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Lezione 11 gennaio 2005


Prova di compressione triassiale
Consente la determinazione dei parametri di resistenza di picco dei materiali campionabili in modo
indisturbato. Questo è lo schema di una cella di compressione triassiale, (cella più semplice, ce ne
sono di molto più complesse):
F

Piastra porosa

Membrana di lattice

Cilindro in parspex

Drenaggio o misura delle


pressioni interstiziali

Pressione di cella σc

Queste celle sono formate da due basi metalliche unite tra di loro da un cilindro trasparente in
(perpex) capace di resistere ad elevati pressioni, la base inferiore porta un piccolo piedistallo sul
quale alloggia il provino, nella base superiore scorre a tenuta un pistone con il quale si trasmettono
delle forze assiali. Il provino viene avvolto da una membrana impermeabile che non deve
influenzare la prova con la sua elasticità, ha soltanto la funzione di separare fisicamente l’acqua che
mettiamo nella cella esterna dall’acqua dei pori. Il provino può avere dimensioni variabili, dipende
dal tipo di cella, comunque deve essere sempre rispettata la condizione che l’altezza sia pari almeno
a due volte il diametro, questo per consentire che nella parte centrale del provino vi sia una fascia
abbastanza ampia nella quale le tensioni e le deformazioni siano uniformi. In corrispondenza delle
basi c’è una disuniformità di tensioni e deformazioni dovuta all’interazione tra il provino e le basi,
allora man mano che ci spostiamo dalle basi l’interazione diminuisce, quindi c’è una fascia centrale
dove le tensioni e le deformazioni si possono ritenere uniformi, anzi nelle apparecchiature più
moderne le misure che si fanno sono misure interne fatte con degli attrezzi giusto nella fascia
centrale del provino. Il provino avvolto nella membra impermeabile ha alle due basi o due piastre
porose con permeabilità di molto maggiore rispetto al materiale, oppure dipende dal tipo di prova,
delle piastre impermeabili. Le basi sono connesse con dei tubicini a dei generatori di pressione
idraulica o a dei lettori di pressione idraulica. Queste connessioni idrauliche le possiamo usare per
dare una pressione che ci interessa oppure per leggere la pressione all’interno del provino.
Direttamente nella cella vi è un altro foro di comunicazione idraulico ed attraverso questo foro si
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invia acqua in pressione nella cella. Esistono moltissimi tipi di compressione triassiale, noi ne
studieremo tre, queste tre prove si differenziano tra loro per le condizioni di drenaggio. Comune a
tutte le prove è la procedura di applicare al provino prima uno stato tensionale sferico e poi uno
stato tensionale deviatorico:

F/AT σa
σc

σr

σc AT

Lo stato tensionale sferico viene applicato mandando acqua in pressione nella cella, questa acqua
non è in comunicazione con i pori poiché il provino è avvolto dalla membrana semipermeabile, poi
in funzione delle condizioni di drenaggio che diamo al provino, questa pressione esterna, di cella
che viene normalmente indicata con σc si può trasformare in una tensione efficace oppure rimane
semplicemente una tensione totale. Comunque è una pressione che applichiamo dall’esterno, quindi
tensione totale, che si può trasformare in tensione efficace se consentiamo il drenaggio del provino.
Invece lo sforzo deviatorico viene applicato grazie al pistone, quindi si imprime una forza F che poi
viene trasmessa la provino.
Normalmente queste prove procedono a deformazioni controllate, cioè si fa avanzare il pistone ad
una velocità predefinita e si legge la forza F che insorge, cioè la reazione del provino.
Questi due stati tensionali vengono applicati separatamente perché il primo cioè lo stato tensionale
sferico, viene mantenuto costante durante l’applicazione del deviatore.
Si applica prima lo sferico, e si può consentire, oppure no, il drenaggio, cioè la dissipazione delle
pressioni interstiziali indotte dall’applicazione dello sferico. All’equilibrio, subito se siamo in
condizioni non drenate, dopo se si è svolto un processo di consolidazione (condizioni drenate),
mantenendo costante la pressione di cella si applica il deviatore.
Applicando lo sferico non induciamo rottura, infatti vedendo cosa provocano sul piano σ – ε gli
stati tensionali sappiamo che solo quello triassiale produce rottura:
Compressione sferica

∆σ1 Compressione edometrica

rottura
Compressione assiale a
dilatazione trasversale libera

∆ε1
L’applicazione dello sferico produce solo una riduzione della porosità, solo compressione, così
anche per la prova edometrica, invece all’applicazione di un deviatore, ci portiamo nelle condizioni
di compressione triassiale, la concavità della curva cambia, man mano che aumenta lo stato
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tensionale le deformazioni diventano sempre più grandi fino ad un certo punto che il materiale si è
rotto. Ciò si può vedere anche sul piano di Mohr all’applicazione dello sferico il punto
rappresentativo, è un punto sull’asse delle sigma:
σc τ

σc= σr
h

σ
Infatti abbiamo che la σ1 = σ2 = σ3 allora i cerchi di Mohr rappresentativi di queste tensioni, cerchi
con cui si definiscono tutti gli stati tensionali possibili all’interno del provino, degenerano in un
punto, gli sforzi di tagli sono nulli. Noi sappiamo che data la retta di rottura dei terreni, applicando
uno sforzo di compressione (sforzo sferico) non potremo mai raggiungere la retta di rottura.
Invece quando applichiamo il deviatore:

σa > σc
(σa – σr) max
∆h
(σa – σr)

σc = σr

εa
Il punto iniziale era quello dello sferico, durante la prova la tensione radiale
rimane costante, comunque rappresenta un punto del cerchio di Mohr, man mano che il pistone
avanza la sigma – a – diventa maggiore della sigma – c -
quindi il cerchio di Mohr non è più un punto, è un cerchio
che aumenta sempre più di diametro, quando il cerchio
diventa tangente alla retta di rottura il provino si è rotto.

