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Storia della costruzione e del progetto dei

ponti di grande luce negli ultimi due secoli


quale riflessione sulle problematiche
inerenti la costruzione di un grande ponte
sullo stretto di Messina
Seminario del Professor Mario Como
dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata
9 Novembre 2022

PRESSO UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PARMA


DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA E ARCHITETTURA
Trascritto da: Mario Valentino Romano
Sommario

Contesto storico del ponte a grande luce .............................................................................. 2


Prime formulazioni ponte sospeso ......................................................................................... 4
La ripresa della costruzione dei ponti strallati in Europa ....................................................... 9
Statica del ponte strallato .................................................................................................... 11
Studi sui carichi aerodinamici ............................................................................................... 12
Il ponte sullo stretto di Messina ........................................................................................... 17
Considerazioni finali ............................................................................................................. 20

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Contesto storico del ponte a grande luce

I ponti di grande luce vedono la loro diffusione negli ultimi due secoli in seguito al grande
sviluppo industriale; in questo arco di tempo la luce massima si è decuplicata, passando dai
circa 170 m del ponte sullo stretto di Menai nel Regno Unito, ai quasi 2 km del ponte Akashi
in Giappone.
Fondamentalmente i ponti a grande luce erano della tipologia “strallato” e “sospeso”.
La prima tipologia prevedeva l’irrigidimento della travata con stralli che si agganciavano alla
testa delle pile e risultava particolarmente semplice, tanto che, molti ponti strallati vennero
costruiti in Europa, sebbene la loro costruzione fu, inizialmente, segnata da numerosi
insuccessi, le cui cause non vennero immediatamente comprese, anche perché, all’epoca
non esisteva una scienza delle costruzioni consolidata e molto spesso gli “ingegneri”, altro
non erano che uomini di grande sensibilità rispetto ai problemi strutturali, che riuscivano a
sopperire un po' con l’intuito e un po' con l’esperienza alla mancanza di conoscenza.
Non sempre, però, intuito ed esperienza riuscivano a ripagare l’impegno dei costruttori,
tant’è che la maggioranza dei ponti strallati crollava. Ciò accadeva anche in Nazioni come
Francia e Germania, ma in particolar modo in Inghilterra. Quest’ultima fu, tra tutte, la
nazione che vide crollare più ponti, con notevoli costi anche in vite umane, fatto che spinse
a rivolgersi all’Ingegnere Francese Navier, all’epoca uno dei pionieri della scienza delle
costruzioni.
Inizialmente Navier non riuscì a capire quale fosse il problema, ma giunse alla conclusione
che questa tipologia di ponte, fosse troppo pericolosa e da allora in tutta Europa, vennero
banditi i ponti strallati, così che non ne furono più costruiti per i successivi cento anni. Solo
dopo la Seconda guerra mondiale, quando ci fu l’esigenza di ricostruire tutti i ponti tedeschi,
distrutti dalla guerra, fu ripresa la costruzione di ponti strallati, poiché le luci richieste non
giustificavano l’uso di ponti sospesi, generalmente impiegati per attraversamenti di maggior
lunghezza.
Dunque, nel primo degli ultimi due secoli, si sviluppò la tipologia del ponte sospeso,
ottenendo brillanti successi.
I maggiori progettisti del periodo furono:
- Telford, ingegnere inglese, costruttore del già citato ponte sul Menai (1826) che aveva una
campata di 168 m, un record per l’epoca, che gli fruttò la nomina a presidente
dell’associazione “Civil Engineering” fresca di fondazione. All’epoca non c’erano le funi, ma
si usavano delle catene di sospensione in ferro collegate da occhielli e bulloni. Anche questo
ponte, dopo molti anni, fu distrutto da una tempesta.

