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Una breve introduzione alla Fatica Meccanica

Preprint · January 2017


DOI: 10.13140/RG.2.2.15120.05129

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Bartolomeo Trefoloni
Università degli Studi di Siena
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Fatica Meccanica

Corso di Introduzione alla Scienza dei Materiali


Prof. M. ​Gregorkiewitz
AA. 2015/2016
Trefoloni Bartolomeo
Fatica Meccanica

Con il termine fatica meccanica si indica il fenomeno per cui un materiale


sottoposto nel tempo a tensioni, che rimangono all’interno della zona di
resistenza al carico statico, si rompe. Ovvero un corpo progettato per resistere
staticamente ad una tensione T​1​ dopo N cicli a tensione T​2​<T​1​ si rompe.
La fatica è un fenomeno macroscopico frutto di danneggiamenti ed imperfezioni
visibili a livello microscopico che fanno sì che nella sua interezza il pezzo non
abbia una tensione massima statica costante, bensì variabile di punto in punto, a
seconda delle caratteristiche del provino in esame.
In particolare i primi studi in materia furono condotti dall’ingegnere August
Wohler a seguito del deragliamento di una locomotiva sulla tratta
Salisburgo-Linz: un assale della macchina, progettato per resistere ad uno sforzo
ben maggiore di quello a cui era sottoposto in rotazione si era rotto facendo
uscire il treno dai binari.
L’indagine condotta da Wohler rivelò che la rottura era dovuta all’ampiezza
massima del ciclo di sollecitazione ed al numero di cicli a cui il pezzo in
questione veniva sottoposto.
Cause della fatica meccanica

Analizzando a livello microscopico un campione di materiale si nota la presenza


di grani cristallini, ovvero aggregati anisotropi di cristalli che testimoniano la
non omogeneità del materiale, ed è proprio questa eterogeneità di disposizione
dei grani a causare una distribuzione disomogenea del carico che causa
localmente il superamento dei limiti di snervamento e la conseguente rottura.
Analizzeremo in seguito il meccanismo della dislocazione, uno dei principali
responsabili dell’eterogeneità dei cristalli e delle conseguenti debolezze.

Dopo la nascita della prima cricca si ha lo sviluppo di bande di scorrimento con


orientamento svantaggioso rispetto alla sollecitazione, e dopo la formazione di
più bande si ha una microfrattura. La rottura di un elemento si può quindi
schematizzare in 4 fasi principali:
-Nucleazione della frattura
-Accrescimento lungo un piano di elevata tensione tangenziale
-Propagazione in direzione perpendicolare alla tensione di trazione
-Rottura

Esempio di distribuzione disomogenea di carico(i)


Si noti inoltre che la morfologia delle cricche e delle conseguenti microfratture
dipende anche dal tipo di sollecitazione subìta dal corpo, come si può vedere
nella tabella sottostante

Tipologia di varie cricche a seconda del tipo di tensione e del carico(ii)


Dislocazione

Alla base dell’eterogeneità di carico si trovano le imperfezioni del materiale


dovute alle dislocazioni del reticolo cristallino.
Le dislocazioni sono difetti lineari, ovvero imperfezioni estese in modo locale;
si possono formare durante diversi processi, quali solidificazione, deformazione
permanente, condensazione di vacanze.

Le dislocazioni sono principalmente di tre tipi: a spigolo, a vite, mista.

-Spigolo: questo tipo di deformazione è causata dalla presenza di un piano


reticolare che si intromette nel reticolo cristallino.

Esempio di dislocazione a spigolo(iii)

-Vite: è causata da sforzi applicati ad un cristallo in cui si ha una separazione sul


piano di taglio.

Esempio di dislocazione a vite(iii)


-Mista: la maggior parte dei cristalli presenta difetti dovuti alla combinazione di
entrambi i tipi di dislocazioni.