Può corrispondere al
cerchio verde

σr σa
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Seguendo la prova in un piano (σa – σr) tensione assiale meno tensione radiale, ricordando che la
σa=F/AT forza applicata diviso l’area della sezione trasversale del provino, questa differenza
rappresenta l’incremento di tensione assiale, cioè facendo avanzare il pistone a velocità costante
nasce una forza F che è l’incremento di tensione assiale cioè il deviatore degli sforzi. Si può seguire
l’evoluzione della prova in un piano in (σa – σr)- εa dove εa = ∆h/h0, l’andamento sarà quello già
visto: (σa – σr) max
(σa – σr)

εa
Qui abbiamo un picco ma potremmo avere una curva che raggiunge un certo valore e poi lo
mantiene:
(σa – σr)

εa

Ma quando la deformazione diventa indefinita come succede per un certo valore della (σa – σr),
allora diciamo che si è verificata la rottura.
Abbiamo fatto finta di conoscere la retta di rottura, ed abbiamo considerato che quando il cerchio
diventa tangente alla retta abbiamo raggiunto la rottura. In realtà il processo logico è un altro, ciò
che vediamo è quando si rompe il provino, quindi noi determiniamo solo il cerchio di Mohr a
rottura, ed allora determinando vari cerchi di Mohr a rottura, si può determinare la retta di rottura
come inviluppo di questi cerchi:

τ τ = c + σtgφ

c
σ

Noi sappiamo che nel campo di tensioni che ci servono in ingegneria civile l’inviluppo può essere
considerato rettilineo, cioè sappiamo che la curva di rottura è una retta, allora basterebbero due
cerchi per determinarla, in realtà siccome i provino non sono mai perfettamente omogenei se ne
fanno almeno tre.
La prova triassiale che ci permette di determinare la retta di rottura si esegue su almeno tre provini,
costituiti dallo stesso materiale e con lo stesso stato tensionale iniziale.
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Allora preso un campione alla generica profondità z del sottosuolo, si dovrebbe cercare di formare
tre provini in uno stesso segmento di carota:

a c
b

In questo modo siamo sicuri che sia proprio lo stesso materiale, infatti anche quando il materiale è
omogeneo, siccome ho un materiale che si forma con una sedimentazione lentissima che avviene in
milioni di anni, c’è sempre qualche straterello un po’ diverso alle varie profondità, allora prendendo
i provini sulla stessa fascia sappiamo che è lo stesso materiale e che viene inoltre dallo stesso stato
tensionale iniziale.
Sappiamo che quando si preleva un campione in un modo indisturbato e quindi in condizioni non
drenate, per effetto del campionamento insorge una pressione interstiziale che abbiamo indicato con
“ur“ la pressione interstiziale residua, abbiamo visto che è una pressione interstiziale negativa,
allora dal principio delle tensioni efficaci di Terzaghi, σ = σ’ + u se σ = 0 visto che abbiamo
estratto il campione e portato in laboratorio annullando così lo stato tensionale totale, significa che
σ’ = - u , ma la u è negativa, quindi σ’ è positiva.
Sul campione in laboratorio agisce uno stato tensionale sferico di compressione, di confinamento,
pari a – u dove, u è negativa, ed è questo stato tensionale efficace di compressione che consente al
materiale che è incoerente di mantenere la sua forma.
Questa ur dipendeva dal tipo di materiale e dallo stato tensionale, se i provini vengono prelevati
dallo stesso segmento di carota hanno lo stesso stato tensionale iniziale e quindi hanno la stessa ur:
σa’ = - ur σa’ = - ur σa’ = - ur
σh’ = - ur

-ur -ur -ur -ur -ur

a b c
Tutti è tre i provini sono soggetti allo stesso stato tensionale efficace sferico di confinamento, si
trovano nelle stesse condizioni sia da un punto di vista di composizione del materiale che dal punto
di vista dello stato tensionale efficace.
σrc
(σa – σr)

Su questi tre provini si realizzano le prove


di compressione triassiale:
σrb

σra

εa
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Studieremo tre tipi di prove, poiché sono quelle che ci servono nella pratica professionale, poiché
sono quelle che ci forniscono i parametri da utilizzare nei calcoli geotecnici.

Le prove che tratteremo sono:


1. Prova consolidata drenata (CD);
2. Prova consolidata non drenata (CU);
3. Prova non consolidata non drenata (UU).

Queste tre prove differiscono per le condizioni di drenaggio, infatti la prova consolidata drenata è
una prova che avviene in condizioni interamente drenate, sia l’applicazione dello sferico che
l’applicazione del deviatore avviene in condizioni drenate; nella prova consolidata non drenata lo
sferico viene applicato in condizioni drenate, il deviatore in condizioni non drenate; nella prova non
consolidata non drenata viene applicato tutto in condizioni non drenate.

