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Lezione 32- 30 maggio 2016

COLLEGAMENTI
Uno dei vantaggi della carpenteria metallica rispetto al calcestruzzo è che posso realizzare il grosso
in fabbrica e in situ devo solo assemblare i pezzi: ciò è un vantaggio dal punto di vista delle
tempistiche e non solo perché in fabbrica ho sicuramente un livello di qualità e di controllo migliore
rispetto al cantiere.
Il calcestruzzo armato si è adeguato inventando il prefabbricato che essenzialmente è la stessa cosa.
Il vantaggio è anche un’eventuale smontabilità in quanto si adoperano dei collegamenti che sono
reversibili; la saldatura non è reversibile in quanto eliminarla, sarebbe un intervento molto
traumatico. Spesso, quando lavoro con elementi prefabbricati, ho difficoltà nel collegamento e
quindi il vincolo tende a essere sempre meno un incastro, sempre più una cerniera. Avendo un
vincolo cerniera chiaramente la struttura può diventare labile, motivo che detta anche le forme delle
strutture.

BULLONATURA
Per la bullonatura si devono controllare le tolleranze: si deve avere una precisione millimetrica
poiché il foro e il bullone hanno diametri differenti, ovvero il diametro del foro deve essere
leggermente maggiore del diametro del bullone, di circa 1 mm - 1.5 mm, a seconda del diametro del
bullone. Si tratta di una “precauzione tecnologica”.
Tale tolleranza, insieme alla deformabilità intrinseca del bullone, fa sì che si generi un gioco, quindi
dei collegamenti tali che il vincolo non sia più un incastro ma una cerniera; si tratta di un vincolo
elastico cedevole: cerniera con molla.
Come si calcola? Le bullonature sono molto critiche in quanto è facile commettere degli errori ad
esempio possono esistere delle eccentricità accidentali che generano delle coppie inaspettate, ma,
per fortuna, con dei trucchi si possono rendere minime tali eccentricità. Questi sono essenzialmente
dei problemi di modellazione.
Se ho una bullonatura, cercherò di farla simmetrica.
Anche nella precedente lezione abbiamo visto ad esempio quanto trasferisce una bullonatura;
consideriamo un pannello bullonato con dodici bulloni:
Che sollecitazione ha ogni bullone se ho due forze come quelle
rappresentate in figura?
Se sostituissi ogni bullone con la rispettiva forza che vi grava,
avrei le solite tre equazioni di equilibrio in dodici incognite dunque noto che, superati i due/tre
bulloni dove ancora riesco a sfruttare le equazioni cardinali della statica per determinare lo sforzo
che si prende ogni bullone, è come se le bullonature fossero iperstatiche così da rendere troppo
complessa la valutazione della distribuzione dello sforzo.
La bullonatura può essere però calcolata a partire da un’ipotesi semplificativa: la cosiddetta ipotesi
di piastra rigida e bullone deformabile.
Significa che, se ho un elemento di acciaio che devo collegare con dei bulloni, tipicamente questo
elemento è molto più rigido del bullone quindi se tento di spostare tale piastra, mi aspetto che sia
così rigida da far spostare ogni bullone della stessa quantità. Visto che la forza di un bullone è
proporzionale a quanto lo sposto, immaginando che i bulloni sono tutti uguali, se si spostano della
stessa quantità, allora assorbono la stessa forza. Considerando che la piastra è molto più rigida
allora ognuno assorbe lo stesso taglio ovvero ognuno contribuisce a trasferire F quindi ogni bullone
trasferisce della forza. Ciò è vero facendo l’ipotesi in precedenza definita.