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-Roebling, ingegnere Tedesco-Americano, costruttore del ponte stradale (All’epoca si
viaggiava ancora in carrozza) e ferroviario sul Niagara (1885) in ferro battuto e con luce di
280 metri e primo in assoluto ad utilizzare le funi di acciaio, che realizzava egli stesso presso
la sua industria negli Stati Uniti.
Lo stesso Roebling deve soprattutto la sua fama per la costruzione del famosissimo Ponte di
Brooklyn (1869), ancora in esercizio e per anni detentore del record “Ponte sospeso più
grande al mondo” con la sua luce di 486 metri; in realtà questo ponte è una combinazione
tra lo strallato e il sospeso, in cui gli stralli sostengono le fasce laterali della travata e le funi
la parte centrale;
-Brunel, ingegnere inglese che costruì il ponte sul Clifton (1864) di luce 214 metri, che oggi
dà il nome ad un ateneo inglese;
Anche l’Italia ebbe dei bravi progettisti, come ad esempio l’Ingegner Giura, uno dei primi
allievi della scuola di ingegneria fondata a Napoli da Gioacchino Murat, che costruì l’antico
ponte sul Garigliano (1838) con luce 80 m e che rimase operativo per circa 200 anni; infatti,
servirono le bombe dei soldati tedeschi che, cercando di impedire l’attraversamento degli
americani, lo abbatterono.

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Prime formulazioni ponte sospeso

Come già detto si abbandonò l’idea di realizzare ponti strallati e, complice il grande sviluppo
di New York, si cominciarono a studiare delle idee per realizzare ponti che riuscissero a
raggiungere luci anche di un kilometro.
Si cominciarono, infatti, a studiare delle idee per capire come progettare questi ponti, i primi
criteri, semplici, ma che coglievano la sostanza del comportamento strutturale:
un ponte sospeso è formato da funi e travi ed il punto debole della fune è costituito dal fatto
che la sua deformata antisimmetrica non preveda dissipazione di energia estensionale, cioè
si deforma a doppia onda senza
allungarsi; pertanto, il ragionamento
degli ingegneri dell’epoca fu che il
carico antisimmetrico non dovesse
essere assorbito dalla fune, stabilendo
che tutto e solo il carico uniforme dovesse essere attribuito ad essa, mentre gli altri carichi,
non uniformemente distribuiti, dovessero essere assorbiti dalla trave.
Questo modo di concepire la struttura del ponte faceva, però, nascere dei grandi momenti
flettenti nella travata che, di conseguenza, assumeva una geometria esasperatamente tozza.
Il Williamsburg bridge (1896 – 1903, 490 metri di luce), costruito da Buck ne è l’esempio
perfetto:

In quel periodo, però, la scienza delle costruzioni compiva importanti passi in avanti e non
ci volle molto per veder nascere la prima teoria rigorosa della statica del ponte sospeso
(1888), ad opera dello studioso Austriaco Josef Melan, in cui valevano i presupposti
riguardanti i carichi uniformemente distribuiti qg(x) sopra citati:

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y(x) deformata dovuta al
peso proprio assimilabile a
una traslazione rigida;
v(x) Deformata aggiuntiva
dovuta al carico p(x)