Prova consolidata drenata (CD):


Seguiamo cosa succede ad un provino, cambiando poi gli stati tensionali la stessa cosa succede agli
altri due provini, durante una prova di compressione triassiale consolidata drenata CD:

σ u σ'
I)
σa = 0 ur σa’ = - ur

σr = 0 σr’ = - ur

II ) σa = σc ur = b.p. σa’ = σc – b.p.

σr = σc σr’ = σc – b.p.

III ) σa = σc + F/At ur = b.p. σa’ = σc + F/At – b.p.

σr = σc σr’ = σc – b.p.

In questo schema sono indicate le tre fasi di “vita” del provino, la prima fase (I) è quella in cui è sul
tavolo del laboratorio, il provino è completamente scarico, prima di essere messo in cella triassiale,
la seconda fase (II) si riferisce all’applicazione dello sferico, la terza fase (III) all’applicazione del
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deviatore. Per ognuna delle tre fasi vediamo cosa succede alle tensioni totali (σ) prima colonna, alle
pressioni interstiziali (u) seconda colonna, ed alle tensioni efficaci (σ’) terza colonna.
Prima fase: tensioni totali nulle, il provino è scarico σa = 0, σr = 0, la u è uguale a ur pressioni
interstiziale residua, la tensione efficace risulta essere uguale a – ur, stato tensionale efficace di
confinamento sferico.
Seconda fase: applichiamo lo stato tensionale sferico, applicazione della pressione di cella: essendo
uno stato sferico, la σa = σc = σr, quando applichiamo questo stato tensionale sferico, essendo il
campione un terreno a grana fine, l’applicazione di questo stato tensionale induce una
sovrappresione interstiziale, nella prova consolidata drenata vogliamo che si dissipi questa
sovrappressione interstiziale poiché le condizioni devono essere sempre drenate, allora apriamo i
rubinetti che sono in collegamento con le basi del provino (piastrine porose in contatto idraulico con
l’esterno) allora apriamo i drenaggi in modo tale che ciò che viene applicato si dissipi. Ricordiamo
che quando abbiamo un materiale saturo di acqua che non sia molto consistente, cosa succede
all’istante t = 0 dell’applicazione di uno sferico
Dalla Formula di Skempton:

∆u = B[∆σ 3 + A(∆σ 1 − ∆σ 3 )]
se il materiale è saturo, quindi la compressibilità del terreno è maggiore di quella dell’acqua
Ca 1
possiamo dire che: →0 B=
Cs Ca = 1
1+ n
Cs
poniamo B = 1, stiamo applicando uno sferico, quindi dobbiamo scrivere:
∆ u = ∆ σ 3 = ∆ σ c nel nostro caso appunto è uguale alla variazione di sigma – c –
quindi all’istante t = 0, va tutto all’acqua, se volessimo disegnare l’isocrona iniziale di questo
provino: ∆u, ∆σc

2H
∆u ∆σ’

∆u0
∆σc
z
Al nostro provino abbiamo indotto un incremento delle pressioni interstiziali, ho una variazione ∆u
che è proprio uguale alla sigma di cella che ho applicato, se ho i drenaggi aperti però,
immediatamente alle due basi, la ∆u si dissipa, inizia il processo di consolidazione, ci saranno tanti
isocrone ad istanti successivi fino a quando tutta la u indotta dall’applicazione del carico si è
dissipata. Ovviamente questo darà luogo ad un processo di consolidazione quindi si può seguire ciò
che avviene in termini di:
∆V
εv = = ε1 + ε 2 + ε 3
V
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possono valutare le variazione di volume in funzione del logaritmo del tempo ottenendo una curva
analoga a ciò che ottenevo in edometro:

Log t

εv

Abbiamo quindi un processo di consolidazione. Quando il processo di consolidazione è ultimato


possiamo dire che le sovrappressioni interstiziali indotte dall’applicazione del carico si sono
dissipate e quindi abbiamo realizzato una fase di consolidazione drenata all’applicazione dello
sferico. A questo punto possiamo applicare il deviatore degli sforzi.
Dobbiamo precisare un’altra cosa, la pressione interstiziale quanto vale? Se non facciamo nulla
dall’esterno, la pressione interstiziale si riporta al valore che aveva prima dell’applicazione della σc,
si riporterebbe al valore “– ur” ma questo valore è negativo e questo ci disturba un po’ poiché
misurare le pressioni interstiziali negative è un’operazione piuttosto complessa, inoltre se la u è
molto negativa, cioè se il provino è stato prelevato a profondità elevate, il materiale comincia a
desaturarsi ostacolando una corretta interpretazione della prova che deve essere analizzata in
termini di tensioni efficaci. Sapendo che le tensioni efficaci non sono tensioni vere, misurabili, sono
delle tensioni medie definite da Terzaghi, comode perché facendo riferimento ad esse si riesce ad
interpretare il comportamento dei materiali, ma non sono dei valori che noi misuriamo, le otteniamo
come σ – u, le σ sono quelle che applichiamo, sappiamo quanto valgono, le “u” o le dobbiamo
misurare, oppure le dobbiamo applicare noi per conoscerle, misurarle nel caso della ur che è
negativa è molto complesso, se il materiale si desatura poi le u non sono neanche più uniformi
all’interno del provino, allora applichiamo noi una pressione dall’esterno, questa pressione idraulica
che applichiamo dall’esterno si chiama “contro pressione” indicata da “b.p.” termine inglese: “back
pressure”. Contemporaneamente si applica quindi la contro pressione e la pressione di cella, in
modo tale che tutto ciò che avviene, cioè lo “zero” di riferimento, non è la ur ma la b.p.
Dobbiamo stare attenti in quanto dobbiamo dare un valore di σc ed un valore di b.p. maggiori dello
stato tensionale efficace medio in sito, significa che non dobbiamo sovraconsolidare il materiale.
Se il provino è stato formato da un campione preso ad una certa profondità z:

∆σ1' + ∆σ'2 + ∆σ3' σ v' + 2σ h'


P='
=
3 3

ur ≅ P '
z

il provino aveva una certa σv’ e una certa σh’, lo sforzo di compressione medio P’ è uguale a
l’espressione su scritta, da questo P’ dipendono le variazioni di volume e quindi le variazioni di
porosità, quando abbiamo estratto il campione è insorta la ur che è molto simile a P’. Con il
campionamento non abbiamo modificato lo stato tensionale efficace, il materiale è rimasto con i
valori che aveva in sito. Allora se questo materiale è N.C. noi dobbiamo fare in modo che rimanga
tale, ciò significa che quando allo stato tensionale che aveva sostituiamo quello di partenza di una
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prova di compressione triassiale, dobbiamo fare in modo che la σa’ che è uguale alla σr’ poiché
siamo nello sferico, siano maggiori o uguali alla σ’ che c’era in sito, altrimenti il campione subisce
uno scarico tensionale, si sovraconsolida cambiano i parametri di resistenza.
Quando si fanno delle prove bisogna accertarsi che lo stato tensionale che viene applicato ai provini
nella fase di compressione sferica, non sia tale da sovraconsolidare il materiale questi valori devono
essere maggiori dello stato tensionale che aveva in sito, poiché altrimenti il materiale si gonfia e si
sovraconsolida.
Terza fase: Procediamo a deformazioni controllate, procedendo in questo modo, per ottenere una
prova drenata, dobbiamo imporre una velocità di avanzamento del pistone molto bassa, deve essere
tale da consentire l’immediata dissipazione delle pressioni interstiziali man mano che esse
insorgono, l’avanzamento del pistone deve avere una velocità molto prossima alla velocità di
fuoriuscita dell’acqua dai pori del materiale, siccome i materiali sono campionabili, quindi a grana
fine, hanno una bassa permeabilità, l’acqua esce pian piano, il pistone deve avanzare in tal modo.
Solo in questo modo possiamo ottenere una fase di compressione drenata. In questa fase quali sono
gli stati tensionali, abbiamo che la σr è rimasta uguale alla σc poiché la pressione di cella non
cambia nel corso della prova, ciò che aumenta è la σa che aumenta della quantità F/At (forza diviso
la sezione trasversale del provino), se la prova è drenata, in tutta la fase di applicazione del
deviatore la u rimane costante ed uguale al valore che abbiamo dato, rimane uguale alla b.p., allora
le tensioni efficaci ottenute come differenza sono uguali a:
σa’ = σc + F/At – b.p.
σr’ = σc – b.p.
vediamo cosa succede nel corso della prova, vediamo cosa succede alle tensioni e deformazioni,
all’indice di porosità, e poi come sono i cerchi di Mohr a rottura. Abbiamo risultati diversi a
seconda che il materiale sia Normal consolidato o Sovraconsolidato.Vediamo i risultati tipici di una
prova di compressione triassiale consolidata drenata su materiale N.C.:
PROVA DI COMPRESSIONE TRIASSIALE CONSOLIDATA
DRENATA IN MATERIALE NORMAL CONSOLIDATO
orientamento delle particelle

c
(σ1 – σ3) Kg/m2

4
b
2
a
0
10 20 30 ε1 %
10 20 30 ε %
a
∆V 2
V b
4
c
6
%

4
φ' = 24°
2

0
σr'
σ' kg/m2
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Abbiamo tre provini (a,b,c) ognuno dei tre provini ha uno stato tensionale sferico totale diverso,
cioè la pressione di cella è diversa per ognuno dei tre provini ma sempre maggiore di quella in sito,
in termini di deviatore in funzione della deformazione assiale indicata in diagramma con (σ1 – σ3) in
funzione di ε1, che è la stessa cosa di (σa – σr) in funzione di εa, se la pressione di cella del provino a
è più piccola di quella del provino b, a sua volta più piccola del provino c, i risultati sono quelli in
diagramma, come si vede la rottura si ottiene per deviatori crescenti all’aumentare di σc, quanto
maggiore è σc tanto maggiore è il deviatore a rottura, inoltre si vede che nel primo e nel secondo
caso in realtà (curve vere di tre provini veri) sia nel provino a che nel provino b, si raggiunge un
massimo che poi viene mantenuto costante, la prova non può proseguire per deformazioni molto
grosse per come è fatto il provino, perché il provino è un cilindro, quando si raggiunge la rottura
succede che la prima parte comincia a scorre su quella sottostante, man mano l’area di contatto
diminuisce, inoltre il carico diventa eccentrico perché si spostano le due parti del provino, per cui
dopo che si è avuta rottura si possono dare ancora pochi spostamenti al pistone, si interrompe la
prova perché non significa più niente, (limite alle deformazioni, cosa che non c’è nel taglio anulare
dove la rottura può avvenire senza limiti). Nel caso del provino c c’è un piccolissimo picco, in
realtà questo piccolo picco, cioè questo piccolo decadimento che si osserva, è dovuto, quando c’è,
ad un piccolo orientamento delle particelle argillose, come nel caso del taglio diretto.
c.f < 40%
c.f < 20% Particelle che si orientano

