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Parte X–II Piastre, Membrane e Gusci

La volta scorsa ci siamo occupati di piastre piane, e abbiamo visto che se trascuriamo le variazioni
dello spostamento lungo z nello spessore, e quindi diciamo che tutti i punti allineati sulla normale al
piano medio hanno grosso modo tutti quanti lo stesso spostamento lungo z ( vi ricordo che lungo z
c’è un insieme minore della piastra, quella che abbiamo definito trascurabile rispetto alle altre due)
allora le componenti di spostamento possono essere espresse in questa maniera: vedete che abbiamo
due componenti dello spostamento U0 e V0 che sono le componenti dello spostamento nel piano
medio e queste daranno luogo a degli sforzi normali che si manterranno inalterati lungo tutto lo
spessore della piastra. E poi abbiamo altre porzioni dello spostamento che sono tutte collegate allo
spostamento trasversale Q0 dei punti giacenti nel piano medio. Queste componenti di spostamento
sono costanti nello spessore e sono parallele alle componenti di spostamento del piano medio,
incidono sulle componenti di spostamento del piano medio, quindi somigliano tanto alle epsilon di
sforzo normale. Mentre invece questa W, con tutte le sue conseguenze, nell’ipotesi che il piano
medio resti indeformato, non sono altro che le componenti che danno luogo alla lezione sul
comportamento flessionale della piastra. Oggi quindi parleremo di piastre curve e faremo una
ripartizione analoga a quella delle piastre rettangolari. Un’altra cosa che sappiamo è che lo stato
tensionale per ipotesi è piano e che nel caso delle piastre io adopero una notazione. Il buon
Timoschenko ci fece notare che, se la piastra è a spessore costante come normalmente accade, è
inutile portarsi appresso l’integrazione sullo spessore ma è bene farla subito fin dall’inizio in modo
tale da tirar fuori l’effetto dello spessore e quindi definì queste risultanti delle tensioni che
sostanzialmente sono carichi per unità di lunghezza, quindi praticamente sono sforzi unitari e in
generale sono presenti tutte le componenti di sforzo. Avremo quindi degli sforzi normali, dei tagli,
dei momenti flettenti e dei momenti torcenti. Appena ci mettiamo a studiare le piastre ci rendiamo
conto che la loro condizione di equilibrio è definita da una equazione completa del quarto ordine e
quindi anche nel caso della semplice soluzione di Navier abbiamo dovuto far ricorso a serie doppie.
Questo spiega d’altra parte le piastre normalmente vengono studiate numericamente. È ben difficile
che voi possiate trovare una soluzione semplice. Le piastre rettangolari sono state l’esempio più
eclatante e diffuso dello studio del metodo alle differenze finite. L’unica difficoltà con le differenze
finite si è verificata quando non si aveva a che fare con le piastre rettangolari perché la difficoltà è
quella di applicare le differenze finite alle superfici curve. Che cos’è un guscio? Un guscio è
sostanzialmente una piastra a doppia curvatura. Quelli che ci interessano in modo particolare sono
quelli che presentano una simmetria di rotazione perché siamo interessati a fare dei tubi, siamo
interessati a fare dei serbatoi oppure un sottomarino e quindi praticamente abbiamo a che fare con
della piastre curve di piccolo spessore che presentano una
simmetria chiara di rotazione e tra le quali prevalentemente
anche i carichi hanno una simmetria di rotazione. Questo ci
comporta delle tali semplificazione che non abbiamo più
bisogno di ricorrere a delle serie doppie ma bastano quattro
conti per affrontare una marea di casi interessanti. Ora
dobbiamo capire come si arrivi a tali semplificazioni. E
allora prendiamo un elemento di piastra curva, supponiamo
che questo ha la fibra media di lunghezza ds 0, ha un raggio di
curvatura rx ed è sotteso ad un angolo dφ.
È evidente che

e se mi sposto, vedete che z l’ho messo sulla superficie


media, di z dalla fibra media l’altezza del lato che avrò sarà

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Questo di solito lo scriviamo
portando fuori rx:
Da qui già si capisce dove ci stiamo avviando perché se z è piccolo rispetto a x
rx non lo tocchiamo e quindi si vede che tutte le semplificazioni dipenderanno dal fatto che lo
spessore sia piccolo, ossia trascurabile rispetto al raggio di curvatura corrispondente. Siccome di
solito abbiamo due raggi di curvatura lo spessore sarà piccolo quando sarà trascurabile rispetto al
più piccolo dei raggi di curvatura principali. Dopo la deformazione sarà cambiato tutto e il caso più
semplice che possiamo dire è che la deformazione sia inestensionale ossia ds 0 sia sempre uguale
anche se saranno cambiati rx e φ. Evidentemente rx sarà diventato r’x e dφ sarà diventato dφ’. Se
risolvo la disuguaglianza dirò che dopo la deformazione io avrò un

e se mi sposto di z rispetto alla fibra media avrò

Dire che stiamo parlando di una deformazione inestensionale vuol dire semplicemente che io faccio
una ipotesi che ds0 e ds’0 siano uguali cioè che si sia avuta una rotazione delle facce esterne
dell’elementino come si vede in figura. E allora in questo caso evidentemente r x dφ e r’x dφ’ sono
uguali e quando io scrivo la deformazione εx , dove ho tutti i punti del mantello, io mi riferirò ,
siccome si tratta di una superficie curva, alla lunghezza d’arco e scriverò:

Quindi avrò che come al solito εx varia con lo spessore, la sua variazione lungo lo spessore dipende
dal rapporto z/rx e dipende dalla variazione dei raggi di curvatura. I segni sono così perché si parte
dall’idea che r’x sia più piccolo di rx . Per cui 1/ r’x è più grande per cui è uscito fuori così il segno -.
Nel momento in cui c’è una dipendenza di una εx da un raggio di curvatura, se vi ricordate la teoria
della trave, capite che sto parlando dei momenti perfetti. Questa deformazione inestensionale è
chiaramente legata a un comportamento flessionale della piastra curva. In generale la deformazione
non è inestensionale. Tra ds’0 e ds0 non esisterà una relazione di uguaglianza. Se voglio
quantificarla dirò che ds’0 è un quid in più di ds0. Quindi scriverò:
dove ε1 è un allungamento nella direzione della superficie
media. Quando mi vado a calcolare la εx ecco comparire
una espressione più complicata in cui ho una deformazione
ε1 che non è uniforme nello spessore perché c’è z/r x e
questa stessa ε1, vedete mi trovo un termine estensionale ε1
e uno che è quello di prima flessionale, però in quello
flessionale ora compare anche un contributo che è quello
dell’estensibilità cioè della ε1. Ma quanto può essere grande
questa ε1? È molto piccola e quindi 1+ ε1 si può
approssimare con 1. E quindi ottengo:

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Quindi in pratica riottengo la stessa espressione di prima e la mia ε è dovuta al termine estensionale
e a un termine flessionale. Scriverò quindi questo:

Avrò raggi di curvatura differenti e tensioni identiche. Se si tratta di una piastra sottile, quindi se z
massimo può essere trascurato rispetto al raggio di curvatura più piccolo, allora alcuni di questi
termini scompariranno e si avranno le seguenti equazioni:

ε1 è costante e χ1 è la variazione del raggio di curvatura. Stessa cosa nell’altro piano. In questa
maniera abbiamo completamente separato il caso estensionale dal caso flessionale.
Abbiamo introdotto una indipendenza dallo spessore perché praticamente è trascurabile e poiché ε 1
e ε2 li vado a misurare nel piano medio e poiché r x e ry sono i ??????? di valori principali della
superficie media, io in completa analogia con quello che ho fatto per le piastre piane sto prendendo
lo studio di tutta la piastra a doppia curvatura e la sto riportando allo studio della sua superficie
media. Quindi sto facendo esattamente lo stesso percorso. Anche li avevo la ε 1 estensionale e la ε
flessionale solo che li si trascurava la parte estensionale e qui si farà esattamente il contrario.
Parleremo solo del comportamento estensionale della superficie media. Quando potremo fare questo
diremo che il guscio ha un comportamento membranale. Un esempio di membrana sono le bolle di
sapone. Non reagiscono assolutamente flessionalmente ma reagiscono solo con degli sforzi tangenti
alla loro superficie media. Lo stato tensionale lo riteniamo piano e dalle precedenti espressioni
possiamo ricavarci le componenti di tensione:

Nel momento in cui parleremo di gusci a simmetria assiale la τ anche viene meno perché dipende
dai φ e γ, lo stato flessionale lo trascuriamo e i γ dipendono o dalla variazione lungo l’angolo dello
spostamento radiale du/dθ e se c’è simmetria assiale questa variazione non ci può essere o dagli
spostamenti tangenziali perché se c’è simmetria assiale non ci può essere una v. L’unica
componente di spostamento che sussiste è la u, spostamento radiale. Quando parleremo dei gusci di
rotazione in simmetria assiale di carico la τ sarà zero e resteranno solo le altre due componenti. Ci
andiamo a scrivere le risultanti di
carico e non abbiamo nessuna
difficoltà a scriverle perché le
pigliamo esattamente come per le
piastre piane, l’unica cosa che quando
scriviamo l’arco questo sarà (1-z/r)dz
che rappresenta l’area elementare.
Fatto apparire, lo facciamo sparire
subito perché sappiamo che z per noi
è piccolo rispetto allo spessore e
torniamo quindi ad avere
formulazioni che sono identiche a
quelle che avremmo avuto nel caso