Esempio di dislocazione mista(iv)


Vettore di Burgers

Il vettore di Burgers caratterizza in un cristallo l’orientazione e l’intensità di una


dislocazione; ha direzione perpendicolare se a spigolo, parallela se a vite.
Il modulo del vettore di Burgers è pari alla più piccola distanza di spostamento
degli atomi attorno alla dislocazione.
Si può calcolare partendo dalla zona in cui si vuole verificare la presenza di una
dislocazione e scegliendo un atomo di partenza; si effettua un numero n
arbitrario di passi in una direzione, n in direzione ortogonale, n con la prima
direzione scelta ma in verso opposto e ancora n nella seconda direzione ma in
verso opposto, andando così a chiudere quella che viene detta circuitazione di
Burgers. Se il vettore risultante è uguale a 0, all’interno della circuitazione non
si hanno dislocazioni, se invece il punto finale non coincide con quello iniziale
si ha una o più dislocazioni e si chiama vettore di Burgers il vettore che unisce il
punto iniziale a quello finale
Indicando con ​v​i​ il vettore del passo i-esimo e con ​B ​il vettore di Burgers si può
scrivere
4n
B = ∑ vi , se B = 0 nessuna dislocazione, se B =/ 0 dislocazione
i =1

Circuitazione e vettore di Burgers(v)


Una prima analisi del comportamento di un pezzo si ha sottoponendolo a cicli di
fatica; con ciclo di fatica si intende la porzione di storia di carico fra due
massimi o due minimi successivi aventi lo stesso valore. Essendo importante
soltanto il valore di massimo e di minimo, ma non i valori intermedi si sceglie
generalmente una tensione fornita in modo sinusoidale o a dente di sega con una
tensione σ​min​< σ(t) < σ​max​ sottoponendo il provino ad un numero N​f​ di cicli fino
alla sua rottura. Graficando ​σ​f (tensione
​ di rottura) e N​f​ (ciclo di rottura) si
ottiene un grafico chiamato diagramma di Wohler, di carattere logaritmico che
si può dividere sostanzialmente in tre fasce

Curva di Wohler(vi)

-Campo di resistenza quasi statica o oligociclica N​f​ < 10​3,4​ .


-Campo di resistenza a termine 10​3,4​ < N​f​ < 10​6​ in cui il grafico è approssimabile
con un ramo di iperbole di equazione σ​f​μ​ N​f​ = k, dove k e μ sono costanti del
materiale .
-Campo di progettazione a vita infinita N​f​ > 10​7​.
La determinazione di queste categorie avviene mediante delle prove di fatica,
ovvero dei test in cui si sottopongono i provini a diversi tipi di sollecitazioni per
sondarne le reazioni.
-Prove statiche: aumento di carico a bassa velocità (1MPa/s) fino alla rottura.
-Prove dinamiche: aumento del carico veloce (10​5​ MPa/s)
-Prove di fatica: carico variabile a velocità medio alta in oscillazione fra un
valore minimo ed uno massimo.

Il tipo di sollecitazione determina anch’esso una diversa reazione dal provino,


andando così a definire prove di trazione-compressione, flessione statica,
flessione rotante, torsione alternata.

Possiamo definire quindi σ​min​ e σ​max​ (valori minimo e massimo assunti dalla
σmax+σmin σmax−σmin
tensione), σm = 2 ​ (valore della tensione media) e σa = 2
(ampiezza della sollecitazione) all’interno di prove che possono essere alterno
simmetriche (ampiezze simmetriche rispetto allo 0), dallo zero o pulsanti.
σ​r​ indica la tensione di rottura, σ​L​ è il limite di fatica ad alto numero di cicli,
mentre σ​f​ è l’ordinata che corrisponde al generico numero N​f​ di cicli.
Fattori che influenzano la fatica di un pezzo

Il limite di fatica di una macchina può essere influenzato da molteplici fattori


che generalmente si indicano con un insieme di coefficienti k​i​ < 1 nella versione
di Shigley o C​i​< 1 nella versione di Juvinall.

Shigley
6
σL = ∏ ki σ′ , ki < 1
i =1
k​a​=finitura superficiale
k​b​=dimensioni
k​c​=gradiente/tipo di tensione
k​d​=temperatura di servizio
k​e​=altre cause

Juvinall
4
σL = ∏ C i σ,′ C i < 1
i =1
C​s​=finitura superficiale
C​g​=dimensioni/gradiente di tensione
C​l​=tipo di tensione

C’è un termine comune alle due scale k​f​=1/K​tf​ (generalmente indicato con K​t )​
che porta il contributo delle concentrazioni di tensione.
In questa analisi si tratteranno in particolare i coefficienti di Juvinall che, in
buona approssimazione racchiudono anche quelli di Shigley.
Dimensioni, gradiente, tipo di sollecitazioni

