Sei sulla pagina 1di 26

STORIA DELLA BIOLOGIA EVOLUZIONISTICA – A.

VOLPONE

I capitolo – COSE PRIME MAI VISTE

“La certezza che è data dagli occhi” (Galileo Galilei)

Fino all’ottocento, nella biologia v’è stata un’insufficienza di linguaggio tecnico e la collaborazione
con “artisti” ha avuto veri e propri difetti rivoluzionari.

La “fisica” pittorica di Leonardo da Vinci traduce il mondo mediante illustrazioni. Centinaia di studi
sull’anatomia del cavallo sono legati ai progetti del monumento al Duca di Milano, ma nonostante
questo, i disegni di Leonardo restarono però sconosciuti.

Al 1461 risale il primo esemplare di xilografia impiegato per illustrare libri stampati con carattere
mobile e dalle xilografie si passa alle incisioni.
Il primo testo illustrativo di anatomia fu pubblicato a Bologna da Giacomo Berengario nel 1521.
Da ricordare sono le grandi bellissime tavole anatomiche disegnate per il De humani corporis
fabrica di Andrea Vesalio.

1543 – Copernico presenta la sua nuova immagine dell’universo e Vesalio offre un ritratto nuovo
del corpo umano.

I viaggiatori del Quattro e Cinquecento videro coi loro occhi cose mai viste, come: l’esistenza degli
Antipodi, la navigazione degli Oceani, la intransitabilità delle Colonne d’Ercole.
Nel Nuovo Mondo si trovano piante sconosciute come mais, manioca, patata, fagiolo, pomodoro,
peperone, zucca, avocado, ananas, cacao, tabacco, arachide, rabarbaro, girasole, albero della
gomma; così come animali: tacchino, lama, bisonte, giaguaro, puma, condor, tapiro, vigogna,
caimano, formichiere, armadillo.
Descrizioni di nuovi animali e nuove piante sono presenti nella Historia general y natural de las
Indias.

Della scoperta del Nuovo Mondo si servirono senz’altro free-thinkers, per esprimere dubbi sulla
validità del racconto biblico contenuto nel libro della Genesi.
Andrea Casalpino, aristotelico, sostenne che “tutti gli animali, compreso l’uomo, possono aver
avuto origine dalla materia in putrefazione”.
Per Giordano Bruno la presenza di piante, animali e uomini diversi nel Nuovo Mondo era la prova
che “qualunque terra produce ogni genere di cosa vivente fin da principio”.
Giulio Cesare Vanini nega che l’universo sia stato edificato attraverso un atto creativo divino e
cerca di spiegare l’origine delle cose mediante un principio di “spontaneità”. Gli esseri viventi, a suo
parere, sono nati dal fango e dalla putredine, attraverso la mediazione degli astri.
II capitolo - DA ARISTOTELE AGLI ERBARI

Anche la storia naturale beneficiò della scoperta, delle riedizioni e dei commenti di classici
nell’Umanesimo e nel Rinascimento. Il De materia medica di Dioscoride fu stampato in latino nel
1478 e in greco nel 1499. Nella prima metà del ‘500 si contano almeno 35 fra traduzioni, commenti
e riedizioni dell’opera.
Fra il 1475 e il 1483, papa Niccolò V fece tradurre le parti zoologiche dell’opera di Aristotele.

Si può dire che la biologia greca inizia con Aristotele il quale fornisce un sistema coerente da
restare virtualmente intatto fino al Seicento.
Nel suo approccio allo studio dei viventi Aristotele adopera descrizioni analisi e classificazioni e il
suo lavoro diviene modello di ricerche naturalistiche svolte dai successivi membri del Liceo, la
scuola da lui fondata.
Opere biologiche di Aristotele: Storia degli animali; generazione degli animali; parti degli animali;
movimento degli animali; locomozione negli animali.

Aristotele si accostò al mondo delle cose viventi come uno scienziato e la sua classificazione fu
articolata e relativamente sofisticata.
Aristotele divise il Cosmo in oggetti animati e inanimati quindi con e senza anima. Gli esseri
animati sono quelli che si muovono da soli in quanto il moto è impartito dall’anima.

Per Aristotele gli esseri viventi sono organizzati gerarchicamente, dal semplice al complesso e ciò
corrisponde all’idea che vi siano diverse anime:
VEGETATIVA è quella caratterizzata dalle piante;
ANIMALE è quella degli animali, forniti del movimento. Gli animali sono più complessi delle piante
perché possiedono due tipi di anima;
RAZIONALE è l’anima dell’uomo, che possiede intelligenza.

Secondo Aristotele la linea di demarcazione fra piante e animali era sottile. Egli riscontrò delle
eccezioni, come ad esempio le attinie: esse, pur avendo un’anima animale, sono simili alle piante
nella loro incapacità di spostarsi. Classificò però le spugne fra le piante e gli animali soprattutto in
base alla modalità della loro riproduzione.

Fece una triplice divisione, distinguendo fra: animali senza uova; con uova e con scheletro
(vertebrati) e con uova e senza scheletro (invertebrati). Le forme più semplici avevano forse la
capacità di generarsi spontaneamente.

Altra grande distinzione è quella fra animali a “sangue rosso” e senza sangue (o altro colore).

Altre distinzioni riguardano i “fini” chiamati a svolgere dagli animali. Aristotele, inoltre, fu il primo a
svolgere dissezioni sugli animali e nei suoi testi rimanda a “tavole” che sono andate però perdute.

Teofrasto, successore di Aristotele nella guida del liceo, proseguì l’opera del maestro dedicandosi
in particolare alle piante. Due sono le opere cui il suo nome è legato: l’Historia plantarum e De
causis plantarum. Una è dedicata all’analisi e classificazione delle piante, l’altra discute di funzioni
vitali e questioni biologiche generali.
Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), coniugò gli studi di Aristotele con la tradizione, più antica, delle favole
di Esopo. Nella Historia naturalis di Plinio si può trovare lo struzzo che si crede invisibile perché la
sua testa è nascosta sottoterra, l’orso che lecca e pulisce i suoi cuccioli, il basilisco che uccide con il
suo fiato, il leone che mostra clemenza per alcuni supplicanti. Tra gli animali terrestri, l’elefante è il
più grande e il più simile all’uomo per intelligenza.
Quella di Plinio non è una “zoologia” in senso stretto, il solo principio-guida pliniano è una forte
convinzione in una finalità della natura. L’uso allegorico della descrizione naturale fanno sì che
l’opera di Plinio divenga parte integrante della tradizione medievale.

La mancanza di una nomenclatura univoca e rigorosa in biologia, gli errori di copiatura,


l’irreperibilità di animali e piante, l’arrivo di piante e animali dal Nuovo Mondo etc., rendono
importanti sia le immagini che la costituzioni di giardini e serragli (tra la prima metà del 1500 e la
seconda metà del 1600).

Sin dall’antichità, la botanica è legata o subordinata alla medicina e gli “erbari”, o cataloghi vegetali,
si sviluppano prima di libri e rassegne riguardanti gli animali.
Si diffondono erbari riccamente illustrati, uno dei primi è quello di Gherardo Cibo.
Gli erbari seguono generalmente un ordine ma, il più vasto, preciso e accurato catalogo botanico
sistematico del ‘600 è il Pinax theatri botanici in cui l’autore (Gaspard Bahuin) rifiuta l’ordine
alfabetico e raggruppa le piante per rassomiglianze. Sembra abbozzare il concetto di “genere
naturale” e in alcuni casi, incidentalmente, sembra introdurre un sistema di nomenclatura binario.
La scienza biologica comincia con gli antichi Greci e il peso della tradizione antica non viene sentito
fino alla metà del ‘600. Solo allora si cominciò a sfidare la biologia di Aristotele e dopo la metà del
‘600 la biologia europea diviene davvero superiore alla biologia tradizionale, greco-latina, fino al
tardo ‘700.
III capitolo – I PRIMI SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE

L’impulso storicizzante che partiva dal movimento umanistico-rinascimentale, consentì che nelle
corti, nelle università, nelle accademie e nelle farmacie si cominciasse a studiare la natura.
Luca Ghini è stato un personaggio-chiave nello sviluppo delle scienze botaniche moderne, ha il
merito di essere il creatore del primo orto botanico a Pisa e dei primi erbari di piante essiccate.
Ciò che distinse il Giardino dei Semplici di Ghini era che non si trattava di un orto privato, ma di
un’istituzione destinata al pubblico studio.
Nel 1539 si istituisce per lui la Cattedra dei Semplici: si tratta delle prime tracce
d’istituzionalizzazione della botanica a livello accademico. Erano lezioni accompagnate da
dimostrazioni pratiche nel quale si facevano escursioni nei dintorni per effettuare raccolte
sistematiche, ricerche e confronti delle piante trovate con quelle descritte nei testi antichi e così
facendo molti suoi allievi diventarono famosi.

Un posto particolare nella botanica del ‘500 occupa il “De plantis libri” di Cesalpino, discepolo di
Ghini e assertore di un ritorno ad Aristotele.
È più noto per il suo parallelismo fra piante e animali e per il suo sistema di classificazione.
Cesalpino cerca di fondare una scienza unica botanico-zoologica sulla base dei principi aristotelici.
Anatomia e fisiologia si fondono su uno stretto parallelismo fra piante e animali: la radice
corrisponde alla bocca, il frutto all’embrione, il fiore alle membrane che avvolgono il feto, la linfa al
sangue, il midollo ai visceri.
Cesalpino come Aristotele nega recisamente la sessualità delle piante e considera la nutrizione una
funzione fondamentale. Distingue i vegetali innanzitutto a seconda della struttura dello “stelo”:
ecco quindi una prima suddivisione in alberi, arbusti ed erbe, a seconda che vi sia un tronco ligneo
o no.
Bisogna poi considerare gli organi della fruttificazione, in particolare il punto del seme in cui il
germe della radice si unisce al germe dello stelo. Per le suddivisione successive si ha la presenza di
piante: con semi che sorgono per generazione spontanea, piante con semi rudimentali e piante
con semi perfette; altri criteri per il numero, la posizione e la forma delle radici, dello stelo e delle
foglie.