Aumento del contenuto di acqua


τ/σn’

τ/σn’

Aumento del contenuto di acqua Orientamento delle particelle


Residuo – picco NC

Stato critico Residuo a circa 300 mm


OC OC
NC NC
Particelle non disturbate

0 50 100 0 50 100
Scorrimento (mm) Scorrimento (mm)

Avevamo visto la differenza nell’apparecchio di taglio diretto tra i materiali consolidati e quelli
normal consolidati, ed avevamo detto che se la percentuale di argilla è molto bassa, si nota un picco
di resistenza in più al materiale sovraconsolidato, per i materiali invece con frazione argillosa
superiore al 40%, quindi con una notevole percentuale di argilla, avevamo che anche la normal
consolidata ha un piccolo picco, cioè un decadimento di resistenza dopo aver raggiunto il massimo,
ma questo non era dovuto ad un aumento dell’indice di porosità ma ad un orientamento delle
particelle argillose. Quindi nel provino c, fondamentalmente questo piccolo decadimento è dovuto
all’orientamento delle particelle argillose. Si tenga presente che la prova di compressione triassiale
rispetto alla prova di taglio diretto finisce molto prima quindi è come se avessimo tagliato il provino
prima, se confrontiamo i risultati di prove di compressione triassiale di materiali N.C. e di materiali
O.C. non abbiamo la possibilità di vedere il proseguimento delle curve perché non sono sufficienti
gli spostamenti. Il taglio diretto è più chiaro da un punto di vista fisico rispetto alla prova di
compressione triassiale, quindi se troviamo un piccolo decadimento nei terreni N.C., ciò è dovuto al
riorientamento delle particelle, perché altrimenti dovrebbe rimanere la curva piatta come è successo
per i campioni a e b, non è un caso che questo piccolo decadimento si sia ottenuto per la curva c,
dove avevamo gli stati tensionali più elevati, dove avevamo una σc maggiore perché le particelle
sono maggiormente costrette ad orientarsi.
Sempre per questi tre provini seguiamo anche ciò che avviene dal punto di vista delle variazioni di
volume, ∆V/V, c’è stato un processo di consolidazione quando abbiamo applicato la σc, ma anche
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adesso c’è uno stato di compressione, anche adesso c’è P’ che è responsabile di tutte le variazioni di
volume, quanto vale P’ nella classe di applicazione dei deviatori degli sforzi?
Vale sempre: P’ = (σa’ – 2σr’)
3
anche durante l’applicazione del deviatore c’è una variazione di σa’ e di σr’, questo perché σr la
tensione totale radiale non cambia, ma σr’ potrebbe cambiare. Se c’è una variazione di P’ c’è una
variazione di volume e noi la leggiamo, questa variazione di volume naturalmente è relativa
all’applicazione del deviatore, non è il processo di consolidazione visto prima, allora in questo caso
se il materiale è N.C. durante l’applicazione del deviatore c’è una riduzione di volume, (ricordiamo
che in geotecnica le riduzioni di volume sono positive), otteniamo che si comprime di più il provino
che era stato soggetto a stati tensionali maggiori, (provino c).
Ora se prendiamo gli stati tensionali a rottura che sono quelli che leggiamo in corrispondenza delle
freccette blue, possiamo costruire i cerchi di Mohr, siamo nella fase di applicazione del deviatore,
abbiamo detto che in questa fase non induciamo pressioni interstiziali, ciò significa che gli
incrementi di tensione totale e gli incrementi di tensione efficace sono uguali, e quindi possiamo
ragionare indifferentemente in termini di tensioni efficaci o di tensioni totali, posso disegnare i
cerchi di Mohr a rottura, i diametri di questi cerchi sono dati proprio dai deviatori che leggo su
diagramma precedente, ovviamente per tracciarli ci serve il diametro ed almeno uno dei punti:
Il nostro primo punto non è altro che la sigma di cella meno la b.p., σc – b.p., se il materiale è
normal consolidato, ciò che si verifica è che l’inviluppo di rottura è rettilineo e questa retta passa
per l’origine, si può scrivere che τ = σ’tgφ’ cioè non c’è intercetta sull’asse delle τ, la coesione è
nulla, la resistenza esiste soltanto quando c’è uno stato tensionale normale.
Abbiamo detto che applichiamo una tensione di cella σc ed una b.p, pertanto nascono delle tensioni
efficaci, questa tensione efficace non deve essere inferiore a quella che c’era in sito ma può essere
di molto superiore, allora da questi primi risultati che vediamo capiamo perché deve essere tale,
infatti questa tensione efficace non è altro che la tensione principale minima, allora se nel piano di
Mohr, sappiamo che il diametro del cerchio è uguale a σa – σr = σa’ – σr’, la tensione principale
minima è proprio uguale a σa’ = σr’ = σc – b.p., cioè quella che deriva dall’applicazione dello sferico,
l’altra invece è la σa = σa’ che registriamo a rottura:

σa’ = σr’ = σc – b.p.