Le osservazioni in questione sono riferite a provini del diametro di 7,5mm


sottoposti a flessione rotante. Si osserva che a parità di tensione alternata il
limite di fatica si abbassa al diminuire del gradiente di tensione e al crescere
delle dimensioni (in un oggetto di grandi dimensioni si assommano più difetti ed
i trattamenti superficiali sono meno efficaci).
Il gradiente influisce per tre ragioni principali:
-Ad un gradiente maggiore corrisponde una minore zona interessata dalla
sollecitazione, e di conseguenza un minore rischio di innesco di cricche.
-Se si innesca una frattura in una zona a gradiente elevato si propaga più
lentamente, o non si propaga in punti sottoposti a gradiente minore.
-Un gradiente maggiore implica una minore tensione media agente su grano
cristallino.
Inoltre il gradiente di tensione dipende dalla concentrazione di tensione, dal tipo
di sollecitazione, dalle dimensioni del pezzo e dalla sua finitura, come si evince
dal grafico sotto.

Grafico delle curve di tensione di pezzi sottoposti a diversi trattamenti e


finiture(vii)
Gradiente e sensibilità all’intaglio

Un fattore spesso determinante per l’innesco di frattura è la presenza di intagli


che fa sì che non si debba tenere conto soltanto del fattore geometrico K​t​ ; si
introduce la grandezza
σ
K tf = σ l > 1
lt

dove σ​l​ è il limite di fatica senza intaglio e σ​lt​ è il limite di fatica con intaglio.
La sensibilità del pezzo all’intaglio si definisce quindi come

K tf −1
q= K f −1

Per q=0 non si ha sensibilità all’intaglio, per q=1 si ha massima.


Si può esprimere la sensibilità all’intaglio in funzione del raggio dell’intaglio
relativo alla dimensione del grano

Grafico di sensibilità all’intaglio in funzione del raggio relativo di intaglio(viii)


Metodo Staircase per la definizione del limite di fatica (con calcoli alla Dixon e
Mood)

Il metodo Staircase è un processo statistico utilizzato generalmente per la


definizione del limite di fatica di un pezzo.
L’analisi in questione si effettua su un gruppo di soggetti quanto più omogeneo
possibile di almeno 15 elementi, in cui si considera un provino sopravvissuto se
supera N cicli.
Si suddivide l’intervallo di teorica rottura del soggetto in porzioni Δσ, e si
comincia da un qualsiasi valore di tensione entro tale intervallo con il primo.
Se il provino sopravvive alla prova il successivo viene testato ad una tensione
σ+Δσ, se invece si rompe ad una σ-Δσ, ottenendo così in generale

j n sopravvissuto ⇒ j n+1, σn + Δσ j n rotto ⇒ j n+1, σn − Δσ

Si processano così i provini fino ad esaurimento graficando i punti di rottura o


sopravvivenza dopo N cicli.
Si contano i passi Δσ, dalla tensione più bassa della scala fino alla massima
registrata (il numero massimo assume il valore “i”).
Si moltiplica il numero di provini sopravvissuti (nel caso in cui i sopravvissuti
siano in maggioranza) ad ogni passo per i ottenendo dalle rispettive somme
ni=A, ed ni​2​=B.
Ad esempio:

Esempio di metodo staircase(ix)

Si ottiene quindi il valore del limite di fatica dall’ espressione

σL = σ0 + Δσ ( NA ± 0, 5)
Scegliendo + se è maggiore il numero di provini sopravvissuti rispetto a quello
dei rotti, - se si ha la situazione inversa.
La deviazione standard, indicata con la desueta dicitura Dev. St. per l’uso già
massiccio della σ per indicare la tensione, è calcolabile mediante la relazione

2
Dev. St. = 1, 62 Δσ ( NB−A
N2
+ 0, 029)

L’errore medio è dato dall’espressione

Dev. St. (σL)


E rr. = G
√N 0

Dove N​0​ è il numero dei provini e G è un fattore correttivo.


Il limite di fatica calcolato per N cicli è quindi σ​L​+/- Δσ.

