati in Tab. 2.2.
Per quanto concerne la combinazione di carico sismica, la verifica allo Stato Limite
di Salvaguardia della vita deve essere effettuata per la seguente combinazione dell’azione
sismica con le altre azioni:

E + G1, K + G2, K + PK + ∑i (ψ 2i QKi ) (2.4)

dove E è l’azione sismica per lo stato limite in esame e ψ2i sono i coefficienti di
combinazione che forniscono i valori quasi permanenti delle azioni variabili Qi (Tab. 2.2).

Tab. 2.1: Coefficienti ψ 0i e ψ 2i per varie destinazioni d'uso (NTC2008)


Destinazione d'uso ψ 0i ψ 2i
Abitazioni, Uffici 0,7 0,3
Ambienti suscettibili di affollamento e ad uso commerciale 0,7 0,6
Biblioteche, archivi, magazzini e ambienti ad uso industriale 1,0 0,8
Rimesse e parcheggi (per autoveicoli di peso ≤ 30 kN) 0,7 0,6
Rimesse e parcheggi (per autoveicoli di peso > 30 kN) 0,7 0,3
Neve a quota > 1000m s.l.m. 0,7 0,2
Coperture, vento, variazioni termiche e neve a quota ≤ 1000m s.l.m. 0,6 0,0

Tab. 2.2: Coefficienti parziali di sicurezza nelle verifiche SLU (NTC2008)


Coefficienti
parziali di EQU STR GEO
sicurezza
favorevoli 0,9 1,0 1,0
Carichi permanenti strutturali γG1
sfavorevoli 1,1 1,3 1,0
favorevoli 0,0 0,0 0,0
Carichi permanenti non strutturali γG2
sfavorevoli 1,5 1,5 1,3
favorevoli 0,0 0,0 0,0
Carichi accidentali γQi
sfavorevoli 1,5 1,5 1,3
Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 49

Le azioni sismiche (E) vengono valutate determinando, per la struttura in esame, un periodo
di riferimento VR, funzione della Vita nominale dell’opera VN e del coefficiente d’uso CU,
fornito dalla seguente relazione:

V R = V N ⋅ CU (2.5)

dove la vita nominale VN è indicata, in funzione della tipologia dell’opera, in Tab. 2.3
mentre il coefficiente d’uso CU, funzione della classe d’uso, è dato in Tab. 2.4. Le classi
d’uso degli edifici vengono così distinte dalle NTC2008:
- Classe I: Costruzioni con presenza occasionale di persone; edifici agricoli;
- Classe II: Costruzioni soggette a normali affollamenti; industrie non pericolose
per l’ambiente, ponti e opere infrastrutturali non strategiche e la cui
interruzione non provochi situazioni di emergenza;
- Classe III: Costruzioni soggette ad affollamenti significativi; industrie con attività
pericolose, reti extraurbane non strategiche e ponti e reti ferroviarie la
cui interruzioni crei situazioni di emergenza;
- Classe IV: Costruzioni con funzioni pubbliche o strategiche importanti; reti viarie
principali di collegamento tra i capoluoghi; ponti e reti ferroviarie di
importanza critica per il mantenimento delle vie di comunicazione dopo
un vento sismico.
Il periodo di riferimento non può essere assunto inferiore a 35 anni.
Le NTC2008 utilizzano come parametro caratterizzante la pericolosità sismica il
periodo di ritorno dell’azione sismica TR, espresso in anni. Fissata la vita di riferimento VR,
TR è immediatamente esprimibile in funzione di PVR mediante l’espressione:

Tab. 2.3: Vita nominale VN per le diverse tipologie di opere


TIPI DI COSTRUZIONI Vita Nominale
VN (in anni)
1 Opere provvisorie – Opere provvisionali – Strutture in fase
≤ 10
costruttiva
2 Opere ordinarie, ponti, opere infrastrutturali e dighe di dimensioni
≥ 50
contenute o di importanza normale
3 Grandi opere, ponti, opere infrastrutturali e dighe di grandi
≥ 100
dimensioni o di importanza strategica

Tab. 2.4: Valori del coefficiente d’uso CU


CLASSE D’USO I II III IV
COEFFICIENTE CU 0,7 1,0 1,5 2,0
Pag. 50 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

VR
TR = (2.6)
ln( 1 − PVR )
dove PVR è la probabilità di superamento dell’azione sismica al variare dello stato limite
considerato (10% per SLV, 5% per SLC).
In funzione di TR la norma fornisce per ogni nodo di un reticolo geografico di
riferimento tracciato sul territorio nazionale i valori dei seguenti parametri necessari per la
definizione dell’azione sismica:
- ag: accelerazione orizzontale massima al sito;
- F0: valore massimo del fattore di amplificazione dello spettro in accelerazione
orizzontale;
- TC*: periodo di inizio del tratto a velocità costante dello spettro in accelerazione.
In Tab. 2.5, a scopo esemplificativo, viene riportato uno stralcio di tali tabelle.
Sulla base dei valori dei parametri ag,, F0 e TC* si valuta il seguente spettro di progetto della
componente orizzontale dell’accelerazione sismica, formalmente coincidente con quello
definito dall’OPCM 3274/03 e 3431/05, da cui si differenzia per una più dettagliata
definizione della pericolosità sismica locale:
0 ≤ T < TB ag ⋅ S ⎡T q ⎛ T ⎞⎤
Sd ( T ) = ⋅ F0 ⋅ ⎢ + ⋅ ⎜ 1 − ⎟ ⎥
q ⎣ TB F0 ⎝ TB ⎠ ⎦
F
TB ≤ T < TC Sd (T ) = ag ⋅ S ⋅ 0
q
F0 ⎛ TC ⎞
TC ≤ T < TD S d (T ) = a g ⋅ S ⋅ ⎜⎜ ⋅ ⎟⎟
q ⎝T ⎠
F0 ⎛T T ⎞
TD ≤ T S d (T ) = a g ⋅ S ⋅ ⋅ ⎜⎜ C 2 D ⎟⎟
q ⎝ T ⎠
dove S è il coefficiente che tiene conto della categoria di sottosuolo e delle condizioni
topografiche ed è fornito dalla seguente espressione:

Tab. 2.5: Stralcio delle tabelle riportate nell’allegato A delle NTC2008 relative ai
parametri di pericolosità dei punti del reticolo di riferimento
Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 51

S = S S ⋅ ST (2.7)
con SS, coefficiente di amplificazione stratigrafica, dato in Tab. 2.6 in funzione della
categoria di suolo e ST, coefficiente di amplificazione topografica, dato in Tab. 2.7 in
funzione della categoria topografica e dell’ubicazione dell’opera. Per quanto concerne le
categorie di suolo, esse coincidono sostanzialmente con quelle definite dall’OPCM 3274/03
e 3431/05 e sono le seguenti:
A - Formazioni litoidi o suoli omogenei molto rigidi caratterizzati da valori di Vs30
superiori a 800 m/s, comprendenti eventuali strati di alterazione superficiale di
spessore massimo pari a 5 m.
B - Depositi di sabbie o ghiaie molto addensate o argille molto consistenti, con
spessori di diverse decine di metri, caratterizzati da un graduale miglioramento
delle proprietà meccaniche con la profondità e da valori di Vs30 compresi tra 360
m/s e 800 m/s (ovvero resistenza penetrometrica NSPT > 50, o coesione non
drenata cu>250 kPa).
C - Depositi di sabbie e ghiaie mediamente addensate, o di argille di media
consistenza, con spessori variabili da diverse decine fino a centinaia di metri,
caratterizzati da valori di Vs30 compresi tra 180 e 360 m/s (15 < NSPT < 50, 70
<cu<250 kPa).
D - Depositi di terreni granulari da sciolti a poco addensati oppure coesivi da poco
a mediamente consistenti, caratterizzati da valori di Vs30 < 180 m/s (NSPT < 15,
cu<70 kPa).
E - Profili di terreno costituiti da strati superficiali alluvionali, con valori di Vs30
simili a quelli dei tipi C o D e spessore compreso tra 5 e 20 m, giacenti su di un
substrato di materiale più rigido con Vs30 > 800 m/s.
Tab. 2.6: Valori dei coefficienti SS e CC (NTC2008)
Categoria di suolo SS CC
A 1.00 1.00
ag
B 1.00 ≤ 1.40 − 0.40 ⋅ F0 ⋅
g
≤ 1.20 ( )
1.10 ⋅ TC*
−0.20

ag
C 1.00 ≤ 1.70 − 0.60 ⋅ F0 ⋅
g
≤ 1.50 ( )
1.05 ⋅ TC*
−0.33

ag
D 0.90 ≤ 2.40 − 1.50 ⋅ F0 ⋅
g
≤ 1.80 ( )
1.25 ⋅ TC*
−0.50

ag
E 1.00 ≤ 2.00 − 1.10 ⋅ F0 ⋅
g
≤ 1.60 ( )
1.15 ⋅ TC*
−0.40
Pag. 52 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Tab. 2.7: Valori del coefficiente ST (NTC2008)


Categoria Topografica Ubicazione dell’opera ST
T1: Superficie pianeggiante, pendii e rilievi
- 1.0
isolati con inclinazione media ≤15°
T2: Pendii con inclinazione media >15° In corrispondenza della
1.2
sommità del pendio
T3: Rilievi con larghezza in cresta molto minore In corrispondenza della
1.2
che alla base e con inclinazione media 15° cresta del rilievo
≤ i ≤ 30°
T4: Rilievi con larghezza in cresta molto minore In corrispondenza della
1.4
che alla base e inclinazione media i > 30° cresta del rilievo

Nelle definizioni precedenti Vs30 è la velocità media di propagazione entro 30 m di


profondità delle onde di taglio e viene calcolata con la seguente espressione:
30
VS30 =
h (2.8)
∑ Vi
i =1, N i

dove hi e Vi indicano lo spessore (in m) e la velocità delle onde di taglio (per deformazioni
di taglio γ < 10-6) dello strato i-esimo, per un totale di N strati presenti nei 30 m superiori.
I periodi TB, TC e TD, che individuano i differenti rami dello spettro, vengono definiti
dalle NTC2008 in funzione del periodo TC* mediante le seguenti espressioni:
- TC = C C ⋅ TC* ;
- T B = TC / 3 ;
- T D = 4.0 ⋅ a g / g + 1.6
Infine, per quanto riguarda il fattore di struttura q, le NTC2008 confermano i valori
e le espressioni introdotte dall’OPCM 3274/03 e 3431/05, pari a:
• Edifici in muratura ordinaria regolari in elevazione q = 2.0 αu/α1
• Edifici in muratura ordinaria non regolari in elevazione q = 1.5 αu/α1
• Edifici in muratura armata regolari in elevazione q = 2.5 αu/α1
• Edifici in muratura armata non regolari in elevazione q = 2.0 αu/α1
• Edifici in muratura armata progettati secondo i
principi di gerarchia delle resistenze q = 3.0 αu/α1
dove i coefficienti α1 e αu sono definiti come segue:
Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 53

α1 è il moltiplicatore della forza sismica orizzontale per il quale, mantenendo


costanti le altre azioni, il primo pannello murario raggiunge la sua resistenza
ultima (a taglio o a pressoflessione).
αu è il 90% del moltiplicatore della forza sismica orizzontale per il quale,
mantenendo costanti le altre azioni, l'edificio raggiunge la massima forza
resistente.
Il valore di αu/α1 può essere calcolato per mezzo di un analisi statica non lineare
(non può in ogni caso essere assunto superiore a 2,5) oppure può essere assunto pari ad uno
dei seguenti valori:
• edifici in muratura ordinaria ad un piano αu /α1 = 1,4
• edifici in muratura ordinaria a due o più piani αu /α1 = 1,8
• edifici in muratura armata ad un piano αu /α1 = 1,3
• edifici in muratura armata a due o più piani αu /α1 = 1,5
• edifici in muratura armata progettati con la gerarchia
delle resistenze αu /α1 = 1,3
Nella Circolare esplicativa delle NTC2008 del 26/2/2009 al paragrafo C.8.7.1.2, si
consiglia, in assenza di più precise valutazioni, di assumere αu /α1 = 1,5.
Nella determinazione del fattore di struttura, si precisa che per edifici regolari in
altezza si intendono quelli che rispettano le seguenti caratteristiche:
1. tutti i sistemi resistenti verticali dell’edificio si estendono per tutta l’altezza
dell’edificio;
2. massa e rigidezza rimangono costanti o variano gradualmente, senza bruschi
cambiamenti, dalla base alla cima dell’edificio (le variazioni di massa da un
piano all’altro non superano il 25 %, la rigidezza non si abbassa da un piano al
sovrastante più del 30% e non aumenta più del 10%); ai fini della rigidezza si
possono considerare regolari in altezza strutture dotate di pareti o nuclei in c.a. di
sezione costante sull’altezza o di telai controventati in acciaio, ai quali sia
affidato almeno il 50% dell’azione sismica alla base;
3. eventuali restringimenti della sezione orizzontale dell’edificio avvengono in
modo graduale da un piano al successivo, rispettando i seguenti limiti: ad ogni
piano il rientro non supera il 30% della dimensione corrispondente al primo
piano, né il 20% della dimensione corrispondente al piano immediatamente
sottostante. Fa eccezione l’ultimo piano di edifici di almeno quattro piani per il
quale non sono previste limitazioni di restringimento.
Per quanto concerne l’analisi sismica, le NTC2008 prevedono i seguenti quattro metodi di
analisi:
a) statica lineare (per costruzioni regolari in altezza con il primo periodo di vibrazione,
nella direzione in esame, della struttura (T1) non superi 2,5 TC o TD);
b) dinamica modale;
c) statica non lineare;
d) dinamica non lineare.
Pag. 54 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Per la valutazione del primo periodo di vibrazione, piuttosto che eseguire un’analisi
modale, è possibile ricorrere alla formulazione proposta dalla normativa:

T1 =C1H3 4 (2.9)

in cui H è l’altezza in metri dell’edificio dal piano di fondazione e C1 è un coefficiente


dipendente dalla tipologia strutturale (0,05 per edifici in muratura).
Le analisi di tipo statico, consistono nell’applicazione di un sistema di forze
distribuite lungo l’altezza dell’edificio assumendo una distribuzione lineare degli
spostamenti. La forza da applicare a ciascun piano è data dalla seguente espressione:
Fi = Fh (zi Wi) / Σj (zj Wj) (2.10)
dove: Fh = Sd(T1) W λ/g
Fi è la forza da applicare al piano i
Wi e Wj sono i pesi delle masse ai piani i e j rispettivamente
zi e zj sono le altezze dei piani i e j rispetto alle fondazioni
Sd(T1) è l’ordinata dello spettro di risposta di progetto
W è il peso complessivo della costruzione.
λ è un coefficiente pari a 0,85 se l’edificio ha almeno tre piani e se T1 < 2 TC ,
pari a 1,0 in tutti gli altri casi e g è l’accelerazione di gravità.

2.2.2 Azioni sismiche secondo l’OPCM 3274/03 e 3431/05


L’OPCM 3274/03, in linea con le più evolute normative Americana ed Europea, richiedeva
la verifica di sicurezza nei confronti di due stati limite: lo Stato Limite Ultimo (SLU) e lo
Stato Limite di Danno (SLD). La sicurezza nei confronti dello SLU richiedeva che sotto
l'effetto dell’azione sismica di progetto caratterizzata da una probabilità di superamento non
maggiore del 10% in 50 anni, le strutture degli edifici, pur subendo danni di grave entità
agli elementi strutturali e non strutturali, dovevano mantenere una residua resistenza e
rigidezza nei confronti delle azioni orizzontali e l’intera capacità portante nei confronti dei
carichi verticali. Per quanto concerne invece la sicurezza nei confronti dello SLD,
occorreva verificare che le costruzioni nel loro complesso, includendo gli elementi
strutturali e quelli non strutturali, non devevano subire danni gravi ed interruzioni d'uso in
conseguenza di eventi sismici che avessero una probabilità di occorrenza più elevata di
quella della azione sismica di progetto, ma non maggiore del 50% in 50 anni.
La verifica allo stato limite ultimo (SLU) o di danno (SLD) deveva essere effettuata
per la seguente combinazione dell’azione sismica con le altre azioni:

γ I E + G K + PK + ∑i (ψ Ei QKi ) (2.11)
dove:
γI fattore di importanza (pari ad 1 per edifici ordinari, 1.2 per edifici importanti in
relazione alle conseguenze di un eventuale collasso quali scuole, teatri, etc, e pari
Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 55

ad 1.4 per edifici necessari alla protezione civile in occasione di eventi sismici
quali ospedali, municipi, caserme dei vigigli del fuoco, etc.);
E azione sismica per lo stato limite in esame;
GK carichi permanenti al loro valore caratteristico;
PK valore caratteristico dell’azione di precompressione, a cadute di tensione avvenute;
ψEi coefficiente di combinazione che fornisce il valore quasi-permanente della azione
variabile Qi;
QKi valore caratteristico della azione variabile Qi.
I valori dei coefficienti ψ 2i sono riportati in Tab. 2.8.
Per quanto concerne gli effetti dell’azione sismica, secondo l’OPCM 3274, il modello di
progetto allo stato limite ultimo per la descrizione del moto sismico in un punto della
superficie del suolo era costituito dal seguente spettro di progetto allo stato limite ultimo:
⎡ T ⎛ 2,5 ⎞⎤
0 ≤ T < TB Sd (T) = a g ⋅ S ⋅ ⎢1 + ⋅ ⎜⎜ − 1⎟⎟⎥
⎢⎣ TB ⎝ q ⎠⎥⎦
2,5
TB ≤ T < TC S d (T ) = a g ⋅ S ⋅
q

2,5 ⎛ TC ⎞
TC ≤ T < TD Sd (T ) = a g ⋅ S ⋅ ⎜ ⋅⎟
q ⎝ T ⎠

2,5 ⎛ TC TD ⎞
TD ≤ T Sd (T ) = a g ⋅ S ⋅ ⋅⎜ ⎟
q ⎝ T2 ⎠
nelle quali:
ag accelerazione orizzontale massima su suolo molto rigido (categoria A come di
seguito definite) forniti in Tab.2.9 in funzione della zona sismica;
S fattore che tiene conto del profilo stratigrafico del suolo di fondazione fornito in
Tab.2.10, in relazione alle seguenti categorie di suolo.

Tab. 2.8: Coefficienti ψ 2i per varie destinazioni d'uso

Destinazione d'uso ψ 2i
Abitazioni, Uffici 0,30
Uffici aperti al pubblico, Scuole, Negozi, Autorimesse 0,60
Tetti e coperture con neve 0,20
Magazzini, Archivi, Scale 0,80
Vento, variazione termica 0,00

Per quanto concerne la valutazione del fattore di struttura l’OPCM 3274 e 3431
prevedeva le stesse formulazioni contenute nelle NTC2008 ed indicate nel paragrafo
Pag. 56 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

precedente con la differenza che il valore di αu/α1 in alternativa alla valutazione a mezzo di
un analisi statica non lineare poteva essere assunto pari ad uno dei seguenti valori:
• edifici in muratura ordinaria ad un piano αu /α1 = 1,4
• edifici in muratura ordinaria a due o più piani αu /α1 = 1,8
• edifici in muratura armata ad un piano αu /α1 = 1,3
• edifici in muratura armata a due o più piani αu /α1 = 1,5
• edifici in muratura armata progettati con la gerarchia
delle resistenze αu /α1 = 1,3
Per quanto concerne lo spettro di progetto da adottare per la limitazione dei danni (SLD)
esso poteva essere ottenuto riducendo con un fattore pari a 2,5 il seguente spettro elastico:
⎛ T ⎞
0 ≤ T < TB S e (T) = a g ⋅ S ⋅ ⎜⎜1 + ⋅ (η ⋅ 2,5 − 1)⎟⎟
⎝ TB ⎠
TB ≤ T < TC S e (T) = a g ⋅ S ⋅ η ⋅ 2,5
⎛T ⎞
TC ≤ T < TD S e (T ) = a g ⋅ S ⋅ η ⋅ 2,5 ⎜ C ⋅ ⎟
⎝ T ⎠
⎛T T ⎞
TD ≤ T S e (T ) = a g ⋅ S ⋅η ⋅ 2,5 ⋅ ⎜⎜ C 2D ⎟⎟
⎝ T ⎠
dove η è il fattore che tiene conto di un coefficiente di smorzamento viscoso equivalente ξ
diverso da 5 (η=1 per ξ=5), fornito dalla seguente relazione con ξ espresso in
percentuale: η = 10 /(5 + ξ) ≥ 0,55 .
Per la definizione del sistema di forze da impiegare nelle analisi di tipo statico, la
distribuzione lungo l’altezza veniva definita mediante la stessa Eq.(2.10) dove il peso
complessivo della costruzione W veniva fornito dai seguenti carichi gravitazionali:
Tab. 2.9: Valori dell’accelerazione orizzontale massima

Zona Valore di ag
1 0,35g
2 0,25g
3 0,15g
4 0,05g

Tab. 2.10: Valori dei parametri dello spettro di risposta elastico (componenti orizzontali)
Categoria suolo S TB TC TD
A 1,0 0,15 0,40 2,0
B, C, E 1,25 0,15 0,50 2,0
D 1,35 0,20 0,80 2,0
Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 57

Tab. 2.11: Coefficienti ϕ per edifici

Carichi ai piani ϕ
Copertura 1,0
Archivi 1,0
Carichi correlate 0,8
Carichi indipendenti 0,5

G K + ∑i(ψ Ei Q Ki ) (2.12)

dove ψΕι coefficiente di combinazione dell’azione variabile Qi, che tiene conto della
probabilità che tutti i carichi ψΕiQKi siano presenti sull’intera struttura in occasione del
sisma, e si ottiene moltiplicando ψ 2i (fornito in Tab. 2.8) per ϕ (fornito in Tab. 2.11).

2.2.3 Azioni statiche secondo il D.M. 20/11/1987


Le azioni non sismiche da considerare sulla struttura prima dell’entrata in vigore delle
NTC2008, venivano indicate per gli edifici in muratura, dal D.M. 20/11/87. Tale decreto ha
continuato a regolamentare le combinazioni di carico e le verifiche degli edifici in muratura
anche durante il periodo di applicabilità delle OPCM3274 e 3431. Per quanto concerne
invece le azioni sismiche, prima dell’emanazione delle OPCM3274 e 3431 le normative di
riferimento erano rappresentate dal D.M. 16/01/96 “Norme tecniche relative ai criteri
generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni e dei carichi e sovraccarichi” e dalla
Circolare esplicativa del Min.LL.PP. del 04/07/96 n. 156 AA.GG./STC.
Al fine di considerare le possibili combinazioni di carico per le murature nelle verifiche agli
stati limite ultimi il D.M. 20/11/87 forniva la seguente definizione delle azioni di calcolo:
− Combinazione A: azione base + carichi variabili
Fd = 1.5G k + 1.5 ⋅ (ψQ k + 0.75Wk ) (2.13)
dove Gk rappresenta i carichi permanenti, Qk quelli variabili, Wk il vento e ψ il
coefficiente di combinazione per i carichi variabili che assume valore:
• ψ =1 per la copertura e per i primi due solai più caricati;
• ψ =0.9, 0.8,…, 0.5 per i solai successivi.
− Combinazione B: azione base + vento + carichi variabili
Fd = 1.5G k + 1.5 ⋅ (0.6Q k + Wk ) (2.14)

− Combinazione C: azione base + vento (senza carichi variabili)


Fd = G k + 1.5Wk (2.15)
Pag. 58 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Le verifiche ai carichi verticali impiegavano la più sfavorevole tra le condizioni A e B,


mentre le verifiche alle azioni orizzontali, escluso il sisma, venivano condotte impiegando
anche la condizione C.

2.2.4 Azioni sismiche secondo il D.M. 16/01/96 e C.M.10/4/97


Il D.M. 16/01/96, prevedeva la possibilità di effettuare la verifica sismica sia secondo il
metodo delle tensioni ammissibili che agli stati limite ultimi. Escludendo la possibile
concomitanza di vento e sisma, la normativa prevedeva nell’ambito del metodo delle
tensioni ammissibili di combinare le sollecitazioni provocate dagli altri carichi escluso il
vento αp con quelle da sisma α secondo la relazione:
αp ± α (2.16)
Con riferimento invece al metodo semiprobabilistico agli stati limite, si prevedeva la
seguente formula di combinazione:
α' p ± γ E ⋅ α (2.17)

dove γE veniva fissato pari ad 1 per le murature dalla Circolare 10/04/97 n.65, α
rappresentavano le sollecitazioni indotte dal sisma mentre α’p le sollecitazioni indotte dalla
seguente combinazione di azioni:

⎡ n

γ g G k + γ p Pk + γ q ⋅ ⎢Q jk + ∑ (ψ 0i Q ki )⎥ ⇒ α'p (2.18)
⎣ i=2 ⎦

dove:
• Gk = valore caratteristico delle azioni permanenti;
• Pk = valore caratteristico delle forze di precompressione;
• Qjk = valore caratteristico del sovraccarico variabile di base;
• Qki = valori caratteristici delle azioni variabili tra loro indipendenti;
• γg = 1.4 - 1.0
• γp = 1.2 - 0.9
• γq = 1.5 – 09
• ψ = 0.7 (0 per il vento).
In zona sismica, dal momento che l’azione sismica per gli edifici in muratura è più severa
dell’azione del vento, risultava sufficiente considerare almeno le seguenti condizioni di
carico:
a) Condizioni sismiche:
Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 59

⎡ n ⎤
1) α' p ±α con α'p ⇐ 1.4G k + 1.2Pk + 1.5 ⋅ ⎢Q jk + ∑ ( 0.7Q ki ) ⎥ (2.19)
⎣ i=2 ⎦

2) α' p ± α con α'p ⇐ G k + 0.9Pk (2.20)3

b) Carichi verticali:

3) (
α p ⇐ 1.5G k + 1.5 ⋅ ψQ jk + 0.75Wk ) (2.21)

Tuttavia la condizione 3, finalizzata alla massimizzazione dei carichi verticali, risultava


generalmente non determinante rispetto alle condizioni 1 e 2. In Fig. 2.3, a scopo
esemplificativo, sono rappresentate le due condizioni di carico più significative che
potevano essere impiegate con riferimento ad un edificio multipiano con copertura non
praticabile.
Per quanto concerne le sollecitazioni α indotte dal sisma, esse potevano essere
valutate effettuando analisi dinamiche o statiche. Nell’ipotesi di procedere con analisi
statiche, il D.M. 16/01/96 forniva la seguente espressione per le forze sismiche di
impalcato:
Fi = C R ε β I γi Wi (2.22)
dove:
s−2
• C= coefficiente di intensità sismica (s = 12, 9, 6 per zona
100
sismica rispettivamente di I, II, III categoria);

qneve x 0.7 x 1.5


Fs3 gk x 1.4 Fs3 gk

qk x 1.5
Fs2 gk x 1.4 Fs2 gk

qk x 1.5
Fs1 gk x 1.4 Fs1 gk

Condizione 1 Condizione 2
Fig. 2.3: Schema delle condizioni di carico sismiche
Pag. 60 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

• R coefficiente di risposta sismica;


• ε coefficiente di fondazione (variabile tra 1÷1.3);
• β coefficiente di struttura;
• I coefficiente di protezione sismica;
• γi coefficiente di distribuzione delle azioni sismiche al piano
i-esimo γi = (zi Σj Wj) / Σj (zj Wj);
• Wi = Gk,i + s Qk,i peso sismico del piano i-esimo, con s pari al coefficiente
di riduzione del sovraccarico e Gk,i e Qk,i i valori
caratteristici dei carichi permanenti ed accidentali.
In relazione al coefficiente di struttura β per gli edifici in muratura, il D.M. 16/01/96 con
riferimento agli interventi di adeguamento sismico di edifici esistenti, stabiliva che esso
andasse assunto pari a 4. Più precisamente:
β = β1 ⋅ β 2 (2.23)
dove β1 =2 teneva conto delle scarse risorse di duttilità delle costruzioni in muratura e β2 =2
teneva conto della modalità di verifica che come già sottolineato, nel caso degli edifici
esistenti consisteva in una verifica allo stato limite ultimo di collasso.
In relazione al coefficiente γι di distribuzione, va inoltre precisato che, in presenza di
masse ai diversi piani di una struttura, tale coefficiente forniva una distribuzione di azioni
statiche aderenti al comportamento globale della struttura affine al 1° modo di vibrare della
stessa. Quando si operano verifiche locali di pareti di singoli piani soggette ad azioni
sismiche, la forza statica equivalente alle azioni sismiche non veniva calibrata con il
coefficiente γι.

2.2.5 Azioni sismiche fuori piano secondo le NTC2008 e l’OPCM 3274-


3431
Per quanto riguarda le azioni sismiche per le verifiche fuori piano dei pannelli murari, le
NTC2008 e l’OPCM 3274 e 3431 forniscono le stesse indicazioni basandosi sulla
definizione delle azioni calcolate per gli elementi non strutturali (NTC2008: §7.8.1.5.2). In
particolare, l’azione sismica ortogonale alla parete è rappresentata da una forza orizzontale
distribuita, la cui risultante, applicata nel baricentro dell’elemento, è pari a:
S a ⋅Wa
Fa = (2.24)
qa

essendo:
qa =3 fattore di struttura dell’elemento;
Wa peso dell’elemento;
Sa coefficiente sismico fornito dalla seguente espressione:
Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 61

⎡ ⎤
⎢ 3 ⎛⎜1 + z ⎞⎟ ⎥
ag ⎢ ⎝ H ⎠ ⎥
Sa = S ⎢ 2
− 0.5⎥ (2.25)
g ⎢ ⎛ T ⎞ ⎥
a
⎢1 + ⎜ 1 − T ⎟ ⎥
⎣ ⎝ 1 ⎠ ⎦
con:
z altezza del baricentro dell’elemento rispetto alla fondazione;
H altezza della struttura;
g accelerazione di gravità
Ta primo periodo di vibrazione dell’elemento non strutturale nella direzione
considerata, valutato anche in modo approssimato;
T1 primo periodo di vibrazione della struttura nella direzione considerata:
Il periodo fondamentale di vibrazione della struttura T1, nella direzione considerata,
può essere valutato secondo l’Eq.(2.9), mentre il periodo di vibrazione dell’elemento in
esame dipende dal grado di vincolo, esplicato dalle pareti ortogonali e dagli orizzontamenti,
su cui il pannello stesso può fare affidamento.
Nel caso in cui il pannello può essere considerato incernierato solo in testa e al piede
in corrispondenza degli impalcati, per la presenza di un cattivo ammorsamento con le pareti
ortogonali, il periodo di vibrazione del pannello può essere espresso mediante la seguente
formulazione:

2π 2π 2H a2
Ta = = =
ωa π2 EI ⎛ N ⎞ EI ⎛ N ⎞ (2.26)
⎜1 − ⎟ π ⎜1 − ⎟
H a2 m ⎝ N cri ⎠ m ⎝ N cri ⎠

in cui m è la massa del pannello per unità di altezza, H a è la sua altezza, N è lo sforzo
normale in esso agente ed N cri = π 2 EI / H a2 è il suo carico critico.
Invece, se le pareti ortogonali sono ben ammorsate nella parete in esame, il pannello
risulta incernierato su tutti e quattro i lati. In tal caso, il periodo di vibrazione è definito
dalla seguente espressione:
2π 2
Ta = =
ωa ⎛ 1 1⎞ g E t3 (2.27)
π ⎜⎜ 2
+ 2⎟
⎟ 2
⎝ H a l ⎠ 12γ m t (1 −ν )
essendo t lo spessore del pannello, l la sua lunghezza e γ m il peso specifico.
In modo semplificato, estendendo la formula approssimata per la stima del periodo
di oscillazione della struttura (2.9) anche al periodo di vibrazione della parete, si può
assumere:
Pag. 62 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

34
Ta Ca H a3 4 ⎛ H a ⎞
= =⎜ ⎟ (2.28)
T1 C1 H 3 4 ⎝ H ⎠

dove Ca e C1 hanno lo stesso significato specificato nella (2.9) e assumono valore di 0.05.
In definitiva, l’azione sismica fuori piano, risulta pari a:
⎡ ⎤
⎢ ⎥
⎢ ⎛ z ⎞ ⎥
3⎜1 + ⎟
ag ⎢ ⎝ H ⎠
⎥W
Fa = S ⎢ − 0 .5 ⎥ a (2.29)
g ⎢ ⎛ 3

2
⎥ qa
⎢ ⎜ ⎛ Ha ⎞4 ⎟ ⎥
⎢1 + ⎜1 − ⎜⎜ ⎟⎟ ⎟ ⎥
⎢ ⎜ ⎝ H1 ⎠ ⎟ ⎥
⎣ ⎝ ⎠ ⎦

Procedendo secondo l’OPCM 3274 e 3431, a differenza delle NTC2008 che tengono
conto direttamente in ag dell’importanza della costruzione ai fini della protezione civile, le
azioni fuori piano fornite dall’Eq. 2.34 devono essere amplificate del coefficiente γI (fattore
di importanza) pari a 1.0 per edifici ordinari; 1.2 per edifici importanti per le conseguenze
di un eventuale collasso: scuole, teatri, ecc.; 1.4 per edifici importanti per la protezione
civile: ospedali, municipi, caserme, ecc..

2.3 Le resistenze dei materiali


Con riferimento alla resistenza da adottare nelle verifiche, il D.M. 20/11/87 per i nuovi
edifici con elementi artificiali o elementi resistenti naturali di pietra squadrata fissava i
seguenti valori a seconda del metodo di verifica.
Nell’ambito delle tensioni ammissibili fissava i valori della tensione base
ammissibile a compressione σ m e a taglio τ m pari a:

fk f vk
σm = ; τm = (2.30)
5 5
Nell’ambito invece del metodo semiprobabilistico agli stati limite venivano definiti i
seguenti valori della resistenza a compressione di calcolo fd e della resistenza a taglio di
calcolo fvd:
fk f vk
fd = ; f vd = (2.31)
γm γm

con γm =3.
Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 63

Per quanto concerne gli interventi sugli edifici esistenti la Circolare esplicativa del
D.M. 20/11/87 (Circ. Min. LL. PP. del 04/01/89) affermava che trattandosi di opere già
realizzate da tempo con tecnologie e materiali tra le più disparate, non possono avere valore
cogente le prescrizioni valide per le nuove costruzioni: esse pertanto potevano costituire
solo un utile riferimento.
Così in relazione all’analisi dei materiali, il D.M. 20/11/87 affermava in modo
generico che la resistenza della muratura andava determinata in relazione al tipo, qualità ed
allo stato di conservazione del sistema murario.
E’ importante osservare che nella verifica degli edifici esistenti veniva adottato un
valore γm =1. Appare, pertanto, come evidenziato dalla Circolare esplicativa del D.M.
16/01/96, che il livello di sicurezza richiesto per gli edifici di nuova costruzione soggetti a
verifica era del 50% superiore a quello richiesto per gli edifici esistenti. Infatti, mentre per
le nuove costruzioni occorreva adottare β =2 (incremento azioni) e γm=3 (riduzione
resistenza), per le costruzioni esistenti occorreva impiegare β=4 (incremento azioni) e γm=1
(riduzione resistenza). Ipotizzando per semplicità un rapporto lineare tra le azioni e gli
effetti dalle stesse provocati e tra resistenza del materiale base e quella degli elementi, si
ottiene:
• edifici nuovi:
R ⎛R⎞
2S ≤ ⇒ ⎜ ⎟ =6 (2.32)
3 ⎝ S ⎠N
• edifici esistenti:

⎛R⎞ (2.33)
4S ≤ R ⇒ ⎜ ⎟ = 4
⎝ S ⎠E
e quindi:
(R/S)N 3
= (2.34)
(R/S)E 2

Nell’OPCM 3274/03 e nelle NTC2008, ai fini delle verifiche di sicurezza, si precisa che è
in ogni caso obbligatorio l’utilizzo del “metodo semiprobabilistico agli stati limite”. Per
quanto concerne il valore del coefficiente parziale di sicurezza, l’OPCM 3274/03 indica γm
= 2. Più articolata è invece la definizione del γm nelle NTC2008 che risulta variabile tra 2.0
e 3.0 in funzione della classe di esecuzione e delle caratteristiche degli elementi resistenti e
della malta come riportato in Tab. 2.12. Per quanto concerne la classe di esecuzione,
vengono distinte due classi: classe di esecuzione 2 quando la realizzazione della muratura
avviene sotto la guida di un capocantiere e di un direttore dei lavori, classe di esecuzione 1
quando oltre alla presenza delle due precedenti figure professionali vengono effettuati
controlli e valutazioni in loco delle proprietà della malta che deve essere dosata a volume
con l’impiego di contenitori graduati. In relazione alla categoria degli elementi resistenti
che viene richiamata in Tab. 2.12, si precisa che le NTC2008 definiscono gli elementi
Pag. 64 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

resistenti di categoria 1 come quegli elementi per i quali la resistenza a compressione,


corrispondente al frattile 5%, viene valutata con un controllo statistico mentre gli elementi
di categoria 2 sono quelli non assoggettati a tale controllo.
Tuttavia per il progetto sismico di strutture in muratura va adottato un valore del
coefficiente parziale di sicurezza pari a 2 (NTC2008: §7.8.1.1).
Al fine di effettuare un rapido confronto tra il D.M. 1996 e le NTC2008 in termini di
severità della verifica sismica, si può esaminare il parametro γm ⋅ Fh/W che rappresenta il
prodotto tra due quantità che rendono la verifica tanto più severa quanto più grandi sono le
quantità stesse. Infatti, tale parametro corrisponde al prodotto tra l’entità della forza statica
equivalente a meno della massa e l’entità della riduzione della resistenza del materiale γm.
In Fig. 2.4 viene sinteticamente riportato il confronto adottando per le NTC2008 il
valore γm = 2 più cautelativo e comunque coincidente con quello indicato dall’OPCM3274.
Si osserva che con riferimento agli edifici regolari in elevazione, il parametro
γm ⋅ Fh/W assume valori simili a quelli forniti dal D.M. 16/1/96 per la verifica egli difici
Tab. 2.12: Valori del coefficiente γM (NTC2008)
MATERIALE Classe di esecuzione
1 2
Muratura con elementi resistenti di categoria I e 2.0 2.5
malta a prestazione garantita
Muratura con elementi resistenti di categoria I e 2.2 2.7
malta a composizione prescritta
Muratura con elementi resistenti di categoria II 2.5 3.0
e qualsiasi tipo di malta

Fig. 2.4: Quadro di raffronto tra D.M. 16/01/96 e NTC2008


Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 65

esistenti. Nel caso invece di edifici non regolari in elevazione, la verifica secondo le
NTC2008 risulta più severa di quella prevista dal D.M. 16/1/96 per gli edifici esistenti. Si
osserva inoltre, sempre dalla Figura 2.4, come il D.M.16/1/96 richiedeva per gli edifici
nuovi una verifica più severa di quella relativa agli edifici esistenti con un valore del
parametro γm ⋅ Fh/W pari a circa 1.5 volte quello corrispondente agli edifici esistenti.

2.4 Comportamento delle pareti per effetto di carichi


verticali ed orizzontali
Il vento ed il sisma possono indurre sulle pareti di un edificio in muratura sia azioni
orizzontali agenti nel piano della parete che azioni orizzontali ortogonali al piano della
parete. Sia l’entità e la distribuzione di tali azioni che il comportamento della parete
risultano fortemente influenzati dalla rigidezza dell’impalcato e dall’efficacia dei
collegamenti tra pareti ortogonali.
Innanzitutto, si osserva che in presenza di un impalcato sufficientemente rigido e
ben collegato alle pareti verticali, le azioni orizzontali indotte dal sisma e corrispondenti
alle masse dell’impalcato, come sarà meglio mostrato nel seguito, graveranno
essenzialmente sui setti orientati nella direzione del sisma. In tal caso, quindi, le masse di
impalcato solleciteranno le pareti nel proprio piano senza alcuna azione ortogonale alla
parete stessa. Tuttavia in direzione ortogonale alla parete agiranno le azioni orizzontali
indotte dal sisma e relative alla sola massa della parete stessa. Se, invece, l’impalcato non è
sufficientemente rigido, le masse dell’impalcato provocheranno azioni orizzontali dirette
nella direzione del sisma e gravanti sui setti tra i quali sono orditi i solai.
L’efficacia dei vincoli tra le strutture orizzontali e quelle verticali non solo è
indispensabile ai fini di una ripartizione delle azioni, ma risulta determinante nella
definizione dello schema strutturale della parete. Infatti, nell’ipotesi di vincoli inefficaci la
parete, per effetto delle azioni sismiche dirette ortogonalmente alla parete stessa, si
comporta come descritto in Fig.2.5a ovvero come unica parete comprendente tutti i livelli
dell’edificio e vincolata esclusivamente alla base. Invece, nell’ipotesi di collegamenti
efficienti tra strutture verticali ed orizzontali per la parete si può assumere lo schema
strutturale rappresentato in Fig.2.5b.
Il collegamento della parete in esame al solaio impone la congruenza degli
spostamenti della parete a livello di impalcato con quelli del solaio stesso il quale, se
adeguatamente collegato alle pareti ortogonali a quella in esame, limita tali spostamenti a
valori trascurabili per effetto dell’elevata rigidezza nel loro piano delle pareti ortogonali.
Se risulta efficiente oltre il collegamento tra solaio e parete in esame, anche il
collegamento tra pareti ortogonali, la parete si comporta come una “piastra” vincolata sui
quattro lati (Fig. 2.6). In tal caso, se sui lati opposti della parete sono impediti gli
spostamenti trasversali può stabilirsi nella parete un effetto arco che conferisce alla stessa
un significativo contributo alla resistenza sotto azioni orizzontali ortogonali al piano della
parete.
Pag. 66 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

In assenza di un efficace collegamento tra solaio e pareti, soprattutto in passato, si


sopperiva realizzando delle catene. Tale intervento svolge la funzione di collegare
puntualmente i maschi murari tra di loro ortogonali. Come si evince dalla Fig. 2.7, la
presenza della catena impone in corrispondenza di essa la congruenza dello spostamento
della parete in direzione ortogonale al sisma con quello della parete orientata nella
direzione del sisma.
E’ evidente quindi che tale intervento risulta efficiente al fine di vincolare la parete a
quelle ortogonali se contemporaneamente la fascia orizzontale di muratura a livello di
impalcato è sufficientemente resitente alle azioni ortogonali trasmesse a livello di impalcato
alla parete stessa. Rimandando in seguito i dettagli delle verifiche relative all’intervento di
inserimento di catene negli edifici, ai fini del comportamento globale dell’edificio si può
affermare che la presenza di catene e fasce murarie efficienti consente di schematizzare il
comportamento della parete con la presenza di vincoli trasversali a livello di piano come
rappresentato in Fig.2.5b.
Per quanto concerne il comportamento della parete per azioni nel piano un ruolo
determinante è rappresentato dalla presenza o meno di fasce di piano resistenti e rigide.
Infatti, il comportamento della parete passa da quello a telaio shear-type nel caso di traversi
infinitamente rigidi e resistenti (Fig. 2.8a), al caso di telai con nodi rigidi in presenza di
traversi infinitamente resistenti ma non infinitamente rigidi (Fig. 2.8b) a quello di semplici
mensole collegate da pendoli, in presenza di solai sufficientemente rigidi e ben collegati
(Fig. 2.8c), a quello infine di singole mensole indipendenti, in presenza di solai deformabili
nel piano o mal collegati (Fig. 2.8d).
Ai fini delle azioni sismiche afferenti alle singole pareti è chiaro che nei casi (a), (b)
e (c) di Fig.2.8, la ripartizione delle azioni complessive dell’intera parete tra i singoli
elementi avverrà in funzione della rigidezza degli elementi stessi mentre, nel caso (d), ogni
pannello murario sarà gravato nel suo piano dall’azione sismica derivante dalle masse che
ad esso competono.

(a) (b)

Fig. 2.5: Interazione parete-impalcato


Capitolo 2: Le azioni statiche e sismiche Pag. 67

Fig. 2.6: Comportamento statico di pareti ben ammorsate e ben collegate agli impalcati

Fig. 2.7: Meccanismo di funzionamento delle catene

Dall’analisi sviluppata emerge quindi che tre sono i parametri che condizionano il
comportamento degli edifici in muratura e conseguentemente la corrispondente
modellazione (Fig. 2.8):
1. presenza o meno di un impalcato “inifinitamente” rigido nel suo piano e ben
collegato ai maschi murari;
2. rigidezza e resistenza delle fasce di piano;
3. efficienza o meno dell’ammorsamento tra pareti ortogonali.
I primi due parametri influenzano essenzialmente il comportamento dei maschi nel
piano, il terzo il comportamento fuori piano.
In particolare, il primo parametro determina la complessità del modello da
esaminare in quanto in presenza di impalcato “infinitamente” rigido nel suo piano e ben
collegato ai maschi, dovrà essere esaminata la struttura nella sua spazialità in quanto le
azioni nel piano, indotte dal sisma sulle singole pareti, derivano da una ripartizione delle
azioni di piano in funzione della rigidezza delle pareti stesse. Invece, in assenza di un
Pag. 68 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

impalcato “infinitamente” rigido o in assenza di un buon collegamento tra impalcato e


maschi, le singole pareti possono essere esaminate indipendentemente dalle altre.
Il secondo parametro, ovvero rigidezza e resistenza delle fasce, influenzando il
comportamento della parete nel piano, interviene sia nella valutazione della rigidezza delle
pareti ai fini della ripartizione delle azioni sismiche, sia nella valutazione delle
sollecitazioni nei singoli elementi strutturali della parete ovvero maschi e fasce.
Infine, il terzo parametro influenza principalmente il comportamento fuori piano
della parete. In presenza di impalcati “infinitamente” rigidi nel loro piano e ben collegati,
un buon ammorsamento della parete a quelle ortogonali consente lo sviluppo di un doppio
meccanismo resistente ad arco nello spessore della parete, uno nel piano verticale ed uno in
quello orizzontale (Fig. 2.8e). Invece, in assenza di un impalcato “infinitamente” rigido o in
presenza di un cattivo collegamento tra impalcato e maschi, l’ammorsamento dei maschi
con quelli ortogonali può rappresentare l’unica possibilità di resistenza della parete alle
azioni ortogonali mediante lo sviluppo di un meccanismo resistente ad arco nel piano
orizzontale (Fig. 2.8g). Infatti l’assenza di un buon ammorsamento dei maschi con quelli
ortogonali determina sicuramente la crisi della parete per ribaltamento fuori piano rispetto
alla sezione di incastro nelle fondazioni (Fig. 2.8h).

Comportamento per azioni fuori dal


Comportamento per azioni nel piano piano
Ripartizione azioni
orizzontali FASCE infin. rigide e FASCE di rigid. e FASCE deformab. e Ammorsamenti Ammorsamenti non
infinit. resistenti resistenza compar. non resistenti efficienti efficienti
Impalcato infinitamente
rigido e ben collegato

(e) (f)

(a) (b) (c)


Impalcato deformabile

(h)
e mal collegato

(g)

(a) (b) (d)

Fig. 2.8: Comportamento delle pareti per azioni nel piano e fuori piano
Capitolo 3

ANALISI DELLE PARETI MURARIE PER


AZIONI FUORI PIANO

3.1 Premessa
I meccanismi di collasso delle pareti alle azioni ortogonali possono essere di due tipi:
• collasso per ribaltamento di un’intera parete o di una sua parte per rotazione
rigida;
• collasso per pressoflessione del pannello murario fuori dal piano;
Entrambi i meccanismi di collasso sono significativamente influenzati dall’efficacia
dell’impalcato di costituire un vincolo nei confronti degli spostamenti orizzontali a livello
di piano. Tale efficacia dipende essenzialmente dalle seguenti caratteristiche:
a) infinita rigidezza dell’impalcato nel suo piano che impone a tutti i punti da esso
efficacemente collegati di spostarsi nel rispetto dello spostamento del baricentro
dell’impalcato e della rotazione rigida subita dall’impalcato intorno al baricentro
delle rigidezze;
b) efficace collegamento dell’impalcato lungo tutti i suoi lati alle pareti orientate in
entrambe le direzioni.
Un impalcato che soddisfi questi requisiti produce un duplice effetto sul
comportamento della parete. Il primo effetto, come già accennato, è rappresentato dalla
condizione di vincolo esercitato nei confronti dello spostamento a livello di impalcato.
Infatti, se l’impalcato è infinitamente rigido e ben collegato alle pareti, la parete sollecitata
da azioni ad essa ortogonali (quali ad esempio il vento che la investe, il sisma relativamente
alla massa della parete stessa) a livello di impalcato può subire uno spostamento
compatibile con quello delle pareti ad essa ortogonali le quali non solo non risultano
caricate ma presentano un’elevata rigidezza che rende del tutto trascurabile lo spostamento
alle estremità delle pareti sollecitate da forze ortogonali rispetto a quello della mezzeria
della parete stessa. Ne scaturisce pertanto uno schema di parete vincolata con cerniere in
corrispondenza degli impalcati soggetta ad azioni orizzontali distribuite dovute o al vento o
al sisma.
Il secondo effetto consiste nell’azione sismica indotta dalla massa dell’impalcato
che, nell’ipotesi di impalcato rigido, va ad interessare esclusivamente i setti orientati nella
direzione del sisma non gravando come azione ortogonale alla parete.
Nel seguito, si esamina dapprima la verifica a ribaltamento e poi quella a
pressoflessione.
Pag. 70 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

3.2 Verifica a ribaltamento


La verifica a ribaltamento rappresenta, in assenza di un impalcato infinitamente rigido e
ben collegato ai maschi murari, la verifica più severa per una parete.
Analizziamo una parete generica, ad esempio, come rappresentato, in Fig. 3.1,
costituita da due piani.
In generale, si può assumere che la distribuzione delle tensioni dovute allo scarico del
solaio sulla parete sia di tipo triangolare. Per il solaio di copertura, se esso appoggia
sull’intero spessore della muratura, si assume che la risultante sia applicata ad una distanza
dal bordo interno del muro pari ad un terzo dello spessore della muratura stessa.
La verifica al ribaltamento consiste nell’accertarsi che, in corrispondenza di ogni
piano per effetto di tutte le azioni agenti al di sopra dell’impalcato considerato, il momento
stabilizzante valutato rispetto al punto del paramento esterno del muro giacente sul piano di
appoggio dell’impalcato, sia maggiore di quello ribaltante. Nel caso in esame di una parete
di 2 piani, la verifica a ribaltamento va condotta rispetto ai punti A e B (Fig. 3.1).
Rispetto al punto A le espressioni dei momenti, stabilizzante e ribaltante, diventano:
t 2 (3.1)
M st = P2 ⋅ 2 + S 2 ⋅ ⋅ t 2
2 3
h2 (3.2)
M rib = λP2 ⋅ + λS 2 ⋅ h 2
2

Fig. 3.1: Ribaltamento di una parete


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 71

in cui t2 e h2 rappresentano lo spessore e l’altezza della parete al piano 2, mentre λ è il


coefficiente di conversione della forza peso in azione orizzontale da eccitazione sismica
che, in base al D.M. 16/01/96 (Punto C.9.5.3), risulta:
λ = c ⋅β (3.3)
dove c è il coefficiente di intensità sismica e β è il coefficiente di struttura (non
intervengono secondo norma gli altri coefficienti γ, I).
In base alle NTC2008, il coefficiente λ scaturisce dall’equazione (2.21) ed è pari a
λ = S a /q a mentre con l’OPCM 3274 e 3431 occorre aggiungere anche il coefficiente di
importanza per cui risulta λ = (γ I S a )/q a .
Affinché la verifica sia soddisfatta deve risultare:
M st
≥1 (3.4)
M rib
Rispetto al punto B, invece, risulta:
t2 2 t (3.5)
M st = P2 ⋅ + S2 ⋅ t 2 + S1 ⋅ d1 + P1 ⋅ 1
2 3 2

⎛ h ⎞ h
M rib = λP2 ⋅ ⎜ h1 + 2 ⎟ + λS2 ⋅ (h1 + h 2 ) + λP1 ⋅ 1 + λS1 ⋅ h1 (3.6)
⎝ 2 ⎠ 2

dove d1 rappresenta la distanza dal bordo esterno del muro della risultante degli sforzi
verticali trasmessi dal solaio del primo impalcato. Considerando una distribuzione
triangolare di tali sforzi, ed una profondità di penetrazione del solaio nella muratura pari a
b, la distanza d1 risulta pari a t1 − b / 3 .
Analogamente al punto A, deve risultare verificata anche rispetto al punto B la relazione
(3.4).
Nelle espressioni riportate è stata implicitamente fatta l’ipotesi di materiale
infinitamente resistente; infatti, assumere la rotazione intorno allo spigolo significa
assumere tensione infinita in quel punto.
In letteratura sono presenti diversi criteri per stabilire la posizione del punto di
rotazione. Un possibile criterio consiste nell’assumere una distribuzione di tensioni di tipo
triangolare con tensione massima pari alla fwc. Conseguentemente, il punto di rotazione può
essere scelto o coincidente con il punto di nullo del diagramma di tensioni oppure con il
punto di applicazione della risultante in modo tale da annullarne il contributo nella verifica
al ribaltamento.
Altro criterio è quello di assumere un diagramma delle tensioni rettangolare,
corrispondente all’intera zona plasticizzata. In ogni caso, più il centro di rotazione si sposta
all’interno del muro, più la verifica diventa severa. E’ opportuno osservare che la verifica a
ribaltamento, quando il collegamento tra i maschi murari non è efficiente e quando
l’impalcato non può essere considerato infinitamente rigido o è mal collegato, è così
Pag. 72 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

penalizzante che comporta sicuramente la necessità di un intervento strutturale rendendo


del tutto trascurabili le differenze che possono nascere nella verifica a ribaltamento per
effetto delle diverse assunzioni relative alla posizione del centro di rotazione. Ciò viene
confermato nella seguente applicazione numerica.

3.2.1 Verifica a ribaltamento: applicazione numerica ad una parete


monopiano
Consideriamo una parete di un piano, come rappresentata in figura ed effettuiamo la
verifica a ribaltamento considerando le azioni rappresentate nella stessa figura secondo il
DM96.
2/3t
2/3s S1 = 12.5 kN/m
S 1=12.5 kN/m
λS1
λW 1
P1 = 17 ⋅ 0.3 ⋅ 3.5 = 17.85 kN/m
ag/g=0.2; Ta/T1=1; S=1
⎡ ⎤
⎢ 3 ⎛⎜ 1 + z ⎞⎟ ⎥
Sa 1 ag ⎢ ⎝ H⎠ ⎥
λ= = S − 0.5⎥ =
qa qa g ⎢⎢ ⎛ T ⎞2 ⎥
a
λP 1
⎢1 + ⎜1 − T ⎟ ⎥
350

⎣ ⎝ 1 ⎠ ⎦
P 1=17kN/mc
1 ⎡ 3(1 + 0.5) ⎤
λ P1 = ⋅ 1 ⋅ 0.2 ⋅ ⎢ − 0.5⎥ = 0.27
⎣1 + (1 − 1)
2
3 ⎦
λP1 = 0.27 ⋅ 17.85 ≅ 5 kN/m
A
A'
t1 1
30 λS1 = ⋅ 1 ⋅ 0.2 ⋅ (6 − 0.5) = 0.30
3
λ S1 = 0.3 ⋅ Ws1 = 3.75 kN/m
t=30 cm
a) IPOTESI 1: ∞ resistenza della parete (verifica rispetto al lembo esterno A)
a.1) caso in cui il solaio scarichi sulla parete ortogonale a quella in esame:

t
M s = P1 ⋅ = 2.6775 kNm
2
H
M R = λ ⋅ P1 ⋅ = 8.750 kNm
2
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 73

M S 2.6775
= = 0.306
MR 8.750

a.2) caso in cui il solaio scarica sulla parete in esame:


t 2
M s = P1 ⋅ + S1 ⋅ t = 5.1775 kNm
2 3
H
M R = λ ⋅ P1 ⋅
+ λ ⋅ S1 ⋅ H = 5.00 ⋅1.75 + 3.75 ⋅ 3.5 = 21.875 kNm
2
M S 5.1775
= = 0.237
M R 21.875
La verifica non è soddisfatta considerando uno spessore di 30 cm. Consideriamo allora
s=60 cm. In tal caso si ottiene:
S1 = 12.5 kN/m
P1 = 17 ⋅ 0.6 ⋅ 3.5 = 35.70 kN/m
λP1 = λ ⋅ WP1 = 9.996 kN/m
λ S1 = 0.3 ⋅ Ws1 = 3.75 kN/m

Pertanto nei due casi di parete gravata o non gravata dal solaio risulta:
a.1) caso in cui il solaio scarichi sulla parete ortogonale a quella in esame:
t
M s = P1 ⋅ = 10.71 kNm
2
H
M R = λ ⋅ P1 ⋅ = 17.49 kNm
2
MS
= 0.612
MR

a.2) caso in cui il solaio scarica sulla parete in esame:


t 2
M s = P1 ⋅ + S1 ⋅ t = 15.71 kNm
2 3
H
M R = λ ⋅ P1 ⋅ + λ ⋅ S1 ⋅ H = 9.996 ⋅1.75 + 3.75 ⋅ 3.5 = 30.618 kNm
2
MS
= 0.51
MR
Pag. 74 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

b) IPOTESI 2: distribuzione uniforme delle tensioni (verifica rispetto al baricentro


del diagramma delle tensioni)
Per la verifica al ribaltamento intorno al
60 punto A’ bisogna innanzitutto valutare la
resistenza al bordo maggiormente
sollecitato, che poniamo pari a fwcd.
Nell’ipotesi di parete con s=60 cm,
dall’equilibrio per un diagramma uniforme
di tensione sulla muratura risulta:
f 40
fwcd = wck = = 20 daN / cm 2
γm 2
d N = fwcd ⋅ d ⇒
A' d=
N
=
35.70 + 12.5
= 2.41 cm
f wcd fwcd 0.20 ⋅ 100

Pertanto:

b.1) M s = P1 ⋅ ⎛⎜ t − d ⎞⎟ = 10.39 kNm


⎝2 2⎠
H
M R = λ ⋅ P1 ⋅ = 17.49 kNm
2
M S 10.39
= = 0.594
M R 17.49

b.2) M s = P1 ⋅ ⎛⎜ − ⎞⎟ + s1 ⋅ ⎛⎜ t − ⎞⎟ = 15.129 kNm


t d 2 d
⎝ 2 2 ⎠ ⎝ 3 2⎠
H
M R = λ ⋅ P1 ⋅ + λ ⋅ S1 ⋅ H = 9.996 ⋅1.75 + 3.75 ⋅ 3.5 = 30.618 kNm
2
MS
= 0.494
MR
In Tab.3.1 sono sinteticamente riportati i valori ottenuti. Si osserva che già nel caso
considerato di parete di un unico livello e di spessore elevato, qualunque assunzione
relativa al centro di rotazione porta sempre ad un esito insoddisfacente della verifica.
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 75

Tab. 3.1: Risultati della verifica a ribaltamento

Spessore Verifica rispetto al lembo esterno Verifica con distribuzione uniforme di


tensione intorno al centro di rotazione

con solaio senza solaio con solaio senza solaio

30 0.24 0.31

60 0.51 0.61 0.49 0.59

3.3 Verifica a pressoflessione per azioni non sismiche


L’attuale quadro normativo, NTC2008, prevede una doppia modalità per la verifica a
pressoflessione differenziando il caso sismico dal caso non sismico. In particolare, con
riferimento alla combinazione di carico non simica, le NTC2008 ripropongono fedelmente
l’approccio già contenuto nel D.M. 20/11/87 e nella C.M. 21745/81 consistente in una
verifica a pressoflessione e stabilità ovvero portando in conto nella verifica a
pressoflessione gli effetti del secondo ordine.
Al fine di comprendere la metodologia suggerita dalla norma, nel seguito viene
dapprima analizzato più in generale il comportamento di una parete snella sollecitata da
carichi verticali eccentrici. A tale scopo consideriamo il pannello murario di Fig.3.2.

h
e

l
t

Fig. 3.2: Pannello sollecitato a compressione eccentrica


Pag. 76 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Per poter esaminare il comportamento della parete caratterizzata da una certa snellezza
λ = h/t tenendo conto degli effetti del II ordine, occorre esaminare preliminarmente il
comportamento dell’elemento tozzo, per il quale possono essere trascurati gli effetti del
secondo ordine.