σa = σa’

σa – σr = σa’ – σr’

Al cambiare di questa pressione principale minima, passando dal cerchio a, al cerchio b, al cerchio
c, il cerchio è sempre tangente alla stessa retta, non ha importanza quanto più grande è lo stato
tensionale sferico iniziale di partenza rispetto al P’ preesistente, analizzando i materiali
sovraconsolidati vedremo che però non può essere inferiore a P’.
τ

4
φ' = 24°
2

0
σr'
σ' kg/m2
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PROVA DI COMPRESSIONE TRIASSIALE CONSOLIDATA


DRENATA IN MATERIALE SOVRACONSOLIDATO

Analizziamo i diagrammi confrontandoli con quelli ottenuti dal materiale normal consolidato:
σa – σr e
O.C.
b
Resistenza maggiore
a
N.C. b
a

εa log σa’
_
τ
∆V εa τ = c’ + σ’tgφ’
V 4
Curva a stati tensionali
bassi
2
+
C’
σr'
σ' kg/m2
Intercetta di cosesione Uguale alla differenza di
resistenza

Per capire ciò che succede disegniamo tratteggiato (in rosso) come riferimento le curve di un
provino normal consolidato, formato dallo stesso materiale e allo stesso stato tensionale sferico di
partenza. Vediamo cosa succede se lo stesso materiale è sovraconsolidato: succede che la
resistenza che si determina è maggiore, analizzando le prove di taglio che avevamo visto prima,
sappiamo anche che se la prova avesse la possibilità di proseguire le due curve si
ricongiungerebbero. Questa resistenza in più che il materiale offre rispetto al materiale N.C. è
dovuta al fatto che con la consolidazione la sua porosità è diminuita, infatti se rappresentiamo le
condizioni dei due materiali nel piano e – logσa’ sappiamo che la retta vergine rappresenta le
condizioni di N.C., allora ad esempio la curva del N.C. può essere relativa ad un provino la cui
condizione è rappresentata dal punto a, se invece consideriamo un materiale O.C., sappiamo che ad
un certo punto della storia dei carichi c’è stata una erosione per cui a parità di stato tensionale ora il
materiale si trova nel punto b, e questa potrebbe essere la condizione iniziale del provino O.C. che
stiamo considerando. Quindi vediamo che a parità di stati tensionali il provino in b ha un indice di
porosità più piccolo del provino in a, quindi è ovvio che offra maggiore resistenza, poi man mano
che lo scorrimento prosegue, il materiale tende ad aumentare il suo volume per ridurre la resistenza
e si ha un decadimento di resistenza. Questo è proprio quello che leggiamo seguendo le variazioni
di volume dove di vede che il materiale prima tende a comprimersi e poi tende ad aumentare di
volume. Durante l’aumento di volume c’è il decadimento di resistenza.
Se analizziamo in termini di cerchi di Mohr quello che succede, supponendo che il cerchio del
materiale N.C. è quello tratteggiato (in rosso), a parità di stato tensionale sferico di partenza il
cerchio del materiale O.C. è più grande, perché è più grande il deviatore, (la differenza è proprio
data dalla differenza di resistenza letta sul primo diagramma). Questo comporta che se il primo
provino, quello N.C. era tangente alla retta (tratteggiata rossa) che passa per l’origine, ovviamente il
provino del materiale O.C. sarà tangente ad un’altra curva, il materiale cambia resistenza, per
vedere quanto vale dobbiamo fare ancora una volta tre provini, otterremo vari cerchi, tracceremo
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l’inviluppo e noteremo che questa volta sorge una coesione, cioè c’è una intercetta diversa da zero
indicata con c’ sull’asse delle tao. Il criterio di resistenza diventa: τ = c’ + σ’tgφ’
In realtà questa coesione c’ che leggiamo preferiamo chiamarla intercetta di coesione, perché deriva
dal fatto che noi estrapoliamo la retta tangente ai cerchi anche agli stati tensionali più bassi, perché
è piuttosto difficile fare prove a stati tensionali bassi (a ridosso dell’origine), si possono fare
soltanto con macchinari particolarmente raffinati (in laboratori universitari), quando si fanno queste
prove si scopre che l’inviluppo di rottura a bassi stati tensionali diventa fortemente non lineare, cioè
il vero andamento della curva è quello (tratteggiato blue) che tende comunque a zero, la coesione
tra le particelle da un punto di vista fisico non c’è per cui questa c’ che consideriamo deve essere
considerato solo come una intercetta della retta che nasce come inviluppo dei cerchi a stati
tensionali maggiori, (dovrebbe essere usata correttamente solo nell’intervallo in cui è stata
determinata).
Ora possiamo capire perché dobbiamo usare tensioni maggiori dello stato tensionale efficace in sito,
infatti se dato un certo materiale con un suo valore di P’, in laboratorio applichiamo una (σc – b.p.)
che è minore di questo P’, noi sovraconsolidiamo il materiale e spostiamo i cerchi di Mohr, per
effetto della sovraconsolidazione la retta di rottura si sposta, diventa diversa, il materiale deve
rimanere pertanto N.C. se così era in sito.