Il sistema classificatorio di Cesalpino appare rigido, esso afferma un principio gravido di


conseguenze importanti: la necessità di classificare secondo un criterio valido una volta per tutte.
Quello di Cesalpino è il primo sistema botanico fondato su caratteri diagnostici e dopo la sua morte
i sistemi di classificazione botanica si moltiplicano.

Tournefort fu autore di una classificazione basata sul concetto di genere. Egli fu tra i primi a fare di
questo concetto una categoria tassonomica. Volle costruire una chiave di lettura del mondo dei
vegetali, infatti alberi, arbusti ed erbe erano divisi secondo caratteri della corolla, e secondo la
posizione del ricettacolo, i caratteri del frutto, delle foglie, delle radici, dello stilo. Criteri di
suddivisione erano anche l’aspetto generale esterno e il sapore.
IV capitolo – CLASSIFICARE LE MERAVIGLIE DELLA NATURA

Fra ‘500 e ‘600, in botanica e in zoologia si manifestano due differenti tendenze per lo più contrarie.
La botanica privilegiava, nella classificazione, i caratteri essenziali e andava nel senso della
semplificazione delle cose; mentre la zoologia si concentrava sulla descrizione, quanto più
possibile completa.

La classificazione tende all’enciclopedismo nella misura in cui cerca di comprendere tutti gli
organismi alla luce di pochi principi ordinatori.
L’enciclopedismo, per cercare di trattare del maggiore numero possibile di animali, usa la
classificazione per creare partizioni sistematiche di utilità più che altro espositiva.
L’unica affinità di scopo nella spinta alla classificazione e in quella all’enciclopedismo è la
descrizione della natura.

La tendenza enciclopedica è rappresentata soprattutto dai cinque volumi dedicati agli animali dallo
svizzero Konrad von Gesner.
Per ciascun animale, Gesner cita tutte le informazioni di cui dispone: forma esterna, talvolta
nozioni anatomiche, habitat, malattie ecc.
Per completezza, descrive anche animali favolosi, come il liocorno, la sfinge, l’idra dalle sette teste,
gli uomini marini, sulla cui esistenza si esprime ambiguamente, ma senza nascondere un certo
scetticismo.

Nacquero fra la fine del ‘400 e il ‘500 come collezioni pubbliche o private, messe a disposizione dai
mecenati. Nel Rinascimento e nel Barocco raccogliere curiosità e meraviglie della natura diventò
un diffuso passatempo, infatti aristocratici e borghesi rampanti istituirono nelle loro case, ville e
palazzi, studioli e gabinetti di curiosità. Nel Cinque e Seicento molte collezioni rappresentavano in
forma tangibile l’ideale enciclopedico e didattico. Si cercava di ricostruire, in una stanza, il
macrocosmo nel microcosmo.

Rappresentante eccelso fu Kircher che fuggì in Francia e poi a Roma dove divenne professore di
matematica. Kircher scese nel Vesuvio in eruzione per osservare personalmente quel che
succedeva e polemizzò contro gli alchimisti che sostenevano l’influenza dei pianeti. Fondò un
laboratorio chimico-fisico per compiere esperimenti alchemici e nel 1678 aprì a Roma un Museo
fuori dai canoni e senza uguali, benché tipica espressione di quel tempo.

Il museo Kircherianum non suddivideva il mondo, ma semplicemente scandiva le diverse cose per
farne un tutt’uno integrato.
Naturalia, artificialia e miravilia, scienza, fantasia e magira formavano un’unità. Non esisteva alcuna
distinzione tra artefatto e oggetto naturale, tra vivente e inerte.
Le collezioni del Museo di Kircherianum includevano organi musicali meccanici azionati dalla forza
dell’acqua, ma anche obelischi, pietre filosofali e mostri, infatti egli parlava del suo museo come di
un’Arca di Noè.

Il bolognese Aldrovandi, voleva presentarsi come successore di Aristotele


Bolognese, discepolo e amico di Ghini, impiega 14 anni per completare gli studi universitari.
Docente di logica e di filosofia, dal 1556, tiene una Lettera di simplicibus medicinali bus,
insegnamento che, cinque anni dopo è trasformato e ampliato in Lectura dilosogiae naturalis
ordinaria de fossili bus, plantis et animali bus, il primo passo per l’autonomia della storia naturale.
Non esercita la professione di medico e rifiuta posti e cattedre anche più prestigiose; impiega tutte
le sue risorse fisiche e finanziarie nella realizzazione del suo sogno: diventare il “Nuovo Aristotele”,
cioè conoscere tutto lo scibile.
Aldrovandi intraprende escursioni e viaggi, pianifica una poderosa enciclopedia di 360 volumi sul
mondo naturale. Anche Linneo, Buffon e Darwin lo riconosceranno come autorità scientifica.

Fonda il suo famoso museo, presso l’Alma Mater promuovendo la fondazione dell’orto botanico di
Bologna. Crea un erbario di 16 volumi, inventando anche la ricetta di una colla per applicare le
piante e i fogli di carta; raccoglie 17 volumi di illustrazioni naturalistiche di vario tipo.
Da molti contemporanei Aldrovandi fu celebrato come il più grande collezionista di oggetti naturali
dell’epica e il suo museo come una meraviglia mondiale, ma il suo intento non fu solo quello di
raccogliere. Il materiale sterminato raccolto, riguardante il sapere antico e contemporaneo, serve
ad Aldrovandi come prova tangibile di quanto scritto nelle sue opere. Più che una “camera delle
meraviglie”, il museo di Aldrovandi è un teatro della natura.
Muore senza eredi e lascia la sua enorme collezione all’Università bolognese.

Il rinoceronte inciso da Dϋrer, abbondantemente copiato e tramandato nei trattati di storia


naturale fino al ‘700, era tra i primi esemplari della sua specie giunti vivi in Europa. Era un regalo
del capo Muzafar del Cambay al re di Portogallo, Dϋrer, dunque, non lo vide mai vivo. Sulla base di
racconti e schizzi di terze persone, nella sua incisione inserì una serie di dettagli alquanto fantasiosi:
macchie, scaglie e un piccolo corno sulla schiena.
Per i mostri e le meraviglie (come quello di Durer) i giorni erano contati, ma bisognò aspettare il
‘700 per cominciare a vederne l’espulsione dai bestiari.

Quando Linneo visitò, a metà ‘700, il famoso serpente a nove teste esposto a Amburgo e provò che
si trattava di un artefatto, il verdetto costituì uno smacco per le autorità del museo. Furono dati
talvolta anche giudizi affrettati, così il Waldrapp, un uccello sconosciuto, ma descritto
dettagliatamente da Gesner, per averlo visto, fu accusato di essere un prodotto di fantasia e
scartato. Una ricerca del 1917 ha invece dimostrato che si tratta di un ibis egiziano: metà del ‘500,
l’Europa vide un periodo molto caldo e l’uccello, che oggi vive solo in Nord africa e in Mesopotamia,
aveva temporaneamente esteso il suo territorio fino alla Lorena. Più fatale per la fine dei mostri fu
il fatto che, con il passare del tempo, tutti i musei finirono per possedere ed esporre reperti e
cimeli di draghi, basilischi, idre e altre mirabilia; e lo stupore, forse, si trasformò in noia, o routine.
V capitolo – LINNEO E LA SUA OPERA

La figura centrale della storia della biologia settecentesca è lo svedese Carl von Linnè. Medico,
zoologo e soprattutto botanico, non fu uno sperimentatore ma il riformatore e legislatore della
storia naturale e, le sue opere scritte in latino, ebbero un successo enorme.
Linneo portò ordine e rigore in un mondo arbitrario e caotico, tale da rendere necessario il conio di
un gran numero di termini, per raggruppamenti sistematici e parti degli organismi. Stabilì una
distinzione più precisa fra i concetti di varietà, specie, genere e classe, adoperati spesso in maniera
equivoca riformando così la nomenclatura.
Alberi, arbusti ed erbe erano divisi secondo i caratteri della corolla e secondo la posizione del
ricettacolo, i caratteri del frutto, delle foglie, delle radici, dello stilo. Criteri di suddivisione erano
anche l’aspetto generale esterno e il sapore.

Tra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700, v’è ormai una folta comunità di botanici e, più in generale, di
“sistematici”. La questione essenziale dibattuta è quella del “giusto metodo”, che fosse semplice,
pratico e rigoroso.

Tra tutti i metodi conosciuti a suo tempo, Linneo decise di basare la sua classificazione sugli organi
sessuali.
La decisione era coraggiosa, visto che solo da poco pistilli e stami venivano considerati come organi
maschili e femminili. Il sesso delle piante, negato da Aristotele era negato dai naturalisti più noti.

La classificazione linneana è un sistema gerarchico di gruppo inclusi in gruppi via via più ampi e
comprensivi che Linneo stesso paragona ad un esercito suddiviso in legioni. La vera novità era il
superamento della linea classificatoria Aristotele-Teofrasto.

Fine anni Trenta del ‘700: pubblica altre due opere, Genera Plantarum e Classes Plantarum, nelle
quali riassume pro e contro di tutti i principali sistemi classificazione da Cesalpino al suo.

1751: pubblica un’altra sua opera fondamentale, Philosophia botanica, nella quale introduce,
definisce e tratta nomenclatura binaria, tuttora in uso: il nome del genere e un epiteto specifico,
che distingue la specie.
VI capitolo – CLASSIFICATORI E OSSERVATORI

Sia la classificazione che, soprattutto, la nomenclatura linneane ebbero grande successo. Il


successo maggiore si ebbe in Scandinavia, in Germania e soprattutto in Inghilterra, dove nel 1788
fu fondata la Linnean Society di Londra.
L’enciclopedismo raggiunse il suo culmine con Diderot, i fratelli Grimm trascorsero la loro vita a
sistemare fiabe e racconti e a compilare il primo dizionario di lingua tedesca. Inizia così la “febbre
dell’ordine”.