Se faccio ad esempio una bullonatura di 100 metri e tiro, il bullone centrale se ne accorge? No,
perché se la bullonatura è molto grande l’ipotesi che la piastra sia rigida viene meno perché avendo
100 bulloni, man mano che avanzo, i bulloni scaricano un poco della forza e quindi la piastra tira
sempre meno perché man mano i bulloni hanno assorbito la forza, la piastra si è allentata e non tira
più.
Il fatto che i bulloni siano uguali dipende dal fatto che oltre ad essere poco pratico dover regolare
elementi differenti tra loro, la struttura concettualmente non è fatta bene perché se metto un bullone
più resistente di quelli vicino, allora avrò delle porzioni che assorbono di più e altre meno e quindi è
come se avessi delle forze a macchie mentra dovrei cercare di rispettare il principio di
ridistribuzione, cioè dovrei cercare di rispettare una certa uniformità evitando di mettere un
elemento che porta tutto perché se succede qualcosa lì, allora collassa tutto.
Con questa ipotesi di piastra rigida, se devo calcolare questa bullonatura, allora ogni bullone
assorbirà un taglio dove indica il numero di bulloni. Abbiamo così calcolato la forza sul
singolo bullone; ovviamente nella realtà però sono i bulloni più esterni a risentirne maggiormente.
Come si verifica un bullone, com’è sollecitato?
Esistono dei criteri ben precisi trattandosi di un elemento di acciaio. Visto che vi è una forza di
taglio avrò una certa , la inserisco ad esempio in un criterio di Tresca e faccio la verifica, se ho le 
userò un criterio che tiene conto anche delle . È abbastanza ovvio che, in questo caso, le  non ci
sono perché sto usando un bullone come uno spinotto, cioè lavora solo a taglio invece se lo
precarico, come abbiamo visto prima, allora gioco su un altro principio, quello dell’attrito tra i piatti
e ogni bullone contribuisce con una , dove n è il numero di facce a contatto coinvolte
nell’attrito, μ il coefficiente di attrito e Fb la forza di precompressione del bullone che è un’aliquota
dello snervamento.
Come faccio a dare una certa precompressione al bullone,cioè come faccio a stringerlo?
Si stringe con una coppia di serraggio, ovvero la forza con cui viene stretto il bullone, che dipende
dalla geometria della filettatura (passo e inclinazione); per generare la tensione all’interno del
bullone si regola la tensione con la coppia di serraggio. Tale coppia si controlla utilizzando una
chiave dinamometrica (ha all’interno una molla calibrata: quando la forza supera un valore limite,
la molla si sgancia e la chiave si apre e non si trasferisce più la forza). Sui cataloghi dei bulloni
troviamo che coppia devo dare a un determinato bullone per avere una precisa forza. In questo caso
la verifica è più semplice.
L’ideale sarebbe far lavorare i bulloni per trazione ma il più delle volte si trovano a lavorare a
taglio. Si possono fare le unioni ad attrito.
Se non è attrito, allora faccio ad esempio la verifica di Tresca per cui deve verificarsi che 2  fy nel
caso in cui c’è solo , avendo anche  dovrei fare il calcolo delle tensioni principali (il raggio del
cerchio poi diventa quello che va confrontato con la  massima) oppure Von Mises per cui
.

I bulloni si dividono per classi: ad esempio bullone 8.8 si rompe a 800 (8100) e snerva a 640
(88*10) oppure bullone 10.9 che si rompe a 1000 (10100) e snerva a 900 (109*10).
Tornando per un momento alla giunzione ad attrito: in questo caso è opportuno usare delle rondelle
in quanto ampliano l’area di contatto per diffondere meglio la pressione poiché c’è il rischio che se
il bullone è troppo piccolo si ha una crisi chiamata punzonamento: si tratta di una crisi a taglio
locale dovuta al fatto che se stringo troppo il bullone, invece di stringere, l’acciaio del bullone
penetra nel piatto e il bullone entra dando una forza che arreca un danno.
Per verificare una bullonatura sono necessarie quattro verifiche: una sul bullone e tre sulla piastra di
acciaio (piatto).
I. Bullone (verifica la rottura del bullone)
II. Trazione
III. Locale
IV. Rifollamento (Bearing)
Ovviamente l’ordine delle verifiche sul piatto è casuale.

Verifica di trazione
È quella che già conosciamo, se ho un elemento teso mi chiedo che sigma nasce. Si prende la
sezione trasversale e si valuta che diventa la .

Se è bullonato potrebbe essere più critica la sezione forata poiché quando faccio la
verifica l’area diventa quella evidenziata: l’area resistente è a meno del foro, la
sezione trasversale ha un buco dunque se controllo con l’area netta (depurata del
foro) devo fare in modo che la  sia inferiore della ft ovvero della resistenza a
trazione (maggiore che di snervamento); se non considero i fori ma faccio la
verifica sulla sezione integra devo fare in modo di avere un margine sulla tensione
di snervamento.
Quindi è importante ricordare che se considero la sezione netta ho dei limiti, mentre se considero
quella lorda ne ho degli altri, ovviamente nel secondo caso ho dei limiti più stringenti perché sto
dimenticando dei fori.
Tale verifica è molto standard, le altre due più complesse.