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delle piastre piane anche se questa volta abbiamo dovuto introdurre questa approssimazione. Se
introduciamo questa approssimazione, piastre sottili, avremo degli sforzi normali e di taglio lungo il
piano medio che dipendono solo dalle componenti di deformazione lineari o di scorrimento
misurate nel piano medio. Abbiamo delle coppie che dipendono solo dalle variazioni di curvatura.
Quindi vedete che gli effetti sono completamente separati. A questo punto abbiamo ancora dei tagli
ma non ne vedo gli effetti per il semplice motivo che avvengono su gusci di rotazione soggetti a
carichi assialsimmetrici, quelli che dipendono da τ che a loro volta dipendono da γ, che sono nulle
perché dipendono da θ, allora è chiaro che sono sistematicamente nulli. Siamo partiti dicendo che la
deformazione di una piastra a doppia curvatura è formata da una parte che dipende dalla
deformazione sulla superficie media e da una parte che dipende dalla variazione dei raggi di
curvatura, queste deformazioni poi varieranno lungo lo spessore. La prima cosa che poi abbiamo
detto è che siccome lo spessore è piccolo possiamo non considerare la torsione e che per calcolare
le risultanti di carico trascuriamo l’archetto che dipende dallo spessore che è piccolo. In questa
maniera riesco ad ottenere una separazione completa delle componenti di sforzo nel piano e
flessionali. Rimane come ultima cosa il considerare che siano trascurabili anche le variazioni di
curvatura e cioè che le χ siano grossomodo tutte uguali a zero. Nel momento in cui introduco anche
quest’altra supposizione, è chiaro che scompaiano tutti i momenti, i tagli già erano scomparsi e mi
restano solo le caratteristiche all’interno del piano medio misurate sul piano medio. Tutto è costante
e non considero più la variazione dello spessore etc. Ci sono due osservazioni da fare: 1) cosa me ne
faccio di questa condizione? nel senso che: è realistica? una membrana o un corpo che si deforma
uniformemente nello spessore e che riduce tutto a degli sforzi nel piano medio è capace di resistere
a dei carichi ad esempio normali alla superficie esterna? ebbene è come se stessi parlando delle
bolle di sapone che sono capaci di resistere alla pressione, entro certe deformazioni, e quindi le
membrane sono capaci di resistere a degli sforzi normali alla loro superficie: questo è un fatto
importantissimo che rende le membrane delle costruzioni meravigliose; 2) ma quali sono i limiti di
queste cose? i limiti sono fortissimi, e sono nelle cose che abbiamo detto: per poter applicare la
teoria membranale oltre allo spessore piccolo noi ci dobbiamo sistematicamente assicurare che
siano trascurabili le variazioni dei raggi di curvatura altrimenti ricadiamo nella teoria molto più
generale del comportamento flessionale dei gusci che è una teoria troppo complicata. Se io prendo
un serbatoio cilindrico e lo riempio di gas non c’è problema, se lo riempio di acqua e lo metto con
l’asse orizzontale per cui l’acqua arriva a un certo punto e poi non c’è più io devo studiarmi il
comportamento flessionale perché la variazione di carico me lo necessita. Un altro caso è tutte le
volte che ho un coperchio, nel passaggio dal mantello principale al coperchio io ho delle torsioni
che hanno deformabilità diverse, anche se è chiaro che arriveranno ad avere lo stesso spostamento
anche se da sole non lo avrebbero e ciò accade solo grazie al loro comportamento flessionale.
Questi sono casi in cui il comportamento membranale non è più accettabile. Non sarà mai
accettabile vicino ai vincoli per cui se voi vedrete i recipienti sferici questi avranno un
comportamento membranale ma poi troverete un bell’anello che vi sorregge questo recipiente e
nelle vicinanze di questo anello il comportamento è flessionale perché c’è un carico esterno che è
diverso e non è una pressione pura. Quindi dobbiamo renderci conto che
le teoria membranale ci consente di capire tante cose ma ha dei limiti
fortissimi. A questo punto andiamo a vedere il caso che più ci interessa
che è quello del guscio di rotazione soggetto a carico assialsimmetrico.
Questi gusci sono ottenuti geometricamente facendo ruotare attorno ad
un asse una curva che è il meridiano di questi recipienti e quindi avrò
una curva, meridiano, che avrò fatto ruotare attorno ad un asse. Questa
curva presenterà una curvatura che ovviamente è uno dei raggi di
curvatura principali della superficie, quello indicato con r1, mentre l’altro
lo avrò su un qualsiasi piano radiale. Il teorema di Eulero ci dice che
l’altro raggio di curvatura principale io lo dovrò vedere in un piano
perpendicolare al piano meridiano. Questo piano è quello che si chiama

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piano normale e non è il piano che contiene il parallelo ma è un piano che ha un’altra direzione che
è molto scomodo da rintracciare per cui va a finire che tutto viene espresso in coordinate parallele.
Quando parlammo del teorema di (Wernier?) noi facemmo riferimento alla Terra e il raggio della
Terra non è uguale al raggio dell’equatore e i raggi principali della Terra in qualsiasi punto sono
due e coincidenti e sono lungo una normale alla superficie esterna mentre il piano del parallelo non
contiene la normale alla superficie esterna ed ecco perché questo non può essere il raggio principale
però pensando al teorema di W. è facile pensare che se ho un raggio parallelo r 0 e l’anomalia del
punto rispetto al centro di curvatura dφ avrò:

La superficie elementare sarà divisa tra due meridiani molto vicini distanti dθ tra loro e due sezioni
normali( due piani perpendicolari al piano meridiano contenenti la normale alla superficie). Questo
è quello che facciamo quando andiamo a considerare una superficie sulla faccia della Terra che è
delimitata da due meridiani e due paralleli. Quella superficie terrestre è quindi delimitata da quattro
archi di cerchio, la lunghezza dell’arco di cerchio più a sud a parità di angolo formato dai due
meridiani non è la stessa ( ardo b e arco d ) mentre i due archi a e c sono uguali. Allora è chiaro che
d sarà più grande di b però in realtà noi stiamo parlando di superficie elementare e quindi stiamo
parlando di dφ e dθ per cui con buone approssimazione possiamo dire che tra b e d non c’è una
grande differenza. A questo punto l’area elementare diventa semplicemente un rettangolo
mistilineo, ossia un rettangolo i cui lati sono sagomati come archi di circonferenza, e quindi la sua
superficie diventa uguale al prodotto di base per altezza. E questa sarà la superficie elementare. Il
problema è che questi gusci a quali carichi saranno sottoposti? Il guscio che stiamo trattando ha un
comportamento ???????? e quindi avrà degli sforzi in una direzione e degli sforzi nell’altra
direzione. Quindi degli sforzi che qui saranno perpendicolari all’arco b e quindi per essere
perpendicolari saranno sempre lungo la tangente al meridiano e avremo degli altri sforzi che
saranno perpendicolari agli a, quindi ai piani meridiani, e che quindi saranno diretti tangenzialmente
al parallelo. Quando noi parliamo di un elemento è chiaro che ci riferiamo a una figura
quadrangolare ma poi questa figura la dobbiamo accoppiare con delle direzioni e l’accoppiamo con
la direzione del parallelo medio e del meridiano medio. Presi il meridiano e il parallelo manca una
terza direzione che prendiamo nel punto di incontro la direzione della curvatura che chiamo
direzione radiale. In questo punto che è anche il centro di questa superficie io ritengo agenti i
carichi esterni. I carichi che avrò saranno quello normale (radiale) e quello lungo la tangente al
meridiano ma non quello lungo la tangente al parallelo perché devo avere l’assialsimmetria dei
carichi. Quando io ragiono in termini di risultati di sforzo interno parlo di un carico normale, una
forza per unità di lunghezza, applicata nel punto medio dei bordi della direzione delle tangenti al
meridiano e questo lo chiamo sforzo meridiano, e poi avrò nel punto medio degli altri due lati delle
forze che avranno la direzione della tangente al parallelo medio in questi punti e li chiamerò sforzi
paralleli. I primi li chiamo generalmente N φ e i secondi Nθ. In generale il mio elemento è sopportato
a dei carichi radiali lungo il meridiano ed è sostenuto da sforzi interni che hanno delle risultanti di
taglio dirette lungo il meridiano e il parallelo. Va da se che gli N φ possono cambiare ma gli Nθ non
possono farlo.
Ora cominceremo a costruirci l’equazione di equilibrio per questo elemento pezzo per pezzo.
Cominciamo dalle azioni lungo il meridiano. Mi sono messo in un piano meridiano per cui, a parte
l’effetto di curvatura, io vedo principalmente un archetto e la sua superficie media con delle
risultanti di carico Nφ da una parte e dall’altra. Queste due risultanti unitarie non sono uguali tra di
loro, siccome tra questi due punti si è avuta una variazione dell’angolo meridiano, allora la
variazione tra i due potrà essere posta in termini di sviluppo di Taylor. Queste forze sono dirette
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lungo la tangente al meridiano nei due punti.
Esprimeremo le condizioni di equilibrio in direzione
radiale e tangente al meridiano. Quando parlo di
tangente al meridiano parlo di tangente al punto
medio. Quando parlo di direzione radiale ce ne sono
infinite ma io mi metto al centro dell’elementino e sto
considerando la direzione radiale nel punto medio di
tale elementino. Un’altra cosa di cui bisogna tener
conto è che le superfici sulle quali agiscono N φ e N’φ
sono diverse tra loro perché passo da un parallelo ad
un altro: quindi da un lato avrò r0dθ e dall’altro (r0dθ +
r0dθdt/dt). Allora diremo che questa risultante Nφ avrà
una componente tangente e una perpendicolare ruotata di dφ/2. Quindi avrò una Nφcos(dφ/2) che
rappresenta la direzione tangenziale e una Nφsen(dφ/2) che mi rappresenta la direzione radiale.
Notate che le componenti tangenziali sono
contrapposte da una parte e dall’altra perché c’è il
materiale che se lo tira dai due lati mentre le
componenti radiali sono concorrenti e centripete.
Queste due forze danno luogo ad un’azione
radiale diretta lungo il raggio medio:

Se sviluppo questa relazione e tolgo le parti di ordine superiore e considero il seno all’incirca
uguale all’angolo ottengo che alla fine mi resta:

L’azione tangenziale invece sarà:

Andiamo a vedere ora quelle che sono le


azioni dirette lungo il parallelo dove avrò le
due Nθ che sono uguali perché c’è una
assialsimmetria sia geometrica che di carico.
Anche qui che sto in un piano parallelo mi
vado a trovare una risultante tangenziale e
una risultante radiale. Quando parlo di
direzione radiale parlo della direzione
radiale rispetto al piano parallelo (quella di
dRθ nella seconda figura) e quindi poi questa avrà ulteriori componenti
rispetto alla direzione radiale principale. La procedura è la stessa di prima ma questa volta carichi e
superfici sono gli stessi e quindi quando vado a calcolarmi le componenti lungo il parallelo
ovviamente mi trovo zero. Ho due forze uguali che deviate ugualmente dal piano medio essendo
contrarie vanno a zero. Se non ci fosse l’assialsimmetria non avrei zero e avrei un sacco di
problemi. La componente radiale quindi sarà:

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Questa componente come detto avrà ulteriori
componenti nelle direzioni principali:

Ora fatto questo debbo solo assemblare una posizione di


equilibrio radiale, una equazione di equilibrio alla traslazione
in direzione tangenziale tangente al meridiano e una equazione
di equilibrio alla traslazione in direzione tangente al parallelo
che sappiamo però essere nulla. Ho quindi bisogno di sole due
equazioni e soltanto di due. Vediamo che ho una risultante
delle azioni esterne (Z e Y). Z sarà radiale e quindi avrò
Zr1r0dφdθ e avrò una Yr1r0dφdθ. Quindi vado a scrivere le
equazioni di equilibrio lungo il meridiano e avrò anche
l’equazione di equilibrio alla traslazione lungo la direzione
radiale. Notate che sono equazioni banalissime anche se una
delle due è una equazione differenziale.

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Quindi se mi trovo a dover risolvere un problema di equilibrio del sistema in termini locali, mi
trovo a dover affrontare un solo termine differenziale in due equazioni. Per questo motivo la
equazione A) non viene presa in considerazione. Queste sono due
equazioni di equilibrio locale. Ho bisogno di due equazioni perché ho
due incognite (le due N). Se devo trovarmele a livello locale non posso
far altro che andare a sostituire queste due equazioni ma poiché so che il
regime è di assialsimmetria io potrei cercare di utilizzare questa condizione per non andare a
prendere in considerazione una equazione di equilibrio locale ma quella globale ed è quello che si
fa. Quindi si finisce per accoppiare all’equazione B) una equazione di equilibrio globale in modo
tale da ottenere due soluzioni algebriche e il problema diventa banalissimo. Supponiamo di aver
eseguito la sezione di questo guscio di rotazione e supponiamo che i carichi esterni abbiano in tutta
questa struttura una risultante complessiva assiale R e solo questa perché non sto facendo una
relazione per l’equilibrio alla traslazione radiale. In direzione circonferenziale non l’avranno mai
perché se no non sarebbe assialsimmetrico. Sotto l’azione di questa R, io avrò, una volta che ho
fatto la sezione normale che fa uscir fuori un cono, tante
NφdA che avranno una componente assiale che sarà
NφdAsenφ e avranno una componente radiale NφdAcosφ.
Andiamo ora a fare le risultanti. Queste N φ per simmetria
assiale sono tutte uguali fra di loro e quindi lo saranno le
loro componenti assiali e in modulo le radiali e quindi la
somma di queste ultime è ovviamente zero. Restano solo le
componenti assiali che sono tutte uguali fra di loro ma
equiverse e quindi ne farò gli integrali lungo θ ottenendo
proprio 2π. Questa sarà la risultante degli sforzi interni e la
R quella degli sforzi esterni e la
loro somma sarà uguale a zero.
Quindi dall’equazione di
equilibrio globale mi ricavo la Nφ
mentre dall’equazione di
equilibrio locale mi ricavo la Nθ. Una volta ricavate queste due posso passare alle componenti di
tensione ritenendole fortemente dipendenti dallo spessore (s) e trovo:

Sono tensioni principali e non ci sono sforzi di taglio o tensioni radiali. Ho delle tensioni meridiane
e parallele. Il problema è che se voglio utilizzare queste due equazioni debbo fare uno studio
geometrico e andarmi a trovare i raggi di curvatura. Se io ho una superficie a doppia curvatura
ottenuta per rotazione di una curva meridiana intorno ad un asse allora i due raggi di curvatura sono
questi:

Quindi se si scrive l’equazione della curva vi ricavate i due raggi in ogni punto e quindi in ogni
punto potete ricavarvi gli sforzi membranali.
Lasciando stare i primi due esempi banali passiamo a considerare quello che può essere un
problema ingegneristico come la volta sferica pesante che non è altro che una cupola. Supponiamo
di avere una cupola che ha un peso per unità di superficie q e torno torno quindi ho una qdA. La dA
essendo questa una sfera di raggio a sarà ovviamente un 2πau ma posso esprimerla anche attraverso
l’uso dei raggi di curvatura:

Io suppongo che di questa sfera io ne adoperi solo una parte, una volta o una calotta, definita da φ
per cui in questo caso ho utilizzato φ come estremo superiore dell’angolo e non come valore

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corrente che invece ho chiamato u[0,φ]. Allora su ogni dA c’è una qdA, conviene portarsi alla
superficie anulare, pareggiare l’integrale in dθ e sostituirlo con 2π e avrò:

Questa è la risultante delle forze peso (forze assiali) che mi debbono dare anche forze radiali. Le
equazioni di equilibrio che ottengo sono:

Dall’equilibrio globale mi ricavo Nφ e vedo che è negativa perché se io


ho una volta e premo dall’alto il verso è opposto a quello del peso. Sotto
l’effetto del peso in direzione meridiana questa volta è sempre
compressa. Vediamo che succede in direzione parallela:

È facile vedere che per φ=0, Nθ è negativo e quindi


quando io parto più su (come angolo) anche in
direzione circonferenziale le forze sono di
compressione. Questa forza all’aumentare di φ
comincia a diminuire e per φ=51,8° diventa zero e poi positiva, per cui se io faccio una cupola
sferica che abbraccia più di 51° questa si spappola. Questo è il motivo era difficile fare le cupole nei
tempi passati. Poi nel rinascimento si capì come risolvere questo problema mettendo delle forze di
contrasto al centro della cupola.
Ora prendiamo un recipiente sferico e
riempiamolo di gas. All’interno abbiamo
una pressione di –p e i due raggi uguali.
Abbiamo un equilibrio locale e globale.
Trovata la R vedo grazie alle
relazioni che le due N sono uguali
tra loro, come c’era da attendersi
essendo una sfera. Da queste mi
ricavo le σ che sono tutte uguali tra
di loro. Da questo caso passiamo
ad un altro che ci interessa
particolarmente e cioè quello dei serbatoi cilindrici
pieni di gas. Il cilindro è una superficie a semplice curvatura e non a doppia curvatura e questo vuol
dire che uno dei raggi di curvatura principali è infinito. È infinito il raggio del meridiano mentre il
raggio del parallelo vale a ed è quello che chiamiamo raggio medio del cilindro. Supponiamo che
non ci siano fondi e quindi che non ci sia la componente assiale e quindi che R sia uguale a zero. In
questo caso viene che Nφ è uguale a zero e
questo vuol dire che non c’è uno sforzo lungo il meridiano, e quindi non c’è una tensione assiale sul
mio mantello. Ci sarà solo una tensione circonferenziale (σ ma non τ). Supponiamo ora che invece i
fondi ci siano. In questo caso si avrà di nuovo una N φ che
sarà uguale a quella del caso del serbatoio sferico. Se ci sono
i fondi poi la tensione circonferenziale è il doppio di quella
assiale. Per questo motivo se io ho una bombola, questa
scoppia perché si creano delle crepe lungo le generatrici,
perché sono dovute alle σθ . Il distacco del fondo è una cosa che i bombolari non conoscono perché
la bombola si apre lungo la generatrice. Queste due equazioni ve le ho fatte vedere secondo la teoria
dei gusci membranali. Ma l’uomo le conosceva già da tempo sotto il nome di formule delle caldaie
perché quando parliamo di caldaie parliamo di tubi e mantelli soggetti a pressioni interne. Quando
si cominciò ad utilizzare la macchina a vapore questa scoppiava perché
non si conoscevano fenomeni come la fatica, la fatica termica, non si
sapeva come realizzare le tenute. Quindi ci si pose il problema di
dimensionare i mantelli delle caldaie. Da qui

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nacquero le formule delle caldaie che sono banalissime. Io ho una tensione assiale che agisce su di
un’area che è 2πas e questa deve essere uguale al carico che ho sul fondo pπa 2.
Circonferenzialmente io prendo metà tubo. Il carico è dovuto alla pressione interna e deve essere
equilibrato dalle σt.

Così posso analizzare anche i serbatoi conici che è un’altra forma a semplice curvatura (r 1=∞). α è
la conicità del recipiente, h è la quota a cui mi metto.
Il metodo è praticamente sempre lo stesso.
Vi faccio un ultimo caso
che è un po’ diverso dagli
altri perché fino ad ora
abbiamo sempre trattato
gas. La pressione non è più
uniforme ma essendo un
liquido cambia con la
profondità: sul pelo libero
avrò p0 mentre scendendo
avrò p=p0+γ(H-h). Se
voglio sapere quali siano gli sforzi all’altezza h divido in due
l’equazione di equilibrio. Da una parte considero una parte di acqua e

dall’altra la restante. Mi calcolo


quindi il peso della colonna d’acqua
e quindi mi debbo calcolare il
volume. Quindi dovrò calcolarmi il
volume del cilindro e del cono.
Quindi ottengo la pressione
variabile e nell’equilibrio globale ho
il volume variabile con la
profondità. Supponendo che non ci
sia una pressione esterna, ho che sul
vertice sono nulli tutti e due gli
sforzi, mentre sulla superficie del
liquido non ci sono sforzi
circonferenziali ma solo sforzo meridiano. Questo mi ha dato l’idea di andare a vedere a quale
quota c’è lo sforzo meridiano massimo.

