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CITOLOGIA

Gli elementi biogeni si dividono in:

- Elementi primari plastici: C, H, N, O, che costituiscono circa il 98% della materia vivente;
- Sali inorganici: presenti prevalentemente nel protoplasma, sotto forma dissociata di ioni idrati e
sono: cationi (K, Na, Ca, Mg) e anioni (Cl, HCO3, H2PO4) e occupano circa l’1,9%;
- Infine, gli oligoelementi o elementi oligodinamici, tra cui Cu, Zn, I, Fe, V, Al.

Inoltre, questi elementi si raggruppano in:

- Composti inorganici, come acqua e sali minerali;


- Composi organici, come le biomolecole (lipidi, proteine…etc.).

Il protoplasma delle cellule animali e vegetali, è in genere composto dal 75-85% di acqua, 10-20% di proteine,
2-3% di lipidi e la restante parte da acidi nucleici, glucidi e sali minerali.

L’acqua può avere origini:

- Esogene, cioè proviene dall’esterno della cellula;


- Endogene, si libera dall’interno della cellula nel corso di reazioni metaboliche. (Un esempio)

L’acqua è importante dal punto di vista biologico perché:

- Costituisce la fase disperdente del sistema colloidale protoplasmatico;


- E’ il medium di numerose reazioni metaboliche;
- Funge da veicolo per assunzione o eliminazione delle sostanze;
- Grazie al suo elevato calore specifico, evita sbalzi di temperatura.

Può essere infine, di riempimento, con alto contenuto entropico e di idratazione, con un basso contenuto
entropico.

La molecola d’acqua, può essere rappresentata come un dipolo magnetico il cui centro di carica negativa è
costituito dall’ossigeno, mentre i due H risultano parzialmente positivi. Tra H e O ci sono legami idrogeno
che, con l’innalzamento della temperatura tendono a scomparire e permettono i passaggi di stato fisico.

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I Sali minerali sono presenti sotto forma di ioni liberi e composti solubili o poco solubili. I suoi ioni principali
sono:

- Na+, K+ e Cl-, regolano la permeabilità della membrana. Mentre Na e Cl sono più concentrati nei
liquidi extracellulari, lo ione K si accumula all’interno delle cellule dove svolge funzioni di controllo
su molte attività enzimatiche;
- Ca++, regola la contrazione muscolare e l’eccitabilità delle fibre nervose, mentre HPO4 (fosfato di
calcio) è localizzato nelle ossa e nei denti;
- Mg++ è presente nelle ossa;
- SO4--, (ioni fosfato) partecipano alla stabilizzazione strutturale di numerose molecole proteiche come
la cheratina; HCO3- rappresenta la principale forma di trasporto per la CO2 e svolge un ruolo
fondamentale nell’equilibrio acido-base;
- Fe, rappresenta il veicolo per il trasporto dell’ossigeno nell’emoglobina.

I Sali minerali contribuiscono inoltre:

- All’equilibrio acido-base, dipende dal pH di una soluzione. Il pH delle cellule durante l’attività
metaboliche è di 7,2-7,4 (pH fisiologico), una sua variazione porta ad una variazione dell’attività
metabolica;
- L’equilibrio ionico, cioè la concentrazione di ioni all’esterno e all’interno della cellula. Ad esempio,
Na+, Cl- è più concentrato all’esterno, mentre K+ all’interno. Le pompe proteiche (proteine di
membrana), regolano questo equilibrio e oltre a queste pompe, ci sono canali aperti e chiusi che
regolano il passaggio di queste sostanze;
- L’osmosi, è il flusso di acqua da una soluzione a minor concentrazione ad una a maggior
concentrazione, separate da una membrana semi-permeabile, fino a quando le due concentrazioni
non si equivalgono. Una cellula in ambiente ipotonico tende a rigonfiarsi, mentre in ambiente
ipertonico, si raggrinzisce. Una cellula per poter funzionare deve trovarsi in ambiente ipotonico. La
pressione osmotica dipende dal numero di particelle presenti nella soluzione.

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CARBOIDRATI (C, H, O) o glucidi, sono la principale fonte di energia per le cellule vegetali ed animali. Essi si
distinguono in: monosaccaridi, oligosaccaridi e polisaccaridi.

- I monosaccaridi, comprendono i glucidi che non possono essere idrolizzati in composti più semplici.
I più importanti sono i pentosi (cioè a 5 atomi di C), come il ribosio e il desossiribosio, e gli esosi come
glucosio, galattosio e fruttosio. La loro formula è CnH2nOn e possono contenere anche gruppi aldeidici
(-CHO) e chetonici (=CO). Per la loro struttura ad anello, ciascun monosaccaride presenta due forme
isometriche (α e β) in cui cambia l’orientamento nello spazio dello zucchero e non le sue componenti.

- Gli oligosaccaridi (fino a 14 monosaccaridi), derivano dalla condensazione di Nmonomeri, con


eliminazione di N-1 molecole di acqua. Tra i più importanti ci sono: il maltosio che deriva dall’idrolisi
parziali dell’amido (un polisaccaride); il lattosio, che è costituito dall’unione di galattosio+glucosio; il
saccarosio, formato da glucosio+fruttosio;
- I polisaccaridi, si distinguono in: omopolisaccaridi, composti dallo stesso zucchero semplice
(glicogeno= glucosio+glucosio+glucosio...) e eteropolisaccaridi composti da zuccheri diversi, come ad
esempio i GAG (glicosaminoglicani).

Per le cellule degli organismi animali, il glicogeno costituisce la principale forma di accumulo dei glucidi e il
punto di partenza per molte vie metaboliche. Infatti, poiché la pressione osmotica di una soluzione dipende
dalla concentrazione delle particelle, l’accumulare il materiale di riserva sotto forma di grandi molecole di
glicogeno, piuttosto che sotto forma di piccole molecole di monosaccaridi e disaccaridi, presenta il vantaggio
di non rendere iperosmotico l’ambiente intracellulare.

I GAG (mucopolisaccaridi), invece, sono chiamati così perché uno dei due zuccheri che si ripete è sempre un
aminozucchero, cioè un monosaccaride in cui, un gruppo –OH è stato sostituito da un gruppo aminico –NH3.
Gli aminozuccheri, possono essere acetilati tramite sostituzione di un H con un gruppo acetile.

I glicoconiugati, sono composti formati da zucchero+altro, si dividono in:

- Proteoglicani, composti proteico – eteropolisaccaridici, in cui la componente carboidratica prevale


su quella proteica;
- Glicolipidi;
- Glicoproteine, macromolecole costituite da un asse proteico sul quale si inseriscono catene
oligosaccaridiche. Possono essere acide (carbossilate e/o solforate) o neutre.

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LIPIDI, sono esteri di acidi grassi superiori (con tanti atomi di C) legati con alcoli polivalenti (con tanti –OH).
Essi si dividono in saturi, con legame singolo e insaturi, con doppio legame. Possono essere divisi
ulteriormente in:

- Lipidi idrolizzabili, che sono semplici e formati da CHO. La maggior parte dei lipidi semplici derivano
dalla esterificazione di acidi grassi con alcool di varia natura. Da esterificazione con alcoli superiori
monovalenti si ottengono le cere; da quella con gli steroli (colesterolo), gli esteri degli steroli; da
quella con il glicerolo, i gliceridi, che si suddividono in monogliceridi, digliceridi e trigliceridi. I
trigliceridi, sono la fonte di riserva energetica dell’organismo e possono essere liquidi (a temperatura
ambiente) e sono olii oppure solidi e sono grassi. I lipidi semplici, avendo un carattere generalmente
idrofobico tendono a depositarsi nell’acqua sotto forma di gocce isolate (a causa della loro incapacità
di interagire con l’acqua);
- Lipidi non idrolizzabili, composti e formati da CHO + N,S,P. Sono molecole anfipatiche (hanno una
parte solubile ed una insolubile), caratterizzate dalla presenza di gruppi idrofobici e gruppi idrofili e
si suddividono in fosfolipidi, sfingolipidi e glicolipidi. I fosfolipidi sono esteri del glicerolo e i più
comuni sono lecitine e cefaline; gli sfingolipidi, invece, al posto del glicerolo hanno la sfingosina
(amminoalcol). Gli steroidi sono esteri di acidi grassi superiori con alcoli tetraciclici (colesterolo). I
lipidi composti, posti in acqua (sistema polare), tendono a formare particolari aggregati detti micelle
o possono costituire un doppio strato lipidico (bilayer), in cui le code apolari dei lipidi stanno
all’interno, mentre le teste polari sono verso l’interno.

PROTEINE

Sono composti quaternari (C, H, O, N), costituiti da catene polipetidiche di aminoacidi (gli aminoacidi presenti
in tutte le proteine naturali, sono 20). Se una catena ha fino a 20 aminoacidi si parla di oligopeptide, altrimenti
di polipeptide.

Gli aminoacidi sono legati fra loro, nelle catene polipetidiche, con legami peptidici che si formano in seguito
alla reazione tra –COOH e NH3 di due aminoacidi, con l’eliminazione di acqua (condensazione).

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Nelle proteine naturali gli aminoacidi sono sempre presenti


nella forma L.

Gli aminoacidi sono sostanze anfotere, in quanto contengono sia un gruppo acido (COOH) che un gruppo
basico (NH3), entrambi ionizzati. Se il pH si abbassa, si ha la protonazione di –NH3, che diventa –NH3+ e
l’aminoacido avrà carica positiva; se il pH si alza, si ha la dissociazione di –COOH, in –COO- e l’aminoacido
avrà carica negativa. Quindi in ambiente acido si comportano come acidi e in ambiente basico si ha un
comportamento basico. A un preciso valore di pH, detto punto isolelettrico, l’aminoacido si comporta come
uno ione dipolare a carica 0.

Ci sono vari tipi di proteine, classificabili:

- In base alla funzione: proteine di secrezione, enzimi, anticorpi e recettori;


- In base alla composizione, si distinguono: proteine semplici, costituite da aminoacidi, e proteine
coniugate, proteine + gruppo prostetico (altro);
- In base alla conformazione: fibrose (costituite da fasci) e globulari (costituite da catene ripiegate a
formare sfere).

Le proteine hanno 4 livelli di struttura:

- Struttura primaria: condiziona la configurazione spaziale e le proprietà delle proteine. La struttura


del legame peptidico limita il ripiegamento della proteina, in quanto la condivisione di elettroni tra
atomi N, C e O fa sì che il legame peptidico non subisca torsioni.
- Struttura secondaria, che si divide a sua volta in: alfa elica, caratterizzata da una forma a spirale con
un inizio amminico e una fine carbossilica; foglietto beta in cui le catene sono distese, conformazione
caratteristica di alcune molecole proteiche a struttura allungata (dette fibrose);
- Struttura terziaria, rappresenta la struttura tridimensionale vera e propria della proteina ed è
caratterizzata da un ulteriore ripiegamento. Questa struttura non viene determinata solamente da
legami ad idrogeno tra i gruppi peptidici, ma anche da legami di solfuri, che sono più resistenti e
determinano la forma della proteina. Infatti, dalla struttura terziaria, dipendono le proprietà fisico-
chimiche della proteina;
- Struttura quaternaria, è formata da 2 o più catene polipeptidiche. Un esempio è l’emoglobina,
costituita da 4 catene polipeptidiche, a due a due uguali, denominate alfa-globine e beta-globine.
Ogni globina consente di accogliere il ferro, a sua volta capace di legare l’ossigeno.

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ACIDI NUCLEICI, sono polimeri di nucleotidi specializzati nell’archiviazione, la trasmissione e l’utilizzo


dell’informazione genetica. Un nucleotide è formato da uno zucchero pentoso, un gruppo fosfato e una base
azotata, uniti da legami covalenti. Invece zucchero + base = nucleoside.

I nucleotidi possono avere da 1 a 3 radicali fosforici, ad esempio: AMP, ADP, ATP. Il legame tra i nucleotidi
avviene attraverso il fosfato: il fosfato del C5 può legarsi al C3 di un altro nucleotide, tramite un legame di
esteri fosforici.

Le basi azotate appartengono a due categorie:

- Pirimidiniche, costituite da un solo anello e comprendono timina, citosina e uracile;


- Puriniche, formate da due anelli fusi insieme e sono adenina e guanina.