Verifica locale
Consideriamo un foro molto vicino all’estremità (figura a):
se lo carico si rompe come rappresentato nella figura
b, poiché non riesce a reggere il carico, ovvero si
rompe seguendo la via più debole.
In altri termini, dovrei essere in grado di valutare la
condizione peggiore possibile tra tutte le possibili
configurazioni di crisi. Uno studio simile si fa nel caso delle montagne per verificare le possibili
frane: si valutano tutti i possibili piani di frattura.
Sono state fatte delle prove, molte di queste sperimentali, dalle quali si è dedotto che a seconda
delle seguenti misure:
- diametro del foro a,
- spessore della piastra t,
- distanze dal lembo e tra due fori (a, a)
è possibile trasformare tale verifica in un controllo
geometrico.
E’ possibile stabilire che a e a devono essere proporzionali a t o ad a. Ciò significa che se a’’’ è
la distanza dal lembo frontale (ricordiamo che potremmo avere delle nervature, cioè degli elementi
che irrigidiscono i bordi) potrei dire, ad esempio, che devo avere almeno a=3t, se il foro è di 1cm
allora deve avere una distanza di almeno 3cm dal lembo oppure se il foro è di 2cm la distanza deve
essere di 6cm. Tali proporzioni sono tabellate.

Rifollamento
Nasce dalla tolleranza tra foro e bullone: si potrebbero generare forti concentrazioni di tensioni
legate al contatto e alla plasticizzazione tra foro e bullone.
Se ho un foro che è più grande del diametro del bullone quando i due andranno a contatto, essendo
circonferenze di diametro differente, toccano in un punto, ciò significa che quando il bullone scarica
la sua forza sulla superficie di contatto del foro trova un punto e quindi si avrà una tensione
= = . In questa situazione, non c’è criterio di resistenza che tenga.

Si ammette che purtroppo una bullonatura necessariamente


deve plasticizzare, cioè ovalizzare; dunque nell’istante in
cui il bullone tenta di toccare il bordo del foro - figura a,
punterà su un’area infinitesima, dunque un’area puntuale.
Rappresentando il diagramma delle  - figura b, si nota che
punterà a infinito, dunque diventerà un punto, il foro ovalizza - figura c, ovvero si schiaccia e mi
accontento che con , dove  è il diametro del bullone e t lo spessore della piastra, tale
tensione deve essere  kfy (tensione di snervamento), con k e  anche maggiori di 1 e fino a 2.5.
L’idea è che se il foro è abbastanza lontano dai bordi, so che la crisi locale non
avviene, ammetto comunque che plasticizza e so che c’è un’area dove si supera
la tensione di snervamento.
GIUNTO LATERALE
Immaginiamo di avere una trave (mensola: incastro cedevole) a cinque bulloni tutti uguali
sull’anima che sporge frontalmente, con a il braccio della forza F dal baricentro della bullonatura:

Facendo l’ipotesi di piastra rigida e bullone deformabile, dico che ogni bullone assorbe un taglio
= .

Ci sarà anche una coppia Fa che sarà assorbita dai bulloni con la
generazione di una coppia uguale ma opposta data da T per il passo
dove p è la distanza tra due bulloni che va moltiplicata per due poiché le
coppie che si generano sono due.

 da cui si ricava = .

Dunque ho due contributi sui bulloni: il taglio che viene assorbito da


ognuno con 1/5 della forza ed il momento flettente che viene assorbito dai quattro bulloni esterni
generando a due a due una coppia data dalla forza T e il braccio .

Se non ci fosse il bullone centrale, avrei un taglio diverso poiché avrei = mentre per il momento
flettente otterrei la stessa cosa.
Nel piano del taglio del bullone, ovvero il piano normale all’asse del bullone, ho T e T ma sul
bullone grava la somma vettoriale e, sebbene T e T siano singolarmente uguali, nella somma
vettoriale mi accorgo che i bulloni non sono tutti sollecitati allo stesso modo ma quelli più interni
sono maggiormente sollecitati.
Vediamo il bullone in alto a destra, tale bullone è soggetto alla forza somma
vettoriale, dunque anche se i contributi sembrano uguali, ciò non è vero in
quanto T e T sono uguali, ma gli angoli che formano sono differenti ed è
facilmente deducibile che quelli a destra subiscono una forza maggiore.
Inoltre è possibile capire che:
- maggiore è la forza, maggiore sarà il numero di bulloni necessari,
- maggiore è il passo p, minore sarà la forza T,
- con un passo piccolo, i bulloni saranno soggetti a maggiori sollecitazioni che porteranno la
rottura della piastra in mezzo se troppo sollecitati e si potrebbero verificare delle crisi locali.