(1) 𝐸𝐸𝐸𝐸𝑣𝑣 𝐼𝐼𝐼𝐼 − (𝐻𝐻 + ℎ)𝑣𝑣 ′′ (𝑥𝑥 ) = 𝑝𝑝(𝑥𝑥 ) − 𝑞𝑞𝑔𝑔 (𝑥𝑥)
𝐻𝐻

ℎ 𝐿𝐿 2 𝑔𝑔 𝐿𝐿
(2) ∫ �1 + 𝑦𝑦 ′ �𝑑𝑑𝑑𝑑 = 𝐻𝐻 ∫0 𝑣𝑣(𝑥𝑥)𝑑𝑑𝑑𝑑
𝐸𝐸𝐸𝐸 0

Era già noto che la deformata della travata risentiva dell’allungamento elastico della fune,
ma il problema era stabilirne l’interazione per un qualsiasi carico non uniforme che
interagisce con la travata stessa.
Sotto l’ipotesi che i pendini di sospensione fossero inestensibili (ipotesi ragionevole visto che
si trattava di pendini di acciaio molto rigidi), Melan scoprì che questa interazione si riflette
in una forza di trazione che agisce sulla trave uguale al tiro H dovuto al peso e il tiro
aggiuntivo h dovuto ai carichi accidentali.
Ovviamente una barra inflessa, se sottoposta a compressione aumenta la sua inflessione, al
contrario se posta in trazione diventa molto più rigida. In questo caso l’effetto della trazione
sulla flessione è dato dal termine (H+h)v’’(x).
In queste equazioni le incognite sono due: il tiro addizionale h che aumenta la tensione nella
fune per effetto dei carichi accidentali e la deformata addizionale della struttura dovuta
sempre ai carichi accidentali.
La seconda equazione, invece, afferma che, l’allungamento del cavo per effetto
dell’incurvamento dovuto agli abbassamenti verticali, deve essere eguale all’allungamento
per effetto della deformazione elastica.
Assumendo l’ipotesi di inestensibilità delle funi secondo cui l’integrale di v(x) in tutta la luce
della travata è uguale a zero, la trattazione si semplifica ulteriormente e la diretta
conseguenza della teoria di Melan è che la presenza della forza di trazione sulla fune ha un
effetto stabilizzante che fa sì che non sia richiesta una elevata rigidezza flessionale della
travata per gestire i carichi verticali.

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Successivamente, tale teoria fu generalizzata anche per i carichi eccentrici, che
prevedevano, quindi, anche la presenza di momento torcente.
Su questa teoria si basò la progettazione di tutti i ponti sospesi costruiti a partire dalla fine
del 1800, che quindi diventarono molto più snelli rispetto ai loro predecessori.
Si riportano di seguito alcuni esempi:
Ponte di Manhattan sull’ East River (1909, L = 448 m) progettato dall’ ingegnere polacco
Ralph Modjeski con rapporto tra altezza della travata e luce pari a 1/62,5 e un peso di 36
t/m:

Ponte George Washington Bridge sull’Hudson, che college Manhattan al New Jersey (1931,
L = 1066 m) con rapport h/L = 1/58 a travata reticolare in acciaio a sezione chiusa:

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Ponte Golden Gate, San Francisco (1937, L = 1282 m) con trave reticolare a sezione aperta
(successivamente rinforzata):

Whitestone bridge (1939, L = 700 m, h/L = 1/1290)

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I ponti diventarono, quindi, sempre più flessibili, tuttavia qualcosa nel loro funzionamento
non era stato compreso e tale lacuna si presentò lampante dopo il disastro del 7 Novembre
1940, quando il Tacoma Bridge crollò dopo aver oscillato mostruosamente per diverse ore
ad ampiezze sempre maggiori di fronte agli occhi stupefatti di decine di persone, che
riuscirono persino a filmarlo. Ciò che successe fu, che la bassa rigidezza flessionale con cui
era stato costruito lo rendeva particolarmente vulnerabile all’azione dinamica del vento, che
soffiando alla velocità di 60 km/h entrò in risonanza con la struttura portandola al collasso.

La travata aveva una larghezza B = 8 m e una luce L = 853 m, con un rapporto h/L = 1/350 ed
era a sezione aperta, molto deformabile a torsione. Va precisato che la struttura del ponte
aveva la resistenza richiesta per sostenere tutti i carichi agenti, compresi quelli torsionali e
quelli laterali rappresentativi dell’azione del vento assimilata a un carico statico secondo gli
standard dell’epoca.
Il crollo del ponte di Tacoma costituì un grave shock per tutta l’ingegneria strutturale
dell’epoca, ma rese possibile una più ampia comprensione dei fenomeni dinamici del vento,
che portò all’introduzione dell’aerodinamica nel progetto dei ponti, nonostante lo scoppio
della Seconda guerra mondiale ritardò ogni ricerca in merito.