3.3.1 Analisi dei pannelli tozzi


• Piccola eccentricità
t e 1
e< ⇒ =ε≤ (3.7)
6 t 6
Dall’equilibrio alla traslazione si ottiene:
N N⋅e t N 6N ⋅ e
σ wc = + = + (3.8)
3
t l l t /12 2 t l l t2

Fig. 3.3: Caso di piccola eccentricità

Il raggiungimento della crisi per questi valori di ε comporterà:


Nu ⎛ e⎞
σ wc = f wc ⇒ f wc = ⎜1 + 6 ⎟ (3.9)
t l ⎝ t⎠

Nu
e ponendo σ 0 = si ottiene:
t l
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 77

σ0 1
= (3.10)
f wc 1 + 6 ⋅ ε

Inoltre, la condizione di fessurazione si ottiene nel momento in cui la tensione minima si


annulla ovvero:
t
e= (3.11)
6
Da cui essendo N⋅e=Mcr si ha:
N⋅t
M cr = (3.12)
6
In questa fase si può anche definire la curvatura della sezione:

1 M M
= = (3.13)
r E I E l t 3 /12

• Grande eccentricità
t e 1
e> ⇒ =ε> (3.14)
6 t 6
In tal caso la sezione è parzializzata per cui risulta:

1 ⎛t ⎞
N= σ wc ⋅ l 3⎜ − e ⎟ (3.15)
2 ⎜ 2 ⎟
⎝ ⎠
In condizione di collasso si ha:
3 ⎛1 e⎞ Nu 3⎛1 ⎞
Nu = f wc ⋅ l ⋅ t ⎜ − ⎟ ⇒ = ⎜ − ε⎟ (3.16)
2 ⎝ 2 t ⎠ f wc ⋅ l t 2 ⎝ 2 ⎠

σ0 3⎛1 ⎞
= ⎜ − ε⎟ (3.17)
f wc 2 ⎝ 2 ⎠
Nel caso di grande eccentricità, indicando con M n il momento rispetto all’asse neutro e I n
il momento d’inerzia della sezione reagente rispetto all’asse neutro, esprimibili come segue:
Pag. 78 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 3.4: Caso di grande eccentricità

⎡ ⎛ t ⎞⎤ ⎛t ⎞
M n =N ⎢ 2 ⎜ -e ⎟ ⎥ =2N ⎜ -e ⎟
⎣ ⎝ 2 ⎠⎦ ⎝2 ⎠
3 3
(3.18)
l ⎡ ⎛ t ⎞⎤ ⎛t ⎞
I n = ⎢3 ⎜ -e ⎟ ⎥ =9 ⋅ l ⎜ -e ⎟
3 ⎣ ⎝ 2 ⎠⎦ ⎝2 ⎠
la curvatura può essere valuatata mediante la seguente espressione:
1 Mn N
= = 2
r EI n 9 ⎛ t ⎞ (3.19)
E ⎜ − e⎟ l
2 ⎝2 ⎠

3.3.2 Analisi dei pannelli snelli


Nel caso di pannelli snelli occorre esaminare il comportamento del pannello in presenza di
effetti del II ordine.
Gli effetti del II ordine indotti sull’elemento snello sono imputabili all’eccentricità
aggiuntiva u m con la quale lo sforzo normale solleciterà la sezione di mezzeria del
pannello in seguito alla deformazione del pannello stesso (Fig. 3.5).
Per effetto della deformazione del pannello, il momento indotto dai carichi esterni
nella sezione di mezzeria vale:
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 79

M ext = N ⋅ (e + u m ) (3.20)
dove e rappresenta l’eccentricità dello sforzo normale applicato all’estremità del pannello
con riferimento alla sezione di estremità (ovvero e rappresenta il rapporto tra il momento
del primo ordine e lo sforzo normale).
Se si rappresenta in un diagramma Mext-um la relazione lineare fornisce il grafico di Fig.
3.6.
Assegnata l’eccentricità e, dalla (3.20) ci si accorge che N rappresenta il coefficiente
angolare del legame Mext-um , mentre l’intercetta con l’asse delle ordinate vale N⋅e, ovvero
è pari a MI. Al crescere di N cresce la pendenza della curva Mext-um.

Fig. 3.5: Effetti del II ordine sulla deformazione del pannello

Fig. 3.6: Diagramma M-um


Pag. 80 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Allo scopo di definire la condizione di collasso del pannello, occorre esplicitare il


legame Mint-um. A tal riguardo, è noto che assumendo una deformata di tipo sinusoidale si
ha:
h2 ⎛ 1 ⎞
um ≈ ⋅⎜ ⎟ (3.21)
10 ⎝ r ⎠

La relazione (3.21) consente di esprimere il legame Mint-um. Infatti, per ε<1/6


dall’espressione delle curvature per piccola eccentricità (3.13) si ha:

1 h2 ⎛ M int ⎞
ε< : um = ⋅⎜ 3
⎟ (3.22)
6 10 ⎝ E ⋅ l ⋅ t / 12 ⎠

da cui si evince che il legame Mint-um è di tipo lineare fino a ε<1/6 ovvero fino a Mint=Mcr.
Per ε>1/6, considerando l’Eq.(3.19), il legame Mint-um risulta di tipo non lineare:

1 h2 N h2 N
ε> : um = ⋅ 2
= ⋅ 2
6 10 9 ⎛t ⎞ 10 9 ⎛t M ⎞ (3.23)
E ⋅ l ⋅ ⎜ − e⎟ E ⋅ l ⋅ ⎜ − int ⎟
2 ⎝2 ⎠ 2 ⎝2 N ⎠

L’equazione (3.23) mostra che il legame Mint-um, per ε>1/6 risulta non lineare. Pertanto,
dalle (3.22) e (3.23) si ottiene la Fig. 3.7.
Il massimo sforzo normale applicabile al pannello murario sarà fornito quindi dalla
condizione di uguaglianza del momento esterno e di quello interno, da esplicitare
distintamente con riferimento al caso di piccola eccentricità e al caso di grande eccentricità.

• Piccola eccentricità
Nell’ipotesi di piccola eccentricità, occorre trovare il valore Nu tale che la retta
rappresentativa di Mext sia tangente al diagramma Mint-um.

M int

Eq. (3.27)

M cr

Eq. (3.26)
um

Fig. 3.7: Diagramma M-um


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 81

Mcr

Nu

e umu um

Fig. 3.8: Diagramma M-um

Dall’osservazione della Fig. 3.8, emerge che ciò avviene in corrispondenza del gomito della
curva Mint-um, ovvero in corrispondenza di Mcr. Pertanto, per ε<1/6 si ha:
N u ⋅ (e + u mu ) = M cr (3.24)

Tenedo conto dell’eq. (3.21) e (3.12) si ha:


h 2 M cr h 2 N u t/6
u mu = = (3.7)
10 E l t /12 10 E l t 3 /12
3

L’eq. (3.24) può essere riscritta come:


Nu t
N u ⋅ (e + u mu ) = (3.26)
6
Sostituendo nella (3.26) la (3.25) si ha:
Nu t
e+ 2
⋅ 0.20h 2 = (3.27)
E l t 6

che, tenendo conto che per bassi valori di ε il modulo elastico iniziale può essere espresso
come:
k ⋅ f wc
E= (3.28)
(1 + ϕ )

in cui (1+ϕ) tiene conto dell’effetto viscoso dei carichi permanenti, si ha:
Pag. 82 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Nu h2 t ⎛1 e⎞
⋅ 0.20 = − e = t ⋅ ⎜ − ⎟ (3.29)
k ⋅ f wc 2 6 ⎝6 t ⎠
l t
(1 + ϕ )
da cui:
⎛1 ⎞
⎜ − ε⎟ ⋅ k
Nu ⎝6 ⎠ (3.30)
=
f wc t ⋅ l 0.20 ⋅ (1 + ϕ ) ⋅ λ
2

ovvero:
σ0 k ⎛1 ⎞
= ⋅⎜ − ε⎟ (3.31)
f wc 0.20 ⋅ (1 + ϕ ) ⋅ λ 2 ⎝ 6 ⎠

La relazione (3.31) esprime la riduzione della capacità portante ultima della parete rispetto
alla resistenza a compressione della muratura al variare dell’eccentricità ε e della snellezza
λ per valori di piccola eccentricità (ε<1/6).

• Grande eccentricità
Nell’ipotesi di grande eccentricità si ha:
N u ⋅ (e + u mu ) = M int.u (3.32)
In questo caso occorre esplicitare umu ed Mint.u.
Per Mint.u si ha (3.16):
3 ⎛1 e⎞
M int.u = ( N ⋅ e )u = f wc l t ⋅ ⎜ − ⎟ ⋅ e (3.33)
2 ⎝2 t⎠
Per quanto concerne umu si ha:
3 ⎛1 e⎞
f l t⋅ −
h2 ⎛ 1 ⎞ h2 Nu h 2 2 wc ⎜⎝ 2 t ⎟⎠
u mu = ⋅⎜ ⎟ = ⋅ 2
= ⋅ 2 (3.34)
10 ⎝ r ⎠ u 10 9 ⎛t ⎞ 10 9 ⎛ t ⎞
E ⎜ − e⎟ ⋅l E ⎜ − e⎟ ⋅l
2 ⎝2 ⎠ 2 ⎝2 ⎠

h2 1 f wc
u mu = ⋅ ⋅
10 3 ⎛t ⎞ (3.35)
E ⎜ − e⎟
⎝2 ⎠
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 83

Tenendo conto che in condizioni ultime per elevati valori di σwc, si può assumere un
modulo di elasticità secante approssimativamente pari a:
k ⋅ f wc
E = (3.36)
2 ⋅ (1 + ϕ )

si ha:

h2 1 f wc h2 1+ ϕ h2 1+ ϕ
u mu = ⋅ ⋅ = ⋅ = ⋅
10 3 k ⋅ f wc ⎛ t ⎞ 15 ⎛ t ⎞ 15 ⎛1 e⎞ (3.37)
⋅⎜ − e⎟ k ⋅⎜ − e⎟ k ⋅ t ⋅⎜ − ⎟
2 ⋅ (1 + ϕ ) ⎝ 2 ⎠ ⎝2 ⎠ ⎝2 t⎠
Pertanto, dall’equazione (3.32) si ottiene:
3 ⎛1 e⎞
f wc l t e ⋅ ⎜ − ⎟
2 ⎝2 t⎠
Nu = 2
h 1+ ϕ (3.38)
e+ ⋅
15 ⎛1 e⎞
k ⋅ t ⋅⎜ − ⎟
⎝2 t⎠

3 ⎛1 e⎞
e⋅⎜ − ⎟
Nu 2 ⎝2 t⎠
=
f wc l t h2 1+ϕ (3.39)
e+ ⋅
15 ⎛1 e⎞
k ⋅ t ⋅⎜ − ⎟
⎝2 t⎠

3 ⎛1 ⎞
⋅⎜ − ε⎟⋅ε
σ0 2 ⎝2 ⎠
= 2
f wc λ 1+ ϕ (3.40)
ε+ ⋅
15 ⎛1 ⎞
k ⋅⎜ − ε ⎟
⎝2 ⎠
L’equazione (3.40) per ε>1/6 e (3.31) per ε≤1/6 diagrammate conducono al grafico di Fig.
3.9.
Si osserva quindi come all’aumentare della snellezza λ e dell’eccentricità ε si ha
una riduzione della capacità portante rispetto alla resistenza della muratura sempre più
grande.
A tal riguardo le normative forniscono formulazioni e procedimenti semplificati per
la verifica a pressoflessione dei pannelli murari fuori piano.
Pag. 84 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

1.0
(σ0/fwc)u

ε=0
. 00
0.8

ε=0
ε=0.15

.1 0
0.6

ε=0.167
0.4

ε=0.333
0.2

0
0 5 10 15 20 25
λ

Fig. 3.9: Curve di stabilità

3.3.3 Verifica a pressoflessione secondo le NTC 2008 e il DM 20/11/87


Al fine di verificare un pannello murario a pressoflessione fuori piano, le NTC2008, in
perfetto accordo con il D.M. 20/11/87, definiscono innanzitutto la snellezza in relazione
alla presenza di muri ortogonali irrigidenti. Infatti, la snellezza λ viene posta pari a:
h0
λ= con λ<20 (3.41)
t
dove t è lo spessore della muratura e h0=ρh con ρ fattore laterale di vincolo che tiene conto
dell’effetto irrigidente dei muri ortogonali. In particolare, il D.M. fornisce:
h
ρ =1 per ≤ 0.5
a
3 h h
ρ= - per 0.5 < ≤1
2 a a (3.42)
1 h
ρ= 2
per >1
⎛h⎞ a
1+ ⎜ ⎟
⎝a⎠
dove h rappresenta l’altezza interna di piano ed a l’interasse dei muri trasversali irrigidenti.
Per effettuare la verifica occorre inoltre precisare l’eccentricità da portare in conto
nella verifica a presso flessione.
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 85

Fig. 3.10: Eccentricità nella verifica a pressoflessione

Le NTC2008 ed il D.M. 20/11/87 considerano valori diversi dell’eccentricità per le due


possibili sezioni da verificare che sono:
a) sezione di estremità del muro;
b) sezione di massimo momento dovuto al vento o al sisma.
Si definiscono, pertanto, dapprima l’eccentricità totale dei carichi verticali es:
e s = e s1 + e s2 (3.43)
dove:
N1 ⋅ d 1
e s1 = (3.44)
N1 + ∑ N 2

e s2 =
∑ N2 ⋅ d2 (3.8)
N1 + ∑ N 2
dove N1 è il carico trasmesso dal muro sovrastante supposto centrato rispetto al muro
stesso, N2 reazione di appoggio dei solai sovrastanti il muro da verificare, d1 e d2
eccentricità di N1 e N2 rispetto al piano medio del muro da verificare.
Le norme introducono inoltre l’eccentricità per tolleranza di esecuzione:
h
ea = (3.46)
200
con h pari all’altezza interna di piano.
Per quanto concerne il vento o qualsiasi altra azione orizzontale escluso il sisma,
l’eccentricità ad esso dovuta in direzione normale al piano della muratura si valuta come
segue:
Mv
ev = (3.47)
N
Pag. 86 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Pertanto, per la verifica del muro occorre considerare le seguenti eccentricità:


a) Sezione di estremità
e1 = e s + e a (3.48)

b) Sezione di massimo Mv o Msisma:


e1
e2 = + ev (3.49)
2
con e1/t ≤ 0.33 ed e2/t ≤ 0.33 ed in ogni caso e1≥ea ed e2≥ea.
In funzione dell’eccentricità così definita e della snellezza λ le NTC 2008, in
accordo con il D.M.20/11/87, indicano i valori di Φ=σ0/fwc riportati in Tab.3.2, che
rappresentati forniscono le curve riportate in Fig.3.11.
La verifica allo stato limite ultimo del muro per effetto dei carichi verticali ed azioni
orizzontali ortogonali alle pareti si effettua mediante la seguente relazione:

N d ≤ Φ ⋅ f wd ⋅ A (3.50)

dove fwd è la resistenza di progetto a compressione della muratura ed A è la sezione


trasversale del pannello murario.

1,00 ε
0
0,90
0.084
0,80 0.166

0,70 0.250
0.333
0,60
Φ

0,50
0,40
0,30
0,20
0,10
0,00
0 5 10 15 20 25
λ

Fig. 3.11: Curve di stabilità fornite dalle NTC2008 e D.M. 20/11/87


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 87

Tab. 3.2: Coefficiente Φ

Snellezza Coefficiente di eccentricità


h0/t m=6e/t
0 0.5 1 1.5 2.0
0 1.00 0.74 0.59 0.44 0.33
5 0.97 0.71 0.55 0.39 0.27
10 0.86 0.61 0.45 0.27 0.15
15 0.69 0.48 0.32 0.17
20 0.53 0.36 0.23

3.4 Verifica a pressoflessione per azioni sismiche secondo


l’OPCM 3274 e le NTC2008
Per quanto riguarda la verifica a pressoflessione per azioni sismiche fuori dal piano della
parete, l’OPCM 3274 e le NTC2008 forniscono le indicazioni per il calcolo del momento di
collasso che deve essere valutato assumendo un diagramma delle compressioni
rettangolare, un valore della resistenza pari a 0.85 fwd e trascurando la resistenza a trazione
della muratura.
Pertanto:
N u = 0.85 f wd (t − 2e ) (3.50)
e il dominio di interazione Mlim - Nlim risulta:
M u = Nu ⋅ e (3.51)
da cui, ricavando l’eccentricità e dalla (3.50) e sostituendo nella (3.51), si ottiene:

t N u2
M u = Nu − (3.52)
2 2 ⋅ 0.85 ⋅ f wd
Tale dominio viene rappresentato, esemplificativamente, in Fig. 3.13 per una sezione
50x100cm e resistenza caratteristica pari a 1 e 2,5Mpa.

0.85 fd
Fig. 3.12: Diagramma delle tensioni ultime
Pag. 88 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

In Fig. 3.14 sono stati messi a confronto i risultati ottenuti eseguendo la verifica a
pressoflessione fuori piano sia impiegando le curve di stabilità fornite dal D.M. 20/11/87
(con le azioni sismiche desunte dal D.M. 9/1/96) sia utilizzando il dominio resistente
fornito dall’OPCM 3274 e dalle NTC2008 per un edificio di tre piani, con altezza di
interpiano pari a 3.5 m, spessore delle pareti pari a 30, 50, 70 cm, resistenza di progetto
della muratura pari a 1000kN/m2, carico trasmesso dai solai pari a 12.50 kN/m e peso
specifico della muratura pari a 17 kN/m3.

Fig. 3.13 Dominio di resistenza a pressoflessione

VERIFICA A PRESSOFLESSIONE FUORI PIANO


Altezza parete interpiano = 3.5 m Spessore parete = 30-50-70 cm f d = 1000 kN /m 2 Carico trasmesso dai solai = 17 kN/m
Peso specifico della muratura = 17 kN/m 3

DM 20/11/87 - DM 9/1/96 NTC 2008


OPCM3274
C = 0.07 ⎡ ⎤ ag /g = 0.25
⎢ 3⎛⎜ 1 + z ⎞
Fa = β ⋅ C ⋅ ε ⋅ I ⋅ Wa I=1 ⎟ ⎥
ag ⎢ ⎝ H ⎠ ⎥ I = 1 qa = 3.0
ε=1 Fa = S
g ⎢ 2
− 0 .5 ⎥
⎢ 1 + ⎛⎜ 1 − Ta ⎞
⎟⎟ ⎥ S = 1.00 Ta/T1 = 0
β = β1 x β2 = 2 x 2 = 4 (edifici esistenti) ⎢


⎝ T1 ⎠ ⎥
⎦ Z/H = 1/6-5/6
t (m) N (kN) q s kN/m M kNm
s
et /t h o /t φ Nu N u /N t (m) N (kN) F kN
s
q kN/m
s
M kNm
s es /t M kNm
l
M s/M l NTC
OP CM
DM 87
21.43 1.43 2.19 0.34 11.67 0.11 33 21.43 3.35 0.96 1.46 0.08 2.94
Piano 3

0.30 1.54 0.30 2.01 1.30


27.38 2.38 3.64 0.27 7.0 0.32 159 27.38 5.58 1.59 2.44 0.11 6.40
0.50 5.82 0.50 2.62 0.45
33.33 3.33 5.10 0.22 5.0 0.45 315 33.33 7.81 2.23 3.42 0.12 11.01
0.70 9.45 0.70 3.22 0.34
82.13 1.43 2.19 0.09 11.67 0.56 167 82.13 1.86 0.53 0.81 0.06 8.35
0.30 2.03 0.30 10.27 5.05
Piano 1

0.50 111.9 2.38 3.64 0.06 7.0 0.73 363 3.24 0.50 111.9 3.10 0.88 1.36 0.07 20.61 15.20 4.68
0.70 141.6 3.33 5.10 0.05 5.0 0.81 567 4.00 0.70 141.6 4.34 1.24 1.90 0.08 37.77 19.90 4.97

Fig. 3.14: Verifica a presso flessione: Confronto tra normative


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 89

Si osserva che per effetto delle azioni sismiche legate alla massa della parete stessa, la
verifica a pressoflessione risulta sempre soddisfatta sia con riferimento al D.M. 20/11/87
che con riferimento alla OPCM 3274 e NTC2008. Tuttavia, si rileva come per effetto delle
modalità di calcolo delle azioni sismiche le normative più recenti (OPCM 3274 e
NTC2008) risultano più restrittive dei D.M. 20/11/87 e D.M. 09/01/96 ai piani alti e meno
severe di tali decreti ai piani bassi.

3.5 Verifica a pressoflessione in presenza di cattivo


ammorsamento: spessore minimo delle pareti
Con riferimento ad un edificio di tre livelli, consideriamo una parete caratterizzata da un
cattivo ammorsamento con le pareti ortogonali sulla quale non scarichi il solaio. Nella
sezione di mezzeria, se indichiamo con Fa la risultante delle azioni orizzontali agenti sulla
parete, le sollecitazioni risultano pari a:
1 (3.54)
Ma = Fa ⋅ h
8
Wa
Na = (3.55)
2
Imponendo la condizione limite di equilibrio tra momento esterno e momento interno
nell’ipotesi di materiale infinitamente resistente, ovvero ea=t/2, e tenendo conto dell’eq.
(2.21), si ha:
⎡ ⎤
⎢ 3⎛⎜1 + z ⎞⎟ ⎥
Ma t M a 1 ag ⎢ ⎝ H⎠ ⎥ h t (3.56)
ea = = ⇒ = S ⎢ − 0.5⎥ =
Na 2 Na 4 g ⎢ ⎛ T ⎞2 q
⎥ a 2
⎢1 + ⎜⎜1 − T ⎟⎟
a

⎣ ⎝ 1 ⎠ ⎦
da cui:
⎡ ⎤
⎢ 3⎛⎜1 + z ⎞⎟ ⎥
1 ag ⎢ ⎝ H⎠ ⎥ h (3.57)
t= S ⎢ 2
− 0.5⎥
2 g ⎢ ⎛ T ⎞ ⎥ qa
⎢1 + ⎜⎜1 − T ⎟⎟
a

⎣ ⎝ 1 ⎠ ⎦

Applicando tale ultima espressione ad un edificio ordinario a 3 piani con uguale altezza di
interpiano pari a 3m e facendo riferimento alle varie tipologie di suolo, si ottengono, nel
Pag. 90 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

caso si assuma il rapporto Ta/T1 uguale a zero ed uguale a 0.2, i valori minimi per lo
spessore della muratura riportati in Tab. 3.3.
Si osserva che, nel caso di pareti non caricate dai solai, per gli ultimi piani al fine di
soddisfare la verifica limite di equilibrio tra momento interno e momento esterno possono
essere richiesti spessori della muratura più grandi dei valori minimi indicati dalla norma
stessa (NTC2008) che sono pari a: 500 mm per muratura di pietra non squadrata, 400 mm
per muratura di pietra listata, 240 mm per muratura di pietra squadrata o in elementi
resistenti artificiali forati, 200 mm per muratura in elementi resistenti artificiali semipieni,
150mm per muratura in elementi resistenti artificiali pieni.

Tab. 3.3: Spessori minimi delle murature

Ta / T1 = 0 Ta / T 1 = 0,2
ag/g Piano Z/H S t (m) t (m)
1,00 0,39 0,5
0.35 3 5/6 1,25 0,49 0,62
1,35 0,53 0,67
1,00 0,28 0,36
0.25 3 5/6 1,25 0,35 0,45
1,35 0,38 0,48
1,00 0,17 0,21
0.15 3 5/6 1,25 0,21 0,27
1,35 0,23 0,29

3.6 Analisi numerica: verifica di una parete alle azioni


ortogonali
L’esempio numerico sviluppato nel seguito è relativo al caso di un edificio esistente in
muratura ordinaria (Fig.3.15-3.16) i cui impalcati sono realizzati con orditura di travi lignee
e tavolato scarsamente collegati alle murature. Nell’esempio proposto, i paramenti murari
saranno considerati mal collegati fra di loro, ipotizzando uno scarso ammorsamento in
corrispondenza dei cantonali e dei martelli murari. Come visto nei paragrafi precedenti,
venendo a mancare completamente l’ipotesi di comportamento scatolare dell’edificio, è
necessario ricorrere a metodi di analisi semplificati in cui la singola parete viene
schematizzata, per azioni nel piano e fuori piano, come semplicemente vincolata al piede.
Dal punto di vista normativo, trattandosi di un edificio esistente, è necessario fare
riferimento al capitolo 8 delle NTC2008. A tal riguardo, per una costruzione esistente, le
norme tecniche, in rapporto al livello di conoscenza acquisito dal progettista in merito alla
geometria ed alle caratteristiche meccaniche dei materiali, prescrivono l’applicazione di un
fattore riduttivo delle resistenze e dei moduli di elasticità, il quale rappresenta un fattore
parziale di sicurezza sulla conoscenza strutturale, geometrica e meccanica, dell’edificio.
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 91

N PIANTA PIANO TERRA

1.00
2.20

1.00
2.20
2 1 2.8 0.8 5.15 0.8 2.8 1 2

A
1.00
2.20

0.80
1.50

0.80
1.50

1.00
2.20
0.90 0.90
RIP 2.20 LAVANDERIA 2.20
3.6

0.90
2.20

0.90
2.20
5.4

H=3.00

1.20 1.20
1.2

2.20 FONDO 2.20


2.2
1.20 1.20
10.20

3 1.85 2.20 2.65 2.20


2.20
2.20

2.20
2.20
1.40
2.20
1.8

0.4

7.05
0.63 1.4

B 2.50 2.50 B
2.5

2.20 2.20
3.6

INGRESSO
0.7
2.50
2.20

2.50
2.20

1.20
3.00

2.50
2.20
2.50
2.20
1.1

0.8 2.5 1.25 2.5 1.5 1.25 1.5 2.5 1.25 2.5 0.8

18.35

PIANTA PIANO PRIMO


A

2 1 2.8 1 1.78 1.2 1.77 1 2.8 1 2


1.20
0.80
1.00
2.20

1.00
2.20

1.00
2.20

1.00
2.20

CAMERA CAMERA
3.8

5.5
0.90
2.20

0.90
2.20

0.90
2.20

0.90
2.20

0.80 0.80
0.8

1.50 1.50
0.90 0.90
BAGNO 2.20 0.90 0.90 2.20
2.20 2.20
1.20
2.20

1.20
2.20
2.65

3.1 1.2 2.95 0.90


2.20 0.90
0.63 2.20

B 1.20 1.20
B
0.80
2.20
1.2

1.50 0.90 0.90 1.50


3.8

2.20 2.20
SOGGIORNO CUCINA
0.5 BAGNO
1.75

1.20
1.50

1.20
1.50

1.20
1.50

1.20
1.50
A

0.8 1.2 3.85 1.2 4.25 1.2 3.85 1.2 0.8

Fig. 3.15: Piante livelli significativi


Pag. 92 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

PROSPETTO SUD PROSPETTO EST

PROSPETTO NORD PROSPETTO OVEST

Fig. 3.16: Prospetti e quadro fessurativo


Nel caso esaminato si assume un livello di conoscenza adeguato (LC2) a cui
corrisponde, come riportato in Tab. 3.4, un fattore di confidenza pari ad 1.2.
In Tab. 3.5 vengono riportati i valori delle proprietà meccaniche adotattate successivamente
nel calcolo. Queste vanno considerate come dei valori medi desunti da prove in situ o dalla
Tabella 1.8 ridotti del fattore di confidenza.
A tali valori, ai sensi delle NTC2008, nel seguito sarà applicato il coefficiente parziale di
sicurezza sul materiale γ m solo nei casi in cui i meccanismi considerati siano di tipo fragile

Tab. 3.4: Estratto dalla CM LL.PP. 26/2/2009 esplicativa delle NTC2008 (Tabella C8A1.1)
Livello di Dettagli Proprietà dei Metodi
Geometria FC
conoscenza strutturali materiali di analisi
Limitate verifiche Limitate
LC1 Tutti 1.35
in-situ indagini in-situ
Rilievo Estese indagini
LC2 Estese ed Tutti 1.2
strutturale in-situ
esaustive
Esaustive
LC3 verifiche in-situ Tutti 1
indagini in-situ

Tab. 3.5: Caratteristiche meccaniche scelte

f wcm [ daN / cm 2 ] f vm 0 [ daN / cm 2 ] E[ daN / cm 2 ] G[daN / cm 2 ] γ [daN / m 3 ]


29,2 0,73 21500 3583 1900
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 93

(Tab. C8.4 CM 2009). Nella presente applicazione, si impiega γ m = 2 . Di seguito, si


effettuano le seguenti verifiche:
• verifica a ribaltamento fuori piano della parete;
• verifica sismica a pressoflessione fuori piano della parete;
• verifica a carichi verticali a pressoflessione fuori dal piano della parete.

Verifica a ribaltamento fuori dal piano della parete


Al fine di effettuare la verifica a ribaltamento della parete considerata è necessario
preliminarmente effettuare l’analisi dei carichi. La schematizzazione del paramento murario
è rappresentata in Fig.3.17, in cui sono riportate le dimensioni geometriche della parete e,
con riferimento all’analisi sismica, le azioni ribaltanti dovute alla spinta in copertura (H),
alle azioni sismiche legate al peso proprio del paramento murario (λW1, λW2, λW3) ed alle
masse degli impalcati (λF2, λF1, λV) e stabilizzanti legate ai carichi fissi e variabili
(W1, W2, W3,V, F1, F2). In generale, in ottemperanza al DM 14/01/2008 la verifica sismica
va effettuata considerando la seguente combinazione di carico:

Qd = E + Gk 1 + Gk 2 + ∑ψ 2i QKi
i
in cui, E è il valore dell’azione sismica di progetto, Gk1 è il valore caratteristico dei carichi
permanenti strutturali, Gk2 è il valore caratteristico dei carichi permanenti non strutturali,
Qki è il valore caratteristico dell’i-esimo carico variabile considerato (neve, vento, calpestio
etc.), ψ2i è il coefficiente di riduzione dell’i-esimo carico variabile in combinazione quasi
permanente definito nelle NTC 2008 in Tab 2.5.I. al variare della categoria di azione.
Come si vedrà in seguito, le azioni sismiche, per quel che riguarda le verifiche fuori
dal piano della parete, secondo quanto prescritto dalla NTC 2008 al par.7.8.1.5.2, devono
essere valutate con riferimento alla formula per elementi non strutturali (par.7.2.3 NTC
2008) adottando un fattore di struttura qa=3 ed, in via semplificata, un periodo proprio di
vibrazione del pannello murario nullo (Ta=0).

Carichi permanenti strutturali (Gk1):

Si procede con la valutazione dei carichi agenti per la fascia di un metro di parete:

Muratura
W1° piano = 0,4 ⋅ 3,30 ⋅1900 = 2508 daN m
W2° piano = 0,3 ⋅ 3,30 ⋅1900 = 1881 daN m
W3° piano = 0.3 ⋅ 0,50 ⋅ 1900 = 285 daN m
Pag. 94 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

0.2
V
p=25% H

0.50
W3 W3 h3
C

0.3
F2 F2 S
a2=0.15 a2/3

0.3 W2
3

W2 h2

a1=0.25
B
F1 F1 S
a1/3
0.07
0.03
0.2

W1 h1
3

W1
0.4

Fig. 3.15 Geometria della parete ed azioni fuori piano

Travicelli14x5 cm

Fig. 3.16: Geometria dell’impalcato di copertura


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 95

Impalcato di copertura (Fig.3.18)

Carichi permanenti strutturali nella fascia d’influenza di 1m

600 ⋅ 0.2 ⋅ 0.2 / 2 ⇒ 12daN / m


- Peso proprio della trave:
- Porta-pannelli: 600 ⋅ 0.05 ⋅ 0.08 ⋅ 5 ⇒ 12daN / m
- Travicelli: 600 ⋅ 0.14 ⋅ 0.05 ⇒ 4.2daN / m

- Carico Permanente strutturale Gk1: 28.2daN / m


Impalcato tipo
Al fine di valutare il carico a metro quadrato che porta il solaio del primo livello, si fa
riferimento al particolare di Fig. 3.17. Il carico gravante sulla singola trave, con riferimento
alla fascia di 100 cm, è il seguente:

- Peso proprio della trave: 600 ⋅ 0.2 ⋅ 0.2 / 0.9 ⇒ 26.7daN / m


- Assito tavole: 600 ⋅ 0.03 ⇒ 18daN / m
- Carico Permanente strutturale Gk1: 44.7daN / m

Fig. 3.17: Geometria degli impalcati intermedi


Pag. 96 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Carichi permanenti non strutturali (Gk2):

Muratura

Si suppone che l’edificio non sia intonacato, per questo motivo i carichi permanenti non
strutturali legati alle murature possono essere assunti pari a zero.

Impalcato di copertura

Con riferimento alla geometria riportata in Fig. 3.18, si riconosce come unico carico
permanente non strutturale quello dovuto alla pannellatura di copertura, quindi si ottiene:

- Pannello di copertura: 20 ⋅1 ⇒ 20daN / m

- Carico Permanente non strutturale Gk2: 20daN / m


Impalcato tipo

Con riferimento alla schema di Fig. 3.19 si ottiene, con riferimento alla fascia di 90 cm:

- Massetto di cls s=7 cm: 1400 ⋅ 0.07 ⇒ 98daN / m


- Pavimento in ceramica: 20 ⋅1 ⇒ 20daN / m
- Cartongesso: 30 ⋅1 ⇒ 30daN / m
- Incidenza tramezzi (Par.3.1.3.1) NTC 2008: 80 ⋅1 ⇒ 80daN / m

- Carico Permanente non strutturale Gk2: 228daN / m


Carichi variabili (Qk):

Impalcato di copertura

Per la copertura si considera come carico variabile principale quello dovuto alla neve. In
ottemperanza alle NTC 2008 il carico da neve risulta definito dai seguenti parametri:

q s = μ i q sk C E C t

in cui q sk rappresenta il carico da neve al suolo per un periodo di ritorno fissato in 50 anni.
Supponendo di essere in zona III ad una quota di 1200 m, la relazione che fornisce il carico
da neve caratteristico è la seguente:
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 97

⎡ ⎛ as ⎞ 2 ⎤
qsk = 0,51 ⎢1 + ⎜ ⎟ ⎥ = 3.68kN / m
2

⎣⎢ ⎝ 481 ⎠ ⎦⎥
CE è il coefficiente di esposizione che per condizioni normali, quali aree per cui non sia
prevista una significativa rimozione della neve, vale 1.
Ct invece è il coefficiente termico e tiene conto della riduzione del carico nei casi in cui ci
siano condizioni particolari tali per cui lo scioglimento della neve sia rilevante;
normalmente si pone pari ad 1.
Infine μi è il coefficiente di forma, funzione dell’inclinazione della copertura, che
per coperture con inclinazioni comprese fra 0° e 30° vale 0,8.
Il carico da neve risulta quindi pari a:

Qk ,snow = qs = μi qsk C E Ct = 0.8 ⋅ 368 ⋅ 1 ⋅ 1 = 294.4daN / m 2

Impalcato tipo

L’edificio si suppone sia destinato alla civile abitazione, per cui i carichi varibili sono
determinati in ottemperanza alle NTC 2008 con riferimento alla Tab.3.1.II:

Qk = 200daN / m 2

Combinazione delle azioni permanenti e variabili

Impalcato di copertura

Osservando il particolare costruttivo della copertura alla gronda ed al colmo è possibile


schematizzare le travi in legno dell’orditura principale del tetto come incernierate alla
gronda e vincolate con un carrello ortogonale all’asse della trave al colmo (Fig. 3.18 e Fig.
3.19).

Fig. 3.18: Sezione del tetto


Pag. 98 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

q n= carico da neve

g k = sovraccarichi
permanenti

57
α l = 5. p = 25%
α = arctan(0.25) = 14°04'
l = l0/cosα = 5.57

l 0= 5.40

Fig. 3.19: Schema statico delle strutture di copertura

q = q n+ g'k =
= carico equivalente

Rb Rb Rbcosα
A α
H
V Rbsenα

Fig. 3.20: Schema statico della struttura di copertura con carico equivalente
Lo schema statico di riferimento è quello riportato in Fig. 3.19, in cui è possibile
notare come il peso proprio della copertura sia distribuito sulla dimensione l, mentre
l’azione variabile della neve è distribuita sulla proiezione in pianta della copertura l0.
Per semplificare ulteriormente le equazioni di equilibrio è possibile considerare un
unico carico verticale equivalente, uniformemente distribuito, come rappresentato in Fig.
3.20, dato dalla somma del carico proprio, riportato anch’esso sulla proiezione orizzontale
della copertura, e del carico da neve moltiplicato per il fattore di combinazione ψ2i .

q = 0.20Qk ,snow + Gk' 1 + Gk' 2 = 0.20Qk ,snow + Gk' 1 + Gk' 2

Gk 1l 28.2 ⋅ 5,57
Gk' 1 = = = 29.1daN / m 2
l0 5,4
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 99

Gk 2 l 20 ⋅ 5,57
Gk' 2 = = = 20.63daN / m 2
l0 5,4

Quindi, è possibile determinare il carico di progetto in copertura q equivalente


considerando il coefficiente di combinazione ψ2i pari a 0.2 (Tab.2.5.I NTC 2008, neve al di
sopra di 1000 m s.l.m.):

q = G ' k 1 +G ' k 2 +ψ 2 snowQk ,snow = 29.1 + 20.63 + 0.2 ⋅ 294.4 = 108.6daN / m 2

Ritornando allo schema statico del solaio di copertura, dagli equilibri alla traslazione
verticale ed orizzontale e alla rotazione intorno al punto A, è possibile determinare le azioni
H e V che la copertura trasferisce alla parete; in particolare, esse valgono:

ql o2
H = senα ⇒ azione spingente della copertura ⎧ H = 68.8 daN m
2l ⎪
⇒ ⎨
ql o2
V = ql o − cos α ⎪V = 310.6 daN m
2l ⎩

Impalcato tipo

In tal caso, considerando l’analisi dei carichi precedentemente svolta, si ottiene:

Qd = Gk1 + Gk 2 + ψ 2iQk = 44,7 + 228 + 0,3 ⋅ 200 = 332,7 daN m 2

Pertanto, considerando le travi semplicemente appoggiate sui maschi ortogonali, lo scarico


del solaio è pari a:

Qd l 332,7 ⋅ 5,8
F1 = F2 = = = 965 daN m
2 2

Carichi da vento (Qkwind):

Secondo la NTC 2008 l’azione del vento può essere modellata attraverso un carico statico
equivalente pari a:

Qw = qb ce c p cd

dove qb è la pressione cinetica di riferimento, ce è il coefficiente di esposizione, cp è il


coefficiente di forma e cd è il coefficiente dinamico. Supponendo di essere in zona 3 i
parametri di riferimento del sito sono:
Pag. 100 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

vb,0=27 m/s; a0=500 m; ka=0,020 1/s

per la quota cui sorge il sito (1200 m) la velocità di riferimento vale:

vb = vb,0 + k a (a s − a0 ) = 27 + 0.020 ⋅ (1200 − 500) = 41m / s

La pressione cinetica di riferimento è quindi pari a:

1 2
qb = ρvb = 0.5 ⋅ 1.25 ⋅ 412 = 105kg / m 2
2

Il coefficiente di esposizione ce dipende dall’altezza z sul suolo del punto considerato, dalla
topografia del terreno e dalla categoria di esposizione del sito ove sorge la costruzione. In
assenza di analisi specifiche che tengano conto della direzione di provenienza del vento,
dell’effettiva scabrezza e topografia del terreno che circonda la costruzione e per altezze sul
suolo non maggiori di 200 m vale, per z>zmin e supponendo di essere in categoria di
esposizione III, si ha:
⎛ z ⎞⎡ ⎛ z ⎞⎤ ⎛ 7.1 ⎞ ⎡ ⎛ 7.1 ⎞⎤
ce (7.1) = k r2 ct ln⎜⎜ ⎟⎟ ⎢7 + ct ln⎜⎜ ⎟⎟⎥ = 0.20 2 ⋅ 1 ⋅ ln⎜ ⎟ ⎢7 + 1 ⋅ ln⎜ ⎟⎥ = 1.92
⎝ zo ⎠ ⎣ ⎝ z 0 ⎠⎦ ⎝ 0.1 ⎠ ⎣ ⎝ 0.1 ⎠⎦

Infine il coefficiente dinamico può essere cautelativamente ritenuto pari ad 1. In definitiva


si ottiene:

Q w = 105 ⋅ 1.92 ⋅ c p ⋅ 1 = c p ⋅ 202kg / m 2


Azioni sismiche
L’azione sismica ortogonale alla parete, in ottemperanza alle NTC 2008, è rappresentata da
una forza orizzontale distribuita pari a:
Sa ⋅ Wa
Fa =
qa
in cui qa è il fattore di struttura dell’elemento, che per azioni fuori dal piano, può essere
posto pari a 3, Wa è la massa dell’elemento considerato ed Sa è la pseudo-accelerazione
spettrale pari a:

⎡ 3(1 + z H ) ⎤
Sa = α ⋅ S ⋅ ⎢ − 0.5⎥
⎣1 + (1 − Ta T1 )
2

Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 101

dove α è il rapporto tra l’accelerazione massima del terreno ag su sottosuolo di tipo A da


considerare nello stato limite in esame (Stato Limite di salvaguardia della Vita umana) e
l’accelerazione di gravità g, S è il coefficiente che tiene conto della categoria di sottosuolo e
delle condizioni topografiche pari al prodotto del coefficiente di amplificazione stratigrafica
(SS) per quello di amplificazione topografica (ST), z è la quota del baricentro dell’elemento
di riferimento misurata a partire dal piano di fondazione, H è l’altezza della costruzione dal
piano di fondazione, Ta è il periodo fondamentale di vibrazione dell’elemento considerato,
posto per semplicità pari a zero come consigliato dalla normativa e T1 è il periodo
fondamentale di vibrazione della costruzione nella direzione considerata.
Nel caso in esame, si assume come spettro di riferimento quello relativo al sito di Calitri
(Long.15.4314; Lat. 40.9031), per una costruzione con vita nominale di 50 anni con
coefficiente d’uso pari a d 1 (vita di riferimento della costruzione pari a 50 anni), categoria
topografica T1 e suolo di tipo B (valutato mediante indagini geologiche in situ spinte fino
alla profondità di almeno 30 m).

⎡ ⎛ z⎞ ⎤ ⎡ ⎛ z ⎞ ⎤
⎢ 3⎜1 + H ⎟ ⎥ W ⎢ 3⎜1 + 7.1 ⎟ ⎥
Fa = S ⋅ α ⋅ ⎢ ⎝ ⎠ − 0.5⎥ ⋅ a = 1.166 ⋅ 0.244 ⋅ ⎢ ⎝ ⎠ − 0.5⎥ ⋅ Wa
⎢ 2 ⎥ qa ⎢ 2 ⎥ 3
⎢⎣ ⎥⎦ ⎢⎣ ⎥⎦

Applicando tale espressione ai tre piani della struttura, in ipotesi di zona sismica di
seconda categoria e di suolo di tipo B si ottengono le azioni riportate in Tab.3.7.
Analogamente, per quanto riguarda le azioni sismiche dovute agli scarichi del solaio,
in Tab. 3.8 vengono riportate le corrispondenti forze orizzontali concentrate. Per quanto
riguarda la copertura è stata considerata l’azione V, che rappresenta la componente verticale
della reazione dell’appoggio, in precedenza determinata.

Tab. 3.6: Caratteristiche generali


S ag/g H [m] qa
1,166 0,244 7,1 3

Tab. 3.7: Azioni sismiche dovute alla massa delle pareti

Wi Sa FaWi
Livello z [m]
[daN/m] qa [daN/m]
Copertura 6,85 285 0,232 66
Piano 2 4,8 1881 0,191 359
Piano 1 1,5 2508 0,125 314
Pag. 102 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Tab. 3.8: Azioni sismiche dovute allo scarico dei solai intermedi

Wi Sa FaF
Livello z [m]
[daN/m] qa [daN/m]
Copertura 7,1 311 0,237 74
Piano 2 6,3 965 0,221 213
Piano 1 3 965 0,155 150

VERIFICA A RIBALTAMENTO

La verifica a ribaltamento in generale va effettuata considerando tutti i possibili


meccanismi di collasso cui la parete può essere soggetta. Nel caso considerato partendo dal
livello più alto i possibili meccanismi di collasso sono 3. Due meccanismi parziali, in cui si
ipotizza il ribaltamento della sola parete all’ultimo piano e quello di primo ed ultimo piano,
ed un meccanismo globale in cui si considera il ribaltamento dell’intero paramento murario
(Fig.3.23).

Verifica a ribaltamento della parete posta al livello della copertura


Supponendo, nell’ambito del metodo semplificato dello Stress Block allo s.l.u., che la
sezione di muratura reagisca con tensioni costanti pari al valore ultimo, da una semplice
equazione di equilibrio alla traslazione verticale è possibile determinare il punto intorno al

1° 2° 3°

Fig. 3.21: Possibili meccanismi di collasso


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 103

V
Fav+H

Faw3
50
W3

A
x
30

Fig. 3.22: Meccanismo di collasso della parete del 3° livello


quale avviene l’equilibrio, posizionato nel baricentro del diagramma di stress block in
ipotesi di rigidezza locale infinita:
V + W3
f wcd ⋅ 100 = V + W3 ⇒ x = = 0,41
f wcd
dove, per meccanismi fragili si assume:
f 29,2
f wcd = wcm = = 14,6daN / cm 2
γm 2
Essendo x / 2 ≅ 0 si può ritenere che il punto intorno al quale imporre l’equilibrio alla
rotazione possa giacere sul bordo esterno del muro (punto A).
Pertanto, la verifica consiste nel controllare che il momento stabilizzante (dato dalle azioni
verticali) sia maggiore o al massimo uguale al momento ribaltante (dato dalle azioni
orizzontali):
h 0.50
M Rib , A = ( H + FaV ) ⋅ h3 + FaW3 3 = (68.8 + 74) ⋅ 0.50 + 66.1 ⋅ = 87.9daNm
2 2
t 0.30
M Stab , A = (V + W3 ) 3 = (311 + 285) ⋅ = 89.4daNm
2 2

Essendo:
Mstab>Mrib
la verifica è soddisfatta; pertanto, non è necessario intervenire a questo livello.

Verifica a ribaltamento della parete al disopra del 1° impalcato:


Si procede analogamente a quanto descritto in precedenza; si riportano di seguito le
espressioni ottenute, considerando che in tal caso la verifica va eseguita per ribaltamento
intorno al punto B della Fig. 3.23:
Pag. 104 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

V
F V +H F c3
a2=15
FW3 W3
F2 50

F F2
30

F2

FW2
300

W2

B
x
30

Fig. 3.23: Schema di verifica a ribaltamento della parete del 2° piano + sottotetto

V + W3 + W2 + F2 x
f wcd x ⋅ 100 = V + W3 + W2 + F2 ⇒ x = = 2,36cm ⇒ ≅0
f wcd ⋅ 100 2

h2
M Rib,B = M Rib, A + ( H + FaV ) ⋅ (s + h2 ) + FaW3 (s + h2 ) + FaF2 h2 + FaW2
2
t2 ⎛ a ⎞
M Stab ,B = M Stab , A + W2 + F2 ⎜ t2 − 2 ⎟
2 ⎝ 3⎠
da cui si ottiene:
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 105

3
M Rib , B = 87.9 + (68.8 + 74 + 66.1) ⋅ (0.3 + 3) + 213 ⋅ 3 + 359 ⋅ = 1867daNm
2
0.3 ⎛ 0.15 ⎞
M Stab , B = 89.4 + 1881 ⋅ + 965 ⋅ ⎜ 0.3 − ⎟ = 612.8 daNm
2 ⎝ 3 ⎠
Essendo:
Mrib>Mstab

La verifica non è soddisfatta. Pertanto, è necessario provvedere ad un intervento. Nel caso


esaminato, si suppone di inserire una catena in corrispondenza del secondo impalcato.

Progetto catena in corrispondenza del secondo impalcato


Il contributo della catena è dato dall’azione orizzontale Fc2 a livello del solaio di calpestio
del sottotetto. La catena dovrà assorbire l’aliquota di momento ribaltante non equilibrato
dal momento stabilizzante; pertanto, si ha:
M Rib, B − M Stab, B
Fc 2 =
h2
da cui si ottiene il seguente valore:
Fc 2 = 418 daN m

Considerando di volere inserire nell’intera parete 4 catene in corrispondenza delle


pareti ortogonali, ciascuna catena dovrà assorbire il seguente sforzo normale di trazione:
Ltot 17,95
N = Fc 2 = 418 = 1875 daN
4 4
È possibile quindi progettare il diametro della barra della catena sottoposta a solo
sforzo normale:
N 4N
f yd As = N min ⇒ As , min = ⇒ d min = ;
f yd πf yd

Utilizzando barre filettate in acciaio S275, considerando un coefficiente parziale di


sicurezza sull’acciaio pari ad 1.05, si ha:

4N 4 ⋅1875
d min = = = 0.95cm → 9.5mm ⇒ φ14
πf yd π ⋅ 2619

Si pone a questo punto il problema di ancorare la catena in modo che essa possa
esplicare l’azione per la quale è stata progettata. A tale scopo si inserisce una piastra con
Pag. 106 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

costole di irrigidimento. Queste ultime consentono di trasferire gli sforzi alla muratura in
maniera uniforme (Fig. 3.24).
La piastra di ancoraggio deve essere dimensionata opportunamente per consentire il
trasferimento degli sforzi della catena alla muratura. A tale scopo risulta necessario
definirne la geometria in modo da evitare i seguenti meccanismi di collasso:
1. scorrimento locale della muratura;
2. compressione locale sulla muratura.

Per quanto concerne la verifica a scorrimento, come si vede dalla figura precedente,
è necessario controllare che l’azione esplicata dalla catena tramite la piastra non ecceda la
forza resistente della muratura. In particolare, considerando il distacco di un cuneo
prismatico, la massima forza resistente è pari all’integrale delle tensioni tangenziali agenti
sulla superficie di rottura. Sulle facce verticali, non essendo presente una tensione normale,
questa è pari a fvd0, mentre sulle facce orizzontali è pari a fvd=fvd0+0,4σn, dove σn è la
tensione media verticale agente al livello della catena:

V + W3 + F2 311 + 285 + 965


σn = = = 0.52kg / cm 2
t 30 ⋅ 100
f vd = f vd 0 + 0.4σ n = 0,365 + 0.208 = 0.573kg / cm 2

N 1875
FRd = 2ltf vd + 2ltf vd 0 = N ⇒ lmin, scorr = = = 33.3cm
2t ( f vd + f vd 0 ) 2 ⋅ 30(0,573 + 0,365)

PROSPETTO SEZIONE A-A

A
σn fvd
fvd
fwd,h

fvd
N
σn
A fvd0

Fig. 3.24: Piastra di ancoraggio


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 107

Per quanto riguarda, invece, la verifica a compressione sulla muratura, è necessario


controllare che la forza esplicata dalla catena non induca localmente uno sforzo superiore
alla tensione resistente a compressione orizzontale che può essere assunta in maniera
approssimata pari alla metà di fwcd:
N f wcd 2N
σ= ≤ f wcd , h = ⇒ Apiastra , min = lmin,
2
comp =
Apiastra 2 f wcd
2 ⋅ 1875
lmin,comp = = 16cm
14,6
Si assume pertanto una dimensione del lato della piastra pari a 40 cm. Dimensionata la
piastra in pianta, è necessario progettarne lo spessore. Si considera, a vantaggio di sicurezza
lo schema strutturale semplificato riportato in (Fig. 3.25).
Da tale schema è possibile definire lo spessore minimo necessario affinché la massima
sollecitazione flettente non superi quella resistente. Si ipotizza che la piastra sia realizzata
con acciaio S275. In ottemperanza alla NTC 2008 si ha:

⎛N ⎞ l2 N 1⋅ s 2
M max = ⎜⎜ 2 ⎟⎟ = ⇒ M max = M pl , piatto = f yd
⎝l ⎠8 8 4
N 1875
smin = = = 0,77cm ⇒ s = 10mm
2 f yd 2619 ⋅ 2

Verifica a ribaltamento dell’intera parete


Si procede analogamente a quanto descritto in precedenza; si riportano di seguito le
espressioni ottenute (ovviamente in tal caso la verifica per ribaltamento deve essere
eseguita intorno al punto C della Fig. 3.26):

Fig. 3.25: Schema semplificato di verifica della piastra


Pag. 108 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

V + W3 + W2 + F2 + W1 + F1 x
f wcd x ⋅100 = V + W3 + W2 + F2 + W1 + F1 ⇒ x = = 4,74 ⇒ ≅ 0
f wcd ⋅100 2
Essendo: h 2 = h1 , si ha:
h1
M Rib,C = M Rib,B + ( H + FaV + FaW3 + FaF 2 + FaW 2 ) ⋅ ( s + h1 ) + FaW 1 + FaF 1h1 =
2
3
= 1867 + (68.8 + 74 + 66.1 + 213 + 359) ⋅ (0,3 + 3) + 314 ⋅ + 150 ⋅ 3 = 5364daNm
2
t1 ⎛ a1 ⎞
M Stab ,C = M Stab ,B + W1 + F1 ⎜ t1 − ⎟ + FC 2 ( s + h1 + h2 ) =
2 ⎝ 3⎠
0,4 ⎛ 0,25 ⎞
= 612.8 + 2508 ⋅ + 965 ⋅ ⎜ 0,4 − ⎟ + 418 ⋅ (0,3 + 3 + 3) = 4054 daNm
2 ⎝ 3 ⎠
V
F V +H F c3

FW3 W3
50

F2

F F2 F c2
30

FW2
300

W2

a1=25
F1
F F1
30

FW1
300

W1

C
x
40

Fig. 3.26: Schema della verifica a ribaltamento dell’intera parete


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 109

essendo il MRib,C >MStab,C è necessario intervenire ulteriormente, inserendo una catena


aggiuntiva al primo livello, oppure affidando uno sforzo maggiore alla catena del secondo
piano. Nel caso in esame si ipotizza di operare inserendo un tirante metallico all’intradosso
dell’impalcato del I livello. In questo modo è possibile valutare gli sforzi che devono
sopportare le catene per assorbire lo squilibrio fra momento ribaltante e stabilizzante. In
ipotesi di deformata lineare della parete si ottiene:
ΔM = Fc 2 ( h1 + h2 + s ) + Fc1h1 dove h1
Fc1 = Fc 2
h1 + h2 + s
ΔM (h1 + h2 + s ) 3943(3 + 3 + 0.3) 3
Fc 2 = = = 508,7 daN / m Fc1 = Fc 2 = 242.23daN / m
( h1 + h2 + s ) + h1 (3 + 3 + 0.3) + 3
2 2 2 2
6.3

A questo punto, è necessario verificare con i nuovi sforzi la catena precedentemente


progettata e successivamente dimensionare la catena del primo piano.

Catena del secondo piano


Sollecitazione
Ltot 17,95
N = Fc 2 = 508,7 = 2282 daN
4 4

Verifica di resistenza del tirante metallico


f yd As = 4029daN ≥ N

Verifica allo scorrimento della muratura


V + W3 + F2 311 + 285 + 965
σn = = = 0.52kg / cm 2
t 30 ⋅ 100
f vd = f vd 0 + 0.4σ n = 0,365 + 0.208 = 0.573kg / cm 2

FRd , scorr = 2ltf vd + 2ltf vd 0 = 2 ⋅ 40 ⋅ 40(0.365 + 0.573) = 3001daN > N

Verifica a compressione locale


FRd , comp = l 2 f wcd , h = 402 ⋅ 7.8 = 11680daN ≥ N
2 ⋅ 1875
lmin = = 16cm
14,6
Verifica della piastra a flessione
FRd , piatto = 2 ⋅ s 2 f yd = 5238daN ≥ N
Pag. 110 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Catena del primo piano


Sollecitazione
Ltot 17,95
N = Fc1 = 243 = 1090 daN
4 4

Verifica di resistenza del tirante metallico


4N 4 ⋅1090
d min = = = 0.73cm → 7.3mm ⇒ φ12
πf yd π ⋅ 2619

Verifica allo scorrimento della muratura


V + W3 + W2 + F2 + F1 311 + 285 + 1881 + 965 + 965
σn = = = 1.10kg / cm 2
t 40 ⋅ 100
f vd = f vd 0 + 0.4σ n = 0,365 + 0.441 = 0.806kg / cm 2

N 1090
FRd = 2ltf vd + 2ltf vd 0 = N ⇒ lmin, scorr = = = 11.63cm
2t ( f vd + f vd 0 ) 2 ⋅ 40(0,806 + 0,365)

Verifica a compressione locale

2 ⋅ 1090
lmin, comp = = 12.2cm
14,6

Si assume quindi di inserire una piastra di lato pari a 20 cm.

Verifica della piastra a flessione

N 1090
smin = = = 0,46cm ⇒ s = 10mm
2 f yd 2619 ⋅ 2

VERIFICA SISMICA A PRESSOFLESSIONE FUORI PIANO SECONDO NTC 2008

Le catene, introdotte al fine di evitare il ribaltamento, consentono di considerare la singola


parete d’interpiano vincolata in corrispondenza degli impalcati. Tuttavia, a causa delle
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 111

azioni simiche dovute alla massa della parete stessa e all’eventuale eccentricità legata alla
rastremazione dei muri verso l’alto, possono nascere significative sollecitazioni di
pressoflessione nella parete. Tale stato tensionale può portare alla rottura per
schiacciamento della parete.
Si consideri la Fig.3.27. Ai fini della verifica a pressoflessione si considera la
sezione di mezzeria del pannello e le azioni ivi agenti.