Vediamo ora un collegamento di una colonna con un GIUNTO FRONTALE


Immaginiamo di avere una coppia m che carica la bullonatura. Se avessi una forza, avrei un taglio
pari a su ogni bullone; ma avendo una coppia devo vedere come viene assorbita ovvero che
sollecitazione nasce su ogni bullone.
Vi sono diverse scuole di pensiero:
1. c’è una porzione compressa e una porzione tesa, simile al calcestruzzo armato.
2. ipotesi classica: piastra rigida e bullone deformabile. Essendo soggetto a tale coppia, come si
muove il sistema?
Se la piastra è rigida vuol dire che punta in un centro di rotazione in basso e si allunga sulla parte
superiore (come rappresentato in figura ma in scala molto
amplificata).
I bulloni dunque vengono tirati, si allungano ed esiste una
relazione tra quanto si allungano e la forza che esercitano:
coefficiente di rigidezza.
Fi = ki dove Fi è la forza sull’i-esimo bullone, k la costante di
rigidezza che è generalmente sul catalogo del bullone.
i =  di dove  è l’angolo di apertura e di è la distanza dal centro
di rotazione.
Dal momento che si tratta di piccoli spostamenti, l’apertura che si ha anche se impercettibile, è il
motivo per cui i collegamenti non sono degli incastri ma al limite delle cerniere.
Possiamo dire che:
dunque ricaviamo:

(coefficiente di ripartizione).

Con quanto detto, il bullone che dovrebbe stare peggio è quello più centrifugato dunque con di
maggiore; ma al denominatore è presente quindi globalmente F è mediamente più bassa. Più
centrifugo il bullone, meglio sta perché globalmente tutti assorbono meglio.
Fi è riferito a una precisa quota: quindi va divisa per due poiché ci sono due bulloni che
lo assorbono ad ogni quota.
SALDATURE
La saldatura ricrea continuità nel materiale e perde il vantaggio della smontabilità; tende a essere un
incastro. Esistono saldature di prima e di seconda classe a seconda di come sono fatte, della
posizione.
- Prima classe: la saldatura è controllata e si ammette che crei continuità,
- Seconda classe: la saldatura non è controllata e la resistenza si valuta all’85% del materiale
base .
Si tratta di un processo termico per cui, con del materiale di apporto, si scioglie il materiale base e
quello di apporto compensa le parti mancanti generando un cordone.
Un aspetto critico è la possibilità di scorie: quest’ultime fungono da protezione per il bagno delle
saldature ma se queste penetrano nelle saldature generano delle concentrazioni di tensione
facendole rompere. Un ulteriore problema sono le cricche che si hanno nel momento in cui si
raffredda troppo velocemente: si generano delle spaccature ovvero dei punti di debolezza che si
potrebbero individuare attraverso varie tecniche:
- radiografia: se non viene opaco nello stesso modo allora il materiale non è pieno,
- mediante liquidi penetranti: liquidi colorati che si passano e se attraversano la saldatura
significa che ci sono dei buchi.
In questi casi ovviamente le rotture sono più probabili quindi parliamo di saldature di seconda
classe.
Si possono verificare altri problemi come nel caso della saldatura fredda: verso del materiale di
saldatura ma il materiale base non viene sciolto e può non fare presa facendolo rompere. Si dà un
molto grande e se gli oggetti sono isostatici allora si allungano ma quando tolgo il tornano
come erano.
C’è un problema termico poiché sto dando un molto elevato (si parla di circa 2000°C) a un
materiale. Ma il problema maggiore è di carattere strutturale poiché se collego due pezzi
l’escursione termica li fa allungare. Se sono iperstatici si generano delle sollecitazioni che
dipendono da quanto sia rigido l’oggetto.
Immaginiamo adesso di voler saldare una scala “a ginocchio”: trave centrale dove sono presenti
delle mensole (gradini); se saldo i gradini e all’estradosso (parte esterna) do un , la trave si
allunga e quando si raffredda tornerebbe indietro se fosse libera di farlo ma avendo saldato i
gradini, la struttura resta inflessa (come mostrato nella figura a destra) poiché ho bloccato la
struttura.

Tale struttura sta avendo un grande carico.