Rappresentazione su piano (q,P)


Possiamo rappresentare i risultati della prova di compressione triassiale o sul piano di Mohr, oppure
su un altro piano che è più comodo, piano q,P.
Nel caso della prova consolidata drenata (CD) P = P’, q è sempre uguale a q’:

σ a + 2σ r
P= deviatori degli sforzi
3
in CD P = P’ q = σa – σr = σa’ – σr’ = q’
σ + 2σ
' ' sempre
P' = a r
3
a meno della b.p. che però è alla base di tutto, è il nostro zero, le sigma –a- e le sigma –a’-
coincidono e quindi P e P’ sono uguali, q invece è il deviatore degli sforzi e sempre uguale a q’,
questo perché possiamo scrivere:
q = σa – σr = (σa’+ u) – (σr’+ u) = σa’ + u – σr’ – u = σa’ – σr’ = q’
possiamo vedere in questo piano una prova di compressione triassiale, rappresentando tutto il
percorso delle tensioni:
Percorso delle tensioni (N.C.)
Fase isotropica P’ = σc M’ = 6 sen φ’/(3 - sen φ’) M’
q = q’ Fase deviatorica P’ = σc + q’/3
q = q’

3
1

P P,P’

Possiamo inserire il punto iniziale della prova, applicazione dello sferico, quando applichiamo lo
sferico le tre tensioni totali sono uguali, e sono uguali a σc, quindi otteniamo P = σc,
successivamente la relazione q,P diventa una retta, la relazione tra i due è chiaramente P’ = σc + q’/3
ma possiamo considerare anche che P’ è sempre lo sforzo efficace medio, allora quando c’è un
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deviatore q, allora deve sempre prendere il valore q/3, ciò significa che ho una retta che ha come
intercetta proprio σc sull’asse delle ascisse ed ha pendenza 3 a 1, otteniamo l’evoluzione dello stato
tensionale fino ad arrivare al punto di rottura.
Se prendiamo tre provini, ad esempio nel caso del materiale N.C., otteniamo tre delle rette su
descritte, si può ottenere la retta di rottura, non più come inviluppo dei cerchi, ma come interpolante
dei punti di rottura, è una retta che per i materiali N.C. passa per l’origine, la sua espressione è:
q = MP o q’ = M’P’ (poiché in CD, non ha senso distinguere i due valori, sono uguali)
si può vedere che esiste la relazione tra M’ che è la tangente dell’angolo di inclinazione della retta,
coefficiente angolare della retta, esiste una relazione tra M’ e φ’, cioè l’inclinazione della retta di
rottura nel piano di Mohr, che è : M’ = 6 sen φ’/(3 - sen φ’)
questa si usa perché è più facile fare l’interpolazione di punti piuttosto che trovare una retta
tangente ai cerchi. Se nel caso della prova consolidata drenata abbiamo tre semplici rette, il
percorso seguito in questo tipo di piano diventa molto interessante quando si vanno ad analizzare le
altre prove (CU, UU) perché permette di distinguere dall’inizio di applicatore del deviatore fino a
rottura qual è l’andamento delle tensioni efficaci e delle pressioni interstiziali.

Prova non consolidata non drenata (UU):


La prova non consolidata non drenata (UU) avviene senza consentire il drenaggio in nessuna fase
della prova, per eseguire questa prova non solo i rubinetti sono chiusi, ma addirittura non si mettono
le piastrine porose ma si usano delle piastrine impermeabili. Non ci deve essere nessuno scambio di
acqua tra l’interno del provino e l’esterno, se il provino dovesse essere parzialmente saturo, così
deve rimanere, non dobbiamo modificare in nessun modo le sue condizioni. Come nel caso della
prova consolidata drenata, possiamo analizzare lo schema relativo alle varie fasi:
σ u σ'
I)
σa = 0 ur σa’ = - ur

σr = 0 σr’ = - ur

II ) σa = σc σa’ = – ur
u = ur + σc

σr = σc σr’ = – ur

III ) σa = σc + F/At σa’ = – ur + (1 – A)( σa – σr)


u = ur + σc + A(σa – σc)