Esistono due tipi di acidi nucleici, acido desossiribonucleico (DNA) ed acido ribonucleico (RNA), che
differiscono tra loro:

- Per quanto riguarda lo zucchero, infatti nel DNA si trova il desossiribosio, mentre nell’RNA il ribosio;
- Per quanto riguarda le basi pirimidiniche, infatti nell’RNA la timina è sostituita dall’uracile.

Secondo il modello di Watson e Crick, il DNA è formato da due catene polinucleotidiche complementari (A
con T e C con G) e antiparallele, avvolte a spirale e a doppia elica, collegate da legami idrogeno tra le basi
azotate (ponti idrogeno). La rottura di questi legami, permette ai due filamenti di DNA di separarsi e di
funzionare ciascuno da stampo per la sintesi di nuovi polinucleotidi. L’informazione genetica, contenuta nel
DNA, risiede nella sequenza dei nucleotidi.

La quantità di DNA è una costante caratteristica per ciascuna specie. Il DNA crea copie di sé stesso, tramite il
modello semiconservativo:

1) L’enzima elicasi apre la catena e la topoisomerasi srotola la doppia elica;


2) Le proteine SSB stabilizzano i filamenti srotolati;
3) La DNA polimerasi sintetizza il filamento complementare dal filamento guida, in direzione 5’-3’;
4) Il filamento complementare del filamento lento è sintetizzato in modo discontinuo. La primasi
sintetizza piccoli RNA primer e la DNA polimerasi forma un frammento di Okazaki;
5) Gli RNA primer sono rimossi e la DNA ligasi unisce i frammenti di Okazaki.

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Il DNA trascrive la sua informazione su molecole di RNA messaggero; queste informazioni vengono utilizzate
con il coinvolgimento di RNA transfer e ribosomiale per la sintesi proteica.

DNA-> trascrizione (nel nucleo) -> RNA-> traduzione (sui ribosomi, nel citoplasma) -> PROTEINA.
Ogni organismo è caratterizzato da una propria costituzione proteica. Attraverso la sintesi proteica, il DNA
riesce a ottenere le proteine per regolare la vita cellulare. A livello strutturale le proteine si distinguono fra
loro per la sequenza deli aminoacidi che le costituiscono. Inoltre, ciascuna proteina è codificata sul DNA sotto
forma di sequenze nucleotidiche corrispondenti a quelle degli aminoacidi di tale proteina.

I 4 nucleotidi (A,T,C,G), presi 3 alla volta, formano 64 combinazioni differenti fra loro. Molti aminoacidi quindi,
sono codificati da più di una tripletta, per un fenomeno detto di “degenerazione del codice”, mentre certe
triplette servono solo a determinare segnali di fine dei processi di codificazione del DNA. Queste triplette,
prendono il nome di codoni.

I principali tipi di RNA sono:

- RNA messaggero, sul quale il DNA trascrive i codoni di una proteina. L’mRNA ha una struttura a
filamento ripiegato ad elica in alcuni suoi punti; al momento della sintesi proteica ogni filamento
viene percorso da più ribosomi, di forma granulare, che gli conferisco un aspetto simile ad un rosario;
- RNA transfer, trasferisce ai ribosomi i vari aminoacidi che, uniti fra loro con legame peptidico,
formano le proteine. Ha una forma a trifoglio, con anse alternate a costituire tratti a doppia elica.
Un’ansa presenta 3 basi azotate libere che costituiscono l’anticodone; l’ansa D contiene didrouracile
e si lega all’aminoacil-tRNA sintetasi; mentre l’ansa T, contiene ribotimina, che si lega ai ribosomi;

I bracci fissi sono: D, T e anticodone; è presente un ansa variabile, più piccola

- L’RNA ribosomiale si divide in sub unità minore, che contiene una molecola di rRNA, e una sub unità
maggiore che ne contiene 2 o 3 diverse tra loro, e si lega con proteine, nel citoplasma, formando i
ribosomi, sui quali avviene la sintesi proteica (i ribosomi possono essere o liberi nel citoplasma o
attaccati al reticolo endoplasmatico, che può essere liscio o rugoso). Ciascuna sub unità adempie ad
un compito specifico: la sub unità minore lega l’mRNA e su di essa avviene il processo di
riconoscimento codone-anticodone tra mRNA e tRNA; la sub unità maggiore interagisce con le
estremità del tRNA e catalizza, mediante l’enzima peptildil-transferasi, in essa presente, la
formazione dei legami peptidici tra i vari aminoacidi che costituiscono le proteine.

Il processo di biosintesi proteica (traduzione) avviene sui ribosomi e si divide in 3 fasi dette: inizio,
allungamento e termine.

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La fase di inizio è fondamentale in quanto permette ai ribosomi di incominciare la lettura del mRNA dal
codone AUG di inizio, che corrisponde all’aminoacido metionina. Durante la fase di allungamento l’enzima
aminoacil-peptidil-sintetasi lega i due aminoacidi legati a loro volta (singolarmente) tramite tRNA al sito P ed
A della sub unità maggiore. Così il tRNA che lega il primo aminoacido al sito P, scompare e i due aminoacidi
si spostano entrambi sul sito P, lasciando vuoto il sito A. Il sito A, ora vuoto, viene occupato da un altro
aminoacido (legato sempre tramite tRNA) e il processo di allungamento della catena, va avanti fino al codone
di terminazione UAA, con conseguente distacco della catena polipeptidica dal sito P. La sintesi termina
quando ciascun ribosoma, arrivato all’estremità 3’ dell’mRNA polisomico, incontra codoni stop (UAA, UGA,
UAG) ai quali non corrispondono dei tRNA ma delle proteine di rilascio, che hanno il compito di staccare dal
sito P la catena polipeptidica ormai completa negli amminoacidi codificati dall’mRNA. Il ribosoma, torna
libero nel citoplasma per intraprendere eventuali altri processi di sintesi.

La CELLULA è l’unità morfologica e funzionale degli organismi viventi (Schleiden e Schwann) ed ogni cellula
deriva da un’altra cellula, preesistente (zigote). E’ materia vivente tutto ciò che ha la capacità di riprodursi o
di replicarsi dando origine a entità che sono simili al progenitore. La materia vivente è classificata in 3 livelli:

1. Virus e Batteriofagi;

2. Procarioti (batteri e alghe);

3. Organismi Eucarioti.

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Virus e batteriofagi: In base al tipo di cellula parassitata si dividono in:

- Batterici, batteriofagi o fagi;


- Vegetali, come i viroidi, privi di capside;
- Animali;
- Prioni, molecole proteiche capaci di alterare la loro configurazione spaziale e acquisiscono la capacità
di trasmettere l’alterazione ad altre molecole sana.

Non hanno organizzazione cellulare e sono incapaci di vita autonoma. In particolare, i virus, sono visibili
solamente al microscopio elettronico, in quanto la loro grandezza va tra i 30-300 nanometri (nm). I virus, non
hanno né nucleo, né ribosomi, né citoplasma e né sono delimitati da membrana. Sono anzi, costituiti da un
acido nucleico circondato da un involucro proteico detto capside, formato da sub unità dette capsomeri
oppure lipoproteico detto pericapside. Esistono virus a DNA (desossiribovirus) o RNA (ribovirus). La maggior
parte dei batteriofagi e dei virus animali presenta il genoma virale (molecola di acido nucleico) DNA; i virus
delle piante invece, presentano il genoma RNA. Il genoma virale, penetra all’interno della cellula ospite e
utilizza le strutture metaboliche di quest’ultima, cioè i ribosomi e gli enzimi, per la sintesi di molecole virali
che andranno a costituire copie del virus che ha infettato la cellula stessa.

I virus possono avere forma specifica:

- A simmetria cubica, come ad esempio adenovirus e herpesvirus;


- A simmetria elicoidale, come il virus del mosaico del tabacco;
- A simmetria complessa, come il batteriofago T2 e il virus del vaiolo. Presentano organizzazioni del
tutto particolari.

La replicazione è un processo caratteristico del ciclo vitale dei virus che richiede la partecipazione di sistemi
sintetici ed enzimatici presenti solamente nelle cellule procariote ed eucariote. Per questa ragione, i virus,
devono penetrare all’interno delle cellule e indurre gli apparati delle cellula a sintetizzare componenti del
virus stesso. Il fago T2 penetra nella cellula batterica con le seguenti modalità: attraverso le fibre il fago
prende contatto con la parete cellulare del batterio, alla quale si fissa grazie alla piastra.

L’adesione tra il virus e la parete, è resa possibile dall’emoagglutinina, una proteina con forte affinità per le
glicoproteine, che consente dunque l’adesione ai recettori presenti nelle membrane cellulari. Il tubo centrale
entra nella parete cellulare e l’acido nucleico fuoriesce attraverso la coda ed entra all’interno della cellula
con un meccanismo di iniezione. Una volta entrato nella cellula, l’acido nucleico si può replicare.

L’ingresso dei virus nelle cellule eucariotiche, invece, è dovuto a endocitosi da parte della cellula stessa. Nella
prima fase, c’è la dissoluzione del capside e la comparsa, nel citoplasma della cellula, di alcune proteine virali
(antigeni precoci). In secondo luogo, si ha la duplicazione del genoma virale, tipicamente il genoma a DNA è
replicato nel nucleo, mentre quella ad RNA nel citoplasma.

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Il secondo livello di organizzazione della materia vivente è composto dai procarioti, microrganismi unicellulari
più semplici delle cellule eucariotiche, eppure dotati di tutti gli apparati biochimici capaci di assicurare una
vita autonoma. Si distinguono strutturalmente, sia per la mancanza di nucleo centrale, sia per la mancanza
di organelli citoplasmatici circondati da membrane.

I procarioti, sono costituiti da citoplasma, al cui interno, nel nucleotide, si trova il materiale genetico sotto
forma di un filamento di DNA, lungo circa 1mm e quindi più volte ripiegato su sé stesso. Il cromosoma
procariotico è detto genoforo e non è separato dal citoplasma per mezzo di un involucro nucleare, come per
le cellule eucariotiche. Il genoforo è ancorato ad un punto detto perno, presente in un punto della membrana
plasmatica, chiamato mesosoma. Il mesosoma, è un’invaginazione della membrana, contente enzimi
respiratori.

I batteri (0,5-8 micron), contengono sia DNA che RNA, il DNA è presente come un’unica molecola circolare,
hanno i ribosomi e una robusta parete fatta da peptidoglicani, detta mureina. La presenza dei ribosomi, rende
i batteri estremamente efficienti nei processi biosintetici, ma solo se essi trovano materiale nutritivo
disponibile, altrimenti entrano in una fase di quiescenza che può prolungarsi anche per anni, soprattutto per
i batteri più resistenti capaci di chiudersi in robuste capsule, dette spore. I batteri si riproducono
asessualmente per scissione del citoplasma, preceduta dalla duplicazione del DNA.

Classificazione dei batteri:

- In base alla colorabilità: Gram+ e Gram-;


- In base alla forma: cocchi (sferici), bacilli (a bastoncello), spirilli o spirochete (a spirale), vibrioni (a
virgola);

CELLULE EUCARIOTICHE:

- Sono delimitate da una membrana cellullare;


- In ciascuna cellula si distinguono due comparti: il nucleo, l’unità fondamentale della cellula, nella
quale è presente DNA ed RNA e nel quale si trova il nucleolo; il citoplasma;
- Nell citoplasma sono presenti diversi organuli cellulari;
- Le cellule formano i tessuti che a loro volta formano gli organi.

Le cellule possono essere: labili, come ad esempio un eritrocita (7-8 micron, tra le cellule più piccole del
nostro organismo); stabili, come gli epatociti (cellule del fegato); cellule perenni, come le cellule nervose.

Le cellule isolate hanno tendenzialmente forma sferoidale e la loro pressione interna è maggiore di quella
dell’ambiente; quando, invece, le cellule sono riunite in masse, acquistano una forma poliedrica. Esiste un
rapporto fra forma e funzione. Il rapporto del volume del nucleo e il citoplasma tende ad essere costante,
secondo la legge di Hertwig: N/C=K. Così come il rapporto tra superficie e volume.

Secondo la legge di Driesch, il volume delle cellule è approssimativamente costante per ciascun tipo cellulare
nell’ambito della stessa specie o di specie affini ed è indipendente dalle dimensione dell’organismo (questa
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legge non vale per le cellule nervose e muscolari), pertanto la diversa dimensione degli organismi è dovuta
al numero e non al volume delle cellule.

