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LA DINASTIA DEI FLAVI

Il regno di Galba, che subentrò a Nerone, durò circa un anno (fino al 69), in quanto fu assassinato
dai pretoriani. Quest’anno fu ricordato come “l’anno dei 4 imperatori”, in quanto portò ad una
guerra civile per chi dovesse succedere a Galba, che portò sul trono Vespasiano. Egli fu il capostipite
della dinastia dei flavi, una famiglia che diversamente dagli imperatori della gens giulio-claudia non
poteva vantare la lontana parentela con Cesare e Augusto, costringendoli dunque, a legittimare il
loro ruolo con la forza e con la gloria militare. Infatti, Vespasiano si guadagnò prestigio attraverso
una lunga carriera militare e affrontò la questione dell’autorità imperiale, pubblicando la lex de
imperio Vespasiani, con la quale il princeps cessava di essere una figura semidivina e diventava una
sorta di supremo magistrato dello Stato. Inoltre, diversamente da Nerone, non amava la cultura
orientale, tanto che arrivò ad espellere da Roma intellettuali greci e asiatici e ad istituire scuole
pubbliche con insegnanti pagati dallo stato. Riuscì inoltre a ripianare i bilanci, devastati da Nerone,
tanto da arrivare a costruire il Colosseo, inaugurato in seguito dal figlio Tito. Tito, successe al padre
nel 79, forte della vittoria sugli ebrei in rivolta e del saccheggio del tempio di Gerusalemme nel 70.
Regnò per breve tempo, fino all’81, e del suo principato si ricorda principalmente l’eruzione di
Pompei ed Ercolano, nel 79, e di come il princeps si adoperò a tal punto per aiutare la popolazione
in difficoltà, da guadagnarsi l’appellativo di “l’amore e la delizia del genere umano”. Domiziano, il
fratello, regnò dall’81-96 e sotto il suo comando, Roma conquistò parecchi successi militari. Ciò
nonostante, questi accentrò sempre più ogni potere nelle sue mani, arrivando a farsi chiamare
“dominus et deus”, cioè “signore e dio”. Contro gli oppositori, Domiziano agì attivando procedure
poliziesche e giudiziarie, arrivando, ad esempio, a espellere per ben 2 volte i filosofi da Roma. Per
questo motivo, con una congiura ordita dalla moglie Domizia, dai pretoriani e da alcuni senatori, nel
96 fu ucciso e si procedette, come per Nerone alla damnatio memoriae, cancellando il suo nome da
tutti i monumenti pubblici.
Quindi, tra i principali successi della politica dei flavi si ha: una valorizzazione della componente
militari, un miglioramento della gestione fiscale e la concessione dei diritti romani ad alcune
province. Si andò a sviluppare in questo periodo una letteratura del consenso, ovvero di elogio alla
figura del princeps e i pochi poeti, come Marziale, che erano lontani dalla celebrazione del potere,
furono costretti a farsi mantenere da qualche generoso aristocratico.

PLINIO IL VECCHIO
Quando nel 79 d.C. vi fu l’eruzione del Vesuvio, che avrebbe causato la distruzione di Pompei ed
Ercolano, egli fu testimone oculare e, mosso dal desiderio di aiutare le popolazioni in pericolo e di
comprendere la natura del fenomeno, si recò sul posto, dove morì per asfissia a causa delle
esalazioni tossiche o per un collasso cardiaco.
La sua opera principale è “La naturalis historia”, una sorta di enciclopedia, dedicata al futuro
imperatore Tito. Quest’opera ebbe un grande valore documentario e venne incontro alle esigenze
di informazioni pratiche richieste dalla nascente burocrazia imperiale e dai ceti emergenti. L’opera
è caratterizzata da orgoglio nazionalistico, durante la descrizione dei prodigi architettonici delle
opere pubbliche romane e interesse per i mirabilia, ovvero i fenomeni o aneddoti straordinari.
Inoltre dedica spazio a riflessioni di carattere generale, come per la critica al lusso e alla corruzione
dei costumi, in cui si ispira al tradizionale moralismo romano. Infine egli crede la natura come un
organismo vivente superiore all’uomo, caratterizzato da fragilità e precarietà. Nel lessico, utilizza
vocaboli tecnici, neologismi, volgarismi e grecismi.