Valutazione dello sforzo normale nella mezzeria del pannello

Poiché la verifica va effettuata per le pareti di interpiano ai vari livelli, bisogna, nel caso in
esame, valutare lo sforzo normale per i 2 livelli. In particolare risulta:

W2 1881
N d(2 ) = + V + F2 + W3 = + 310.6 + 965 + 314 = 2530daN
2 2
W W 1881 2508
N d(1) = N d(2 ) + 2 + 1 + F1 = 2530 + + + 965 = 5689 daN
2 2 2 2

Valutazione del momento flettente nella mezzeria del pannello

Il momento flettente è dovuto sia alle azioni sismiche che a quelle non sismiche. Per quanto
riguarda le azioni simiche si deve far riferimento all’espressione che viene utilizzata per gli
elementi non strutturali, vista in precedenza. Dalle azioni ottenute, è possibile valutare il
corrispondente carico uniformemente distribuito e quindi il momento flettente (Tab.3.9):

q
300

Fig. 3.27: Azioni fuori piano nella verifica a pressoflessione


Pag. 112 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

q(h + s )
2
F
q= a ⇒ Ms =
h+s 8
dove s rappresenta lo spessore dei solai.
Pertanto, note le sollecitazioni agenti, è possibile effettuare la verifica a
pressoflessione retta, considerando, in accordo con le norme tecniche del 2008, un
diagramma delle tensioni sulla muratura reagente costante, con valore ridotto della
resistenza di progetto, come riportato in Fig. 3.28.
Ponendo lo sforzo normale ultimo uguale a quello di progetto, dalla scrittura
dell’equilibrio alla traslazione si ricava la posizione dell’asse neutro, mentre dalla scrittura
dell’equilibrio alla rotazione intorno al baricentro geometrico si ricava il momento ultimo
della sezione, che va confrontato con quello sollecitante (è evidente che il solo materiale
reagente è la muratura a compressione):

⎧ Nu
⎪0,85by c f wcd = N u ⇒ y c = 0,85bf
⎪ wcd

⎪M ⎛h y ⎞
= 0,85by c f wcd ⎜ − c ⎟
⎪⎩ Rd ,G ⎝2 2 ⎠

Tab. 3.9: Azioni sismiche dovute allo scarico dei solai intermedi
Fa Ms
Livello [daN] [daNcm]
Piano 2 359 14808
Piano 1 314 12952

b = 100

t Gg
e 0,85 f wcd

N yc

Fig. 3.28: Sezione muraria pressoinflessa


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 113

⎧ N d( 2 ) = 2530daN ⇒ yc = 2,04cm

⎨ ( 2) ⎛ h yc ⎞ ⎛ 30 2,04 ⎞
⎪M Rd ,G = 0,85byc f wcd ⎜ 2 − 2 ⎟ = 2530 ⋅ ⎜ 2 − 2 ⎟ = 35369daNcm > M Sd
⎩ ⎝ ⎠ ⎝ ⎠

⎧ N d(1) = 5689daN ⇒ yc = 4.58cm



⎨ (1) ⎛ h yc ⎞ ⎛ 40 4.58 ⎞
⎪M Rd ,G = 0,85byc f wcd ⎜ 2 − 2 ⎟ = 5689 ⋅ ⎜ 2 − 2 ⎟ = 100752daNcm > M Sd
⎩ ⎝ ⎠ ⎝ ⎠

Si vede quindi come la verifica sia soddisfatta a entrambi i livelli, di conseguenza


l’inserimento delle catene consente eliminare i problemi fuori piano della parete nel caso di
azioni sismiche (meccanismi di 1° modo).

VERIFICA A PRESSOFLESSIONE FUORI PIANO SECONDO NTC 2008 IN


COMBINAZIONE A CARICHI VERTICALI

Le norme tecniche per le costruzioni del 2008 richiedono, nei casi in cui si considerino
combinazioni a carichi verticali, che la parete sia verificata fuori dal piano tenendo conto
degli effetti del II ordine legati alla snellezza dei pannelli murari.
In particolare, vengono definite le eccentricità es relative ai carichi verticali, le eccentricità
ea dovute alle tolleranze di esecuzione, le eccentricità ev dovute alle azioni orizzontali al
piano della della muratura (vento, spinte). Per quel che riguarda le eccentricità legate ai
carichi verticali, si distinguono quelle dovute ai carichi trasmessi dai muri dei piani
superiori a quello considerato (es1) e quelle dovute alle reazioni di appoggio dei solai
soprastanti la sezione di verifica (es2) (Fig. 3.31). In tal modo si procede a sostituire alle
azioni agenti un sistema equivalente che abbia stesso risultante e momento risultante.
Imponendo tale condizione, la norma fornisce le seguenti equazioni per il calcolo delle
eccentricità:

N1d1
e s1 =
N1 + N 2
N 2d 2
es 2 =
N1 + N 2

da considerare positive se dovute ad un momento antiorario e negative se dovute ad un


momento orario. In tal modo all’estremità superiore della parete si ha un sistema
equivalente costituito dai seguenti risultante ed eccentricità:
Pag. 114 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

N = N1 + N 2
e s = e s1 + e s 2

Inoltre, la norma considera un’eccentricità accidentale dovuta a difetti di esecuzione, che


impone pari a:

h
ea = , essendo “h” l’altezza interna di piano
200

A tale eccentricità bisogna poi aggiungere quella del vento, data dal rapporto tra il
momento flettente nella sezione generica del pannello murario dovuto alle azioni ortogonali
al pannello e lo sforzo normale corrispondente. Al fine di valutare le suddette eccentricità è
quindi preliminarmente necessario valutare i carichi verticali in combinazione
fondamentale così come definito dalla Norma Tecnica del 2008.

Combinazione delle azioni permanenti e variabili

Pareti

W1° piano = 1.3 ⋅ 0,4 ⋅ 3,30 ⋅ 1900 = 3260 daN m


W2° piano = 1.3 ⋅ 0,3 ⋅ 3,30 ⋅ 1900 = 2445 daN m
W3° piano = 1.3 ⋅ 0.3 ⋅ 0,50 ⋅ 1900 = 371 daN m

Impalcato di copertura

Riprendendo le considerazioni precedentemente svolte, assumendo come carichi principali


il carico legato al calpestio per gli impalcati tipo ed alla neve per quello di copertura, e
come carico secondario il vento si ottiene:

Qd ,cop = 1.3Gk' 1 + 1.5Gk' 2 + 1.5Qk ,snow = 1.3 ⋅ 29.1 + 1.5 ⋅ 20.63 + 1.5 ⋅ 294.4 =
= 510.4kg / m 2

La corrispondente azione verticale trasmessa dalla copertura è quindi:

Qd ,cop lo2
V = Qd ,cop lo − cos α = 1447kg / m
2l
Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 115

Impalcato tipo

Per l’impalcato tipo si ha invece:


Qd , tipo = 1.3Gk1 + 1.5Gk 2 + 1.5Qk = 1.3 ⋅ 44.7 + 1.5 ⋅ 228 + 1.5 ⋅ 200 = 700 daN m 2
pertanto, considerando le travi semplicemente appoggiate sui maschi ortogonali, lo scarico
del solaio è pari a:
Qd l 700 ⋅ 5,8
F1 = F2 = = = 2030 daN m
2 2

Vento

Nel caso in esame si considererà come più gravoso ai fini della verifica a pressoflessione il
caso in cui la parete sia sottovento. In tale situazione, la norma italiana prevede che il
coefficiente di forma da utilizzare nei calcoli sia assunto pari a 0.4. A questo effetto deve
essere inoltre sommato quello dovuto alla pressione interna dell’edificio, scegliendo di
volta in volta la condizione più sfavorevole. Per costruzioni che hanno una parete con
aperture di superficie minore di 1/3 del totale va assunto come coefficiente di
pressione/depressione interna cpi=0.2. Si ottiene quindi:

Qw = γ qψ 02 ( c pe + c pi ) ⋅ 202 = 1.5 ⋅ 0.6 ⋅ (0.4 + 0.2) ⋅ 202 = 110kg / m 2

Verifica a pressoflessione fuori piano


V

F2
W3
N1 = W2 + W3 + V + F2
a2 /3

t2 N2 = F1 N = N1+ N2

F1
W2
es
d1
a1/3
d2

W1
t1

Fig. 3.29: Eccentricità dovute ai carichi verticali


Pag. 116 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

e1 = es + ea eccentricità ai bordi
e1
e2 = + evento eccentricità in mezzeria
2
Bisogna quindi valutare, con riferimento alle pareti superiori e inferiori, sia i valori delle
azioni N1 e N2, che le eccentricità rispettive d1 e d2.

Parete 1° livello

N1 = V + W2 + W3 + F2 = 6293 daN N 2 = F1 = 2030 daN


t1 − t 2 t1 a1
d1 = = 0.050m d2 = − = 0.117m
2 2 3

Pertanto, le eccentricità es1 ed es2 sono pari a:

N1d1
es1 = = 0.038m
N1 + N 2
N2d2
es 2 = = −0.028m
N1 + N 2

Inoltre, l’eccentricità accidentale è pari a:

h + s 3,3
ea = = = 0.0165 , essendo h l’altezza interna di piano.
200 200
Infine, per quanto riguarda l’eccentricità nella sezione di mezzeria dovuta al vento, è facile
comprendere che bisogna utilizzare la seguente espressione:

Qw (h + s ) 2 110 ⋅ (3.3) 2
evento = = = 0,015m
8( N1 + W1 2 + N 2 ) 8(6293 + 3260 2 + 2030)

Di conseguenza, le eccentricità es, e1 ed e2 sono pari a:

es = es1 + es 2 = 0.01m

e1 = es + ea = 0.007 + 0.015 = 0.0265 m eccentricità ai bordi


Capitolo 3: Analisi delle pareti murarie per azioni fuori piano Pag. 117

e1
e2 = + evento = 0.0133 + 0.015 = 0.0283 m eccentricità in mezzeria
2

I rapporti e1/t ed e2/t sono pari a:

e1 0.0265 e2 0.0283
= = 0.066 < 0.33 = = 0.071 < 0.33
t 0.4 t 0.4

pertanto, sono rispettati i limiti di normativa.


Il coefficiente di riduzione della resistenza del materiale φ va calcolato in funzione della
snellezza convenzionale λ e del coefficiente di eccentricità m. La snellezza convenzionale
della parete viene determinata tenendo conto dell’efficacia di vincolo fornita dai muri
ortogonali in funzione del rapporto h/a, dove h è l’altezza interna di piano, a è l’interasse
dei muri ortogonali.

h + s 3.3
= = 0.44 < 0.5 → ρ = 1
a 7.45

Snellezza convenzionale: λ = ρ h + s = 1 ⋅ 3,3 = 8.25


t 0.4
6 e 6 ⋅
Coefficiente di eccentricità: m1 = 1 = 0.022 = 0.396 6e2 6 ⋅ 0.0306
m2 = = = 0.426
t 0.4 t 0.4

Coefficiente di riduzione della resistenza: φ1 = 0.65 φ2 = 0.69

La verifica consiste nel controllare che lo sforzo normale di progetto, ai bordi ed in


mezzeria, sia inferiore alla resistenza di calcolo, ovvero:

N u1 = 0.65 ⋅14.6 ⋅100 ⋅ 40 = 37960 daN > N1 + N 2 = 8323daN Verifica ai bordi

N u 2 = 0.69 ⋅14.6 ⋅100 ⋅ 40 = 40296 daN > N1 + N 2 + W1 / 2 = 9953daN Verifica in mezzeria

La verifica è pertanto soddisfatta.

Parete 2° livello

Con riferimento alla parete superiore, non essendoci rastremazioni delle pareti ed essendo
solo F2 lo scarico del solaio, si ha:
Pag. 118 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

N 2 = F2 = 2030 daN / m N1 = V + W3 = (1447 + 371)daN = 1818 daN


t 2 a2
d2 = − = 0.10m d1 = 0
2 3
Qw (h + s ) 2 110 ⋅ (3.3) 2
evento = = = 0.029m
8( N1 + N 2 + W2 2) 8(1818 + 2111 + 2445 2)
Pertanto, le eccentricità es1 ed es2 sono pari a:
N 1d 1
e s1 = = 0m
N1 + N 2
N 2d 2
es 2 = = 0.0537m
N1 + N 2

Inoltre, l’eccentricità accidentale è pari a:


h 3
ea = = = 0.015 , essendo h l’altezza interna di piano.
200 200
Di conseguenza, le eccentricità es, es1 ed es2 sono pari a:
e s = es1 + es 2 = 0.0537m
e1 = e s + ea = 0.0537 + 0.015 = 0.0687 m eccentrici tà ai bordi
e1 0.0687
e2 = + evento = + 0.030 = 0.0644 m eccentrici tà in mezzeria
2 2

Mentre i rapporti e1/t ed e2/t sono pari a:


e1 0.0687 e2 0.0644
= = 0.229 < 0,33 = = 0.215 < 0,33
t 0 .3 t 0 .3
Pertanto, i limiti normativi sull’eccentricità, sono soddisfatti. Si ottiene quindi:

Coefficiente di eccentricità: m1 = 6e1 = 6 ⋅ 0.0687 = 1.37 m2 =


6e2 6 ⋅ 0.0854
= = 1.29
t 0.3 t 0.3
Coefficiente di riduzione della resistenza: φ1 = 0.32 φ2 = 0.35
La verifica consiste nel controllare che lo sforzo normale di progetto, ai bordi ed in
mezzeria, sia inferiore alla resistenza di calcolo, ovvero:
N u1 = 0.32 ⋅ 14.6 ⋅ 100 ⋅ 30 = 14016 daN > N 1 + N 2 = 3929daN Verifica ai bordi
N u 2 = 0.35 ⋅ 14.6 ⋅ 100 ⋅ 30 = 15330 daN > N 1 + N 2 + W2 / 2 = 5041daN Verifica in mezzeria

La verifica è pertanto soddisfatta.


Capitolo 4

ANALISI DELLE PARETI MURARIE PER


AZIONI NEL PIANO

4.1 Introduzione
Nella risposta sismica globale degli edifici in muratura le pareti soggette ad azioni nel loro
piano giocano un ruolo determinante. Infatti, se l’edificio è dotato di implacati rigidi e ben
collegati alle murature, le pareti orientate nella direzione del sisma assorbiranno gran parte
dell’azione sismica che verrà ripartita tra le stesse in funzione della loro rigidezza. Invece,
nel caso in cui l’edifico non è caratterizzato da impalcati rigidi e ben collegati, le singole
pareti orientate nella direzione del sisma saranno soggette alle azioni orizzontali derivanti
dalle masse che ad esse competono. Appare pertanto fondamentale per l’analisi sismica
degli edifici la conoscenza del comportamento di una parete soggetta ad azioni orizzontali
agenti nel piano della parete stessa.
Il comportamento di una parete è governato, a sua volta, dal comportamento
flessionale e tagliante degli elementi che la compongono. Per elementi si intendono le zone
delle pareti dotate di una specifica deformabilità e resistenza. In particolare, è possibile
individuare in una generica parete due elementi fondamentali: l’elemento “maschio
murario” e l’elemento “fascia di piano”. Il maschio murario è rappresentato dal pannello di
muratura posto lateralmente ad un’apertura o compreso tra due aperture (finestre e/o
balconi). Per fascia muraria si intende invece la parte di muratura sovrastante un’apertura.
Per comprendere quindi il comportamento complessivo di una parete soggetta ad azioni
orizzontali è necessario conoscere preliminarmente il comportamento di un maschio
murario soggetto ad azioni taglianti parallele ai giunti di malta e ad azioni normali derivanti
dai carichi verticali, ed il comportamento di una fascia di piano soggetta essenzialmente ad
azioni taglianti ortogonali ai giunti di malta. Pertanto, nel presente volume, al fine di
esaminare il comportamento complessivo degli edifici multipiano in muratura si procederà
seguendo le fasi di seguito elencate e schematicamente rappresentate in Fig.4.1:
1. Analisi del comportamento dei maschi murari per azioni nel piano;
2. Analisi del comportamento delle fasce di piano soggette ad azioni taglianti;
3. Analisi del comportamento di una parete monopiano composta da più maschi
murari e fasce di piano;
4. Analisi del comportamento di una parete multipiano;
5. Analisi del comportamento degli edifici monopiano;
6. Analisi del comportamento degli edifici multipiano.
Pag. 120 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 4.1: Sviluppo analisi

4.2 Analisi dei pannelli murari soggetti ad azioni normali e


taglianti (maschi murari)

4.2.1 Legame costitutivo semplificato dei maschi murari


Il comportamento dei maschi murari soggetti ad azioni normali e taglianti viene studiato dal
punto di vista sperimentale mediante prove nelle quali mantenendo costante il valore dello
sforzo normale applicato ai pannelli viene progressivamente incrementata l’azione tagliante
fino al collasso. In Fig.4.2 è rappresentata qualitativamente la risposta sperimentale del
pannello murario nella quale V rappresenta l’azione tagliante variabile e δ lo spostamento
relativo tra la testa ed il piede del pannello. Si osserva complessivamente un
comportamento non lineare.
Nelle analisi strutturali, come sovente accade, si cerca di impiegare un legame più
semplice, spesso lineare a tratti, in modo da poterlo caratterizzare con pochi parametri di
chiaro significato fisico e facilmente determinabili sperimentalmente o analiticamente. E’
questo il caso anche delle mutature. Per esse viene impiegata generalmente una
modellazione della curva V- δ di tipo bilineare (Fig.4.2). Il primo tratto elastico lineare è
caratterizzato dal parametro di rigidezza K0, il secondo tratto, lineare perfettamente
plastico, viene individuato dal valore ultimo dell’azione tagliante V=Vu e dallo spostamento
ultimo δu il cui valore definisce l’estensione del ramo plastico e quindi la duttilità del
pannello murario. Generalmente, il valore ultimo del taglio assunto nel modello
semplificato corrisponde al 90% dell’azione tagliante massima fornita dall’analisi
sperimentale.
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 121

Pertanto, ai fini della completa definizione del legame V- δ semplificato occorre


caratterizzare i tre parametri che lo governano: la rigidezza iniziale K0, la resistenza Vu e lo
spostamento ultimo δu.
V
Curva sperimentale
Vmax
Vu
Schematizzazione a bilatera
(elastica perfettamente plastica)

Vu=0,9Vmax

K0
δ
δe δu
Fig. 4.2: Legame Forza-spostamento di un singolo setto

4.2.2 Rigidezza dei maschi murari per azioni taglianti


La rigidezza K0 correla in campo elastico l’azione tagliante al corrispondente spostamento
della testa del pannello rispetto alla base. Attese le dimensioni tipiche dei pannelli murari,
nella determinazione dello spostamento per effetto delle azioni taglianti, assume un ruolo
determinante sia la deformabilità flessionale del pannello nel suo piano che la deformabilità
tagliante. Questi due contributi operano “in serie” per il generico valore dell’azione
tagliante per cui si può valutare la deformabilità complessiva del maschio murario mediante
la somma della deformabilità flessionale e di quella tagliante.
Per quanto concerne la deformabilità flessionale, essa dipende chiaramente dalle
condizioni di vincolo della sezione di testa del pannello murario. Nel caso limite di fascia di
piano molto alta e rigida, il maschio murario può essere considerato vincolato in testa con
un doppio pendolo (Fig.4.3a), mentre nel caso limite di fascia di piano deformabile il
maschio murario si comporta come pannello libero di ruotare in testa (Fig.4.3b).
Pertanto, nel caso limite di pannello vincolato con doppio pendolo, che è il caso
assunto per ipotesi nel modello semplificato suggerito dalla C.M.21745/81, metodo POR,
largamente impiegata nell’analisi degli edifici esistenti in muratura prima dell’introduzione
dell’OPCM 3274 e delle NTC2008, la deformabilità complessiva del maschio murario
risulta pari a:

1 1 1 h3 χh
= + = + (4.1)
K o K M K T 12EI GA
Pag. 122 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

dove K0, KM e KT sono rispettivamente le rigidezze totale, flessionale e tagliante, χ è il


fattore di taglio della sezione (nel caso di sezione rettangolare: χ≅1,2).

Invertendo la precedente relazione si ottiene la seguente espressione della rigidezza K0:

⎛ ⎞
GA ⎜ 1 ⎟
K0 = ⎜ ⎟ (4.2)
1.2 ⋅ h ⎜ 1 + 1 G λ 2 ⎟
⎝ 1.2 E ⎠
dove λ è la snellezza geometrica nel piano della parete data dal rapporto tra l’altezza del
pannello h e la larghezza l.
Nel caso limite di pannello libero in testa, la deformabilità complessiva del
maschio murario risulta pari a:

1 1 1 h3 χh
= + = + (4.3)
K o K M K T 3 EI GA
Pertanto, in tal caso, si ottiene la seguente espressione della rigidezza K0:

⎛ ⎞
GA ⎜⎜ 1 ⎟

Ko = (4.4)
1.2 ⋅ h ⎜ 4 G 2 ⎟
⎜1+ λ ⎟
⎝ 1.2 E ⎠

N
V V N

(a) Pannello vincolato in (b) Pannello libero in testa


testa (Fasce rigide) (Fasce deformabili)
Fig. 4.3: Modello di riferimento per il calcolo della rigidezza e della resistenza
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 123

4.2.3 Resistenza dei pannelli murari soggetti ad azioni taglianti


Allo scopo di determinare il valore massimo dell’azione tagliante che può sostenere un
pannello murario occorre valutare le differenti modalità di collasso che al crescere
dell’azione tagliante possono manifestarsi nel pannello stesso. Le modalità di rottura di un
pannello murario dipendono sia dalle sue dimensioni che dal carico su di esso applicato. In
particolare, in funzione della snellezza geometrica nel piano della parete λ possono
presentarsi le seguenti modalità di collasso (Fig.4.4):
1. Rottura per fessurazione diagonale: si osserva per pareti con snellezza
piuttosto limitata, in genere λ<1.
2. Rottura per scorrimento rispetto alla base: si verifica per bassi valori del
coefficiente di attrito μ tra base e parete.
3. Rottura per pressoflessione: si riscontra su pannelli murari con snellezza
elevata, (λ>2).
Il primo tipo di rottura è quello assunto nel metodo POR e non dipende dalla
snellezza del pannello. Le altre due tipologie di rottura dipendono invece dall’entità del
momento che sollecita la sezione di base e conseguentemente dalla parzializzazione o meno
della sezione trasversale in relazione ai carichi normali applicati per cui, come sarà
mostrato nel seguito, per tali modalità di collasso occorrerà considerare sia il caso di
sezione interamente reagente che quello di sezione parzializzata.
L’obiettivo del presente paragrafo è quello di determinare per le varie modalità di
rottura il valore dell’azione tagliante ultima Vu in presenza di un generico valore dello
sforzo normale N. Nel seguito, l’azione tagliante ultima viene normalizzata rispetto al
parametro f vk0 l t , dove t è lo spessore del pannello. Si ha, pertanto:

~τ = Vu
(4.5)
u l⋅t ⋅f
vk0
dove t è lo spessore del pannello. Tale valore rappresenta il rapporto tra l’azione tagliante
ultima di un pannello in presenza di sforzo normale e caratterizzato da una certa snellezza
ed il corrispondente valore di un pannello tozzo in assenza di sforzo normale.
In maniera simile viene introdotta la seguente espressione della tensione normale
adimensionalizzata dividendo la tensione media per la resistenza caratteristica a
compressione della muratura fwk:
~= N
σ (4.6)
l ⋅ t ⋅ f wk
Nello sviluppo delle analisi che seguiranno, saranno impiegati inoltre le seguenti
espressioni della tensione tangenziale media e della tensione normale media:
V N
τ = e σ = (4.7)
l⋅t l⋅t
Pag. 124 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

V V V
h

h
l l l
a) rottura per fessurazione diagonale b) rottura per taglio-scorrimento c) rottura per pressoflessione

Fig. 4.4: Possibili meccanismi di collasso

4.2.3.1 Rottura per fessurazione diagonale


Il criterio di rottura per fessurazione diagonale considera la rottura del pannello per
formazione di fessure diagonali a metà della sua altezza.
In tal caso, le tensioni tangenziali agenti sulla sezione retta del pannello raggiungono
il loro valore massimo lungo l’asse geometrico verticale dello stesso, mentre la tensione
verticale σ si assume costante su tutti i punti della sezione orizzontale. La presenza
simultanea di tensioni tangenziali e di compressione comporta una concentrazione delle
tensioni stesse che potrebbe portare alla creazione di lesioni dovute a taglio–compressione;
tali lesioni compaiono inizialmente nella zona centrale, dove le tensioni tangenziali
raggiungono il loro valore massimo.
Ipotizziamo una distribuzione costante delle tensioni normali verticali:
N
σ = (4.8)
l⋅t
Uno schema statico molto semplice per le applicazioni è quello di Fig.4.3a, proposto
da Turnsek e Cacovic agli inizi degli anni ’70. In tale schematizzazione il setto è
considerato a comportamento lineare, vincolato in modo da impedire le rotazioni alle
estremità e soggetto ad una forza orizzontale V ed al carico per unità di superficie σ
trasmesso dai solai e dai setti superiori.
Come già evidenziato in precedenza, lo stato limite ultimo dei setti è caratterizzato
dalla formazione di lesioni diagonali, inclinate ortogonalmente alla direzione principale di
trazione, la cui rapida propagazione conduce alla crisi della struttura. Pertanto, si analizza
lo stato tensionale di un elemento posto al centro del setto sollecitato da una spinta laterale
orizzontale e dal carico σ (Fig.4.5). Dal cerchio di Mohr si deduce che le tensioni
principali di trazione e di compressione sono pari a:
2 2
σ ⎛σ⎞ σ ⎛σ⎞
ση = − ⎜⎜ ⎟⎟ + τ 2 e σ ξ = + ⎜⎜ ⎟⎟ + τ 2 (4.9)
2 ⎝2⎠ 2 ⎝ 2⎠
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 125

y τ
σo σo
σo τ

V P (σ x ,−τ xy)
τ
δ τ x
τ
σξ τ
σo
σ
h
τ
ση

σξ ση

Fig. 4.5: Stato pensionale di un elementino centrale e corrispondente cerchio di Mohr

Si considera la sezione orizzontale per il centro del pannello, la τ max si ha in


corrispondenza della fibra baricentrica. Pertanto, indicati con:
• Sy il momento statico della parte della sezione al di sopra della generica fibra,
• IG il momento di inerzia dell’intera sezione rispetto al suo asse baricentrico,
applicando la formula di Jourawsky, si ha (Fig.4.6):
VSy V S max V ⋅ t ⋅ l 2 8 3 V
τy = ⇒ τ max = = = = 1.5τ (4.10)
t IG tI G t ⋅ t ⋅ l 3 12 2 l ⋅ t

Pertanto, le tensioni principali massime di trazione e di compressione sono pari


rispettivamente a:

2 2
σ ⎛σ ⎞ σ ⎛σ ⎞
− ⎜ ⎟ + (1.5τ ) e σ ξ,max = + ⎜ ⎟ + (1.5τ )
2 2
σ η,max = (4.11)
2 ⎝2⎠ 2 ⎝2⎠

Supponendo nulla la tensione normale σ trasmessa al setto dai piani superiori, si ottiene:
σ η,max = −1.5 ⋅ τ (4.12)

Mentre a rottura, indicata con fwt la resistenza a trazione della muratura, si avrà:

σ η,max = −1.5 ⋅ τ u σ =0 = f wt (4.13)


Pag. 126 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

σ
V τ
τmax
y

h t

Fig. 4.6: Parametri geometrici del pannello murario.


Ricordando che la fvk0 è la resistenza caratteristica a taglio in assenza di sforzo
normale, si ha:
f vk0 = τ u σ = 0 (4.1)

e quindi, risulta:
f wt
f vk0 = τ u σ =− (4.15)
0 =0
1.5
La condizione di rottura, nell'ipotesi che σ ≠ 0 , risulta:
2
σ ⎛σ ⎞
− ⎜ ⎟ + (1.5 ⋅ τ u ) = f wt = −1.5 f vk0 ⇒
2

2 2
⎝ ⎠
(4.16)
2

( ) ( ) = (1.5 τ )
2
⎛σ ⎞ ⎛σ⎞
⎜ + 1.5 f vk0 ⎟ = ⎜⎜ ⎟⎟ + (1.5 ⋅ τ u )
2 2 2
⇒ σ ⋅ 1.5 f vk0 + 1.5 f vk0 u
⎝2 ⎠ ⎝2⎠
Posto allora:
τ u = τ u σ ≠0 (4.17)
il valore della tensione tangenziale (media) ultima quando le tensioni verticali σ sono
diverse da zero, risulta:
σ
τ u = f vk0 ⋅ 1 + (4.18)
1.5 ⋅ f vko

Adimensionalizzando rispetto a f vk0 si ha:


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 127

~τ = 1 + σ f wc
u (4.19)
f wc 1.5 ⋅ f vk0

ovvero:
~τ = 1 + K~
σ (4.20)
u

in cui:
f wk
K= (4.21)
1.5f vk0

τu
f vk0
2

4.5 σ
f vk0

Fig. 4.7: Legame τ% − σ%

Il diagramma di Fig.4.7, che fornisce la rappresentazione grafica dell’Eq.(4.20), mostra che


la tensione media di rottura a taglio aumenta in presenza di tensioni verticali del
fattore σ , finchè non si innescano altri meccanismi di collasso del setto.
1+
1.5 ⋅ f vk0

4.2.3.2 Rottura per taglio - scorrimento


Tale modalità di collasso è provocata dallo scorrimento orizzontale del pannello lungo i
corsi di malta. Il criterio di rottura è dunque di tipo attritivo e si esprime mediante la
relazione:
τ u = c + μσ = f vk0 + μσ (4.22)
dove c è la coesione tra blocchi e giunti di malta, posta pari alla resistenza a taglio in
assenza di sforzo normale fvk0, mentre μ rappresenta il coefficiente di attrito.
Pag. 128 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Si possono individuare 2 casi: sezione interamente reagente e sezione parzializzata.


a) Sezione interamente reagente (e≤l/6)
Il criterio di rottura per scorrimento fornisce la seguente relazione:
τ u = f vk0 + μσ (4.23)
che adimensionalizzata diventa:

~τ = 1 + μ σ = 1 + μ f wc σ
u (4.24)
f vk0 f vk0 f wc
ovvero:
~τ = 1 + 1.5 ⋅ K ⋅ μ ⋅ ~
σ
u (4.25)

b) Sezione parzializzata

Nel caso di sezione di base parzializzata (Fig.4.8), si considera una sezione reagente Ar
costituita dalla sola parte compressa definita nell’ipotesi di legame tensioni - deformazioni
di tipo lineare.
Il criterio di rottura per scorrimento diventa:
τ ′ = f vk0 + μσ ′ (4.26)
in cui:
V V l τ ⋅l N N l l
τ′= = ⋅ = e σ′= = ⋅ =σ (4.27)
3ut l t 3u 3u 3ut l t 3u 3u
sono rispettivamente la tensione tangenziale media e la tensione normale media sulla parte
di sezione reagente di area 3u ⋅ t .
u

t
3u

σmax
l

Fig. 4.8: Diagramma tensionale con sezione parzializzata


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 129

Esprimendo la tensione tangenziale media τ sulla sezione larga l in funzione di τ ′ e σ ′ si


ottiene:

3u
τu = f vk0 + μσ (4.28)
l
Ricordando che:
l
u= −e (4.29)
2
e che:
M V⋅h
e= = (4.30)
N 2N

la (4.29) diventa:

u 1 e 1 1 h V lt 1 ⎛ τ ⎞
= − = − ⋅ ⋅ ⋅ = ⋅ ⎜1 − λ ⋅ ⎟ (4.31)
l 2 l 2 2 l N lt 2 ⎝ σ⎠
mentre la relazione (4.28) può porsi nella forma:

⎡1 ⎛ τ u ⎞⎤
τ u = 3f vk0 ⎢ ⎜1 − λ ⎟ + μσ (4.32)
⎣2 ⎝ σ ⎠⎥⎦
τu
Isolando si ha:
f vk0
σ
1.5 + μ
τu f vk0
= (4.33)
f vk0 f vk0
1 + 1.5λ
σ
f wc
Infine, adimensionalizzando σ rispetto a f wc e ponendo nuovamente K = e
1.5τ k
h
= λ , si ottiene la seguente espressione del tagliante ultimo adimensionale nel caso di
l
rottura per scorrimento su sezione parzializzata:

~τ = 1.5K~ (1 + μK~σ )
σ⋅ ~
u (4.34)
Kσ + λ
Pag. 130 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

4.2.3.3 Rottura per pressoflessione


Tale criterio di rottura individua il raggiungimento della capacità portante limite a
pressoflessione della sezione di base del pannello. La condizione di rottura è espressa dal
raggiungimento della massima tensione normale al lembo compresso:
σ max = f wk (4.35)
Nel seguito si riportano gli sviluppi analitici nel caso di sezione alla base interamente
reagente e sezione parzializzata.

a) sezione interamente reagente


Assumendo come condizione di rottura il raggiungimento della massima tensione normale
fwk sul bordo compresso, la sezione risulta interamente reagente se:

~ σ
σ= ≥ 0.5 (4.36)
f wk
Dall’equilibrio della sezione di base si ricava la tensione massima di compressione:
M V⋅h 6 V h
σ max = σ + =σ + ⋅ =σ +3 ⋅ (4.37)
W 2 t l2 tl l
la quale si può porre nella forma:
σ max = σ + 3λτ (4.38)

Posto σ max = f wk , la tensione tangenziale media ultima vale:

f wk − σ
τu = (4.39)

in forma adimensionale diventa:
~
~τ = K 1 − σ (4.40)
u

b) sezione parzializzata
La sezione è parzializzata se:

~ σ
σ= < 0.5 (4.41)
f wk
Dall’equilibrio della sezione alla traslazione verticale si ottiene:
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 131

σ max ⋅ 3 ⋅ u ⋅ t
−σ ⋅l⋅ t = 0 (4.42)
2
Dividendo per l ⋅ t e sostituendo l’espressione di u/l dell’eq. (4.31) nella (4.42), si
ottiene:
3 ⎛ 1 τλ ⎞
σ max ⎜ − ⎟ −σ = 0 (4.43)
2 ⎝ 2 2σ ⎠
dalla quale si ricava:

σ ⎛ 4 σ ⎞
τ = ⎜1 − ⎟ (4.44)

λ ⎝ 3 σ max ⎟

Imponendo σ max = f wk , è possibile determinare il valore del taglio ultimo medio:

σ⎛ 4 σ ⎞
τu = ⎜⎜1 − ⎟⎟ (4.45)
λ ⎝ 3 f wk ⎠
e quindi si perviene al seguente valore del taglio ultimo adimensionale:
1,5Kσ~ ⎛ 4 ~ ⎞
τ~u = ⎜1 − σ ⎟ (4.46)
λ ⎝ 3 ⎠
L’esame delle varie formulazioni evidenzia la dipendenza della resistenza ultima da
tre parametri adimensionali:

• ~= σ ,
il livello di tensione σ
f wk
h
• il rapporto di snellezza λ = del pannello,
l
f wk
• il rapporto K = .
1.5f vk0
Si osserva che le formulazioni della resistenza per fessurazione diagonale e per
taglio scorrimento con sezione interamente reagente sono indipendenti dal parametro λ,
mentre le formulazioni della resistenza per taglio scorrimento con sezione parzializzata e
pressoflessione presentano valori della resistenza tagliante decrescenti al crescere di λ. Tale
fenomeno è dovuto da un lato alla riduzione della sezione reagente per effetto della trazione
indotta dalle sollecitazioni flettenti, dall’altro alla condizione limite per schiacciamento
delle zone compresse.
Pag. 132 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

4.2.3.4 Resistenza dei maschi murari


Sulla base delle analisi sviluppate nei precedenti paragrafi è emerso che le diverse modalità
di rottura conducono alla definizione in forma adimensionale di una resistenza a taglio
τ~u funzione dei parametri K, λ, σ% per ciascuna modalità di rottura (Fig.4.9). E’ evidente
quindi che la resistenza del pannello sarà governata dalla modalità di rottura a cui
corrisponde il valore della resistenza a taglio τ~u più basso la quale a priori non è
determinabile ma va valutata caso per caso in funzione dei valori dei parametri K, λ, σ% .
Allo scopo di esaminare l’influenza dei tre parametri K, λ, σ% sulle modalità di
collasso dei pannelli murari soggetti a compressione e taglio, in Fig.4.10 sono stati
rappresentati i domini dei valori di λ e σ% caratterizzati dalle differenti modalità di collasso.
In particolare, assegnato il valore del parametro K, generalmente variabile da 10 a 25,
ovvero una volta assegnate le caratteristiche meccaniche del pannello, le frontiere dei vari
domini caratterizzati da differenti modalità di collasso sono state ottenute uguagliando a
due a due le espressioni trovate per la τ u . Dall’osservazione della Fig. 4.10 risulta evidente
che la crisi per taglio-scorrimento è possibile solo in presenza di valori bassi della tensione
normale mentre, all’aumentare della snellezza e della tensione normale risulta sempre più
penalizzante la verifica a pressoflessione rispetto a quella per fessurazione diagonale.
Inoltre è possibile osservare che al diminuire di K, poiché si riduce la resistenza a
compressione del materiale rispetto a quella a taglio, si amplifica progressivamente la zona
caratterizzata da crisi per pressoflessione.

V V V
h

l l l

a) rottura per fessurazione diagonale c) rottura per taglio-scorrimento c) rottura per pressoflessione

~
~τ = 1 + K~ e≤l/6 ~τ = 1 + 1.5 ⋅ K ⋅ μ ⋅ ~
σ e≤l/6 ~τ = K 1 − σ
u σ u u

e>l/6 ~τu = 1.5K~
(1 + μKσ~ )
σ⋅ ~ e>l/6 τ~u =
1 ,5 K ~⎛ 4 ⎞
σ
⎜1 − σ~ ⎟
Kσ + λ λ ⎝ 3 ⎠
Fig. 4.9: Possibili meccanismi di collasso
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 133

Infine va sottolineato che l’analisi sviluppata nei precedenti paragrafi, riferita a


pannelli vincolati in sommità, può essere parimenti sviluppata con riferimento a pannelli
liberi di ruotare in testa. In tal caso possono essere adottate le stesse formulazioni
sviluppate nei precedenti paragrafi a patto di considerare un valore doppio della snellezza.
Ciò comporta un’amplificazione del dominio di crisi per pressoflessione rispetto a quelli
per fessurazione diagonale e per taglio scorrimento.
1
0,9 K=20
tensione normale adimensionale

PRESSOFLESSIONE
0,8 K=15
0,7 K=10
0,6
0,5
0,4
FESSURAZIONE
0,3 DIAGONALE

0,2
0,1
0 SCORRIMENTO

0 0,5 1 1,5 2 2,5


snellezza (l/h)

Fig. 4.10: Influenza dei parametri λ, σ~ sulle modalità di collasso per K=10, 15, 20

4.2.4 Duttilità dei maschi murari


Per duttilità di un pannello muarario si intende il rapporto fra lo spostamento allo stato
limite ultimo e quello al limite elastico ove si manifesta la fessurazione:

μ = δ u /δ e (4.47)
La Circolare Ministeriale n.21745/81 fissa tale valore della duttilità pari a:
• 1.5 per murature esistenti non consolidate in buone condizioni;
• 2.0 per murature esistenti consolidate.
Invece le NTC 2008 fissano non il valore della duttilità μ ma direttamente il valore dello
spostamento ultimo δu in percentuale dell’altezza del maschio murario al variare del tipo di
rottura. In particolare, al punto 7.8.2.2, relativo agli edifici nuovi, vengono fissati i seguenti
valori:
Pag. 134 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

• δu =0,4% di h per la modalità di rottura a taglio;


• δu =0,8% di h per la modalità di rottura a presso flessione.
mentre ai punti C8.7.1.4 C8.7.1.5, relativi agli edifici esistenti, viene fornita la seguente
indicazione:
• δu =0,4% di h per la modalità di rottura a taglio;
• δu =0,6% di h per la modalità di rottura a presso flessione.

4.3 Analisi dei pannelli murari soggetti a sole azioni


taglianti (fasce di piano)
Se siamo in presenza di un’azione assiale orizzontale nella fascia la verifica delle travi di
accoppiamento in muratura ordinaria viene effettuata in analogia a quanto previsto per i
pannelli murari verticali. Generalmente, però, le fasce vengono considerate assialmente
scariche. In tal caso, al fine di determinare la resistenza della fascia, possiamo distinguere
tre possibili casi caratterizzati da differenti meccanismi resistenti: il caso di fascia non
armata, fascia con un cordolo in corrispondenza del baricentro oppure fascia dotata di
cordolo e architrave posti in corrispondenza del bordo superiore ed inferiore della fascia.

a) Fascia non armata o fascia in presenza di cordolo di bordo


La fascia armata da un cordolo di piano ubicato sul bordo della sezione, caso ricorrente
quando l’apertura superiore alla fascia è rappresentata da una porta e non da una finestra, si
comporta ai fini della resistenza a flessione come la fascia non armata. Infatti, la presenza
del cordolo potrebbe consentire di portare in conto un elemento resistente a trazione solo
nei confronti di momenti negativi, che quindi tendono le fibre superiori, mentre le fascie
sono sollecitate, per effetto delle azioni sismiche, da momenti alle estremità di segno
opposto (Fig.4.11). Pertanto, nell’estremo sollecitato da momenti positivi, l’assenza di un

A
Sez. A-A
σc

Md Td τmax
hf

tf σt

Fig. 4.11: Sollecitazioni nel caso di fascia di piano non armata


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 135

elemento resistente al lembo teso, richiede per la verifica di resistenza di far affidamento
alla sola capacità di resistenza a trazione della muratura alla stessa stregua di una fascia non
armata. Si comprende anche, che in questi casi non è possibile valutare una resitenza
flessionale della fascia se non si fa affidamento alla resistenza a trazione della muratura.
-Verifica a flessione
Ai fini della verifica a flessione, si valuta il momento resistente di progetto imponendo che
la tensione di trazione nel bordo maggiormente teso della muratura “σt” eguagli la
resistenza a trazione di progetto del materiale, che, come evidenziato nel pargarafo 4.2.3.1,
risulta pari ad 1.5 volte la resistenza a taglio in assenza di sforzo normale. Imponendo tale
condizione, è possibile valutare il momento resistente della sezione stessa:

6M f vdo ,h t f h 2f
σt = ≤ f td ,h = 1.5 f vdo,h ⇒ M Rd =
t f h 2f 4 (4.28)
Verifica : M d ≤ M Rd

-Verifica a taglio:
Per la valutazione del taglio resistente di progetto, considerando che la fascia non è soggetta
ad azioni assiali, occorre imporre che la tensione tangenziale media sia uguale alla
resistenza a taglio in assenza di sforzo normale. Pertanto, risulta:
T
τ= ≤ f vdo, h ⇒ TRd = f vdo, h t f h f
t f hf (4.49)
Verifica : Td ≤ TRd

Nel caso in cui tali verifiche non siano soddisfatte, al fine di evitare la rottura delle fasce di
piano, si può osservare che:
• per aumentare la resistenza a flessione, si può far affidamento alla presenza di
cordoli di piano e di piattabande;
• per aumentare la resistenza a taglio, si potrebbero inserire elementi orizzontali
precompressi oppure paretine armate.
Occorre comunque precisare che le NTC2008, con riferimento al comportamento delle
fasce, precisa al punto 7.8.1.5.2 che le fasce di piano in muratura ordinaria possono
svolgere la funzione di accoppiamento fra pareti diverse solo se sorrette da un cordolo di
piano o da un architrave resistente a flessione efficacemente ammorsato alle estremità.

b) Fascia in presenza di cordolo baricentrico


L’NTC 2008 prescrive che in presenza di un cordolo di piano o di un’architrave resistente a
flessione efficacemente ammorsato all’estremità, in grado di equilibrare una compressione
orizzontale nelle travi in muratura, il massimo momento resistente, associato al
meccanismo di pressoflessione, può essere valutato, come di seguito:
Pag. 136 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

⎣ ( )
M u = H p h f / 2 ⋅ ⎡1 − H p / 0.85 f wd , h h f t f ⎤

(4.50)

dove Hp è il minimo tra la resistenza a trazione dell'elemento teso disposto orizzontalmente


ed il valore 0.4 fwd,h hf tf con fwd,h = fwk,h / γm pari alla resistenza di calcolo a compressione
della muratura in direzione orizzontale (nel piano della parete).
La resistenza a taglio, associata a tale meccanismo, è pari a:
V p = 2M u / l (4.51)
dove l è la luce libera della trave in muratura.
Secondo l’NTC 2008, il valore della resistenza a taglio per l’elemento trave in
muratura ordinaria deve essere assunto pari al minimo tra TRd e Vp. Il momento resistente
fornito dalla normativa (4.50) scaturisce dal meccanismo resistente esposto in Fig. 4.12.
In particolare con riferimento ai cordoli di piano, l’NTC 2008 prescrive che ad ogni
piano deve essere realizzato un cordolo continuo all’intersezione tra solai e pareti di
larghezza almeno pari a quella del muro. È consentito un arretramento massimo di 6 cm dal
filo esterno. L’altezza minima dei cordoli deve essere pari all’altezza del solaio. L’armatura
corrente non deve essere inferiore a 8 cm2, le staffe devono avere diametro non inferiore a 6
mm ed interasse non superiore a 25 cm.

c) Fascia in presenza di cordoli e architravi


Se siamo in presenza di un vano porta con cordoli in c.a. superiori ed inferiori (Fig. 4.13) la
resistenza della fascia viene valutata adottando un braccio della coppia interna pari
all’intera altezza della fascia. Dagli equilibri alla traslazione ed alla rotazione risulta un
momento resistente dell’elemento pari a:
⎡ 1 Hp ⎤
Mu = H p h f ⎢1− ⋅ ⎥ (4.52)
⎢⎣ 2 0.85 f wd,h h f t f ⎥⎦

A
Sez. A-A

Md Td Hp
hf

tf 0.85 fwd,h

Fig. 4.12: Sollecitazioni nel caso di fascia di piano con cordolo baricentrico
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 137

Se siamo in presenza di un vano finestra, la presenza del cordolo di piano e della


piattabanda sul vano sottostante impongono che la coppia interna impegna sempre solo
metà dell’altezza della fascia se per altezza di fascia intendiamo l’altezza complessiva della
muratura tra le due aperture ovvero la distanza tra la piattabanda del vano inferiore ed il
davanzale del piano superiore. In tal caso quindi, la resistenza a taglio associata è sempre
fornita dall’eq.(4.50).
Nel caso in cui, invece, i vani finestra siano dotati di un elemento resistente a
trazione in corrispondenza del davanzale (Fig. 4.14), la resistenza risulta significativamente
incrementata in quanto viene fornita dall’Eq.(4.52) con hf pari all’intera altezza della
fascia. Si comprende pertanto l’importanza delle zone di muratura sottostanti i vani finestra
che non solo non vanno indeboliti ma possono risultare determinanti nel comportamento
complessivo se dotate di un’adeguato elemento resistente a trazione in corrispondenza del
davanzale.

Sez. A-A

Hp

Md Td
hf

y Hp

tf 0.85 fwd,h

Fig. 4.13: Sollecitazioni nel caso di fascia di piano con piattabande e cordoli(balcone)

A
Sez. A-A
Hp

Md Td
hf

y Hp

tf 0.85 fwd,h

Fig. 4.14: Sollecitazioni nel caso di fascia di piano con piattabande e cordoli(finestra)
Pag. 138 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

4.4 Modellazione delle pareti soggette ad azioni nel piano


Passando dal singolo pannello murario alla parete multipiano costituita da più maschi
separati da porte o finestre, come già evidenziato al paragrafo 2.4 il comportamento per
effetto delle azioni nel piano è fortemente influenzato dal comportamento delle fasce di
piano.
In relazione alla rigidezza delle fasce di piano il comportamento dei maschi passa
dalla condizione di pannello impedito di ruotare in testa (ipotesi limite di fascia
infinitamente rigida) alla condizione di pannello libero di ruotare in testa (ipotesi limite di
fascia di rigidezza flessionale nulla). La modellazione della parete non può quindi
prescindere dalla modellazione della fascia di piano. Tuttavia, numerosi sono i modelli
proposti per le pareti in muratura alcuni dei quali considerano esplicitamente le fasce altri,
invece, né modellano l’azione di vincolo esercitata sui maschi. Nell’ambito della casistica
di modelli disponibili è possibile operare una prima distinzione tra modelli
monodimensionali delle pareti murarie, nei quali i maschi e le fasce sono modellati come
pannelli murari dal comportamento non lineare come descritto al paragrafo 4.2, e modelli
bidimensionali che utilizzano elementi finiti più o meno accurati oppure macroelementi
finiti in grado di ridurre l’onerosità del modello.
Per quanto concerne i modelli monodimensionali, in relazione alla rigidezza delle
fasce di piano, possiamo distinguere le tre seguenti tipologie di modelli:
a) modelli con traversi infinitamente rigidi (modelli shear type);
b) modelli di maschi indipendenti o accoppiati da pendoli;
c) modelli a telaio.
Nei modelli di tipo a) si adotta l’ipotesi di fasce di piano infinitamente rigide e
resistenti. La parete, quindi, dal comportamento shear-type, può essere esaminata
considerando separatamente i vari piani.
Nei modelli monodimensionali di tipo b), sotto l’ipotesi di fasce di piano di
rigidezza flessionale nulla, i maschi murari si comportano come singoli pannelli murari di
snellezza elevata, eventualmente collegati da pendoli in presenza di cordoli di piano.
Nei modelli monodimensionali a telaio, non viene assunta a priori alcuna ipotesi
limite sul comportamento delle fasce che quindi vengono modellate come pannelli murari
in assenza di sforzo normale.
Nel seguito, verranno singolarmente esaminati i diversi modelli monodimensionali e
bidimensionali.

4.4.1 Modelli monodimensionali con traversi infinitamente rigidi

4.4.1.1 Curva Pushover del singolo piano e Metodo POR


Nell’ipotesi di impalcato deformabile nel proprio piano, ciascuna parete sarà soggetta alle
azioni sismiche derivanti direttamente dalle masse su essa gravanti. In tal caso, pertanto,
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 139

non occorre effettuare un’analisi globale dell’edificio finalizzata alla ripartizione delle
azioni sismiche, ma è sufficiente studiare il comportamento delle singole pareti, formate da
uno o più setti, sotto l’azione delle relative forze sismiche.
Uno dei metodi semplificati per analizzare il comportamento di una parete per azioni
nel piano è il Metodo POR. Le ipotesi che sono alla base di tale metodo sono le seguenti:
1) Infinita resistenza e rigidezza delle fasce di piano;
2) Crisi del maschio per fessurazione diagonale;
3) Trascurabilità degli incrementi di sforzo normale nei maschi per effetto delle
azioni orizzontali.
La prima ipotesi consente, nell’imporre una infinita rigidezza delle fasce, di
modellare il pannello come vincolato in testa da un doppio pendolo (Fig. 4.3a) e nello
stesso tempo di non effettuare verifiche di resistenza sulle fasce.
La seconda ipotesi, esclude il controllo dei meccanismi di collasso per taglio-
scorrimento e per pressoflessione. Si comprende subito che tale ipotesi, può comportare una
sovrastima della resistenza nel caso di pannelli snelli o di pannelli soggetti a modesti sforzi
normali. In ogni caso si osserva che l’introduzione di tale ipotesi non comporta una
significativa semplificazione dell’analisi strutturale la quale avrebbe potuto portare in conto
le altre modalità di collasso modificando la soglia di resistenza del legame bilineare e il
valore dello spostamento ultimo in funzione dei meccanismi di collasso.
La terza ipotesi è razionale per edifici non molto alti e dunque, per tale motivo, il
D.M.16/01/1996, prescriveva come campo di applicabilità del metodo POR un edificio con
un numero di piani al massimo pari a 3. L’OPCM 3431 e le NTC2008 riducono a 2 piani
tale limite. In particolare, le NTC2008 precisano che nel caso di aggregati edilizi,
situazione ricorrente nei centri storici di molti comuni campani, per l’analisi globale di una
singola unità abitativa, che assume spesso un significato convenzionale, in presenza di solai
sufficientemente rigidi, può essere condotta con metodologie semplificate estendendo
anche al caso di edifici con più di due piani, la possibilità di effettuare analisi statiche non
lineari analizzando e verificando separatamente ciascun interpiano dell'edificio e
trascurando la variazione degli sforzi normali dovuta all’effetto dell’azione sismica.
Sulla base delle ipotesi formulate, la principale semplificazione che nè scaturisce
consiste nella possibilità di analizzare una parete multipiano esaminando separatamente
ciascun piano, così come si procede generealmente nel caso dei telai shear-type.
Lo sviluppo dell’analisi richiede, dapprima, di esaminare la risposta di un singolo
setto al crescere delle azioni orizzontali ad esso applicate e poi studiare il comportamento
complessivo della parete monopiano.
La modellazione del singolo pannello murario viene effettuata impiegando il
modello bilineare descritto in Fig.4.2.
In particolare, la rigidezza k0 viene valutata mediante l’Eq.(4.2) valida per pannelli
vincolati in testa con doppio pendolo.
Per la valutazione della resistenza, dall’Eq.(4.20) si ottiene il seguente valore del
taglio ultimo:
Pag. 140 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

σ
Vu = f vk0 ⋅ t ⋅ l ⋅ 1 + (4.3)
1.5 ⋅ f vk0
Il valore dello spostamento ultimo viene invece valutato sulla base delle indicazioni
fornite nel paragrafo 4.4.4.
Si consideri ora il generico piano che può essere considerato come una parete
monopiano costituita, per esempio, da tre setti aventi diversa rigidezza. Sia V la spinta
orizzontale indotta dal sisma, coincidente al generico piano con il tagliante di piano, e sia δ
lo spostamento laterale relativo di piano, che per congruenza è uguale per tutti i setti (Fig.
4.15).
La curva taglio-spostamento relativa alla parete monopiano, che possiamo definire
curva push-over di piano, si costruisce partendo da quelle note di ciascun setto.
Definito infatti, per il generico setto i, il legame elastico-perfettamente plastico tra la
forza tagliante (V) e lo spostamento (δ) mediante le:
⎧⎪V (i ) = K 0,i δ (i ) per 0 ≤ δ (i ) ≤ δ e(i )
⎨ (i ) (4.54)
⎪⎩V = Vu(i ) per δ (ui ) ≤ δ (i ) ≤ δ (ei )

si costruisce la curva di comportamento dell’intero piano come mostrato in Fig.4.16. In


particolare, tale curva risulta caratterizzata da:

ƒ Spostamento ultimo coincidente con lo spostamento ultimo minimo δ min


u fra quelli
relativi ai singoli setti (nell'esempio coincide con quello del 1° setto: δ (u1) )
ƒ Spostamento al limite elastico coincidente con lo spostamento limite elastico
minimo δ emin1 fra quelli relativi ai singoli setti (nell'esempio coincide con quello
del 1° setto δ e(1) ).
I singoli tratti della curva di risposta della parete vengono costruiti come segue (Fig.4.16).

V δ

1 2 3

Fig. 4.15: Parete monopiano costituita da più setti


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 141

- Tratto 0-I
Dall'ipotesi d’uguaglianza degli spostamenti laterali delle estremità dei setti, fin quando non
è raggiunto lo spostamento al limite elastico della parete δ emin , la capacità portante della
parete sarà pari alla somma delle capacità portanti di ciascuno di essi:
3 3
per 0 ≤ δ < δ emin ⇒ V = δ(K 0,1 + K 0,2 + K 0,3 ) = δ ⋅ ∑ K 0,i = ∑ V( ) i
(4.55)
i =1 i =1

In particolare, per δ = δ emin si ottiene la reattività al limite elastico:


3
VI = δ emin (K 0,1 + K 0,2 + K 0,3 ) = δ emin ⋅ ∑K 0,i (4.56)
i =1

Il criterio per determinare la capacità portante dell'intera parete consiste nel


considerare il raggiungimento dello spostamento ultimo più piccolo fra quelli relativi ai
singoli setti che è stato definito spostamento ultimo della parete.
Quando lo spostamento laterale della parete supera δ emin bisogna tener conto
dell'entrata in campo plastico del setto per il quale δ e(i ) ≡ δ emin (nell’esempio il primo setto).

- Tratto I-II
Definendo:

i =1,..,3
{
δ emin ′′ = min δ (ei ) − δ emin1 } ≡ min δ (ei )
i = 2,..,3
{ } (4.57)

si può scrivere:
⎧⎪δ min ≡ δ (e1) < δ < δemin ′′ ≡ δ (e3) 3
per ⎨ e ⇒ V = Vu(1) + δ(K 0,2 + K 0,3 ) = δ (e1)K 0,1 + δ ⋅ K 0,i ∑ (4.58)
⎪⎩ δ < δ min
u i=2

In particolare per δ = δ emin ′′ , si ottiene:


3
VII = Vu(1) + δ emin ′′ (K 0,2 + K 0,3 ) = δ e(1) K 0,1 + δ emin ′′ ⋅ ∑K 0,i (4.59)
i=2

- Tratto II-III
Definendo:

i =1,..,3
{
δ emin′′′ = min δ (ei ) − δ emin − δ emin′′ } ≡ δ (e3) (4.60)
Pag. 142 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

si ottiene:

• per ⎧⎪⎨δ e
min ′′
≡ δ (3)
e < δ < δe
min ′′′
≡ δ (e2 ) :
min
⎪⎩ δ < δu
(4.61)
V = Vu(1) + Vu(2 ) + δ K 0,3 = δ(e1)K 0,1 + δ(e1)K 0,2 + δ K 0,3

• per δ > δ emin ′′′ ≡ δ e(2 ) si ha:


(4.62)
VIII = Vu(1) + Vu(2 ) + δ emin 3 ⋅ K 0,3 = δ (e1)K 0,1 + δ (e2 )K 0,2 + δ emin 3 ⋅ K 0,3

- Tratto III-IV
Per δ emin ′′′ ≡ δ e(3) < δ ≤ δ minu ≡ δ (u1) tutti e tre i setti sono in campo plastico, dunque si
è raggiunta la massima capacità portante per ciascun setto ed il tratto III-IV risulta essere
orizzontale. La crisi della parete coinciderà col raggiungimento dello spostamento ultimo
della stessa, ossia δ minu ≡ δ (u1) .
Tracciata la curva V-δ per l'intera parete, nelle norme DT2 n.2 1977 [29], veniva
richiesto il soddisfacimento delle seguenti disuguaglianze:

1. verifica al limite elastico: Ve


ηe = ≥ 1.1 (4.63)
Fd

2. verifica al limite di fessurazione: Vf


ηf = > 1.15 (4.64)
Fd

3. verifica al limite ultimo ( o di rottura ): Vu


ηu = > 1.20 (4.65)
Fd
dove:
Fd = tagliante di piano

( )
Ve ≡ VI = V δ = δ emin = Capacità portante della parete al limite elastico

(
Vf ≡ VII δ = 1.20δ emin ) = Capacità portante al limite di fessurazione
Vu ≡ VIII = V δ = δ min
u ( ) = Capacità portante al limite di rottura
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 143

V
V III
III IV

V II
II

V I
I

(3 )
V u

(2 )
V u
(1)
V u

(1) δ
δ
(3 ) (2 )
δ
(1) m in (3 )
δ δ δ δ δ
0 (2 )
=
e e e u u u u

Fig. 4.16: Curva push-over di un piano costituito da 3 maschi murari con δ min
u < δ emax

Nella Circolare Ministeriale 21745 e nel D.M. 16/01/96, non viene indicato di
considerare più stati limite per cui la verifica veniva condotta controllando che la resistenza
ultima della parete fosse maggiore della corrispondente azione tagliante di progetto.
Le NTC2008 indicano modalità di verifica differenti a seconda che si effettua
un’analisi lineare o non lineare. Nel primo caso, la verifica è ancora in termini di resistenza
ma richiederebbe di limitare la resistenza della parete all’ingresso in campo plastico del
primo maschio murario senza considerare il comportamento plastico dei maschi. Tale
verifica risulta particolarmente gravosa per cui, come sarà meglio chiarito nel successivo
capitolo 5, l’analisi corrente per gli edifici in muratura viene condotta impiegando
un’analisi statica non lineare ed effettuando una verifica in termini di spostamenti con
riferimento allo stato limite di danno ed allo stato limite ultimo. In particolare, nell’ambito
di tale modalità di verifica occorrerà costruire una curva “push-over” dell’intera parete, la
quale curva correla il tagliante alla base con lo spostamento di un punto di riferimento,
generalmente assunto coincidente con il baricentro della sezione di sommità dell’intera
parete. Si comprende quindi che l’analisi per singoli piani, che restituisce una curva “push-
over” nella quale il tagliante di piano viene correlato allo spostamento relativo dello stesso
piano, richiede un’opportuna modifica per poter ricavare dalle curve push-over di piano
quella dell’intera parete.