Microscopia e approccio strumentale allo studio della materia vivente (DA LEGGERE)

L'approccio sperimentale allo studio della materia vivente può essere effettuato attraverso metodiche di
tipo morfologico oppure biochimico e funzionale.

L'approccio morfologico permette di determinare la forma degli elementi cellulari, le loro relazioni spaziali
e l'ultrastruttura della cellula in esame. Lo strumento di indagine morfologica più usato è il microscopio che
può essere:

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 Ottico [M.O.], potere di risoluzione tra i 100 µm – 0,2 µm, utilizzato di norma per l’osservazione di
cellule viventi o fissate di sezioni di tessuti o organi;
 Elettronico [M.E.], potere di risoluzione tra i 0,2 µm – 0,3 nm, e permette lo studio dettagliato dei
diversi organuli cellulari.

Questo approccio generalmente avviene tramite microscopi a contrasto di fase o microscopi interferenziali.

Visibilità di alcune molecole biologiche, microrganismi e cellule:


 Elettronico  Aminoacidi (≈1 nm), Proteine (≈10 nm), Virus (10 nm – 100 nm).
 Ottico  Batteri (1 µm – 10 µm), la maggior parte delle cellule umane.
 Occhio umano  alcune cellule umane, e le restanti cellule animali.
NB: 1 mm = 10-3 m; 1 µm = 10-3 mm; 1 nm = 10-3 µm; 1 Å = 0,1 nm = 10-4 m.

Che avvenga attraverso il MO o il ME, le fasi di osservazione istologica sono:


1. Fissazione, effettuata e chimicamente e fisicamente, ha lo scopo di impedire fenomeni degenerativi
post mortem;
2. Disidratazione, per permettere l’inclusione;
3. Inclusione, ha il compito di preparare il campione facendogli raggiungere lo status ideale per il
sezionamento;
4. Sezionamento, ottenuto attraverso microtomo (MO) o ultramicrotomo (ME);
5. Montaggio;
6. Colorazione (MO), attraverso sostanze coloranti, o Contrastazione (ME), attraverso sostanze
elettronopache (Sali minerali pesati) che legandosi alle sostanze presenti in sezione originano
sostanze in bianco e nero caratterizzate da un’ampia scala di grigi, grazie al quale riusciamo a
distinguere, per esempio, gli organuli cellulari rilevabili da zone ellettrondense o
elettrontrasparenti.

L’istochimica e la citochimica sono, rispettivamente, metodiche che permettono di individuare


macromolecole presenti nei tessuti e nelle cellule tramite reagenti in grado di legarsi ad esse con
conseguente formazione di un prodotto colorato (visibile al MO) o elletronopaco (visibile al ME).

L’immunoistochimica e l’immunocitochimica si basano sulla specificità di reazioni fra antigene e anticorpo.


L’antigene, molecola che vogliamo individuare nella sezione, può essere localizzata attraverso metodi
diretti, ovvero l’introduzione di un solo anticorpo marcato con fluorocromo o specifici enzimi, o metodi
indiretti, cioè l’introduzione di due anticorpi, il primo diretto contro l’antigene ed il secondo – marcato –
contro il primo anticorpo.

Una tecnica microscopica ci permette di analizzare singole cellule che continuano a svolgere le loro funzioni
anche al di fuori del loro organismo. Tale tecnica è chiamata coltura in vitro.

MEMBRANA PLASMATICA o plasmalemma, è un sottile involucro che delimita tutte le cellule, separandole
dall’ambiente esterno. Ha uno spessore tra i 7-9 nm (pertanto si vede solo al microscopio elettronico). Ha
diverse funzioni:

- Mantenimento integrità strutturale della cellula;


- Controllo del flusso di sostanze che entrano ed escono dalla cellula (permeabilità selettiva);
- Regolazione dei rapporti cellula-cellula;
- Riconoscimento, mediante recettori, di antigeni, cellule estranee o alterate;
- Controllo di diverse attività cellulari

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Danielli e Davson ipotizzarono che la membrana plasmatica fosse costituita da due strati proteici continui
posti a contatto con le teste polari di un film lipidico bistratificato (modello a sandwich). In seguito, la
membrana non venne più vista come una struttura statica, ma come una discontinua, fluida e asimmetrica
secondo il modello a mosaico fluido di Singer e Nicholson. Discontinua, per la presenza di proteine integrali;
fluida per la presenza di colesterolo e acidi grassi insaturi; asimmetrica per la diversa distribuzione dei lipidi,
delle proteine e per la presenza di catene oligosaccaridiche solo sul versante extracellulare (esterno).

Le proteine della membrana si possono distinguere in:

- Proteine estrinseche, si legano con legami deboli ai gruppi polari dei lipidi (esterno della membrana)
e possono essere facilmente solubilizzate senza alterazioni della struttura della membrana.
- Proteine intrinseche, interagiscono fortemente con i lipidi per cui non possono essere rimosse senza
alterare profondamente la struttura della membrana.
- Proteine transmembrana, attraverso uno o più volte il doppio strato lipidico. Esiste anche una
seconda classe di proteine di membrana. Tali proteine vengono dette proteine ancorate alla
membrana mediante lipidi.
- Le lipidoproteine rivolte verso il citosol sono generalmente ancorate mediante catena acilica legata
a una glicina presente all'aminoacido terminale o da un'ancora prenilica legata ad una cisteina del
carbossiterminale. Le lipidoproteine della superficie extracellulare sono, invece, sempre legate ad
un'ancora di GPI (glicosilfosfatidilinositolo).

La membrana plasmatica è composta da un doppio strato fosfolipidico associato a proteine (integrali e


periferiche), costituendo quasi il 50% della massa della membrana stessa. Nel bilayer lipidico sono inserite
anche molecole di colesterolo (polare), che ha la funzione di conferire compattezza alla membrana. Gli acidi
grassi insaturi, invece, aumentano la fluidità della membrana. Alle molecole lipidiche e proteiche possono
essere associate catene oligosaccaridiche, a costituire il glicocalice. Sul versante extracellulare, sono presenti
le zattere lipidiche, formate da sfingolipidi e colesterolo, che si muovono sul bilayer lipidico. La funzione di
queste zattere è quella di convogliare la componente proteica in punti specifici.

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La membrana plasmatica regola i trasporti di ioni e molecole tra ambiente interno ed esterno della cellula
(permeabilità). Ha una permeabilità selettiva, permettendo il passaggio ad alcuni composti chimici ed
impedendolo ad altri.

Le modalità di trasporto attraverso la membrana sono:

- Nella diffusione semplice, regolata dall’equilibrio di concentrazione, passano molecole piccole,


idrofobiche e prive di carica, secondo gradiente di concentrazione e dunque non ha bisogno di
energia;
- Nella diffusione facilitata, il processo di trasporto utilizzato per tutte le altre molecole e ioni è
mediato da proteine di membrana. Può essere realizzato mediante trasportatori o proteine canale.
L’acqua può passare per osmosi, sia per diffusione semplice, sia facilitata, per la diffusione facilitata,
è mediata da specifiche proteine canale, dette acquaporine;
- Le proteine di membrana (trasportatori o proteine carrier), agiscono per: uniporto, quando la carrier
trasporta una specie molecolare secondo gradiente; simporto, sfrutta il gradiente di concentrazione
della prima molecola e ne viene trasportata una seconda, nello stesso senso; antiporto, sfruttando il
gradiente della prima molecola, ne viene trasportata una seconda in senso inverso. Il primo metodo
è un trasporto, gli altri due dei co-trasporti;
- Trasporto attivo, avviene contro gradiente di concentrazione, utilizza energia sotto forma di ATP,
prodotto dai mitocondri. Il trasporto del Na+ verso l’esterno e di K+ verso l’interno della cellula, è
l’esempio più tipico di trasporto attivo ed è legato all’esistenza di pompe ioniche (proteine di
membrana specifiche). Le principali pompe sono: pompe calcio, pompe protoniche, pompe Na/K.

Potenziale di membrana. Nelle cellule, la concentrazione di ioni potassio è circa venti volte più alta all’interno
della cellula rispetto all’ambiente extracellulare; in quantità minori, succede l’inverso per gli ioni sodio. Oltre
alle pompe ioniche, la membrana possiede anche canali che favoriscono il passaggio di sostanze ioniche
secondo gradiente. Tali canali possono essere chiusi o aperti, ma nel plasmalemma troveremo i canali K+
quasi sempre aperti e quelli Na++ spesso chiusi. Ciò costituisce il meccanismo di base su cui si edifica il
potenziale elettrico di membrana (o trans membrana) pari a circa -70 mV.

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I RIBOSOMI sono organuli citoplasmatici presenti sia nelle cellule eucariotiche che procariotiche e possono
trovarsi o adesi al reticolo endoplasmatico rugoso o liberi nel citoplasma. Essendo formati da acidi
ribonucleici, sono responsabili della basofilia del citoplasma, la loro grandezza varia tra i 15-20 nm. I ribosomi
dei procarioti hanno coefficiente di sedimentazione di 70 Svedberg, invece gli eucarioti di 80 S. I ribosomi di
70 S sono costituiti da due sub unità disuguali, una maggiore di 50 S e una minora di 30 S; i ribosomi da 80 S
sono costituiti da due sub unità disuguali, una maggiore da 60 S e una minore di 40 S. Inoltre, i ribosomi 80 S
posseggono 4 diversi tipi di RNA: uno 18 S nella sub unità di 40 S e tre rispettivamente di 28 S, 5.8 S e 5 S,
nella sub unità da 60 S. L’associazione tra le due sub unità, è mantenuta dalla presenza di Mg.

Entrambe le sub unità dei ribosomi, sono costituite da tRNA e da proteine, in proporzioni pressappoco uguali.
I ribosomi associati al RER sono presenti come ribosomi completi, mentre in forma libera nel citoplasma è
possibile trovare sia ribosomi completi, sia unità ribosomiali separate. Le due sub unità rimangono dissociate
nel citosol, fino a che non inizia la sintesi proteica. Agli rRNA si associano proteine diverse, quelle della sub
unità minore si indicano con S mentre quelle legate alla maggiore con L. Alcune proteine sono saldamente
legale all’RNA e costituiscono il nucleo centrale del ribosoma, altre (proteine split) sono più lassamente legate
ai nucleotidi e quindi si dissociano facilmente. L’assemblaggio delle proteine dell’rRNA, avviene nel nucleolo,
dove vengono trascritti gli rRNA e dove giungono le proteine tradotte nel citoplasma.

RETICOLO ENDOPLASMATICO, è un insieme di cisterne, sacchetti appiattiti e tubuli, rivestiti da membrane


di natura lipo-proteica (con spessore variabile tra i 5 e i 6 nm). E’ possibile dedurre la sua presenza con il
microscopio ottico, mentre è visibile con quello elettronico.

Il RER o ergastoplasma è costituito da cisterne e vescicole delimitate da membrane sulle quali sono adesi
numerosi ribosomi, in corrispondenza della sub unità maggiore. Il RER è maggiormente sviluppato nelle
cellule impegnate in una intensa sintesi proteica. Il RER sintetizza le proteine destinate ad essere trasportate
fuori dalla cellula, ma anche gli enzimi lisosomiali e le proteine intrinseche della membrana. Il maggiore
sviluppo di ergastoplasma si ha in alcuni epiteli ghiandolari (come ghiandola salivare e del pancreas esocrino),
oppure nelle plasmacellule del tessuto connettivo.

Le proteine destinate ad essere accumulate o utilizzate dalla cellula stessa, sono sintetizzate sui ribosomi
liberi e si accumulano nella faccia ialoplasmatica (lo ialoplasma è la parte non strutturata del citoplasma).