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La ripresa della costruzione dei ponti strallati in Europa

Finita la guerra, in Germania, un gran numero di ponti doveva essere ricostruito. Le luci
richieste suggerivano la realizzazione di strallati di cui però, era rimasto insoluto il problema
della valutazione della capacità di sostegno degli stralli, dopo la messa al bando di questa
tipologia costruttiva dovuta ai tanti crolli del secolo precedente.
Nel 1949 il problema fu risolto dal tedesco Dischinger che sviluppò un’opportuna analisi non
lineare:
fino ad allora lo strallo veniva schematizzato come un pendolo rettilineo inclinato che, sotto
l’azione delle forze agenti, veniva deformato dalla sola elongazione assiale, quindi
considerando la sola rigidezza estensionale; in realtà questo, veniva incurvato dal proprio
peso e sollecitato ad abbassarsi alla sua estremità per effetto della deformazione della
travata subendo oltre che un allungamento
estensionale, anche una rilevante modifica della sua
configurazione che da rettilinea diventava curva
esercitando un contrasto molto più ridotto rispetto a
quello che avrebbe potuto esplicare se fosse stato
rettilineo. Questo, in conclusione, portò all’adozione
di un modulo elastico equivalente, più basso di quello
del materiale e pari a:

(Et* prende il nome di “Modulo di Dischinger)

Dove: E = modulo elastico dell’acciaio impiegato per la costruzione dello strallo;


γ = peso specifico dell’acciaio;
a = lunghezza della proiezione dello strallo sull’asse orizzontale;
σ1 = tensione nello strallo prima dell’applicazione dell’incremento di carico;

È importante notare che al denominatore compare il cubo della tensione preesistente, che
porta lo strallo a flettersi tanto meno quanto più è tirato.

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APPLICAZIONI:
L’ingegnere Fabrizio De Miranda realizzò questo diagramma che mostra la caduta del
modulo elastico dello strallo in funzione della sua lunghezza e del tiro iniziale, quest’ ultimo
rappresentato dalle varie curve.

Come è facile osservare, applicando ad uno


strallo della lunghezza di 100 metri un tiro
iniziale di 1 t/cmq (Valore di tiro ragionevole
per i mezzi dell’epoca) il modulo effettivo
decade da 2050 a circa 650 t/cmq, ovvero si
riduce del 68% circa.

Il primo ponte strallato moderno fu lo Stromsund Bridge (Svezia) realizzato proprio da


Dischinger nel 1955 con luce di 183 metri.
L’avvento dell’acciaio ad alta resistenza consente ad oggi l’uso di stralli di grande lunghezza
in grado di ridurre notevolmente tale effetto. La comprensione della statica del ponte
strallato, inutile dirlo, portò ad un ritorno in auge di questa tipologia di ponte.

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Statica del ponte strallato

Il ponte strallato di grande luce a ventaglio ha un comportamento molto particolare:


è costituito da una grande struttura reticolare isostatica con travata sospesa alla testa delle
grandi antenne e passa attraverso le pile, ma senza appoggiarsi ad esse. La travata, sotto
carico permanente, è soggetta a sforzi di compressione variabile lungo la sua lunghezza,
dovuti alle azioni di sostegno esplicate dagli stralli inclinati e scarica con una forza di trazione
sulle pile di estremità; quindi, tutti i carichi permanenti sono sostenuti dagli stralli che si
dipartono dalla testa delle antenne e le pile terminali sono tese, mentre i carichi accidentali
sono assorbiti, come azione locale, dalla flessione della travata.
Con questo criterio vengono costruiti i ponti strallati moderni:

Ponte di Normandie sulla Senna (M.


Virlogeux, 1995) L= 856 m

In generale i ponti strallati hanno, rispetto ai ponti sospesi, una rigidezza flessionale più
importante che li porta a difendersi meglio nei riguardi dell’instabilità aerodinamica.