4.4.1.2 Curva Pushover della parete multipiano


Allo scopo di comprendere come una metodologia semplificata che procede analizzando
singoli piani possa essere estesa alla costruzione di una curva di comportamento
complessiva dell’intera parete multipiano, necessaria per poter effettuare una verifica in
Pag. 144 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

termini di spostamenti, occorre considerare che, una volta assegnata la distribuzione delle
azioni orizzontali di piano (la norma fissa ad esempio l’obbligo di considerare almeno due
distribuzioni: una triangolare e una proporzionale alle masse), per ogni generico valore del
tagliante di piano risultano univocamente determinati i valori di tutte le forze di piano.
Pertanto, una volta costruite le curve push-over dei singoli piani come descritto
precedentemente (Fig.4.16), ciascuna di tali curve può essere scalata nelle ordinate in modo
da correlare lo spostamento relativo di piano non al valore del tagliante di piano ma al
corrispondente valore del tagliante alla base. Ad esempio, nell’ipotesi di una distribuzione
delle azioni orizzontali proporzionale alle masse, il fattore di scala di ciascun piano sarà
dato dal rapporto tra la somma delle masse dei piani sovrastanti quello considerato e la
somma di tutte le masse di piano. Riportando, quindi, in un grafico Tagliante alla base-
Spostamento relativo di piano tutte le curve push-over dei piani che compongono la parete,
opportunamente scalate moltiplicando le ordinate per i corrispondenti fattori di scala dei
vari piani, è possibile ottenere la curva Tagliante alla base-Spostamento totale in sommità
della parete associando ad ogni valore del Tagliante alla base lo spostamento ottenuto dalla
somma di tutti gli spostamenti di piano come descritto in Fig.4.17. Tale procedura è
riportata in maniera dettagliata nell’applicazione numerica del paragrafo 4.5.
Come sottolineato nella premessa del metodo POR, le fasce di piano sono
considerate infinitamente rigide e resistenti. Nel caso in cui tale condizione non corrisponde
al comportamento reale il collasso della parete nel piano non è governato più dai maschi
murari, bensì dalle fasce di piano con una conseguente variazione del modello strutturale
della parete che si comporta come composta da mensole accoppiate.

V
p ian o 1 p ia n o 2
I II IV

IV
Vu I II

II
II

I
Ve I

Glob a le pa r et e
m ult ipia n o

0
δe δu δ
Fig. 4.17: Curva push-over globale di una parete di due piani
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 145

Al fine di verificare la resistenza delle fasce di piano sia nei confronti del taglio che
della flessione, è necessario valutare le sollecitazioni che agiscono nella trave rigida del
telaio shear-type precedentemente analizzato nell’applicazione del metodo POR. A tale
scopo si può valutare il taglio che nasce nella fascia di piano rimuovendo l’ipotesi di
appoggi rigidi per il traverso e modellando i maschi come cedevoli considerando la
deformabilità assiale degli stessi (vedi §4.4.1.4). Imponendo la condizione di equilibrio alla
traslazione verticale ed alla rotazione del traverso rigido è possibile determinare gli sforzi
normali nei maschi e conseguentemente il taglio nei vari tratti di trave, il quale a sua volta
consente di valutare, attraverso equazioni di equilibrio alla rotazione del traverso, il
momento flettente nelle fasce di piano.
Noti i valori delle sollecitazioni agenti in corrispondenza delle fasce, è possibile
effettuare le verifiche a taglio e flessione nella sezione della fascia di piano maggiormente
sollecitata, ovvero quella dove il momento flettente ed il taglio assumono il valore
massimo. Tale sezione, nel caso di pareti soggette ad azioni orizzontali, coincide con la
sezione di attacco della fascia con i maschi (Fig.4.11).

4.4.1.3 Metodo Porflex


Come già discusso nel paragrafo precedente, il metodo POR soffre di alcune limitazioni
imposte dalle ipotesi alla sua base. Queste stesse ipotesi, d’altra parte, rappresentano quelle
semplificazioni che fanno del metodo stesso una procedura estremamente semplice per la
verifica di edifici in muratura alle azioni orizzontali.
Pur mantenendo la semplicità operativa del metodo POR, nel metodo Porflex sono state
rimosse alcune ipotesi semplificative, in modo da ampliare il campo di validità del metodo
stesso. Difatti, le differenze sostanziali tra i due metodi sono immediatamente evidenti se si
considerano le ipotesi a base del PorFlex:
• fasce infinitamente rigide ma non infinitamente resistenti;
• rottura dei maschi, oltre che a taglio, anche per pressoflessione;
• sforzo normale nei maschi variabile in funzione delle azioni orizzontali.
Dalle prime due ipotesi, discende che il metodo PorFlex è certamente – in virtù del
limite di resistenza delle fasce e delle aggiuntive modalità di rottura – conservativo rispetto
al POR, in quanto fornisce risultati, in termini di resistenza, inferiori al metodo POR. La
coincidenza dei risultati può verificarsi solo quando l’edificio ha pareti tozze, per le quali
prevale senz’altro il comportamento a taglio; ma in ogni caso, il PorFlex non può condurre
a valori di resistenza superiori a quelli del POR.
In Fig.4.17 vegono evidenziati i differenti elementi considerati alla base dei due
metodi, mentre in Fig.4.18 è mostrato il modello di calcolo adotatto dal metodo PorFlex.
Dal punto di vista operativo, il PorFlex fa riferimento ad una intelaiatura equivalente che
schematizza l’intera parete (l’insieme di maschi e fasce) in tratti deformabili e tratti rigidi
(Fig. 4.18). In questa schematizzazione, i maschi sono considerati incastrati in
corrispondenza del tratto rigido inferiore e dell’asse della fascia; il motivo di quest’ultima
assunzione dipende dalla situazione statica della fascia, infatti, tale vincolo può essere
Pag. 146 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 4.17: Definizione degli elementi resistenti nello schema POR e nello schema PorFlex

ci (b) (c) c
Vi V
Mi 2r i Mi+1 Vc 2r i Vc
2 2 2 2
Vi+1 V
li
F
A B Mi Mi+1 M= Fh
Si Si+1 2
ri rn
di+ri (d) h (e)
ci Si Si+1
di dn Mi Mi+1

Mi+1
Mi A 2 B Mi+1
2 2
Mi
Mi 2 Mi+1
Si S i+1 (a) (f)

Fig. 4.18: Intelaiatura equivalente nel metodo PorFlex


considerato un incastro scorrevole fintanto che le sollecitazioni sono inferiori alle
condizioni di rottura, mentre si comporta come una cerniera quando la fascia raggiunge la
rottura a taglio o flessione. In particolare, vengono assunte le seguenti leggi costitutive:
1) Legge rigido-fragile per le tensioni normali e di taglio nelle fasce (Fig.4.19a): si
assumono quindi infinitamente rigide (deformazione sempre nulla), ma non
infinitamente resistenti (limite di resistenza Fu).
2) Legge elasto-plastica per il solo taglio nei maschi murari (Fig.4.19b): legge comune
al metodo Por, secondo cui lo spostamento può assumere al massimo un valore pari
a μ volte quello al limite elastico δ0, essendo μ la duttilità.
3) Legge elasto-fragile per le tensioni normali, di trazione e compressione, nei maschi
murari (Fig.4.19c). Nella zona in trazione, raggiunta la resistenza σtr, la sezione si
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 147

parzializza; nella zona in compressione, raggiunta la tensione caratteristica σk, si ha


rottura a compressione. Né per trazione né per compressione si prevede la possibilità
di deformazioni plastiche.
Con riferimento alla Fig. 4.18, l’equilibrio dei nodi superiori nei maschi i ed i+1 comporta:
di + ri di + ri
M i = Si M i +1 = Si +1 (4.66)
2 2
mentre dall’equilibrio della fascia (Fig.4.18 b) si ha:
ΔNi = Vi − Vi −1 (4.67)
essendo Vi il taglio che agisce sulla striscia sovrastante il maschio i. Dalla precedente
relazione segue:
di + ri d +r
M + M i +1 Si + Si +1 i i
Vi = i = 2 2 =
2li 2li (4.68)
α i Si ( di + ri ) + α i +1Si +1 ( di + ri ) α i ( 2 M i ) + α i +1 ( 2M i +1 )
= =
2li 2li

in cui:
⎧1/ 2 per ogni maschio murario intermedio
αi = ⎨ (4.69)
⎩1 per i maschi murari di bordo (primo e ultimo)
Tramite la (4.68) si valutano le forze di taglio nelle fasce a partire dalle
sollecitazioni nei corrispondenti maschi e la verifica di taglio della fascia porge:
Vi ≤ VRd = Ai ⋅ f vd 0 = 2 ⋅ ri ⋅ t f ⋅ f vd 0 (4.70)
con tf spessore della fascia.
σ
F F
σk
Fu Fu (σtr)

δ δ0 μδ0 δ ε
(a) (b) (c)
Fig. 4.19: Leggi costitutive degli elementi resistenti nel PorFlex
Pag. 148 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Per quanto riguarda la verifica a flessione della fascia, essa si inflette con tensione
normale di trazione uguale a quella di compressione, pertanto la verifica si conduce per la
resistenza minore, cioè quella a trazione σtr:
2
M ≤ M Rd = Wi ⋅ f wtd = s ⋅ ri2 ⋅ f wtd (4.71)
3
dove il momento nella fascia vale:
V ⋅c
M = (4.72)
2
Altra caratteristica del presente metodo, è la possibilità di valutare la variazione di
sforzo normale nei maschi, indotta dalla differenza di taglio tra due fasce adiacenti:
ΔNi = Vi − Vi −1 (4.73)
La precedente relazione è valida solo in corrispondenza dei maschi intermedi,
mentre per i maschi di bordo uno dei due addendi è inesistente e l’espressione perde di
significato.
Inoltre, al generico passo della procedura, lo sforzo normale nel maschio è pari al
valore statico dei carichi (verticali) più la variazione espressa dalla (4.67). Non appena una
delle due fasce sovrastanti il maschio collassa, essa non è più in grado di trasmettere uno
sforzo e quindi il valore di N torna a quello originario, perdendosi il contributo della (4.67).
In aggiunta alla precedente osservazione c’è da dire che fasce adiacenti sono
soggette a tagli simili, quindi la variazione dello sforzo normale nei maschi è piccola.
In virtù delle precedenti due considerazioni, è possibile procedere, per edifici con un
numero di piano inferiori o uguale a due, trascurando la variazione dello sforzo normale
dovuta al taglio nelle fasce.
Per quanto riguarda i maschi murari, invece, le verifiche consistono nelle già note
espressione di resistenza a taglio e pressoflessione.
Per la rigidezza dei maschi, il metodo PorFlex tiene conto della parzializzazione
delle sezioni eliminando le parti in trazione dei maschi stessi. In particolare, si consideri, un
maschio murario soggetto ad uno sforzo normale N, ad una azione tagliante T e vincolato
all’estremità superiore con un incastro scorrevole, cioè sovrastato da una fascia non ancora
collassata (Fig.4.20).
Come si vede, il momento è lineare, assume valori massimi (uguali) alle estremità e
valore nullo a metà altezza; procedendo dalle sezioni di estremità verso la mezzeria,
l’eccentricità diminuisce linearmente essendo costante lo sforzo normale (e=M/N);
pertanto, la parte reagente aumenta in maniera lineare.
La schematizzazione adottata è valida fintanto che la fascia sovrastante è in grado di
sostenere le azioni che le competono, cioè, fino a quando può rappresentare un vincolo di
incastro per il maschio.
Quando la fascia cede per raggiunti limiti di resistenza, il vincolo in sommità si
trasforma in una cerniera e il maschio viene modellato come una mensola (Fig.4.21).
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 149

eN N
T δ
zona di variabilità T
della sez. da z·s a b·s z
a
y
δ/2
h
δ/2
y
a
zona di variabilità
della sez. da z·s a b·s
z
T M
Ne
Fig. 4.20: Maschio murario con vincolo di incastro

N
N
T
T
δ

y
a=h

zona di variabilità x
della sez. da z·s a b·s z

T M
N e

Fig. 4.21: Maschio murario con vincolo di cerniera


Per il calcolo della rigidezza alla traslazione, si ricerca prima di tutto l’espressione di
y che individua l’altezza di maschio integro.
La relazione tra momento e sforzo normale è data da:
Pag. 150 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

M T ⋅a
e= = (4.4)
N N
e vale qualunque sia il vincolo in sommità, a patto di attribuire ad a il valore indicato nelle
rispettive figure:
⎧h / 2 maschio incastrato superiormente
a=⎨ (4.5)
⎩h maschio incernierato superiormente
Si assume una coordinata x con origine nel baricentro della sezione alla base del
maschio, per entrambi gli schemi, e verso positivo orientato in direzione della mezzeria.
Il momento lungo la coordinata x vale:
M ( x) = T ⋅ a − T ⋅ x (4.76)
Il valore x che corrisponde alla sezione trasversale interamente reagente, può essere
valutato imponendo che il centro di pressione sia sul bordo del nocciolo centrale d’inerzia
della sezione di base, ovvero che l’eccentricità e sia pari a:
b M T (a − x) b
e= ⇒ = = (4.77)
6 N N 6
da cui ricavare il valore di x .
Con riferimento alla Fig.4.18e, si riconosce che lo spostamento indotto da una forza
unitaria vale:

h3 (2ai )3 2ai 3
δi = = = (4.78)
12 EI 12 EI 3EI
nel caso di incastro scorrevole, e:

h3 a 3
δm = = m (4.79)
3EI 3EI
nel caso di mensola. Dalle (4.78) e (4.79) emerge che si può fare riferimento ad un unico
schema a mensola che rappresenta, nel caso di incastro, metà maschio e, nel caso di
mensola, l’intero sviluppo; quindi si può procedere a definire la rigidezza mediante la
seguente posizione:
1
K= (4.80)
ψδ
con:
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 151

a3 ⎧1 per maschio incastrato superiormente


δ= e ψ =⎨ (4.81)
3EI ⎩2 per maschio a mensola
I precedenti spostamenti sono validi per sezioni interamente reagenti, mentre per
sezioni parzializzate è necessario esplicitarli in formulazione integrale:
x x y y
M 2 ( x) χ T 2 ( x) M 2 ( x) χ T 2 ( x)
1⋅ δ = ∫ dx + ∫ dx + ∫ dx + ∫ dx (4.82)
0
EI ( x) 0
GA( x) 0
EI 0
GA

e specificare la dipendenza delle grandezze in gioco da x:


M ( x) = x − a per 0 ≤ x ≤ a (4.83)

s
I ( x) = I x per 0 ≤ x ≤ a (4.84)
12

A( x) = Ax ⋅ s per 0 ≤ x ≤ a (4.85)
con:
3
⎡⎛ b − z ⎞ ⎤ ⎛ b−z ⎞
I x = ⎢⎜ ⎟ x + z⎥ Ax = ⎜ ⎟x+ z per 0 ≤ x ≤ a − y
⎣⎝ a − y ⎠ ⎦ ⎝a− y⎠
I x = b3 Ax = b , per a − y ≤ x ≤ a

Queste ultime si ottengono facilmente ragionando sul triangolo che rappresenta la


parzializzazione del maschio.
Sviluppando gli integrali, con le posizioni (4.83)-(4.85), si perviene al seguente
valore dello spostamento:

1 ⎡2 ⎛ y ⎞ ⎛ y L ⎞⎤
3
L
δ= ⎢ ⎜ ⎟ + 2 3 + f (a) − f ( y ) + χ ⎜ + ⎟ ⎥ (4.6)
Gs ⎢⎣ 3 ⎝ b ⎠ D ⎝ b D ⎠ ⎥⎦

dove:
⎧ 1 a⎛ 1⎞
⎪y = ⎜ 1 + ⎟ se σ tr >0
⎪ 6 η ⎝ β ⎠

⎪y = 1 a
se σ tr =0
⎪⎩ 6η
⎧ β − β 2 + 3β ( 2η − 1) se σ tr > 0
z ⎪
ζ = = ⎨3
b ⎪ (1 − 2η ) se σ tr = 0
⎩2
Pag. 152 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

z −b ba − zy C ( 3C + 4 Dx )
L = ln ζ D= C= f (a) − f ( y ) = .
a− y a− y 2 D3 ( C + Dx )
2

La formulazione (4.86) costituisce una generalizzazione di quella già nota per


maschio totalmente integro, cioè avente tutte le sezioni trasversali interamente reagenti:

1 ⎛ Gsh3 h⎞
δ= ⎜⎜ + χ ⎟⎟ (4.87)
Gs ⎝ 12 EI b⎠

Infatti, la (4.87) si ottiene con un passaggio al limite direttamente dalla (4.86). Facendo
tendere z a b, y ad a risulta che L tende a zero, f ( a ) − f (y) tende a zero e D tende ad una
costante. Nel precedente sviluppo si è assunto, per semplicità, E = 6 G.
In definitiva, mediante la (4.86) e (4.87) è possibile calcolare la rigidezza dei maschi
sia in presenza che in assenza di parzializzazione della sezione.

4.4.1.4 Metodo delle fasce di piano


Una valutazione più accurata degli sforzi nelle fasce e della variazione degli sforzi normali
nei maschi, pur rimanendo nell’ipotesi semplificativa di analisi strutturale per singoli piani
(modello shear-type), può essere ottenuta adottando un procedimento sequenziale ed
iterativo che analizza la struttura partendo dall’ultimo piano e prosegue progressivamente
verso i piani inferiori, valutando la rigidezza dei maschi in funzione dello sforzo normale
variato dalle forze sismiche. A tale scopo è necessario valutare le sollecitazioni che
agiscono nella trave rigida del modello monopiano shear-type rimuovendo l’ipotesi di
infinita rigidezza a compressione dei maschi (Fig.4.22). In particolare, si può seguire il
seguente procedimento:
• determinare gli sforzi normali nei maschi rimuovendo l’ipotesi di appoggi rigidi
per il traverso, modellando i maschi come cedevoli considerando la
deformabilità assiale degli stessi e imponendo la condizione di equilibrio alla
traslazione verticale ed alla rotazione;
• noti gli sforzi normali nei ritti, valutare, attraverso equazioni di equilibrio alla
traslazione verticale, il taglio nei vari tratti del traverso;
• noto il taglio, attraverso equazioni di equilibrio alla rotazione, determinare il
momento flettente agli estremi dei singoli campi del traverso.
Al fine di ottenere relazioni valide anche per i piani diversi dall’ultimo, si fa
riferimento al generico traverso intermedio i-esimo (Fig.4.22), indicando con l’apice j le
grandezze dell’interpiano superiore e con l’apice i le grandezze relative all’interpiano
inferiore.
Imponendo le condizioni di equilibrio alla traslazione verticale e alla rotazione intorno al
punto O, intersezione tra la retta d’azione della forza di piano e l’asse del primo maschio
dell’interpiano inferiore (Fig. 4.23), si ha:
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 153

⎧ ni i nj j nc
⎪∑ N r − ∑ N r − ∑ qk lk = 0
j

⎪ r =1 r =1 k =1
⎨ ni nj ni nj nc
(4.88)

⎪∑ N r xr − ∑ N r xr − ∑ M r − ∑ M r − ∑ qk lk xqk = 0
i i j j i j j

⎩ r =1 r =1 r =1 r =1 k =1

dove ni, nj e nc sono rispettivamente il numero di maschi del piano inferiore, il numero di
maschi del piano superiore ed il numero di campate individuate dagli assi dei maschi del
piano superiore. Gli sforzi normali N rj ed i momenti M rj derivanti dai maschi del piano
superiore, sono già noti, nell’analisi del generico piano intermedio, se la procedura che si
sta illustrando parte considerando l’ultimo piano e poi procede verso i piani inferiori.
Lo sforzo normale nei maschi inferiori alla fascia che si sta analizzando può essere
espresso in funzione della rigidezza assiale come segue:
(
N ri = ker δ r = ker w1 + ϕ xri )
essendo δ r l’accorciamento del maschio r.
j j j j
l1 l2 lk ln
j m 1j m 2j m rj m sj
i

i m 1i m i2 m ir m is

k e1 k e2 k er k es
i i i i
l 1 l 2 l k l n

j j j j
N1 N2 Nr Ns
j j j j
M1 M2 Mr Ms
q1 q2 qk qn
Fs i

m 1i m i2 m ir m is
i i i i
M1 M2 Mr Ms
i i i i
N1 N2 Nr Ns
i i
M r = Vr h /2
Fig. 4.22: Modello del traverso intermedio
Pag. 154 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Sostituendo tale espressione nelle (4.88), si ha:


⎧ ni nj nc

⎪ r =1
( i

r =1
)
⎪∑ ker w1 + ϕ xr = ∑ N r + ∑ qk lk
j

k =1
j

⎨ ni nj ni nj nc
(4.89)

⎪ ∑
⎩ r =1
k er w1 (
+ ϕ xr
i
xr
i
= ∑)
r =1
N r
j j
xr + ∑
r =1
M i
r + ∑
r =1
M r
j
+ ∑
k =1
qk lkj xqk

Si osserva che nelle (4.89) i termini incogniti sono gli sforzi normali dell’interpiano
inferiore e i corrispondenti momenti, mentre tutte le altre grandezze, poiché relative
all’interpiano superiore, sono già note. D’altra parte, il momento flettente nei maschi
dell’interpiano inferiore, poiché lo schema è di tipo shear-type, può ricavarsi dalla
corrispondente sollecitazione di taglio:

Vri hi
M ri = (4.90)
2

Poiché per valutare gli sforzi normali N ri occorre determinare i momenti M ri


mediante l’equazione (4.90) dai tagli, a loro volta dipendenti dagli sforzi normali N ri , è
evidente che la soluzione non può essere perseguita in forma chiusa ma è necessario
adottare una procedura iterativa.
j j j j
N1 N2 Nr Ns
j j j j
M1 M2 Mr Ms
j j j
q1l1
j
q 2l2 qklk q nl
n
Fs i
(a)
O m1i mi2 mir mis
i i i i
M1 M2 Mr Ms
i i i i
N1 N2 Nr Ns
xq2
xqk
i
x 2
x rj
x
w1 (b)
w2 wr
w ϕ ws
Fig. 4.23: Azioni sul traverso superiore e sistema di riferimento
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 155

Le (4.89) possono essere espresse in forma matriciale:


⎧ ni ni nj nc
⎪ 1 ∑ er ∑ er r ∑ N rj + ∑ qk lkj
i
w k + ϕ k x =
⎪ r =1 r =1 r =1 k =1
⎨ ni ⇒
ni nj ni nj nc

( )
2
⎪ 1 ∑ er r ∑ er r ∑ r r ∑ r ∑ M rj + ∑ qk lkj xqk
i i j j i
w k x + ϕ k x = N x + M +
⎩ r =1 r =1 r =1 r =1 r =1 k =1
(4.91)
⎡ ni ni ⎤ ⎧ nj j nc ⎫
⎢ ∑ ker ∑ ⎥ ⎧ w1 ⎫ ⎪∑ N r + ∑ qk lk
j
ker xri ⎪
⇒⎢
r =1 r =1 ⎥ ⎪ ⎪ = ⎪ r =1 k =1 ⎪
⎢ ni ni ⎥ ⎨ ⎬ ⎨ nj nj

∑ ker ( )
ni nc
i 2 ⎪ ⎪ ⎪ ⎪
⎢ ∑ ker xri xr ⎥ ⎩ ⎭ ⎪∑ N r xr + ∑ M r + ∑ M r + ∑ qk lk xqk ⎪
ϕ j j i j j
⎢⎣ r =1 r =1 ⎦⎥ ⎩ r =1 r =1 r =1 k =1 ⎭
Invertendo la matrice dei coefficienti (simmetrica e quindi invertibile), si può
ottenere il vettore degli spostamenti incogniti, dal quale ricavare le reazioni dei vincoli e
quindi gli sforzi normali cercati, come segue:

[ K er ]{W } = {T } ⇒ {W } = [ Ker ]−1 {T } (4.92)

ed essendo:
EBr tr
ker = (4.93)
hr

si ottiene:

N ri
N ri = ker δ r =
EBr tr
hr
(w1 + ϕ xri ) ⇒ σj =
Br tr
(4.94)

in cui gli N ri portano con sè il segno (se positivi sono diretti verso l’alto come ipotizzato
inizialmente).
Una volta ottenuti gli sforzi normali è possibile valutare i tagli ed i momenti nei
traversi. Considerando un tratto generico (Fig.4.24), si ha:

⎪Trs = Tsr − qsr lsr
⎪ 2 j i
(
⎨ M rs = Tsr lsr + M sr − qsr lsr / 2 ⇒ M rt = M r + M r + M rs ) (4.95)

(
⎪Trt = Trs + N ri − N rj
⎩ )
In definitiva, dal momento che i legami costitutivi dei singoli maschi dipendono
dall’entità dello sforzo normale, la costruzione della curva F-δ complessiva dei maschi di
un singolo piano richiede una procedura al passo incrementando progressivamente δ. Il
valore del taglio resistente corrispondente al generico valore δ si ottiene mediante una
Pag. 156 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

procedura iterativa nella quale, a partire dai tagli sui maschi ottenuti dai legami costitutivi
degli stessi corrispondenti a valori iniziali dello sforzo normale, mediante la procedura vista
in precedenza, si valutano i momenti ed i tagli sui traversi ed i nuovi sforzi normali con i
quali correggere i legami costitutivi dei maschi e valutare i nuovi tagli sui maschi fino a
convergenza.
Una volta ottenuti gli sforzi normali definitivi sui maschi dell’ultimo piano, si passa
al piano sottostante procedendo in maniera del tutto analoga con l’unica differenza che
sullo schema del traverso di Fig.4.22 e Fig.4.23 agiranno anche le azioni dei maschi
superiori derivanti dall’analisi effettuata per il piano superiore.
Il procedimento, continuando progressivamente per i piani inferiori, consente di
portare in conto in maniera adeguata la variazione degli sforzi normali nei maschi murari a
tutti i piani ricordando comunque che l’approssimazione insita nel metodo stesso resta
nell’assunzione di un modello shear-type per l’intera parete.
j
Nr
q sr j q tr
Mr
Tsr M sr M rt M tr
r Ttr
s r r t
Trs Trt
l sr i l rt
Mr
i
Nr
Fig. 4.3: Caratteristiche della sollecitazione sul generico traverso

4.4.2 Modelli monodimensionali con traversi di rigidezza flessionale


nulla

4.4.2.1 Modelli con maschi indipendenti


Nell’ipotesi di fasce di piano molto deformabili e di scarsissima resistenza, i maschi murari
non risultano vincolati dalle fasce. Se inoltre, non sono presenti dei cordoli di piano
efficacemente collegati alla muratura, allora i maschi che compongono la parete sotto sisma
si comporteranno in modo indipendente l’uno dall’altro (Fig.4.25).
In questo caso, l’analisi per i singoli maschi va condotta considerandoli dei pannelli
murari come esaminato nel paragrafo 4.2. Va comunque tenuto presente che i maschi si
comportano come mensole incastrate in fondazione per cui l’analisi sviluppata nel
paragrafo 4.2 deve essere applicata considerando nelle varie formulazioni il parametro h
pari al doppio dell’altezza del maschio. Inoltre, la presenza di azioni taglianti e normali su
più livelli del maschio che può essere caratterizzato da spessori diversi ai vari piani, impone
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 157

Fig. 4.25: Modello della parete con traversi di rigidezza flessionale nulla e priva di cordoli

che la verifica a taglio sia condotta ai vari livelli per effetto del tagliante di piano.
Generalmente, attesi gli elevati valori della snellezza dei maschi, risulta determinante in
questo caso la verifica a presso flessione.

4.4.2.2 Modelli con maschi accoppiati da pendoli


Sempre nell’ipotesi di fasce di piano molto deformabili e di scarsissima resistenza ma in
presenza di efficaci cordoli di piano, i maschi murari che compongono la parete sotto sisma
possono essere modellati come mensole incastrate in fondazione e collegate tra loro, a
livello di impalcato, da pendoli inestensibili (Fig.4.26).
Dal momento che i pendoli impongono un’eguaglianza di spostamento a livello di
piano, le azioni sismiche sui vari maschi vanno valutate ripartendo opportunamente
l’azione sismica di piano in funzione delle rigidezze dei maschi stessi. A tale scopo, se
indichiamo con {Fi } il vettore delle forze di piano relative all’i-esimo maschio, con {δ i } il
corrispondente vettore degli spostamenti di piano e con [K i ] la corrispondente matrice di
rigidezza traslante dello stesso maschio, si ha:
{Fi } = [K i ]⋅ {δ i } (4.7)
Pag. 158 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 4.4: Modello della parete con traversi di rigidezza flessionale nulla e con cordoli di
piano efficienti

Per l’intera parete dovrà risultare:

{F} = ∑ {Fi } = ∑ [ K i ] ⋅ {δi } = ( ∑ [ K i ]) {δ} (4.97)

dove con {δ } è stato indicato il vettore degli spostamenti globali di piano coincidente con
quelli relativi alle singole mensole per la presenza dei pendoli.
Pertanto, ricavando dalla (4.97) il vettore degli spostamenti di piano:

{δ} = ( ∑ [ K i ]) {F}
−1
(4.98)

è possibile valutare le azioni sui singoli maschi mediante la (4.96).


Per la costruzione della matrice di rigidezza traslante dei singoli maschi si può
procedere in maniera diretta valutando i tagli corrispondenti a spostamenti unitari imposti ai
vari piani, oppure in maniera indiretta invertendo la matrice di deformabilità ottenuta
valutando gli spostamenti di piano per effetto di forze unitarie imposte ai vari livelli. Nel
seguito si espone questa seconda metodologia.
Consideriamo dapprima il caso esemplificativo di un maschio appartenente ad un
edificio di due piani (Fig.4.27).
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 159

piano 2
piano 2
1 piano 2

l2
h2
piano 1 1 piano 1 piano 1

l1 h1

(a) (b) (c)


Fig. 4.5: Costruzione della matrice di deformabilità

In questo caso, dall’espressione (4.96), si ottiene:


{δ i } = [K i ]−1 ⋅ {Fi } = [Di ]⋅ {Fi } (4.99)

dove con [Di ] è stata indicata la matrice di deformabilità. In forma esplicita, nel caso della
parete di due piani, l’Eq.(4.99) si scrive:

⎧δ 1 ⎫ ⎡ D11 D12 ⎤ ⎧ F1 ⎫
⎨ ⎬=⎢ ⋅⎨ ⎬ (4.100)
⎩δ 2 ⎭ ⎣ D 21 D 22 ⎥⎦ ⎩ F2 ⎭

ovvero:
δ 1 = D11 F1 + D12 F2
(4.101)
δ 2 = D 21 F1 + D 22 F2
La costruzione della matrice di deformabilità può essere agevolmente effettuata
considerando dapprima la mensola di Fig. 4.5b, caricata da una forza unitaria al primo
impalcato e poi il caso della mensola caricata da una forza unitaria al secondo impalcato
(Fig.4.27c). Nel primo caso, essendo F2=0, dall’Eq.(4.101), si ottiene:

δ 1(1) = D11 F1 = D11


(4.102)
δ 2(1) = D 21 F1 = D 21

ovvero gli spostamenti al primo ed al secondo piano, valutati per la forza unitaria al primo
impalcato, forniscono la prima colonna della matrice di deformabilità. Nel caso in esame,
tenendo conto sia della deformabilità flessionale che tagliante, si ottiene:
Pag. 160 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

l13 χl
δ 1(1) = + 1 = D11
3EI 1 GA1
(4.103)
l2
δ 2(1) = δ 1(1) + 1 l 2 = D 21
2 EI 1

La seconda colonna della matrice di deformabilità si ottiene procedendo in maniera


analoga considerando la mensola caricata con una forza unitaria al secondo impalcato
(Fig.4.27c). In questo caso si ottiene:
l13 χ l1 l 2 l12
δ 1(2 ) = + + = D12
3 EI 1 GA 1 2 EI 1
⎛ l2
(4.104)
l l ⎞ l3 χ l2
δ 2(2 ) = δ 1(2 ) + ⎜ 1 + 2 1 ⎟l 2 + 2 + = D 22
⎜ 2 EI 1 EI 1 ⎟ 3 EI 2 GA 2
⎝ ⎠
Generalizzando la costruzione della matrice di deformabilità al caso di una mensola
di n piani, sfruttando la proprietà di simmetria della matrice di deformabilità è possibile
calcolare agevolmente i termini della matrice Dji con i ≥ j . Ricordando che Dji corrisponde
allo spostamento al piano j per effetto di una forza unitaria applicata al piano i e indicando
con l’indice K il generico interpiano (Fig.4.28), lo spostamento al piano j può essere
ottenuto come somma degli spostamenti di tutti i piani sottostanti ciascuno valutato
considerando la mensola di quel piano come incastrata in quella del piano sottostante e
soggetta all’azione tagliante e flettente in testa generata dalla forza unitaria applicata all’i-
esimo piano.
piano n

piano i

hi
piano j

lK interpiano K
hK

Fig. 4.28: Mensola con un numero generico di piani


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 161

Ciò si traduce nell’applicazione della seguente espressione:


j
D ji = ∑ D (jiK ) =
K =1
(4.105)
⎡ l3 χ l K ( hi − hK ) l K ⎛ l K2 ( h − hK ) l K ⎞ ⎤
j 2
= ∑ ⎢ K + + +⎜
⎜ 2 EI
+ i ⎟
⎟ ( )
⋅ h j − hK ⎥
⎢ 3 EI K GAK
K =1 ⎣ 2 EI K ⎝ K EI K ⎠ ⎥⎦

4.4.3 Modelli monodimensionali a telaio equivalente


Dall’analisi dei modelli precedentemente esaminati emergono i requisiti indispensabili
affinché un metodo di analisi si possa ritenere valido e applicabile:
• il modello deve prevedere tutti i principali meccanismi di rottura degli elementi
strutturali, sia in muratura che di altra natura (ad es. cordoli in c.a.). Ad ogni
meccanismo di rottura deve essere associato un opportuno criterio di resistenza
sufficientemente approssimato;
• gli equilibri locali e globali devono essere rispettati. Questo requisito, assieme al
precedente, ha lo scopo di ridurre al minimo la possibilità di ottenere soluzioni
grossolanamente errate in termini di resistenza ultima della struttura;
• deve essere raggiunto un giusto compromesso fra il livello di dettaglio e la
semplicità d’uso e di lettura ed interpretazione ingegneristica dei risultati;
• deve esserci la possibilità di definire in modo abbastanza agevole delle soglie
significative di danneggiamento degli elementi (basate ad esempio su misure di
deformazione).
È opportuno sottolineare, infine, che i modelli strutturali devono essere in grado di
trattare agevolmente analisi non lineari. Le analisi non lineari rappresentano infatti uno
strumento indispensabile nella verifica di edifici in muratura, soprattutto alla luce dei più
recenti approcci della moderna ingegneria sismica legati ai concetti di “performance-based
design”. Tale approccio riconduce a procedure che normalmente richiedono un’analisi più
accurata degli edifici, abbinando alla classica valutazione delle soglie di resistenza
dell’edificio la valutazione di soglie di danneggiamento e/o parametri di spostamento (si
consideri ad esempio la procedura descritta al paragrafo 5.3).
Da questo quadro generale emerge quindi che, anche per scopi puramente tecnico-
professionali, sia comunque necessario disporre di modellazioni abbastanza sofisticate che
non si limitino a fornire una stima della resistenza di pareti ed edifici.
In generale, è possibile dividere le strategie di modellazione in due grandi gruppi:
modellazioni agli elementi finiti (metodi FEM) o modellazioni semplificate, attraverso
macroelementi o approcci a telaio equivalente.
I pregi di completezza dei modelli FEM complessi, capaci di simulare con grande
accuratezza il comportamento non lineare di pareti in muratura, sono d’altra parte
controbilanciati dalla complessità dei modelli stessi, non sempre adatti ad utenti inesperti,
con problematiche legate alla difficile calibrazione dei parametri, ai tempi di elaborazione
Pag. 162 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

(spesso nell’ordine delle ore), alla dipendenza dalla mesh adottata per la modellazione. Tali
metodi richiedono, in alcuni casi, la definizione di legami costitutivi anche molto complessi
e la cui “manipolazione” (definizione dei parametri che ne regolano l’evoluzione e loro
successiva calibrazione) può portare ad errori molto più gravi dell’adozione di modelli
meno sofisticati.
D’altra parte, i modelli semplificati, quali ad esempio i modelli a telaio equivalente,
se opportunamente realizzati possono rappresentare ottimi strumenti ai fini della
modellazione, benché le forti semplificazioni introdotte debbano esser opportunamente
monitorate per evitare risultati grossonolamente errati.
I modelli a telaio equivalente hanno trovato applicabilità nella norma italiana sin
dalla OPCM 3274/2003, e successivamente nelle NTC 2008. D’altra parte questo tipo di
idealizzazione è tutt’altro che nuova nel panorama dei metodi di analisi di edifici in
muratura, nonostante si ritenga che non si siano finora pienamente approfondite tutte le
possibilità di tale approccio nel campo non lineare. Il metodo inoltre nasce da una
elaborazione ed uno sviluppo di alcuni concetti presenti nei metodi basati sul “meccanismo
di piano” (POR e derivati), e quindi da tempo familiari a molti progettisti.

4.4.3.1 Modello FREMA


Il modello FREMA (FRame Equivalent Masonry Analysis), attualmente in sviluppo presso
l’Università di Salerno [80, 81, 87], è un esempio significativo di approccio a telaio
equivalente. Esso riprende ed integra le problematiche di modellazione già sviluppate in
approcci analoghi, quali ad esempio il modello SAM di Magenes e Calvi [18, 34].
Stando alla teoria del telaio equivalente, la schematizzazione della struttura avviene
tramite elementi verticali (maschi murari) ed orizzontali (fasce di piano), deformabili
assialmente e a taglio, che si interfacciano in zone della muratura sostanzialmente
indeformabili (nodi rigidi) (Fig.4.29). La modellazione è confermata dall’osservazione dei
danni indotti dai terremoti reali e dall’analisi dei dati di prove sperimentali, da cui risulta
come tipicamente il danneggiamento sia concentrato proprio nei maschi murari e nelle
fasce di piano.
La distinzione tra maschi e fasce, ovviamente, non è solo spaziale: il comportamento
meccanico e i meccanismi di danno che interessano i due elementi sono profondamente
differenti, e questo è imputabile prima di tutto al diverso stato di sforzo assiale a cui sono
sottoposti (praticamente trascurabile nelle fasce). In particolare, a fianco al diffuso
approccio bilineare alla modellazione del comportamento flessionale dei maschi (presente
nel §7.8.1.5.4 delle NTC 2008), il FREMA propone un legame momento-curvatura
accurato, ottenuto dall’integrazione sulla sezione resistente dell’elemento della legge
costitutiva σ-ε parabolica (1.35) proposta da Hendry nel 1981 per le murature in mattoni
[13], che porta in conto sia il comportamento degradante postpicco del materiale (ramo di
softening), sia l’assenza di resistenza per sollecitazioni di trazione (no-tension).
La distinzione tra maschi e fasce, ovviamente, non è solo spaziale: il comportamento
meccanico ed i meccanismi di danno che interessano i due elementi sono profondamente
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 163

elemento fascia

α F2

off-set rigido

α F1

elemento maschio

Fig. 4.29: Schematizzazione a telaio equivalente di una parete caricata nel piano
differenti, e questo è imputabile in primis al diverso stato di sforzo assiale a cui sono
sottoposti (praticamente trascurabile nelle fasce). In particolare, a fianco al diffuso
approccio bilineare alla modellazione del comportamento flessionale dei maschi (presente
nel §7.8.1.5.4 delle NTC 2008), il FREMA propone un legame momento-curvatura
accurato, ottenuto dall’integrazione sulla sezione resistente dell’elemento della legge
costitutiva σ-ε parabolica (1.35) proposta da Hendry nel 1981 per le murature in mattoni
[13], che porta in conto sia il comportamento degradante postpicco del materiale (ramo di
softening), sia l’assenza di resistenza per sollecitazioni di trazione (no-tension).
I legami bilineari sono, invece, utilizzati per la modellazione del taglio. La soglia di
resistenza è scelta come le minima ottenibile da un criterio di rottura per taglio con
fessurazione diagonale (Turnšek e Čačovič [82] o Mann e Müller [83]) e un criterio di
rottura per taglio-scorrimento lungo un giunto di malta secondo Mohr-Coulomb.
Per le fasce, insieme alla possibilità di modellarne il comportamento flessionale
come fossero maschi ruotati di 90° (§7.8.2.2.4 delle NTC 2008), che equivale ad assumerle
molto deboli per l’assenza di sforzo normale, è stato introdotto un legame valido per le
murature di mattoni ancora bilineare ma in cui il calcolo del momento ultimo viene
eseguito considerando una resistenza “equivalente” a trazione propria dell’elemento fascia
e non del materiale muratura [14, 84, 85], ottenendo così un livello minimo di resistenza
flessionale anche in assenza di compressione. L’evidente vantaggio consiste nell’avere una
risposta della parete che non sia totalmente falsata dalla presenza di fasce pendolari.
Il comportamento a taglio è invece modellato con una legge elasto-plastica o elasto-
fragile con soglia residua di resistenza, in cui il taglio ultimo è ricavato come prodotto tra
l’area della sezione e la resistenza di calcolo a taglio della muratura in assenza di sforzo
normale (§7.8.2.2.4 delle NTC 2008).
Pag. 164 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Il FREMA permette anche la modellazione di cordoli di piano in calcestruzzo, tramite


l’introduzione di elementi orizzontali con comportamento, più in generale, elastico o
elastoplastico a flessione.
L’applicazione dei legami è fatta dividendo le aste in un numero finito di conci e,
quindi, mediante un approccio a plasticità diffusa imponendo un campo di spostamenti alla
parete (analisi in controllo di spostamenti) conforme alla distribuzione delle azioni
orizzontali scelta. Questo permette l’individuazione del ramo di softening, evitando
l’arresto dell’analisi al raggiungimento della soglia di resistenza ultima. L’annullamento,
poi, delle rigidezze dei maschi progressivamente collassati, e la loro successiva
modellazione come elementi gap (resistenti solo a compressione) permette di spingere
l’analisi stessa fino all’attivazione di un meccanismo di piano.
Ad ogni passo di carico, inoltre, sono rispettati gli equilibri locali delle singole aste e
globale dell’intera struttura, fornendo una modellazione più corretta rispetto a metodi
assimilabili al POR, che generalmente assumono un equilibrio di piano.

4.4.3.1.1 L’elemento maschio murario


Si suppone che un elemento maschio sia costituito da una parte deformabile con resistenza
finita, e di due parti infinitamente rigide e resistenti alle estremità dell’elemento (Fig.4.29).
La lunghezza della parte deformabile dell’elemento viene determinata, sostanzialmente in
accordo con quanto proposto da Dolce [27], ipotizzando un’estensione del maschio nella
zona nodale secondo una proiezione a 30°, come rappresentato in Fig.4.30, per tener conto
in maniera approssimata della deformabilità delle zone nodali.
La matrice di rigidezza dell’elemento, come avviene pure per le fasce, è calcolata a
partire dall’applicazione dei legami costitutivi a flessione e a taglio in ogni concio della
discretizzazione (Fig.4.31), in modo da ricavare in sequenza le rigidezze secanti costanti
sulla lunghezza di ogni concio, i coefficienti di deformabilità dell’intera parte deformabile
dell’asta e quindi i coefficienti di rigidezza della stessa con tratti rigidi.

Fig. 4.30: Altezza efficace dei maschi


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 165

qy

qx Mb
x0 x1 x2 x3 x4 xk-1 xk xNc-2 xNc-1 xNc
Na Nb
1 2 3 4 k Nc-1 Nc

Ma
Va Vb

Fig. 4.31: Discretizzazione della generica asta


In particolare, indicando con RM,k e RV,k rispettivamente la rigidezza flessionale
secante e la rigidezza a taglio secante del k-esimo concio calcolate sulla base dei legami
costitutivi, e con M0,k e V0,k i valori del momento e del taglio agenti per effetto del carico qy
uniformemente distribuito nella mezzeria dello stesso concio, i coefficienti di deformabilità
della parte deformabile dell’asta valgono:

1 N c ( l − xk −1 ) − ( l − x k )
3 3
1 N c x − x k −1
α a ,b = 2 ⋅∑ + 2 ⋅∑ k (4.8)
3l k =1 RM , k l k =1 RV , k

1 Nc xk3 − xk3−1 1 Nc xk − xk −1
αb, a = ⋅∑ + 2 ⋅∑ (4.9)
3l 2 k =1 RM ,k l k =1 RV ,k

3 3
(
1 N c 2 xk − xk −1 − 3l xk − xk −1
2 2
) (
1 N c x − xk −1 )
2 ∑
β a ,b = ⋅ + 2 ⋅∑ k (4.10)
6l k =1 RM ,k l k =1 RV ,k

1 Nc M 0,k ⎣( l − xk ) − ( l − xk −1 ) ⎦ 1 Nc V0, k ( xk − xk −1 )
⎡ 2 2

γ a ,b = ⋅∑ + ⋅∑ (4.11)
2l k =1 RM , k l k =1 RV ,k

γ b ,a = ⋅∑
2

+ ⋅∑
(
1 Nc M 0,k xk − xk −1 1 Nc V0,k ( xk − xk −1 )
2
) (4.12)
2l k =1 RM ,k l k =1 RV ,k

Di seguito si illustano più nel dettaglio i meccanismi di rottura considerati nella


modellazione dei maschi.
Rottura per pressoflessione o ribaltamento. Ai fini della modellazione del comportamento
flessionale del pannello, ai sensi delle NTC 2008, è definibile un legame momento-
curvatura semplificato, con legge elastica-perfettamente plastica, in cui la soglia di
Pag. 166 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

resistenza massima si ottiene da una distribuzione di tensioni rettangolare con valore


0.85fwc. Il comportamento prima del raggiungimento della soglia di resistenza, essendo
assunto elastico, resta definito dalla sola rigidezza flessionale della sezione del pannello, il
che significa che non è considerato l’aumento progressivo della deformabilità per effetto
della fessurazione.
Nel modello FREMA, invece, è stato implementato anche un legame momento-
curvatura accurato che permette di ovviare a tutte le semplificazioni del legame bilineare,
ovvero che permette di portare in conto la perdita progressiva di rigidezza della sezione per
effetto della fessurazione. Gli equilibri alla traslazione e alla rotazione sono stati scritti
integrando sulla sezione il legame polinomiale di Hendry (1.35), e distinguendo tra il caso
di sezione integra e il caso di sezione parzializzata (Fig.4.32).
Da tali integrazioni, per la sezione integra (ξ > 1) risulta:

υ = k1 ⋅ ⎡ξ 2 − (ξ − 1) ⎤ + k2 ⋅ ⎡ξ 3 − (ξ − 1) ⎤
2 3
(4.13)
⎣ ⎦ ⎣ ⎦

k1 ⎡ 2 k
⋅ ξ + (ξ − 1) ⎤ + 1 ⋅ ⎡(ξ − 1) − ξ 3 ⎤ +
2 3
μ=
2 ⎣ ⎦ 3 ⎣ ⎦
k k (4.14)
+ 2 ⋅ ⎡ξ 3 + (ξ − 1) ⎤ + 2 ⋅ ⎡(ξ − 1) − ξ 4 ⎤
3 4

2 ⎣ ⎦ 4 ⎣ ⎦

Per la sezione fessurata (ξ < 1) risulta, invece:

υ = k1 ⋅ ξ 2 + k 2 ⋅ ξ 3 (4.15)

k1 2 k1 3 k2 3 k2 4
μ= ⋅ξ − ⋅ξ + ⋅ξ − ⋅ξ (4.16)
2 3 2 4

avendo indicato con ν=N/(D t σu) lo sforzo normale adimensionale, con μ=M/(D2 t σu) il
momento flettente adimensionale, con ξ=yc/D la profondità adimensionalizzata dell’asse
neutro dal bordo maggiormente compresso della sezione e con k1=χD/εu e k2=-1/3·(χD/εu)2
due costanti che dipendono dalla curvatura χ agente e dalla deformazione ultima εu del
materiale.

Rottura per taglio con fessurazione diagonale. Per la modellazione del comportamento a
taglio, relativamente alla rottura con formazione di fessure diagonali, nel FREMA è
possibile scegliere tra il criterio di resistenza di Turnšek e Čačovič (4.115), in cui la
muratura è assimilata ad un materiale isotropo equivalente (schematizzazione più adatta a
murature con tessitura caotica e irregolare, Fig.4.33), e il criterio di resistenza di Mann e
Müller (4.116):
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 167

N N
M M

l l
D D

G G

t
yc yc

χ χ
ε ε

σ (ε) σ (ε)

Fig. 4.32: Stato deformativo e tensionale per la sezione integra e fessurata

lt σ
Vd = 1.5 f vk 0 1 + (4.17)
b 1.5 f vk 0

lt ⎧⎪ f σ ⎫⎪
Vd = min⎨ bt 1 + ; c ′ + μ ′σ ⎬ (4.18)
b 2.3 f bt
⎩⎪ ⎪⎭
dove fbt rappresenta la resistenza a trazione dei blocchi, b è un coefficiente riduttivo legato
alle caratteristiche dimensionali del pannello [86] che, nel caso di h/l=1.5 vale prorpio 1.5,
o anche al grado di vincolo agli estremi per il tramite del fattore di taglio M/(l V) [34]; σ è
la tensione media di compressione agente sulla sezione in muratura
Nella (4.116) i componenti costitutivi della muratura sono considerati
separatamente, con possibilità di sviluppo della frattura diagonale attraverso i giunti di
malta (per la tensione a taglio media che supera la tensione massima ricavabile secondo la
legge di Mohr-Coulomb, opportunamente modificata considerando una coesione della
malta c’=c/(1+μϕ) e un coefficiente di attrito μ’=μ/(1+μϕ) ridotti per descrivere una
modalità di rottura complessa che coinvolge contemporaneamente i giunti di malta verticali
e orizzontali) o attraverso i blocchi lapidei (per la tensione principale minima che supera la
resistenza a trazione dei blocchi). In tale criterio assume un ruolo significativo il parametro
di interconnessione ϕ=2Δy/Δx, legato al rapporto tra l’altezza media Δy dei blocchi e la
larghezza media Δx degli stessi.
Il modello di comportamento elasto-plastico con limite in deformazione
praticamente coincide con le ipotesi adottate nei metodi di tipo POR. Il modello bilineare
tende a riprodurre in modo approssimato l’inviluppo che si ottiene da prove sperimentali
cicliche, e lo spostamento ultimo viene associato al raggiungimento di un opportuno
degrado della resistenza dei pannelli reali. Tale limite è comunemente espresso in termini di
duttilità ultima.
Pag. 168 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

L’introduzione di un limite di deformazione angolare θu in sostituzione di un limite


in duttilità trae le sue origini da [56] in cui si è notato che pannelli murari con diversi
rapporti di forma portati a rottura per taglio tendono a presentare una dispersione molto
contenuta della deformazione angolare ultima, ed una dispersione molto maggiore della
duttilità ultima in spostamento. Per tali muri, provati mantenendo il parallelismo fra la base
superiore ed inferiore (Fig. 4.34), la deformazione angolare sopra riportata coincide con il
drift ovvero con il rapporto fra lo spostamento orizzontale δ e l’altezza del muro H.
Il valore suggerito in [56] è θu=0.5%, mentre le NTC 2008 (§C8.7.1.4), come già
precisato in precedenza, prevedono un limite di deformazione angolare di 0.4% nel caso di
rottura del pannello per taglio, ovvero di 0.6% nel caso di rottura per pressoflessione.
Questo secondo approccio ha anche il notevole vantaggio di svincolare la previsione della
effettiva capacità di deformazione ultima del pannello dall’accuratezza con cui si modella
la rigidezza elastica iniziale. L’approccio in duttilità infatti comporta che, supposto di
prevedere con sufficiente accuratezza la resistenza, qualunque errore di previsione della
rigidezza elastica iniziale si rifletta sullo spostamento ultimo, in quanto esso è multiplo
dello spostamento al limite elastico (δ u=μδ y).
Rottura per taglio-scorrimento. Si assume che la rottura del maschio per scorrimento
avvenga lungo un letto di malta in corrispondenza di una delle sezioni estreme a o b della
parte deformabile. La resistenza ultima è determinata secondo il criterio di Mohr-Coulomb,
portando in conto sulla parte reagente della sezione sia il contributo attritivo legato alla
compressione normale ai giunti di malta, sia il contributo coesivo della malta:

Fig. 4.33: Diverse tipologie di tessitura muraria

Fig. 4.34: Prova a taglio con basi parallele, θi = θ j = θ = δ / H


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 169

Vs =
lt
b
(c+ μσ ) (4.19)

Ai fini della definizione della soglia ultima di resistenza a taglio del maschio si
considera il valore minore del taglio resistente ottenibile dai due meccanismi considerati.
I criteri di rottura sono formulati in modo tale per cui all’annullarsi della
compressione verticale si annulla sia la resistenza a flessione, sia la resistenza allo
scorrimento. In aggiunta a ciò, si suppone anche che la rigidezza assiale del maschio si
annulli in caso di deformazione di trazione, per cui l’azione assiale può assumere solo
valori positivi (assumendo positiva la compressione) o nulli. Il maschio con azione assiale
nulla risulterà quindi completamente scarico da ogni tipo di sollecitazione.

4.4.3.1.2 L’elemento fascia muraria


L’elemento fascia è formulato in maniera sostanzialmente analoga all’elemento
maschio, ma con alcune differenze. Vengono mantenuti gli offset rigidi, individuando
quindi una lunghezza efficace dell’elemento. Nel caso di aperture allineate verticalmente
(Fig.4.35a), le analisi comparative presenti in letteratura dimostrano che si ottengono buoni
risultati assegnando una lunghezza efficace pari alla luce libera delle aperture. Non sono
state svolte analisi con aperture non allineate verticalmente, per le quali si può assumere in
modo approssimato una lunghezza efficace come indicato in Fig.4.35b. Per l’elemento
fascia si distinguono due possibili meccanismi di rottura: per pressoflessione e per taglio.
Rottura per pressoflessione. L’elemento fascia è modellato con un legame momento-
curvatura bilineare. Nella sezione in cui viene raggiunto il momento ultimo è introdotta una
cerniera plastica, con ipotesi di comportamento perfettamente plastico indefinito, quindi
senza una soglia di deformazione massima il cui raggiungimento segni il collasso
dell’elemento per il meccanismo di flessione considerato. Le formulazioni proposte al

Fig. 4.35: Definizione della lunghezza efficace della fascia


Pag. 170 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

§7.8.2.2.4 delle NTC 2008 per la valutazione della resistenza a flessione delle fasce, in
sostanziale accordo con quanto presente in letteratura, sono le seguenti:
h 2f t f σ ⎛ σ ⎞
Mu = ⎜1 - ⎟ (4.118)
2 ⎜⎝ 0.85 f wd ⎟

H p hf ⎛ Hp ⎞
Mu = ⎜1 - ⎟ (4.119)
2 ⎜⎝ 0.85 f wd ,h h f t f ⎟⎠

L’Eq.(4.118) è valida per fascia non armata in presenza di azione assiale mentre
l’Eq.(4.119) è valida per fascia dotata di un elemento resistente a trazione di resistenza Hp
pari al minimo tra la resistenza a trazione dell’elemento teso ed il valore 0.4 fwd,h hf tf. Si
comprende quindi che in assenza di sforzo normale nella fascia, le NTC 2008 conducono ad
una sottostima eccessiva della resistenza dell’elemento e alla ovvia predominanza della
rottura per flessione su quella per fessurazione diagonale, diversamente da quanto
osservabile da danni sismici su edifici reali.
Stando a quanto detto, è ragionevole assumere un minimo di resistenza delle fasce
nei confronti della flessione, diversamente da quanto si farebbe per i maschi, anche in
assenza di compressione, se non altro perché in questi le azioni da sisma inducono una
sollecitazione di trazione normale ai giunti di malta orizzontali, mentre nelle fasce la
trazione è normale a quelli verticali. La risposta conseguente deve essere necessariamente
diversa, riconoscendo che la muratura è un materiale anisotropo.
Nel FREMA la resistenza flessionale dell’elemento è assunta differente a seconda
della tipologia di muratura. Per murature caotiche, valutato con il modello a telaio
equivalente lo stato di sforzo assiale presente nelle fasce, si considera una soglia di
resistenza massima per flessione in accordo con quanto proposto dalle NTC 2008, ovvero
trattando la fascia come un maschio ruotato di 90° (§7.8.2.2.4). Tale resistenza è quindi
calcolata mediante l’Eq.(4.118).
Per le murature a tessitura regolare e ben organizzate, con conci ben ammorsati, è
proposto un criterio di resistenza che non considera più il comportamento no-tension del
materiale. La soglia di resistenza a trazione è calcolata sulla base della teoria di Kasten e
Schubert [84] per i maschi, e riproposta da Cattari e Lagomarsino per le fasce [85]. Questo
criterio si basa sul presupposto che la risposta a “puntone equivalente” delle fasce in questo
tipo di murature, può sempre attivarsi in virtù dei fenomeni di interconnessione
all’interfaccia tra le sezioni terminali e le zone contigue della muratura: di conseguenza può
definirsi una resistenza a trazione “equivalente” ftu, che caratterizza la fascia e non la
muratura. La formulazione assume come ipotesi principali che la distribuzione delle
tensioni di trazione (ortogonali ai giunti di malta verticali) e la distribuzione delle tensioni
di taglio (lungo i giunti di malta orizzontali) siano uniformi e che si possano trascurare le
proprietà meccaniche dei giunti di malta verticali. Pertanto, con riferimento al volume di
muratura nelle sezioni terminali di interfaccia della fascia, tale soglia di resistenza è la
minore tra quelle ottenibili da due differenti meccanismi di rottura:
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 171

a) rottura per trazione dei blocchi (Fig.4.36a):


Δy
f tu ,1 = fbt (4.120)
2 ( Δy + g )

b) rottura per taglio dei giunti di malta orizzontali (Fig. 4.36b):

(
f tu , 2 = c + μ σ ′ ) 2(ΔΔ + g )
x
(4.121)
y

essendo fbt la resistenza a trazione dei blocchi e g lo spessore del giunto di malta, mentre
σ ’ può assumersi pari al 65% della tensione media di compressione agente al piede del
maschio adiacente alla sezione terminale della fascia [85]. Introducendo il parametro η
come il rapporto tra la resistenza a compressione della muratura fwd e la resistenza
equivalente a trazione ftu, la rimozione dell’ipotesi no-tension del materiale comporta
l’ampliamento del dominio di resistenza proposto dalla normativa come rappresentato
esemplificativamente in Fig.4.37 con riferimento al caso η=0.1.
Rottura per taglio. La resistenza a taglio della fascia viene espressa con criteri simili a
quelli utilizzati per l’elemento maschio, tenendo conto però della diversa giacitura dei letti
di malta rispetto alla linea d’asse dell’elemento e considerando che la compressione
normale ai letti di malta al di sotto delle aperture è praticamente nulla.
Nell’implementazione corrente la resistenza a taglio è definita da Vu = h f t f f vk 0 ovvero dal
prodotto della resistenza a taglio della muratura in assenza di sforzo normale per l’area
della sezione della fascia. Accanto ad un comportamento simile a quello dei maschi (elasto-
plastico, Fig. 4.38a), si può assumere per le fasce un comportamento elasto-fragile
(Fig.4.38b), in cui al raggiungimento di Vu segue immediatamente un abbattimento della
resistenza fino al valore di 0.25·Vu. Tale soglia residua di resistenza viene poi mantenuta
per valori indefiniti dello scorrimento.