Lo smistamento delle proteine può avvenire secondo due vie:

- Via citoplasmatica: proteine che vengono sintetizzate su ribosomi liberi, ad esempio proteine del
citosol o destinate al nucleo, a mitocondri o perossisomi;
- Via secretoria: sintesi iniziata sui ribosomi liberi ma completata nel RER. La sintesi inizia sui ribosomi
liberi, in seguito, la catena polipeptidica si allunga sul ribosoma, ed espone al di fuori della sua sub
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unità maggiore, l’estremità aminoterminale. Questa contiene la sequenza segnale, con aminoacidi a
carica positiva, seguiti da un gruppo di residui idrofobici. La sequenza segnale, viene riconosciuta da
una speciale particella, costituita da proteine e da un particolare tipo di RNA, denominata particella
di riconoscimento del segnale, presente nel citoplasma. L’SRP si lega alla sequenza segnale e al
ribosoma e l’allungamento della catena polipeptidica, si interrompe. Il complesso SRP-ribosoma-
sequenza segnale, viene riconosciuto da un recettore per SRP, presente sulla membrana del reticolo
endoplasmatico in prossimità di un canale di trasporto (traslocone). La catena polipeptidica nascente
passa nel lume del canale di trasporto, delimitato da una proteina traslocatrice, formando un’ansa e
rivolgendo l’estremità aminoterminale verso il citosol. La sintesi riprende fino al suo completamento
e la proteina viene via via inserita nel lume del RER. La peptidasi del segnale taglia la sequenza
segnale. Terminata la sintesi, le due sub unità del ribosoma si dissociano dall’mRNA e la proteina
completa si libera nel lume del RER. Nel caso di sintesi di proteine transmembrana, la nuova catena
polipeptidica, sintetizzata sui ribosomi associati del RER, rimane inserita nello spesso della
membrana. Un segnale d’arresto, formato da una ventina di aminoacidi idrofobici, determina
l’arresto dello scorrimento della catena polipeptidica all’interno del traslocone. Il tratto finale della
proteina, viene sintetizzato nel citosol. La proteina viene infine rilasciata dal traslocone e diffonde
lateralmente restando inserita nel bilayer.

La glicosilazione delle proteine è una delle principali funzioni del RER, in quanto, la maggior parte delle
proteine neoformate, sono glicoproteine (ossia aminoacidi, dai quali spuntano a intervalli irregolari, catene
ramificate di oligosaccaridi). La glicosilazione consiste nel legare covalentemente un polipeptide ad un
oligosaccaride. Quest’ultimo, per la presenza di regioni idrofobiche, influenzerà il ripiegamento della catena
polipeptidica modificandone la struttura, generalmente quaternaria. Può avvenire con due modalità:

- N glicosilazione: la catena oligosaccaridica si lega ad un azoto dell’aminoacido asparagina della


catena polipeptidica; inizia nel RER e si completa nel Golgi. Nel lume del RER viene inizialmente legata
all’asparagina della proteina, una catena oligosaccaridica formata da 14 zuccheri uguali,
precedentemente sintetizzata su una molecola lipidica della membrana del RER, il dolicolo fosfato.
La sintesi della catena oligosaccaridica avviene per aggiunta successiva di zuccheri ad opera di
specifiche glicosiltransferasi. Le prime fasi della sintesi (7 zuccheri) avvengono nel citoplasma, poi
una filippasi ruota il dolicolo fosfato con la catena oligosaccaridica, verso il lume del RER dove
vengono aggiunti i restanti zuccheri e la catena viene poi trasferita sull’asparagina. La catena
oligosaccaridica viene successivamente modificata nel RER e poi nel Golgi, con il distacco di alcuni
zuccheri e aggiunta di altri. Terminata la traduzione, dal RER si staccano, per gemmazione, vescicole
di transizione, o intermedie, che contengono le proteine neosintetizzate aventi, più comunemente,
il gruppo aminico terminale NH3+ all’interno della cavità e il gruppo carbossilico COO- terminale
rivolto verso la matrice citoplasmatica.
- O glicosilazione: la catena oligosaccaridica si lega ad un ossigeno dell’aminoacido serina, treonina o
idrossiprolina della catena polipeptidica; si svolge completamente nel Golgi.

Il REL o reticolo endoplasmatico liscio, in microscopia ottica non è distinguibile dallo ialoplasma e appare
costituito da una serie di cisterne e vescicole lisce, sprovviste cioè di ribosomi. Un citoplasma ricco di reticolo
liscio tende all’acidofilia. La sua estensione varia a seconda del tipo cellulare. E’ particolarmente esteso nelle
cellule endocrine a secrezione steroidea, negli epatociti e negli adipociti. Nelle fibre muscolari il reticolo liscio
viene detto reticolo sarcoplasmatico.

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Il REL svolge varie funzioni:

- Nelle gonadi e nella ghiandola surrenale partecipa alla biosintesi degli ormoni steroidei. La biosintesi
degli ormoni steroidei, avviene attraverso una cooperazione tra le membrane del reticolo
endoplasmatico liscio e i mitocondri. La sintesi degli ormoni steroidei inizia sulle membrane del REL
con la produzione di colesterolo a partire dall’acetato. Il colesterolo viene successivamente
trasformato in pregnenolone ad opera di enzimi localizzati nella membrana interna dei mitocondri.
Le tappe successive avvengono, a seconda del tipo di ormone, sulle membrane del REL o su quelle
dei mitocondri. Infine, una volta formati, gli ormoni vengono dismessi mediante un processo di
diffusione attraverso il plasmalemma;
- Nel fegato partecipa ai processi di detossificazione di varie sostanze tossiche. Maggiormente
partecipi in questo tipo di attività, sono le cellule del fegato, data la particolare funzione dell’organo,
che riceve, tramite la vena porta, il sangue proveniente dallo stomaco e dall’intestino tenue e quindi
carico di sostanze assorbite. Dopo somministrazione di farmaci o sostanze tossiche, infatti,
l’estensione del REL nelle cellule epatiche aumenta;
- Svolge funzioni di metabolismo del glicogeno (glicogenosintesi e glicogenolisi);
- E’ un’importante deposito di ioni calcio, che vengono accumulati al suo interno. Nelle fibre
muscolari, infatti, svolge un ruolo centrale nella regolazione della concentrazione citoplasmatica di
ioni Ca++. In queste cellule, in assenza di stimoli, gli ioni Ca++ sono presenti in basse concentrazioni,
mentre, in seguito ad uno stimolo, la loro concentrazione aumenta repentinamente e porta alla
contrazione muscolare;

Il complesso di GOLGI, ha forma e volume variabile, nelle varie popolazioni cellulari. Ad esempio, il Golgi è di
volume considerevole nelle popolazioni cellulari organizzate in distretti ghiandolari esocrini ed in particolare
nel sistema nervoso, mentre, risulta più piccolo nelle cellule muscolari, dove l’attività secretoria è molto più
scarsa. Forma, struttura e funzione dell’apparato di Golgi, sono sotto il diretto controllo del nucleo. Si è visto
infatti, che asportando il nucleo all’ameba Proteus, l’apparato di Golgi è scomparso, in maniera graduale, nel
giro di 2 giorni. Tuttavia, trapiantando un nucleo proveniente da un’altra ameba, il Golgi ha riacquisito la
struttura e l’organizzazione iniziale.

E’ visibile al microscopio ottico solo con opportune colorazioni istochimiche (es. impregnazione cromo
argentiche) o immuno istochimiche. Al microscopio elettronico appare costituito da un numero variabile di
gruppi di 5-6 cisterne appiattite e incurvate, con i margini dilatati, impilate l’una sull’altra (pile golgiane).
Nelle pile golgiane si distinguono:

- Faccia CIS o prossimale: contigua al RER, da cui riceve le microvescicole, contenenti le proteine da
modificare, le quali si fondono tra loro a costituire una rete di vescicole interconnesse dette CIS Golgi
Network (CGN);
- Faccia TRANS o distale: (generalmente orientata verso la periferia cellulare), dalla TRANS Golgi
Network (TGN), si staccano vescicole di gemmazione che diventano lisosomi oppure vescicole di
secrezione che si fondono con la membrana plasmatica;
- Cisterne mediane, quelle interposte tra CIS e TRANS.

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Le cisterne golgiane dei 3 comparti, differiscono fra loro, sia strutturalmente che funzionalmente. Presentano
una differente composizione lipidica e proteica. La componente proteica è costituita da enzimi, soprattutto
da glicosidasi e glicotrasferasi, che modificano le proteine in direzione CIS-TRANS.

La gemmazione delle vescicole dal reticolo endoplasmatico è mediata da specifiche proteine di rivestimento,
le COP-II, Coat Proteins type II. Una volta che la vescicola si stacca dal RER, le COP-II ritornano al RER. Clatrina:
media la gemmazione di vescicole della secrezione regolata (tipica delle cellule ghiandolari) e che contengono
proteine lisosomiali; la sua azione può essere mediata da coatomeri, meno specializzati e pertanto presenti
in tutte le specie cellulari

Nell’area del Golgi, si riscontrano inoltre, altre due componenti: le vescicole transfer e i vacuoli di secrezione.
Le vescicole di trasporto presentano sulla membrana un recettore per il materiale da trasportare. A ciascun
recettore è associato, dal lato citosolico, una specifica proteina v-snare (vescicular-snare) che ne segnala il
compartimento di destinazione. Sul compartimento di destinazione è presente una proteina t-Snare che ha
il compito di legare le t-snare. Esse si presentano come vescicole staccate dal RER o in continuità col REL e
contribuiscono alla formazione della faccia cis del Golgi. I vacuoli di secrezione invece, si staccano dal lato
trans, per portarsi verso la periferia della cellula e, giunti in prossimità della membrana plasmatica, si fondono
con essa liberando all’esterno della cellula il loro contenuto.

I MITOCONDRI, sono organuli presenti nel citoplasma di tutte le cellule animali e vegetali, hanno un diametro
di 0,5-1 micron e lunghezza 1-6 micron e si colorano con reazioni specifiche per diversi enzimi contenuti
appunto nei mitocondri, quali citocromasidasi e deidrogenasi. Sono caratterizzati da forte dinamicità, infatti,
possono allungarsi, restringersi e rigonfiarsi. Ad esempio, reagiscono immediatamente ai cambiamenti di
pressione osmotica, rigonfiandosi in mezzo ipotonico e raggrinzendosi in mezzo ipertonico. I mitocondri
possono compiere due tipi di movimenti: movimenti passivi, causati dalle correnti citoplasmatiche;
movimenti propri, dovuti alle capacità contrattili dei mitocondri. Sono i primi a risentire lo stress ossidativo
della cellula, ma funzionano finché la cellula non va in apoptosi.

Inoltre, con la divisione mitotica, i mitocondri vengono distribuiti ugualmente tra le cellule figlie. Nelle prime
fasi della divisione, i movimenti dei mitocondri si riducono fino a cessare del tutto; quindi i mitocondri si
frammentano in grani ed in metafase presentano un aspetto sottile e pallido, per riapparire, in teleofase,
uniformemente distribuiti tra le cellule figlie.
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I mitocondri sono la centrale energetica della cellula. In essi, infatti, si ha l’immagazzinamento, sotto forma
di ATP, dell’energia liberata nel corso delle reazioni metaboliche che utilizzano come fonte energetica
carboidrati, lipidi e aminoacidi, energia che viene poi resa disponibile per le attività cellulari. Delle proteine,
alcune sono libere in soluzione e costituiscono i sistemi enzimatici, mentre altre sono proteine contrattili.
Quando invecchiano, i mitocondri vanno incontro ad autofagia e quindi digeriti nei lisosomi.

Al microscopio elettronico i mitocondri si presentano come cilindretti allungati, avvolti da due membrane:

- La membrana esterna presenta uno spessore di circa 6nm, presenta un’elevata permeabilità ed ha
un più alto contenuto lipidico (essenzialmente fosfolipidi) rispetto a quella interna;
- La camera esterna, varia tra i 10-20 nm, a seconda che nella cellula sia in atto il processo
ossidoriduttivo di fosforilazione ossidativa, ed in questo caso la camera si dilata permettendo al
mitocondrio di assumere la cosiddetta forma condensata, o che non sia in atto nessun processo
ossido riduttivo, in questo caso la camera si riduce ed il mitocondrio assume la forma ortodossa;
- La membrana interna, anch’essa di circa 6nm di spessore, si solleva formando delle pieghe, dette
creste mitocondriali, in genere disposte perpendicolarmente all’asse longitudinale del mitocondrio.
La composizione lipidica della membrana interna, invece, è altamente selettiva;
- La camera interna, invece, delimitata dalla membrana interna, contiene un materiale opaco e
granulare, detto matrice mitocondriale, che a sua volta contiene le 3 classi di RNA e gli enzimi DNA-
polimerasi, aminoacil-RNA-sintetasi e RNA-polimerasi.