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Studi sui carichi aerodinamici

Finita la Seconda guerra mondiale riprendono gli studi sugli effetti dinamici del vento
riguardanti i ponti sospesi per capire non solo come costruire i nuovi, ma anche come
rinforzare i vecchi.
L’interazione tra l’impalcato e il vento si produce per effetto del moto relativo tra
abbassamento flessionale (determinato dai carichi accidentali) che avviene ad una certa
velocità e la velocità del vento. Per
questo effetto combinato si determina
una inclinazione della spinta del vento
che agisce verso l’alto producendo un
momento torcente.
Per fortuna vi era già un corredo teorico che studiava questi fenomeni e l’unica cosa da fare
era applicarlo ai ponti. Pertanto, partirono molti studi sul loro comportamento aeroelastico
e vennero creati centri di sperimentazione e nuove gallerie del vento in cui studiare sezioni
di ponte misurando le forze aerodinamiche che si producono durante il movimento
dell’impalcato, poiché le azioni del vento non sono separate dal movimento della struttura,
ma ne sono dipendenti, fatto che ne aumenta la complessità.
Ciò che si scopre è che se il ponte è a sezione piena, come lo era quello di Tacoma, il flusso
del vento si divide in due flussi che a loro volta creano dei vortici, i quali esercitano un’azione
differente a seconda della loro velocità;

gli studi portati avanti fino ad allora interessavano soprattutto le ali degli aerei, per le quali
sono più importanti gli aspetti aerodinamici, mentre per i ponti c’era un parametro
meccanico che assumeva particolare importanza, ovvero il rapporto tra i periodi
fondamentali di oscillazione libera verticale e torsionale:
𝑇𝑇0𝑉𝑉
∅=
𝑇𝑇0𝜃𝜃
Di regola nei ponti sospesi il termine al numeratore è ben più grande di quello al
denominatore, ma l'azione del vento tende ad avvicinare i loro valori.

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In assenza di vento, il ponte si muove secondo le sue oscillazioni libere (pulsazione
armonica), la presenza di questo, invece, fa cambiare i due periodi di oscillazione
avvicinandoli tra loro e quando al crescere della velocità del vento, i due periodi e quindi le
pulsazioni diventano uguali tra loro si innesca il fenomeno del flutter, cioè la risonanza tra la
pressione del vento e la travata oscillante. La tendenza di quel periodo storico, ricordiamolo,
era quella di costruire dei ponti non molto rigidi e questa scarsa rigidezza (flessionale, ma
anche torsionale), comportava valori di ∅ più vicini all’unità e quindi una bassa velocità di
flutter, in parole povere, il vento faceva entrare la struttura in condizioni di risonanza anche
con velocità modeste. Tale condizione aumentava, ciclo dopo ciclo, l’ampiezza di oscillazione
fino a portare la struttura al collasso.
Inutile dire che tali scoperte cambiarono il modo di concepire il ponte sospeso, che per la
sua intrinseca debolezza torsionale nei riguardi delle deformazioni antisimmetriche delle
funi di sospensione presenta una maggiore vulnerabilità al fenomeno della risonanza: tocca
dunque alla sezione della travata porre rimedio a questa debolezza e può farlo solo avendo
adeguate proprietà aerodinamiche.
Ciò comportò che tutti i nuovi ponti sospesi furono costruiti con sezioni chiuse reticolari o in
alternativa piene, ma sottili e opportunamente sagomate, che potessero offrire
naturalmente una rigidezza torsionale più elevata:

Verrazzano-Narrows Bridge

(1964, L = 1298 m)

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Humber Bridge

(1981, L = 1410 m)

Great Belr East Bridge

(1998, L = 1624 m, h/L = 1/406)

Ponte Tsing Ma, Hong kong

(1998, L = 1624 m, h/L = 1/406)

Attualmente il ponte sospeso ferroviario più


lungo del mondo.

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Akashi, Giappone

(1998, L = 1991 m)

Attualmente il ponte sospeso di maggiore


luce al mondo.