Esempio di metodo Staircase(x)


Estrapolazione diagramma di Wohler

Il diagramma di Wohler esprime, come già visto in precedenza la relazione fra


la tensione massima sopportata dal pezzo ed il numero di cicli a cui è sottoposto.
Si può tracciare a partire da due punti teorici, in particolare:

-Per il primo punto si considera come ascissa N​1​=10​3​, ed ordinata un valore di


resistenza alla fatica σ​1​=φσ​r ,​ nel quale la maggior parte dei riferimenti
confermano che φ influenza in modo non determinante σ​1​ e che possiamo a
buona ragione approssimare φ a 0,9. Nel caso di sollecitazione tangenziale σ è
sostituito da τ.
A ≡ (Log N 1 , φσr )

-Per il secondo punto si considera N​2​=10​6​ ​ nel caso dell’acciaio (5 10​8​ per leghe
di alluminio, 10​8​ per leghe di magnesio), mentre σ​2​ è il limite di resistenza a
fatica ad alti cicli nominato in precedenza, che per sicurezza si può anche
collocare a 10​5​ anziché a 10​6​ cicli.
B ≡ (Log N 2 , σL )
Determinazione del coefficiente di sicurezza

La progettazione e lo sviluppo di pezzi a vita infinita riguarda soltanto materiali


di cui si conosce esattamente il limite di fatica per trovare il carico al di sotto del
quale si è sicuri che il pezzo non si rompa. L’analisi parte dal grafico di
Haig-Soderberg semplificato in cui è riportata la tensione alternata fornita al
pezzo in funzione della tensione media.

Grafico di Haig-Soderberg(xi)

Da considerazioni di carattere geometrico (teoremi sui triangoli rettangoli e


similitudini) si ottiene un’espressione del coefficiente di sicurezza s come

σm
σR + σσa = 1s
L

In cui σ​m​ è la tensione media, σ​a​ è l’ampiezza della tensione, σ​R​ è il punto di
intersezione sull’asse delle ascisse della retta di Haig-Soderberg e σ​L​ è il limite
di fatica ad alto N.
Che, considerando i fattori che influenzano la fatica si può riscrivere

K sσm K tf σa
σR + C gC sσL = 1s

Dove valgono le prescrizioni precedenti per gli indici, mentre K​s​= K​f​ per
materiali fragili, mentre K​s​=1 per materiali duttili.
Nel caso in cui la tensione sia tangenziale i vari termini σ vengono rimpiazzati
dai corrispondenti τ, con le convenzioni che

σ σL
τ R = 2R τ L = 2 materiale fragile
σ σL
τ R = √3R τ L = √3
materiale duttile

Nel caso in cui si abbiano effetti sia di carico che di torsione senza precarico
vale la formula di Gough-Pollard

2 2
( ) +( )
σa
σL
τa
τL = 1
s2

Nel caso in cui siano presenti precarichi si sommano i vari contributi normali e
tangenziali di precarico e carico.

1
s2σ
+ s12τ = 1
s2

Espressione valida anche nel caso in cui si abbia soltanto tensione statica senza
intagli nella forma

2 2
( ) +( )
σm
σR
τm
τR = 1
s2

Bibliografia
Tutte le fonti sono ritenute valide al giorno 11/10/2016
View publication stats

i) http://starnini.altervista.org/Dispense/Lafatica.pdf
ii) http://tesi.cab.unipd.it/28243/1/Tesi-La_fatica_definitiva.pdf
iii) ​https://it.wikipedia.org/wiki/Dislocazione
iv) ​http://deuns.chez.com/sciences/matiere/disloc24.html
v)​http://www1.diccism.unipi.it/Valentini_Renzo/Slides%20Matreriali%20Strutt
urali/Dislocazioni.pdf
vi)dma.ing.uniroma1.it/users/broggiato/cdm/roma/vo/ecdm/dispense/[11]​Fatica
1.pdf
vii) ​www.dpgi.unina.it/giudice/Corsi/appunti2006/cap11.pdf
viii) http://www.cm.unisa.it/file_cm1/Appunti%20Fatica.pdf
ix) www1.unipa.it/giovanni.petrucci/Disp/​Fatica​1.pdf
x)​h​ttps://www.researchgate.net/figure/229600781_fig4_Figure-5-Staircase-meth
od-for-specimens-with-kt-2h​ (by B ​ RECHT VAN HOOREWEDER​, ​DAVID
MOENS​, ​RENE BOONEN​, ​PAUL SAS​)
xi) http://www1.unipa.it/giovanni.petrucci/Disp/Fatica2TenMed.pdf

https://it.wikipedia.org/wiki/​Fatica

www00.unibg.it/dati/.../8346-La%20verifica%20di%20resistenza%20a%20fatic
a.pdf

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