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Lezione 21 – Cilindri con parete a forte spessore

All’altro estremo della possibile casistica rispetto alle membrane,


ci sono i recipienti curvi a forte spessore. In questi casi, di cui il
più importante è quello cilindrico, non c’è nessuna dimensione
realmente trascurabile rispetto alle altre e quindi non possiamo
che ricorrere alle teorie generali dell’equilibrio. Un caso classico
è quello dei reattori chimici nei quali occorre avere una cavità di
dimensioni contenute, ma poiché si ha a che fare con fortissime
pressioni, vengono fuori delle dimensioni di parete enormi. Il
caso più semplice è quello del recipiente assoggettato a una
pressione interna o esterna. La geometria è molto semplice in
quanto è un recipiente a semplice curvatura caratterizzato da simmetria assiale geometrica
sottoposto a carichi assialsimmetrici. Consideriamo il materiale lineare elastico isotropo e carichi
uniformi lungo l’asse z. Quest’ultima cosa semplifica di molto la trattazione perché conduce ad uno
stato di deformazione indipendente dal tempo. È ovvio che trattandosi di un solido
assialsimmetrico, risolviamo il problema ricorrendo alle coordinate polari e quindi sappiamo che
delle equazioni di equilibrio ne rimane solo una che è:

Questa relazione ha moltissime applicazioni ed è l’unica che possiamo scrivere e questo è un


problema in quanto abbiamo due incognite. Dobbiamo recuperare
un’altra equazione e lo facciamo utilizzando l’equazione di congruenza.
In questa abbiamo bisogno della deformazione radiale εr e una εt
tangenziale che deriva da due cose: 1) dall’allargamento estensionale
dell’involucro oppure 2) dal fatto che l’elementino si è spostato su un
raggio diverso. Il primo caso mi fa comparire un dv/dθ che trattandosi di
un problema assialsimmetrico certamente sarà nullo perché v è zero.
Quindi resta solo il secondo termine che è u/r. Si capisce subito che le
due ε sono parenti. Quindi differenziamo εt rispetto ad r:
Otteniamo quindi l’equazione di congruenza
che mi dice che legame ci deve essere tra le
componenti di deformazione e le loro
derivate per un problema del genere. Abbiamo
quindi ottenuto le due equazioni che cercavamo. Sappiamo che non hanno le stesse incognite ma
sappiamo pure che valgono le equazioni di Navier e quindi so di poter trasformare la seconda
equazione in termini di tensioni. I casi che ci interessano sono quelli corrispondenti a stati piani di
tensione e deformazione perché devo fare un’ipotesi nel momento in cui vado a inserire l’equazione
di Navier nell’equazione di congruenza e debbo sapere quali eq. di Navier andare ad utilizzare. Lo
stato piano di tensione è
generalmente più banale e
quindi utilizziamo quello,
anche se quello che si incontra
più spesso è quello dello stato
piano di deformazione. Quindi per prima cosa mi scrivo le equazioni di Navier in questo caso:

Dopodiché mi scrivo il dεt/dr:

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Poi faccio qualche giochetto per trovarmi
dall’equazione di equilibrio la σt :

Sostituisco nell’equazione di congruenza e


ottengo una equazione nella sola incognita σr:

Il resto è banale integrazione:

Dall’eq.di equilibrio poi ottengo:

Di solito questa soluzione la scrivo come:

Come si vede entrambe le tensioni diminuiscono all’aumentare di r e quindi il bordo interno è


sempre più caricato. Quello che debbo calcolarmi sono le due costanti A e B. Poiché avrò delle
pressioni agenti sul bordo interno ed esterno. Quindi la tensione radiale sarà uguale a meno l’una e
meno l’altra:

Da queste sostituendo al posto di σr il termine A-B/r2 ottengo:

Queste equazioni spesso vengono presentate nella forma più adimensionalizzata possibile. I raggi
vengono adimensionalizzati rispetto al raggio esterno. Viene preso un raggio che caratterizzi la
geometria β che sarà parecchio minore di uno, e poi avremo
una variabile corrente, r, che viene adimensionalizzata
tramite ρ:
Da qui otteniamo queste relazioni:

Qualcuno prosegue questa operazione di adimensionalizzazione scrivendo

E allora le relazioni diventano:

È importante capire invece cosa accade realmente. Allora supponiamo di avere una pressione
interna, pi, e di non avere pressione esterna. Avremo che k=0. Quindi si vede come
le tensioni in questo caso, a parte il termine geometrico, dipendano da 1±1/ρ2:

Particolarizzandola per raggio interno e raggio esterno vedete che il valore massimo
in assoluto deve verificarsi al raggio interno. Quindi nel caso di recipiente cilindrico sottoposto a
pressione interna la tensione radiale è sempre negativa e va da –p a 0, mentre la tensione

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circonferenziale è sempre positiva e va da un valore massimo al bordo interno a un minimo diverso
da 0 al bordo esterno. È sicuramente diverso da 0 perché la tensione circonferenziale non ha niente
a che fare con il carico applicato. Vi ho poi riportato i rapporti tra le tensioni di confronto
all’interno e all’esterno perché questa tensione comunque diminuisce dal bordo interno al bordo
esterno. Io non voglio che questo rapporto sia enorme perché, sapendo che comunque la tensione di
confronto deve essere minore a quella ammissibile al bordo interno, il materiale che sta al bordo
esterno è poco sfruttato. Quindi io voglio che il rapporto tra la tensione in rapporto al bordo esterno
e al bordo interno non superi un valore massimo che io posso imporre a progetto e chiamerò μ.