Fig. 4.36: Meccanismi di rottura delle fasce per la definizione della resistenza a trazione:
a) rottura per trazione dei blocchi; b) rottura per taglio dei giunti di malta orizzontali.
Pag. 172 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 4.37: Dominio di resistenza per la fascia di piano: contronto tra la proposta della NTC
2008 e il modello di Cattari e Lagomarsino (η = ftu/fwc, Nlim = fwc·h·t, Mlim = fwc·h2·t/4).

Fig. 4.38: Modellazione delle fasce: a) fasce elasto-plastiche; b) fasce elasto-fragili

4.4.3.2 Modello SAM


Tra i modelli monodimensionali a telaio equivalente, può essere considerato tra i
capostipiti il metodo SAM, sviluppato presso l’Università di Pavia [18, 34]. Questo
metodo, nato per l’analisi di pareti multipiano caricate nel proprio piano, è stato
successivamente esteso all’analisi di problemi tridimensionali.
La parete viene suddivisa in elementi (maschi e fasce) e nodi rigidi, rappresentati da
opportuni offsets alle estremità degli elementi. L’altezza dei maschi è determinata secondo i
criteri proposti da Dolce [27] (Fig. 4.30) mentre la lunghezza delle fasce è determinata
direttamente da quella delle architravi.
Il macroelemento maschio o fascia è formulato su base fenomenologica,
considerando un comportamento lineare elastico fino al raggiungimento di un limite di
rottura sulla base dei criteri di resistenza proposti da Magenes e Calvi [18, 67]. Essi, però,
dipendono significativamente, almeno per i maschi, dal valore della compressione assiale
agente nel singolo passo di carico e vanno perciò ricalcolati attraverso una procedura
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 173

iterativa. Il metodo SAM si è dimostrato strumento valido ed affidabile per l’analisi statica
non lineare (pushover) di pareti e di sistemi tridimensionali [18].
Attualmente il codice denominato SAM II è il risolutore alla base del software
ANDILWall, implementato presso l’EUCENTRE e l’università degli Studi di Pavia
(Fig.4.39).

Fig. 4.39: Screenshot del software ANDILWall: a sinistra il modello 3D di un edificio; a


destra il corrispondente modello a telaio equivalente.

4.4.3.3 Modello 3MURI


Il modello TREMURI (Fig. 4.40) costituisce l’applicazione commerciale del modello a
macroelementi proposto dai ricercatori dell’Università di Genova [31], [32], [33]. Il
modello si distingue da quelli finora citati in quanto, sebbene possa essere utilizzato per
l’analisi non lineare statica, mira alla modellazione del comportamento ciclico delle pareti
in muratura. Trattandosi di un modello a telaio equivalente, ha il grande pregio di
consentire analisi dinamiche con un onere computazionale relativamente ridotto.
In realtà la classificazione del modello non risulta immediata. Di fatto, le grandezze
cinematiche e statiche utilizzate per la formulazione dell’elemento consistono in
spostamenti e rotazioni nodali e in azioni risultanti M, V, N, che quindi richiamano i
modelli monodimensionali. Tuttavia, l’introduzione di gradi di libertà interni all’elemento e

Fig. 4.40: Modello a macroelementi della parete; elementi di colore: rosso = maschi;
viola = fasce di piano; grigio = blocchi rigidi; elementi verdi = aste.
Pag. 174 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

di opportune considerazioni sui cinematismi di ribaltamento (rocking) e di taglio-


scorrimento (sliding shear failure) conferiscono un carattere di bidimensionalità
all’elemento, che sembra quindi riprodurre in modo efficace e sintetico le caratteristiche più
importanti della risposta non lineare dei pannelli murari (Figs.4.40-4.41).

Fig. 4.41: Screenshot del software 3Muri. Modellazione di un edificio irregolare

Fig. 4.42: Macroelemento implementato nel codice di calcolo 3MURI


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 175

Questi ultimi sono schematizzati in tre parti (Fig.4.42): nelle basi del macroelemento
viene concentrata la deformabilità elastica del maschio (o della fascia) con l’ulteriore
ipotesi di contatto monolaterale, cioè efficace solo a compressione; alla parte centrale viene
attribuita la deformabilità a taglio.
Di conseguenza la rottura per flessione (rotazione del pannello murario) e la
corrispondente componente di deformazione anelastica si realizzano alle estremità, mentre
la rottura a taglio e la deformazione angolare interessano il solo modulo centrale del
macroelemento. Le condizioni di rottura a taglio sono riferite a grandezze medie che
descrivono lo stato di tensione-deformazione dell’intero pannello murario, e quindi non
rappresentano condizioni locali sulla singola superficie di discontinuità.
Tale formulazione è stata derivata direttamente dall’osservazione dei danni da sisma
sulle strutture esistenti (Fig. 4.43).

Fig. 4.43: a) Rottura a taglio; b) rottura a flessione dei pannelli murari

4.4.4 Modelli monodimensionali a puntoni


Nel caso dei modelli con elementi monodimensionali, la classe di quelli basati
sull’idealizzazione a biella o a puntone [23, 24] si propone di schematizzare la porzione
reagente del pannello murario mediante un elemento biella la cui inclinazione e la cui
rigidezza riproducano, in media, il comportamento del pannello (figs.4.44 e 4.45).

Fig. 4.44: Identificazione fenomenologica delle bielle compresse in una parete


soggetta ad azioni orizzontali
Pag. 176 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 4.45: Elemento biella e parete modellata mediante bielle.


Poiché al crescere della parzializzazione consegue una variazione delle proprietà
geometriche della biella equivalente (inclinazioni, dimensioni della sezione), anche questi
metodi sono classificabili come a geometria variabile.
La crisi dei singoli pannelli è associata al raggiungimento di una configurazione
limite di equilibrio oppure alla rottura per compressione del puntone.

4.4.5 Modelli bidimensionali con macroelementi finiti


La possibilità, nell’ambito della discretizzazione di una parete in muratura, di distinguere
zone a danneggiamento pronunciato, come maschi e fasce, da zone sostanzialmente integre,
zone di sovrapposizione, permette di considerare queste ultime soggette a stati di
deformazione modesti e, quindi, assimilarle ad elementi rigidi.
In altre parole, l’intera parete viene modellata mediante un opportuno assemblaggio di
macroelementi connessi mutuamente da blocchi rigidi, realizzando in questo modo dei
modelli che, per il limitato numero di gradi di libertà, consentono di rappresentare, con
modesto onere computazionale, la risposta di una parete ad azioni statiche monotone o
cicliche e ad azioni dinamiche.
Tra i modelli a macroelementi, risultano particolarmente significativi, i seguenti
modelli che verranno sinteticamente descritti nel seguito:

• SISV, Setto Inclinato a Sezione Variabile, sviluppato presso l’Università di Roma


[22], [57];
• MAS3D, messo a punto presso l’Università della Basilicata [39], [58].

4.4.5.1 Modello SISV


In SISV lo schema del modello del singolo pannello verticale è quello mostrato in Fig.4.46:
le zone in cui le tensioni verticali risultano di trazione vengono considerate non più
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 177

collaboranti e quelle compresse vengono schematizzate come un setto (trave) a sezione


variabile con asse congiungente i punti medi delle sezioni reagenti di estremità. Data la non
linearità del problema, la procedura di calcolo è incrementale al passo con ridistribuzione
dei carichi tra i diversi pannelli e riapplicazione al passo successivo dei residui squilibrati.
L’evoluzione della forma resistente dei pannelli verticali, sotto l’azione dei carichi
orizzontali, introduce due indeterminazioni nella valutazione delle rigidezze dei pannelli
stessi: in primo luogo le rigidezze assiale e trasversale di un setto inclinato dipendono dalle
dimensioni (sezioni resistenti) del setto medesimo, cioè dall’inclinazione del setto resistente
all’interno del setto originario ovvero dall’inclinazione della risultante R dei carichi agenti
e quindi dalla stessa ripartizione delle forze tra i diversi pannelli, ripartizione che deve
essere effettuata a partire da tali rigidezze; in secondo luogo occorre notare come le
rigidezze orizzontale e verticale equivalenti di un setto inclinato dipendono, oltre che da
quelle assiale e trasversale, anche dall’angolo d’inclinazione dello spostamento che deve
essere effettuato dalla testa del setto stesso, spostamento che deve essere determinato con
quelle stesse rigidezze.
La prima indeterminazione viene superata semplicemente impiegando, ad ogni
passo, le rigidezze assiale e trasversale ricavabili al termine del passo precedente.
Per la seconda indeterminazione, invece, utilizzare l’angolo di spostamento del
passo precedente e utilizzare direttamente le rigidezze verticali e orizzontali equivalenti dei
singoli maschi, nella ripartizione dei carichi esterni, porta ad una incontrollabile divergenza
del procedimento, nonché ad una mancanza di congruenza tra gli spostamenti dei pannelli
di uno stesso piano (è la mancata congruenza ad innescare la divergenza).
In una parete multipiano, però, l’ipotesi di fasce rigide consente di analizzare
ciascun livello nel suo riferimento locale, dipendendo dai livelli inferiori solo per la sua
posizione rispetto al riferimento globale e dai livelli superiori solo per il carico ed il
momento totale agenti su di esso.

H
φ

R
B
Fig. 4.46: Setto a sezione variabile
Pag. 178 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Utilizzando quindi al meglio l’ipotesi di fasce rigide, in SISV, ad ogni passo di


carico vengono determinati gli spostamenti (orizzontali e verticali) e le rotazioni di tali
fasce, utilizzando in ciascun piano le rigidezze risultanti dalla combinazione di quelle di
tutti i pannelli verticali presenti. Noti gli spostamenti rigidi delle fasce, vengono trovati gli
spostamenti in testa a ciascun pannello, assicurando automaticamente la congruenza;
conseguentemente vengono trovate le sollecitazioni e le nuove risultanti dei carichi
competenti a ciascun setto, nonché le nuove forme delle parti ancora reagenti e le nuove
rigidezze assiali e trasversali dei setti inclinati che le schematizzano.
Per superare la seconda indeterminazione ed, allo stesso tempo, trovare gli
spostamenti e le rotazioni globali di ciascuna fascia, è necessario un ciclo iterativo
all’interno di ciascun passo di carico: la componente verticale dello spostamento della
fascia è causata dalla reazione dei setti inclinati allo spostamento orizzontale della stessa,
ma a sua volta provoca una reazione in direzione orizzontale, da parte degli stessi setti, e
così via. La procedura è sempre convergente, grazie alla congruenza intrinsecamente
garantita, con una precisione liberamente predefinibile.
Quando non è possibile ipotizzare che le fasce di piano siano più rigide e resistenti
dei maschi, si propone il seguente approccio, basato sull’uso di elementi finiti (o meglio,
macroelementi) di forma variabile che, essendo specificamente finalizzato all’analisi di
pareti multipiano, consente notevoli riduzioni in quanto a modellazione e soluzione, mentre
conserva il vantaggio, tipico dei metodi di calcolo agli elementi finiti, di non introdurre
alcuna ipotesi circa le rigidezze relative e le resistenze degli elementi costituenti la parete.

Rnl Rnm
Rtl Rtm

(a)

Rtk Rtj

Rnk Rnj

Rnl Rnm

Rtl Rtm

Rtk Rtj

Rnk (b) Rnj (c)


Fig. 4.47: Discretizzazione di un pannello, di un nodo e di una parete
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 179

La discretizzazione dei pannelli murari avviene attraverso un numero limitato di


semplici elementi finiti triangolari a deformazione costante, come mostrato in Fig.4.47a nel
caso di un pannello, Fig.4.47b per il nodo rigido (zona di sovrapposizione tra maschio e
fascia) e Fig.4.47c per un’intera parete. Tali macroelementi sono disposti in modo tale da
poter modificare ad ogni passo la forma della parte reagente dei pannelli, escludendo le
zone ove la trazione, nella direzione dell’asse del pannello, ha superato il valore limite
prefissato.
Infatti, al termine di ogni passo di carico vengono determinate le reazioni nodali in
corrispondenza delle sezioni di estremità di ciascun pannello, con le quali si calcola
l’equivalente stato di sollecitazione in termini di sforzo normale, taglio e momento flettente
delle stesse sezioni, nonché la risultante dei carichi agenti sul pannello. Quindi, sulla base
della posizione di quest’ultima nell’attraversare le sezioni trasversali, viene aggiornata la
geometria della parte resistente del pannello spostando opportunamente alcuni dei nodi del
suo contorno: in particolare, mentre vengono lasciati al loro posto i quattro nodi prossimi
alla diagonale compressa, gli altri quattro vengono traslati ciascuno lungo il proprio lato
fino al limite della zona ancora assialmente compressa (ovvero sull’asse neutro nelle
sezioni d’estremità) se la resistenza a trazione è supposta nulla (Fig.4.7a), oppure, al limite
di una zona assialmente tesa, ma con valori rientranti nella resistenza ipotizzata ammissibile
a trazione (Fig.4.7b). Si ottiene in tal modo la configurazione da utilizzare al passo
successivo (Fig.4.48).
Si osserva che l’operazione descritta, pur comportando variazioni dello stato
tensionale e delle forze nodali, non modifica la risultante all’interfaccia tra pannelli
verticali, od orizzontali, e gli elementi di nodo; pertanto non ne modifica le condizioni di
equilibrio.
R R
R' R'

dvn

(a) (b)
dvn

don

dvn = spostamento dei nodi differenza di forma con o


sui lati verticali senza una certa resistenza
a trazione
don = spostamento dei nodi
sui lati orizzontali

Fig. 4.48: Evoluzione del pannello


Pag. 180 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Si può notare che la struttura così modellata, all’incrementarsi delle forze


orizzontali, vede ridursi la propria rigidezza flessionale e di taglio, mentre oppone ai carichi
una crescente rigidezza assiale, all’interno dei singoli pannelli, manifestando meccanismi
resistenti prevalentemente a compressione. Questo è in accordo con il reale comportamento
delle strutture murarie, concepite in modo da creare nel loro ambito situazioni di equilibrio
con il solo, o prevalente, apporto delle tensioni di compressione.
Il codice di calcolo SISV consente di modellare anche elementi tesi quali catene,
cordoli o piattabande (Fig. 4.49).

F2

armature e/o
eventuali
limitazioni sul
campo di
spostamenti

F1

Fig. 4.49: Configurazione tipica della parete sotto carico

4.4.5.2 Modello MAS3d


Mas3D schematizza le strutture utilizzando un macroelemento non reagente a trazione,
l’elemento pannello; il modello di comportamento di tale elemento semplifica in modo
significativo la reale risposta del materiale, adottando un legame costitutivo lineare in
compressione e la non resistenza a trazione.
L’elemento pannello è costituito da un insieme di ventagli compressi (Fig.4.50) che
soddisfano le seguenti ipotesi di base: (a) le facce terminali sono rigide; (b) è assente
qualsiasi interazione tra i lati dei ventagli elementari. Lo stato tensionale del pannello è
quindi individuato dalle tensioni radiali all’interno di ogni ventaglio, mentre sono nulle le
tensioni tangenziale e circonferenziale. Sotto tali ipotesi vengono facilmente soddisfatte le
equazioni di equilibrio e le relazioni costitutive, così come le equazioni cinematiche in
direzione radiale; in generale, però, non si possono soddisfare le equazioni cinematiche in
direzione tangenziale.
Nonostante l’elemento sia basato su una formulazione tensionale, vengono assunte
come incognite gli spostamenti nodali che definiscono gli spostamenti/rotazioni delle facce
di estremità.
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 181

Fig. 4.50: Elemento a ventaglio multiplo


L'elemento finito così messo a punto permette, con un onere computazionale
estremamente ridotto, di calcolare direttamente l’energia, le forze e la matrice di rigidezza
evitando la procedura di minimizzazione dell’Energia Complementare Totale.
L’elemento pannello, a fronte di una grande semplicità d’uso e di una elevata
efficienza in termini di tempo-uomo e di tempo-macchina, necessarie nella comune
progettazione, garantisce una modellazione molto efficace del comportamento di intere
macrozone di muratura. Confronti con i risultati forniti da modellazioni molto più elaborate
ed onerose consentono, infatti, di considerarlo un efficace strumento di calcolo: gli
andamenti delle tensioni principali e delle caratteristiche della sollecitazione mostrano un
buon accordo con quelli forniti da diverse schematizzazioni.
Confronti con risultati sperimentali ottenuti tramite racking test e prove di carico
laterale su pannelli in muratura mostrano, in termini di diagrammi N-u (sforzo normale-
spostamento), H-u (taglio-spostamento) e M-u (momento flettente-spostamento), una stretta
correlazione con i valori forniti dal modello, purché il carico orizzontale sia minore del
60% del carico di collasso, cioè ricada nel campo di sollecitazioni di pratico interesse ai fini
della progettazione. Le differenze rilevanti evidenziate per carichi orizzontali superiori al
60% del carico di collasso sono da ascrivere principalmente a fenomeni di degrado della
muratura sollecitata a compressione non presi in conto nelle relazioni costitutive utilizzate.
Ancora un confronto con risultati disponibili è stato effettuato in termini di domini
di resistenza. Il dominio teorico fornito dall’elemento finito a ventaglio multiplo coglie in
media la distribuzione dei punti sperimentali per snellezza μ unitaria mentre permane al di
sotto di essa, con differenze dell’ordine del 20÷25% per μ = 1.5, fatto questo attribuibile
alla maggiore importanza della resistenza a trazione nei pannelli più snelli. Di contro si
osservi che anche la procedura POR in questo caso sovrastima di molto i risultati delle
prove, per cui si può affermare che l’elemento pannello ha, globalmente, una rispondenza
migliore.
Pag. 182 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 4.51: Discretizzazione mediante elementi pannello


Sulla base dei risultati appena illustrati, si evince che l’elemento a ventaglio multiplo
è un valido strumento per schematizzare macroelementi in muratura e che, a parità di
precisione nei risultati, è preferibile rispetto alle modellazioni più accurate, richiedendo un
numero di gradi di libertà notevolmente ridotto e quindi mostrandosi nettamente più
efficace di queste in termini di oneri computazionali.
L’elemento pannello descritto è stato implementato in un codice di calcolo non line-
are ed è stato interfacciato in maniera da limitare i dati di input alle sole caratteristiche
strutturali e disposizioni geometriche in pianta e in elevazione. Il prodotto finale di tale
lavoro è, appunto, MAS3D.
La discretizzazione in elementi pannello di strutture in muratura è effettuata per
parete e su tutta l’altezza; pochi elementi sono, quindi, capaci di modellare la risposta di
edifici anche molto complessi (Fig. 4.51). Le pareti così modellate sono assemblate nello
spazio per comporre l’intera struttura che può, pertanto, avere altezza variabili lungo lo
sviluppo planimetrico. Gli spostamenti che le pareti possono subire nello spazio sono
compatibili con le reali condizioni di vincolo presenti sulla struttura: da un lato viene
imposta l’uguaglianza degli spostamenti verticali nei cantonali comuni a più pareti,
dall’altro l’azione dei solai, in questa fase ipotizzati infinitamente rigidi, si risente soltanto
su quelle pareti realmente collegate ad essi (Fig.4.51).
L’infinita rigidezza assiale assunta per i solai impone l’uguaglianza degli
spostamenti orizzontali a livello di piano. D’altro canto le fasce tendono a dilatarsi
orizzontalmente al crescere della deformazione a causa della formazione di puntoni
inclinati. L’effetto combinato dei due fenomeni appena accennati è una compressione dei
correnti orizzontali in muratura; tale compressione è benefica per le fasce in quanto
permette di equilibrare i momenti e le sollecitazioni taglianti trasmessi dai maschi e, quindi,
migliora l’azione di collegamento tra i montanti.
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 183

Fig. 4.52: Vincolo dei solai ed elementi di interfaccia


MAS3D riesce a superare anche un problema particolarmente sentito nel calcolo
strutturale di edifici in muratura ubicati nei centri storici: nelle case a schiera, frutto di una
lunga evoluzione nel tempo e spesso poste su declivi, i solai sfalsati in altezza rap-
presentano una costante.
Lo sfalsamento determina forti concentrazioni di sforzi nelle pareti in
corrispondenza dei punti di attacco dei solai e può condurre al collasso delle pareti per
martellamento fuori del piano. MAS3D modella la reale situazione introducendo diversi
solai posti alle corrispondenti quote e posizionando gli elementi pannello sulle pareti
comuni in maniera coerente con la condizione di vincolo rappresentata dai solai sfalsati
(Fig.4.52); le deformate dei solai fornite in output permettono di cogliere la presenza di
martellamenti e la loro entità.

4.4.6 Modelli bidimensionali con elementi finiti


Come ben noto, la soluzione di un problema elastico – ovvero la determinazione di un
campo di spostamenti u ( X ) , corrispondente ad una configurazione di equilibrio Ω′ , sotto
l’azione di un’assegnata distribuzione di forze esterne – prevede la soluzione di un sistema
di equazioni differenziali alle derivate parziali. Una metodica che consente di ricondursi
alla soluzione di un sistema di equazioni algebriche, è costituita dal metodo agli elementi
finiti (in seguito, FEM).
La diffusione di questi metodi è dovuta soprattutto alla facilità con cui essi possono
essere tradotti in programmi di calcolo.
Il primo passo per l’applicazione del FEM è la discretizzazione del continuo, cioè la
suddivisione in sottodomini, detti appunto elementi finiti (Fig.4.53), e la scelta di opportuni
punti, chiamati nodi, sul confine di elementi contigui o all’interno degli elementi stessi. A
questo punto si assumono come variabili incognite gli spostamenti (approccio agli
spostamenti) oppure le tensioni (approccio alle tensioni), espresse in termini di variabili
Pag. 184 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 4.53: Elementi finiti di tipo bidimensionale


nodali mediante funzioni d’interpolazione. Infine le equazioni algebriche risolventi sono
generate mediante l’impiego di un principio variazionale.
Rimandando a testi specifici la trattazione accurata del metodo FEM, nel seguito
vengono riportati gli aspetti salienti con particolare attenzione all’applicazione del metodo
al caso degli edifici in muratura.

4.4.6.1 Discretizzazione in elementi finiti


Nel metodo degli elementi finiti si suddivide il corpo in elementi di volume aventi
dimensioni finite detti elementi “finiti” e si scelgono alcuni punti sulle superfici di
contorno, ed eventualmente all’interno, chiamati punti nodali o nodi. Si numerano gli
elementi ed i nodi e si precisano le connessioni nodali tra gli elementi, elencando per ogni
elemento i nodi ad esso associati.
La suddivisione del continuo in elementi è l’operazione più delicata del metodo. Un
criterio generale non esiste, tuttavia l’esperienza suggerisce alcune indicazioni:
a) elementi di forma irregolare come rettangoli lunghi e sottili o triangoli appiattiti
sono da evitare. Quadrati e triangoli equilateri forniscono i risultati più accurati;
b) nelle zone in cui si ha concentrazione degli sforzi (elevati gradienti di sforzo) è
necessario disporre un numero di nodi maggiore;
c) per valutare l’accuratezza dei risultati è opportuno risolvere la stessa struttura con
una suddivisione più fitta. In tal modo si avrà una misura della convergenza.
Quest’ultima affermazione, tra l’altro di fondamentale importanza, scaturisce dalle
caratteristiche del metodo stesso; difatti, il “principio di minimo dell’energia potenziale”
assicura che, se il modello di spostamento scelto soddisfa le condizioni di ammissibilità e
completezza (di cui si dirà al paragrafo 4.4.6.2), l’energia potenziale totale della struttura
discretizzata è maggiore di quella corrispondente alla deformazione effettiva. Al crescere
del numero di elementi l’energia potenziale totale converge al suo valore esatto e gli
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 185

spostamenti convergono al loro valore esatto per valori inferiori ad essi; in altre parole, la
soluzione agli elementi finiti rappresenta un limite superiore (upper bound). Questa
caratteristica trova conferma immediata ed intuitiva se si fa riferimento alla definizione di
intorno di un punto: la soluzione del FEM tende alla soluzione “esatta” fornita dalle
equazioni sul continuo, se le dimensioni dell’elemento finito tendono a quello di intorno
elementare.
Chiaramente, il giusto grado di suddivisione si ottiene come compromesso tra una
soluzione “piuttosto” corretta (errori inferiori al 5%) e tempi di calcolo ragionevoli.
Un secondo problema che si presenta nella formazione di una maglia è la scelta del
tipo di elemento, semplice (ovvero con pochi nodi) o complesso (ovvero con molti nodi).
A parità di soluzione, occorrono più elementi semplici che complessi, per cui
sembrerebbe che l’utilizzo di questi ultimi sia più logico. D’altra parte, tali elementi
comportano, a causa di un numero maggiore di nodi, un rapido aumento delle dimensioni
della matrice di rigidezza e, conseguentemente, dei tempi di calcolo.
Ulteriore considerazione riguarda i tempi di calcolo, difatti, se consideriamo una
struttura modellata con m2 elementi quadrilateri a 4 nodi (caso a) ed n2 elementi quadrilateri
a 8 nodi (caso b), si può stabilire un punto di “convenienza” in termini di tempo,
considerando che la velocità di esecuzione è proporzionale al numero di operazioni da
eseguire, e queste sono pari al semiprodotto tra il numero di equazioni N ed il quadrato
della semibanda B2. Essendo N=K m2 e B=K m, con K pari al numero di gradi di libertà
considerati per ogni nodo, si ottiene, per il caso considerato:

(CPU ) a = K 3 m 4 m 4
⇒ (CPU ) a = (CPU )b → = 27 ≈ 2.3
(CPU )b = 27 K 3 n 4 n

4.4.6.2 Condizioni di convergenza


La validità di un elemento finito è legata al fatto che all’infittirsi della discretizzazione la
soluzione del modello discreto converge a quella del modello continuo.
Una prima condizione che a tale scopo si richiede è che l’approssimazione proposta
per il campo di spostamenti sia in grado di rappresentare tutti gli spostamenti rigidi
dell’elemento isolato e tutti gli stati di deformazione costante.
In altri termini il modello cinematico adottato a livello di elementi deve essere in
grado di riprodurre i comportamenti essenziali ben noti dall’analisi della deformazione
locale: l’intorno generico del continuo deformato subisce in generale una traslazione, una
rotazione ed una deformazione pura. La richiesta si giustifica perciò osservando che
all’infittirsi della discretizzazione l’elemento finito tende ad assumere il ruolo di “intorno”.
Un elemento finito che rispetti tale condizione si dice completo una volta che la
completezza sia rispettata, la convergenza è assicurata se l’assemblaggio garantisce la
continuità degli spostamenti all’interfaccia tra elemento ed elemento, ovvero, come anche si
dice, se l’elemento finito è compatibile.
Pag. 186 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Un elemento finito che sia completo e compatibile si dice anche conforme. La


convergenza di un modello agli elementi finiti di questo tipo è monotona.
Un altro requisito che è bene rispettare è quello di isotropia geometrica, che consiste
nel richiedere che le componenti di spostamento dell’elemento siano approssimate con gli
stessi polinomi e che questi siano invarianti nei confronti di uno scambio delle variabili
indipendenti (x, y, z).
Delle condizioni sopra richiamate, quella di compatibilità è, in particolare,
sufficiente per la convergenza del metodo degli elementi finiti.
Un elemento non conforme può non convergere come può convergere, anche se in
maniera non monotona. Un semplice metodo per assicurarsi numericamente della validità
di un elemento finito è il “patch-test”. Esso viene effettuato su di un assemblaggio (“patch”)
di elementi che presenta almeno un nodo completamente interno, assoggettato a condizioni
che implicano deformazioni costanti. L’elemento supera la prova se la soluzione discreta
fornisce i valori esatti delle deformazioni.
Si ribadisce che il test ha esclusivamente un fondamento numerico e si rileva altresì
che l’esperienza computazionale fino ad oggi maturata permette di raccomandarne la
validità con limitatissimi margini di incertezza.

4.4.6.3 Problematiche relative all’analisi non lineare


L’equazione di equilibrio di una struttura discretizzata con il metodo degli elementi finiti
(FEM) è data in generale da una relazione matriciale del tipo:
KV = Q (4.122)
% %
essendo K la matrice di rigidezza, V il vettore degli spostamenti e Q il vettore dei carichi
% %
esterni. La precedente relazione è stata ricavata nel caso statico supponendo che gli
spostamenti nodali fossero molto piccoli rispetto alle dimensioni della struttura e che il
materiale fosse elastico lineare. Inoltre, tale relazione è lineare se aumentando il carico di
un fattore α , lo spostamento e quindi la tensione aumentano dello stesso fattore α ; se ciò
non accade, il problema è non lineare. Si riconoscono in generale due tipi di non linearità:
una geometrica ed una meccanica.
Quando si calcola K e Q , occorre effettuare l’integrazione sul volume dell’elemento;
%
se gli spostamenti sono piccoli, il volume dell’elemento rimane costante e se anche le
deformazioni sono piccole, la relazione tra le deformazioni e gli spostamenti non dipende
dagli spostamenti stessi. In tale situazione, si può assumere l’ipotesi di linearità di tipo
geometrico o cinematico.
Quando si calcola la matrice di rigidezza, se la matrice del materiale è elastica, e quindi
costante ed indipendente dagli spostamenti, si può assumere una seconda ipotesi di linearità
che è di tipo meccanico ovvero di tipo materiale.
Con riferimento agli edifici in muratura, il materiale manifesta un comportamento
non lineare già da valori bassi del carico per cui un’analisi accurata richiede la
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 187

determinazione di leggi costitutive del materiale che rappresentino il più correttamente


possibile la situazione reale.

4.4.6.4 Leggi costitutive per la muratura


Le relazioni inelastiche monoassiali sono sufficienti per studiare il comportamento di
strutture monodimensionali, quali le aste o le travi con carico monoassiale. Non appena la
struttura o il carico si complica, è necessario introdurre relazioni inelastiche pluriassiali che
dipendono dalle sei componenti di tensione e deformazione.
Nel caso di analisi elastoplastica, il comportamento del materiale è descritto dalla
legge costitutiva, definita da:
a) condizione di snervamento, che definisce lo stato di tensione multiassiale al
quale ha inizio la plasticizzazione;
b) regola di flusso, che lega l’incremento di deformazione plastica al valore
corrente delle tensioni e agli incrementi di tensione dopo lo snervamento;
c) regola di incrudimento, che specifica come si modifica la condizione di
snervamento al procedere della plasticizzazione.
Passando dal caso di tensione monoassiale al caso multiassiale le difficoltà che nascono
sono soprattutto di ordine pratico, una volta definite le tre regole. Se infatti nel caso
monotensionale la matrice costitutiva del materiale in campo elastoplastico è costituita da
un unico elemento ET, ossia è una quantità scalare, nel caso pluriassiale assume un aspetto
formale abbastanza complicato. Il problema che ci si pone è dunque quello di determinare
la matrice costitutiva del materiale Cep che lega l’incremento delle tensioni all’incremento
delle deformazioni in campo elastoplastico: Δσ = Cep Δε
% %
Condizione di snervamento
La condizione di snervamento è una legge che esprime il limite di elasticità per ogni
possibile stato di tensione. Stabilire una condizione di snervamento equivale a scegliere una
opportuna funzione F del vettore σ e di un opportuno parametro di incrudimento k, tale
%
che l’inizio della plasticizzazione si verifica quando:
F (σ , k ) = 0 (4.123)
%
Questa condizione può essere visualizzata geometricamente nello spazio delle
tensioni come una superficie, denominata appunto superficie di snervamento, dipendente
dal parametro k. Senza ricorrere a formulazioni rigorose, in prima approssimazione, si può
dire che il parametro k dipende dalle deformazioni plastiche.
In genere, le funzioni F si distinguono in base alla loro dipendenza dalla
componente idrostatica dello stato di sforzo.
I modelli indipendenti dalla componente idrostatica dello stato di sforzo, quali quelli
di Tresca e Von Mises, descrivono bene il comportamento dei metalli che dimostrano una
resistenza illimitata se soggetti a stati di trazione o compressione idrostatica. Non si
Pag. 188 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

prestano viceversa per materiali fragili quali il calcestruzzo, le murature, le rocce, i terreni
etc. che manifestano un comportamento sensibilmente influenzato dalla componente di
tensione idrostatica. Per questi materiali si propongono modelli ad attrito interno dei quali il
più classico è quello di Mohr-Coulomb, la cui superficie limite nello spazio delle tensioni è
illustrata in Fig.4.54 e in Fig.4.55 per stati di sollecitazione biassiali e monoassiali. La
condizione di plasticizzazione, in questo modello, risulta:
τ = c − σ tan ϕ μ (4.124)

con c coesione e ϕ μ angolo di attrito.

Fig. 4.54: Criterio di Mohr-Coulomb


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 189

Fig. 4.55: Superficie limite nel criterio di Mohr-Coulomb


Il criterio di Mohr-Coulomb presenta l’inconveniente che la frontiera del dominio
elastico è definita da una funzione degli sforzi con derivate discontinue che risulta difficile
da trattare dal punto di vista computazionale. Allo scopo di adottare un criterio definito da
una funzione derivabile con continuità, è possibile impiegare il criterio di Drucker-Prager
che presenta le caratteristiche essenziali del criterio di Mohr-Coulomb, quali la dipendenza
dalla pressione media, pur essendo più semplice da implementare in un codice di calcolo. Il
dominio elastico, in questo caso, è definito dalla condizione:

F = J 2′ + α I1 − K = 0 (4.125)

con I1 primo invariante degli sforzi, J 2′ secondo invariante del deviatore degli sforzi, α e
K parametri del materiale legati, rispettivamente, all’apertura del cono e alla posizione del
vertice (Fig.4.56).

Fig. 4.6: Superficie limite nel criterio di Drucker-Prager


Pag. 190 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

I parametri α e K possono essere espressi in funzione dei parametri fisici (cioè


misurabili direttamente con prove sperimentali) coesione ed angolo di attrito, in modo tale
da ottenere risultati equivalenti in prove di compressione triassiale standard. Si distinguono
due casi:
2sin φ 6c cos φ
sforzo assiale < sforzo radiale ⇒ α= e K=
3(3 − sin φ ) 3(3 − sin φ )

2sin φ 6c cos φ
sforzo assiale > sforzo radiale ⇒ α= e K=
3(3 + sin φ ) 3(3 + sin φ )

Nel primo caso, il cono di Drucker-Prager risulta tangente alla piramide di Mohr-
Coulomb in corrispondenza dei vertici più esterni (circonferenza d in Fig.4.57). Nel
secondo caso, il cono di Drucker-Prager risulta tangente alla piramide di Mohr-Coulomb in
corrispondenza dei vertici più interni (circonferenza a in Fig.4.57).
La curva c si riferisce ad un modello di Drucker-Prager modificato introducendo la
dipendenza anche dall’invariante terzo degli sforzi. Questa modifica consente di
rappresentare in modo più efficace il comportamento del materiale per percorsi di carico
complessi e non viene qui illustrata in dettaglio.
Per problemi piani nelle deformazioni, è necessario definire le costanti α e K in
base alle seguenti formule:

Fig. 4.57: Superficie limite nel criterio di Drucker-Prager


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 191

tan ϕ μ 3c
α= K= (4.126)
9 + 12 tan 2 ϕ μ 9 + 12 tan 2 ϕ μ

in modo tale da ottenere, con i criteri di Drucker-Prager e di Mohr-Coulomb, il collasso


plastico in una prova monoassiale in deformazione piana, in corrispondenza del medesimo
livello di sforzo.

Regola di incrudimento
Tale dipendenza (incrudimento) si traduce nel fatto che, nel corso della deformazione
plastica, la superficie cambia di forma e di dimensioni (Fig.4.58). Se il luogo di
snervamento si espande senza cambiare di forma si parla di incrudimento isotropo
(Fig.5.58a), se si ha solo traslazione si parla di incrudimento cinematico (Fig.4.58b), mentre
se la condizione di plasticizzazione è indipendente dalla deformazione plastica si parla di
plasticità perfetta (Fig.4.58c); in quest’ultimo caso la (4.123) sarà funzione del solo stato
tensionale.

1 1 1

σ3 σ2 σ3 σ2 σ3 σ2
(a) (b) (c)

Fig. 4.7: (a) Incrudimento isotropo; (b) incrudimento cinematico; (c) plasticità perfetta

Metodi di calcolo delle equazioni non lineari


Nell’ipotesi in cui il legame tensioni-deformazioni sia di tipo non lineare (come nel caso
della muratura), il metodo degli elementi finiti porta comunque a dover risolvere un sistema
di equazioni del tipo:
K (V ) V = Q (4.127)
% % %

in cui la non linearità del problema è evidenziata dalla dipendenza della matrice K dalle
incognite V o dalle loro derivate.
%
Pag. 192 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

In tali casi è necessario ricorrere a metodi di soluzione numerica per approssimazioni


successive fino al raggiungimento della convergenza. Tra questi si possono ricordare: il
metodo dell’iterazione diretta (o metodo della secante), il metodo di Newton-Raphson (o
metodo della tangente variabile) ed il metodo di Newton-Raphson modificato (o metodo
della tangente iniziale). In particolare, il metodo di Newton-Raphson modificato è quello
più utilizzato nella ricerca della soluzione in quanto ha il vantaggio che la matrice delle
equazioni linearizzate di equilibrio rimane costante e quindi calcolata una volta soltanto.
Il sistema di equazioni non lineare, nell’ipotesi di utilizzare il metodo della tangente
iniziale, si scrive:
KVn = Q + P (Vn −1 ) (4.128)
% % %
in cui Vn e Vn −1 sono, rispettivamente, il vettore degli spostamenti nodali al passo n e al
% %
passo n-1, mentre P (Vn −1 ) è il vettore delle forze equivalenti nodali delle tensioni residue
%
(anche detto vettore degli squilibri nodali). In Fig.4.59 si riporta una rappresentazione del
metodo in oggetto (con ϕ parametro di carico).
Un’osservazione particolarmente importante riguarda la possibilità, utilizzando il
metodo di Newton-Raphson modificato, di poter eseguire analisi anche per quei materiali
che presentano curve σ − ε di tipo strain-softening, ovvero con tensione che diminuisce
dopo un valore massimo interno all’intervallo deformativo.

Fig. 4.59: Metodo di Newton-Raphson modificato (sistema ad 1 grado di libertà)


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 193

4.4.6.5 Calibrazione dei parametrici meccanici nella modellazione agli


elementi finiti
I valori dei parametri meccanici da impiegare nella modellazione agli elementi finiti
condizionano in modo determinante i risultati dell’analisi e quindi l’affidabilità del modello
stesso. Inoltre, il modello agli elementi finiti può essere spinto ad una modellazione
accurata nella quale vengono modellati separatamente malta e mattoni oppure limitato ad
un modello di più agevole impiego nella pratica professionale con un numero ridotto di
elementi omogenei equivalenti. Nel seguito, pertanto, viene dapprima esaminata la
modellazione accurata malta-mattone definendo, sulla base di dati sperimentali, le modalità
da seguire nella calibrazione dei parametri per poi effettuare un’analisi parametrica
finalizzata alla caratterizzazione di pannelli murari con elementi omogenei di dimensioni
tali da poter essere impiegati nella modellazione di intere pareti ed edifici.

Modello accurato malta-mattone


Come evidenziato nel paragrafo 4.4.6.4, allo scopo di evitare problemi numerici legati alla
presenza di punti angolosi sul dominio di Mohr-Coulomb è opportuno adottare nella
modellazione agli elementi finiti il criterio di resistenza di Drucker-Prager (in seguito DP).
Affinché vi sia una sostanziale equivalenza, nei risultati forniti dalle modellazioni
basate sui due differenti criteri di resistenza, è necessario che i parametri coesione ed
angolo di attrito siano opportunamente definiti in relazione al dominio prescelto, ovvero,
che il cono di DP sia tangente agli spigoli della piramide a base esagonale di MC. Tale
correlazione tra i parametri relativi ai due diversi criteri, nella letteratura tecnica è talvolta
esplicitata con riferimento a casi specifici [59], tuttavia mediante un’analisi parametrica
facendo variare la tensione normale, la coesione e l’angolo di attrito ed il confronto con i
risultati sperimentali su triplette di mattoni [60], prove di taglio diretto su due ricorsi di
mattoni [61] e prove su singoli pannelli in muratura [62], sono state esplicitate in [63] le
seguenti correlazioni:

c DP ϕ DP
αc = = 0.75 αϕ = = 1.41 (4.129)
c MC ϕ MC
essendo αc e αφ i coefficienti che consentono di determinare la coesione e l’angolo di attrito
da utilizzare con il criterio di DP a partire dai corrispondenti valori di MC. I precedenti
valori trovano riscontro anche in [59].
Passando a pannelli murari più complessi, l’affidabilità del modello “accurato”
malta-mattone basato sulla modellazione della malta con un legame elasto-plastico basato
sul criterio di DP con i parametri calibrati secondo le equazioni (4.129), è stata effettuata in
[63] considerando le prove sperimentali eseguite da Anthoine ed altri [62].
In Fig.4.60 viene rappresentato il confronto tra l’intera curva taglio-spostamento
fornita dalla simulazione e quella sperimentale. Tale confronto conferma l’idoneità del
modello nella previsione della resistenza massima.
Pag. 194 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

λ = H/B = 1,35 - σ = 0,6MPa - c = 0,75*0,4 = 0,3MPa - φ = 1,41*17° = 24° λ = H/B = 2,0 - σ = 0,6MPa - c = 0,75*0,4 = 0,3MPa - φ = 1,41*17° = 55°
90 80

80
70

70
60

60
50
Taglio [kN]

Taglio [kN]
50
40
40
30
30

20
20
Numerica
Numerica
10
10 Sperim.
Sperim.
0 0
0 2 4 6 8 0 2 4 6 8 10 12
Spostamento [mm] Spostamento [mm]

Fig. 4.60: Confronto tra simulazione numerica e risultati sperimentali su pannelli murari
La previsione del comportamento post-critico nel caso di elementi molto tozzi
caratterizzati da una curva di comportamento con un significativo degrado di resistenza non
viene invece adeguatamente restituita dal modello agli elementi finiti basato sull’adozione
di un legame costitutivo semplificato elasto-plastico.

Modello omogeneo equivalente


Nella modellazione di complesse pareti murarie o di edifici in muratura nella loro interezza,
non risulta applicabile il modello “accurato” malta-mattone precedentemente sviluppato,
per l’onerosità e complessità del calcolo che ne scaturirebbe. È necessario, pertanto, per le
pratiche applicazioni, modellare la struttura con elementi caratterizzati da proprietà
meccaniche omogenee, opportunamente definite allo scopo di rendere equivalente la
modellazione semplificata a quella più accurata nella previsione del comportamento
strutturale.
Adottando ancora il criterio di DP, la definizione dell’elemento omogeneo
equivalente richiede una ulteriore calibrazione dei parametri c e φ e del modulo elastico EM.
In particolare, in [63], nel passaggio dal modello discreto malta-mattone al continuo
omogeneo, viene conservato il valore dell’angolo di attrito definito nel modello di DP per la
malta e viene invece opportunamente calibrata la coesione, imponendo l’equivalenza diretta
tra la previsione della resistenza fornita dal modello discreto eterogeneo e quella fornita dal
modello con elementi omogenei. A tale scopo è stata sviluppata un’analisi parametrica
facendo variare i principali parametri che caratterizzano il comportamento dei pannelli
come segue:
• snellezza nominale: 1,0; 1,35; 1,7; 2,0; 2,3; 2,6
• coesione della malta: 0,15; 0,3; 0,4; 0,5; 0,6MPa
• pressione normale: 0,1-0,9MPa.
Applicando un’analisi di regressione non lineare multiparametrica al rapporto tra la
coesione da attribuire al modello omogeneo equivalente per ottenere lo stesso valore della
resistenza ultima del modello accurato e la coesione impiegata nel modello accurato, è stata
ottenuta la seguente espressione di ceq/c funzione dei parametri c, σn, λ:
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 195

c eq c = 4,1712 ⋅ t 2 − 8, 6967 ⋅ t + 5, 614 (4.130)


in cui:
t = 0, 617 + 0, 037 / c + 0, 297 ⋅ eσ + 0, 00012 ⋅10λ + 0, 049 / λ + 0, 024 ⋅ ln(c) (4.131)
Per quanto concerne il modulo elastico degli elementi equivalenti, definite
rispettivamente le frazioni volumetriche della malta e dei mattoni in base alle seguenti
formulazioni:
ηm = s /(b + s ) (4.132)
ηb = 1 − η m (4.133)
dove s e b sono lo spessore della malta e del mattone, è possibile valutare, con riferimento
al comportamento della parete nel suo piano, il modulo elastico nella direzione orizzontale
EM ,O e nella direzione verticale EM ,V :

EM ,O = η m Em + ηb Eb (4.134)
−1
⎡η η ηη E E ⎛ νb νm ⎞ ⎤
2
EM ,V =⎢ b + m − b m b m ⎜ − ⎟ ⎥ (4.135)
⎢ Eb Em EM 1 ⎝ Eb Em ⎠ ⎥⎦

dove Eb ed Em sono rispettivamente il modulo elastico dell’elemento lapideo e della malta,
mentre ν b e ν m i rispettivi coefficienti di Poisson.
L’affidabilità della modellazione mediante elementi finiti omogenei, nel caso di
complesse pareti murarie, è stata verificata in [63] facendo riferimento al caso di una parete
di 5 piani riportata in Fig.4.61a soggetta a sperimentazione numerica [58] ed una parete di
due piani (Fig.4.61b) appartenente ad un edificio in scala reale sottoposto a prova
sperimentale [64].

a) parete di Via Martoglio [11] b) Parete door-wall di Pavia [16]


Fig. 4.61: Confronto tra simulazione numerica e risultati sperimentali su pareti
Pag. 196 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 4.62: Parete Martoglio: curva T-δ per i vari modelli


Dalla Fig.4.62 emerge, con riferimento alla parete di 5 piani, il buon accordo tra i
risultati forniti dalla modellazione semplificata agli elementi finiti omogenei,
precedentemente descritta, e quelli ottenuti con una modellazione molto accurata della
parete basata su un criterio di resistenza in grado di tenere conto della storia evolutiva del
danno [65]. In particolare, le due modellazioni risultano sufficientemente in accordo sia nel
caso di pareti senza cordoli (modello 1) che con cordoli poco rigidi (Modello 2), mentre si
riscontra una leggera sottostima della resistenza nel caso di pareti con cordoli rigidi
(modello 3).
Analogamente, in Fig.4.63, si osserva, con riferimento alla parete di due piani, una
stima sufficientemente accurata della resistenza a taglio della parete. Nella zona di gomito
si registra un contenuto scostamento della risposta simulata rispetto a quella sperimentale
con una transizione, nella simulazione, meno graduale tra fase elastica e fase plastica
dovuta alla mancanza nel codice di calcolo impiegato della possibilità di modificare la
geometria del modello stesso eliminando le zone tese della muratura.
Door wall - II Livello Door wall - I Livello
90 165

150
75 135

120
60
105
Taglio [kN]
Taglio [kN]

90
45
75

60
30
45
Simul.Straus
Simul.Straus
15 30
Inv.Max.Sper.
Inv.Max.Sper.
15

0 0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 0 2 4 6 8 10 12 14 16
Spostamento [mm] Spostamento [mm]

Fig. 4.63: Curve di capacità della parete


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 197

4.4.7 Confronto tra i vari modelli


In Fig.4.64, viene rappresentata una schematica suddivisione dei modelli di calcolo
delle pareti per azioni nel piano, mentre in Fig.4.65 viene riportato un confronto tra alcuni
dei metodi di analisi precedentemente descritti sulla base delle principali caratteristiche.

Fig. 4.64: Schema dei metodi di calcolo delle pareti nel piano

Fig. 4.65: Principali caratteristiche dei metodi di calcolo


Pag. 198 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Si osserva che mentre i metodi POR e PORFLEX semplificano l’analisi strutturale


procedendo per singoli piani, tutti gli altri metodi richiedono una verifica globale
dell’edificio. Per quanto concerne le altre caratteristiche, a meno della verifica a
scorrimento, che comunque ha un’influenza significativa solo nel caso di bassi valori dello
sforzo normale nei maschi, metodi più evoluti come il metodo SAM, PEFV, MAS3D e
FREMA ed il metodo semplificato PORFLEX risultano tra loro comparabili.
In termini quantitativi, sono di seguito proposti una serie di confronti tra risultati di
test sperimentali, modelli accurati agli elementi finiti e modelli a telaio equivalente. Per
tutti i confronti riportati, le proprietà meccaniche adottate nelle analisi sono sintetizzate
nella Tab. 4.1.
Un test sperimentale molto accurato è stato condotto dall’Università di Pavia [42-
88]. Un prototipo di edificio di due piani (6.00 x 4.40 m di dimensione in pianta) in
muratura ordinaria è stato sottoposto a spostamenti ciclici a livello degli impalcati, in modo
da ottenere una distribuzione di forze laterali proporzionali ai pesi sismici (con
sovraccarichi di 248.8 kN al primo livello e di 236.8 kN al secondo). Il prototipo presenta
una parete che può considerarsi indipendente (“Pavia Door Wall”, Fig.4.61b) e che
costituisce un benchmark interessante per molti autori [89-90].
In Fig. 4.66 è riportato il confronto tra i risultati ottenuti dal codice FREMA e quelli
forniti dalla prova sperimentale. Nella stessa figura sono diagrammati anche i risultati di
altri modelli numerici – SAM [91], TREMURI [90], modelli FEM accurati [89].
Il confronto mostra un sostanziale accordo tra i risultati sperimentali e i risultati
numerici. La sovrastima della resistenza che si osserva in tutte le simulazioni numeriche è
giustificata dal fatto che la curva sperimentale è l’inviluppo monotono di una curva ciclica,
e pertanto rappresenta solo un limite inferiore della risposta monotona. Nella stessa Fig.
4.66 è riportata anche la curva forza-spostamento ottenuta applicando le prescrizioni delle
NTC 2008. In questo caso la risposta sottostima chiaramente la reale resistenza e rigidezza
della parete, a causa dell’assunzione di rigidezze fessurate pari alla metà di quelle non
fessurate e della modellazione delle fasce di piano.

Tab. 4.1: Caratteristiche meccaniche adottate nelle analisi


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 199

200
Calderini et al. TREMURI
175
FREMA

150
Total base shear [kN]

125 Experimental

100
SAM

75

50
Italian Building Code
25

0
0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00 1,20 1,40 1,60 1,80 2,00
top displacement [cm]

Fig. 4.66: Pavia Door Wall, confronto in termini di curva forza-spostamento


Il “Progetto Catania” [36] è un interessante progetto di ricerca italiano finalizzato
alla valutazione della performance sismica di due edifici in muratura della città di Catania,
analizzati da gruppi di ricerca (R.G.) afferenti ad alcune Università Italiane (R.G. Pavia
[18], R.G. Genova [43], R.G. Basilicata [22]). In particolare, nell’ambito dei due edifici
considerati, sono state esaminate dalle varie università le pareti descritte nelle figure 4.67 e
4.68, applicando ad esse differenti modelli di analisi.
Nell’ambito di tale progetto, la prima parete analizzata (parete di Via Martoglio) fa
parte di un edificio di cinque piani. Sono stati analizzati tre diversi casi: parete in muratura
non rinforzata (modello 1); parete con cordoli elastici in c.a., assumendo per essi Ec=4000
MPa (modello 2), ed Ec=20000 MPa (modello 3), essendo Ec il modulo di Young del
calcestruzzo.

Fig. 4.8: Parete multipiano di via Martoglio in Catania

Fig. 4.9: Prospetti dell’edificio in via Verdi (Catania)


Pag. 200 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Il confronto tra il FREMA e i risultati dei vari R.G. sono riportati in Fig. 4.69. Si
osserva un accordo molto soddisfacente del codice proposto con il codice SAM mentre con
riferimento ai risultati del R.G. di Genova si riscontrano differenze più significative tra i
modelli a telaio equivalente e quello agli elementi finiti. Solo con riferimento alla parete in
muratura senza cordoli si osserva un buon accordo in termini di rigidezza e di resistenza
residua.
Nello stesso “Progetto Catania”, sono stati analizzati altre tre pareti con differenti
caratteristiche geometriche (pareti “A”, “B”, “C” in Via Verdi). Per le pareti “A” e “D”
sono disponibili analisi pushover (SPO1 e SPO2) eseguite da Pasticier et al. [92] tramite un
modello a telaio equivalente implementato in SAP2000® V.10.
I confronti riportati in Fig. 4.70 mostrano un sostanziale accordo tra i modelli a
telaio equivalente (SAM, SAP2000, FREMA), mentre l’andamento generale del R.G. di
Genova è caratterizzato da valori più alti di resistenza e rigidezza.
Questo si può spiegare facilmente considerando che le resistenze degli elementi
calcolate nei modelli a telaio equivalente sono sempre ottenute portando in conto la
parzializzazione della sezione, per la mancanza di una resistenza a trazione. Il modello agli
1200 1400

1000 1200

1000
800
Total base shear [kN]

Total base shear [kN]

800
600

600

400
SAM
400
Genoa R.G. SAM
200
Genoa R.G.
FREMA 200
FREMA
0
0
0 10 20 30 40 50 60 70 80
0 5 10 15 20 25 30 35 40
top displacement [mm]
top displacement [mm]

a) b)
1600

1400

1200
Total base shear [kN]

1000

800

600

400 SAM
Genoa R.G.
200 FREMA

0
0 5 10 15 20 25 30 35
top displacement [mm]

c)
Fig. 4.69: Parete in via Martoglio: a) modello 1; b) modello 2 (Ec=4000 MPa); c) modello
3 (Ec=20000 MPa)
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 201

2000 250

1750
200
1500

Total base shear [kN]
1250
Total base shear [kN]

150

1000

100
750 Basilicata R.G.
Basilicata R.G.
Genoa R.G.
500 SAM
SAM 50
FREMA
Pasticier ‐ SPO2
250
FREMA

0 0
0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50 4.00 4.50 5.00
top displacement [cm] top displacement [cm]

a) b)
700

600

500
Total base shear [kN]

400

300

Basilicata R.G.
200
Genoa R.G.
SAM
100 Pasticier ‐ SPO1
FREMA
0
0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00
top displacement [cm]

c)
Fig. 4.70: Pareti in via Verdi: a) Parete A; b) Parete B; c) Parete C
elementi finiti, al contrario, considera una piccola resistenza a trazione dei giunti di malta
che, sebbene trascurabile, può incidere significativamente sulla resistenza degli elementi,
soprattutto se la sollecitazione assiale su di essi è molto bassa.
In Fig. 4.71 sono messi a confronto i risultati delle analisi effettuate su di una parete
in muratura di due piani e sette campate caricata nel piano. La parete è stata analizzata in
[93] con un modello a telaio equivalente commerciale (SAP2000®) e con un modello agli
elementi finiti (CAST3M®) e in [87] con il modello FREMA. Sono state condotte due
analisi pushover, applicando sia una distribuzione di forze laterali proporzionali ai pesi
sismici (caso di carico ACC; vettore delle forze laterali F={1.00, 0.59}), sia una
distribuzione triangolare inversa (caso di carico LOAD; F={1.00, 1.19}). I confronti
mostrano un accordo soddisfacente tra il modello FREMA e i risultati del SAP e di
CAST3M in termini di rigidezza e di soglia di resistenza. Un aspetto importante da
sottolineare è che, mentre il SAP non sembra risentire della distribuzione di carichi laterali,
nel FREMA tale influenza è chiaramente riscontrabile. In particolare, il caso ACC presenta
una maggiore rigidezza della parete se confrontato col caso LOAD perché, mentre i maschi
del primo piano sono soggetti agli stessi carichi laterali, i maschi al secondo piano sono
soggetti a tagli molto più bassi nel caso ACC, risultando uno spostamento inferiore del no-
Pag. 202 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

1000 1000

800 800
Total Base Shear [kN]

Total Base Shear [kN]
600 600

400 400

Salonikios et al. ‐ Eq. Frame
Salonikios et al. ‐ Eq. Frame
200 200 Salonikios et al. ‐ Discrete FEM
Salonikios et al. ‐ Discrete FEM
FREMA
FREMA

0 0
0 2 4 6 8 10 12 14 16 0 2 4 6 8 10 12 14 16
top displacement [mm] top displacement [mm]

a) b)
Fig. 4.71: Salonikios et al.: a) caso di carico ACC; b) caso di carico LOAD
do di controllo. A differenza del modello commerciale, il codice FREMA riesce
efficacemente a cogliere questo aspetto, in linea con i risultati forniti dal modello agli
elementi finiti.
Mallardo et al. hanno analizzato in [94] il comportamento sismico del Palazzo
Renata di Francia in Ferrara di epoca rinascimentale. Di interesse sono i risultati delle
analisi numeriche della parete di facciata di due piani e quattordici campate, eseguite con
tre differenti approcci: modelli a telaio equivalente (Pro_SAP® e PC.M®), modello FEM
(ADINA®) e analisi limite. Le analisi sono state condotte assumendo una distribuzione di
forze laterali triangolare inversa. I risultati dei diversi modelli sono riassunti in Fig. 4.72.
Il confronto mostra un buon accordo tra i risultati del modello FEM e quelli ottenuti
con il codice FREMA, sia in termini di rigidezza che di resistenza ultima della parete.
Notevole è, invece, il divario con i risultati degli altri modelli commerciali a telaio
equivalente in cui sono implementate le prescrizioni dell’OPCM 3431, del tutto simili a
quelle delle NTC 2008. Ciò conferma non soltanto la bontà delle previsioni del codice
FREMA, ma soprattutto che un’efficace definizione del comportamento delle fasce di piano
gioca un ruolo fondamentale nella valutazione del comportamento sismico delle strutture in
muratura.
6000

5000
Total Base Shear [kN]

4000

3000

2000 Analisi Lim.
ADINA
PC.M
1000
Pro_SAP
FREMA
0
0 10 20 30 40 50

top displacement [mm]

Fig. 4.72: Parete di facciata del Palazzo Renata di Francia


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 203

4.5 Applicazione numerica: verifica di una parete per azioni


nel piano
In questa sezione sarà eseguita la verifica nel piano della parete nord dell’edificio
considerato nel capitolo 3, valutandone la curva capacità prima mediante un’analisi non
lineare semplificata e poi con il software di calcolo per l’analisi di pareti FREMA 2D.
L’applicazione qui mostrata, svolta ai sensi dell’attuale norma tecnica NTC 2008, sebbene
abbia un valore prettamente indicativo, è utile per comprendere con un calcolo manuale,
quali siano le problematiche di base coinvolte nell’analisi di pareti in muratura.
Sotto sisma si possono presentare due casi limite: il primo in cui l’impalcato non
presenta rigidezza nel proprio piano e non riesce a garantire il collegamento fra gli elementi
resistenti verticali, i quali lavorano singolarmente con carichi derivanti da una ripartizione
per “aree di influenza”; il secondo in cui l’impalcato è infinitamente rigido nel proprio
piano. In quest’ultima condizione le pareti murarie sono collegate rigidamente, per cui sotto
sisma lavorano insieme ripartendo l’azione orizzontale dovuta ai carichi dell’intero edificio
fra di loro. Nelle costruzioni esistenti in muratura, molto spesso sono presenti solai in
legno, tipologia per la quale l’assunzione di impalcato infinitamente rigido risulta
impraticabile, a meno che non siano presenti solette in c.a. e cordoli di piano che
garantiscano il completo collegamento fra i maschi murari. Il vantaggio legato alla presenza
di un solaio infinitamente rigido piuttosto che di uno deformabile risulta evidente dalla
Fig.4.73 in cui gli elementi resistenti verticali (i maschi) ipotizzati tutti uguali, vengono
schematizzati come delle molle di rigidezza k ed il solaio viene rappresentato nei due casi,
una volta con un elemento infinitamente rigido oppure con dei pendoli (solaio deformabile).