I ribosomi mitocondriali, si presentano nella matrice sotto forma di granuli, hanno un coefficiente di
sedimentazione più basso di quello dei ribosomi citoplasmatici e sono più piccoli.

Le proteine destinate alla matrice posseggono una specifica sequenza segnale, nell’estremità
aminoterminale, riconosciuta e legata dalle chaperone, che mantiene le proteine non ripiegate. Il passaggio
attraverso la membrana mitocondriale esterna è mediata da specifici traslocatori (complessi proteici) detti
TOM (Traslocator of Outer Membrane); quello attraverso la membrana mitocondriale interna è mediato dai
recettori specifici detti TIM (Traslocator of Inner Membrane). Si è dimostrato sperimentalmente che il
passaggio di una proteina che attraversa ambedue le membrane per giungere, conseguentemente, alla
matrice avviene quando TOM e TIM sono allineati fra loro e quando in quel punto le due membrane sono
strettamente ravvicinate fra loro. La proteina viene poi trascinata tra i due traslocatori con consumo di ATP.
Non tutte le proteine contengono una sequenza segnale aminoterminale: in alcuni casi esistono segnali
interni alla proteina che sono riconosciuti da altri sistemi di traslocazione. Le proteine destinate alla

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membrana interna, giungono dapprima alla matrice e di qua trasferite alla membrana interna tramite uno
specifico complesso proteico (OXA).

I mitocondri posseggono un proprio genoma e un proprio apparato sintetico, comprendente i vari tipi di RNA
e ribosomi, ciò nonostante, non sono indipendenti dal nucleo. Il DNA mitocondriale (mtDNA), non è legato a
proteine e si presenta sotto forma di molecole circolari, localizzate nella matrice e agganciate alla membrana
delle creste. La presenza di sistemi genetici completi nei mitocondri, ha portato alla formazione di due ipotesi
contrastanti, riguardo la biogenesi e l’evoluzione di questi organelli:

- Secondo la teoria endosimbiotica, i mitocondri sarebbero derivati da batteri, provvisti di sistemi


enzimatici del metabolismo ossidativo entrati in simbiosi con cellule eucariotiche sprovviste di tali
sistemi enzimatici. La successiva evoluzione di questi batteri in mitocondri, sarebbe stata
caratterizzata dal trasferimento di gran parte dei loro geni, alla cellula ospite. A fare di questa ipotesi
vi sarebbe l’esistenza di varie somiglianze tra gli acidi nucleici dei mitocondri con quelli dei procarioti,
ad esempio la forma ad anello del DNA.
- Secondo un’altra ipotesi (autogena), il genoma mitocondriale sarebbe derivato dalla segregazione,
entro un’area delimitata da membrane, di parte del DNA nucleare adibito a codificare proteine
incapaci di attraversare le membrane mitocondriali.

La funzione principale dei mitocondri è quella di compiere le trasformazioni energetiche indispensabili per le
funzioni cellulari. L’intermedio comune tra le reazioni che liberano e quelle che richiedono energia è
rappresentato dall’ATP. L’ATP è un nucleotide formato da un pentoso (adenina), da 3 radicali fosforici e da
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una base azotata. L’ATP può cedere facilmente le calorie contenute nel suo terzo radicale fosforico,
trasformandosi in una molecola “scarica”, detta ADP. A sua volta, l’ADP, può essere trasformato in ATP, se
gli si fornisce energia. L’ATP è l’unica molecola energetica che può essere utilizzata da tutti gli apparati
cellulari e, una volta utilizzata, questa molecola viene resa al citoplasma sotto forma di ADP. I mitocondri,
rastrellano l’ADP e lo restituiscono al citoplasma sotto forma di ATP. Per fare questo, necessitano di energia,
che prelevano dalla demolizione di molecole carboniose (zuccheri, grassi, proteine...).

I mitocondri rappresentano la centrale della cellula. L’energia viene ricavata dall’ossidazione di zuccheri,
grassi e proteine. I processi ossidativi che avvengono nella cellula possono essere:

- Anaerobici, se l’agente ossidante è una molecola organica;


- Aerobici, se l’agente ossidante è rappresentato dall’O; avvengono a livello dei mitocondri e portano
alla formazione di CO2 e di H2O, quali prodotti finali.

Con la fotosintesi, gli organismi autotrofi utilizzano l’energia luminosa per sintetizzare molecole organiche.
Gli organismi eterotrofi assumono, invece, molecole organiche attraverso l’alimentazione. In entrambi i casi
queste molecole vengono modificate attraverso la glicolisi, fermentazione e respirazione cellulare. Questo
processo ossidativo avviene per tappe:

- Glicolisi anaerobica, nel citosol;


- Ciclo di Krebs, nei mitocondri;
- Fosforilazione ossidativa, nei mitocondri.

La prima fase dell’ossidazione del glucosio, consiste in un processo anaerobico, che si svolge nel citosol
(glicolisi anaerobica), che porta alla formazione di acido piruvico (3 atomi di C), a partire dal glucosio (6 atomi
di C), con liberazione di energia immagazzinata sotto forma di ATP. L’energia che si sviluppa durante la glicolisi
anaerobica è di 2 molecole di ATP, per ogni molecola di glucosio (guadagno netto). La necessità di una serie
di reazioni, deriva dal fatto che, liberare energia, poco alla volta, permette alle cellule di conservarne una
quantità maggiore; invece, se l’energia fosse liberata tutta insieme, una notevole quantità si trasformerebbe
in calore, danneggiando la cellula.

L’acido piruvico, in presenza di O, si trasforma in radicale acetato che, legandosi al coenzima A, forma l’acetil-
coenzima A (2 atomi di C). Questo composto, attraversa la membrana esterna ed interna dei mitocondri ed
entra nella matrice mitocondriale, ad innescare il ciclo di Krebs. L’importanza dell’acetil-coenzima A, sta nel
fatto che, l’acido acetico è anche uno dei prodotti della demolizione delle proteine e dei grassi, che pertanto
possono essere utilizzate come sorgenti di energia. Il ciclo inizia con l’unione dell’acetil-coenzima ad una
molecola di ossalacetato (4 C), portando alla formazione di acido citrico (6 C). La glicolisi aerobica coinvolge
3 classi di enzimi mitocondriali, che operano in sequenza:

- Enzimi ossidativi del ciclo di Krebs, nella matrice:


o L’acetil-CoA si lega all’ossalacetato per formare acido citrico, dando così il via al ciclo di
Krebs.
o Durante le numerose reazioni appartenenti a tale ciclo vengono liberati CO2 e atomi di
idrogeno (H) ad alto livello energetico.
o Gli idrogeni liberati si legano a particolari accettori – FAD, NAD e NADP – originando il
FADH2, NADH e NADPH.
- Enzimi della catena respiratoria (citocromi), nella membrana interna:
o Gli enzimi accettori di prima cedono ai citocromi i loro H neoacquisiti, che si scindono in e- +
H+.
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o I protoni si dirigono verso la camera esterna, gli elettroni vengono trasportati dagli enzimi
respiratori che attraverso alcune reazioni redox rilasciano energia.
o Al termine si forma anche acqua.
- Enzimi fosforilativi (ATP sintetasi), nella membrana interna:
o Catalizzano la sintesi dell’ATP a partire da ADP e gruppo fosfato inorganico.
o Dato che serve energia è sfruttato il flusso di ritorno degli H attraverso la membrana
interna dovuto al gradiente elettrochimico.
Alla fine dei processi avremo ottenuto 34 molecole di ATP per ogni molecola di glucosio.

Altre funzioni dei mitocondri:

- Sintesi di molte proteine mitocondriali;


- Sintesi di steroidi (in collaborazione col REL);
- Gluconeogenesi, cioè sintesi di glucosio a partire da precursori non saccaridici, quali aminoacidi;
- Serbatoio di ioni calcio;
- Nei mitocondri di alcune cellule, come quelle del grasso bruno degli animali, può avvenire il
disaccoppiamento tra la fosforilazione e l’ossidazione con conseguente produzione di calore.

LISOSOMI, sono vescicole contenenti enzimi litici, che intervengono nei diversi processi di digestione
cellulare. Sono organuli delimitati da una membrana che, di norma, non si lascia attraversare dagli enzimi
digestivi, impedendo così l’autolisi della cellula. Sono dimostrabili con metodi istochimici, soprattutto con la
reazione per la fosfatasi acida, uno degli enzimi più presenti nei lisosomi. Hanno un diametro da 0,2-1 micron,
quindi sono visibili sola al microscopio elettronico. Si possono distinguere in:

- Lisosomi primari, contenuti in numero variabile in ogni cellula, si presentano, al microscopio


elettronico, come corpi densi e tondeggianti, discretamente densi di elettroni e circondati da una
membrana, che impedisce ai vari enzimi lisosomiali di diffondersi all’esterno. Originano per
gemmazione dalla faccia trans del Golgi. Contengono un gran numero di enzimi, più di 40, tutti
appartenenti alla categoria delle idrolasi acide, fra i quali prevale la fosfatasi acida.
- Lisosomi secondari, o vacuoli digestivi, sono dei lisosomi primari impegnati nel fenomeno di
digestione cellulare, pertanto derivano dalla fusione di un lisosoma primario con: un vacuolo di
fagocitosi o di pinocitosi (eterofagia); con un organulo citoplasmatico, al fine di garantire la
sostituzione di regioni ormai “metabolicamente sfruttate” con altre neosintetizzate (autofagia);
oppure con un granulo di secreto (crinofagia), al fine di controllare il numero di vescicole di secreto
da esocitare o da mantenere. Se una parte del materiale non viene digerito, questo può essere
espulso oppure rimanere nella cellula, in tal caso, prende il nome di corpo residuo.

In alcune cellule, i corpi residui possono essere espulsi mediante un processo di esocitosi. In altri casi, i corpi
residui si accumulano generando ammassi pigmentati, detti lipofuscine. Gli enzimi lisosomiali esplicano la
loro attività, di norma, all’interno della cellula. Alcuni tipi cellulari hanno, tuttavia, la capacità di riversare
all’esterno gli enzimi lisosomiali, ad esempio: gli osteoclasti possono immettere all’esterno (cioè nella matrice
ossea), gran parte propri enzimi, in grado di aumentare il livello di calcio nel sangue; oppure, la blastula dei
mammiferi, che alla fine della prima settimana di sviluppo, si differenzia in cellule trofoblastiche, ricche di
lisosomi che verranno esocitati, determinando la formazione, nella parete uterina, di una nicchia di
annidamento per l’embrione.

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PEROSSISOMI, sono organuli sferoidali, delimitati da membrana, aventi dimensioni di 0,6-0,7 micron, con un
contenuto granulare composto da numerosi enzimi ed in particolare da uricasi e catalasi. I perossisomi si
originano staccandosi dal RER.

Gli enzimi catalizzano numerose attività metaboliche, quali: degradazione enzimatica di H2O2; sintesi del
colesterolo e acidi biliari; ossidazione di acidi grassi (con i mitocondri); metabolismo di composti azotati;
detossificazione di sostanze nocive; ossidazione dell’acido urico; bioluminescenza.

Spesso è presente all’interno dei perossisomi un nucleoide, struttura paracristallina costituita da uricasi,
enzima che catalizza l’ossidazione dell’acido urico, dando come prodotto terminale allantoina e acqua
ossigenata. L’allantoina viene trasformata in acido allantoico o in urea, secondo le specie animali ed espulsa
dall’organismo. Nell’uomo manca l’uricasi, perciò l’acido urico (che ha attività antiossidante) viene eliminato
come tale con le urine.

Le uricasi e le D-aminoacido-ossidasi, utilizzano l’ossigeno molecolare per rimuovere atomi di H da vari


substrati organici: RH2+O2  R+H2O2. L’acqua ossigenata che ne risulta, è un prodotto tossico per la cellula e
viene neutralizzato dagli stessi perossisomi con l’enzima catalasi, spesso ossidando con essa substrati come
l’acido formico, i fenoli, la formaldeide e l’alcool, secondo la reazione: R’H2+H2O2 -> R’+2H2O.

I perossisimi intervengono nella detossificazione: l’acool etilico, ad esempio, è ossidato ad acetaldeide dai
perossisimi degli epatociti; nella rimozione dei ROS (specie reattive all’O) potenzialmente implicati nella
cancerogenesi e nell’invecchiamento; inoltre, i perossisomi, catalizzano l’ossidazione di acidi grassi ad acetil-
coenzima A, successivamente avviato ai mitocondri nel ciclo di Krebs.