Con la grande mappa del mondo dei viventi in mano, tanti interessati andavano fuori città alla
ricerca di piante e animali noti, o magari ancora sconosciuti. Tra loro anche personaggi famosi
come Goethe o Rousseau. Il mecenatismo si rinnovò in tutta Europa, con nuovi giardini, istituti e
musei.

L’opera di Linneo rappresentò l’apice, ma anche la fine di un’epoca e la reazione più efficace giunse
dai filosofi naturalisti francesi.
Buffon fu philosopher e naturalista, matematico e biologo, inoltre, fu autore di un’epocale di 36
volumi e 8 supplementi pubblicata fra il 1749 e il 1804.
Loda, non a caso, Ulisse Aldrovandi e la sua opera si riallaccia alla tradizione delle grandi
enciclopedie zoologiche, inoltre, torna all’ordine alfabetico.

Le Jardin de Plantes, il più grande giardino di Francia fu fondato nel 1626 come orto medicinale.
1739: Buffon ne diviene curatore ingrandendolo e aggiungendo il famoso labirinto ancora esistente.
Diverrà poi il Musèum National d’Histoire Naturelle.

La polemica di Buffon contro Linneo aveva di mira soprattutto la parte zoologica. Ciò che Buffon
maggiormente criticava del sistema di Linneo era la staticità, la rigidità e l’essere fondato su pochi
caratteri distintivi. L’errore dei classificatori, per Buffon, è voler sottomettere la natura a leggi
arbitrarie.

Buffon non ipotizzò un’origine monofiletica dei viventi, ma pensava che tutte le fossero
riconducibili le une alle altre. Anticipò l’idea di un’analisi comparativa morfo-funzionale e
comportamentale. La classificazione naturale doveva seguire le effettive somiglianze fra i viventi e
non le “poche relazioncine”.

Buffon è durissimo contro Linneo, perché, fra tutti i sistemi proposti, quello di Linneo è il meno
sensato perché eccede con le semplificazioni. Buffon considera la specie come unità tassonomica
fondamentale, ma è convinto che in natura esistano solo individui. L’idea era che nel mondo dei
viventi la variabilità prevalesse sull’ordine.

Il sistema naturale proposto da Adanson fu quanto meno bizzarro e originale. Si lancia in


un’impresa ardua: edificare una enciclopedia di tutto lo scibile. Ciò su cui lavora Adanson non è un
sistema, ma un metodo classificatorio il cui obiettivo è la tassonomia totale che consideri tutto o
almeno il maggior numero possibile di caratteri delle piante per stabilirne le affinità.
VII capitolo – LO STUDIO MORFOLOGICO

L’anatomia comparata nasce da quella umana, mentre, l’anatomia animale nei testi del ‘600 è
“Zootomia”.

Tra le prime menzioni e comparazioni zootomiche, da ricordare quelle di Girolamo Fabrizi


d’Acquapendente, un precursore dell’embriologia comparata, studia la placenta di vari mammiferi.

Marcello Malpighi scrive il primo grande studio completo su un invertebrato nella monografia
intitolata “Dissertatio epistolica de bombyce”. Studia il fegato prima nelle lumache, poi nei pesci,
nei rettili, nei mammiferi e infine nell’uomo e l’uso del microscopio dà un forte impulso allo studio
dell’anatomia, e dell’istologia. La logica con la quale si stabiliscono paragoni riecheggia di
corrispondenze più o meno palesi fra varie parti e componenti del cosmo.

D’Azyr intende sollevare l’anatomia dal livello della mera descrizione e introduce l’idea che debba
occuparsi, oltre che di strutture, anche di rapporti fra strutture. Per lui, questi rapporti sono di due
tipi: fra parti simili di organismi diversi e fra diverse parti del medesimo organismo.

Con Curvier, l’anatomia comparata diviene la guida imprescindibile della classificazione.


La rivoluzione francese crea subbuglio e terrore e si istituiscono nove cattedre di storia naturale.
Curvier arriva dalla provincia e a 21 anni ottiene una delle cattedre del museo. Accompagna
Napoleone durante la Campagna d’Egitto, fa una fulgida carriera, e quando la Francia torna dalla
monarchia, le sue cariche aumentano.

Curvier è consigliere reale per le questioni di cultura ed educazione. Il nome di Curvier è riportato
sulla Tour Eiffel, insieme a quello di altri 72 scienziati di ogni disciplina in omaggio alla scienza
(Curvier è l’unico naturalista dell’elenco).

Lo studio dell’anatomia comparata, iniziato con d’Azyr e fondato da Curvier, è il presupposto di una
riforma sostanziale dei metodi di classificazione dei vivente. Con Curvier, l’anatomia comparata
diviene una guida imprescindibile nella sistematica e il reperimento di: costanti anatomiche,
correlazioni regolari e piani di organizzazione, diventa lo strumento di classificazione par excellence.

Curvier si forma come zoologo, a differenza di tanti predecessori medici. Vede nell’anatomia
comparata la chiave della organizzazione animale e di ogni sistema naturale di classificazione,
nonché il mezzo per una grande riforma della zoologia che la farà rigorosa al pari delle scienze
fisiche, fondate su principi non puramente formali e astratti, ma funzionali.

Cuvier riteneva che nel mondo animale non vi fosse una sola unitè de composition, ma quattro tipi
fondamentali di organizzazione strutturale e funzionale: vertebrati; molluschi; articolati; radiati.
Generalmente fino al ‘700 era ancora diffusa la concezione di immaginarsi gli organismi come
“giochi” di costruzione formati a piacere da combinazioni di organi che non possono essere scissi.

Con Cuvier nasce la paleontologia come “scienza” e il metodo della correlazione trova in essa
grande applicazione. Ancora oggi la paleontologia è costretta a basarsi su reperti incompleti o
frammentari per ricostruire un intero organismo. La riforma cuvierana della zoologia non abbracciò
solo gli organismi attuali, ma anche quelli del passato.
VIII capitolo – DAL SISTEMA NATURALE ALLA CATENA DELL’ESSERE

Il tentativo di classificare i viventi in maniera “naturale”, piuttosto che arbitraria o "artificiale”, pone
in evidenza il problema della continuità o discontinuità delle forme organiche. Il naturalista del
‘700 ritiene che i cetacei colleghino tra loro mammiferi e pesci, i pipistrelli mammiferi e uccelli, i
coralli, oppure le spugne, animali e piante.

Le questioni si sistematica fanno rinascere un’idea che ha ardici molto antiche e indipendenti dagli
argomenti naturalistici in senso stretto: quella di Scala naturae. Già Aristotele ne aveva discusso, a
suo tempo, e San Tommaso ne aveva concepita una basata sulla teoria dell’atto e della potenza,
che andava da Dio alla materia inerte.

L’uomo era al centro della catena dell’essere poiché equilibrio di atto e potenza. In basso vi erano
gli animali e le piante mentre verso l’alto vi erano schiere di serafini, angeli e arcangeli. Intorno al
1700, il filosofo Leibniz, aveva ripreso e sviluppato l’idea che tutti gli esseri siano disposti in una
successione continua, in una gradazione regolare di sfumature impercettibili da un minimo a un
massimo di perfezione o vitalità. Questo principio di continuità è espresso nella famosa formula
Natura non facit saltus.

La Natura, ovvero Dio, ha evitato ogni passaggio brusco da una forma all’altra e ha dispiegato al
massimo la sua potenza creatrice. Alcuni illuministi francesi abbracciano l’idea della scala naturae
in biologia. Per loro, la scala naturae è una gerarchia con l’uomo in cima e gli organismi più semplici
in fondo. In Aristotele e nei suoi seguaci si ritrova l’idea di scala, in Platone e nei neoplatonici
quella di catena.

In Francia non mancarono però le voci discordanti e coloro che si opposero all’idea di Scala naturae,
tra di loro, d’Azyr e Cruvier.
È proprio quest’ultimo che assesta il colpo decisivo, con l’affermazione che tutte le forme animali si
riconducono ad uno dei quattro embranchements (tipi) dei viventi, distinti e separati l’uno
dall’altro.

Il termine “anatomia comparata” è introdotto dal microscopista inglese Grew, prima in un’opera di
botanica, poi di zoologia, in cui, tratti digestivi di mammiferi, uccelli e pesci sono confrontati tra
loro.
Nella seconda metà del ‘700 l’anatomia comparata si cominciò a studiare in diverse nazioni
d’Europa. A Londra, corsi e istituzioni di anatomia comparata furono avviati dai fratelli William e
John Hunter. Questo fu il primo famoso anatomista inglese del secolo. L’anatomia ebbe fortuna
anche presso l’università di Edimburgo, nel periodo del cosiddetto “illuminismo scozzese”.
Soprattutto Barclay, il quale nel 1817 cercò di far istituire la prima cattedra di anatomia comparata
in Gran Bretagna.

In Olanda la disciplina fu coltivata dal medico e antropologo Camper, autore di importanti


osservazioni. In Germania si distinse il medico e antropologo Blumenbach. Nel 1805 dichiarò di
aver scritto il primo trattato completo di anatomia comparata: non si tratta ancora però di una vera
e propria “scienze di strutture e rapporti strutturali” in quanto tali, perché almeno fino a Cuvier,
D’Azyr incluso, l’anatomia comparata è al servizio della medicina.

L'unica idea che si fa strada è quella che esistano “piani di organizzazione” comuni a più organismi.
Questo scaturisce da naturalisti che vedono nell’anatomia comparata, una sorta di “ricerca
filosofica”. L’idea è presente nello zoologo enciclopedista Buffon che non è un “medico anatomista
comparato”. DOMANDE SU CUVIER.