Imp. Rig. Imp. Rig. Imp. Def. Imp. Def.

L L L L

q q
0.66ql 0.66ql 0.66ql 0.5ql ql 0.5ql

K K K K K

q q

Fig. 4.73: Comportamento per impalcato rigido e deformabile


Pag. 204 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Si vede come la ripartizione fornisca nel caso di impalcato rigido un’equa


distribuzione degli sforzi, a differenza del caso di impalcato deformabile in cui si hanno due
elementi meno caricati e l’elemento centrale sovraccaricato che risulterà essere sotto sisma
l’elemento debole.
Nel presente esempio si fa l’ipotesi di impalcato deformabile; pertanto, le azioni
sismiche agenti nel piano della parete derivano dai soli pesi della parete e dagli scarichi dei
solai e della copertura. Nel seguito si illustrano i passaggi necessari alla valutazione delle
curve di pushover dell’intera parete seguendo un metodo di analisi che, in modo simile al
metodo POR tradizionalmente usato per la verifica di pareti in muratura, procede
esaminando dapprima singolarmente i due piani dell’edificio. Nel capitolo successivo
saranno effettuate le verifiche agli spostamenti in ottemperanza alle nuove norme tecniche
per le costruzioni di cui al D.M. 14 Gennaio 2008.

Pushover con il metodo semplificato


Come precedentemente detto l’analisi di un edificio in muratura presenta numerose fonti di
non linearità le quali, se tenute adeguatamente in considerazione, complicano notevolmente
le procedure di calcolo. Pertanto, per eseguire un’analisi manuale abbastanza speditiva è
opportuno preliminarmente fare alcune semplificazioni. In particolare, nel seguito si
considereranno le due seguenti ipotesi:
1) Fasce di piano infinitamente rigide e infinitamente resistenti;
2) Trascurabilità della variazione di sforzo normale nei maschi murari dovuta alle
azioni sismiche.
Dalla prima ipotesi, valida solitamente nei casi in cui le fasce di piano siano
sufficientemente forti rispetto ai maschi murari, ne consegue che lo schema di calcolo
ipotizzato nell’ambito del metodo semplificato qui presentato, è quello di un telaio shear-
type, in cui le fasce al di sopra delle aperture sono modellate con dei traversi rigidi, mentre i
maschi murari sono modellati con un opportuno legame costitutivo (Fig. 4.74-4.75).
2 1 2.8 1 1.78 1.2 1.78 1 2.8 1 2
1.4
1.5
1.9
2.2

2 1 2.8 0.8 5.15 0.8 2.8 1 2

Fig. 4.74: Modello della parete


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 205

Secondo Piano
F2

maschio 7 maschio 8 maschio 9 maschio 10


280x30x150h 178x30x139h 178x30x139h 280x30x150h
2.65

maschio 6 maschio 11
200x30x265h 200x30x265h

Primo Piano
F1 + F2

maschio 3
maschio 2 maschio 4
515x40x150h
280x40x185h 280x40x185h
2.78

maschio 1 maschio 5
200x40x278h 200x40x278h

Fig. 4.75: Schema di calcolo dei singoli piani


La seconda ipotesi fornisce un’ulteriore notevole semplificazione. Infatti,
considerando costanti gli sforzi normali agenti nei maschi murari è possibile determinare a
priori la forza ultima dei pannelli come minima resistenza derivante dai meccanismi di
fessurazione diagonale, taglio-scorrimento o pressoflessione. Per considerare invece la
variabilità dello sforzo normale per effetto dell’azione sismica sarebbe in generale
necessario adottare una procedura incrementale che aggiorni a ogni step di calcolo la
resistenza del generico maschio in ragione della tensione verticale agente.
Al solito, il primo passo è quello di determinare i carichi agenti sulla parete e le
masse proprie delle murature. In ottemperanza alla NTC 2008, la combinazione di carico da
considerare sotto azioni sismiche è la seguente:

Qd = G k 1 + G k 2 + ψ 2 i Qk

Massa Pareti
Al fine di calcolare i pesi propri delle pareti, in maniera convenzionale, con riferimento a
“Wm2” si considera la metà parete superiore, mentre con riferimento a “Wm1” si considera
metà parete superiore e metà parete inferiore tenendo conto in entrambi i casi delle aperture
presenti (Fig. 4.76):
Wm 2 = 1900 ⋅ 0,3 ⋅ (1,5 − 0,8 + 0,3 + 0,5 ) ⋅18,35 + 1900 ⋅ 0,3 ⋅ 0,8 ⋅ ( 2 ⋅ 2, 0 + 2 ⋅ 2,8 + 4, 75 )
Wm1 = 1900 ⋅ 0, 4 ⋅ ⎡⎣( 0,8 + 0,15 ) ⋅18,35 + ( 2 ⋅ 2, 0 + 2 ⋅ 2,8 + 5,15 ) ⋅ 0, 7 ⎤⎦ +
+ 1900 ⋅ 0,3 ⋅ ⎡⎣( 0,8 + 0,15 ) ⋅18,35 + ( 2 ⋅ 2,0 + 2 ⋅ 2,8 + 4,75 ) ⋅ 0,7 − 0,8 ⋅1,2 ⎤⎦

da cui si ottiene:
⎧Wm1 = 36211 daN

⎩Wm 2 = 22233 daN
Pag. 206 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

0.50
0.30
Wm2
1.50

0.8

0.7
1.50

2.00 1.00 2.80 1.00 1.77 1.78 2.00 2.00


1.20
0.30

Wm1
1.50

2.00 2.80 5.15 2.80 2.00


1.00 0.8 0.8 1.00

Fig. 4.76: Masse della parete

Impalcati e Copertura

Con riferimento alle azioni trasmesse dalla copertura, i valori coincidono con quelli già
valutati in precedenza per la verifica a ribaltamento; pertanto, considerato che essi sono
relativi alla fascia di un metro e che la copertura grava su tutta la parete (L = 18,35m ) , si
ottiene:
V = 310.6 ⋅18,35 = 5700 daN → peso dovuto alla copertura

Gli scarichi dei due impalcati sono stati già determinati per il calcolo delle azioni sismiche
per valutare il momento ribaltante. Dai valori ottenuti precentemente, riferiti alla fascia di
un metro, moltiplicati per la lunghezza della parete si ottiene:
F2 = 965 ⋅ 18,35 = 17707 daN → peso dovuto al sec ondo impalcato
F1 = 965 ⋅ 18,35 = 17707 daN → peso dovuto al primo impalcato

Masse di piano complessive

La parete in muratura considerata in questo esempio presenta masse distributite lungo


l’altezza, e pertanto andrebbe modellata tenendo presente questo aspetto adeguatamente.
Tuttavia in forma semplificata, nel seguito, le masse sismiche saranno considerate
concentrate al livello degli impalcati, valutandole come segue:

⎧W2 = V + F2 + Wm 2 = 45640daN ⎧W1 = F1 + Wm1 = 53918 daN


⎨ ; ⎨
⎩ z 2 = 6,60m ⎩ z1 = 3,30m
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 207

0.5 punto di
F2 applicazione
0.3
di Fs2

W2 1.50

1.50 Z2=6.60
W1
punto di
F1 0.3 applicazione
di Fs1

1.50
Z1=3.30

Fig. 4.77: Schema per l’analisi delle azioni sismiche

Azione sismica di progetto


Lo spettro elastico di progetto, valutato sulla base della zonazione del territorio italiano e
riferito al Comune di Calitri (AV) per suolo di categoria B, categoria topografica T1, classe
d’uso II e vita nominale di 50 anni è riportato in Fig.4.78.
Nell’ambito del metodo semplificato, al fine di valutare il legame costitutivo taglio
scorrimento della parete all’i-esimo piano, è necessario determinare preliminarmente quello
dei singoli maschi murari. In ottemperanza alla norma NTC 2008, questi possono essere
caratterizzati da un comportamento bilineare elastico perfettamente plastico. A tal fine, è
necessario valutare la rigidezza, resistenza e duttilità di ogni pannello.
La rigidezza traslante del singolo maschio murario deve essere caratterizzata
tenendo conto del contributo sia flettente che tagliante. Nel caso di un telaio shear type
questa assume la seguente forma:

−1
⎡⎛ h 3 ⎞ ⎛ χh ⎞⎤
k oi = ⎢⎜⎜ ⎟⎟ + ⎜ ⎟⎥
⎣⎝ 12 EI ⎠ ⎝ GA ⎠⎦
Pag. 208 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Spettro Elastico di Progetto
0,8

0,7

0,6

0,5
Spa [g]

0,4

0,3

0,2

0,1

0,0
0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 4,0
T [sec]

Fig. 4.10: Spettro elastico di progetto allo SLV

Vi d
V

maschio murario i-esimo Vui


h
Koi

δ yi δ ui d
ti

Bi

Fig. 4.11: Legame Taglio-Spostamento dei maschi murari

In aggiunta la NTC 2008 consiglia, per l’analisi sismica, di adottare valori delle rigidezze
fessurate applicando un fattore di riduzione pari al 50% ai moduli di elasticità tangenziale e
flessionale. Considerando i parametri meccanici indicati nel capitolo precedente si ottiene:
⎧⎪G = 1926 daN cm 2

⎪⎩ E = 10750 daN cm 2

La resistenza deve essere valutata considerando tutti i possibili meccanismi di collasso,


ovvero fessurazione diagonale, taglio-scorrimento e pressoflessione. Come visto nella
sezione teorica le relazioni da impiegare sono le seguenti:
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 209

Bi tiσ i ⎛ σi ⎞
Vui PF = ⎜1 − ⎟ - Pressoflessione
λ i ⎝ 0.85 ⋅ f d ⎠

⎛ ⎞
⎜ 1,5 f + 0, 4σ ⎟
VuiTS = Bi ti ⎜ vdo i
⎟ - Taglio-Scorrimento
⎜ 1+ 3 λ f
i vdo ⎟
⎜ 2σ ⎟
⎝ i ⎠
Bi ti f vdo σi
Vui FD = 1+ con 1 ≤ λi ≤ 1.5 - Fessurazione Diagonale
λi 1,5 f vdo
Dalle precedenti relazioni è possibile evincere la dipendenza fra taglio ultimo dell’i-
esimo maschio murario e tensione verticale. Questa relazione fra taglio ultimo e sforzo
normale fornisce una fonte di non linearità che, in generale, non potrebbe essere trascurata.
L’assunzione di invariabilità dello sforzo normale nei maschi rappresenta un’ipotesi
abbastanza forte, ma decisamente semplificativa. Infatti, definendo a priori l’entità della
tensione agente nel generico pannello murario è possibile determinare subito il taglio
resistente dei maschi.
In particolare, la tensione normale può essere assunta costante per tutti i maschi
appartenenti allo stesso piano e pari al rapporto tra lo sforzo normale complessivo nella
sezione di mezzeria dei pannelli e l’area complessiva dei maschi murari a quel livello.
Pertanto, nel caso analizzato si ha:

W1 + W2 − 1900 ⋅ 0,4 ⋅ 0,7 ⋅ (2 ⋅ 2,0 + 2 ⋅ 2,8 + 5,15) daN


σ (1) = = 1.55 2
40 ⋅ (2 ⋅ 200 + 2 ⋅ 280 + 515) cm
W − 1900 ⋅ 0,3 ⋅ 0,8 ⋅ (2 ⋅ 2,0 + 2 ⋅ 2,8 + 4,75) daN
σ (2 ) = 2 = 0.99
30 ⋅ (2 ⋅ 200 + 2 ⋅ 280 + 2 ⋅ 177 ) cm 2

In ottemperanza alla NTC 2008, la duttilità dei maschi murari dipende dall’altezza
dei pannelli e dal meccanismo di collasso. In particolare si definisce:
• δ ui = μ ⋅ h in cui μ è pari allo 0,4% nel caso in cui il meccanismo di collasso
ipotizzato sia per fessurazione diagonale;
• δ ui = μ ⋅ h in cui μ è pari allo 0,6% nel caso in cui il meccanismo di collasso
ipotizzato sia per fessurazione diagonale e si tratti di edifici esistenti. Nel caso
di edifici nuovi la norma prescrive un valore pari allo 0,8%.

Si ricorda che per i parametri meccanici ci si riferisce, come indicato in normativa


Pag. 210 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

per meccanismi duttili, ai valori medi delle resistenze senza applicare coefficienti di
sicurezza sui materiali. Considerate le precedenti espressioni, si ottengono per i maschi
murari che compongono la parete in esame i valori riportati in Tab.4.2 e Tab.4.3.
Nelle Fig.4.80 e Fig.4.81 sono stati rappresentati i legami Taglio-Spostamento per i
maschi del primo e secondo piano.
Tab. 4.2: Legami costutivi dei maschi del secondo piano
Secondo piano
Maschio B t h ξ Vu PF Vu TS Vu FD Vu K ξy ξu
2
[cm] [cm] [cm] [daN/cm ] [daN] [daN] [daN] [daN] [daN/cm] [cm] [cm]
6 200 30 265 0.99 4304 3628 4561 3628 28793 0.126 1.060
7 280 30 150 0.99 14904 7864 8462 7864 86187 0.091 0.600
8 178 30 139 0.99 6500 4272 5379 4272 56514 0.076 0.556
9 178 30 139 0.99 6500 4272 5379 4272 56514 0.076 0.556
10 280 30 150 0.99 14904 7864 8462 7864 86187 0.091 0.600
11 200 30 265 0.99 4304 3628 4561 3628 28793 0.126 1.060

Tab. 4.3: Legami costutivi dei maschi del primo piano


Primo piano
Maschio B t h τ Vu PF Vu TS Vu FD Vu K τy τu
2
[cm] [cm] [cm] [daN/cm ] [daN] [daN] [daN] [daN] [daN/cm] [cm] [cm]
1 200 40 278 1.55 8364 6922 6530 6530 35847 0.182 1.112
2 280 40 185 1.55 24634 13096 12707 12707 91222 0.139 0.740
3 515 40 150 1.55 102780 29300 23372 23372 217663 0.107 0.600
4 280 40 185 1.55 24634 13096 12707 12707 91222 0.139 0.740
5 200 40 278 1.55 8364 6922 6530 6530 35847 0.182 1.112

Legami Maschi - Secondo piano


9000

8000

7000

6000

5000
V2 [daN]

4000

3000

2000
Maschi 6-11
1000 Maschi 7-10
Maschi 8-9
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

δ2 [cm]

Fig. 4.80: Legame Tagliante-Spostamento dei maschi del secondo piano


Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 211

Legami Maschi - Primo piano


25000

20000

15000
V1 [daN]

10000

5000
Maschi 1-5
Maschi 2-4
Maschio 3
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

δ1 [cm]

Fig. 4.81: Legame Tagliante-Spostamento dei maschi del primo piano


Caratterizzati i legami delle pareti è a questo punto possibile valutare per ciascun piano la
relazione tra il taglio ultimo della parete e spostamento relativo di piano, mediante la
seguente procedura di assemblaggio in parallelo dei legami dei maschi:
1) δymax < δumin
Nel caso in cui il più grande tra gli spostamenti al limite elastico dei maschi δymax
è inferiore del più piccolo degli spostamenti ultimi δumin vuol dire che tutti i
maschi hanno raggiunto il valore ultimo del taglio, ma non hanno ancora
raggiunto il valore ultimo dello spostamento. Per cui, il taglio ultimo vale:
N
Vu ,max = ∑ Vui
i= A
2) δymax>δumin
In tal caso il taglio massimo è inferiore rispetto al caso precedente e vale:
K
se : δ yL > δ u min ⇒ ∀δ yK ≤ δ ≤ δ u min ⇒ Vu = ∑Vui + koLδ
i= A
Per cui, si ottiene:
K
Vu max = ∑Vui + koLδ u min
i= A

Procedendo in tal modo, sono state ottenute le curve ritratte in Fig.4.82 e Fig.4.83.
Pag. 212 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Legame - Secondo piano


35000

30000

25000
Maschi 6-11
Maschi 7-10
20000
Maschi 8-9
V2 [daN]

2° Piano
15000

10000

5000

0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

δ r2 [cm]

Fig. 4.82: Legame Taglio-Spostamento del secondo piano

Legami - Primo piano


70000

60000

50000
Maschi 1-5
Maschi 2-4
40000
Maschio 3
V1 [daN]

1° Piano
30000

20000

10000

0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

δ1 [cm]

Fig. 4.83: Legame Taglio-Spostamento del primo piano

Per passare dai legami in termini di tagliante-spostamento relativo dei singoli piani,
ai legami tagliante alla base-spostamento relativo dei singoli piani con i quali costruire la
curva di pushover globale della parete, è necessario fare alcune considerazioni. In
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 213

particolare, è necessario ricordare che, per analisi statiche non lineari la normativa richiede
di considerare le seguenti due distribuzioni delle forze di piano (fig.4.84):
1. distribuzione proporzionale alle forze statiche, applicabile solo se il modo di
vibrare fondamentale nella direzione considerata ha una partecipazione di massa
non inferiore al 75% (Forma dei carichi affine al primo modo di vibrare della
struttura);
2. distribuzione uniforme di forze, da intendersi come derivata da una distribuzione
uniforme di accelerazioni lungo l’altezza della costruzione (Forma dei carichi
affine alle masse).
Al fine di ottenere la curva di pushover della parete complessiva è necessario quindi
trasformare il legame della parete al generico piano in termini di taglio alla base-
spostamento relativo in sommità. A tale scopo, si può introdurre il coefficiente φ pari al
rapporto tra il tagliante al generico piano ed il tagliante al piano terra. Con riferimento alla
prima distribuzione delle forze di piano, essendo la generica forza da applicare a ciascun
piano, pari a:

⎡ ⎤
⎢ ⎥
λW
Fi = ⎢ S d (T ) np ⎥ z i Wi
⎢ ⎥
⎢ g ∑ (Wj z j ) ⎥
⎣ j=1 ⎦
con W la massa totale, ed essendo il termine tra le parentesi quadre costante per l’intera
parete, il rapporto tra il tagliante all’i-esimo piano e quello al piano terra risulta:
np

V
∑ (W
j=i
j zj)
φi = i = np
V1
∑ (W
j=1
j zj)

Nel caso della distribuzione di forze affine alle masse, si ottiene la seguente espressione per
il coefficiente φι:

np

V
∑W
j=i
j

φi = i = np
V1
∑W
j=1
j
Pag. 214 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

dc
α 1F α 2F Fb
Fu

Fy

Fb

dc
Fig. 4.84: Forma delle azioni orizzontali da considerare per le analisi Pushover
Una volta valutato il coefficiente φι, il valore del tagliante alla base corrispondente al
generico valore del tagliante all’i-esimo piano si ottiene dividendo il tagliante Vi per il
coefficiente φι.
Quindi per esprimere il diagramma definito in Fig.4.82, relativo al secondo piano
della struttura, in termini di tagliante alla base è necessario dividere le ordinate dei punti
della curva V2- δr2 per un fattore pari a ϕ2.
Dopo aver definito, per ognuna delle due combinazioni di carico da considerare, i
legami di ogni piano in termini di tagliante alla base, per definire la curva di pushover
globale della parete sarà necessario semplicemente fare la somma in serie dei legami dei
singoli piani. Nel seguito si costruisce la curva di pushover per entrambe le condizioni di
carico previste dalla NTC 2008.

Caso 1- Distribuzione affine alla 1° forma modale


In questo caso il fattore φ2 risulta:
W2 z 2 45640 ⋅ 6.6
φ2 = = = 0.629
W2 z 2 + W1 z1 45640 ⋅ 6.6 + 53918 ⋅ 3.3
A questo punto, sommando in serie il legame del secondo piano e del primo piano si ottiene
la curva pushover rappresentativa del comportamento dell’intera parete nord (Fig.4.85).

Caso 2- Distribuzione affine alle masse

In questo caso la distribuzione di forze è proporzionale alle masse e pertanto i fattori φ2 e φ1


assumono valore unitario. Il fattore per cui dividere la curva tagliante-spostamento relativo
del secondo piano vale:
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 215

W2
φ2 = = 0.458
W1 + W2
A questo punto, sommando in serie il legame del secondo piano e del primo piano si
ottiene la curva pushover di Fig.4.86.
Come si può notare la forma dei carichi influenza il legame tagliante-spostamento
complessivo della parete e può influenzare la crisi del primo o del secondo piano, variando
eventualmente anche la duttilità globale.
Pushover - 1° modo
70000

60000

50000

40000
V1 [daN]

1° Piano
2° piano
30000
Pushover 1° modo

20000

10000

0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

δ [cm]

Fig. 4.12: Curva di Pushover della parete per la distribuzione affine al 1° modo

Pushover - Masse
80000

70000

60000

50000
V1 [daN]

1° Piano
40000
2° piano
Pushover masse
30000

20000

10000

0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

δ [cm]

Fig. 4.13: Curva di Pushover della parete per la distribuzione affine alle masse
Pag. 216 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Pushover con FREMA


La stessa parete è stata analizzata anche con il modello di calcolo a telaio equivalente
FREMA (§4.4.5.1). Esso, pur restando nell’ambito di una modellazione semplificata, a
differenza della procedura per singoli piani precedentemente applicata, garantisce ad ogni
passo di carico il rispetto degli equilibri locale e globale, permette di portare in conto
l’influenza degli sforzi normali sui legami costitutivi e di rimuovere l’ipotesi di infinita
rigidezza e resistenza delle fasce di piano.
L’individuazione della lunghezza dei nodi rigidi è stata fatta seguendo ancora lo
schema di Fig.4.30. Pertanto, si è ottenuto lo schema strutturale di analisi rappresentato in
Fig. 4.87.

Fig.4.87: Schema a telaio equivalente della parete


Pushover 1° modo
60000

50000

40000
V [daN]

Frema fasce elastoplastiche


30000
Frema fasce elastofragili
Modello shear-type

20000

10000

0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

d [cm]

Fig. 4.88: Confronti tra i modelli per la distribuzione di forze affine al 1° modo
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 217

Pushover masse
70000

Frema fasce elastoplastiche


60000
Frema fasce elastofragili
Modello shear-type
50000

40000
V [daN]

30000

20000

10000

0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

d [cm]

Fig. 4.89: Confronti tra i modelli per la distribuzione di forze affine alla distribuzione delle
masse
Nonostante le differenze intrinseche nelle due procedure di analisi, le curve
pushover ricavate per le due distribuzioni di carico (Fig. 4.88 e Fig. 4.89) mostrano un buon
accordo in termini di resistenza, rigidezza e duttilità globale, se nel modello a telaio
equivalente le fasce vengono assunte elastoplastiche rispetto al comportamento a taglio.
Tale ipotesi, assieme all’elevata altezza delle fasce, fa sì che nell’esempio riportato
il loro comportamento sia effettivamente assimilabile a quello di fasce rigide e resistenti.
Se, invece, si fa l’ipotesi di fasce elastofragili, che potrebbe derivare dall’assenza di un
cordolo di piano, si nota un decremento improvviso della resistenza globale della parete,
che di contro risulta più deformabile, con un guadagno netto in termini di duttilità.

Verifica di resistenza delle fasce di piano


Al fine di verificare l’effettiva sussistenza dell’ipotei di fasce sufficientemente resistenti, è
necessario valutare le sollecitazioni massime che agiscono nelle travi rigide del telaio
shear-type precedentemente analizzato, per entrambe le distribuzioni di forze.
Pertanto, per ognuna delle distribuzioni di forze:
• in corrispondenza del valore di resistenza massimo dell’intera parete, si
determinano gli spostamenti relativi di piano;
• dagli spostamenti relativi di piano si determinano i tagli e quindi i momenti
trasferiti dai maschi ai due trasversi a cui sono collegati;
Pag. 218 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

• a partire dall’ultimo piano, si modellano i traversi come travi rigide vincolate da


molle verticali con rigidezza pari alla rigidezza assiale dei maschi inferiori, e
caricate dai carichi distribuiti, dagli sforzi normali trasferiti dai maschi del piano
superiore e dai momenti trasferiti da tutti i maschi collegati ad essa, in modo da
determinare gli sforzi assiali effettivamente agenti nei maschi del piano inferiore;
• noti gli sforzi normali nei ritti, è possibile valutare, attraverso equazioni di
equilibrio alla traslazione verticale e alla rotazione, il taglio e il momento agenti
nelle sezioni estreme delle fasce, individuate in corrispondenza delle aperture
(Fig.4.90);
• note le sollecitazioni, si verifica che esse risultino al più uguali al taglio e al
momento resistente della sezione considerata.

Caso 1- Distribuzione affine alla 1° modo


Dalla Fig.4.85, in corrispondenza del tagliante ultimo della parete (50937 daN) il primo
piano e il secondo piano esibiscono rispettivamente uno spostamento relativo di 0.109 cm e
di 0.127 cm. Da tali spostamenti, noti i legami costitutivi dei singoli maschi, è facile
ricavare i tagli e i momenti (Mi=Vi·hi/2) che essi trasferiscono ai due trasversi.

l ij
Tij
a a'
i Tji
j xa
x a'
Mij M ji

l ij
xa
x a'
Fig. 4.90: Individuazione delle sezioni per la verifica delle fasce di piano

Tab. 4.4: Tagli e momenti nei maschi per la distribuzione affine al 1° modo
Primo Piano Secondo Piano
maschio h V max M max maschio h V max M max
[cm] [daN] [daNcm]
[cm] [daN] [daNcm]
6 265 3628 480767
1 278 3923 545346
7 150 7864 589834
2 185 9984 923532 8 139 4272 296909
3 150 23372 1752900 9 139 4272 296909
4 185 9984 923532 10 150 7864 589834
5 278 3923 545346 11 265 3628 480767
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 219

Risolvendo per i valori dei momenti in Tab.4.4 lo schema di Fig.4.91 del secondo
piano, in cui il carico qmedio = 20.63 daN/cm, e le rigidezze estensionali sono quelle in Tab.
4.5, si ottiene uno spostamento del baricentro delle rigidezze w = 0.015 cm e una rotazione
del trasverso ϕ = 4.43e-6 rad a cui corrispondono gli sforzi normali nei ritti riportati ancora
in Tab.4.5.
Da semplici considerazioni di equilibrio alla traslazione e alla rotazione si ricavano
le sollecitazioni delle fasce riportate in Tab.4.6 assieme ai risultati delle verifiche.
Le verifiche sono effettuate ipotizzando la presenza di una catena (φ18, acciaio
B450C), che, disposta come presidio al ribaltamento fuori piano delle pareti ortogonali a
quella in esame, funge anche da elemento resisistente a trazione disposto nella mezzeria
delle fasce. In accordo con le NTC 2008, HP è il minore tra la resistenza a trazione della
catena e il valore 0.4fhdht, avendo assunto fhd=0.5fwcd, mentre la resistenza a taglio è
calcolata considerando la tensione media fvd0 agente sull’intera sezione della fascia.

2° PIANO
x

Kest,6 Kest,7 Kest,8 Kest,9 Kest,10 Kest,11


x
qmedio

N6 N7 N8 N9 N10 N11

M6 M7 M8 M9 M10 M11

Fig. 4.91: Schema per la valutazione degli sforzi normali nei maschi del secondo piano

Tab. 4.5: Rigidezze e sforzi normali nei maschi del secondo piano derivanti dalla
distribuzione affine al 1° modo

Secondo Piano
maschio B t h K est x K est x K est x 2 δest N
[cm] [cm] [cm] [daN/cm] [cm] [daN] [daNcm] [cm] [daN]
6 200 30 265 243396 -818 -1.990E+08 1.627E+11 0.011 2781
7 280 30 150 602000 -478 -2.875E+08 1.373E+11 0.013 7784
8 178 30 139 412986 -149 -6.133E+07 9.107E+09 0.014 5941
9 178 30 139 412986 149 6.133E+07 9.107E+09 0.016 6484
10 280 30 150 602000 478 2.875E+08 1.373E+11 0.017 10328
11 200 30 265 243396 818 1.990E+08 1.627E+11 0.019 4542
Pag. 220 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Per quanto riguarda il primo piano, gli sforzi normali trasferiti dal secondo piano
sono ovviamente uguali a quelli calcolati precedentemente più l’aliquota derivante dal peso
proprio dei maschi (Tab. 4.7), mentre i momenti sono quelli già indicati in Tab. 4.4.

Tab. 4.6: Sollecitazioni e verifiche di resistenza delle fasce del secondo piano per la
distribuzione affine al 1° modo
Secondo piano
fascia h t V sx V dx V Rd CS M sx M dx HP M Rd CS
[cm] [cm] [daN] [daN] [daN] [daNcm] [daNcm] [daN] [daNcm]
18 140 30 -1345 -3409 3066 0.90 346217 108505 9952 563640 1.63
19 140 30 -1402 -3465 3066 0.88 24867 -218473 9952 563640 2.58
20 290 30 -1196 -3672 6351 1.73 -336421 -628530 9952 1310064 2.08
21 140 30 -840 -2903 3066 1.06 -727714 -914882 9952 563640 0.62
22 140 30 1648 -416 3066 1.86 -500827 -439216 9952 563640 1.13

Tab. 4.7: Sforzi normali e momenti trasferiti al primo piano


maschio N M
[daN] [daNcm]
6 5802 480767
7 10178 589834
8 7352 296909
9 7894 296909
10 12722 589834
11 7563 480767

1° PIANO

M6 M7 M8 M9 M10 M11

x
N6 N7 N8 N9 N10 N11

Kest,1 Kest,2 Kest,3 Kest,4 Kest,5

M6 M7 M8 M9 M10 M11

N6 N7 N8 x N9 N10 N11
qmedio

N1 N2 N3 N4 N5

M1 M2 M3 M4 M5
Fig. 4.92: Schema per la valutazione degli sforzi normali nei maschi del primo piano
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 221

Risolvendo lo schema di Fig.4.92 con il carico qmedio = 24.01 daN/cm, e le rigidezze


estensionali riportate in Tab.4.8, si ottiene uno spostamento del baricentro delle rigidezze
dei maschi del primo livello w = 0.028 cm e una rotazione del trasverso ϕ = 1.43e-5 rad a
cui corrispondono gli sforzi normali nei ritti riportati ancora in Tab.4.8.
Da semplici considerazioni di equilibrio alla traslazione e alla rotazione si ricavano
le sollecitazioni delle fasce riportate in Tab.4.9 assieme ai risultati delle verifiche, valendo
le ipotesi già fatte in precedenza per il secondo piano.

Tab. 4.8: Rigidezze e sforzi normali nei maschi del primo piano derivanti dalla
distribuzione affine al 1° modo

Primo piano
maschio B t h K est x K est x K est x 2 ∗est N
[cm] [cm] [cm] [daN/cm] [cm] [daN] [daNcm] [cm] [daN]
1 200 40 278 309353 -818 -2.529E+08 2.067E+11 0.016 5086
2 280 40 185 650811 -478 -3.108E+08 1.484E+11 0.021 13866
3 515 40 150 1476333 0 0.000E+00 0.000E+00 0.028 41540
4 280 40 185 650811 478 3.108E+08 1.484E+11 0.035 22758
5 200 40 278 309353 818 2.529E+08 2.067E+11 0.040 12322

Tab. 4.9: Sollecitazioni e verifiche di resistenza delle fasce del primo piano per la
distribuzione affine al 1° modo

Primo Piano
fascia h t V sx V dx V Rd CS M sx M dx HP M Rd CS
[cm] [cm] [daN] [daN] [daN] [daNcm] [daNcm] [daN] [daNcm]
12 190 40 -5518 -7919 5548 0.70 474332 -197505 9952 845704 1.78
13 190 40 -10954 -13115 5548 0.42 -1326339 -2409437 9952 845704 0.35
16 190 40 1293 -868 5548 4.29 -2907904 -2888767 9952 845704 0.29
17 190 40 2444 43 5548 2.27 -1154672 -1030296 9952 845704 0.73

Caso 2- Distribuzione affine alle masse


Dalla Fig.4.86, in corrispondenza del tagliante ultimo della parete (61846 daN) il
primo piano e il secondo piano esibiscono rispettivamente uno spostamento relativo di
0.189 cm e di 0.087 cm. Come fatto in precedenza, si ricavano anche per questa
distribuzione i momenti trasferiti dai maschi ai trasversi (Tab.4.10), si risolve lo schema di
Fig.4.88 (w = 0.015 cm, ϕ = 3.84e-6 rad) e si ricavano gli sforzi normali nei maschi del
secondo livello (Tab.4.11), e quindi le sollecitazioni nelle fasce con cui si effettuano le
verifiche di resistenza (Tab.4.12). Agli sforzi normali così ricavati si aggiunge il contributo
del peso dei maschi del secondo piano (Tab.4.13) e si risolve lo schema di Fig.4.92 (w =
0.028 cm, ϕ = 1.50e-5 rad), ricavando gli sforzi nei maschi del primo piano (Tab.4.14) e le
sollecitazioni nelle fasce con cui effettuare le verifiche (Tab.4.15).
Pag. 222 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Tab. 4.10: Tagli e momenti nei maschi per la distribuzione affine alle masse

Secondo Piano
maschio h V max M max
[cm] [daN] [daNcm]
6 265 2491 330107
7 150 7458 559321
8 139 4272 296909
9 139 4272 296909
10 150 7458 559321
11 265 2491 330107
Primo Piano
maschio h V max M max
[cm] [daN] [daNcm]
1 278 6530 907650
2 185 12707 1175407
3 150 23372 1752900
4 185 12707 1175407
5 278 6530 907650

Tab. 4.11: Rigidezze e sforzi normali nei maschi del secondo piano derivanti dalla
distribuzione affine alle masse

Secondo Piano
maschio B t h K est x K est x K est x 2 δest N
[cm] [cm] [cm] [daN/cm] [cm] [daN] [daNcm] [cm] [daN]
6 200 30 265 243396 -818 -1.990E+08 1.627E+11 0.012 2898
7 280 30 150 602000 -478 -2.875E+08 1.373E+11 0.013 7953
8 178 30 139 412986 -149 -6.133E+07 9.107E+09 0.014 5977
9 178 30 139 412986 149 6.133E+07 9.107E+09 0.016 6448
10 280 30 150 602000 478 2.875E+08 1.373E+11 0.017 10160
11 200 30 265 243396 818 1.990E+08 1.627E+11 0.018 4425

Tab. 4.12: Sollecitazioni e verifiche di resistenza delle fasce del secondo piano per la
distribuzione affine alle masse

Secondo piano
fascia h t V sx V dx V Rd CS M sx M dx HP M Rd CS
[cm] [cm] [daN] [daN] [daN] [daNcm] [daNcm] [daN] [daNcm]
18 140 30 -1229 -3292 3066 0.93 207222 -18825 9952 563640 2.72
19 140 30 -1117 -3180 3066 0.96 -76720 -291541 9952 563640 1.93
20 290 30 -875 -3351 6351 1.90 -355528 -609102 9952 1310064 2.15
21 140 30 -555 -2618 3066 1.17 -654645 -813296 9952 563640 0.69
22 140 30 1764 -299 3066 1.74 -373498 -300221 9952 563640 1.51
Capitolo 4: Analisi delle pareti murarie per azioni nel piano Pag. 223

Tab. 4.13: Sforzi normali e momenti trasferiti al primo piano per la distribuzione affine alle
masse

  maschio N M
[daN] [daNcm]
6 5919 330107
7 10347 559321
8 7388 296909
9 7858 296909
10 12554 559321
11 7446 330107

Tab. 4.14: Rigidezze e sforzi normali nei maschi del primo piano derivanti dalla
distribuzione affine alle masse

Primo piano
maschio B t h K est x K est x K est x 2 δest N
[cm] [cm] [cm] [daN/cm] [cm] [daN] [daNcm] [cm] [daN]
1 200 40 278 309353 -818 -2.529E+08 2.067E+11 0.016 4907
2 280 40 185 650811 -478 -3.108E+08 1.484E+11 0.021 13646
3 515 40 150 1476333 0 0.000E+00 0.000E+00 0.028 41540
4 280 40 185 650811 478 3.108E+08 1.484E+11 0.035 22978
5 200 40 278 309353 818 2.529E+08 2.067E+11 0.040 12501

Tab. 4.15: Sollecitazioni e verifiche di resistenza delle fasce del primo piano per la
distribuzione affine alle masse

Primo Piano
fascia h t V sx V dx V Rd CS M sx M dx HP M Rd CS
[cm] [cm] [daN] [daN] [daN] [daNcm] [daNcm] [daN] [daNcm]
12 190 40 -5814 -8215 5548 0.68 656377 -45059 9952 845704 1.29
13 190 40 -11639 -13800 5548 0.40 -1089852 -2234589 9952 845704 0.38
16 190 40 608 -1553 5548 3.57 -3082766 -3125269 9952 845704 0.27
17 190 40 2148 -253 5548 2.58 -1307136 -1212360 9952 845704 0.65

In entrambe le distribuzioni le fasce non pesentano una resistenza tale da giustificare


l’adozione di un modello shear-type per la parete in esame, ovvero sarebbero da prevedere
interventi che ne aumentino la resistenza nei confronti delle sollecitazioni di taglio e/o di
flessione sia al primo sia al secondo piano.
Pag. 224 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria
Capitolo 5

ANALISI SISMICA DEGLI EDIFICI IN


MURATURA

5.1 Metodi di analisi strutturale


In relazione ai metodi di analisi sismica, nel seguito vengono introdotti gli aspetti salienti
delle metodologie indicate dalle norme precisando che per l’importanza e la vastità
dell’argomento si rimanda, per i dettagli e la completa trattazione dei temi, ai testi e corsi
specifici sulle costruzioni in zona sismica.
L’analisi sismica degli edifici può essere condotta secondo quattro differenti metodi
(NTC2008):
• analisi statica lineare;
• analisi dinamica modale;
• analisi statica non lineare;
• analisi dinamica non lineare.
Allo scopo di introdurre sinteticamente gli aspetti salienti delle diverse modalità di
analisi facciamo riferimento al caso di sistemi discreti a cui possono essere ricondotti gli
edifici in presenza di impalcati infinitamente rigidi. In tale caso, l’edificio è caratterizzato
da 3 gradi di libertà per ogni piano. Pertanto, complessivamente, se n rappresenta il numero
di piani della struttura, l’edificio ha 3n gradi di libertà. Il moto dell’edificio è pertanto
caratterizzato da 3n funzioni di spostamento, ovvero due spostamenti ed una rotazione per
ciascun impalcato, più la funzione spostamento del terreno dipendente dalla variabile
tempo. La soluzione dinamica generale del problema corrisponde alla determinazione delle
3n funzioni di spostamento della struttura per ciascun valore dello spostamento del terreno.
Ciò consiste nella soluzione di un sistema di 3n equazioni differenziali ottenibili dalla
imposizione delle condizioni di equilibrio alla traslazione ed alla rotazione tra le forze di
inerzia, le forze di richiamo elastico e le forze di smorzamento. In alternativa ad un’analisi
dinamica complessa è possibile effettuare un’analisi dinamica modale nella quale il
problema viene significativamente semplificato introducendo i modi principali di vibrare
della struttura. I modi principali di vibrare della struttura corrispondono a particolari
oscillazioni libere della struttura, in assenza quindi di smorzamenti e forzanti, caratterizzate
da spostamenti dei piani in una sola direzione o da rotazione degli impalcati che conservano
nell’oscillazione la proporzionalità tra i vari piani. Ciascun modo di vibrare è
Pag. 226 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

contraddistinto da un determinato periodo di vibrazione. Il modo di vibrare con il periodo di


vibrazione più alto viene indicato come primo modo di vibrare o modo fondamentale. Per
un edificio di 3n gradi di libertà esistono 3n modi di vibrare ciascuno caratterizzato da una
particolare distribuzione dei parametri di spostamento. Pertanto, la deformata della struttura
al generico tempo t, invece di essere riferita ai 3n parametri di spostamento e rotazioni di
piano, può essere espressa come combinazione lineare dei modi propri di vibrare della
struttura. Le condizioni di equilibrio riscritte con riferimento ai modi propri di vibrare della
struttura forniscono un sistema di 3n equazioni differenziali disaccoppiate ciascuna
contenente una sola funzione incognita per cui la soluzione complessiva passa da un
sistema di 3n equazioni differenziali alla soluzione di 3n equazioni differenziali ad un grado
di libertà (oscillatori semplici). La soluzione delle 3n equazioni riferite ciascuna ad un
sistema ad un grado di libertà consentirebbe di determinare l’andamento nel tempo delle
sollecitazioni. Tuttavia, ai fini pratici interessano le sollecitazioni massime
indipendentemente dall’istante in cui esse si verificano. A tale scopo ci si avvale degli
spettri di risposta forniti dalle norme i quali, con riferimento all’oscillatore semplice,
indicano il valore dello spostamento massimo, della velocità e dell’accelerazione
corrispondenti allo spostamento massimo del terreno al variare del periodo di vibrazione
(paragrafo 2.2.1).
Allo scopo di comprendere più in dettaglio la genesi degli spettri di risposta,
analizziamo il comportamento dinamico di un oscillatore semplice, ovvero un sistema ad un
sol grado di libertà sottoposto ad un determinato sistema di forze, cimentato da un
accelerogramma, oppure semplicemente sottoposto ad oscillazioni libere. In tale ultimo
caso, lo stato di quiete del generico sistema ad un sol grado di libertà (SDOF),
caratterizzato dalla rigidezza alla traslazione k, dalla massa m e dalla componente di
spostamento u(t) (Fig. 5.1), viene turbato muovendo il sistema stesso dalla posizione di
equilibrio statica.
Il problema in oggetto è retto dal secondo principio della dinamica di Newton,
ovvero:
m u&& + ku = 0 (5.1)
u(t)

m,K
H

Fig. 5.1 Rappresentazione di un SDOF


Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 227

L’analisi inizia dall’istante in cui la quiete è turbata, ovvero quello in cui le


condizioni iniziali sono rappresentate da:
u = u (0) u& = u& ( 0 )
La risoluzione dell’equazione differenziale lineare a coefficienti costanti precedente
risulta molto semplice; difatti, considerate anche le condizioni al contorno, si ha:
u& ( 0 )
u ( t ) = u ( 0 ) cos ω n t + sen ω n t (5.2)
ωn
dove ω n = k rappresenta la pulsazione del moto armonico di vibrazione naturale della
m
struttura; per la ciclicità della funzione spostamento u(t) il tempo richiesto ad un sistema
non smorzato per ritornare in uno stesso punto, ovvero per completare un ciclo, risulta
essere pari a T = 2 π = 2 π m . Si nota che l’equazione (5.2) rappresenti nel tempo t
ωn
n
k
una sinusoide (Fig. 5.2) per cui, caso di moto non smorzato, il corpo non ritorna mai allo
stato di quiete. Il periodo T n viene anche definito periodo naturale di vibrazione,
sottolineando con il termine “naturale” il fatto che tale periodo costituisce una proprietà del
sistema stesso, quando è libero di oscillare senza forzanti esterne. Risulta importante notare
come il periodo naturale di vibrazione, finchè ci si riferisce a sistemi lineari, non dipende
dalle condizioni iniziali.
Il successivo step consiste nel considerare lo stesso sistema SDOF soggetto ad uno
smorzamento viscoso, che nelle strutture reali è quantomeno rappresentato dallo
smorzamento dell’aria in cui è immerso il sistema. La struttura dell’equazione precedente
viene ad essere modificata dal termine viscoso c u& , ovvero diventa:
m u&& + c u& + ku = 0 (5.3)

u(t) Tn

u(0)
u(0)

Fig. 5.2 Risposta di un SDOF non smorzato in oscillazione libera


Pag. 228 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

la quale, dividendo per m, diventa:


u&& + 2 ζω n u& + ω n2 u = 0 (5.4)
in cui è stata considerata la seguente espressione del rapporto di smorzamento ζ :

c c
ζ = = (5.5)
2mω n c cr
Quindi, il grado di smorzamento rappresenta il rapporto fra lo smorzamento del sistema
reale e quello critico, quest’ultimo definito come il valore dello smorzamento per cui la
struttura a seguito di una perturbazione ritorna allo stato di quiete senza compiere alcuna
oscillazione. In base allo smorzamento è possibile distinguere i sistemi sottosmorzati
(ζ < 1) dai sistemi con smorzamento critico (ζ = 1) e dai sistemi sovrasmorzati (ζ > 1) .
Questi ultimi sono quei sistemi per i quali lo smorzamento avviene ancora senza
oscillazioni, ma più lentamente del caso critico. Si osserva che, per le strutture civili,
solitamente ci si riferisce a sistemi di tipo sottosmorzato. Per tali sistemi, l’andamento degli
spostamenti nel tempo, imponendo condizioni iniziali analoghe a quelle del sistema non
smorzato, risulta rappresentato da una sinusoide smorzata esponenzialmente (Fig. 5.3).
⎡ u& ( 0 )ζω n u ( 0 ) ⎤
u ( t ) = e − ζω n t ⎢ u ( 0 ) cos ω D t + sen ω D t ⎥ (5.6)
⎣ ωD ⎦
Il periodo di vibrazione di questi sistemi, eseguendo alcuni passaggi aritmetici, risulta
essere pari a:
Tn
TD = (5.7)
1−ζ 2

u(t) Td

u(0)
u(0)

Fig. 5.3 Risposta di un SDOF smorzato in oscillazione libera


Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 229

Casi reali

0.8
Tn/Td
0.6

0.4

0.2

0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
Rapporto di smorzamento ζ

Fig. 5.4 Differenza fra periodo naturale e smorzato in casi reali


L’approssimazione che solitamente si fa per i casi di carattere ingegneristico, i quali
presentano valori di smorzamento nell’ordine del 2-10%, è quella di assumere che il
periodo della struttura smorzata sia uguale a quello “naturale” (Fig.5.4).
Lo step immediatamente successivo è quello di considerare i sistemi lineari ad un sol
grado di libertà sollecitati da una forzante esterna, che può essere ad esempio una pulsante
sinusoidale. Solitamente ci si riferisce a questo caso perché la soluzione di questo problema
permette di sviluppare per sovrapposizione anche la soluzione nel caso di forzante esterna
generica (come ad esempio nel caso di un sisma). Infatti una qualunque forzante può essere
ridotta a delle serie di funzioni sinusoidali tramite trasformata di Fourier. Per la risoluzione
del problema di un sistema sottoposto a forzanti armoniche si rimanda a testi specialistici.
Interessante per le applicazioni risulta sicuramente il caso di sistema sottoposto ad
accelerazioni e quindi forze (nel caso specifico forze di inerzia) generiche. Lo spostamento
totale a cui è sottoposta la struttura è formato da due aliquote: lo spostamento vero e
proprio del suolo e lo spostamento relativo struttura-terreno. Per cui la scrittura
dell’equazione del moto può essere eseguita facendo ancora riferimento al secondo
principio della dinamica di Newton, o in alternativa considerando il principio di
D’Alembert, il quale afferma che la sommatoria delle forze agenti sul sistema è nulla se fra
queste forze si considerano anche quelle d’inerzia. In pratica il principio di D’Alambert
equivale a considerare il corpo in ogni istante in condizioni “statiche”, ma computando fra
le forze agenti nel classico diagramma di corpo libero anche le azioni inerziali.
c u& + ku = − m (u&&g + u&& ) ⇒ m u&& + c u& + ku = − m u&&g (5.8)
Di fatto nel caso considerato la forzante esterna è rappresentata dal termine a destra
dell’equazione fornito dall’accelerogramma considerato. Esistono numerosi metodi
numerici per risolvere l’equazione differenziale (5.8), non ultimo quello di impiegare una
procedura alle differenze finite integrando l’accelerogramma per tratti considerati lineari.
In campo ingegneristico, il concetto di base, fatto proprio dalle diverse normative,
consiste nel valutare il comportamento strutturale nella condizione di maggior cimento
statico considerando la sola risposta di picco.
Pag. 230 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

u(t)

m,k
H

V(t)

M(t)
Fig. 5.5 Nomenclatura per un SDOF smorzato sottoposto ad azione sismica
Per le ipotesi fatte precedentemente la condizione in cui la struttura è maggiormente
sollecitata è quella in cui lo spostamento è massimo, difatti:
V ( t ) = ku ( t ) ⇒ V max = ku max (5.9)
Risulta elementare la condizione di annullamento della derivata prima dello
spostamento in corrispondenza del massimo, per cui la velocità in corrispondenza di u max
risulta essere nulla. Questo vuol dire che l’equazione (5.8) in corrispondenza della risposta
di picco può essere riscritta nel seguente modo:

⎧⎪ u ( t * ) = u max
⎨ ⇒ ku max = m ( u&&g + u&&) * (5.10)
⎪⎩ u& ( t * ) = 0 t =t

Usualmente l’accelerazione totale ( u&&g + u&&) * in corrispondenza del massimo


t =t

spostamento viene definita “pseudo-accelerazione”, differenziandola con il prefisso


“pseudo” dall’accelerazione propriamente detta con cui ci si riferisce alla massima risposta
del sistema, caratterizzato da un determinato periodo, in termini di accelerazione:

S a = ( u&&g + u&&) S pa = ( u&&g + u&&)


max t =t*
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 231

Nota la pseudo-accelerazione spettrale, l’azione sismica di progetto sulla struttura si


ottiene semplicemente moltiplicando quest’ultima per la massa:
V max = ku max = mS pa (5.11)
Le normative, ai fini progettuali, forniscono direttamente i valori della pseudo-
accelerazione al variare del periodo sotto forma di spettri di progetto che rappresentano, per
il progettista, uno strumento indispensabile per conoscere la risposta di picco per ogni
struttura.
Il concetto di spettro di risposta di un sisma fu introdotto nel 1932 da M.A.Biot, con
l’idea di caratterizzare con una rappresentazione sintetica gli effetti sulle strutture. Questo
può essere ricavato analizzando un gran numero di sistemi ad un sol grado di libertà con
differente periodo naturale di vibrazione, con un determinato rapporto di smorzamento a
fissato accelerogramma di progetto, tramite integrazione completa e quindi risoluzione
dell’equazione del moto, ricavando l’accelerazione totale in corrispondenza della risposta di
picco, ovvero la pseudo-accelerazione. Quindi per ogni sisma e a parità di rapporto di
smorzamento è possibile ricavare uno spettro di risposta in termini di pseudo-accelerazione,
ovvero la legge di variazione della pseudo-accelerazione con il periodo di vibrazione della
struttura.
In base ad i terremoti attesi in una determinata zona, a partire da analisi storiche o, in
assenza di dati, da analisi su siti analoghi a quello in oggetto i normatori con considerazioni
probabilistiche forniscono gli spettri di progetto (Fig. 5.6).
Risulta importante sottolineare che l’analisi sviluppata è relativa a sistemi elastici
ad un sol grado di libertà, per cui note le caratteristiche dello SDOF è possibile conoscere il
periodo naturale di vibrazione del sistema tramite le espressioni viste in precedenza, ed
utilizzando lo spettro di progetto fornito dalla normativa ricavare le azioni massime, cui la
struttura sarà sottoposta in fase dinamica, moltiplicando la massa del sistema per la pseudo-
accelerazione spettrale.

Zona a pseudo-accelerazione Zona a pseudo-velocità Zona a spostamento spettrale


Spa(T) costante costante costante

ζ=1%
ζ=2%
ζ=5%

ζ=10%

ζ=20%

Fig. 5.6 Spettri di risposta in termini di pseudo-accelerazione


Pag. 232 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Spa(T) Spettro allo SLV (TR=475 anni)

S__
pa
q

Fig. 5.7 Spettri di risposta e fattore di struttura q


Ovviamente i sistemi reali raramente vengono progettati in fase elastica, anche
perché sarebbe in contrapposizione con la filosofia di progetto impostata dalla normativa, la
quale richiede, ai fini di un giusto compromesso tra prestazione sismica e costo strutturale,
l’impegno plastico delle strutture sotto sismi di forte intensità ad alto periodo di ritorno, per
cui solitamente anziché analizzare il sistema non-lineare ci si riferisce ad un’equivalenza
fra il sistema elasto-plastico ed un sistema elastico equivalente. Con considerazioni che
prescindono dagli obiettivi di questo testo si giunge alla definizione del fattore di struttura
q, che è il coefficiente che permette di tener conto delle risorse plastiche della struttura
agendo direttamente sullo spettro di progetto (Fig. 5.7).
In base alle semplici considerazioni sin qui svolte la normativa fornisce uno spettro
di risposta elastico, rappresentativo di sismi a basso periodo di ritorno (T = 75 anni), per cui
le strutture devono verificare lo stato limite di danno (SLD), ed uno spettro 2,5 volte più
grande del precedente rappresentativo di sismi ad alto periodo di ritorno (T = 475 anni),
definito allo stato limite ultimo (SLU) per cui le strutture devono sfruttare le proprie risorse
plastiche. In generale per le strutture in muratura, essendo sistemi molto rigidi, la verifica
allo SLU risulta molto più gravosa della verifica di servizio allo SLD.
In generale i sistemi strutturali non sono né ad un grado di libertà, né elastici fino a
rottura. Si è visto come la seconda problematica sia usualmente risolta impiegando il fattore
di struttura q, mentre, per la presenza di più gradi di libertà, la scrittura dell’equazione del
moto in oscillazioni libere fornisce in forma matriciale la seguente espressione:

[M ]u~&& + [K ]u~ = ~0 (5.12)


la quale è un sistema di n-equazioni differenziali nelle n incognite spostamento, in cui n
rappresenta il numero di gradi di libertà. Il problema fondamentale della risoluzione di
questo sistema risiede nell’accoppiamento delle equazioni differenziali; difatti non sono
diagonalizzabili contemporaneamente nè la matrice delle masse nè quella delle rigidezze
(i.e. nel caso in cui gli spostamenti considerati siano quelli relativi di piano la matrice delle
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 233

rigidezze sarà diagonale ma non quella delle masse e viceversa nel caso in cui ci si riferisca
a spostamenti assoluti).
Allo scopo di pervenire ad un approccio più semplice, il secondo importante
passaggio nell’analisi sismica, dopo l’introduzione degli spettri di pseudo-accelerazione,
risiede nel cambiamento di base, passando dallo spazio vettoriale degli spostamenti a quello
delle forme modali, che, come già anticipato, consente di disaccoppiare le equazioni (5.12).
Per effettuare il cambiamento di base è necessario ridefinire le funzioni di spostamento u(t)
componendole nel prodotto di una funzione armonica che varia con il tempo q n (t ) e di un
~
vettore di forma che non varia con il tempo φ n , ovvero:
~ ~
u~ ( t ) = q n ( t )φ n = ( A n cos ω n t + B n sen ω n t )φ n (5.13)

in cui An e Bn sono due costanti di integrazione da determinare in base alle condizioni


iniziali. Riscrivendo l’equazione (5.12) tenendo conto dell’equazione (5.13), risulta:

[− ω 2
n
~ ~
] ~
[ M ]φ n + [ K ]φ n q n ( t ) = 0 (5.14)

Quest’ultima equazione ammette due soluzioni: la prima è rappresentata dalla soluzione


banale, ovvero quella per cui qn(t) è pari a zero (assenza di moto), la seconda è quello che
scaturisce dall’annullamento del termine in parentesi:
~ ~
[ K ]φ n = ω n2 [ M ]φ n (5.15)

L’equazione (5.15) rappresenta il classico problema di autovalori ed autovettori che


restituisce n frequenze naturali di vibrazione (una per ogni grado di libertà) corrispondenti
~
ad n autovettori φ n , o modi di vibrare della struttura. Senza scendere nei particolari della
risoluzione del problema e della dimostrazione dell’ortogonalità dei modi si riportano in
Fig. 5.8 le forme modali per una struttura piana a masse concentrate di 3 piani.

I modo di vibrare II modo di vibrare III modo di vibrare

m3,K3 φ31 m3,K3 φ32 m3,K3 φ33

m2,K2 φ21 m2,K2 φ22 m2,K2 φ23

m1,K1 φ11 m1,K1 φ12 m1,K1 φ13

Fig. 5.8 Modi di vibrare per una struttura a 3 DOF


Pag. 234 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Si osserva come per tale struttura le forme modali superiori alla prima presentino un
numero di nodi (ovvero di incroci della forma) crescente e come la prima forma modale
abbia un andamento del tutto simile a quello che si otterrebbe con una distribuzione lineare
di sollecitazioni sismiche.
Risolto il problema agli autovalori ed autovettori l’equazione del moto scritta con
riferimento agli spostamenti, la quale rappresenta un sistema accoppiato di n equazioni in n
incognite u(t) può essere trasformata, facendo riferimento alle forme modali invece che agli
spostamenti, in un sistema lineare di n equazioni disaccoppiate in n incognite qn(t).
Il problema delle forme modali, definito per le oscillazioni libere di sistemi MDOF
(Multi degree of freedom system) lineari senza smorzamento può essere utilizzato anche
per sistemi smorzati sottoposti a forzanti esterne generiche quali il sisma. Di fatto l’analisi
modale classica, con spettro di progetto assegnato (Response Spectrum Analysis, RSA)
consiste in alcuni semplici step:
• risoluzione del problema modale agli autovalori ed autovettori;
• passaggio da un sistema MDOF ad n sistemi SDOF tramite i fattori di
partecipazione modale Γ;
• determinazione delle pseudo-accelerazioni spettrali corrispondenti al
periodo di ogni modo di vibrare;
• determinazione delle risposte statiche di n strutture sollecitate da n sistemi
di forze derivanti dai modi di vibrare della struttura ottenute moltiplicando
l’accelerazione spettrale per la massa di piano e per il coefficiente di
partecipazione modale;
• combinazione delle risposte statiche tramite opportune regole di
combinazione.
L’obbligo di combinare i risultati delle forme modali non linearmente, ma tramite
una regola di combinazione discende dal fatto che in generale le forme modali non
raggiungono la sollecitazione di picco nello stesso istante, per cui è usuale utilizzare le
regole SRSS (square-root-of-sum-of-squares) o CQC (complete-quadratic-combination).
Infine bisogna evidenziare che ogni forma modale da un contributo differente alla
risposta complessiva della struttura definito dal coefficiente di partecipazione modale. Nel
caso di strutture regolari in elevazione, la prima forma modale assume la forma mostrata in
Fig. 5.8 con un coefficiente di partecipazione elevato, al punto tale da rendere le forme
modali successive alla prima quasi del tutto inessenziali nella descrizione della risposta
complessiva.
In tal caso, le normative consentono di far ricorso all’analisi statica equivalente
considerando una distribuzione di forze statiche affini a quelle relative al primo modo di
vibrare della struttura. Nel capitolo 2, sono state riportate le modalità di calcolo delle forze
sismiche da applicare alla struttura in un’analisi statica indicate sia dalla normativa sismica
D.M. 16/1/96 che dalle NTC 2008.
Nel seguito, vengono affrontate con maggiore dettaglio, le problematiche relative
all’analisi statica lineare e non lineare.
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 235

5.2 Analisi statica lineare

Nell’analisi statica lineare, viene trascurato il comportamento inelastico dei maschi.