Glicogeno, lipidi, pigmenti e cristalli, sono le inclusione più comuni, sono componenti non vitali della cellula,
non avvolti da membrana. Le particelle sub microscopiche di glicogeno possono essere isolate l’una dall’altra
e sono dette particelle beta. I lipidi con funzione di riserva sono gliceridi. Vengono immagazzinati soprattutto
negli adipociti e negli epatociti. Per preservare i lipidi è necessario l’uso del criostato, o altri metodi particolari
e di specifiche colorazioni. I pigmenti più comuni nelle cellule sono: emogliobina, melanina, lipofuscina (in
cellule nervose).

CITOSCHELETRO. Nello ialoplasma di tutte le cellule è immersa una trama fibrillare che prende il nome di
citoscheletro. Al MO è talvolta visibile come una sottile trama, mentre al ME appare distinto in 3 diversi
componenti di natura proteica: microtubuli, microfilamenti e filamenti intermedi.

I microtubuli, sono presenti, oltre che nel sistema citoscheletrico, anche a livello di specializzazioni
citoplasmatiche, quali ciglia e flagelli ed inoltre sono parte integrante del centriolo e dell’apparato mitotico.
I microtubuli sono strutture cave cilindriche (diametro 25nm), parete spessa 5-7 nm e lunghezza variabile. La
parete è formata da 13 protofilamenti, ciascuno costituito da polimeri di eterodimeri di tubulina alfa e beta
(presenti sempre a coppie, eterodimeri cioè alfa-beta), con un andamento a spirale. Ciascuna molecola di
tubulina è costituita da una sub unita alfa ed una beta, disposte in modo ordinato, pertanto i microtubuli
sono polarizzati. Di conseguenza, essi hanno un’estremità alfa plus (+) ed una beta minus (-).

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La plus end rappresenta il terminale dove avviene l’addizione o il rilascio di tubulina. In vitro, l’assemblaggio
del microtubulo parte da dimeri di tubulina alfa e beta che si associano a formare anelli o spirali. Anelli e
spirali si aprono formando i protofilamenti che si associano a formare una lamina (parete del microtubulo).
La lamina si arrotola su se stessa a formare un nucleo di polimerizzazione, un corto tubulo che si allunga nelle
due direzioni per aggiunta di dimeri di tubulina.

In vivo, alla struttura microtubulare formata da tubulina si associano proteine ancillari del microtubulo
(MAP), in grado di favorire la polimerizzazione e l’autoassemblaggio delle tubuline, durante la formazione dei
microtubuli. Analisi condotte con anticorpi anti MAP fluorescenti, hanno dimostrato che queste proteine si
trovano, in genere, intorno alla parete dei microtubuli, disposte radialmente in maniera piuttosto regolare,
formando una sorta di manicotto. Alcuni fattori fisici, come ad esempio l’abbassamento della temperatura,
invece, favoriscono la depolimerizzazione; inoltre, ogni dimero ha un sito di legame specifico per la colchicina
(alcaloide) ed un altro per la vinblastina, farmaci che bloccano la polimerizzazione delle sub unità tubuliniche.

All’interno delle cellule, sono identificabili due categorie di microtubuli:

- Labili. Si formano e si disfano in continuazione e sono pertanto considerate strutture transitorie. Un


esempio di questi microtubuli, è dato dalle fibre del fuso mitotico, che si organizzano e si disfano
secondo modalità precise. E’ possibile accelerare la loro scomparsa, raffreddando la cellula o
sottoponendola a colchicina (azioni che favoriscono la depolimerizzazione). Trattando in tal modo la
cellula, si può arrestare il processo di divisione cellulare;
- Stabili. Costituiscono lo scheletro portante di alcune strutture quali ciglia e flagelli e sono più
resistenti all’azione della colchicina e dell’ipotermia.

Le funzioni dei microtubuli:

- Acquisizione e mantenimento della forma cellulare. Le varie popolazioni cellulari, si trasformano


progressivamente passando da una forma inizialmente globosa ad una forma cubica e
successivamente piramidale, pertanto, durante la morfogenesi, grazie all’azione dei microtubuli, le
cellule vanno lentamente acquistando la loro forma definitiva. In particolare è stato dimostrato,
come i microtubuli possano sequestrare ad un polo della cellula, gran parte del citoplasma,
assicurandone in questo modo, l’allungamento, come nel caso del sistema nervoso centrale, nel
quale, l’allungamento cellulare è regolato dai microtubuli. Questa azione dei microtubuli, prevede
una “strategia di sviluppo”, che si basa sulla sintesi massiva, di monomeri di tubulina, che vengono
successivamente ordinati e montati. Un esempio, si ha con gli anfibi, dove alcune fasi di sviluppo del
sistema nervoso sono indipendenti alla colchicina, in quanto c’è una sintesi continua di tubulina; in
altre fasi, invece, un trattamento con colchicina, può indurre all’arresto definitivo dello sviluppo.
- Ruolo dei microtubuli nella secrezione. In un numerose cellule, il cui prodotto di secrezione è
normalmente contenuto all’interno di vescicole, i microtubuli svolgono una funzione fondamentale
nel controllo dell’emissione del contenuto all’esterno. Ad esempio, si è potuto verificare come la
colchicina, sia in grado di arrestare l’escrezione di insulina in cellule beta del pancreas oppure come
i microtubuli possano controllare il rilascio di istamina da parte dei mastociti.
- I microtubuli formano piste dinamiche per il traffico direzionale di vescicole e organuli legati a
proteine motrici dei microtubuli che li trasportano lungo le due estremità del microtubulo. Quindi
flusso retrogrado e antiretrogrado. In generale le proteine motrici hanno elevato peso molecolare,
struttura quaternaria e sono formate da più polipeptidi. Tali proteine motrici sono la dineina, che,
tramite l’associazione con dinactina, media il trasporto di vescicole e organuli verso l’estremità

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minus-end (negativa); mentre 3 molecole di chinesina, mediano il trasporto di vescicole ed organuli


verso l’estremità plus-end (positiva).

I flagelli, sono strutturalmente simili alle ciglia, avendo un assonema con disposizione 9+2, si differenziano
solamente per la loro lunghezza maggiore e per la loro capacità di movimenti oscillatori su ogni piano, a
differenza delle ciglia che si muovono su un unico piano.

Le ciglia, più corte e numerose dei flagelli, hanno una lunghezza di 5-10 micron e presentano una porzione
libera, che sporge dalla cellula, e una infissa. La porzione libera è sorretta da una struttura microtubulare,
che prende il nome di assonema.

L’assonema è formato da microtubuli disposti in un’organizzazione 9+2, con 9 coppie di microtubuli che
circondano 2 microtubuli centrali. In ogni coppia ci sono tubulina A (completo) e tubulina B (incompleto).
Quella A, ha 13 protofilamenti, quella B ne ha 10. In una coppia quella A, mette in comune 3 filamenti col B
ed entrambi diventano completi. Sul microtubulo A, sporgono le braccia di dineina (costituite da complessi
enzimatici) che si protendono verso quelli B, raggiungendoli solo quando il ciglio è in movimento. I
microtubuli A sono connessi tra di loro mediante la nexina e sono connessi alla coppia centrale mediante un
ponte.

La porzione infissa, comprende: la zona di transizione (piastra basale), il corpuscolo basale e il complesso
delle radici ciliari.

- Piastra basale. A livello della piastra basale, i due microtubuli ciliari si interrompono, mentre le coppie
dei microtubuli periferici si continuano con i microtubuli A e B del corpo basale. I microtubuli C del
corpo basale, non continuano con l’assonema, ma prendono contatto con le proteine della
membrana.
- Corpuscolo basale. Il corpo basale, è un cilindretto cavo, la cui parete è costituita da nove triplette di
microtubuli. Le sue dimensioni variano, ma sono all’incirca di 0.2 micron di diametro e 0.3-0.5 micron
di lunghezza.
- Radici ciliari. Le radichette cigliari sono sottili fibre formate da proteine contrattili che emergono dal
corpuscolo basale e terminano in prossimità del nucleo.

Motilità ciliare: Il battito ciliare dipende dai bracci di dineina, i quali si attaccano al microtubulo B della coppia
adiacente, idrolizzando ATP. La nexina impedisce lo scorrimento reciproco delle coppie. Nei doppietti isolati
di microtubuli, la dineina produce scivolamento dei microtubuli; nel flagello normale, la dineina causa una
curvatura dei microtubuli. Le ciglia hanno movimento coordinato, dalle radici ciliari. Essendo le coppie di
microtubuli bloccate dalla nexina, il movimento di scorrimento si traduce in piegamento laterale, ovvero in

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battito ciliare. Cessato l’impulso, il ciglio ritorna passivamente nella posizione iniziale. Il movimento delle
ciglia è coordinato dalle proteine motrici delle radichette ciliari.

Il centriolo, è un cilindretto cavo la cui parete è costituita da 9 triplette di microtubuli. Ciascuna tripletta è
formata da un microtubulo completo (A) e da due microtubuli incompleti (B e C). Una coppia di centrioli
costituisce un diplosoma. Nelle cellule eucariotiche sono presenti dei centrioli, strutturalmente uguali ai corpi
basali, che svolgono la funzione di organizzare i microtubuli del fuso mitotico. Quest’ultimo consente la
ripartizione dei cromosomi nel corso della divisione cellulare.

I microfilamenti, o filamenti sottili, sono costituiti da due catene di sub unità globulari di G-actina che si
avvolgono a doppia elica (si polimerizza) e formano filamenti di F-actina dello spessore di 7nm. Incubando un
filamento di F-actina con mero-miosina pesante, un frammento della molecola di miosina (proteina
contrattile), quest’ultima si lega al filamento di actina con un angolo di 45o, formando aggregati a “punta di
freccia”. Gli aggregati a punta di freccia, permettono di distinguere nel filamento una pointed end (estremità
verso la quale sono rivolte le punte di frecce, minus) ed una barbed end (estremità opposta, plus).
L’assemblaggio delle sub unità è più rapido alla barbed end, il disassemblaggio, il contrario. La locomozione
cellulare, i cambiamenti di forma, l’organizzazione citoplasmatica, e tutti gli altri eventi cellulari actino-
dipendenti sono sostenute dalla F-actina coadiuvata da proteine ancillari. Proteine ancillari:

- Proteine che promuovono l’iniziazione e la polimerizzazione dei filamenti (formina Arp2/3);


- Proteine che sequestrano i monomeri di G-actina, ostacolando la formazione dei polimeri (timosine);
- Proteine di incappucciamento che bloccano l’aggiunta di nuovi monomeri (CapZ, estremità barbed,
tropomodulina, estremità pointed);
- Proteine che promuovono la polimerizzazione dei monomeri (profilina);
- Proteine che depolimerizzano i filamenti di actina (cofiline);
- Proteine che favoriscono la formazione di reti tridimensionali (filamina);
- Proteine che favoriscono la formazione di fasci compatti e paralleli (villina);
- Proteine che tagliano i filamenti (gelsolina);
- Proteine che collegano i microfilamenti di actina alle proteine di membrana (Spectrina e Distrofina);
- Proteine motore del sistema acto-miosinico (Miosina).

Nelle fibre muscolari i filamenti di actina si associano a quelli di miosina, originando in fenomeno detto
contrazione. I microfilamenti che costituiscono l’asse dei microvilli entrano in rapporto con una rete
intrecciata di microfilamenti (trama terminale), al di sotto della membrana plasmatica. I microvilli
(estroflessione citoplasmatiche), aumentano la superficie di assorbimento delle sostanze nutritive (presenti
nell’intestino e tubuli renali). I filamenti intermedi e le proteine ad essi associate, contribuiscono alla
formazione e al mantenimento dell’impalcatura tridimensionale della cellula. Hanno lunghezza variabile e
spessore di 10-12 nm.

I filamenti intermedi e le proteine ad essi associate contribuiscono alla formazione e al mantenimento


dell’impalcatura tridimensionale della cellula. Hanno lunghezza variabile e spessore di 10-12 nm. Le
proteine che costituiscono i filamenti intermedi sono:

- Cheratine (cellule epiteliali);


- Desmina (cellulemuscolari);
- Vimentina (cellule connettiviali);
- Acido fibrillare gliare (cellule della glia);
- Neurofilamenti (cellule nervose);
- Lamine nucleari (lamina fibrosa del nucleo).