IX capitolo – MORFOLOGIA E FILOSOGIA ZOOLOGICA

L’idea dell’unità di piano si ritrova in Geoffroy Saint Hilaire, zoologo e anatomista comparato
francese coetano di Cuvier, suo amico e collega per quarant’anni al Musèum parigino, nonché
protettore di questi al suo arrivo. Geoffroy e Cuvier all’inizio collaborano strettamente, fino ai primi
degli anni dell’800, ma poi finiscono per rompere il rapporto.

Per Geoffry, le forme che studia l’anatomia comparata rappresentano la manifestazione di un piano
ideale organizzativo dei viventi.

La forma non dipende dalla funzione, come per Cuvier, cioè dall’armonia o correlazione delle parti,
ma la strutturazione o articolazione delle parti determina la funzione (principio anti-funzionalista).
Inoltre, dice che la morfologia non va subordinata alla fisiologia, ma va considerata a prescindere.
La sua dunque è una anatomia trascendente o pura, assoluta.

Geoffroy afferma che la natura ha formato tutti gli esseri viventi su un “unico piano, variato in mille
modi nelle parti accessorie”. Questa è l’idea, appunto, di unità di piano della composizione
organica cui fa da complemento la varietà nell’unità.

Egli sostiene che le ossa dell’opercolo branchiale dei pesci corrispondano alle ossa del condotto
uditivo dei mammiferi. Nel 1820 propone quindi di ridurre i quattro embranchements di Cuvier a
due: vertebrati e invertebrati. I vertebrati comprendono i vertebrati superiori e i Dermovertebrati
che sono gli Articolati di Cuvier. Gli invertebrati comprendono i molluschi e i raggiati di Cuvier.

Secondo Geoffroy, il segmento della corazza degli articolati è una vertebra, solo che nei vertebrati
superiori le vertebre sono interne, mentre sono esterne nei Dermovertebrati. Nel 1830 Geoffry
annuncia pubblicamente all’Accademia delle Scienze di Parigi di essere in cerca di prove per
unificare i due embranchements in un solo. Questo scatena la collera di Cuvier, che demolisce uno
dopo l’altro gli argomenti portati dal suo avversario.

La controversia sia verbale che fatta a suon di pubblicazioni, fra i due studiosi è definita da Goethe
“un evento ancor più importanti della rivoluzione di luglio a Parigi”. Nell’ambito accademico
ristretto, in Francia, Cuvier finì per schiacciare Geoffry con le sue (contro)argomentazioni. A livello
più generale, invece, non si può negare che le sue idee ebbero un certo seguito in Germania dove
dagli inizi dell’800 stava nascendo una morfologia di tipo “idealistico”, sulla scorta della
Naturaphilosophie.

La Naturaphilosophie è un movimento intellettuale che si affermò in Germania nella prima metà


dell’800. Schelling influenzò molto la biologia, non solo tedesca. Nasceva con esso il cosiddetto
“romanticismo”. La natura è un tutto integrato percorso da forze, tensioni e corrispondenze. In
natura tutto è flusso, sviluppato graduale verso forme superiori, dal punto di vista fisico, biologico
e metafisico: un progresso dall’indeterminato al determinato.
Per lo zoologo Oken ogni organo di questo animale onnicomprensivo è costituito da un gruppo
tassonomico particolare di animali. Il culmine di tutto quanto è l’uomo, compendio della natura
organica.

Altri nomi di naturalisti influenzati dalla Naturaphilosophie sono Meckel, Spix che si occuparono di
zoologia ed embriologia; oppure il medico e naturalista Treviranus che, insieme a Lamarck, conia il
termine “biologie”; oppure Goethe, che afferma l’omologia tra ossa craniche e spina dorsale,
cominciando la “teoria dell’origine vertebrale del cranio”.

Vi è una notevole circolazione di idee tra Francia e Germania. Siccome in Germania c’è la
Naturaphilosophie è normale che l’anatomia trascendente di Geoffroy faccia più effetto del
funzionamento di Cuvier e dell’evoluzionismo progressista di Lamarck.

Oken e Meckel sono senz’altro figure rappresentative della Naturaphilosphie tedesca. Nella sua
visione 4 sono gli elementi del mondo, 4 i sistemi principali di organi, 4 i circoli con cui si possono
rappresentare le affinità generali nel Regno animale.

Terra= intestino, animali-intestino;


Acqua= sistema vascolare; animali-vascolari;
Aria= sistema respiratorio, animali-pelle e animali-trachea;
Fuoco o etere= sistema nervoso-muscolare; animali-carne e animali-senso.

Prima Meckel, poi anche Oken, alla ricerca di corrispondenze fra le varie parti costituenti un
animale, formulano una teoria secondo cui l’organismo consta di due animali; uno cefalico,
propriamente “animale", e l’altro sessuale o “vegetale”. Il primo si trova al di sopra del diaframma,
l’altro al di sotto. Sembra pura fantasia, ma ciò non manca di una base empirica: Meckel stabilisce il
parallelo fra organi genitali e timo sulla base della correlazione di sviluppo fra i due.

Un’altra nota espressione di questa credenza nei parallelismi è la cosiddetta “legge di


ricapitolazione”. Per Oken durante lo sviluppo ogni animale “passa attraverso” o “ricorda” tutti gli
stadi della serie animale.

Meckel menziona ad esempio la formazione del cuore del pollo:


Il cuore dell’embrione di pollo è dapprima un semplice tubicino, come negli insetti, poi acquista
una camera, come nei crostacei; poi un’orecchietta, un bulbo aortico, come nei pesci; poi, nel
quarto giorno di organogenesi, le orecchiette sono due, come nei rettili; e così via.

Meckel afferma che: “Gli animali superiori, nel loro sviluppo, gradualmente attraversano gli stadi
organici permanenti degli animali inferiori”.

La teoria della ricapitolazione comincia ad essere abbandonata solo dopo gli studi di von Baer. Karl
von Baer, di origine estone, professore di Anatomia e poi di Zoologia, scoprì, descrisse e denominò
la notocorda e molte altre strutture.

Osservò per primo l’uovo nell’ovario e fra l’altro introdusse il termine spermatozoo. Diverse furono
le leggi baeriane dello sviluppo, tra cui quella che dice che l’embrione di una forma superiore
animale non è mai simile ad un’altra forma animale, ma solo al suo embrione.
Lo studio delle simmetrie di sviluppo induce von Baer a stabilire 4 tipi animali corrispondenti agli
embranchements di Cuvier, caratterizzati ciascuno da un propri tipo di sviluppo: il periferico
(raggiati), il longitudinale (articolati), il compatto (molluschi), il vertebrato.

L’anatomia trascendentale geoffronyana e, soprattutto, la Naturphilosphie tedesca, penetrano


anche in Gran Bretagna. Il maggiore rappresentante della morfologia idealistica inglese è Richard
Owen, zoologo e paleontologo. Owen come altri morfologi idealisti inglesi, rifiutano il
funzionalismo cuveriano e condividono alcuni punti fondamentali:
1. Unità del Regno animale;
2. Esistenza di forme archetipe platoniche;
3. Piano creativo di adattamento.

L’esistenza dell’archetipo in natura è una diretta conseguenza della unità del Regno animale;
mentre nel piano creativo di adattamento, l’adattamento di organismi all’ambiente è prova di un
disegno divino, ma nel senso di un piano e di leggi generali.
X capitolo – LA BIOLOGIA COME SCIENZA

Tra la fine del ‘700 e l’inizio del secolo successivo cominciano ad apparire figure ad albero, oppure
modelli a rete per esprimere le affinità naturali, pur senza avere alcun significato genealogico: cioè
inizialmente, non si tratta di distribuzioni temporali, né tanto meno di rappresentazioni
evoluzionistiche.

Verso la fine del ‘700 con l’emergere del binomio “continuo-discontinuo”, la forbice fra serie lineare
o ramificata, il riconoscimento di omologie e analogie tra gli organismi, l’aumento delle ricerche e
la complessità crescente delle questioni da trattare, fanno sì che si pensi ad una maggiore
professionalizzazione dello studio dei viventi.

A coniare il termine “biologia”, in quasi perfetta sincronia, sono stati un tedesco e un francese:
Treviranus e Lamark.

Treviranus proviene dagli ambienti della Naturaphilosophie tedesca. Nel 1802, pubblica un’opera
dal titolo significativo, “Biologia o filosofia della natura vivente per naturalisti e medici”. Le
ramificazioni sono una testimonianza dell’abbandono della serie lineare.

Nel modello arboreo di Pallas, del 1766, alla radice vi sono le forme più semplici, dalle quali
partono due tronchi: animali e piante; via via più complessi nella loro organizzazione.

Lamarck proviene invece da quella grande fucina di naturalisti francesi che è il Musèum de Histoire
naturelle. Nel 1802 pubblica l’opera nella quale introduce e definisce il termine “biologia”. Così
Treviranus definisce la biologia: “Gli oggetti delle nostre ricerche saranno le differenti forme e
manifestazioni della vita, le condizioni e le leggi secondo cui questi fenomeni hanno luogo e le
cause che li determinano”.
E ancora: “Lo studio che comprende tutto ciò che si riferisce ai corpi viventi e particolarmente alla
loro organizzazione, al loro sviluppo, alla loro composizione, alla loro tendenza a creare degli
organi speciali, a isolarli, a centralizzarne l’azione in un nucleo”.