La costruzione di quest’ultimo ponte, l’Akashi Bridge, iniziò nel 1980. Inizialmente destinato
al traffico stradale e ferroviario, fu poi utilizzato per il solo traffico stradale.
Nel 1995 venne investito da un terremoto di magnitudo 6.8 della scala Richter senza
riportare alcun danno: la stabilità delle fondazioni e l’elevato periodo di oscillazione hanno
offerto un’adeguata protezione dall’evento sismico.

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Contemporaneamente, anche i ponti strallati si svilupparono e vennero costruiti in tutto il
mondo, tuttavia il modulo di Dishinger degli stralli condiziona ancora, malgrado lo sviluppo
di acciai ad alta resistenza, la lunghezza della loro campata centrale:

Tatara Bridge, Giappone

(1999, L = 890 m)

Russkij, Russia

(2012, L = 1104 m)

Attualmente il ponte strallato di massima


luce al mondo.

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Il ponte sullo stretto di Messina

Quello della costruzione del ponte sullo stretto di Messina è un problema ancora aperto
seppur nell’ultimo periodo, soprattutto la politica, ne parli come un problema superato.
La minima distanza tra la Sicilia e la Calabria misura circa 4 chilometri e quindi la soluzione
più naturale sarebbe quella di costruire dei piloni in acqua. Tuttavia, le acque dello stretto
di Messina non appartengono interamente al territorio italiano, bensì si tratta di acque
internazionali, aperte al libero traffico anche di grosse imbarcazioni militari, per cui è molto
difficile, se non impossibile ottenere i permessi necessari alla costruzione di piloni in mare,
che eventualmente potrebbero trovare accoglimento in zone più vicine alle due coste.
La proposta ad oggi più accreditata prevede, infatti, questa soluzione, ma ciò presuppone la
realizzazione di una campata unica della lunghezza minima di 3300 metri:

La sezione trasversale è sagomata in maniera tale da prevenire il fenomeno del fluttering e


prevede il traffico veicolare ai lati e quello ferroviario al centro:

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In questa immagine è possibile osservare direttamente la
differenza nelle dimensioni dei più grandi ponti sospesi del
mondo.
È importante paragonare, non solo la lunghezza dello
sviluppo del ponte, ma soprattutto la lunghezza della luce
massima della campata centrale; infatti, ricordiamo che il
ponte di Akashi ha una luce di 1991 metri, mentre questa
proposta per il ponte sullo stretto prevede una luce di 3300
metri, ben 1309 metri in più, in percentuale quasi il 66% più
lunga.

I problemi, però, non si esauriscono alla sola distanza da coprire e alla lunghezza delle luci,
infatti ne emergono altri, di carattere sismico:
Lo stretto di Messina è sede di importanti processi
geologici, tanto che si può dire che la sua stessa presenza è
espressione di questi fenomeni che producono un
progressivo allontanamento dalla Calabria ad un tasso
medio di 1-2 mm/anno.
Questa deformazione non avviene sempre in modo
uniforme e asismico: i movimenti tettonici, anche se lenti,
accumulano energia lungo i piani di faglia (linea rossa), che
può essere liberata dando luogo a terremoti di grande
magnitudo, anche oltre il settimo grado della scala Richter,
come fu, ad esempio, il terremoto del 1908 di Messina in
cui ebbe luogo un allontanamento di circa mezzo metro.
Il vero problema, però, non è la risposta
globale del ponte, in quanto strutture di
questo genere hanno un periodo di
oscillazione di 3-4 secondi (ciò comporta il
fatto che quando il ponte inizia ad oscillare il
sisma è già terminato, perché viene
impegnata solo la zona terminale dello
spettro di risposta), ma gli effetti peggiori si
avrebbero a livello locale.

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Infatti, specialmente sulla sponda calabra,
sono attive numerose frane che minano la
stabilità delle fondazioni. Tale problema
richiede studi specifici e importanti interventi
ad hoc.