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Movimenti intercellulari. In molti tipi cellulari, esaminati in vivo, e con particolari microscopi, si osservano
continue correnti citoplasmatiche trascinano mitocondri, cloroplasti, granuli ed altri organuli cellulari
(ciclosi). Un caso particolare di un movimento intracellulare è rappresentato dal flusso assonico che si verifica
lungo il prolungamento neuritico (assone) delle cellule nervose. Ai movimenti cellulari appartengono anche
gli spostamenti dei cromosomi, dei centrioli e degli altri organuli cellulari durante a mitosi.

Il movimento ameboide, presente in molti protozoi, in cellule del sangue e del connettivo è basato sulle
trasformazioni sol/gel del citoplasma (modificazione della consistenza del citoplasma che diventa più fluido
o gelificato) e sulla contrazione del citoplasma corticale. Di entrambi questi fenomeni sono responsabili i
microfimenti. Il movimento avviane mediante l’emissione di pesudopodi.

L’ingresso nella cellula di macromolecole o di microrganismi (endocitosi), così come la secrezione di grosse
molecole (esocitosi), o la gemmazione di piccole parti di citoplasma, richiedono l’azione combinata della
membrana plasmatica e della porzione superficiale del citoscheletro. L’endocitosi consiste
nell’internalizzazione di molecole, microrganismi o cellule da eliminare, situate nello spazio extracellulare,
mediante formazione di vescicole derivanti da invaginazioni della membrana plasmatica. L’esocitosi consiste,
invece, nel riversamento nello spazio extracellulare di molecole presenti all’interno della cellula e contenute
in vescicole derivanti dalle membrane delle cisterne del complesso del Golgi. Le vescicole si formano grazie
all’intervento di proteine di rivestimento appartenenti a 3 famiglie:

- Clatrina; vescicole trans Golgi-lisosomi, endocitosi;


- Cop II, vescicole RER-Golgi;
- Cop I, vescicole Golgi-RER, trans cis Golgi.

Si distinguono due tipi di endocitosi: fagocitosi (alla base dei processi di alimentazione negli organismi
unicellulari) e endocitosi propriamente detta, che si divide in pinocitosi o endocitosi mediata da recettori
(clatrina, caveolina, clatrina e caveolina indipendente). E’ probabile che per la fagocitosi mediata da recettori
sia necessario il riconoscimento del materiali da fagocitare da parte di recettori di membrana, il
riconoscimento può essere diretto o indiretto. Nel riconoscimento indiretto, i recettori di membrana del
fagocito riconoscono gli anticorpi legati agli antigeni da eliminare. Nel riconoscimento diretto, i recettori di
membrana del fagocito, riconoscono particolari oligosaccaridi, presenti sulla superficie di batteri da
fagocitare.

La clatrina ha una struttura simile a una svastica a 3 braci, detta triscele. I trisceli si assemblano a formare il
rivestimento di clatrina intorno alle fossette rivestite, poi intorno alle vescicole rivestite. L’intervento di
un’altra proteina specifica, la dinamina, provoca lo strozzamento della vescicola e il suo distacca della
membrana. In seguito all’acidificazione si ha disaccoppiamento dei ligandi dai recettori, che vengono riportati
alla membrana.

Il NUCLEO è il più voluminoso degli organuli cellulari. E’ presente in tutte le cellule eucariotiche, sia animali
che vegetali. La forma del nucleo è generalmente correlata a quella della cellula. Il nucleo, regola e gestisce
diverse attività cellulari ed inoltre ha la funzione di trasmettere l’informazione ereditaria. Il contenuto del
nucleo è rappresentato soprattutto dalla cromatina, costituita da DNA, RNA e proteine. Spesso è evidente un
nucleolo (elettrondenso). Le aree del nucleo non occupate dalla cromatina e dal nucleolo contengono la
matrice nucleare, o nucleoplasma.

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A seconda della sua attività trascrizionale e del suo grado di condensazione (spiralizzazione), possiamo
distinguere:
 Eucromatina, forma dispersa (despiralizzata), scarsamente cromofila poco colorata al M.O. e chiara
al M.E., geneticamente attiva;
 Eterocromatina, è la forma condensata (spiralizzata, compattata), intensamente cromofila
all’osservazione col M.O ed elettrondensa (scura) al M.E., geneticamente inerte (contiene DNA che
non trascrive). L’eterocromatina può presentarsi sotto forma di filamenti spiralizzati a costituire
piccoli granuli (cromomeri) o grosse zolle (cromocentri)

L’eterocromatina può essere:


- Costitutiva, sempre inerte, contenente il DNA altamente ripetitivo (contiene migliaia di copie di una
stessa sequenza nucleotidica). E’ presente nella stessa quantità in tutti i tipi cellulari e in tutte le
cellule di organismi di diverso sesso.
- Facoltativa, in quantità variabile da cellula a cellula, ma anche in una stessa cellula. È in grado di
trasformarsi in eucromatina a seconda delle esigenze. Un esempio di eterocromatina facoltativa è
uno dei due cromosomi X, presente nelle cellule femminili dei mammiferi, durante la formazione del
corpo di Barr (spiralizzazione e addensamento di uno dei due cromosomi X, che viene
conseguentemente inattivato, salvo casi rari).

Il nucleolo è visibile solo nel nucleo interfasico e scompare durante la


divisione cellulare insieme alla membrana nucleare. Esso è
particolarmente sviluppato nelle cellule che svolgono una intensa attività
metabolica. In genere, nei nuclei sono presenti 1 o 2 nucleoli.

Nel nucleolo si distinguono tre componenti:


 Una parte filamentosa (pars fibrillaris), costituita da un filamento di
cromatina che attraversa il nucleolo per continuarsi con la eterocromatina
nucleolo- associata, che è un esempio di eterocromatina costitutiva;
 Una parte granulare (pars granularis);
 Una parte amorfa, di natura proteica.

Il filamento di cromatina che attraversa il nucleolo è costituito da tratti lisci


di DNA e tratti muniti di fibrille laterali disposte a rami d’abete. I tratti lisci
sono costituiti da DNA mediamente ripetitivo e non funzionale, mentre
quelli muniti di fibrille contengono DNA mediamente ripetitivo e
funzionale e corrispondono ai geni che trascrivono rRNA.
Le fibrille laterali sono costituite da RNA ribosomiale e proteine e rappresentano i precursori della parte
granulare. La parte granulare è costituita da RNA ribosomiale e da proteine e contiene i precursori delle
subunità dei ribosomi citoplasmatici.

Il nucleo è delimitato da un involucro nucleare formato da due membrane unitarie parallele che in alcune
zone si fondono tra loro a formare i pori nucleari. Le due membrane sono separate da uno spazio o cisterna
perinucleare. Le proteine integrali della membrana esterna ed interna permettono il legame con strutture
citoscheletriche o nucleoscheletriche; la membrana nucleare interna, spessa 6 nm, è a contatto con la lamina

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fibrosa nucleare, costituita da filamenti intermedi. La lamina fibrosa è essenziale per l’integrità dell’involucro;
la lamina nucleare è costituita da 3 proteine, le lamine A, B, C.
Il nucleoscheletro è costituito da una rete fibrillare, costituita ancora da lamine e da altre proteine quali le
LAP (lamina-associated protein) e le ARP (actin-related protein). La rete fibrillare fornisce supporto alla
cromatina e collabora anche nella duplicazione del DNA e trascrizione.

La membrana nucleare esterna è spessa 6 nm, è a


contatto con il citoplasma e si continua con il RER. La
faccia citoplasmatica della membrana è associata a
ribosomi ed è circondata da una trama di filamenti
intermedi di Vimentina.
I pori nucleari si formano in tratti nei quali le due
membrane nucleari si fondono tra loro. La funzione
del poro è quella di permettere i passaggi di
molecole tra nucleo e citoplasma (e viceversa). Il
poro nucleare ha un diametro di 9-11 nm (ioni e
piccole molecole). Il processo di trasporto è mediato
da recettori (molecole superiori a 11nm): il traffico
bidirezionale è mediato da proteine, le esportine e le
importine.

Il complesso del poro è formato dal poro nucleare e


dalle glicoproteine ad esso associate.
Il complesso del poro ha un diametro di 80-100 nm
ed è costituito da tre apparati proteici simili ad anelli,
a simmetria ottagonale, l’uno sull’altro e collegati fra
loro.
Dall’anello citoplasmatico si dipartono 8 filamenti
citoplasmatici, mentre da quello nucleare si diparte
un canestro nucleare, costituito da 8 filamenti che si
collegano ad un anello terminale. Dall’anello
terminale si dipartono 8 filamenti che sporgono
all’interno del nucleo.

La cromatina è un complesso costituito da DNA, RNA e da proteine. Il DNA della cromatina si può suddividere
in geni, cioè tratti di DNA in grado di trascrivere molecole di RNA (messaggero, ribosomale e transfer).

I geni che trascrivono un RNA o che codificano per le proteine, sono detti geni strutturali; i geni che codificano
per proteine la cui funzione è di regolare l’espressione di altri geni sono detti geni regolatori; l’insieme dei
geni di un organismo costituisce il genoma.
I geni degli eucarioti sono discontinui, costituiti da sequenze complementari all’RNA messagero, dette esoni,
intervallate da sequenze che non si trovano nel messaggero, dette introni.

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All’estremità iniziale del gene si trova il promotore, contenente i siti di riconoscimento per l’RNApolimerasi.
Segue il primo esone, il cui trinucleotide iniziale si chiama sito d’inizio.
Segue una serie alternata di esoni e introni, fino all’ultimo esone che contiene il sito di termine della
trascrizione. Il trascritto primario è molto più lungo del messaggero e deve essere sottoposto a una fase di
rielaborazione, detta processing.

Il DNA può essere:


 DNA a sequenza unica: contiene geni strutturali ed è presente in unica copia nelle cellule aploidi
(cellule germinali) e doppia copia nelle cellule diploidi (somatiche).
 DNA mediamente ripetitivo: geni per rRNA, tRNA, istoni, sequenze regolative, ecc. sono presenti in
alcune centinaia di copie e separati da spaziatori (sequenze non trascriventi). Questo causa il
fenomeno della ridondanza genica. In particolare, appartenenti a questa categoria, i geni regolatori
servono per il controllo della trascrizione (geni intensificatori, geni silenziatori).
 DNA altamente ripetitivo: contiene migliaia di copie di una stessa sequenza nucleotidica. E’ una
frazione di incerto significato funzionale ed entra nella struttura della eterocromatina costitutiva;
sono dette sequenze satellite.

Le proteine istoniche sono basiche, a basso peso molecolare e si legano al DNA.


Si possono suddividere in cinque classi, aventi funzioni di compattamento e di regolazione del DNA. Esse
sono: H1, H2A, H2B, H3 e H4.
Le proteine non istoniche costituiscono una classe eterogenea che comprende enzimi per la sintesi del DNA
e dell’RNA e proteine regolative per l’attività dei geni.

La cromatina è formata da lunghi filamenti a forma di rosario (filamenti nucleosomici) più o meno compattati
e spiralizzati.
I nucleosomi sono costituiti da ottameri formati da quattro classi di istoni (escluso H1); intorno ai cilindretti
si avvolge (1 giro e 3/4) un tratto di DNA formato da 140 coppie di nucleotidi. Tratti di DNA (DNA linker) privo
di istoni collegano fra loro i nucleosomi e gli istoni H1, legandosi ai tratti di DNA linker hanno il compito di
compattare il filamento nucleosomiale.

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In base alla posizione della costrizione primaria, i cromosomi si distinguono in:


1. Cromosomi acrocentrici o telocentrici
2. Cromosomi submetacentrici
3. Cromosomi metacentrici

Alcuni cromosomi possono presentare una costrizione secondaria, a livello della quale non si ha ripiegamento
dei bracci. A livello delle costrizioni secondarie è localizzato il DNA dell’organizzatore nucleolare (pars
fibrillaris del nucleolo). E’ stato ipotizzato che il cromosoma potrebbe essere costituito, oltre che da un
filamento di cromatina, anche da uno scheletro o impalcatura centrale o scaffold, di natura proteica.
Lo studio della morfologia dei cromosomi si effettua bloccando la divisione cellulare, mediante
somministrazione di colchicina. In questa fase i cromosomi appaiono costituiti da due cromatidi.