TREVIRANUS: LAMARCK:
Forme, manifestazioni Organizzazione, sviluppo e
e cause dei fenomeni vitali cambiamento nel corso del tempo
(evoluzione) dei corpi viventi

Nell’uno e nell’altro caso, la biologia incarna lo studio delle leggi generali della vita e ciò porta a
due conseguenze:
1. Si ha una fondazione teoretica della disciplina;
2. La nuova disciplina unifica e trasforma conoscenze derivanti dai diversi rami dello studio
della natura

La botanica, la zoologia e l’anatomia vegetale e animale non sono più disciplina antropocentriche,
ma assumono valore in sé e divengono indipendenti.
La fisiologia non è più intesa come studio di singoli fenomeni, isolati, ma diviene fisiologia generale.
La sistematica non è vera classificazione, ma ricerca di un piano comune.
La biologia diviene lo strumento per la comprensione degli aspetti comuni di tutte le forme di vita,
in quanto studio della logica del vivente.

Bisogna considerare altri fattori interni alla biologia, ma anche movimenti intellettuali esterni.
Fattori interni:
1. Questioni di sistematica: la questione della affinità tra i viventi diviene centrale; e la
temporizzazione delle eventuali parentele introduce un elemento genealogico.
2. Natura dei fossili: anche il problema della giustificazione dei fossili rende necessario un
ampliamento della scala temporale.
3. Trasformazione dei viventi come quella della segale in orzo, o dell’orzo in avena, oppure
incroci straordinari con effetti impensati.
Fattori esterni:
4. Scoperta del tempo. Con la “scoperta del tempo” si intende un vasto movimento
intellettuale che riguarda più campi di conoscenza. Esso inizia con l’Illuminismo e si dispiega
nel corso dell’800. Si tratta dell’emergere e dell’affermarsi di una visione dinamica della
natura, sia organica che inorganica, che porta alla progressiva erosione dell’immagine
plurisecolare di un mondo statico e immutabile. Si ha una diffusa laicizzazione del pensiero
e dell’immagine della natura.

Si inizia a pensare anche a:


1. Nuove forme generate dall’incrocio di specie diverse tra loro;
2. Trasformazioni o trans umazioni delle specie nel tempo.
Linneo stesso, nel tentativo di ridurre al minimo possibile l’intervento divino in natura, ipotizzò che
nuove specie potessero essersi formate dall’incrocio di specie diverse.
Egli riconosceva in tutto 65 ordini naturali, che sarebbero potuti derivare da altrettante specie-
capostipite create da Dio.
Nel corso del ‘700 diversi botanici provano a capirci qualcosa.

La conclusione è che le nuove specie “incipienti” non sono costanti: sono sterili o si presentano
come semplici varianti all’interno dei limiti della stessa specie. Questi studiosi sono detti “ibridisti”
e il genere di attività si snoda anche lungo l’800. Darwin stesso prova a fare numerosi incroci e
Mendel altrettanto.
Il filone dell’ibridismo sembrò piuttosto inconcludente, almeno fino alla nascita della genetica.

Un secondo fronte intellettuale era quello della trasformazione o trasmutazione delle forme.
Secondo il ginevrino Bonnet, nei grandi cicli cosmici sopravvivono i “corpicciuoli organici”, sedi
immortali dell’anima degli animali.
Essi contengono gli elementi che comporranno i corpi nei quali gli animali si mostreranno nei loro
stati futuri, dopo ciascun rivolgimento cosmico; ad ogni rivolgimento, le specie fanno una sorta di
“scatto” nella scala della perfezione.

Secondo Jean-Baptiste Robinet, la stasi e la permanenza non si addicono alla natura: è questo il
motivo per cui gli esseri delle diverse epoche non sono uguali.

Ciò che si realizza nel tempo è l’infinita serie di variazioni del modello ideale. Le filosofie
materialistiche della natura, nella seconda metà del ‘700, fiorirono soprattutto in Francia e
offrirono nuovi spunti “trasformistici”.
I philosophes francesi concepiscono la natura come una realtà auto-determinantesi, un sistema
auto-sufficiente, capace non solo di conservarsi, ma di trasformarsi.

La Mettrie riconduce l’origine degli organismi a fortuite combinazioni di particelle di materia: la


materia è dotata di un dinamismo autonomo e crea le sue determinazioni; l’organismo,
espressione di questo dinamismo è come una “macchina che monta se stessa”.

Nella sua opera principale d’Holbach si chiede: “la materia è eterna, ma le sue combinazioni e le
sue forme sono passeggere e contingenti”.

Analogamente si era espresso Diderot. Il risultato più importante del materialismo del ‘700, è la
critica della concezione creazionistica e provvidenzialistica della natura.
XI capitolo - EVOLUZIONE ED EVOLUZIONISMI

Il titolo di primo biologo spetta a Lamarck. Tipico personaggio dell’Illuminismo, non è uno studioso
universale, ma non è nemmeno uno scienziato ottocentesco, professionista e specialista.
Tuttavia Lamarck è tra i primi naturalisti francesi, con Geoffroy, Cuvier e altri colleghi del Museo di
Storia naturale parigino, che riescono a dedicarsi esclusivamente alle scienze naturali, con un
regola stipendio.

La sua famiglia appartiene all’impoverita bassa nobiltà di provincia: non appena il padre muore,
lascia il collegio per entrare nell’esercito.
Partecipa a diverse campagne di guerra e gira per l’Europa, utilizzando il tempo libero per studiare
la flora e la fauna locale e in particolare le conchiglie. Una volta congedato, si trasferisce a Parigi e
raggiunge una certa notorietà come esperto di botanica e di conchiglie.

Compone Flore francaise che gli vale l’approvazione di Buffon. Questi gli fa pubblicare l’opera e
diviene suo protettore. Lamarck attacca il sistema di Linneo e lo aggiorna in più punti. Entra
nell’Acadèmie des Sciences e inizia la sua carriera scientifica. La sua grande occasione arriva nel
1793 quando il Museo di Storia naturale nel Jardin des plantes viene riorganizzato. Le cattedre di
zoologia del Museo sono due. Una è occupata da Geoffroy l’altra va a lui.

Dopo la botanica dunque si deve occupare di zoologia; e lo fa in modo altrettanto prolifico. Tenta di
formulare un “nuova teoria fisico-chimica generale” della natura. Nel 1796, si oppone ad Antoine
Laurent de Lavoisier. Per Lamark, fra la materia bruta e gli esseri viventi c’è una “distanza infinita” e
le trasformazioni dell’un tipo e dell’altro sono diverse. Contrariamente alla teoria di Lavoisier,
Lamarck ritiene che i costituenti di ogni composto siano in definitivamente variabili e combinabili.

Questa indefinita variabilità di ogni composizione chimica è il fondamento chimico-fisico


dell’evoluzionismo di Lamarck. L’altra componente è la estrema plasticità e deformazione dei
viventi rispetto all’ambiente. Quest’opera fa parte di un progetto ambizioso che doveva realizzare
una grande Fisica terrestre, articolata in una “Meteorologia”, una “Idrogeologia” e una “Biologia”.
Una prima sintesi della sua teoria dell’evoluzione si trova invece nella Recherches sur l’organisation
des corps vivants. Viene esposta compiutamente nelle 900 pagine della Philosophie zoologique e
nella introduzione alla Histoire naturelle des animaux sans vertèbres.

Prima del 1802, Lamarck era un fissista e che cosa lo abbia spinto a cambiare idea non è molto
chiaro. Un ruolo importante dovette svolgere il suo rifiuto delle estinzione periodica delle specie,
convinzione alquanto comune dell’epoca. Lamarck era convinto infatti che in natura non ci siano
fenomeni straordinari sconvolgenti; e non poteva accettare l’idea che grandi catastrofi avessero
aperto d’un colpo vuoti incolmabili nell’economia della natura.

Egli credeva che le specie cosiddette “perdute” non fossero veramente scomparse. Si erano, invece,
trasformate nelle specie attuali. Forse si erano estinte veramente, secondo Lamarck, sono alcune
specie di grandi mammiferi per colpa dell’uomo, non dei processi naturali. I fossili ebbero sempre
scarso peso negli argomenti adotti da Lamarck a sostegno delle proprie tesi. Per Lamarck, la
trasformazione delle specie avviene attraverso l’interazione dell’ambiente esterno con quello
interno dell’organismo. Il mutamento dell’ambiente fa insorgere nell’organismo nuovi bisogni ed
eccita il movimento di “fluidi vitali” o “organici”. Lamarck intende il sangue e il fluido nervoso degli
animali, oppure la linfa e i fluidi elastici delle piante. Con l’abitudine, quindi, cioè con la ripetizione
meccanica degli stessi atti, viene sviluppato un organo già esistente, oppure ne produce uno nuovo;
viceversa, il disuso atrofizza gli organi, causandone la scomparsa, o la riduzione. Questi processi
sono assolutamente meccanici negli organismi inferiori, mentre negli animali superiori interviene
un “sentimento interno” che fa da mediatore tra l’ambiente e l’organismo.

L’adattamento dunque per Lamarck, è il risultato diretto dell’interazione fra organismo e ambiente,
diversamente da quanto sosterrà Darwin. Le modificazioni così prodotte vengono poi trasmesse ai
discendenti e questo è ciò che dice “ereditarietà dei caratteri acquisiti”. Questo è un luogo comune
per tutto il ‘700 e l’800, fino alla nascita della genetica. L’evoluzione della specie, dunque, secondo
Lamarck avviene all’intersezione di due processi distinti: il “piano della natura”, da un lato e il
“potere delle circostanze” dall’altro. Il principio ortogenetico, secondo il quale le specie tendono
comunque a progredire nella direzione che va dal semplice al complesso. Lamarck è un materialista
e anche l’ortogenismo ha la sua base fisica nella dinamica dei fluidi: la costituzione dei composti
chimico-fisici va nel senso della complessità crescente attraverso l’evoluzione, alla composizione
dei corpo viventi.

Il trasformismo di Lamarck è definibile in 3 termini: parallelo, perché ogni specie percorre le stesse
tappe indipendentemente dalle altre; lineare, perché il processo non è reversibile; direzionato
perché la meta è la massima perfezione.