σr = σc σr’ = – ur – A( σa – σr)
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Prima fase: la prima fase è invariata poiché riguarda il provino scarico in laboratorio quindi non è
stato sottoposto ancora a niente. Ricordiamo soltanto che esiste uno stato tensionale efficace di
confinamento dovuto alla pressione interstiziale indotta dal campionamento.
Seconda fase: applichiamo lo sferico, come al solito applichiamo una pressione di cella σc, quindi
avremo σa = σr = σc questa volta non operiamo sulla pressione interstiziale, c’era la ur e rimane,
inoltre operiamo a rubinetti chiusi, quindi l’applicazione del carico indurrà una sovrappressione
interstiziale, nell’ipotesi di materiale saturo e di compressibilità del terreno maggiore di quella
dell’acqua, cioè nell’ipotesi di B di Skempton = 1, l’incremento di tensione totale si traduce in un
uguale incremento di pressione interstiziale, per cui la pressione dopo aver applicato lo sferico sarà
pari a: u = ur + σc naturalmente le tensioni efficaci dedotte saranno: σa’ = – ur e σr’ = – ur. Ci
rendiamo conto che non è cambiato proprio nulla, cioè la tensione efficace è rimasto invariato, ciò
che è stato applicato è stato assorbito dall’acqua, quindi dal punto di vista dello scheletro solido non
è cambiato nulla. Questo ci porta a dedurre che se i provini vengono come sappiamo dallo stesso
segmento di carota, si trovavano allo stesso stato tensionale iniziale, avevano quindi la stessa ur,
significa che anche se applichiamo tre pressioni di cella diverse, lo stato tensionale efficace è lo
stesso in tutti e tre i provini. Allora ricordando il principio delle tensioni efficaci di Terzaghi, che
diceva che tutto ciò che accade è dovuto a variazioni delle tensioni efficaci, avremo che anche
applicando pressioni di cella diverse ai tre provini essi mostreranno la stessa resistenza.
Terza fase: all’applicazione del deviatore abbiamo che σa = σc + F/At, σr = σc, la pressione u invece
sapendo che il deviatore produce un aumento pari a A(σa – σc) dovuto al secondo termine della
formula di Skempton, (la pressione totale aumenta della stessa quantità nel caso di applicazione
dello sferico ed aumenta di una percentuale pari a A per l’incremento di stati tensionali A(σa – σc),
quando lo stato tensionale è deviatorico) u = ur + σc + A(σa – σc), in termini di resistenza del
materiale mi aspetto che se lo stato tensionale efficace è lo stesso, il materiale è lo stesso, la
resistenza è deve essere la stessa, anche se gli stati tensionali totali sono diversi, è vero? I risultati
sperimentali tendono a dimostrare che è proprio così.

Serie 1 Non ci sono picchi sia che il materiale è N.C. che O.C.

Serie 2
Serie 3

τ = cu

300 500 700


ε%
cu = coesione non drenata

Prove fatte su un terreno provenite dal sottosuolo di Gravina in Puglia, prova non consolidata non
drenata, sono state applicate tre pressioni di cella molto diverse, due curve sono praticamente
coincidente, l’altra si discosta leggermente, se vediamo i cerchi di Mohr, i tre provini erano stati
sottoposti ad una pressione di cella rispettivamente di 300, 500, e 700 kPa, ciononostante pur
avendo delle pressioni di cella molto diverse questi tre provini hanno mostrato la stessa resistenza.
Resistenza che stiamo analizzando in un piano di Mohr in termini di tensioni totali, poiché non
possiamo analizzare la prova in termini di tensioni efficaci perché non abbiamo misurato le
pressioni interstiziali. Per misurare le pressioni interstiziali in qualche modo si modica la condizione
di pressione che c’è nel provino, si modifica eventualmente il suo grado di saturazione, le pressioni
non possono essere misurate con le normali attrezzature. La prova può essere analizzata solo in
termini di tensioni totali. Vediamo che questi cerchi pur essendo distinti tra di loro, hanno una
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posizione diversa sull’asse delle ascisse, hanno lo stesso valore di τ, in questo caso la retta di rottura
è una tao uguale ad una certa costante, τ = cu (retta di rottura) questo parametro cu che continuiamo
a chiamare coesione è una coesione non drenata ed è il parametro di resistenza che si ottiene da una
prova di compressione triassiale non consolidata non drenata.
Prove fatte sull’argilla di Aderenza:

Argilla di Acerenza
cu = 930 kPa
discontinuità
cu = 150 kPa

discontinuità
Si tratta di una argilla estremamente consistente ma che a volte presenta delle discontinuità.
Abbiamo quattro provini presi dalla stessa carota dello stesso materiale, ma abbiamo due cerchi con
un valore di coesione non drenata di circa 1000 kPa e due cerchi con un valore di coesione non
drenata di 150 kPa, sono quattro provini presi da uno stesso campione, a due a due esibiscono delle
resistenze estremamente diverse, questa è una eventualità che si può verificare quando ci sono delle
discontinuità, a fianco è rappresentato il campione e le due coppie di provini, non si riusciva a
prendere 4 provini sullo stesso segmento di carota, ma siccome questo è un campione che proviene
da notevole profondità, la P’ tra la prima parte e l’altra aveva differenze trascurabili, però abbiamo
trovato che due provini erano attraversati da discontinuità e due no. Quando c’è una discontinuità
nel materiale in una prova di compressione triassiale, le deformazioni avvengono lungo le
discontinuità preesistenti, se il materiale è integro la superficie di rottura è quella che nasce in virtù
delle proprietà del materiale, ma se ci sono delle discontinuità le deformazioni si concentrano in
questi punti e normalmente la resistenza è molto più bassa. Trovando una situazione del genere
bisognerebbe capire qual è lo stato di queste discontinuità, se a grande scala sono continue o meno,
perché se sono continue e bisogna fare una verifica di stabilità di un pendio bisogna
necessariamente considerare i valori più bassi, se invece le discontinuità sono distanziate tra di loro,
non sono continue, non si intersecano, se si tratta di un problema di carico limite per fondazioni
dirette si può fare tranquillamente affidamento sui valori più alti.
Questa coesione non drenata è un parametro di resistenza in termini di tensioni totali.
Sul piano q,P questa prova presenta i seguenti risultati:
q q

3
1

P P
Le tensioni sono totali, come al solito abbiamo lo stato tensionale dopo lo sferico P = σc la retta
inclinata 3 a 1, per i tre provini avremo tre rette parallele tra di loro, la retta che interpola i risultati
così come nel piano di Mohr è una retta parallela all’asse delle ascisse.

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