L’analisi si basa pertanto, sulla rigidezza iniziale della curva di comportamento dei maschi
murari in base alla quale si provvederà a ripartire l’azione sismica tra le varie pareti
murarie. La verifica consiste nell’accertarsi che la resistenza di ciascun maschio murario
non sia superata dall’aliquota di taglio afferente al maschio stesso e valutata sulla base della
ripartizione delle azioni sismiche. Le NTC 2008 precisano che la resistenza dei maschi va
valutata considerando sia la rottura per fessurazione diagonale o per meccanismo di
scorrimento, sia la rottura per pressoflessione. Inoltre, rispetto all’OPCM 3431 non è più
consentita un’analisi separata per piani, se non per le unità strutturali di edifici in aggregato
(§8.7.1).

5.2.1 Ripartizione delle azioni orizzontali


Consideriamo dapprima il caso semplificato di edificio monopiano ed introduciamo
l’ipotesi di simmetria sia delle masse che delle rigidezze rispetto ad un asse parallelo
all’azione sismica. In tal caso, sia il baricentro delle masse che delle rigidezze ricadono su
tale asse di simmetria dell’impalcato per cui l’azione sismica, applicata nel baricentro delle
masse, passa per il centro di rotazione dell’impalcato, coincidente con il baricentro delle
rigidezze. Pertanto, l’impalcato subisce una pura traslazione con spostamento uguale per
tutti i setti (Fig. 5.9).

δ δ δ

Fig. 5.9: Spostamento dei setti nell’ipotesi di simmetria dell’impalcato rispetto ad un asse
parallelo all’azione sismica
Pag. 236 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Indicata con ki la rigidezza traslante del i-esimo maschio, con Fi la relativa azione
tagliante e con δi il corrispondente spostamento, per il generico maschio i si può scrivere la
seguente relazione:
Fi = k i δ i (5.16)
Per l’equilibrio deve risultare:

F= ∑ Fi = ∑ k i δi = δ∑ k i (5.18)

per cui:
F
δ= (5.19)
∑ ki

e quindi:
ki
Fi = F (5.20)
∑ ki

L’Eq.(5.20) mostra che la ripartizione dell’azione sismica avviene in funzione della


rigidezza traslante.
Tuttavia, l’ipotesi di simmetria è raramente rispettata. Per tenere conto della
variabilità spaziale del moto sismico, nonché di eventuali incertezze nella localizzazione
delle masse, le NTC 2008 prescrivono di attribuire al centro di massa una eccentricità
accidentale rispetto alla sua posizione quale deriva dal calcolo. Per i soli edifici ed in
assenza di più accurate determinazioni l’eccentricità accidentale in ogni direzione non può
essere considerata inferiore a 0,05 volte la dimensione dell’edificio misurata
perpendicolarmente alla direzione di applicazione dell’azione sismica. Detta eccentricità è
assunta costante, per entità e direzione, su tutti gli orizzontamenti. Pertanto, il problema più
generale è quello della ripartizione delle azioni nel caso di azione sismica eccentrica
rispetto al baricentro delle rigidezze.
In questo caso occorre innanzitutto determinare la posizione del baricentro delle
rigidezze e del baricentro delle masse.
Consideriamo un generico edificio di un piano, la cui pianta è rappresentata in Fig.
5.10. Per la determinazione del baricentro delle rigidezze, assunto un generico sistema di
riferimento, dal rapporto tra momento statico delle rigidezze rispetto all’asse X o Y e la
sommatoria delle rigidezze, rispettivamente, in direzione Y o X si ottengono le seguenti
espressioni dell’ordinata e ascissa del baricentro delle rigidezze:

yR =
∑ Fxi ⋅ y i = ∑ k xi δ i ⋅ yi = ∑ k xi ⋅ yi (5.21)
∑ Fxi ∑ k xi δ i ∑ k xi
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 237

y Fyi

yi
Fxi

yR R

O
xR xi x
Fig. 5.10: Sistema di riferimento nel caso di un edificio dissimetrico

xR =
∑ Fyi ⋅ x i = ∑ k yiδ i ⋅ x i = ∑ k yi ⋅ x i (5.22)
∑ Fyi ∑ k yiδi ∑ k yi
Per la determinazione del baricentro delle masse, dal momento che le masse della
muratura sono significative rispetto a quelle di impalcato, è opportuno far riferimento alla
tensione σ0 dei singoli maschi. Si ottengono pertanto, le seguenti espressioni delle
coordinate del baricentro delle masse:

yG =
∑ σ 0i A i ⋅ yi (5.23)
∑ σ 0i A i
xG =
∑ σ 0i A i ⋅ x i (5.24)
∑ σ 0i A i
Se l’impalcato subisce gli spostamenti δx , δy e la rotazione ϕ (positiva se antioraria),
gli spostamenti del generico maschio i risultano (Fig.5.11):
δ xi = δ x − ϕ ⋅ y i (5.25)

δ yi = δ y + ϕ ⋅ x i (5.26)
Pag. 238 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

avendo sfruttato la similitudine tra i triangoli STU e RSV che fornisce le seguenti
espressioni delle aliquote di spostamento dovute alla rotazione ϕ:
δϕxi ϕ ⋅ di
= ⇒ δϕxi = ϕ ⋅ y i (5.27)
yi di

δ ϕyi ϕ ⋅di
= ⇒ δ ϕyi = ϕ ⋅ x i (5.28)
xi di

Le forze sismiche assorbite dall’i-esimo maschio saranno allora:


Fxi = k xi δ xi = k xi (δ x − ϕ ⋅ y i ) (5.29)

(
Fyi = k yi δ yi = k yi δ y + ϕ ⋅ x i ) (5.30)

Per gli equilibri alla traslazione lungo x e lungo y ed alla rotazione intorno
all’origine O si ha:
Fx = δ x ⋅ ∑ k xi − ϕ ⋅ ∑ k xi y i (5.31)

Fy = δ y ⋅ ∑ k yi + ϕ ⋅ ∑ k yi x i (5.32)

M=- ∑ Fxi ⋅ yi + ∑ Fyi ⋅ xi =


(5.33)
= (δ y ⋅ ∑ k yi + ϕ ⋅ ∑ k yi x i )⋅ xi − (δ x ⋅ ∑ k xi − ϕ ⋅ ∑ k xi y i )⋅ yi

y y
δxi
ϕd

T U
i
δyi

yi
S
ϕ

V
R xi x

x
O
Fig. 5.11: Spostamenti del generico maschio
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 239

Se poniamo l’origine del sistema di riferimento non in un punto generico ma nel


baricentro delle rigidezze si ha:

∑ k xi y i = Sx = 0 (5.34)

∑ k yi x i = S y = 0 (5.35)

Pertanto:
Fx
Fx = δ x ⋅ ∑ k xi ⇒ δx = (5.36)
∑ k xi

Fy
Fy = δ y ⋅ ∑ k yi ⇒ δy = (5.37)
∑ k yi
M =ϕ⋅ (∑ k 2
yi x i + ∑ k xi y i2 ) (5.38)

Di conseguenza:
k xi k xi ⋅ y i
Fxi = Fx − M (5.39)
∑ k xi ∑ k yi x i2 +∑ k xi y i2
k yi k yi ⋅ x i
Fyi = Fy + M (5.40)
∑k yi ∑k xi yi2 + ∑k yi x i2

dove M è il momento torcente minimo da normativa oppure:


M = Fy ⋅ (x G − x R ) − Fx ⋅ (y G − y R ) (5.41)

5.2.2 Analisi lineare semplificata per singoli piani


Nel paragrafo 5.2 è stato già precisato che l’attuale normativa consente di effettuare la
verifica dei singoli piani in maniera indipendente nel caso degli aggregati edilizi. In questo
spirito opera il metodo POR già introdotto nel paragrafo 4.4.1.1 con riferimento al caso
della verifica delle singole pareti per azioni nel piano. Allo scopo di comprendere le
modalità applicative di un metodo che opera per singoli piani al caso degli edifici,
consideriamo in maniera esemplificativa, la verifica per sisma in direzione y ed indichiamo
con F l’entità della forza sismica applicata con eccentricità ex rispetto all’asse y (l’origine
del sistema di riferimento è nel baricentro delle rigidezze).
Pag. 240 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Nel caso in esame, le (5.39) e (5.40), forniscono:


k yi k yi ⋅ x i
Fyi = F+ F ⋅ ex =
∑ k yi ∑ k xk y 2k +∑ k yi x i2
(5.42)
=
k yi ⎛
F ⋅ ⎜1 +
∑ k yi ⋅ x i ⋅ e x ⎞⎟ = k yi F ⋅ ρ yi
∑ k yi ⎜⎝ ∑ k xk y 2k +∑ k yi x i2 ⎟⎠ ∑ k yi
k xk ⋅ y k
Fxk = − F ⋅ ex =
∑ ∑ k yi x i2
k xk y 2k +
(5.43)
=
k xk ⎛
F⋅⎜−
∑ k yi ⋅ y k ⋅ e x ⎞⎟ = k xk F ⋅ ρ xk
∑ k yi ⎜⎝ ∑ k xk y 2k +∑ k yi x i2 ⎟⎠ ∑ k yi
dove i coefficienti ρ yi e ρ xk corrispondono ai termini in parentesi tonde rispettivamente
nelle equazioni (5.42) e (5.43).
Pertanto, essendo Fyi =k yi ⋅ δ yi e Fxk =k xk ⋅ δ xk dalle (5.42) e (5.43) si ottiene:

F
δ yi = ρ yi ⇒ δ yi = v Ri ⋅ ρ yi (5.44)
∑ k yi

F
δ xk = ρ xk ⇒ δ xk = u Rk ⋅ ρ xk (5.45)
∑ k yi
dove v Ri e u Rk rappresentano gli spostamenti del baricentro delle rigidezze
rispettivamente quando l’i-esimo maschio in direzione y raggiunge lo spostamento δ yi e
quando il k-esimo maschio in direzione x raggiunge lo spostamento δ xk . In particolare, per
ogni maschio in direzione y si può determinare il valore di vRi corrispondente al
raggiungimento del limite elastico δ0yi e per ogni maschio in direzione x si può determinare
il valore uRk corrispondente al raggiungimento del limite elastico δ0xk. Si ha:
δ 0yi
δ 0yi = v Ri ⋅ ρ yi ⇒ v Ri = (5.46)
ρ yi

δ0xk
δ 0xk = u Rk ⋅ ρ xk ⇒ u Rk = (5.47)
ρ xk
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 241

Il minimo tra tutti i vRi e gli uRk determina il limite elastico per l’intera struttura ovvero lo
spostamento del baricentro delle rigidezze in direzione y quando il primo maschio
raggiunge il proprio limite elastico. Pertanto, risulta:
⎛ δ 0yi δ ⎞
v R = u R = min⎜ (y) ; 0xk ⎟ (5.48)
⎜ ρ yi ρ (y) ⎟
⎝ xk ⎠
Trovato vR, la forza reattiva al limite elastico in direzione y dell’intera struttura Fres, si
ottiene sommando i contributi di tutti i maschi in direzione y come segue:

δ yi = v R ⋅ ρ yi (5.49)

Fyi = k yi ⋅ δ yi (5.50)

Fres = ∑ Fyi (5.51)

Per l’effetto torcente nascono forze taglianti anche nei maschi in direzione x di entità pari a:

δ xk = u R ⋅ ρ xk (5.52)

Fxk = k xk ⋅ δ xk (5.53)
In modo del tutto analogo si procede per forza sismica in direzione x applicata con
eccentricità e y rispetto all’asse x.
Nell’ambito quindi dell’analisi statica lineare, la verifica allo stato limite ultimo consiste
nell’accertare che, piano per piano, la forza resistente più piccola tra la direzione x e la
direzione y sia maggiore del tagliante sismico di piano.
Per quanto concerne la verifica allo Stato limite di danno secondo le NTC2008, occorre
controllare che a ciascun piano gli spostamenti di interpiano, valutati per effetto delle azioni
orizzontali ottenute dallo spettro elastico corrispondente alla probabilità di superamento
PVR=63%, rispettino il limite:
d r <0,003h (5.54)
L’azione orizzontale, allo stato limite di danno, risulta:
W
Fh = Se (T) ⋅ λ ⋅ (5.55)
g

caratterizzata da un’eccentricità e data dalla somma dell’eccentricità tra baricentro delle


masse e baricentro delle rigidezze nella direzione ortogonale al sisma, e dall’eccentricità
accidentale pari a 0,05L con L dimensione dell’edificio in direzione ortogonale al sisma.
Pag. 242 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

A partire da Fh e M h = Fh ⋅ e si valutano, per ogni piano e per ogni maschio gli spostamenti
δ xi e δ yi tramite l’Eq. (5.25) e (5.26) nelle quali δ x δ y e ϕ sono forniti dalle equazioni
(5.36), (5.37) e (5.38). La verifica allo stato limite di danno sarà soddisfatta se tutti i valori
di δ xi e δ yi soddisfano la relazione (5.54).

5.3 Analisi statica non lineare


Nell’ambito dell’analisi statica non lineare o pushover analysis l’edificio viene sottoposto a
forze orizzontali di piano che vengono progressivamente incrementate fino al collasso della
struttura mantenendo costanti i mutui rapporti tra le forze di piano stesse. Il comportamento
dell’edificio viene descritto mediante la curva che correla il tagliante alla base dell’edifico
di ogni step di carico con il corrispondente valore dello spostamento di un punto di
controllo della struttura generalmente scelto sull’impalcato di copertura. Le NTC2008
prescrivono di effettuare l’analisi considerando due diverse distribuzioni di forze d’inerzia,
ricadenti l’una nelle distribuzioni principali (Gruppo 1) e l’altra nelle distribuzioni
secondarie (Gruppo 2) (§7.3.4.1).
Le curve pushover risultanti dall’analisi rappresentano le “curve di capacità” ed
avranno un andamento non lineare determinato dal progressivo ingresso in campo plastico
dei maschi. Inoltre, quando un maschio murario raggiunge la condizione di collasso
determinata dal raggiungimento della sua deformazione ultima, il suo contributo alla
resistenza globale cessa con un calo immediato della resistenza complessiva dell’edificio.
Tuttavia, poiché la ridistribuzione delle sollecitazioni agli altri maschi potrebbe consentire
un ulteriore incremento della resistenza per effetto di un maggior impegno di maschi ancora
in campo elastico, la curva potrebbe presentare un andamento “a dente di sega”.
Per gli edifici in muratura, la normativa prevede la verifica globale in spostamento
impiegando, per i materiali, i valori medi delle proprietà meccaniche.
La verifica viene condotta confrontando la capacità di spostamento determinata sulla
curva pushover con la domanda indicata dalla norma.
Per quanto concerne la capacità in termini di spostamento, le NTC2008 prescrivono
di individuare, per ciascuna distribuzione delle azioni orizzontali, sulla curva di capacità gli
spostamenti corrispondenti allo stato limite di danno ed allo stato limite ultimo, come
segue:
• per lo stato limite di danno lo spostamento è fornito dal valore minore tra quello
corrispondente al valore massimo del taglio alla base sulla curva pushover e quello
corrispondente al raggiungimento di uno spostamento di interpiano per gli edifici
in muratura ordinaria pari a 0.003 h, con h altezza di piano;
• per lo stato limite ultimo lo spostamento si ottiene dalla curva pushover in
corrispondenza di una riduzione del 20% del taglio massimo alla base.
Per quanto concerne invece la domanda, con riferimento allo stato limite di danno,
per edifici con struttura in muratura ordinaria, La normativa la definisce in termini di
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 243

spostamento d’interpiano pari a 0.003 h prevedendo che l’azione sismica non provoca danni
se gli spostamenti massimi d’interpiano risultanti dall’analisi risultino minori di tale valore.
Con riferimento, invece allo stato limite ultimo, la domanda in termini di spostamento viene
definita per ogni singolo edificio, applicando il seguente procedimento:
a) a partire dalla curva pushover dell’edificio in esame, determinare le caratteristiche
di un sistema ad un grado di libertà a comportamento bi-lineare equivalente (Fig.
5.12); ciò richiede i seguenti ulteriori passaggi:
1. si valuta per prima cosa, per la struttura in esame con le masse applicate, il
vettore Ф rappresentativo del primo modo di vibrare che viene determinato
analizzando le oscillazioni libere della struttura, ovvero in assenza di
smorzamento e di forzanti;
2. si valuta il coefficiente di partecipazione modale mediante la seguente
relazione:

Γ=
∑ mi Φ i (5.56)
∑ mi Φ i2
3. si valuta la curva di capacità del sistema SDOF equivalente dividendo la curva
di pushover per il fattore di partecipazione modale del primo modo Γ1 ;
4. si valuta la rigidezza k*del sistema bi-lineare tracciando la secante alla curva
nel punto corrispondente al 60% del taglio massimo;
5. si valuta lo spostamento ultimo del sistema bilineare equivalente come quello
ottenuto in fase degradante in corrispondenza di almeno l’80% di Fu;
6. note rigidezza iniziale elastica e spostamento ultimo in base all’uguaglianza
delle aree si ottiene la curva bilineare equivalente;
7. si valuta infine il periodo di vibrazione del sistema bilineare equivalente come
segue:

m*
T = 2π
*
(5.57)
k*
con m * = ∑ (mi ⋅ Φ i ) [massa partecipante al primo modo];
b) determinare la risposta massima in spostamento del sistema bi-lineare equivalente
mediante l’impiego dello spettro elastico di progetto; ciò richiede la seguente
analisi:
1. sulla base del periodo T* precedentemente determinato, si valuta SDe(T*)
dallo spettro elastico in termini di spostamento;
2. si calcola lo spostamento del sistema anelastico mediante le seguenti relazioni:

per T * ≥ Tc *
d max = d e*, max = S De (T * ) (5.58)
Pag. 244 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

d e*,max ⎡
per T * < Tc *
d max = *
( *
)
Tc ⎤ *
⎢1 + q − 1 * ⎥ ≥ d e,max (5.59)
q ⎣ T ⎦
dove q* rappresenta il rapporto tra la forza di risposta elastica e la forza di
snervamento del sistema equivalente, ed è pari a:

q* =
( )
S e T * ⋅ m*
(5.60)
F y*

c) conversione della risposta del sistema equivalente ad un grado di libertà in quella


effettiva dell’edificio, per il quale si valuta, in definitiva, la seguente domanda di
spostamento:
*
d max = Γ ⋅ d max (5.61)
La verifica infine va effettuata imponendo che allo SLU sia verificato che la domanda di
spostamento non superi la capacità determinata come visto in precedenza.

Fig. 5.12: Legame bi-lineare del sistema equivalente ad un grado di libertà


Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 245

5.3.1 Analisi non lineare semplificata per singoli piani


L’analisi non lineare può essere condotta adottando il procedimento descritto nel paragrafo
5.2.2 opportunamente modificato per tener conto che per calcolare la resistenza oltre il
limite elastico occorre far riferimento, per i setti in campo plastico, alle rigidezze secanti.
Ciò comporta una modifica nella posizione del baricentro delle rigidezze, e nei
valori di ρyi e ρxk valutati nel paragrafo 5.2.2.
In pratica, raggiunto il limite elastico occorre, dal punto di vista computazionale,
procedere per incrementi piccoli dello spostamento vR del baricentro delle rigidezze fino al
raggiungimento dello stato limite ultimo quando il primo setto raggiunge μ·δ0.
L’algoritmo di calcolo potrebbe essere così concepito:
Step 1. Fisso l’incremento di spostamento del baricentro vR e quindi fisso il δx ed il
δy oppure uno solo dei due per una data direzione del sisma;

Step 2. Trovo il valore corrispondente di ϕ mediante la seguente procedura


iterativa:
Step 2.1. Fisso un valore di tentativo per ϕ;
Step 2.2. Calcolo per ogni maschio in direzione y:
δ yi = δ y + ϕ ⋅ x i
e per ogni maschio in direzione x:
δ xk = δ x − ϕ ⋅ y k
Step 2.3. Dal legame costitutivo dei maschi valuto la rigidezza:
kyi , kxk se in campo elastico

H ui ⎫
k yi sec = ⎪
δ yi ⎪⎪
⎬ se in campo plastico
H uk ⎪
k xk sec = ⎪
δ xk
⎭⎪
Step 2.4. Dalle rigidezze calcolo il nuovo baricentro delle rigidezze
Step 2.5. Conseguentemente valuto ρyi e ρxk ;
Step 2.6. Determino i valori di δ’yi e δ’xk ;
Step 2.7. Valuto l’errore confrontando i δyi/δxk e i δ’yi/δ’xk e correggo ϕ fino a
convergenza.
Step 3. Noto ϕ e quindi δyi e δxk si valutano per ogni setto i corrispondenti valori
delle azioni taglianti resistenti:
Fyi = k yi ⋅ v R ⋅ ρ yi
Pag. 246 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fxk = k xk ⋅ v R ⋅ ρ xk
Step 4. Si determina il valore della resistenza corrispondente a vR mediante la
somma delle Fyi.
Nel caso dell’edificio, a differenza della singola parete, non è significativa la
rappresentazione Fi-δi relativi ai singoli maschi in quanto l’effetto della rotazione
dell’impalcato fa dipendere il legame Fi-δi dal valore della rotazione stessa. Pertanto, è
conveniente rappresentare il legame tra lo spostamento del baricentro delle rigidezze e la
forza reattiva così come valutati nell’algoritmo precedente (Fig.5.13).
Si osserva che non sempre il raggiungimento dello spostamento ultimo in un pimo
setto corrisponde alla determinazione della resistenza ultima dell’edificio in quanto in taluni
casi, dopo il collasso di un maschio, sebbene si registri una riduzione di resistenza
complessiva dell’edificio, i residui maschi murari potrebbero essere sufficientemente
lontani dalla condizione di collasso da permettere un ulteriore incremento della resistenza
complessiva sfruttando le risorse di resistenza dei maschi ancora in campo elastico.
Con l’algoritmo descritto è possibile costruire una curva tagliante di piano-
spostamento di piano. Allo scopo di effettuare la verifica statica non lineare semplificata
dell’edificio nel rispetto delle NTC2008, occorre valutare una curva di comportamento
globale dell’edificio che correli il tagliante alla base con lo spostamento di un punto di
riferimento dell’impalcato di copertura.
Considerando quale punto di riferimento il baricentro delle rigidezze dell’impalcato
di copertura e assumendo quale ipotesi semplificativa che i baricentri delle rigidezze dei
diversi impalcati siano allineati in verticale, è possibile estendere anche agli edifici il
metodo semplificato introdotto nel paragrafo 4.4.1.1 per la valutazione della curva
pushover dell’intera parete.
In particolare, una volta costruite le curve pushover dei singoli piani come descritto
precedentemente, alla stessa stregua dell’analisi della singola parete, occorre scalare
ciascuna curva di piano in modo da correlare lo spostamento relativo di piano non al valore
Forza
reattiva

O Spostamento Spostamento (mm)


corrispondente
ad Fmax.y del baricentro di piano

Fig. 5.13: Legame Forza reattiva – Spostamento baricentro di piano


Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 247

del tagliante di piano ma al corrispondente valore del tagliante alla base. Riportando,
quindi, in un grafico Tagliante alla base-Spostamento relativo di piano tutte le curve
pushover dei piani che compongono la parete, opportunamente scalate dividendo le
ordinate per i corrispondenti fattori di scala dei vari piani, è possibile ottenere la curva
Tagliante alla base-Spostamento totale del baricentro delle rigidezze dell’impalcato di
copertura associando ad ogni valore del Tagliante alla base lo spostamento ottenuto dalla
somma degli spostamenti relativi di tutti i piani.

5.4 Applicazione numerica: analisi statica non lineare

5.4.1 Introduzione
Nel seguito, viene presentata l’analisi statica non lineare dell’edificio in muratura già
oggetto di applicazioni numeriche nei capitoli 3 e 4. In particolare, verrà esaminato sia il
caso di impalcati deformabili sia il caso di impalcati infinitamente rigidi. Nel primo caso, la
verifica complessiva dell’edificio consiste nella verifica delle singole pareti ciascuna
soggetta ai carichi verticali ed alle masse che le competono. Tale verifica, nel seguito, verrà
effettuata applicando il modello semplificato di analisi per singoli piani. Nel secondo caso,
invece, l’infinita rigidezza dell’impalcato consente di ripartire le azioni orizzontali tra i vari
maschi sulla base delle loro rigidezze iniziali, se sono in campo elastico, o delle loro
rigidezze secanti se sono in campo plastico per cui per la verifica è necessario procedere
all’analisi globale dell’edificio. Si adotterà nel seguito per tale verifica, un modello più
accurato a telaio equivalente.

5.4.2 Verifica dell’edificio nell’ipotesi di impalcato deformabile con


modello semplificato shear-type
A scopo esemplificativo, nell’ipotesi di impalcato deformabile, nel seguito viene effettuata
la verifica della parete nord del fabbricato, già oggetto di analisi nei capitoli 3 e 4. In
particolare, per tale parete è stata già ricavata la curva tagliante alla base-spostamento in
sommità sia per la distribuzione delle azioni orizzontali affini alla prima forma modale sia
per la distribuzione delle azioni affini alle masse (§4.5). Per effettuare la verifica in termini
di duttilità, nei due casi considerati, è necessario seguire la procedura proposta dalla
normativa italiana ispirata al metodo N2.

Analisi modale
Bisogna dapprima determinare le frequenze proprie e i modi di vibrare della struttura a
partire dalla risoluzione del seguente determinante, soluzione del problema di autovalori
rappresentativo del comportamento nel caso di sistema non smorzato in oscillazione libera:
Pag. 248 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

det( K − Mω n ) = 0
2

dove K e M sono la matrice delle rigidezze e delle masse della struttura e ωn sono le n
frequenze proprie di vibrazione della struttura esaminata. Le matrici K e M assumono
nel caso esaminato la seguente forma (la matrice delle rigidezze è espressa per congruenza
con le unità di misura di masse e frequenze in N/m):

⎡k + k − k2 ⎤ ⎡ 814788 −342988⎤ ⎡53918 0 ⎤


K =⎢ 1 2 ⎥ = 103 ⋅ ⎢ M =⎢
⎣ −k2 k2 ⎦ ⎥
⎣ −342988 342988 ⎦ ⎣ 0 45640⎥⎦

da cui si ottengono le frequenze e periodi propri di vibrazione:


ω1 = 58.52rad / s ⇒ T1 = = 0.107 sec
ω1

ω2 = 138.57rad / s ⇒ T2 = = 0.045sec
ω2
La risoluzione del sistema omogeneo abbinato al problema di autovalori ed
autovettori precedentemente definito fornisce le forme modali corrispondenti alle frequenze
proprie di vibrazione fissando un parametro:

ϕ T 1 = [ 0.54 , 1]
ϕ T 2 = [ −1.56 , 1]
Sulla base dei risultati ottenuti è possibile valutare il fattore di partecipazione e la
massa partecipante della prima forma modale, necessari a trasformare la curva di pushover
trovata nel sistema SDOF equivalente modellato dalla normativa:

Γ1 = ∑ m Φ = 70442 = 1.217
i i

∑ m Φ 57049
i i
2

m1* = ∑ ( m ⋅Φ ) = 74988kg
i i

Verifica Pushover per la distribuzione affine al 1° modo


A partire dai risultati ottenuti nel capitolo precedente, a questo punto, è possibile ottenere
un sistema SDOF equivalente che rappresenti il comportamento dell’intera parete. Questa
operazione si esegue valutando la rigidezza iniziale k*, lo spostamento ultimo e
determinando una curva bilineare equivalente per uguaglianza delle aree. Nel caso
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 249

considerato i parametri rappresentativi del comportamento del sistema SDOF equivalente


sono i seguenti:

k * = 254825 kg / cm ⇒ 254,8 ⋅106 N / m


m* = ∑ ( mi ⋅Φ i ) = 74988kg
Fy* = 41701kg
m*
T = 2π
*
= 0.108sec
k*
Noto il periodo proprio dell’oscillatore semplice equivalente è possibile derivare la
domanda di spostamento sulla struttura, secondo le seguenti relazioni proposte dalla NTC
2008:
T * = 0.108sec ⇒ Se T * = 0,542 g ( )
d e*,max ⎡ T ⎤
T * < Tc ⇒ d max
*
= *
q ⎣ ⎢ ( )
1 + q* − 1 c* ⎥
T ⎦

q =
*
Se T * ⋅ m* ( ) =
0.542 ⋅ 74988
= 0.975 < 1 ⇒ d max
*
= de*,max
*
F y 41701

Pushover - 1° modo
60000

50000

40000
V1 [daN]

Pushover 1° modo
30000
SDOF Equivalente

20000

10000

0
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7

δ2 [cm]

Fig. 5.14: Curva di capacità della parete e del sistema SDOF equivalente
Pag. 250 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

q* =
( )
Se T * ⋅ m*
=
0.542 ⋅ 74988
= 0.975 < 1 ⇒ d max
*
= de*,max
Fy* 41701

*
d max = de*,max =
( ) = 0.542 ⋅ g = 0.155cm
Se T *
ω12 58.522

d max = Γ 1 ⋅ d max
*
= 1.217 ⋅ 0.155 = 0.189cm
La verifica in termini di spostamenti, come riportato in Fig. 5.15, risulta ampiamente
soddisfatta.

Verifica Pushover per la distribuzione affine alle masse


A partire dai risultati ottenuti nel capitolo precedente, anche in questo caso è possibile
ottenere un sistema SDOF equivalente che rappresenti il comportamento dell’intera parete
nella caso in cui le azioni orizzontali abbiano una distribuzione costante in altezza. Nel caso
considerato i parametri rappresentativi del comportamento del sistema SDOF equivalente
sono i seguenti:

Pushover 1° modo - Verifica


60000

50000

40000
V1 [daN]

30000

Pushover 1° modo

20000
Domanda di spostamento

10000

0
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7

δ2 [cm]

Fig. 5.15: Verifica in termini di spostamento per la distribuzione affine al 1° modo


Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 251

k * = 289447 kg / cm ⇒ 289, 4 ⋅106 N / m


m* = ∑ ( mi ⋅Φ i ) = 74988kg
Fy* = 50505kg
m*
T * = 2π = 0.101sec
k*
A questo punto, noto il periodo proprio dell’oscillatore semplice equivalente è possibile
derivare la domanda di spostamento sulla struttura, secondo le seguenti relazioni proposte
dalla NTC 2008:

T * = 0.101sec ⇒ Se T * = 0,525 g ( )
d e*,max ⎡ T ⎤
T * < Tc ⇒ d max
*
= * ⎢1 + ( q* − 1) c* ⎥
q ⎣ T ⎦

q =
*
Se T * ⋅ m* ( ) =
0.525 ⋅ 74988
= 0.780 < 1 ⇒ d max
*
= d e*,max
*
F y 50505

Pushover - Masse
70000

60000

50000

40000
V1 [daN]

Pushover masse
SDOF Equivalente
30000

20000

10000

0
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8

δ2 [cm]

Fig. 5.16: Curva di capacità della parete e del sistema SDOF equivalente
Pag. 252 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

d *
=d *
=
( ) = 0.525 ⋅ g = 0.150cm
Se T *
max e ,max
ω12 58.522
d max = Γ 1 ⋅ d max
*
= 1.217 ⋅ 0.150 = 0.183cm

La verifica in termini di spostamenti, come si evince dalla Fig. 5.17, anche in questo caso è
soddisfatta.
Pushover Masse - Verifica
70000

60000

50000

40000
V1 [daN]

30000
Pushover masse
Domanda di spostamento
20000

10000

0
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8

δ2 [cm]
Fig. 5.17: Verifica in termini di spostamento

5.4.3 Verifica dell’edificio nell’ipotesi di impalcato infinitamente rigido


con modello a telaio equivalente

5.4.3.1 Determinazione delle azioni sismiche globali


L’ipotesi che viene introdotta nella presente analisi consiste nella presenza di un impalcato
infinitamente rigido e nel soddisfacimento da parte dei maschi della verifica per azioni fuori
piano. Con riferimento all’edificio in esame, ciò potrebbe corrispondere alla situazione
dell’edifico a valle di una prima serie di interventi finalizzati proprio alla realizzazione di
un impalcato infinitamente rigido nel suo piano e all’adeguamento dell’edificio nei
confronti delle azioni fuori piano sui maschi murari. La descrizione e le modalità di
progetto degli interventi a ciò finalizzati sarà oggetto di successivi capitoli.
Nelle Fig.5.18 e Fig.5.19, vengono riportati i maschi murari considerati nell’analisi,
mentre in Fig.5.20 viene schematicamente indicata la suddivisione delle masse considerate
afferenti ai singoli impalcati.
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 253

PIANO TERRA
1y 2y 3y 4y
2 1 2.8 0.8 5.15 0.8 2.8 1 2

A
11X 12X 13X 14X 15X 3x

5Y 7Y
10Y
3.6

3Y
1.2

2Y 9Y
10

7X 8X 9X 10X 2x
1.8
2.5

4Y 6Y

y 1Y
1X 3X 5X 6X 8Y
2X 4X
1.1

1x
0 x
A

0.8 2.5 1.25 2.5 1.5 1.25 1.5 2.5 1.25 2.5 0.8

18.35

Fig. 5.18: Individuazione dei maschi murari al piano terra


PIANO PRIMO
1y' 2y' 3y' 4y'

2 1 2.8 1 1.78 1.2 1.77 1 2.8 1 2


A

10X' 11X' 14X' 15X' 3x'


12X' 13X'
3Y'
12Y'
3.8

6Y' 9Y'
0.8

2Y' 11Y'
6X' 7X' 8X' 9X' 2x'
2.65
1.2

4Y' 7Y'

y' 1Y'
1.75

1X' 2X' 3X' 4X' 5X' 10Y'1x'

0 x'
A

0.8 1.2 3.85 1.2 4.25 1.2 3.85 1.2 0.8

Fig. 5.19: Individuazione dei maschi murari al piano primo


Pag. 254 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Nel caso degli edifici in muratura, l’incidenza delle pareti murarie nel calcolo delle
masse è significativa. Il primo passo nell’analisi sismica, dopo aver rilevato la geometria e
l’ubicazione dei setti murari, consiste nella definizione dei pesi sismici relativi ai vari
impalcati. A tal fine, con riferimento ai maschi indicati nella Fig.518 e Fig.5.19, si procede
al calcolo dei pesi che competono ai vari impalcati, come di seguito riportato.
• Aliquota dei maschi sottostanti per il calcolo di W1:
Si va a moltiplicare l’area dei maschi murari per il peso specifico (γ = 1900m3) e per
l’altezza in esame (h = 1,65m) come riportato in Tab.5.1.

Tab. 5.1: Pesi dei maschi del piano terra


Maschio Area [mq] Peso [daN]
1x e 6x 2*0,32 2*1003
2x e 5x 2*0,50 2*1567
3x e 4x 2*0,60 2*1881
7x e 10x 2*1,36 2*4264
8x e 9x 2*1,15 2*3611
11x e 13x 2*0,8 2*2508
12x e 14x 2*1,12 2*3511
13x 2,06 6458
1y e 8y 2*0,28 2*878
2y e 9y 2*0,56 2*1756
3y e 10y 2*1,28 2*4013
4y e 6y 2*1,52 2*4765
5y e 7y *1,72 2*5392
W1a Î Σ=76756
5.95 4.25

3.00 2.14

W3
0.75 0.75

0.4

W2
1.65
Z3=8.5

1.65

W1
Z2=6.6

1.65
Z1=3.3

1.65

Fig. 5.20: Legame Forza reattiva – Spostamento baricentro di piano


Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 255

• Aliquota dei maschi sovrastanti per il calcolo di W1 e dei maschi sottostanti per W2.
Analogamente, in Tab.5.2 sono riportati i pesi dei maschi per il caloclo di W1 e W2.
Tab. 5.2: Pesi dei maschi del primo piano
Maschio Area [mq] Peso [daN]
1x e 5x 2*0,24 2*752
2x e45x 2*1,16 2*3621
3x 1,27 3997
6x e 9x 2*1,02 2*3198
7x e 8x 2*1,16 2*3649
10x e 15x 2*0,60 2*1881
11x e 14x 2*0,84 2*2633
12x e 13x 2*0,53 2*1674
1y e 10y 2*0,43 2*1364
2y e 11y 2*0,71 2*2210
3y e 12y 2*1,05 2*3292
4y e 7y 2*0,93 2*2916
6y e 9y 2*1,32 2*4138
W1b=W2aÎ Σ=66653
• Aliquota dei maschi sovrastanti per il calcolo di W2:
Occorre per questa aliquota distinguere i maschi murari paralleli alla falda della copertura
inclinata, per i quali bisogna tener conto del loro profilo trapezoidale da quelli ortogonali
alla falda inclinata che invece sono caratterizzati da un un profilo rettangolare. Il peso del
generico maschio murario inclinato lungo la falda risulta:

⎛ 2,95 ⋅ 0, 75 2,11 ⋅ 0, 75 ⎞
Wmaschio = 1900 ⋅ 0,30 ⋅ ⎜ 0, 4 ⋅10, 2 + + + 0, 75 ⋅ 5,14 ⎟ = 5604 daN
⎝ 2 2 ⎠
mentre il peso del generico maschio in direzione ortogonale alla falda di copertura è pari a:
Wmaschio,centrale = 1900 ⋅ 0,95 (18,35 ⋅ 0,30 ) = 9936daN
Wmaschio,laterale = 1900 ⋅ 0, 4 (18,35 ⋅ 0,30 ) = 4184daN

Pertanto, è possibile ottenere il contributo complessivo, considerando che si hanno 4


maschi nella direzione della falda e 2 maschi di estremità nella direzione ortogonale:
W2b = 4 ⋅ 5604 + 2 ⋅ 4184 + 9936 = 52224 daN

• Aliquota dei maschi sovrastanti per il calcolo di W3:

In questo caso, bisogna considerare la parte superiore dei maschi murari paralleli alla falda
inclinata del tetto di copertura e, per quanto concerne i maschi in direzione ortogonale,
Pag. 256 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

occorre considerare esclusivamente il contributo del muro di spina. Il peso del generico
maschio murario inclinato lungo la falda risulta:

⎛ 5,14 ⋅ 0, 75 ⎞
Wmaschio = 1900 ⋅ 0,30 ⎜ ⎟ = 1099daN
⎝ 2 ⎠
mentre il peso del generico maschio centrale in direzione ortogonale alla falda di copertura
è pari a:
Wmaschio = 1900 ⋅ 0,95 (18,35 ⋅ 0,30 ) = 9936daN

Pertanto, il contributo complessivo, considerando che si hanno 4 maschi nella direzione


della falda, risulta:
W3 = 9936 + 4 ⋅1099 = 14332 daN

Considerando gli ulteriori carichi permanenti derivanti dai solai e quelli accidentali
di impalcato e combinandoli come di seguito indicato, sono stati ottenuti i valori dei pesi
sismici riportati in Tab.5.3.
(E)
W1 = Gk1 + 0,3 ⋅ 0,5 Qk1
Gk1 = Pimpalcato1 + W1a + W1b

(E)
W2 = Gk 2 + 0,3 ⋅ 0,5 Qk 2
Gk 2 = Pimpalcato 2 + W2 a + W2b

(E)
W3 = Gk 3 + 1 ⋅ 0, 2 Qk1
Gk 3 = Pimpalcato 3 + W3

Una volta valutati i pesi sismici Wi, è possibile calcolare anche le azioni orizzontali
equivalenti di impalcato ottenendo i valori delle azioni orizzontali riportate in Tab.5.4 ed un
tagliante sismico alla base pari a:
2,5 ⋅1, 25 ⎛ (E) ⎞
3
Fh = 0, 25

1,5 ⎝ i =1 ∑
⎜ Wi ⎟ = 211618daN


Tab. 5.3: Pesi sismici

Impalcato Pimpalcato,i [daN] Qki [daN] Wi(E) [daN]


1 39555 31644 182964
2 43978 35182 168132
3 34843 16871 55080
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 257

Tab. 5.4: Azioni sismiche

Impalcato Wi(E) [daN] zi [m] γi Fi [daN]


1 182964 3,30 0,277 58618
2 168132 6,60 0,509 107714
3 55080 8,50 0,214 45286

5.4.3.2 Verifica agli spostamenti con il metodo a telaio equivalente


(modello 3MURI)
In accordo con le normative sismiche più recenti (OPCM 3274 e NTC2008), la verifica
globale dell’edificio può essere effettuata costruendo la “curva di capacità” dell’intera
struttura con un modello a telaio equivalente. Note le caratteristiche intrinseche della
struttura in esame, cogliendo quindi il comportamento inelastico della stessa anche nel
ramo degradante, è possibile effettuare la verifica come indicato nel paragrafo 5.3 con
riferimento all’analisi statica non lineare. In Fig. 5.18 è riportato lo schema utilizzato per
l’edificio considerato e in Fig. 5.19 la mesh con l’indicazione degli elementi maschio,
fascia e nodo rigido. In particolare, in Fig. 5.20 viene rappresentata la mesh relativa alla
parete nord esaminata anche nell’ipotesi di impalcato deformabile.

Fig. 5.18: Schema dell’edificio con il programma 3muri


Pag. 258 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 5.19: Mesh dell’edificio

Fig. 5.20: Mesh della parete nord dell’edificio

Il metodo di analisi, come già sottolineato, consiste di fatto nell’applicazione di due


sistemi di forze alternativi, uno proporzionale alle masse, ed uno affine al primo modo di
vibrare, incrementando il moltiplicatore di queste due distribuzioni fino al collasso del
sistema. Il legame forza-spostamento determinato è usualmente dato dalla combinazione di
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 259

tagliante alla base e spostamento di un punto di controllo (generalmente il baricentro delle


masse dell’ultimo impalcato).
L’imposizione di questi due sistemi di forze, in generale per un edificio non
simmetrico comporta otto combinazioni di carico (+X,-X,+Y,-Y).
Nel programma di calcolo 3Muri, la costruzione della curva di capacità e la
determinazione della domanda di spostamenti viene effettuata in accordo con quanto
previsto dalle NTC2008, con riferimento allo stato limite ultimo. La verifica viene condotta
imponendo che allo SLU la domanda di spostamento non superi la capacità.
In Fig. 5.21 è riportata la sintesi dei risultati delle verifiche. L’output evidenzia una
situazione ricorrente nelle verifiche di edifici in muratura, ovvero la maggior gravità nelle
verifiche dello SLU rispetto allo SLD. Tutte le verifiche condotte per le condizioni di
esercizio risultano soddisfatte; difatti data la grande rigidezza del sistema la domanda di
spostamenti in condizioni di sisma di progetto ordinario risulta limitata, a differenza di ciò
che accade per sismi con periodi di ritorno più elevati.
Le verifiche nei confronti dello SLU mostrano invece una deficienza della struttura
nella direzione Y. In particolare, la combinazione di carico più svantaggiosa è risultata la
combinazione in direzione Y con distribuzioni di forze affini al primo modo ed in assenza
di eccentricità. Per tale combinazione di carico si è avuto un valore del rapporto tra capacità
e domanda in termini di spostamento pari a 0.672 (Fig. 5.21). In relazione a tale verifica, in
Fig. 5.22 viene mostrata la curva pushover dell’edificio in direzione Y con la
determinazione dello spostamento ultimo che la struttura è in grado di sostenere.

Fig. 5.21: Output dell’analisi Pushover


Pag. 260 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Osservando in generale lo stato di sollecitazione degli elementi che compongono le


pareti, ovvero fasce e maschi, nella combinazione di carico per sisma in direzione Y, è
possibile riscontrare un significativo impegno plastico delle fasce di piano con rottura dei
maschi per taglio come rappresentato in Fig. 5.23, dove viene mostrata la condizione dei
maschi e delle fasce per la combinazione di carico affine al primo modo, per sisma in
direzione –Y senza eccentricità.

Fig. 5.22: Curva pushover relativa all’analisi: sisma –Y, distrib. 1° modo, ecc=0.0.

Fig. 5.23: Combinazione sisma –Y, distrib. 1° modo, ecc=0.0 all’ultimo step
Capitolo 5: Analisi sismica degli edifici in muratura Pag. 261

In direzione X, invece, l’edificio soddisfa tutte le verifiche anche allo SLU. Con
riferimento alla combinazione di carico più gravosa in tale direzione (sisma –X, distrib.
affine alle masse, ecc=0.0), in Fig. 5.24 viene riportata la curva pushover con l’indicazione
sia della domanda che della capacità della struttura in termini di spostamento. Per tale
combinazione di carico si ha un fattore di sicurezza pari a 1.048.
Esaminando in particolare la parete nord in direzione X, già oggetto di verifica
nell’ipotesi di impalcato deformabile, l’analisi a telaio equivalente ha fornito la condizione
di sollecitazione di maschi e fasce rappresentata in Fig. 5.25. Si nota il forte impegno
plastico delle fasce di piano che porta in qualche caso anche alla rottura.
In definitiva la verifica preintervento effettuata con il 3Muri ha mostrato
un’insufficienza dell’edificio evidenziando l’opportunità di intervenire mediante il rinforzo
delle fasce di piano ed il rinforzo a taglio dei maschi murari.

Fig. 5.24: Curva pushover relativa all’analisi: sisma –X, distrib. masse, ecc=0.0.

Fig. 5.25: Combinazione sisma –X, distrib. masse, ecc=0.0 all’ultimo step
Pag. 262 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria
Capitolo 6

ARCHI, VOLTE E CUPOLE

6.1 L’arco

6.1.1 Introduzione
“Tra la linea verticale che sulla scena dell’architettura è rappresentata dal pilastro e la sua
contrapposta, l’orizzontale, interpretata dalla trave, c’è qualcosa di intermedio che, senza
l’assolutezza delle linee rette, cerca di conciliare i due opposti e di condurre dolcemente il
carico a terra lungo una curva. Questo qualcosa di intermedio è l’arco; quello
semplicemente compresso, inteso come linea delle successive risultanti dei carichi verticali
deviati progressivamente per arrivare a terra” (Carbonara, 1997).
L’arco è una struttura delimitata superiormente ed inferiormente da due superfici
curve, dette rispettivamente estradosso ed intradosso, e lateralmente da due piani, detti piani
frontali (Fig.6.1). Poggia, tramite le superfici d’imposta, su due pilastri o colonne, detti
piedritti.

Fig. 6.1: Elementi costitutivi dell’arco [5]


Pag. 264 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

In funzione del rapporto tra la freccia, detta anche monta, (f) e la semicorda (l/2
chiamata sesto), si può avere l’arco a tutto sesto, se tale rapporto è pari ad uno, e l’arco a
sesto ribassato o quello a sesto acuto a seconda che il rapporto sia minore o maggiore di
uno (Fig. 6.2).
Nella Fig.6.1 è schematizzato un arco con i suoi elementi costitutivi e la
terminologia comunemente adottata per individuarne le varie parti.
• Asse: linea mediana dell’arco.
• Altezza: l’altezza dell’arco è la dimensione perpendicolare alla tangente all’asse
dell’arco.
• Chiave: punto più alto dell’arco.
• Estradosso: linea che delimita esternamente i punti dell’arco.
• Intradosso: linea che delimita interiormente i punti dell’arco. Linea intersezione
del soffitto con il piano che contiene l’asse dell’arco.
• Imposta: sezione in cui l’arco si appoggia alla spalla.
• Linea di appoggio: per archi di piccola luce è la linea dove il soffitto interseca la
sezione di imposta. Per archi di luce maggiore è l’intersezione dell’imposta con
l’asse dell’arco.
• Luce: dimensione orizzontale tra le due spalle. Per archi di piccola luce si utilizza
la luce netta dell’apertura (S), per archi di grande luce (parabolici) la distanza tra i
due punti intersezione dell’asse con la sezione d’imposta (L).

f
f 1 f >1
l/2
= <1
l/2 l/2 f
f f
l l l
(a) (b) (c)
Fig. 6.2: Arco a tutto sesto (a); Arco a sesto ribassato (b); Arco a sesto acuto (c)

Fig. 6.3: Arco a tutto sesto (a); Arco a sesto ribassato (b)
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 265

• Monta: per archi di piccola luce la massima altezza del soffitto rispetto alla linea
di appoggio. Per archi di luce maggiore la massima altezza dell’asse rispetto alla
linea di appoggio.
• Concio: unità di muratura a forma di cuneo che genera l’anello dell’arco.
Fra i numerosissimi tipi di archi, si riportano nelle Fig. 6.3, Fig.6.4 e Fig.6.5 quelli
di maggiore diffusione.

Fig. 6.4: Arco a sesto acuto (c); Arco policentrico (d)

Fig. 6.5: Arco a sesto ellittico (e); Arco rampante (f); Arco zoppo (g)
Pag. 266 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

6.1.2 Statica dell’arco


In analogia con la più semplice è più antica forma di costruzione “il trilite”, si potrebbe
pensare l’arco come costituito da soli tre elementi, due piedritti e un traverso. I piedritti non
sono semplicemente compressi ma ricevono anche una spinta orizzontale, che tende a
ribaltarli verso l’esterno.
Per evitare questo ribaltamento, è necessario che il piedritto sia pesante, cosicché
spinta e peso, composti fra loro vettorialmente, arrivino a terra entro il terzo medio della
base del piedritto (Fig.6.6).
Nella realtà una struttura ad arco costituita da tre soli elementi non esiste e l’arco,
con i suoi piedritti, è sempre formato da più conci.
La geometria d’asse, per la struttura ad arco, rappresenta un elemento essenziale
come per nessun altro tipo strutturale, dato che, proprio dalla sua geometria, dipende il
modo col quale l’arco sopporta i suoi carichi. Ogni arco pertanto, con riferimento ai soli
carichi verticali, è caratterizzato da una sua curva di riferimento, che è la linea delle
successive risultanti, cui quella d’asse dovrebbe avvicinarsi al massimo.

Fig. 6.6: Composizione della spinta con il peso del piedritto


Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 267

Fig. 6.7: Curva di pressione dell’arco

La linea delle successive risultanti, o curva delle pressioni, deriva dalla


configurazione dei carichi che gravano sull’arco, pesi propri e sovraccarichi. Se la
geometria d’asse dell’arco coincidesse perfettamente con quella delle pressioni, l’arco
sarebbe sempre e solo compresso; più se ne discosta più la risultante dei carichi che
sollecita le singole sezioni dell’arco si discosterà dal loro baricentro e si inclinerà rispetto
alla perpendicolare condotta per il piano della sezione stessa (Fig.6.7).
Il primo studioso che tentò di dare una formulazione analitica al comportamento
dell’arco fu Robert Hooke, che nel 1675 giunse all’importante conclusione che la forma
ideale da dare all’arco affinché questo stia in piedi sotto il peso proprio è quella della
cosiddetta catenaria inversa, ossia la forma capovolta che assume un cavo inestensibile e
perfettamente flessibile, quando sospeso per le estremità è lasciato deformarsi liberamente
sotto l’azione della sola forza peso.
Più tardi a dare una formulazione matematica fu l’inglese David Gregory (1661-
1708) il quale riuscì a determinare matematicamente la forma di una catena appesa; un
passo molto significativo della sua pubblicazione in merito dice (dalla traduzione dal latino
all’inglese Ware):
“In un piano verticale, ma in una situazione invertita, la catena conserva la sua
figura senza cadere, costituendo un vero arco sottile o Fornice; cioè sfere infinitamente
rigide e lisce disposte nella forma di una catenaria invertita, formeranno un arco; nessuna
di quelle sfere sarà spinta all’esterno o all’interno dalle altre… . Soltanto la catenaria è la
forma del Fornice, o meglio di un arco veramente funzionante”
L’autore della traduzione Ware, nel voler meglio chiarire tale concetto aggiunge:
“E se un arco di forma diversa si sostiene, è perché il suo spessore include qualche
catenaria”.
Infatti il cavo sospeso è soggetto al solo sforzo normale di trazione, per cui la sua
configurazione deformata coincide con la linea delle pressioni, cioè con quella linea che
individua sezione per sezione la posizione del punto di applicazione dello sforzo interno in
Pag. 268 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

corrispondenza dei carichi assegnati. L’equazione della catenaria è quindi, a meno di un


parametro, l’equazione della generica linea delle pressioni relativa ad un carico distribuito
lungo la catenaria stessa. Facendo variare il parametro si ottengono le infinite linee delle
pressioni in equilibrio con il particolare carico assegnato. Ora se l’asse dell’arco e sagomato
lungo la catenaria, il peso proprio dell’arco sarà distribuito in maniera identica al caso del
cavo sospeso, per cui anche in questo caso la catenaria rappresenta l’equazione della
generica linea delle pressioni in equilibrio con il peso proprio dell’arco.
Fissato un sistema di riferimento ed assegnato il parametro a = H / q , con H sforzo
nella sezione a tangente orizzontale e q il carico uniformemente distribuito, l’equazione
della catenaria è (Fig. 6.8):
⎛x⎞
y = a ⋅ cosh⎜ ⎟ (6.1)
⎝a⎠
Se l’arco viene costruito in modo che questa sia anche la sua linea media ed il suo
spessore è “t”, l’equazione dell’intradosso e dell’estradosso sono rispettivamente:
⎛ ⎞
⎜ x ⎟
⎛ t⎞
yint = ⎜ a + ⎟ ⋅ cosh ⎜ ⎟ (6.2)
⎝ 2⎠ ⎜a+ t ⎟
⎜ ⎟
⎝ 2⎠

Yext

Yint

Fig. 6.8: Sistema di riferimento


Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 269

⎛ ⎞
⎜ x ⎟
⎛ t⎞
yext = ⎜ a − ⎟ ⋅ cosh ⎜ ⎟ (6.3)
⎝ 2⎠ ⎜a− t ⎟
⎜ ⎟
⎝ 2⎠
L’equazione della generica linea delle pressioni è invece:

⎛ x ⎞
y Lin.Press = (a + s ) ⋅ cosh ⎜ ⎟ (6.4)
⎝a+s⎠
dove “s” deve essere tale che la spinta cada internamente a ciascuna sezione d’imposta, per
cui deve essere :
t t
− <s< (6.5)
2 2
Il metodo della catenaria può essere usato in prima approssimazione anche per
forme generiche di arco: infatti se la catenaria, di lunghezza pari alla lunghezza della linea
mediana dell’arco, può essere contenuta entro il profilo della muratura, allora la
distribuzione del peso non si discosterà molto da quella del cavo sospeso, per cui la linea
delle pressioni potrà essere assimilata alla catenaria e si ricadrà nel caso precedente
dell’arco ideale.
Occorre fare alcune precisazioni sulla geometria dell’arco. Si assume quale giunto
d’imposta quello che forma un angolo di 30° con l’orizzontale, considerando che la parte
sottostante tale giunto sia parte del piedritto in quanto, per un angolo d’attrito delle
murature (φ≅30°), tale parte si autosostiene.
E ciò tenendo presente che la costruzione dell’arco è avvenuta formando le parti
curve, immediatamente superiori al piano d’imposta orizzontale disponendo i conci senza
l’ausilio di centine, in quanto questi si mantengono in equilibrio per effetto dell’attrito.
I piani obliqui, che delimitano la posizione al di là della quale è richiesta la centina
per proseguire la costruzione dell’arco, costituiscono i piani d’imposta effettivi (Fig. 6.9)
dell’arco e vengono anche detti “Reni dell’arco”.
La stabilità degli archi, come per le altre strutture, richiede prima la risoluzione
dell’equilibrio esterno per la determinazione delle reazioni vincolari, poi quella
dell’equilibrio interno per la determinazione delle sollecitazioni nelle varie sezioni.
Tuttavia, poiché generalmente l’arco non è una struttura isostatica, la risoluzione del suo
equilibrio esterno richiede l’introduzione di alcune semplificazioni per poter essere
condotta in modo agevole e facilmente applicabile. Per far ciò è possibile seguire due vie:
una di tipo grafica e l’altra di tipo analitica.
Pag. 270 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Imposta
effettiva

Fig. 6.9: Reni dell’arco

6.1.3 Metodo grafico


Per procedere alla verifica dell’arco si considera il suo comportamento allo stato limite, al
di là del quale nascono le lesioni per l’insorgere di trazione in alcune sezioni. Gli archi a
tutto sesto con l’aumentare dei carichi dissimetrici che vi gravano possono raggiungere una
condizione di crisi con l’apertura di lesioni come rappresentato in Fig.6.10a con fibre tese
all’intradosso in chiave e all’estradosso alle imposte. In questo caso, la spinta da parte degli
archi si dice attiva.
Tale condizione rappresenta uno stato limite di rottura, che si determina quando si
crea un meccanismo cinematico con il formarsi di cerniere plastiche in numero tale da
rendere labile la struttura dell’arco, struttura che, avendo inizialmente una triplice
iperstaticità, richiede la formazione di quattro cerniere per attingere la labilità (Fig.6.10b).
Per la verifica grafica occorre seguire i seguenti passi:
1) disegno in scala della struttura;
2) determinazione della grandezza delle forze peso (arco e rinfianco), della loro
risultante e della retta di applicazione di quest’ultima;
3) determinazione delle reazioni in chiave e alle reni;
4) curva delle pressioni o curva delle successive risultanti;
5) verifica delle tensioni in tutte le sezioni dell’arco.
Quindi dopo aver disegnato accuratamente la struttura in scala, si procede alla
determinazione delle reazioni e della curva delle pressioni con il metodo di Mery.
Tale metodo consiste nel trovare la curva delle pressioni funicolare ad una data
condizione di carico e la sua posizione nello spessore dell’arco sfruttando le ipotesi di
Navier, imponendone cioè il passaggio per alcuni punti con tangente nota.
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 271

La curva così trovata non corrisponde alla situazione reale, ma, se è interamente
contenuta nel terzo medio, garantisce l’esistenza di almeno uno stato di sforzo staticamente
ammissibile in grado di far fronte ai carichi dati. L’esistenza di tale regime di sforzi
rappresenta una possibilità che la struttura potrà sempre sfruttare qualora non trovi un altro
regime di sforzi, che comporti un minore dispendio di energia.
Si considera l’arco allo stato limite e che l’insorgere delle lesioni abbia creato delle
cerniere e che la curva delle pressioni passi per il terzo medio: allo scopo di massimizzare
la freccia, si considera che la curva delle pressioni passi in chiave per il punto di nocciolo
superiore “Co”, e alle reni, individuate dai piani inclinati di 30°, per quello di nocciolo
inferiore “Ci”.
Si esegue il disegno della sezione di mezzo arco e della relativa struttura sovrastante,
si divide il tratto di arco limitato dalla sezione di chiave e dalla sezione alle reni in un
numero “n” di conci ideali e si innalzano le verticali per i punti di divisione
dell’estradosso.
Calcolati i pesi Pi' di ogni tronco e i pesi Pi'' del relativo solido omogeneo
sovrastante, applicati ai rispettivi baricentri, se ne determinano le singole risultanti Pi le cui
linee di azioni pi possono ottenersi graficamente.
Tracciando il poligono 0,1,2,3,4,5 di dette forze Pi si costruisce un poligono
funicolare ausiliario relativo ad un polo H arbitrariamente scelto e si determina, nella
intersezione del primo ed ultimo suo lato, il punto di applicazione del peso totale R del
mezzo arco e relativa struttura sovrastante.