La teoria di Lamarck rispecchia gli ideali di progresso, razionalità e pari dignità discussi ai tempi
della Rivoluzione francese, mentre il Cuvier sostiene fortemente una concezione fissista. Cuvier
accettava il catastrofismo, luogo comune dell’epoca, ma preferiva guardare al fenomeno in termini
di “sostituzione” delle specie. Egli era un fissista. Criticò aspramente Lamarck e le sue principali
tesi anti-evoluzionistiche furono le seguenti:
1. Una teoria dell’evoluzione presuppone processi lentissimi e all’epoca si riteneva che la Terra
non fosse così vecchia;
2. Gli organismi inadatti in seguito a trasformazioni ambientali si estinguono, ma non
cambiano; i fossili non sembrano attestare il cambiamento;
3. La variabilità naturale accertata interessa caratteri secondari e ininfluenti, non quelli
importanti;
4. L’organismo è un tutt’uno armonico: non si può mutare una parte senza creare scompensi
nelle altre;
5. Riconoscere l’evoluzione vorrebbe dire vanificare il lavoro dei sistematici;
6. Non vi sono prove dell’evoluzione: la biologia va fatta su fatti positivi e non bisogna
indulgere sulle mere speculazioni.
XII capitolo – DARWIN E IL DARWINISMO
Bisogna aspettare Darwin per tornare a parlare di “evoluzione”.
Lamarck parlava di “trasformismo” e Darwin di “teoria della discendenza con modificazione”.
Il termine “evoluzione” fu usato per la prima volta verso la metà dell’800 da Lyell, uno dei padri
della geologia e fu divulgato soprattutto da Spencer e da Huxley, amico e collega di Darwin.

Charles Darwin nasce nel 1809 a Shrewsbury, figlio di un medico. Dopo la formazione di base si
iscrive a medicina a Edimburgo e rivela interesse e attenzione per gli studi naturalistici. S’imbarca
come naturalista sul brigantino Beagle per un viaggio di circumnavigazione del globo partendo per
il Sudamerica, portando con sé il primo volume dei Principles of geology di Lyell. Nelle sue
osservazioni, Darwin trova conferme alle idee di Lyell, che riguardano movimenti della Terra,
origine delle montagne, depressioni di pianure per poi formulare diverse teorie sule lento e
graduale sollevamento della crosta terrestra. Come geologo inizia il suo tirocinio di scienziato
professionista e diviene segretario della Geological Society di Londra e scrive diversi libri. Prima
ancora dedica un’opera alle barriere coralline, formulando una teoria sulla loro genesi ancora oggi
accettata.

Appena tornato in Inghilterra, Darwin comincia a riordinare collezioni e appunti di viaggio e inizia a
riflettere sempre più intensamente sulla questione delle specie. La “scoperta” di Darwin fu
piuttosto una “costruzione”, fatta di riflessioni e il processo di concepimento della teoria durò
almeno un anno. Animali e piante sui quali Darwin ha lavorato sono molti e differenti. Darwin
cercava di edificare una ampia teoria capace di abbracciare, rifondandoli, i migliori risultati della
biologia del suo tempo. Punto di partenza fu la riflessione sull’adattamento, come relazione
dinamica fra organismo e ambiente. Tutti gli organismo sono ben adatti e non vi è motivo che
mutino se non muta l’ambiente. Darwin era convinto che l’apparato riproduttivo fosse
particolarmente “plastico” e impressionabile e che l’ambiente mutava e la risposta automatica
dell’organismo era la produzione di variazione casuale.

Altre fonti di variazione erano la riproduzione sessuale e l’incrocio e quest’ultimo nell’immediato


produceva novità evolutiva. Entrambi gli aspetti, per Darwin, erano fonte di variazione, ma anche
di uniformità. Il passo successivo, dunque era quello di definire il concetto di “selezione naturale”,
unico meccanismo in grado di stabilizzare o dirigere la variazione in un senso o nell’altro.
L’idea di una “selezione” poté venire a Darwin pensando al lavoro compiuto da allevatori nel
tentativo di migliorare piante e animali a scopo produttivo.
Darwin conosce opere di moralisti e l’altra strada attraverso la quale giunge all’idea di “selezione
naturale” e alla formulazione della sua teoria, è la lettura dell’opera del reverendo Malthus.

Fu sua così l’idea di “lotta per l’esistenza” soprattutto di successo riproduttivo: gli organismo
meglio adatti alle circostanze ambientali sopravvivono e trasmettono le loro caratteristiche ai
discendenti, i quali acquistano lentamente il predominio numerico. A questo punto la teoria è
pronta. La stesura della grande opera prevista in due massicci volumi, è interrotta al sesto capitolo.
Darwin, spronato da Lyell e dall’amico Hooker, decise di rendere pubbliche le sue idee in materia,
cui era giunto prima e indipendente. L’evento era destinato a divertire di rilevanza storia, ma
nell’immediato non suscitò grande interesse. Darwin abbandona l’idea del “grande libro” e inizia la
stesura dell’Origine delle specie, che viene pubblicata nel 1859. L’opera consta di 14 capitoli: I
primi 4 riguardano la variazione dello stato domestico e allo stato di natura, la lotta per l’esistenza
e la selezione naturale mentre i capitoli successivi trattano di “difficoltà” della teoria.
In The Variation, del 1868, Darwin tratta di variazione e di ereditarietà, oltre che di ibridismo. Alla
fine del libro formula la “ipotesi provvisoria della pangenesi”, teoria corpuscolare per spiegare la
trasmissione dei caratteri nei viventi.
The descent of Man, del 1871 tratta dell’origine dell’uomo da forme inferiori e di selezione
sessuale. Egli considera omologie strutturali, somiglianze embrionali, organi rudimentali o vestigiali
e altre caratteristiche. Per quanto riguarda le facoltà intellettuali e morali Darwin sostiene che esse
soo diverse per grado e non per genere rispetto a quelle degli altri animali. A esporsi per primo fu
Thomas Huxley, amico di Darwin, meno mite e misurato del collega. Celebre è il suo battibecco con
il vescovo anglicano Wilberforce, a Oxford, nel corso di una riunione della British Association for
the Advancement of Science di giugno 1860 e nasce così la cosiddetta “polemica della scimmia”.

Nel 1863, Huxley pubblica un libro intitolato Evidence a sto Man’s Place in nature, che sviluppa una
teoria dell’origine dell’uomo da antenati scimmieschi, adducendo prove. Quando Darwin pubblica
The Descenti, la Monkey War è già in pieno svolgimento. L’altro libro che Darwin dedica
all’evoluzione dell’uomo è The Expression of the Emotions in Man and Animals, del 1872. Nella
prima generazione di biologi darwinisti, coloro che più di altri hanno fornito un proprio contributo
originale sono: Wallace, Galton, Haeckel e Weismann.

Wallace (co-autore della teoria dell’evoluzione per selezione naturale) credeva che la selezione
naturale avesse cessato di “agire” sul corpo dell’uomo. Nei suoi lavori di antropologia e critica
sociale, Wallace sostiene che il cervello dell’uomo, l’apparato del linguaggio, la mano e
l’organizzazione del corpo, testimoniano una “intelligenza superiore” che lo avrebbe liberato dalle
leggi della selezione naturale. Haeckel, principale divulgatore della dottrina evoluzionistica in
Germania, aggiunge la sua teoria embrionale della ricapitolazione, secondo cui l’ontogenesi
ricapitola la filogenesi. Galton, psicologo, naturalista, inventore di vari test a sfondo statico-
demografucim formula una propria teoria dell’ereditarietà per mescolamento. Fonda il movimento
eugenistico di miglioramento della razza secondo l’ideale darwinista e avvia studi statici e
matematici sulla eredità morfologica, fisiologica e comportamentale, tenendo a battesimo la
biometria.
XIII capitolo – NEODARWINISMO E SINTESI MODERNA
Il neodarwinismo nasce con Weismann che opera una netta separazione fra plasma somatico e
plasma germinale: l’uno è caduco, l’altro si trasmette nel corso delle generazioni. Il soma è
influenzabile dall’ambiente, il germe no. Le cellule somatica sono destinate a morire con gli
individui, mentre le cellule germinali si riproducono in linea diretta, senza alcuna influenza delle
cellule somatiche. Solo le cellule germinali contengono i determinanti ereditari che vengono
trasmesse nelle future generazioni. Questo rende insostenibile l’eredità debole (influenza
dell’ambiente, trasmissione dei caratteri acquisisti, uso e disuso..). E’ fondamentale l’opera del
1883. Weismann eseguì una serie di esperimenti rimasti celebri per dimostrare la non ereditarietà
dei caratteri acquisisti, mozzando la coda a diverse generazioni di topi, senza riuscire ad ottenere
topolini con la coda mozza. Questo modifica notevolmente la teoria dell’evoluzione naturale per
elezione naturale di Darwin. Nel 1893 Romanes, uno degli ultimi discepoli di Darwin, per
sottolineare la essenzialità della differenza conia i termine “neodarwinismo”, definendolo “un
darwinismo senza l’eredità debole”. Nella teoria di Weismann solo la selezione è forza motrice
dell’evoluzione, il solo fattore evolutivo: essa interviene a posteriori su variazioni che avvengono
autonomamente nel plasma germinale. Nell’opera Darwinism, Wallace sostenne tesi del tutto
analoghe (panselezionismo).
Il “lamarckismo” o “neo-lamarckismo”, va propriamente scisso in:
 Geoffroysmo: l’idea di una modificazione dei caratteri ereditari attraverso la diretta
influenza dell’ambiente;
 Ortogenismo: tendenza al progresso intrinseca a tutti i sistemi viventi.
Neolamarckisti noti: Cope, Osborne, Teilhard de Chardin.