I cromosomi si rendono evidenti come entità individuali solo durante la divisione cellulare.
Durante l’interfase i cromosomi sono presenti sotto forma di cromatina, in parte despiralizzata (eucromatina)
in parte spiralizzata (eterocromatina). Durante la divisione cellulare la cromatina si presenta spiralizzata al
massimo, a formare i cromosomi, e contiene DNA geneticamente inerte.

Ogni specie possiede un corredo cromosomico caratteristico per numero e morfologia dei cromosomi
(cariotipo).
Nelle cellule somatiche il corredo cromosomico è diploide (2n). Il cariotipo è, cioè, costituito da coppie di
cromosomi identici, per forma, dimensioni e tipo di geni (cromosomi omologhi).
Nelle cellule germinali il corredo cromosomico è aploide (n), cioè costituito da un solo elemento di ciascuna
coppia di omologhi.
Nel cariotipo umano il corredo cromosomico diploide (2n) è pari a 46. Negli organismi in cui il sesso è
determinato geneticamente (es. mammiferi) le cellule dei due sessi presentano cariotipi che differiscono per
la morfologia di una coppia di cromosomi (cromosomi sessuali). Gli altri cromosomi, uguali nei due sessi, sono
detti autosomi.
Nei mammiferi, le femmine hanno cellule somatiche con cariotipi che presentano due cromosomi sessuali
uguali, detti XX.
Nelle cellule somatiche dei maschi è presente un cromosoma X e un piccolo cromosoma Y.

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Le cellule uovo dei mammiferi (gameti femminili, con corredo cromosomico n) hanno un cromosoma
sessuale che è sempre X.
Gli spermatozoi (gameti maschili) sono di due tipi, in quanto contengono o il cromosoma sessuale X o quello
Y.
Nelle femmine, uno solo dei due cromosomi x è attivo; l’altro, inattivo, è formato da eterocromatina
facoltativa e costituisce il corpo di Barr.

NB: Nella divisione cellulare ciò che si duplica è la quantità di DNA (c), e non il numero di cromosomi (n).
Poiché negli uomini n=23. Le cellule somatiche, ovvero diploidi, hanno 2n (2x23) cromosomi e 2c quantità di
DNA; nelle cellule sessuali, aploidi, il numero di cromosomi è n e la quantità di DNA è c.
Durante la fase di divisione: cellule diploidi  2n e 4c e cellule aploidi  n e 2c
Dopo la fase di divisione: cellule diploidi  2n e 2c e cellule aploidi  n e c

CICLO CELLULARE

Nella vita della maggior parte delle cellule si succedono due fasi principali: interfase e mitosi. La successione
di queste due fasi costituisce il ciclo cellulare. L’interfase o intercinesi, comprende 3 momenti:

- Interfase G1. Fase della vita cellulare, il periodo più lungo in cui si trova la cellula, in questa fase, la
cellula sintetizza proteine, si accresce e la cromatina non appare organizzata in filamenti ma si
despiralizza. E’ presente una sola copia di ogni filamento cromatinico e la quantità di DNA 2c;
- Fase S. C’è la sintesi del DNA, cioè quei filamenti cromatidici iniziano a formare copie di loro stesso
con il meccanismo semiconservativo, alla fine del processo quindi i filamenti sono raddoppiati e la
quantità di DNA è 4c. In questo modo si garantisce alla cellula figlia una quantità di DNA pari a 2c.
Inoltre c’è la sintesi degli istoni;
- Interfase G2. Non c’è più sintesi di DNA, è una fase di costruzione dei materiali che saranno divisi alle
cellule figlie (membrana etc…), inoltre si ha la sintesi del fuso mitotico. Si ha la riparazione di eventuali
errori di duplicazione del DNA. Anche qui abbiamo due copie di filamento cromatidico e la quantità
di DNA è sempre 4c.

Ci sono cellule, chiamate ciclanti, che terminato un ciclo con la mitosi, ne iniziano subito un altro. Cellule non
ciclanti, dopo la mitosi, entrano in una fase G0 e svolgono le normali attività senza dividersi più. Bizzozzero
ha proposto una classificazione delle cellule:

- Cellule labili: ciclanti (es. epidermide, sangue);


- Cellule stabili: mitosi solo se necessaria (derma, epatociti);
- Cellule perenni: mai in mitosi, non ciclanti (neuroni).

MITOSI: divisione cellulare indiretta che produce due cellule figlie geneticamente identiche alla cellula
madre. Nel mondo animale, avviene nelle cellule somatiche, permettendo a quest’ultime di mantenere
inalterate le loro caratteristiche biochimiche e funzionali. Avviene in 5 fasi:

- Profase. La cromatina si spiralizza gradualmente formando i cromosomi. Il cromosoma presenta una


zona più ristretta, corrispondente al centromero, che lo divide in due bracci detti cromatidi. Il
centromero è composto da DNA altamente ripetuto. Ad esso è associata una struttura proteica
chiamata cinetocore, che interagisce con i microtubuli del fuso mitotico e permette la segregazione

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dei cromatidi fratelli nelle due cellule figlie durante la mitosi. L’involucro nucleare, che è in continuità
col RER, viene assorbito dallo stesso. Avviene la scomparsa del nucleolo (pars fibrillaris = NOR; pars
granularis = ribosomi). Si ha la formazione del fuso mitotico: alle due estremità del fuso abbiamo due
coppie di centrioli, uno perpendicolare all’altro. Intorno ai centrioli ci sono dei microtubuli a dare
l’aspetto di una stella (aster), infatti i microtubuli sono detti fibre astrali. Le fibre cromosomiche sono
dei microtubuli che si estendono lungo il fuso e si vanno ad inserire nei cromosomi, presenti al centro.
Le fibre mantellari, sono microtubuli che si estendono a congiungere i due aster. Questo aspetto è
detto piastra metafasica.

Cellula in metafase nella quale è visibile il fuso mitotico.

- Metafase. I cromosomi dicromatidici che prima erano sparsi nella cellula, si allineano lungo
l’equatore della cellula. E’ la fase in cui c’è il massimo compattamento della cromatina ed è il
momento in cui i cromosomi si vedono meglio. Infatti, inibendo il fuso con colchicina, detta anche
“veleno del fuso” (perché impedisce che si vada avanti con la metafase, la cellula muore e rimane in
metafase), si può studiare il numero e la struttura dei cromosomi.

- Anafase. Le fibre del fuso tirano i cromatidi fratelli verso poli opposti e pertanto questi si separano.

- Teleofase. I cromosomi, despiralizzati, sono separati e si trovano ai poli opposti della cellula, ciascuno
circondato da un involucro nucleare. Quasi contemporaneamente comincia la divisione della
membrana cellulare. Sotto la membrana c’è un anello formato da actina e miosina, proteine
contrattili, che avvicinano i due lati della membrana fino a separarla (strozzamento equatoriale).

- Citodieresi. La fase finale, nella quale le due cellule si separano e diventano autonome. Nelle cellule
animali si ha lo strozzamento equatoriale che provoca la separazione delle cellule. L’anello è assente
nelle cellule vegetali, dove invece si forma il fragmoplasto. Le cellule animali sono diploidi, cioè ogni
filamento cromatidico, ha un altro filamento che gli somiglia, detto omologo, che presenta la stessa
sequenza genica o varianti dello stesso gene, detti alleli, si dice pertanto 2n (stesso corredo
cromosomico) e 2c (stessa quantità di DNA).

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Riproduzione asessuata. Molti organismi pluricellulari possono formare nuovi individui a partire da cellule
del proprio corpo che si riproducono per mitosi. Questa riproduzione è detta asessuata, agamica o clonale. I
nuovi individui sono geneticamente identici al genitore (cloni). Questa riproduzione non comporta la
comparsa di cellule specializzate per la riproduzione (gameti).

MEIOSI. Negli animali è molto diffusa la riproduzione sessuata, essa comporta la formazione di cellule
specializzate aploidi (n), dette cellule germinali o gameti. Nella riproduzione sessuata, un nuovo organismo
si forma in seguito alla fusione tra due gameti. Ci sono due tipi di gameti: spermatozoo (piccolo e mobile) e
l’ovulo (più grande e immobile). I due gameti si fondono (fecondazione) formando uno zigote diploide 2n. Lo
zigote si divide per mitosi formando tutte le cellule del corpo (cellule somatiche, 2n). I gameti si formano
attraverso una divisione cellulare particolare, la meiosi, che dimezza il corredo cromosomico.

Profase 1. Molto lunga, si divide in 5 sotto fasi:

- Leptotene, i cromosomi iniziano a spiralizzarsi e si dispongono con le estremità telomeriche rivolte


verso un polo della cellula, a dare una figura caratteristica detta a “bouquet”;
- Zigotene, gli omologhi si appaiano nella sinapsi, come i due elementi di una “chiusura lampo”.
L’appaiamento degli omologhi è diretto da una struttura proteica detta complesso sinaptinemale,
una formazione nastriforme che allinea e avvicina i cromatidi non fratelli; al termine dello zigotene,
l’appaiamento degli omologhi è completo e nel nucleo si riscontrano cromosomi bivalenti (perché
ciascuno è composto da due cromosomi omologhi), anche detti tetradi (perché ogni cromosoma è
fatto da due cromatidi e perciò un bivalente è costituito da 4 cromatidi);
- Pachitene, in questa fase avviene il crossing over, cioè lo scambio di materiale genico tra cromatidi
non fratelli (il chiasma è il punto in cui avviene il crossing over);
- Diplotene, gli omologhi iniziano ad allontanarsi, restando uniti nei chiasmi.
- Diacinesi, gli omologhi si allontanano, i chiasmi si terminalizzano (scompaiono), scompare l’involucro
nucleare.

Metafase 1. Nella metafase meiotica è assente l’aster, i cromosomi bivalenti posseggono ciascuno due
centromeri (uno per omologo), distanziati fra loro ed orientati verso i poli opposti del fuso, mentre
sull’equatore si trovano i chiasmi. (Nella metafase mitotica, invece, i cromosomi hanno un unico centromero
situato sull’equatore).

Anafase 1. I due omologhi di ciascun cromosoma bivalente vengono tirati verso i poli opposti del fuso,
separandoli anche a livello dei chiasmi. Questi omologhi, costituiti da due cromatidi, prendono il nome di
diadi, in quanto corrispondono a metà tetrade. Ciascuna delle cellule figlie derivate dalla prima divisione
meiotica, riceve una serie di cromosomi materni o paterni, variamente combinati fra loro e questo
contribuisce ulteriormente a differenziare geneticamente fra loro i gameti.

Teleofase 1. Attorno alle diadi si va a riformare un involucro nucleare, mentre avviene la citodieresi. Le due
cellule figlie, derivanti dalla prima divisione meiotica, contengono un corredo aploide di cromosomi, con una
quantità 2c di DNA, perché ogni cromosoma (o diade), è ancora costituito da due cromatidi.

La seconda fase meiotica, è molto simile ad una mitosi (tranne il fatto che non sia preceduta da un’ulteriore
duplicazione del DNA) e porta alla formazione di cellule aploidi geneticamente diverse fra loro.

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Apoptosi è una morte cellulare programmata:

- Fase 1. Forma sferica, demolizione del citoscheletro;


- Fase 2. Nucleo eterocromatico (fortemente colorato in seguito a colorazione);
- Fase 3. Rottura dell’involucro nucleare e del DNA;
- Fase 4. La cellula si disgrega in vescicole e le cellule adiacenti fagocitano la cellula morta.

Può manifestarsi in vari fenomeni:

- Danni cellulari e infezioni;


- Stress ossidativo (la cellula dal punto di vista metabolico non riesce a svolgere le sue funzioni) e danni
al DNA (ad esempio fattori mutageni);
- Omeostasi cellulare (50-70 miliardi di cellule al giorno vengono rinnovate nel nostro organismo);
- Sviluppo embrionale, dove si ha un turn over cellulare elevato;
- Regolazione del sistema immunitario;

Questo processo (apoptosi) dipende dall’enzima caspasi, che dirige la distruzione cellulare. Le caspasi sono
normalmente inibite dall’IAP (proteina inibitrice dell’apoptosi).

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