Un’altra seria problematica riguarda la stabilità aerodinamica del ponte sullo stretto: la
grande luce richiesta presuppone l’uso di cavi di sospensione di grande sezione e quindi di
forte peso. Questo comporta che i valori di oscillazione torsionale e verticale siano più vicini
tra loro e quindi che vi sia una riduzione della velocità di flutter che porta il sistema in
risonanza con la forzante. Questo fenomeno accade poiché al crescere del peso delle funi, il
comportamento di queste ultime tende a prevalere su quello della travata.
Facendo un ragionamento al limite in cui la travata abbia rigidezza torsionale nulla, si ha che
la deformata flessionale e quella torsionale dei cavi assumono una forma a doppia onda, la
prima in direzione longitudinale e la seconda in direzione trasversale rispetto all’impalcato.
Avendo posto la rigidezza dell’impalcato uguale a zero, questo non può che seguire la
deformata delle funi, ciò significa che ∅ si avvicina all’unità e che la velocità di flutter va a
zero.
Per evitare questo fenomeno bisogna aumentare il valore di ∅, ma ciò non è facile, perché
vista la grande luce da coprire, bisogna contemporaneamente usare dei cavi di diametro
maggiore (più pesanti), e un impalcato più leggero, che sia meno sofferente delle azioni
dinamiche del vento, pur dovendolo mantenere sufficientemente rigido. Il ponte di Tacoma
aveva un ∅ = 1,32, mentre i ponti sospesi attuali hanno un ∅ compreso tra 2,3 e 2,4. E’,
dunque, ragionevole pensare che il comportamento delle funi possa diventare
preponderante nel comportamento generale del ponte, perché il loro peso non è più
trascurabile rispetto a quello dell’impalcato: in un ponte del genere vengono installate due
coppie di funi, ciascuna con il diametro equivalente di oltre un metro, la loro area sommata
è circa 3,14 m2 e tenendo conto di un peso specifico di circa 8 t/m3 dell’acciaio, si ha un peso
di circa 25 t/m che è sicuramente un valore importante.
Un ultimo problema è rappresentato dall’esercizio ferroviario, infatti quando il treno carica
mezza travata, per valori realistici del rapporto carico accidentale/peso complessivo,
compreso tra 0.2 e 0.4, si hanno le massime deformazioni.
Il massimo spostamento adimensionale, rapportato alla luce della travata varia tra il 2,5 e il
5,5 per mille. Ciò che condiziona l’uso del ponte per il traffico ferroviario non è la freccia,
bensì la rotazione, che per gli attuali ponti sospesi assume valori compresi tra il 2% e il 4%.

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Questo effetto può essere acuito dall’azione del vento, che aggiunge anche un problema di
tipo torsionale, tant’è che in molti ponti sospesi, la circolazione ferroviaria viene bloccata
nei giorni in cui la velocità del vento è troppo elevata.

Considerazioni finali

Il ponte sullo stretto rappresenta un salto senza precedenti nelle sfide ingegneristiche legate
ai ponti, infatti, come già visto, è ben 1300 metri più lungo dell’Akashi Bridge che
attualmente detiene il record di ponte sospeso di maggiore luce. È bene ricordare, però, che
quest’ultimo non è un ponte ferroviario, sebbene in principio fosse stato progettato anche
per tale esercizio.
Il ponte sullo stretto è anche ben 2000 metri più lungo del Tsing Ma, attualmente il ponte
ferroviario più lungo con una luce di 1300 metri, ma che è un ponte metropolitano leggero
e quindi non paragonabile a quello sullo stretto di Messina.
Un altro aspetto importante di tipo logistico è legato alle pendenze massime imposte dalle
linee ferroviarie del 2-3 per mille: per superare i 60 metri di dislivello previsti dal progetto e
consentire l’attraversamento navale, sono necessari circa 30 chilometri per lato che
generalmente dovrebbero essere percorsi ad una velocità ridotta (circa 60 km/h), mentre il
progetto del ponte sullo stretto prevede un attraversamento ad alta velocità, cioè di minimo
130 km/h.

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