Hugo de Vries, botanico olandese, p noto per aver riscoperto le leggi di Mendel, nel 1900, insieme
a Correns e Tschermak. È legato anche alla Instracellulare Pangenesis e alla Mutationstheorie con
le quali divenne estremamente noto alla sua epoca.
Incontra Darwin a Londra e in una lettera del 15 ottobre 1881 gli comunica che ha cominciato ad
occuparsi delle cause della variazione ereditaria nelle piante e che trova molto interessante la sua
teoria della pangenesi. Darwin muore l’anno dopo. A distanza di qualche anno, de Vries pubblica la
sua Intracellulare Pangenesis, una rilettura della pangenesi di Darwin fatta alla luce della
Zelltheorie e proprio inseguendo tale progetto di ricerca che si imbatte nelle leggi di Mendel, cui
segue lo sviluppo della Mutationstheorie.
Il mutazionismo di de Vries si basa su 2 assunti:
1. Esiste un pangene per ogni minimo carattere ereditario; e ciascuno di essi è indipendente
rispetto agli altri;
2. I pangeni variano e se ne formano di nuovi tipi; e questo produce mutazioni nell’organismo.
La selezione di “variazioni” nel senso di Darwin è troppo lenta, mentre quella di “mutazioni”
separa bruscamente e completamente una nuova forma dalla specie da cui deriva. La teoria di de
Vries si basava su risultati sperimentali ottenuti principalmente su incroci di Oenothera
lamarckiana, che portano alla comparsa improvvisa di individui con caratteri notevolmente diversi.

Morgan decide di intraprendere un programma di ricerca di evoluzione sperimentale volto


all’isolamento di “mutationem” nel senso devresiano anche negli animali e in questo periodo iniziò
ad usare la Drosophila a partire dal 1908.
Come de Vries, quasi tutti i sostenitori del mendelismo, compreso Morgan, nei primi decenni del
‘900 sono critici nei confronti sia do Darwin che del neodarwinismo.
Bateson, colui che ha coniato il termine “Genetics”, afferma nel 1909 che “l’evoluzione come
processo di trasformazione graduale di masse di individui attraverso l’accumulazione di variazioni
impercettibili è un concetto che la genetica mostra chiaramente essere falso”.
Johannsen, botanico e genetista danese, nel 1915 afferma che “la selezione di individui differenti
non crea niente di nuovo. È evidente che la genetica ha interamente privato la teoria darwiniana
della selezione delle sue fondamenta: il problema dell’evoluzione è ancora del tutto aperto”. Il
meccanismo della selezione è contrastato a favore della mutazione e dell’incrocio fertile.
Da queste posizioni deriva una generale opposizione alla spiegazione darwiniana dell’evoluzione; e
questo periodo di tempo che giunge sino agli inizi degli anni ’30 è definito dagli storici “eclissi del
darwinismo”. La selezione è considerata un fattore che agisce in maniera puramente negativa, nel
senso che elimina le deviazioni non utili ai diversi tipi biologici.
TEORIA SINTETICE DELL’EVOLUZIONE: IDEE, VICENDE E PROTAGONISTI.
La “sintesi evoluzionistica” inizia nella prima metà del ‘900, in materia di evoluzione e viventi.
Zoologo e sistematico, Mayr ha lavorato nel museo di storia naturale fino al 1932.
FANTINI: La elaborazione della teoria sintetica dell’evoluzione ha quattro componenti principali,
che definiscono anche quattro fasi temporali distine:
1. La prima pone le premesse in campo naturalistico per la comprensione dei meccanismo
della speciazione;
2. La seconda prende l’avvio alla fine degli anni ’20 e consiste nella nascita della genetica di
popolazione;
3. La terza fase è quella della costruzione teorica della teoria sintetica, che copre il decennio
che va dalla metà degli anni Trenta al 1947;
4. La quarta vede la diffusione e il consolidamento della teoria.

Dopo le genealogie mendeliano e le mappe cromosomiche della scuola di Morgan, sembra


importante studiare la distribuzione della frequenza dei diversi gene nelle popolazioni naturali.
Nasce così la cosiddetta Genetica delle popolazioni e lo sviluppo di questa è legata soprattutto ai
nomi di Wright, Fisher e Haldane. Wright è noto per i suoi studi sul mantello delle cavie; Fisher per
la sua intenzione di rendere la teoria dell’evoluzione altrettanto rigorosa delle scienze fisiche;
Haldane per l’idea del brodo primordiale. Tutti e tre i fondatori condivisero almeno un paio di
elementi comuni: l’ideale quantitativo e deterministico e il tentativo di integrare i risultati teorici
con le ricerche pratiche naturalistiche, in materia di evoluzione.
La trattazione statica dei dati genetici e l’analisi matematica consentono quasi di fare a meno di
guardare al fenotipo degli organismo perché basta riferirsi al cambiamento che avviene all’interno
del pool genetico della popolazioni.
4 personalità scientifiche di maggior rilievo:
GENETICA: Debzhansky
PALEONTOLOGIA: Simpson
SISTEMATICA: Mayr
EMBRIOLOGIA: Huxley
Nel 1947 ci fu un Congresso in America dal titolo “Genetics, Paleontoly and Evolution”. Al cogresso
parteciparono esponenti di tutte le discipline che si erano lungamente contrastate nei decenni
precedenti. Questo consenso era fondato su due punti principali:
1. Gradualità dell’evoluzione: mutazioni e ricombinazioni individuali di piccole entità, possono
essere favorite o sfavorite dalla selezione naturale;
2. La popolazione naturale è l’unità evolutiva fondamentale: gli individui sono il bersaglio della
selezione, ma le specie incipienti sono le popolazioni.
La sintesi promuove-conferma un concetto di “selezione naturale” che non è un processo del
“tutto o niente”, ma ha l’aspetto di una riproduzione differenziale di individui.
Concetto di fitness riproduttiva: entità del contributo in termini di geni fornito da ciascun
individuo al pool genetico della popolazione nella generazione successiva.
Gli individui meglio adattati forniscono contributi maggiori rispetto a quello che lo sono meno. Si
dirà quindi che gli uni hanno una fitness maggiore rispetto agli altri.