Consideriamo due elementi (figura a) che saldiamo con un : l’aumento di calore li fa espandere
(linea verde):
La parte di sotto si espande meno poiché non
lo sto scaldando direttamente dunque è
investito da un minore. Quando si
raffredda tornerà indietro, quello che si è
allungato di più vorrà tornare indietro di tutta
la quantità di cui si è allungato.
Quella sotto si è allungata di meno perché è
più rigida, investita di meno dal dunque
quella di sopra vorrebbe andare indietro più di quanto quella di sotto potrebbe fare e questa
variazione fa si che quello di sopra resta leggermente allungato e quindi diventa teso e quello di
sotto è più corto di quanto era e quindi è compresso (figura b).
Una struttura che sarebbe scarica ha delle coazioni al suo interno, che si fanno equilibrio tra loro,
non nulle e, facendo degli studi con le rigidezze, si può verificare che tali forze potrebbero essere
enormi. Ce ne possiamo accorgere perché facendo delle saldature, se fatte male ci sono degli
elementi ondulati, ciò non è solo un fatto estetico ma effetto delle escursioni termiche che hanno
generato degli spostamenti differenti e quando questi elementi si raffreddano quelli che si allungano
di più restano tesi e diventano stabili, quelli che si sono allungati di meno restano poi compressi: la
compressione genera instabilità e si sono formate così le onde.
Esempio: persiane di casa in ferro. Il telaio è molto più rigido delle stanghette che saldano quindi
quando queste sono saldate si allungano di più, quando si raffreddano le stanghette restano tese
perché il telaio torna indietro meno e si trova compresso formando delle onde.
Tornando alla scala, resta incurvata a meno che non venga scaldata anche dall’altro lato dunque
mediante un controllo termico.
Questi problemi non sono solo un fatto estetico, ma nascono delle sollecitazioni interne che possono
essere anche molto grandi. Se si tratta di  di trazione sono stabili, ma se si tratta di  di
compressione, l’elemento potrebbe anche instabilizzarsi.
SALDATURA A COMPLETA PENETRAZIONE
Riesco a ricostituire gli oggetti, ma per farla si deve fare una CIANFRINATURA ovvero una
preparazione degli elementi mediante degli intagli. Può essere a X, a U, a V o a Y.

Infatti se devo saldare due pezzi molto diversi tra loro o scaldo tutto oppure faccio degli intagli
(come in figura in verde) che servono a far sfogare la dilatazione.
Si effettua una saldatura A TRATTI per interrompere gli
allungamenti che nel momento in cui trovano l’incavo
hanno la possibilità di sfogare senza far proseguire
l’allungamento.

SALDATURA A CORDONE D’ANGOLO


Non viene ripristinata la continuità in questo caso.
Immaginiamo di saldare nel modo rappresentato in figura.

Strutturalmente parlando, c’è una dimensione fondamentale in questo tipo di saldature che si
chiama altezza di gola: nel primo caso si uniscono i lembi, nel secondo caso di considera la
tangente e per entrambi il segmento a rappresenta tale dimensione.
Ma sempre strutturalmente parlando, quale è l’area della saldatura?

Se è lunga l, allora l’area di saldatura sarà , dunque e dove è una


qualunque forza tagliante o normale.
Per capire meglio: se ho una mensola soggetta ad un carico e la saldo genero una forza ;
ma tale forza chi la assorbe?
La assorbono la saldatura di sopra e quella di sotto
come taglio, ovvero ; se ho una
forza, questa si spalma sempre sull’area della
saldatura.
Ma si generano anche delle  poiché si genera una
coppia qlb che manda in trazione la saldatura di sopra
e in compressione la saldatura di sotto: , dove è l’area di saldatura e c
rappresenta un braccio, parente allo spessore della piastra.
Ho così ricavato le  e le  con cui poi è possibile fare la verifica con un criterio a scelta.
INCOLLAGGI
La colla può dare continuità: se voglio incollare due pezzi di legno posso poi in realtà considerare
un'unica tavola e chiedermi che  nasce e che  nasce e sono quelle che deve assorbire la colla.
Quando incollo due tavole posso evitare di incollare al centro perché infatti in una tavola unita le 
sono nulle.
Se faccio una four point bending e rappresento il diagramma
del taglio lo dimostro:
Quindi nella parte evidenziata in verde si può non mettere la
colla perché il taglio è nullo.

Ma come vanno in crisi gli incollaggi?