Fig. 6.10: Meccanismi cinematici dell’arco


Pag. 272 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 6.11: Verifica grafica con il metodo di Mery.

Dall’estremo superiore “Co” del terzo medio della sezione in chiave si traccia una
retta “q” orizzontale, retta di applicazione della spinta “Q”; essa interseca la retta “r” di
applicazione del peso totale “R” nel punto “G”; congiungendo il punto “G” con l’estremo
inferiore di “Ci” del terzo medio della sezione alle reni, si ottiene la retta “s” di
applicazione della risultante “S”. Dal punto “0” del poligono delle forze si traccia una retta
parallela alla spinta “Q”, che è intersecata dalla parallela alla risultante “S” condotta per il
punto “5”, estremo del poligono delle forze, in un punto “H” . Esso determina nel
segmento OH l’intensità della spinta “Q” del semiarco di destra sul semiarco di sinistra e
nel segmento 5 − H l’intensità della risultante “S”.
Il poligono funicolare relativo al polo “H” rappresenta il poligono delle successive
risultanti; ciascuna di queste interseca il relativo giunto nel centro di pressione. Il luogo dei
centri di pressione costituisce la curva delle pressioni che deve risultare tutta compresa tra
le linee di nocciolo delle sezioni verticali del semiarco, in modo che nell’arco non
insorgano sforzi di trazione.
Dopo aver costruito il poligono funicolare, determinate le reazioni in chiave e alle
reni, ed accertato che la curva sia tutta contenuta nel terzo medio della sezione, occorre
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 273

verificare che le tensioni nelle due sezioni di chiave e alle reni anzidette non superino i
valori limite.
Il calcolo del valore della tensione normale agente sulle due sezioni, trattandosi di
sezioni pressoinflesse con risultante sul nocciolo, è pari a:
2N
σ max = ≤ f wk (6.6)
A
dove N coincide con Q in chiave e con la componente di S normale al piano delle reni.
Inoltre, alle reni occorre effettuare anche la verifica nei confronti delle tensioni tangenziali
che nascono per effetto della componente di S parallela al piano delle reni; ovvero:
T
τ= ≤ f vk (6.7)
A

6.1.4 Metodo analitico


Il metodo analitico, allo stesso modo di quello grafico e sotto le stesse ipotesi, considera
metà arco schematizzato come una struttura isostatica semplice, vincolata con un appoggio
e una cerniera (Fig. 6.12): l’appoggio nel punto A, la cerniera nel punto B. Questa struttura
isostatica ideale deve avere come linea d’asse la curva della pressioni, con tangente
orizzontale nel punto A, dov’è il carrello, e con cerniera nel punto B.
Applicando le equazioni della statica alla struttura della Fig. 6.12 si ottiene:
H −Q = 0 Equilibrio alla traslazione lungo x
V −R=0 Equilibrio alla traslazione lungo y (6.8)
Q ⋅ f − R ⋅ d = 0 Equilibrio alla rotazione intorno a B

da cui si trova subito che:


H =Q (6.9)
la quale dimostra che la spinta orizzontale in chiave è uguale a quella alle reni, e:
V =R (6.10)
Inoltre, dalle tre equazioni di equilibrio si ha:
d
Q = R⋅ (6.11)
f

relazione fondamentale per l’arco che lega fra loro il peso e la spinta, attraverso le
caratteristiche geometriche, dell’arco stesso, mostrando che:
• più piccola è la freccia f e più grande sarà la spinta, a parità carico;
Pag. 274 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

• più piccola è la distanza della risultante dalla verticale passante per le reni, d,
ovvero più la risultante dei pesi si avvicina alle reni, e più piccola sarà la spinta, a
parità di carico.
Determinata la spinta H occorre valutare le caratteristiche della sollecitazione M,N,T
nelle varie sezioni.
È proprio la distribuzione delle caratteristiche della sollecitazione lungo l’arco che
giustifica l’origine di tale tipologia strutturale. In generale, infatti, occorre considerare che
la capacità di una qualsiasi struttura di sopportare i carichi ad essa applicati si esplica
essenzialmente con l’insorgere al suo interno di uno stato di sollecitazione in grado di
fronteggiare le caratteristiche della sollecitazione (M, T, N) derivanti dai carichi esterni.
Tale stato di sollecitazione, a parità di ogni altra condizione, dipende per ciascuna struttura
dalla sua geometria e dalla tipologia dei vincoli con cui essa è collegata al suolo o ad altre
strutture.
Si consideri una trave semplicemente appoggiata agli estremi e soggetta ad un
sistema di forze Fi. È noto che il regime di sollecitazione in una struttura siffatta è di tipo
flessionale, e pertanto l’equilibrio elastico è caratterizzato dall’insorgere sulle sezioni rette
della trave di uno stato tensionale che ammette come risultante un momento resistente
interno che equilibra quello esterno Mt (il pedice t indica che ci si riferisce alla trave)
prodotto dai carichi applicati e dalle reazioni vincolari.
d

A Q

f
R

Sy=V S

Sx=H

Fig. 6.12: Schema strutturale dell’arco


Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 275

F1 F2 F3

H A s B

F2
VA F3 VB
F1

H l B
A

VA VB

Fig. 6.13: Confronto Trave-Arco


Si comprende, pertanto, che non volendo superare in nessun punto della sezione il
regime elastico, il momento resistente trova un limite, oltre che nella impossibilità di
sfruttare appieno il materiale soprattutto nella altezza della sezione, che condiziona il
braccio della coppia interna.
Pertanto, fermo restando il momento resistente interno, per aumentare la capacità
portante della struttura occorrerà abbandonare lo schema statico di trave rettilinea
semplicemente appoggiata ed agire sui due fattori che condizionano lo stato di
sollecitazione interna, vale a dire:
• la geometria della struttura;
• i vincoli.
Pag. 276 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Si consideri, pertanto, sulla stessa luce l della trave già esaminata una trave ad asse
curvilineo. Ipotizziamo in un primo momento che tale trave abbia gli stessi vincoli e gli
stessi carichi esterni della trave rettilinea.
Dalla Fig.6.13 si vede chiaramente che, con riferimento alla generica sezione s, il
momento flettente Ma (il pedice a indica che ci si riferisce all’arco) coincide, in assenza di
ogni altro vincolo supplementare, con il momento Mt che si ha nella trave rettilinea
semplicemente appoggiata. Da ciò consegue che l’avere operato su uno solo dei fattori che
condizionano la risposta strutturale, modificando cioè la sola curva d’asse, non ha prodotto
alcun giovamento anzi la curvatura dell’asse della trave ha comportato l’insorgere di una
ulteriore caratteristica della sollecitazione, quella di sforzo normale, accanto a quella di
flessione e taglio. Pensiamo allora di applicare in corrispondenza del carrello di sinistra A
una forza orizzontale H; tale forza può pensarsi come componente orizzontale (spinta)
prodotta da un vincolo che impedisca gli spostamenti orizzontali della sezione d’imposta A
dell’arco. In sostanza si è sostituito al carrello A un vincolo tipo cerniera. Si è così agito
anche sull’altro fattore che determina il comportamento statico della generica struttura ossia
sul sistema di vincoli.
In tal caso, con riferimento alla Fig.6.13 il momento Ma sarà dato da:
Ma = Mt − H ⋅ y (6.12)

dalla quale si deduce che M a < M t ossia il momento flettente nell’arco risulta, a parità di
luce e di carichi, minore di quello che si ha nella trave rettilinea corrispondente.
La relazione precedente può porsi nella seguente forma:
Mt = Ma + H ⋅ y (6.13)
che ci fa capire che il momento di trave viene fronteggiato in parte come momento flettente
interno Ma ed in parte come momento di una coppia H ⋅ y , dipendente dal valore di H della
spinta e dal suo braccio y, funzione della geometria della curva d’asse e non più
condizionato dall’altezza della sezione resistente.
Il regime statico totale dell’arco è caratterizzato in definitiva da un momento
flettente M (≡ Ma), che, per quanto si è detto risulta inferiore a quello della trave rettilinea
corrispondente, da uno sforzo di taglio T e da uno sforzo normale N, caratteristica
quest’ultima che è sempre assente nella trave rettilinea corrispondente.
A questo punto si può pensare, mantenendo la freccia f invariata, in modo da
conservare costante la spinta H, di variare opportunamente la curva d’asse y in modo da
rendere minimo il momento flettente Ma dell’arco.
In particolare si può porre:
Ma = Mt − H ⋅ y = 0 (6.14)
da cui si deduce che per un assegnato sistema di carichi applicati è possibile scegliere la
curva d’asse y in modo da annullare il momento Ma dell’arco. Ciò si verifica quando è
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 277

y = M t / H ossia la curva d’asse è affine al diagramma dei momenti di trave nel rapporto
H.
Un arco così sagomato si dice arco funicolare dei carichi, in quanto la sua curva
d’asse coincide con la funicolare dei carichi, ossia con il poligono delle successive
risultanti. In questo caso essendo M t = H ⋅ y il momento di trave viene equilibrato
soltanto dalla coppia H ⋅ y senza che intervenga alcun momento interno Ma.

6.1.5 Caduta di spinta negli archi deformabili


I risultati dei precedenti paragrafi sono stati determinati senza prendere in considerazione la
deformabilità del materiale, che induce nell’arco un accorciamento della linea d’asse
comportando, di conseguenza, il passaggio dalla configurazione a alla configurazione b,
come mostrato in Fig.6.14.
Questa circostanza, come si dimostra di seguito, produce una diminuzione della
spinta o, come suol dirsi, una caduta di spinta. Infatti, essendo il vincolo in A una cerniera
e non un carrello, al fine di determinare la corrispondente reazione iperstatica dovuta
all’accorciamento dell’arco, nello spirito del metodo delle forze, l’originaria congruenza
uuuur
richiede l’applicazione di una forza ΔH in grado di annullare lo spostamento Δl = AA'
(metodo di Morsch&& o della spinta addizionale, 1906).
Prima di valutare la caduta di spinta, determiniamo la spinta H nel caso di arco non
funicolare. A tale scopo si utilizza il PLV considerando, nel caso più generale, le seguenti
azioni di distorsioni distribuite:

a b

A A' ΔH

Δl
l
Fig. 6.14: Arco deformabile
Pag. 278 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

• λ = traslazione relativa, secondo la tangente ζ all’asse geometrico, tra due sezioni a


distanza unitaria (Fig. 6.15d);
• γ = traslazione relativa, secondo la normale η all’asse geometrico, tra due sezioni a
distanza unitaria (Fig. 6.15e);
• μ = rotazione relativa tra due sezioni a distanza unitaria (Fig. 6.15f).

ζ λds

(a) S N (d)

α η
ds
z T
(e)
y M T
ds γds

S N
Fz M
M N (f)
Fy M
T
(b) (c)

Fig. 6.15: Sistema di riferimento locale e convenzioni


Tali distorsioni sono positive se hanno verso tale da far compiere lavoro positivo alle
corrispondenti caratteristiche della sollecitazione (Fig. 6.15c).
Inoltre, le forze, in senso generalizzato, si assumono positive se rispettano i versi
indicati in Fig. 6.15b e si considera un sistema di riferimento locale, nella generica sezione
S, costituito da un asse normale η e da un asse tangente ζ inclinato rispetto all’asse z
dell’angolo α .
Per l’applicazione del PLV bisogna considerare due schemi, quello degli
spostamenti effettivi [S] (Fig.6.16), che si ottiene quando sulla struttura agiscono i carichi
reali, e lo schema fittizio delle forze (virtuali) [F], quando sulla struttura agisce la sola
incognita con valore unitario.
Con riferimento alla Fig.6.16, si esprimono le caratteristiche della sollecitazione,
rispetto alla terna locale, nella generica sezione S:
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 279

M = Mt − H ⋅ y
N = −Tt senα − Hcosα (6.15)
T = Tt cos α − Hsenα

in cui M t e Tt sono, rispettivamente, il momento ed il taglio della trave corrispondente


nella sezione di uguale coordinata z.
Per quanto riguarda, invece, lo schema [F] delle forze virtuali, basta considerare
ancora la Fig.6.16, ma in cui agisce la sola spinta con valore unitario H = 1.
Chiaramente le sollecitazioni che caratterizzano tale schema si possono facilmente
dedurre dalle (6.15), ponendo pari a zero tutti i contributi relativi alla trave corrispondente:
M ′ = − H ⋅ y = −1 ⋅ y
N ′ = − Hcosα = −1 ⋅ cosα (6.16)
T ′ = − Hsenα = −1 ⋅ senα
La scrittura del PLV porge:
⎛M ⎞ ⎛ N ⎞ ⎛ χT ⎞
1⋅ u A = ∫ M ′ ⎜ − μ ⎟ dS + ∫ N ′ ⎜ − λ ⎟ dS + ∫ T ′ ⎜ − γ ⎟ dS = 0 (6.17)
S ⎝ EI ⎠ S ⎝ EA ⎠ S ⎝ GA ⎠

da cui, sostituendo le espressioni (6.15) e (6.16), si ottiene:

⎛M ⎞ ⎛ Tt senα ⎞ ⎛ χ T cosα ⎞
∫ y ⎜⎝ EIt − μ ⎟⎠ dS − ∫ cos α ⎜⎝ EA
+ λ ⎟ dS + ∫ senα ⎜ t
⎠ ⎝ GA
− γ ⎟ dS

S S S
H= (6.18)
y2 cos 2 α χ sen 2α
∫ EI dS + ∫ EA dS + ∫ GA dS
S S S

Fi Fi
F1 S M S
Fn H Fn
Tt = VA-F1
y α
α
B B
A Tt senα
H H Tt
α
Hsenα Tt cosα α
VB Hcosα VB
VA
(a) (b)

Fig. 6.16: Schemi per l’applicazione del PLV


Pag. 280 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Nella (6.18) il numeratore rappresenta lo spostamento u dovuto a carichi e


distorsioni mentre il termine a denominatore è lo spostamento u dovuto ad una forza
orizzontale unitaria.
A questo punto è possibile determinare la caduta di tensione, con riferimento agli
archi funicolari a due cerniere.
In tal caso, per la (6.14) si verifica:

Ma = Mt − H ∗ ⋅ y = 0 ⇒ Mt = H ∗ ⋅ y (6.19)

avendo indicato con H ∗ la spinta corrispondente alle condizioni di funicolarità (Fig.6.17).


Sfruttando la relazione differenziale tra momento e taglio, si ha:
dM t dy senα
Tt = = H∗ ⋅ = H ∗ ⋅ tan α = H ∗ (6.20)
dz dz cos α
Sostituendo la (6.19) e la (6.20) nella (6.18), supponendo per semplicità rappresentativa che
le distorsioni distribuite siano nulle, si ottiene:

y2 sen 2α χ sen 2α
H∗∫ dS − H ∗ ∫ dS + H ∗ ∫ dS
S
EI S
EA S
GA
H= =
y2 cos 2 α χ sen 2α
∫ EI dS + ∫ EA dS + ∫ GA dS
S S S
(6.21)
⎡ y2 cos 2α χ sen 2α ⎤ dS

H ⎢∫ dS + ∫ dS + ∫ dS ⎥ − H ∗ ∫
⎣⎢ S EI S
EA S
GA ⎥⎦ S
EA
= 2 2 2
y cos α χ sen α
∫ EI dS + ∫ EA dS + ∫ GA dS
S S S

dz
dy
S
y y+dy
α
B
A
H* z z+dz z
y
Fig. 6.17: Condizione di funicolarità
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 281

avendo sfruttato la relazione sen 2α = 1 − cos 2 α nel secondo termine del numeratore.
A questo punto, adottando la seguente posizione:

y2 cos 2 α χ sen 2α
Iz = ∫ dS + ∫ dS + ∫ dS (6.22)
S
EI S
EA S
GA

la (6.21) si trascrive come:


⎛ dS ⎞
H ∗ ⎜ Iz − ∫ ⎟
⎜ EA ⎟⎠ ⎛ 1 dS ⎞ (6.23)
⎝ = H ∗ ⎜1 − ∫ EA ⎟⎟
S
H=
Iz ⎜ Iz
⎝ S ⎠
La differenza:

H∗ dS
ΔH = H ∗ − H = ∫ EA (6.24)
Iz S

è detta caduta di spinta. A causa della sua presenza, il momento nell’arco è diverso da zero
anche quando l’arco è sagomato come funicolare dei carichi verticali. Pertanto, lo stato di
sollecitazione si discosta da quello corrispondente alle condizioni di funicolarità a causa
della deformabilità estensionale.

6.1.6 La verifica dei piedritti


Calcolate le reazioni vincolari, ossia le spinte “Q” ed “S”, occorre verificare il
piedritto sia in elevazione che in fondazione. Come già evidenziato nel paragrafo 6.1.2, una
condizione preliminare che il piedritto deve soddisfare al fine di evitare la fessurazione
della sezione di base è che la risultante delle azioni agenti, ottenuta componendo la spinta
“S” con le forze che esercitano sul piedritto le sovrastanti strutture nonché con il peso del
piedritto stesso (Fig.6.6), ricada alla base entro il terzo medio in modo da avere la sezione
totalmente reagente. Se invece si accetta una parzializzazione della sezione di base occorre
per prima cosa verificare il piedritto al ribaltamento accertando che il momento
stabilizzante dovuto alle azioni verticali ed alla componente verticale della spinta sia
maggiore del momento ribaltante dovuto alla componente orizzontale della spinta.
Il piedritto dovrà essere poi verificato allo slittamento e allo schiacciamento. Tali
verifiche potranno essere condotte impiegando le formulazioni introdotte nel capitolo 4 con
riferimento ai maschi murari per azioni nel piano. Occorre tener presente nelle verifiche che
per lo schiacciamento e il ribaltamento la sezione più pericolosa è quella di base, mentre
per lo slittamento è quella d’imposta.
Pag. 282 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

6.2 Le volte

6.2.1 Introduzione
Uscendo dal piano e passando a considerare lo spazio tratteremo le copertura non piane,
cioè le volte, le quali dal punto di vista della tipologia strutturale, si possono ritenere per la
gran parte estensione dell’arco.
Le volte possono suddividersi in due categorie:
• volte semplici, quelle costituite da superfici appartenenti ad un unico solido
• volte composte, quelle costituite da superfici appartenenti a corpi solidi diversi.
Fra le semplici, la più comune è la volta a botte o cilindrica, che dal punto di vista
geometrico, è una porzione della superficie laterale di un cilindro.
Il perimetro della figura piana che costituisce la base di questo cilindro rappresenta
la direttrice della volta a botte, mentre le rette che formano questa superficie laterale rigata
ne rappresentano le generatrici (Fig. 6.18).
Si definisce rigata quella superficie determinata semplicemente da infinite rette o, in
modo più immediato, quando la tangenza tra la superficie rigata con un qualsiasi piano
produce una retta generatrice.
La figura piana che costituisce la base del cilindro può essere un cerchio, un’ellisse,
una policentrica o altro; di conseguenza la volta a botte potrà essere a tutto sesto, ribassata,
ogivale (sesto acuto) o altro ancora (Fig. 6.19).
Se le generatrici sono ortogonali al piano della curva direttrice la volta a botte si dice
retta, se invece risultano inclinate, la volta si dice obliqua.
Le volte composte, formate da superfici curve intersecantisi, possono essere di
svariate tipologie; le più comuni sono:
• la volta a crociera;
• la volta a padiglione;
che derivano tutte e due dall’intersezione di due volte cilindriche o a botte.

Fig. 6.18: Direttrice e generatrici di una volta cilindrica


Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 283

Fig. 6.19: Volta a tutto sesto, ribassata, ellittica, a sesto acuto.


A partire da due volte cilindriche intersecantesi, la volta a crociera è formata da
quattro unghie (Fig.6.20) mentre quella a padiglione è formata da quattro fusi (Fig. 6.21).
Le volte a crociera o a padiglione possono, naturalmente, essere a tutto sesto, a sesto
ribassato, acuto, ellittico ecc., a seconda della forma delle volte cilindriche che le formano.
Nell’architettura rinascimentale e barocca è stata spesso impiegata anche la volta a
lunette (Fig.6.22) e la volta a teste di padiglione (Fig. 6.23).

Fig. 6.20: Volta a crociera.

Fig. 6.21: Volta a padiglione


Pag. 284 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 6.22: Volta a lunette.

Fig. 6.23: Volta a testa di padiglione

6.2.2 La statica delle volte

6.2.2.1 La volta a botte


Mentre e fuori dubbio in termini generali che il metodo della verifica adoperato per l’arco
possa trasferirsi nella verifica della volta a botte, suddividendo questa in singoli elementi,
risulta anche evidente che questo metodo sarà più o meno valido a seconda di come è stata
costruita la volta.
Diverso è infatti il caso in cui essa sia realizzata con tanti anelli elementari accostati
l’uno all’altro, solidali tra loro per un semplice strato di malta, oppure quello in cui sia
costituita da filari continui, paralleli alle linee di imposta con mattoni a giunti sfalsati.
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 285

Nel primo caso, i singoli anelli vengono a configurarsi ciascuno come un arco
singolo mentre nel secondo caso la struttura ha un comportamento bidirezionale che sarà

Fig. 6.24: Tipologie costruttive delle volte cilindriche, Heyman (1995).

evidente soprattutto in presenza di carichi non uniformemente distribuiti secondo lo


sviluppo longitudinale della volta. Tuttavia nei casi normali, resta valido per la volta a
botte, o meglio per i suoi elementi di sezione, tutto quanto esposto a proposito dell’arco.

6.2.2.2 La volta a crociera


La volta a crociera è di tipo composto perché, come già anticipato, è generata da due volte a
botte ortogonali che si intersecano fra loro formando quattro unghie che si toccano lungo
gli archi diagonali con in comune il vertice. Ogni unghia è costituita da una superficie
cilindrica la cui proiezione, sul piano orizzontale, è un triangolo.
Dal punto di vista del comportamento statico nella volta a crociera si distinguono
due strutture portanti:
• una struttura portante principale costituita dai due archi diagonali che scaricano il
loro peso sui quattro pilastri d’angolo;
• una struttura portante secondaria costituita dalle quattro unghie, ognuna delle quali
si può considerare formata da una successione continua di archi, accostati l’uno
all’altro, progressivamente sempre più piccoli andando dal perimetro al centro,
archi che scaricano il loro peso su quelli diagonali.
Relativamente alla struttura principale si fa notare subito che essa talvolta è evidente
perché formata da costoloni, talvolta invece non sussiste come parte a sé, ma si riconosce
solo nelle parti terminali e di contatto tra le unghie. Ai fini di una verifica, vista la
simmetria della struttura, si può esaminare un quarto di volta.
Pag. 286 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 6.25: Particolare costruttivo della volta a crociera [10].

Si suddivide ogni lunetta in strisce e per ciascuna di queste si effettua una analisi dei
carichi che vi gravitano, per poter operare una verifica grafica con il metodo di Mery o con
il metodo analitico precedentemente illustrato a proposito dell’arco, pervenendo alla
determinazione della spinta obliqua che ogni elemento esercita sull’arco diagonale. Si
prende quindi in esame l’arco diagonale, che sarà sottoposto alle spinte trasmesse dagli
archi contigui appartenenti ai due quadranti contigui che vi convergono.
Per maggiore semplicità consideriamo il caso della volta a pianta quadrata e
indichiamo la componente orizzontale della spinta che ogni elemento dell’arco trasmette,
con Sx, e la componente verticale con Sy; in tal modo nel punto di convergenza dei due
elementi contigui si avranno due carichi Sy (Fig. 6.25) che si sommano algebricamente in
R=2 Sy e due spinte orizzontali Sy che si sommano vettorialmente dando luogo ad una
risultante S y ⋅ 2 , giacente nel piano dell’arco diagonale (Fig. 6.27).
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 287

Si procede, quindi, con il metodo di Mery o con quello analitico, alla verifica
costruendo la curva delle pressioni e determinando la spinta alle imposte la quale potrà
essere scomposta in una spinta orizzontale H ed una verticale P.
Nel caso di uno spazio coperto da una serie di volte a crociera contigue nelle due
direzioni, le spinte risultano equilibrate a due a due in corrispondenza dei vertici interni,
mentre lungo il contorno ritroviamo le spinte orizzontali.
Come si può vedere in Fig. 6.27, nei sei incroci intermedi le forze orizzontali H si
elidono a vicenda, per cui i sostegni verticali risultano sottoposti a forze assiali somma delle
quattro componenti verticali P trasmesse dai quattro archi diagonali che vi convergono.
Negli incroci lungo il contorno si ha che le forze orizzontali H danno luogo ad una
risultante H ⋅ 2 non equilibrata e diretta normalmente al contorno, mentre ai vertici si
hanno delle forze orizzontali H dirette lungo la diagonale.

Fig. 6.26: Sistemi di archi nella volta a crociera [10].


Pag. 288 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 6.27: Spinte orizzontali nel caso di sistemi di volte a crociera

Fig. 6.28: Azioni verticali e orizzontali nei sistemi di volte a crociera, (tratta da [10])

6.2.2.3 La volta a padiglione


Anche la volta a padiglione è di tipo composto perché generata da porzioni di due volte a
botte tra loro ortogonali e intersecate.
È formata da quattro fusi che si toccano lungo le diagonali e hanno in comune il
vertice.
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 289

Ogni fuso è costituito da una superficie cilindrica la cui proiezione sul piano
orizzontale è un triangolo; esso è delimitato verso l’esterno dalla generatrice che sta sulla
linea orizzontale d’imposta e, verso l’interno dai due semiarchi diagonali le cui corde sono
le diagonali del quadrilatero di base. La volta a padiglione può essere adoperata per coprire
forme poligonali diverse, meglio se regolari, con qualunque numero di lati; si ottiene
accostando tra loro tanti fusi cilindrici quanti sono i lati del poligono di base.
I fusi oltre che cilindrici, possono avere anche forme diverse, più spesso ogivale e
rialzate che non ellittiche e ribassate. La copertura dell’ottagono di Santa Maria del Fiore a
Firenze e la Mole antonelliana a Torino, seppure in genere siano chiamate cupole,
geometricamente sono volte a padiglione: la prima su pianta ottagonale e la seconda su
pianta quadrata.
All’aumentare del numero dei lati in pianta, la volta a padiglione tende quindi verso
la cupola di forma sferica o comunque fornita di doppia curvatura, con meridiani e paralleli.
Pertanto, come avviene per le cupole, trattate nel successivo paragrafo, un concio
elementare del fuso della volta a padiglione sta in equilibrio per effetto di quattro forze: due
sul piano del meridiano, ovvero sul semiarco ideale del fuso, che derivano da un
comportamento ad arco, e due sul piano del parallelo, cioè sulla generatrice che raccoglie e
trasmette le spinte orizzontali in chiave dei due semiarchi opposti.

Fig. 6.29: Firenze: Santa Maria del Fiore sec. XV.


Pag. 290 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

La distribuzione delle tensioni è quindi diversa da quella delle volte cilindriche e a


crociera, perché ogni elemento è sottoposto a uno stato di compressione con valori
significativi nelle due direzioni delle direttrici (meridiani) e delle generatrici (paralleli).
Volendo fare un confronto sul piano del comportamento statico rispetto alla volta a
crociera, si evidenziano due punti fondamentali:
• i due archi diagonali non sostengono più, come nella volta a crociera, le forze
provenienti dalle unghie, per cui nell’ipotesi che la reazione in chiave dei semiarchi
dei due fusi sia orizzontale, teoricamente non portano nessun carico;
• come conseguenza della precedente osservazione negli angoli non arriva più nessuna
spinta, perché questa invece viene raccolta dalla linea d’imposta della volta sui muri
perimetrali.
Osserviamo che la spinta che arriva sulle linee di imposte non è costante, ma varia
lungo il muro: da un massimo al centro, dove il semiarco del fuso è più grande, a un
minimo sull’angolo, dove il semiarco, praticamente, non esiste.
La stabilità della volta a padiglione se, da una parte, teoricamente, dovrebbe essere
studiata come quella di una cupola, analizzando l’equilibrio secondo i meridiani e paralleli,
dall’altra parte quando le sue dimensioni sono abbastanza modeste (5-6 m) e i suoi carichi
di consistenza normale, può essere studiata come un arco o meglio come tanti semiarchi.
Ogni fuso del padiglione può quindi essere scomposto in tante strisce e considerato come
un semiarco da analizzare e risolvere così come fatto per l’arco.
Infatti le spinte in chiave dei due fusi opposti attraverso la generatrice del fuso
adiacente, essendo uguali si fanno equilibrio tra di loro; la tensione che queste due spinte
opposte possono indurre nelle generatrici del fuso intermedio, con dimensioni del vano di
5-6 m e con uno spessore in chiave dell’ordine dei 15-20 cm, difficilmente supera i 2
kg/cm2; inoltre allontanandosi dalla chiave e crescendo perciò lo spessore del rinfianco,
questo valore diminuisce molto rapidamente fino a livelli che risultano del tutto trascurabili.

Fig. 6.30: Sistemi di archi nella volta a padiglione [10].


Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 291

6.3 Le cupole

6.3.1 Introduzione
Le cupole sono una delle più importanti tipologie strutturali che si incontrano nella
composizione degli antichi edifici per coprire vasti spazi liberi. Esempi molto noti che
dimostrano l’ingegno e il notevole grado di conoscenza ingegneristiche dell’arte del
costruire è il Pantheon di Roma (ricostruito nel 120-24 d.c.), monumento circolare con un
diametro di 43.5 m pari alla sua altezza con una cupola semisferica (Fig.6.31).
Altre notevoli costruzioni sono il Tempio di Minerva Medica (260 d.c.) con una
cupola di 24 m di diametro e, passando ad epoche diverse, la cupola si Santa Sofia a
Costantinopoli (360 d.c. e ricostruita nel 532-37 d.c.) con una cupola di diametro di 32 m e
la celebre cupola di San Pietro, con un diametro di m 41,5.

6.3.2 La statica delle cupole


Ai fini dello studio del comportamento statico delle cupole è indispensabile chiarire il
concetto di superfici a doppia curvatura.
Volendo, quindi, introdurre questo concetto, si può cominciare col parlare delle
superfici di rivoluzione che sono le più facili da comprendere, e ci si può avvicinare ad esse
in due tempi: partendo dalle superfici di rivoluzione a una curvatura per poi passare a quelle
a doppia curvatura. Se si fa ruotare infatti un segmento rettilineo, inclinato o verticale,
intorno ad un asse di rivoluzione, si ottengono rispettivamente la superficie di un cono e di
un cilindro.

Fig. 6.31: Roma: vista aerea del Pantheon.


Pag. 292 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Se invece si fa ruotare intorno ad un asse verticale una qualunque linea curva si


ottiene una superficie a doppia curvatura che ha, oltre ai raggi dei paralleli, variabili con
legge non lineare da r1 a r2, anche i raggi del meridiano Rm. Nell’ipotesi che i raggi Rm della
curva del meridiano fossero tutti eguali, la curva generatrice di rivoluzione sarebbe un
semicerchio e il centro di curvatura del meridiano si troverebbe sull’asse di rotazione.
Nelle superfici a doppia curvatura un concetto molto importante è quello delle
sezioni principali nell’intorno del generico punto P e dei relativi raggi principali di
curvatura Rm Rp, raggio di curvatura del meridiano e del parallelo. Va subito chiarito che,
nell’ambito delle superfici di rivoluzione, si può rischiare di confondere tra loro il raggio
del parallelo e il raggio di curvatura del parallelo, che nella Fig.6.32, sono rispettivamente:
il primo r, ovvero il segmento OP , e il secondo Rp, ovvero il segmento O2 P . Il primo
giace sul piano orizzontale, ortogonale all’asse di rotazione z, che individua il parallelo; il
secondo giace su un piano inclinato, individuato dalla tangente al parallelo e dalla normale
al meridiano nel punto generico P.
Una volta definiti i raggi occorre individuare le due sezioni principali della
superficie in esame: sezione meridiana e sezione normale al meridiano. La sezione
meridiana, nelle superfici di rivoluzione, è la linea curva che si ottiene tagliando la
superficie con un piano passante per l’asse di rivoluzione e coincide con il meridiano.
La sezione normale al meridiano è sempre una linea curva ed è quella che si ottiene
tagliando la superficie non con un piano perpendicolare all’asse di rivoluzione ma con una
superficie conica coassiale e normale ai meridiani.
La cupola, a differenza delle volte esaminate in precedenza e riconducibili ad un
sistema strutturale di archi, deve essere trattata nella sua interezza come superficie a doppia
curvatura.
Con il fine di trarre qualche elemento utile per capire il funzionamento strutturale
delle cupole, nelle quali si sviluppa uno stato tensionale nelle due direzioni ortogonali dei
meridiani e dei paralleli, è utile dare qualche cenno sulla teoria delle membrane
(comportamento a lastra, stato piano di tensione), a cui ci si può riferire se lo spessore della
cupola non è troppo grande rispetto ai raggi di curvatura.
Questa ipotesi fa si che si possa ritenere la rigidezza flessionale trascurabile e
ricondurre quindi lo stato tensionale ad uno piano, non considerando né le caratteristiche
flettenti né quelle torcenti. La teoria delle membrane determina rapidamente la misura degli
sforzi del meridiano e del parallelo, SM SP, e mostra come il primo cresca progressivamente
dalla chiave all’imposta mentre il secondo, nel procedere dalla chiave fino all’imposta,
diminuisce fino ad un valore nullo, per poi cambiare di segno.
Questo significa che lo sforzo, nei paralleli, da una certa latitudine in poi diventa di
trazione, per cui nelle cupole in murature, che non resistono a trazione, se non si tiene in
conto questo comportamento possono sorgere lesioni nella direzione dei meridiani.
La superficie di una membrana di rivoluzione è prodotta dalla rotazione di una curva
generatrice intorno a un asse verticale z; la curva generatrice è il meridiano, ruotando,
percorre il parallelo.
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 293

Fig. 6.32: Raggi di curvatura di meridiani e paralleli.

Se si considera un punto generico P della cupola (Fig.6.32), i due raggi principali di


curvatura sono RM (raggio di curvatura del meridiano, segmento O1 P ) ed RP (raggio di
curvatura del parallelo, segmento O2 P ). Come si può notare tra il raggio di curvatura del
parallelo RP e il raggio r (segmento OP ) esiste la seguente relazione:
r = R p ⋅ senθ (6.25)
dove θ è l’angolo che la normale alla superficie forma con l’asse z (colatitudine). Se si
suppone di tagliare la superficie di rivoluzione con un piano orizzontale definito come
posizione dalla colatitudine θ, sulla parte tagliata di calotta possiamo immaginare la
presenza degli sforzi di meridiano SM diretti secondo la tangente al meridiano stesso
(Fig.6.33); la somma delle componenti verticali degli SM, per l’equilibrio alla traslazione
verticale, deve uguagliare il peso totale della calotta rimasta.
Per esprimere tale equilibrio possiamo scrivere:
(SM ⋅ senϑ )⋅ (2π ⋅ RP ⋅ senϑ ) = Q (6.26)
dove Q è il peso totale della calotta considerata che, se la calotta è sferica, risulta pari a:
Q = q ⋅ 2π ⋅ R 2 ⋅ (1 − cosϑ ) (6.27)
Pag. 294 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

con q il peso per unità di superficie ed R il raggio della sfera. Dall’equazione (6.30) si
ottiene:

SM = q ⋅ R ⋅
(1 − cosϑ )
(6.28)
sen 2ϑ
Per esprimere tale equilibrio possiamo scrivere:
(SM ⋅ senϑ )⋅ (2π ⋅ RP ⋅ senϑ ) = Q (6.29)
dove Q è il peso totale della calotta considerata che, se la calotta è sferica, risulta pari a:

Q = q ⋅ 2π ⋅ R 2 ⋅ (1 − cosϑ ) (6.30)

con q il peso per unità di superficie ed R il raggio della sfera. Dall’equazione (6.30) si
ottiene:

SM = q ⋅ R ⋅
(1 − cosϑ )
(6.31)
sen 2ϑ
che rappresenta lo sforzo di meridiano, il quale, come del resto è intuitivo, aumenta
all’aumentare di θ e quindi nel passare dalla chiave all’imposta.
Si consideri ora l’equilibrio alla traslazione, secondo la normale z, di un elementino della
superficie della cupola (Fig. 6.34).
La risultante delle forze Sp agenti in un piano normale all’asse aa′ vale S P ⋅ ds2 ⋅ dφ .
Infatti, essendo le due forze che si compongono di uguale intensità, risulta il poligono di
composizione un rombo e quindi le diagonali OE e BC sono tra loro normali e si bisecano
z

θ r

SM

Fig. 6.33: Sforzi dei meridiani sulla calotta


Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 295

(Fig.6.35). Dal fatto che sono normali consegue che OBC ˆ = d φ / 2 ; dal fatto che si
bisecano, consegue che la risultante, delle due forze vale:
dφ dφ dφ
OE = 2 ⋅ OD = 2 ⋅ OBsen = 2 ⋅ S P ⋅ ds2 ⋅ sen ≅ 2 ⋅ S P ⋅ ds2 ⋅ = S P ⋅ ds2 ⋅ dφ (6.32)
2 2 2
avendo confuso il seno con l’angolo.
a

SM
r

SP

SP dθ

ds2

ds1

SM a'

Fig. 6.34: Elementino superficiale della cupola

SP ds2

π/2
B

E
dφ/2 O dφ/2

D dφ
SP

C
π/2

SP ds2

Fig. 6.35: Sforzi nei paralleli


Pag. 296 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

z a

(z)
SP
θ π/2

SP

a'

Fig. 6.36: Proiezione lungo z della risultante degli sforzi nei paralleli
La risultante trovata, che come detto giace su un piano normale all’asse aa′ ed in
particolare sulla bisettrice dell’angolo dφ , proiettata su z fornisce (Fig. 6.36):

S P( ) = S P ⋅ sen θ = S P ⋅ ds2 ⋅ dφ ⋅ sen θ


z
(6.33)

In definitiva, essendo ds2 = RM dθ la componente secondo z della risultante delle


forze S P ⋅ ds2 è pari a:

S P( z ) = S P ⋅ RM ⋅ dθ ⋅ dφ ⋅ senθ (6.34)

Analogamente la risultante delle S M ⋅ ds1 (che è già diretta secondo z), trascurando
gli infinitesimi di ordine superiore vale (Fig. 6.37):

S M( z ) = S M ⋅ ds1 ⋅ dθ = S M ⋅ r ⋅ dφ ⋅ dθ = S M ⋅ R p ⋅ senθ ⋅ dφ ⋅ dθ (6.35)

essendo ds1 = r ⋅ dφ e r = RP ⋅ senθ .


Indicando con Z = q ⋅ cos θ la componente secondo z delle forze esterne, Z ⋅ ds1 ⋅ ds2
è la forza che agisce secondo z sul nostro elementino. Essa può scriversi ancora:
Z = Z ⋅ ds1 ⋅ ds2 = Z ⋅ r ⋅ dφ ⋅ RM ⋅ dθ = Z ⋅ RP ⋅ senθ ⋅ dφ ⋅ RM ⋅ dθ (6.36)
Per l’equilibrio deve aversi:

S P( z ) + S M( z ) = Z (6.37)

si ha quindi:
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 297

S P ⋅ RM ⋅ dθ ⋅ dφ ⋅ senθ + S M ⋅ RP ⋅ senθ ⋅ dφ ⋅ dθ = Z ⋅ RM ⋅ RP ⋅ senθ ⋅ dφ ⋅ dθ (6.38)


e dividendo per
RM ⋅ RP ⋅ dθ ⋅ dφ ⋅ senθ (6.39)
si ha:
SP SM
+ = Z = q ⋅ cos θ (6.40)
RP RM

Il sistema formato da (6.31) e (6.40) fornisce la soluzione del problema.


Un immagine che in termini intuitivi, ma approssimata, illustra l’andamento di
questi due sforzi, SM e SP su una calotta al variare di θ , cioè della colatitudine, è data in
Fig. 6.38.
In Fig. 6.39 viene invece rappresentata la variazione degli sforzi nei meridiani e nei
paralleli al variare della colatitudine.
Molte considerazioni si possono trarre da questo diagramma: in una membrana con
piano d’imposta orizzontale, con i meridiani cioè a tangente verticale, non c’è spinta sul
piedritto d’imposta. Questo è senz’altro vero fintanto ché non si hanno fenomeni di
fessurazione, (rottura per trazione nei paralleli) e quindi un comportamento ad arco dei vari
spicchi che la compongono (Fig. 6.40), che si genera nel momento in cui viene meno il
comportamento di catena da parte dei paralleli.
a
t

SM
t′ θ
z dθ r

RP

O2

RM dθ
O1

SM
a′

Fig. 6.37: Risultante degli sforzi nei meridiani


Pag. 298 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Fig. 6.38: Andamento degli sforzi nei meridiani e nei paralleli


Nelle cupole in muratura, in cui il materiale non sopporta la trazione, i paralleli
svolgono la loro funzione statica fino al punto in cui SP vale zero. Dopo una certa
colatitudine, che varia a seconda della forma della membrana, il parallelo va in trazione e il
materiale non può sopportare questo tipo di sforzo.
Gli antichi costruttori, in questi casi, pensando che solo l’attrito agente sulle
superfici tra i blocchi, collocati uno sull’altro, poteva sopportare tale spinta, facevano in
modo di aumentare proprio la forza d’attrito aumentando spessori, sezioni e pesi. Si tenga
conto che in questi casi, con grossi spessori, gli stati tensionali della membrana teorica
risultano molto alterati; appare infine evidente che se si formano, secondo i meridiani, delle
lesioni, ogni spicchio di cupola compreso tra una lesione e l’altra perde il suo
comportamento di cupola e si comporta come un arco appoggiato al suo opposto in chiave;
non è affatto detto che tale arco sia stabile perché la sua forma può non essere funicolare
dei suoi carichi.

Fig. 6.39: Diagramma degli sforzi nei meridiani e nei paralleli [11].
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 299

Fig. 6.40: Tipiche lesioni nelle cupole [12].

6.4 Applicazione numerica: verifica di una volta a


padiglione
Si consideri la volta a padiglione avente le caratteristiche geometriche riportate in Fig. 6.41.
Dalle prove effettuate sul materiale (tufo giallo napoletano) costituente la struttura
portante della volta, si considerano i seguenti valori caratteristici delle proprietà
meccaniche:

f wc = 25 daN cm 2
f vko = 1 daN cm 2

Per ottenere le resistenze di progetto, bisogna dividere tali quantità per i coefficienti
parziali di sicurezza. Facendo riferimento all’OPCM 3274 si ha:
⎧ f wc 2
⎪ f wcd = γ = 12,5 daN cm
⎪ m
⎨ ⇒ γm = 2
⎪f = 1 1
⎪⎩ vd γ m vko
( f + 0, 4σ ) = (1 + 0, 4σ ) ⎣ daN cm ⎦
⎡ 2⎤
2

Nel seguito si esegue la verifica della volta considerando, in modo semplificato, la volta
come composta da tanti archi interi, come quello descritto nella sezione A-A di Fig. 6.41,
nella zona centrale del lato lungo, e da tanti semiarchi lungo le intersezioni diagonali.
Poiché quanto più ci si avvicina alle estremità, più i semiarchi presentano luci minori e
carichi complessivamente gravanti su di essi minori, si comprende che gli archi
maggiormente sollecitati sono quelli interi rappresentati in Fig. 6.41. Avvicinandosi
progressivamente agli spigoli, si riducono infatti le sollecitazioni sugli archi nonché le
spinte che questi esercitano sui muri di imposta (Fig. 6.42).
Pag. 300 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Quindi, di seguito si effettua la verifica dell’arco maggiormente sollecitato, applicando sia


il metodo analitico che quello grafico.

6.4.1 Metodo analitico


Ai fini della verifica occorre preliminarmente definire la freccia e la luce di calcolo
dell’arco che schematizza la fascia centrale della volta. A tale scopo occorre considerare
che la verifica dell’arco la si esegue facendo riferimento alla freccia più grande possibile
nel rispetto della condizione di non fessurazione dell’arco. Per tale motivo, si considera
quale posizione del centro di pressione in chiave, il punto di nocciolo centrale d’inerzia
superiore della sezione mentre all’imposta si assume quale centro di pressione il punto di
nocciolo inferiore. Sulla base di tale assunzione si ottengono il valore della freccia e della
luce riportati in Fig. 6.40 e pari a: freccia di calcolo “fc = 88 cm”, luce di calcolo “lc = 344
cm”. Per quanto riguarda i carichi da considerare, bisogna far riferimento sia al peso
proprio dell’elemento, che ai sovraccarichi permanenti ed accidentali agenti. Mentre i
carichi accidentali sono costanti ed agiscono su una superficie orizzontale, quelli
permanenti sono variabili ed agiscono sulla superficie curva dell’arco.
In maniera semplificata si considera per quest’ultimo un andamento lineare
variabile tra 2 valori estremi pari ai pesi per unità di lunghezza calcolati in corrispondenza
della sezione d’imposta ed in chiave, come rappresentato in Fig. 6.43.
Pertanto, facendo riferimento alla fascia di 1 metro, si ottengono i seguenti valori dei
carichi permanenti nella sezione in chiave e all’imposta:
PIANTA
800
SEZ A-A

massetto di sottopavimentazione
materiale di alleggerimento (lapillo)
pavimento 14
4

A A 95 fc=88
1000
lc=344
s=25 tufo giallo napoletano

Fig. 6.41: Geometria della volta oggetto di verifica.


Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 301

-Sezione in chiave:
peso proprio ⇒ 1940 ⋅ 0, 25 ⋅1, 00 = 485 daN m
G1,k = 485 daN m
massetto ⇒ 1500 ⋅ 0, 04 ⋅1, 00 = 60 daN m
pavimento ⇒ 40 ⋅1, 00 = 40 daN m
alleggerimento ⇒ 800 ⋅ 0,14 ⋅1, 00 = 112 daN m
G2, k = 212 daN m

-Sezione all’imposta:
peso proprio ⇒ 1940 ⋅ 0, 25 ⋅1, 00 = 485 daN m
G1,k = 485 daN m
massetto ⇒ 1500 ⋅ 0, 04 ⋅1, 00 = 60 daN m
pavimento ⇒ 40 ⋅1, 00 = 40 daN m
alleggerimento ⇒ 800 ⋅ 0,95 ⋅1, 00 = 760 daN m
G2, k = 860 daN m
y
Spinta

semiarchi

tratto orizzontale autoequilibrato

100

arco intero soggetto alla Smax da verificare

Smax x

Smax

Fig. 6.42: Spinta della volta sulle murature verticali


Pag. 302 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

q2
q1
Q

fc=88
H

V
lc=344

Fig. 6.43: Schema di calcolo della volta


Dal momento che la verifica viene condotta per soli carichi verticali facendo
riferimento ai valori dei carichi indicati dalle NTC 2008, nell’ambito del metodo
semiprobabilistico agli stati limite, si ha:
Fd = 1,3G1k + 1.5G2 k + 1,5Qk
Quindi, considerando un carico accidentale “Qk=200daN/m2”, in accordo alla
normativa con riferimento a edifici per civile abitazione, si ottengono i seguenti valori dei
carichi di progetto:
q1d = 1,3 ⋅ 485 + 1,5 ⋅ 860 + 1,5 ⋅ 200 = 2221 daN m
q2 d = 1,3 ⋅ 485 + 1,5 ⋅ 212 + 1,5 ⋅ 200 = 1249 daN m

Essendo lo schema strutturale isostatico, è possibile valutare gli sforzi incogniti


attraverso solo equazioni di equilibrio, ed in particolare “Q” si valuta dalla scrittura
dell’equazione di equilibrio alla rotazione intorno al punto di applicazione della spinta
all’imposta, mentre “V” e “H” attraverso le equazioni di equilibrio alla traslazione verticale
ed orizzontale, come segue:
l2 l l
Q f c − q2 c − ( q1 − q2 ) c c = 0
2 2 3
H −Q = 0
l
q2lc + ( q1 − q2 ) c − V = 0
2
da cui, nel caso in esame, si ottengono i seguenti valori:
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 303

⎡ l2 l2 ⎤ 1
Q = ⎢ q2 c + ( q1 − q2 ) c ⎥ = 10576 daN
⎢⎣ 2 6 ⎥⎦ f c
H = Q = 10576 daN
lc
V = q2lc + ( q1 − q2 ) = 5968 daN
2
È possibile quindi effettuare la verifica delle sezioni in chiave e all’imposta.

-Sezione in chiave:
Poiché lo sforzo normale “Q” è applicato proprio sul raggio di nocciolo della sezione, si ha
il seguente valore della tensione massima:
Q Qs 6 Q 10576
σ max = + ⇒ σ max = 2 = 2 = 8, 46 daN cm 2
bs 6 bs 2
bs 100 ⋅ 25
essendo σ max < f wcd , la verifica risulta soddisfatta.
-Sezione all’imposta:
Bisogna innanzitutto valutare le componenti delle 2 azioni lungo la normale e la tangente
alla sezione d’imposta.
Con riferimento alla Fig. 6.44, si ottengono i seguenti valori di taglio e sforzo
normale eccentrico lungo la sezione d’imposta:
⎧ Sn = H senα + V cos α = 12042 daN
⎨ essendo : α = 68°
⎩ St = − H cos α + V senα = 1564 daN

Contributo di V Contributo di H

Sn
(v)
H
(H) α
α
St Sn
(H)

(v)
St V

α α

Fig. 6.44: Valutazione delle azioni alle reni


Pag. 304 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Pertanto, è possibile effettuare la verifica a pressoflessione per effetto dello sforzo


normale eccentrico agente Sn, e la verifica a taglio per effetto dell’azione tangenziale St,
come già visto in calcoli effettuati in precedenza.
Si ha:
S S s 6 S 12042
σ max = n + n ⇒ σ max = 2 n = 2 = 9, 63 daN cm 2
bs 6 bs 2
bs 100 ⋅ 25
St 1564 S 12042
τ= = = 0, 63 daN cm 2 ; f vd = 0,5 + 0, 2 n = 0,5 + 0, 2 = 1, 46 daN cm 2
bs 100 ⋅ 25 bs 25 ⋅100
essendo σ max < f wcd e τ < f vd le verifiche risultano soddisfatte.
Per la verifica completa lungo tutto lo sviluppo dell’arco nel seguito si procede con
il metodo grafico.

6.4.2 Metodo grafico


Nel caso in esame si suddivide l’arco in 10 conci, per ognuno dei quali è possibile valutare
il peso proprio (uguale per tutti), i sovraccarichi permanenti e accidentali agenti (Fig. 6.45).
Per quanto concerne i pesi propri dei conci, uguali per tutti, considerando che la
lunghezza del concio è pari a 36,30cm, facendo riferimento alla fascia di 1 metro e
considerando il coefficiente amplificativo dei carichi, si ha il seguente valore di progetto:
Pid = (1940 ⋅ 0,3630 ⋅ 0, 25 ⋅1, 00 ) ⋅1,3 = 229daN

Per valutare i sovraccarichi permanenti, essendo i carichi dovuti al pavimento ed al


massetto costanti, se ne determina il valore complessivo e lo si divide per il numero di
conci, andando poi ad aggiungere tale peso a quello del materiale di alleggerimento.
l10
x10

3 2 1
5 4
6 P2' P'
P3' 1
G 7 P4'
8 P' P3 P2 P1
9 P6' 5
P5
P4
10 P7' P6
P8' P7
P9' P8
P' P9
10 P10

R10

Fig. 6.45: Azioni sui singoli conci


Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 305

Quindi, considerando il carico del massetto e del pavimento per unità di lunghezza
pari a 100 daN/m, si ha:
100 ⋅ 3,5
Pmass + pav,d = 1,5 = 49daN
10
Procedendo per il carico accidentale in modo analogo si ha:
200 ⋅ 3,5 ⋅1, 00
qacc ,d = 1,5 = 105daN
10
Per quanto riguarda il materiale di alleggerimento, invece, bisogna valutare il
volume di materiale agente sui singoli conci per ottenerne il peso, e sommare quindi i valori
così ottenuti a quelli costanti della pavimentazione ed ai carichi accidentali, come di seguito
descritto:
Pall ,i = ( γ all Ai ⋅1, 00 ) ⋅1,5
Pid' = Pall ,i + qacc, d + Pmasspav , d

Avendo adottato un peso specifico γall=800 daN/m3, si ottengono i risultati riportati


in Tab.6.1.
A questo punto bisogna valutare la risultante R delle azioni Pi e Pi′ rappresentata in
Fig. 6.45 con riferimento al concio 10, con la relativa retta d’azione; a tal fine si può
procedere sempre in modo grafico, tracciando un poligono funicolare ausiliario; nel seguito
si procede invece analiticamente, considerando che il sistema equivalente alle 2 azioni è
dato da un vettore passante per il punto G compreso tra i punti di applicazione delle 2 forze,
Tab. 6.1: Carichi sui singoli conci
Concio A [mq] Pall,i P’i
1 0,2698 303 457
2 0,2327 261 415
3 0,1918 214 368
4 0,1514 174 328
5 0,1230 137 291
6 0,0956 107 261
7 0,0728 82 236
8 0,0554 62 216
9 0,0437 49 203
10 0,0378 42 196
Pag. 306 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

e tale che il momento della risultante intorno ad un punto qualsiasi, ad esempio, per
comodità intorno al punto di applicazione di Pi′ , deve essere uguale a quello dovuto a Pi :

⎧⎪ Ri = Pi + Pi'

i i = Rxi
⎪⎩ Pl
Il precedente sistema consente di ottenere sia l’intensità delle azioni risultanti, che la
loro distanza dall’azione Pi′ , come di seguito riportato:

⎧ Ri = Pi + Pi'

⎨ Pi li
⎪ xi = R
⎩ i

In Tab. 6.2 vengono riportati i risultati ottenuti.


Si rappresentano quindi le azioni risultanti negli effettivi punti di applicazione dei
conci, adottando una opportuna scala delle forze (Fig. 6.46). Dopodiché si procede
esclusivamente in modo grafico, andando a valutare innanzitutto la risultante complessiva
delle forze Ri determinate, nonché la sua retta di azione: per fare ciò si costruisce un
poligono funicolare ausiliario, in cui si riportano le 10 azioni in scala e sulla retta
orizzontale passante per il punto di applicazione del primo vettore si considera un punto del
tutto arbitrario (O’), dal quale si tracciano le congiungenti tale punto con tutti gli estremi
dei vettori riportati. Ciò permette di costruire il poligono delle forze, caratterizzato
dall’ultima e dalla prima retta (1’ e 11’) che si intersecano in un punto A (Fig. 6.46) per il
quale, affinché vi sia l’equilibrio alla rotazione, deve passare proprio la risultante delle
azioni Ri .
Tab. 6.2: Carichi sui singoli conci
Concio R [daN] li [cm] xi [cm]
1 425 17,75 9,56
2 432 18,99 10,07
3 445 21,05 10,83
4 465 23,87 11,76
5 490 27,5 12,85
6 520 31,90 14,05
7 557 37,08 15,25
8 597 42,93 16,47
9 644 49,47 17,59
10 686 56,88 18,99
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 307

Determinata così la retta di applicazione, per l’equilibrio la risultante delle azioni


esterne, l’azione orizzontale in chiave Q (di cui è incognita l’intensità ma è nota la
direzione) e l’azione all’imposta S (di cui sono incogniti sia intensità che direzione),
devono necessariamente intersecarsi nello stesso punto. Per cui, tracciando l’orizzontale dal
terzo medio in chiave, essa interseca la retta di azione della risultante dei carichi verticali
nel punto B (Fig. 6.46), per il quale deve passare anche la retta d’azione d’imposta, che è
noto deve essere applicata anche essa in corrispondenza del terzo medio. Ciò permette
allora di determinare la direzione della spinta S. Affinché sia garantito anche l’equilibrio
alla traslazione, il poligono costituito dalle 3 forze deve chiudersi, individuando così
l’effettivo polo “O” del poligono funicolare nonché l’intensità sia dell’azione Q in chiave
che dell’azione S all’imposta (Fig. 6.47). E’ possibile quindi tracciare la funicolare dei
carichi, riportando le parallele alle rette 1,2…10,11 a partire dalla sezione in chiave con la
retta parallela alla “1” e poi man mano variando i segmenti ogni qual volta si interseca
l’azione Ri agente nel concio (Fig. 6.47 e Fig.6.48).
Pertanto, misurando graficamente i segmenti 1′ e 11′ , mediante la scala adottata si
determinano le intensità delle reazioni in chiave e all’imposta:

B
3 2 1
6 5 4
7
8
9 R2 R 1
10
R 5
R4 R3
R6
R7
R8
R9 1'
R10 A 4' 3' 2'
5'
6'
7'

8'

9'

10'

11'
Fig. 6.46: Determinazione della risultante delle azioni verticali
Pag. 308 Analisi e verifica degli edifici in muratura ordinaria

Q = 10017daN
S = 10440daN
Si osserva che gli scarti tra i valori ottenuti con il metodo grafico e quello analitico sono
molto contenuti.
In Fig. 6.46 è stata poi riportata anche l’intera funicolare dei carichi applicati. Si
osserva che essa rientra completamente all’interno della fascia delimitata dai raggi di
nocciolo delle sezioni, per cui è possibile affermare che effettivamente l’arco è in grado di
avere un regime di sforzi staticamente ammissibili di sola compressione. Bisogna infine
verificare che il materiale sia idoneo a resistere alle tensioni tangenziali e normali provocate
dalle sollecitazioni agenti su ogni concio. La verifica viene effettuata per i conci interni
(1,2…,8,9) dal momento che quelli esterni sono stati già verificati col metodo analitico.
POLIGONO FUNICOLARE

1' O' 1 O
2' 2
R1 3
3'
4' 4
R2
5' 5
R3 6
6' 7' 7
R4
8
8'
R5 9
9'
10
R6
10' 11

R7
11'

R9

R10

Fig. 6.47: Determinazione della risultante delle azioni verticali

(n) (t)
Si Si
βi
Si αi+ βi
ei G
αi
Fig. 6.48: Azioni normali e tangenziali sui conci
Capitolo 6: Archi, volte e cupole Pag. 309

Leggendo sul poligono funicolare effettivo il valore delle azioni agenti lungo i conci
interni (rette 2’,3’…,8’,9’ Fig. 6.47), si determinano le componenti normali e tangenziali di
tali azioni, e si effettuano la verifica a presso flessione per lo sforzo normale eccentrico
(eccentricità da leggersi sulla funicolare dei carichi rispetto al baricentro della sezione) e
quella a scorrimento per l’azione tagliante agente (Fig.6.48).
Si ottengono così i risultati riportati in Tab. 6.3. Essendo soddisfatta la verifica per
tale arco, allora lo sarà anche per tutta la volta a padiglione.
Tab. 6.3: Risultati della verifica
Concio αi βi Si Si,n Si,t ei σmax [daN/cm2] τ Verifica
2 87 3 9027 9027 / 3,73 4,51 / SI
3 85 5 9058 9058 / 3,62 6,77 / SI
4 82 8 9110 9110 / 3,42 6,63 / SI
5 80 11 9188 9187 160 3,09 6,40 0,06 SI
6 77 14 9295 9294 162 2,58 6,02 0,06 SI
7 74 17 9435 9434 165 1,83 5,43 0,07 SI
8 72 20 9614 9608 335 0,79 4,57 0,13 SI
9 69 24 9837 9823 515 0,60 4,50 0,21 SI
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