Principio di Hardy-Weinberg:
la composizione del pool genico delle popolazioni naturali rimani invariata da una generazione
all’altro se non intervengono fattori capaci di far variare al suo interno le frequenze relative dei
geni.
L’unico fattore di cambiamento di natura deterministica è la “selezione naturale” e, considerando
che la novità evolutiva è del tutto casuale il neodarwinista sintetico afferma che l’evoluzione è un
processo a cavallo fra la casualità e il determinismo.
XIV capitolo - IL PERIODO POST-SINTETICO
La “sintesi di Princeton“ del ’47 porta con sé un periodo di relativa tranquillità. Le prime critiche
alla nuova teoria darwiniana dell’evoluzione per selezione naturale iniziano negli anni Sessanta.
Riguardano non tanto l’assetto di vase della teoria, quanto il ruolo esplicativo di alcune sue
componenti: in pratica si discute della importanza relativa da attribuire a certi aspetti. Vi sono detti
punti della teoria considerati “deboli” da un punto di vista metodologico o sperimentale. Da un
lato c’è chi ritiene che si devva operare una “nuova grande sintesi”, in grado di abbracciare e
armonizzare le nuove determinazioni emerse. C’è chi pensa che i presunti “temi e nuovi punti
emersi”, in realtà, facciano già parte della teoria. Elemento comune sembra essere il riferimento a
Darwin. Gould ha scritto che “la sintesi moderna ha fallito nelle sue tesi principali:
l’estrapolazionismo, la quasi esclusiva fiducia nella selezione naturale e il gradualismo”. Di qui la
necessità di una teoria dell’evoluzione nuova e generale.
Stebbins e Ayala ritengono, in un articolo, che tutte le diverse discussioni emergenti riguardano
aspetti che richiedono semplicemente precisazioni e approfondimenti, quindi non c’è affatto
bisogno di “nuove sintesi”. La polemica però è ancora del tutto aperta.
L’elaborazione della teoria del neutralismo è legata soprattutto all’Istituto Nazionale di Genetica di
Mishima, in Giappone e ai nomi Kimura, Ohta e Maruyama. Dall’Università del Texas di Huston, Nei
e collaboratori hanno partecipato collegando le previsione teoriche con le osservazioni pratiche.
Risultati analoghi, ma indipendenti, sono stati raggiunti King e Jukes presso i laboratori di genetica
della California University di Berkeley: fra Kimura e collaboratori, da un lato, King w Jukes, dall’altro,
c’è stato accordo sui principali risultati di lavoro, ma non sulle conseguenze che ciò comportava per
la teoria sintetica dell’evoluzione. Motoo Kimura presentò le sue tesi alla fine del 1967 e fu subito
scalpore, ma il dibattito si aprì l’anno successivo, quando apparvero un paio di suoi articoli, di cui
uno sulla rivista “Nature”.
L’idea di base del neutralismo nella evoluzione molecolare è che la maggior parte delle sostituzioni
nucleotidiche durante l’evoluzione sia dovuta alla fissazione casuale di alleli neutrali o quasi
neutrali, piuttosto che a selezione positiva darwiniana; e che anche molti polimorfismi enzimatici
siano soggetti allo stesso meccanismo. In pratica, le sostituzioni di nucleotidi all’interno dei geni
sembrano avvenire del tutto casualmente, cosicchè la frequenza dei diversi alleli all’interno del
pool genico delle popolazioni naturali sembra indipendente dalla selezione darwiniana, poiché
sembra guidata dalla sola deriva genetica.
I neutralisti hanno studiato diverse proteine complesse, tra cui l’emoglobina, o il citocromoC.
Sembra che gli amminoacidi siano sostituiti con regolarità nel corso del tempo. Ogni proteina ha la
sua velocità. Le catene α dell’emoglobina hanno 1 nucleotide ogni 7mln anni; la velocità più bassa
è delle proteine isotoniche. Nel 1972, il genetista Nei ha messo a punto un metodo matematico
per misurare la “distanza genetica” fra i gruppi di organismi, sulla base dei diversi alleli presenti in
essi nelle varie proteine funzionali. Più alto è il numero di sostituzioni nucleotidiche e di alleli
differenti, maggiore sarà la distanza genetica di gruppi differenti nel corso della filogenesi. Da qui è
nata l’idea di ciò che oggi si chiama orologio molecolare dell’evoluzione dei viventi.
Ohta, collega e collaboratrice di Kimura e Mishima, si è spinta anche oltre, dimostrando che alcune
di queste sostituzioni periodiche regolari e tipiche di ciascuna proteina nn sono solo neutre o quasi
neutre, ma talvolta addirittura “deleterie”, per il portatore o, meglio, “quasi-deleterie”, quel tanto
che consente all’organismo comunque di sopravvivere, anziché perire.
Lo studio dell’evoluzione molecolare rivela una variabilità maggiore rispetto a quella attesa
nell’ambito fenotipico. Il cambiamento evolutivo a livello degli acidi nucleici non sembra governato
dalla selezione naturale, ma da fluttuazioni casuali di varianti equivalenti a livelli adattivo.
La questione del ruolo delle mutazioni neutrali nell’evoluzione è ancora un problema aperto.
L’articolo nel quale King e Jukes comunicavano i propri risultati si intitolava Non Darwinian
evolution e, sin dall’inizio, il gruppo dei giapponesi ha preso le proprie distanze da questo
approccio, preferendo la conciliazione col darwinismo ortodosso. Attualmente, i genetisti
molecolari cerca di integrare i risultati del neutralismo con il darwinismo più ortodosso, ricordando
che Darwin ammetteva variazioni vantaggiose, neutrali e deleterie.
La cosiddetta “teoria degli equilibri punteggiati” è stata proposta nel 1977 da entrambi
paleontologi, Elderedge e Goyld. Simpson e altri fautori della teoria sintetica avevano troppo
enfatizzato casi-limiti di transizione graduale da una specie all’altra, come l’esempio degli equidi.
Nei fossili, in realtà, si vede tutt’altro. Eldredge aveva studiato a lungo la evoluzione dei trilobiti nel
Devoniano notando che essi tendono a mantenersi stabili nel tempo, variando sotto l’aspetto della
sola radiazione adattativa. La teoria degli equilibri punteggiati è una critica del gradualismo filetico,
basata su una visione discontinui sta dell’evoluzione. I processi darwiniani dovrebbero funzionare
esattamente nel modo mostrato nei documenti fossili. È il gradualismo che va rigettato, non il
darwinismo. Per Eldreadge e Gould, le specie si presentano stabili per lunghi periodi di tempo
nell’apparete assenza di cambiamenti evolutivi, per poi essere bruscamente sostituite da nuove
specie sostituite da nuove specie, spesso nel giro solo di qualche migliaio di anni. Il modello di
transizione graduale richiede la presenza di forme fossili intermedie che non esistono. Negli
equilibri punteggiati si suppone che vi sia una origine “rapida” o ”brusca” di nuove specie, che
originano da piccole popolazioni a partire da specie preesistenti. Verso la fine degli anni ’90,
Eldredge e Gould sono tornati sull’argomento degli equilibri punteggiati, lamentando il fatto che,
nonostante la maturità non c’è ancora stata una piena accettazione presso gli addetti ai lavori. Una
spiegazione di ciò è il fatto che la questione è legata al dibattito-confronto fra micro e
macroevoluzione.
V’è differenza nel trattare di adattamenti di specie e di popolazioni al proprio ambiente. In un caso
si tratta di micro e nell’altro di macroevoluzione. Il fattore “tempo” è di certo importante nella
scala dei fenomeni micro e macroevolutivi. La sintesi evoluzionistica ha esteso in maniera a-
problematica il cambiamento graduale che avviene nei pool genici delle popolazione naturali nel
tempo ai grandi rivolgimenti epocali nell’evoluzione, ma potrebbe trattarsi di processi diversi, con
differenti meccanismi d’azione. Altri elementi di cui tener conto sono la modalità della speciazione
e la sopravvivenza differenziale delle specie nel corso delle ere geologiche.
Attualmente i due modelli della speciazione sono il filetico o anagenetico e il cladogenetico.
Secondo il primo, nella successione degli strati geologici si vede la sostituzione di una specie con
un’altra, mentre per il secondo ogni specie è sempre sostituita da varie nuove specie. Per i
saltazionisti, la speciazione filetica, graduale, descrive semplicemente la radiazione adattiva delle
specie, nel “breve” periodo. Cioè le specie tendono ad occupare tutto l’areale di esistenza a loro
disposizione; e nei diversi micro-habitat, le popolazioni si diversificano e talvolta speciano.
Nel caso delle grandi estinzioni e altri rivolgimenti evolutivi, invece si osserva la letterale
scomparsa di certe specie e la loro sostituzione con nuove specie; la radiazione evolutiva; la
stabilizzazione di alcune, che diventano preponderanti rispetto ad altre. Nel 1980 una paleontologa
di Yale, ha proposto una teoria della sopravvivenza differenziale delle specie, che è una
competizione senza “selezione” fra specie.
La specie che resta, o resiste, è avvantaggiata dall’avere un carattere particolarmente adatto
all’ambiente in cui si trova, come ad esempio, la dentatura o gli zoccoli degli equidi.
Il fenomeno della sopravvivenza differenziale delle specie, nella stratigrafia geologica, dà
l’apparenza di una linea evolutiva graduale e continua, ma non si tratta di trasformazione di una
specie in un’altra, se non in senso lato e comunque nel breve periodo. Il cambiamento graduale
genetico-popolazionale sembra inconciliabile con la documentazione fossile.
Micro e macroevoluzione vanno distinte: la macro- non è il risultato della somma di
microevoluzioni, ma è basata su meccanismo propri e autonomi.
Esistono caratteri chiaramente inutili oppure dannosi per l’organismo che ne è il portatore. Un
uccello che cova è più esposto all’attacco di predatori. Nella morfologia, si pensi alle ghiandole
mammarie, oppure ai marsupi, caratteri che iutano nella riproduzione, ma che rendono la
sopravvivenza del portatore più precaria, per motivi che vanno da una riduzione dell’agilità ad una
maggiore predisposizione a malattie.
Insomma, negli organismi v’è una certa quantità di caratteri che non è di alcun vantaggio per il
portatore; e ciò fa escludere a priori che si tratti di una selezione darwiniana ortodossa a livello di
individui. Bisogna far ricordo ad altri livelli di organizzazione biologica, al di sopra di quello
organismico (gruppo) oppure al di sotto (geni e pool genici). L’esistenza dell’altruista, nelle
popolazioni naturali, è paradossale dal punto di vista dawiniano ortodosso. La questione, nota
come paradosso di Fisher è nota sin dagli anni ’30; e può essere espressa e formalizzata anche in
termini rigorosamente matematici.
I padri della genetica di popolazioni ammettevano il linea di principio l’esistenza di questo tipo di
selezione, sopra-ordinata rispetto al livello organistico, ma dubitavano che il meccanismo
funzionasse davvero in natura. Il primo biologo a proporre la formalizzazione ufficiale è stato
Wynne-Edqards.
Hamilton, matematico e biologo inglese, che ha sostenuto che l’apparente altruismo in natura è
una forma di “egoismo”,perché tutto si può spiegare sulla base di un indice di parentela
determinato sulla base degli ascendenti comuni. All’indice di parentela corrispondono determinati
valori di incluve fitness, che decidono il destino dei comportamenti altruistici.
THE KIN SELECTION
Secondi cugini, 6 passi: 2x(1/2)6 = 2x1/64 = 1/32
Primi cugini, 4 passi: 2x(1/2)4 = 2x1/16 = 1/8
Fratelli, 2 passi: 2x(1/2)2 = 2x1/4 = ½
Se stessi, 0 passo: indice 1
La kin selection sostiene che gli animali sono maggiormente predisposti ad aiutare altruisticamente
i propri parenti, piuttosto che gli estranei della loro popolazione, o specie. Da ciò sono derivate due
interpretazioni: Williams e Maynard Smith hanno sostenuto che la kin selection riporta la
spiegazione dell’altruismo all’interno del paradigma darwiniano ortodosso, perché in realtà si
difende il proprio patrimonio genetico.
Dawkins, ritiene invece che l’interazione fra gli individui sia condizionata dalla competizione per la
sopravvivenza di geni che sono gli unici a perdurare nello spazio-tempo.
È il gene, non l’individuo, o la popolazione, la vera unità di selezione e di evoluzione. La vera
competizione su cui agisce la selezione naturale è quella fra alleli alternativi, all’interno del pool
genico. Gli organismi non sono altro che “macchine” per la sopravvivenza dei geni; e come tali, essi
sono “usati” dai geni per interagire, riprodursi e diffondersi.
Una proposta alternativa alla riconduzione della selezione o dall’individuo darwiniano o al gene, è
giunta da numerosi biologi statunitensi, newyorkesi o harvardiani e consiste nell’idea di
considerare l’evoluzione come il risultato di processi selettivi che avvengono a diversi livelli di
organizzazione biologica. Spetta al singolo ricercatore riuscire a capire, a seconda dei casi, quale sia
l’unità di interazione, quella di vantaggio selettivo e quella di evoluzione. Si tratta di un nuovissimo
approccio USA allo studio dell’evoluzione che si basa sul confronto fra i processi di sviluppo di
differenti viventi per tentare di determinare le relazioni ancestrali fra gli organismi e capire come si
siano articolati i processi evolutivi. Questo approccio consente di accoppiare l’analisi genetica a
quella della forme e a quella ambientale, considerando il processo evolutivo come un tutt’uno
integrato.

Potrebbero piacerti anche