QUINTILIANO
Il “De causis corruptae eloquentiae” che tratta della decadenza della retorica a causa della
mancanza di buoni maestri e delle degenerazione dei costumi. A Quintiliano vengono attribuite
anche le Declamationes, raccolte in maiores, che però alcuni critici non attribuiscono allo scrittore,
a causa dell’uso dell’asianesimo, non particolarmente apprezzato da Quintiliano; e minores,
attribuite solo in parte a lui, mentre le altre si pensa che sia materiale raccolto durante le sue lezioni
e pubblicato in seguito da qualche allievo.
“L’institutio oratoria”, trattato di 12 libri, è un manuale per l’oratoria. Quintiliano infatti, pensa ad
una scuola che debba formare un futuro oratore, riprendendo la teoria del vir bonus dicendi peritus
(uomo di valore esperto nel dire) di Cicerone e Catone. E’ un opera che richiama alcune parole
d’ordine care alla dinastia flavia: moralismo e recupero dei modelli passati. Considera la filosofia
una disciplina utile al formazione del futurus orator, ma con un ruolo inferiore rispetto alla retorica,
infatti la considera solo come uno strumento e inoltre critica i filosofi contemporanei accusandoli di
avere vizi gravissimi, affermazione in sintonia con la doppia espulsione dei filosofi greci da parte di
Domiziano, che li riteneva potenziali oppositori.
Si può parlare di classicismo quintilianeo in quanto i modelli “classici” ritenuti necessari alla
formazione dell’oratore sono autori latini dell’età tardo repubblicana come Virgilio, Orazio, Livio e
soprattutto Cicerone. Quintiliano inoltre, introdusse alcuni elementi innovativi di natura
pedagogica, preferendo, ad esempio, un’istruzione scolastica piuttosto che una familiare, a patto
che i docenti assumano un compito “paterno” evitando punizioni corporali e dando il giusto tempo
al gioco in quanto dalla scuola nascono “amicizie che durano solidissime fino alla vecchiaia”. In
queste affermazioni è chiara la sua passata esperienza come professore di retorica. Tenta di
recuperare il modello ciceroniano, restaurando quell’equilibrio formale estraneo all’età neroniana.
Il lessico è sobrio e semplice anche se a tratti piatto e ripetitivo.
MARZIALE
Marziale scrisse 1561 epigrammi, ma i componimenti più famosi sono racchiusi all’interno del Liber
de spectaculis, pubblicato nell’80, in occasione dell’inaugurazione del Colosseo da parte di Tito. Il
Liber assicurò immediata notorietà al poeta e comprende epigrammi colmi di adulazione per il
princeps e descrizioni dei giochi offerti dall’imperatore (gladiatori, battaglie navali e “quadri
mitologici” in cui il protagonista veniva fatto a pezzi dalle belve). Nei confronti del pubblico
l’atteggiamento di Marziale è lontano da quello sdegnoso di Giovenale, infatti l’epigrammista mira
a piacere ai lettori, che considera più importanti dei critici (“meglio che le mie portate piacciano non
ai cuochi, ma agli invitati”), e tra questi spicca l’élite del tempo.
I temi trattati sono vari:
- Epigrammi conviviali, di intrattenimento e dedicatori furono composti da Marziale per i suoi
patroni;
- Quelli celebrativi ed encomiastici, dedicati a Tito e Domiziano;
- Di argomento autobiografico, nel quale si rifà ad autori come Catullo e Orazio, nel quale sono
presenti riflessioni sull’amicizia, su una filosofia di vita sana, sulla nostalgia per la città natale
e sulla bellezza e serenità; gli epigrammi funerari raggiungono raffinati livelli di pathos;
- La rappresentazione dell’eros in Marziali predilige toni crudi, con la presenza di particolari
anatomici su pratiche sessuali più o meno perverse;
- Sulla tematica comico-satirica, l’autore descrive tutti gli aspetti sia della vita sociale, colta
nei suoi lati quotidiani, sia della vita degli uomini, mostrati in una sorta di grottesca galleria
nei loro tentativi di soddisfare i bisogni primari e di conseguire i loro obiettivi (carriera,
guadagno etc.).
In questo gusto di rappresentare in modo realistico e spregiudicato il quotidiano, Marziale non
mostra alcun intento morale. Infatti, a differenza di Giovenale dove predomina una valutazione etica
dei modelli di comportamento, negli epigrammi di Marziali, l’autore riveste un ruolo di semplice
osservatore.
Il lessico è caratterizzato da brevità (con l’eccezione di alcuni componimenti) e da grande varietà di
temi. Inoltre è caratteristica la suddivisione degli epigrammi in due parti: la prima con una struttura
semplice, la seconda, costituita dal fulmen in clausola, ovvero un giudizio o una battuta finale. Il
linguaggio è immediato e colloquiale e si rivolge direttamente al lettore. Utilizza vocaboli comuni,
diminutivi e talora linguaggio specialistico o poetico catulliano.

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