1) crisi coesiva
Tento di usare l’attack su delle plastiche ma l’attack non fa presa: è qui che c'è la crisi coesiva
poiché c'è una incompatibilità tra la colla e substrato così come anche la resina su una superficie
umida non fa presa. Potrei usare un compatibilizzante ovvero un primer: impregno il substrato con
qualcosa che sia compatibile sia con il substrato sia con la colla.
Quando ho questa crisi vedo che l'oggetto resta pulito e la colla se ne viene senza alcun problema; la
soluzione quindi è cambiare la colla, cambiare il materiale o usare un primer. È una crisi per
sollecitazione molto bassa.

2) crisi adesiva
La colla è compatibile ma a fine prova si spezza: la colla ha un suo grado di resistenza ma se mi
serve un incollaggio migliore devo usare una colla migliore. È una crisi migliorabile

Esiste una crisi intermedia che si chiama crisi mista quando la colla è in parte compatibile quindi
in parte si spezza nel suo spessore e in parte si stacca.

3) crisi del substrato


È la crisi migliore di tutte perché non è migliorabile: se incollo una mattonella e se ne viene anche il
muro allora la colla era al top delle prestazioni, il problema era il muro; si dovrebbe migliorare o
cambiare il muro!
Ricapitolando, quando voglio fare un incollaggio devo verificare che:
- sia compatibile, altrimenti ho una crisi coesiva
- porti quello che mi serve, altrimenti ho una crisi adesiva
- crisi del substrato, che non dipende dalla nostra scelta della colla
Fenomeno delle “orecchie”
Le  generano le orecchie: incollo e il lembo piano piano si alza. Vuol dire che l’incollaggio ha fatto
presa ma non era adeguato. È un fenomeno chiamato shear lag che nasce a causa di
concentrazioni di tensione legate al taglio.
È il motivo per cui se ho un materiale fibroso, se gioco su una barra in composito di piccolo
diametro o di grande diametro non è la stessa cosa, proprio a causa delle . Se la barra è piccola,
porterà molto, se è grande man mano che vado dentro, ci sono le  che trasferiscono.

Immaginando un pacco di spaghetti: lo spaghetto più interno è caricato dalle , per cui se prendo
una barra di grande diametro, porterà solo una frazione rispetto a quella piccola. La barra grande
avrà uno shear lag come in figura: le fibre esterne avranno delle  più grandi, quelle interne delle 
più piccole e la curvatura è data proprio dallo shear lag, da questo trasferimento fibra in fibra.
Le fibre esterne portano quello che devono, più vado all’interno meno le fibre portano, quindi se
faccio una media delle , nel caso di diametro piccolo avrò ma nel caso di diametro
grande sarà molto più piccola la media .
È per questo che, se uso materiali compositi, si utilizzano sempre piccole sezioni.
Consideriamo ora di dover attaccare su di un piano un pezzo e faccio un ingrandimento alla parte
sul lembo:
ho una certa  a sinistra e una variazione di  pari a
+d a destra: come se avessi dello scotch che lavora
per trazione quindi è teso.
ta è lo spessore dell’adesivo, dx la lunghezza e b la
profondità. Se sto sul lembo estremo =0 (poichè non
ho nulla sulla faccia laterale).
Se faccio un equilibrio a traslazione verticale ho
, se non metto altro in
verticale, mi accorgo che non è equilibrato, lo sarebbe
solo se d fosse nullo oppure se avessi uno scambio di forze con l’oggetto su cui è attaccato lo
scotch: devo aggiungere una forza peel che lavora sull’area b dx in modo da poter scrivere

da cui si ricava . La peel lavora sulla faccia superiore mentre le  su quelle laterali.
Le variazioni di  causano delle peel ; le  sono simmetriche (in piani ortogonali) e per equilibrare
la variazione deve nascere una  che è di trazione: se il materiale non ha una resistenza adeguata, si
stacca e si alza formando delle orecchie (problema meccanico).
Nota meccanica: maggiore è lo spessore dell’adesivo, più grandi sono le  per questo sarebbe
meglio fare piccoli strati di incollaggi a meno che non serva un incollaggio deformabile (in questo
caso si deve aumentare lo strato di colla).
Per evitare la formazione delle orecchie potrei mettere uno strato di scotch nell’altro verso
(fasciatura ortogonale) oppure una “chiodatura” che lo possa mantenere.
Succede agli estremi anche se le  sono nulle, perché in realtà ho proprio una brusca variazione di τ
da zero fino a valori molto alti.

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