Impostato questo massimo verrà fuori poi un valore minimo di β. Al diminuire di β il rapporto tra le
tensioni di confronto aumenta e quindi se io voglio contenere tale rapporto non posso avere β più
piccolo di un certo valore. Questo mi comporterà dei forti raggi.
Nell’altro caso abbiamo una pressione posta all’esterno del recipiente. Da qui appare un β 2 in
parentesi e posso fare le stesse considerazioni dette per l’altro caso.

Per l’ipotesi di stato piano di deformazione dove siccome deve essere da


questo si ottiene che la tensione assiale è costante:

Ho preparato un esempio da guardare qualitativamente e


riguarda un impianto di estrusione dell’alluminio. La
billetta viene caricata all’interno del container, che è un
recipiente cilindrico di grosso spessore, e viene
appoggiata alla matrice di estrusione. Avrà un diametro di
un paio di metri e la lunghezza di circa un metro e mezzo,
ha un foro interno del diametro della billetta. Si introduce
la billetta calda, poi faccio entrare il pistone e
quest’ultimo spinge la billetta nel foro della matrice.
Questo container di solito è sempre più grosso di quello che serve perché uno dei problemi che noi
incontriamo, quando estrudiamo un metallo, è che mentre lo estrudo il metallo si raffredda. È vero
che tende a riscaldarsi per effetto dell’attrito sulle pareti del foro del container e del foro della
matrice, però l’effetto non è così violento per cui succede che la billetta tende a raffreddarsi. Per
evitare che si raffreddi all’interno del container si mettono delle resistenze.
Abbiamo una billetta da 180mm e la forza di spinta di 25MN. La velocità di estrusione è di 3 cm/s.
Questo richiede una potenza di 750kW e la temperatura alla quale avviene tutto è 550°C. Questa
temperatura è sempre un compromesso perché più elevo la temperatura più il materiale si ammolla
e minore forza di spinta necessita, però se poi esagero cominciano a comparire delle bruciature sotto
forma di macchie sull’estruso e delle volte comincio ad avere delle irregolarità superficiali. Il
container ha 990mm di diametro esterno e 1,4m di lunghezza. La pressione di estrusione è 982MPa

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e quindi N/mm2. Se io premo la billetta in direzione assiale tenderà a deformarsi anche radialmente
e quindi tenderà a premere sulle pareti del container. È difficilissimo calcolare quanto valgono le
pressioni radiali e tangenziali della billetta sul container. Le simulazioni numeriche mi dicono che
la pressione sulla parete sarà di circa il 60-80% della pressione sulla billetta. Io ho considerato il
70% ed è venuto 688MPa. A questo punto vado a calcolarmi le sollecitazioni che ho nel container.

La tensione di confronto è fortissima perché, siccome devo fare la differenza tra le due componenti
di tensione, nel momento in cui ho le componenti che
hanno segno opposto, contribuiscono con la somma dei
valori assoluti a quella di confronto. Il bordo esterno
non lavora proprio come si può vedere. Per riparare a
questa condizione disastrosa si fa il container in due
pezzi, ossia un cilindro interno e un cilindro esterno.
Avrò quindi un calettamento forzato. Avrò quindi che il
cilindro interno sarà assoggettato alla stessa pressione
da parte della billetta, però è anche assoggettato alla
pressione esterna di calettamento del cilindro esterno. Il
cilindro esterno invece sarà soggetto solo alla pressione di
calettamento. Molto dipende dai diametri che si scelgono. Io ho
preso dei diametri abituali e ho scelto quello di accoppiamento
pari a 380mm. Ora si applica una espressione trovata da un certo Stange e si cerca di portare la
pressione all’80-90% della sigma di snervamento, ossia quasi alla plasticizzazione.

Trovata la pressione di calettamento (111MPa) si vanno a prendere le tabelle delle tolleranze e si


vede quale accoppiamento porti a una deformazione tale da creare una pressione vicina a quella di
calettamento.

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Naturalmente fatti questi calcoli devo sovrapporre gli effetti.

Come si vede la pressione sul raggio interno è scesa da oltre 1200 a 991MPa perché c’ho un effetto
di contrapposizione tra la pressione esterna e quella interna. Se mi metto invece sul raggio esterno
vedo che la tensione di confronto è salita fino a 85MPa, il che mi fa piacere perché sfrutto meglio il
materiale. Si può ottenere ancora di più facendo un terzo strato. Avrò un calettamento a 300mm e
uno a 500mm. Mi calcolo le pressioni di calettamento su tutti i cilindri.

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Poi mi sommo le tensioni omologhe e vedo che da 1200 sono sceso 794MPa. Sul bordo esterno da
47 sono salito a 141MPa.

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Se infine guardiamo i diagrammi che non si riferiscono ovviamente all’esempio, anche se è un caso
analogo, vediamo come la tensione di confronto vada diminuendo con l’aumentare dei cilindri
all’interno del foro e come aumenti all’esterno del container. Quindi si nota l’effetto benefico
dovuto all’effetto della contrapposizione tra pressione interna e pressione esterna.

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