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INTERVENTO DI RENZO ARCON AL CONVEGNO

PER IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI MASSIMO SCALIGERO

organizzato dal Gruppo di Via Beccaria della Società Antroposofica di Trieste,

Trieste, venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 dicembre 2006

Buonasera, io sono Renzo Arcon.


Altre volte ho parlato qui, ma l’argomento era molto più leggero e molto più facile, perché
mi occupo di storia e quindi parlare di storia è molto più facile che parlare di argomenti così grandi,
come quello di questa sera.
L’amico Fabio ha già detto più o meno quello che avrei detto anche io, molto più male di lui
ovviamente. Ebbene per parlare di una personalità come quella di Massimo, fatalmente si
incontrano due vie, due-tre vie, come ha ricordato l’amico Fabio. Io vorrei dirle in una maniera più
colloquiale, meno precisa forse, e cioè si finisce fatalmente a parlare di se stessi, quasi
autoincensandosi per aver meritato di aver conosciuto Massimo, oppure si finisce per fare a nostra
volta dell’accademia, facendo vedere quanto siamo bravi a ripercorrere le idee del Maestro con le
nostre parole e quanto siamo quindi capaci di aver penetrato la sua opera. E questo è fatale, perché
come si fa a parlare di una personalità come Massimo, presumendo di conoscerla? Chi può dire di
conoscere o di aver conosciuto veramente Massimo? Massimo poteva essere per qualcuno
veramente il Maestro con la emme maiuscola, perché gli aveva dato una direzione che avrebbe
condizionato, in maniera naturalmente positiva e libera, tutto il resto della sua vita. Poteva essere
anche il gentile e buon vecchietto che ascoltava i tuoi sfoghi personali. Quelli di ogni giorno. C’era
gente che si faceva chilometri per dire a Massimo: "ho delle difficoltà sul lavoro", "ho delle
difficoltà con mia moglie". Massimo accoglieva sempre tutti. Oppure poteva essere anche il vecchio
amico. Quello con il quale siamo cresciuti insieme. Che quasi quasi ci meraviglia il fatto che sia
andato tanto in su, mentre noi siamo rimasti un po’ più in giù. Ma sempre il vecchio amico. Tutte
queste caratterizzazioni di Massimo sono vere.
Ma non sono Massimo.
Chi può dire chi era Massimo? Potrebbe dirlo soltanto colui che l’avesse a incontrare
veramente. Ma per incontrarlo veramente dovrebbe ripercorrere il suo cammino e guardarlo negli
occhi, alla sua stessa altezza. Certamente io non sono in grado di farlo. E non lo farò.
Potrei quindi ritornare sulla prima ipotesi e raccontarvi com’è che ho conosciuto Massimo e
quindi ricadere appunto nella fattispecie della persona che finisce per parlare di se stessa. E
certamente posso farlo: in due parole ve lo posso anche dire, anche perché questo aneddoto, poi mi
permetterà, forse, di dare un’idea di cosa uno poteva sperimentare entrando nello studio di
Massimo, per la prima volta.
Vedete, io provenivo da una lettura particolare, e diciamo pure personale, dell’opera dello
Steiner, che avevo iniziata già da molti anni, prima di incontrare Massimo. Poi mi ero assentato
dalla compagnia degli amici per obblighi di tipo militare. Quando ero tornato indietro gli amici
avevano conosciuto Massimo Scaligero e ne erano rimasti folgorati. A tal punto che m’hanno rotto
le scatole in continuazione con ‘sto Massimo Scaligero. E m’hanno rotto le scatole in maniera tale
che io sul momento mi dissi: "Questo mi sta antipatico perché sa tutto lui, fa tutto lui, ‘sti libri che
scrive, poi, sono complicatissimi, difficilissimi. Quasi quasi usa quella dialettica che critica… la usa
proprio lui. Fa della filosofia..." a me, non m’andava giù. Però dovevo conoscerlo. Mi era
necessario conoscerlo, altrimenti come avrei potuto bilanciare questo giudizio? I giudizi sono
sempre di parte e bisogna sempre cercarne un altro per bilanciare il primo. E quindi mi decisi a
scendere a Roma e a incontrare Massimo Scaligero. Ci andai prevenuto! Perché ero giovane e i
giovani prendono delle posizioni assolute, e quindi quando si convincono che qualcosa non gli va a
genio, è difficilissimo fargli cambiare idea. Con la logica non si riesce a far cambiare idea a un
giovane che ha già la verità in tasca: impossibile! Bisogna usare qualche altro sistema. E io questo
sistema lo trovai, mi imbattei in questo sistema. Perché salite quelle scale - Massimo stava al piano
più alto della casa - ...salite quelle scale con questi pensieri che mi volgevano in capo e dicevano:
"Ma no! Ma io ho già letto quasi tutti i libri dello Steiner... questo cosa mi vuole raccontare ancora?
Sì, vabbè.... scrive bene, c’ha una logica molto serrata, ma questo cosa vuol dire?" Ero lì per
bussare alla porta... che questa si aprì.
Signori, che vi posso dire? Lo dico sinceramente come l’ho sperimentato. Un’allucinazione,
una visione? Mi aprì la porta Rudolf Steiner. Rimasi impietrito.

Immagino il divertimento di Massimo a vedere la mia faccia. Immaginatela impietrita e


avrete quello che vide Massimo Scaligero. Poi le cose si adeguarono alla realtà e Massimo
Scaligero divenne Massimo Scaligero e non più Rudolf Steiner. Però questa impressione rimase
profondamente inserita nella mia anima. Non perché io avessi preso l’abbaglio di scambiare
Massimo Scaligero e Rudolf Steiner, ma perché vi vidi, fuori di me, oggettivamente, il
collegamento vivo. Questo naturalmente emerse dopo molto tempo.
E così conobbi Massimo. E parlai con lui ma ad un tratto però (e questo si ripeté nei miei
incontri successivi con Massimo) mi accorsi di una cosa: quando parlavo con Massimo, o meglio
quando lui parlava con me perché io poco avevo da dire, se non i convenevoli e qualche domanda
che dovevo fargli, mi sentivo portato ad un livello diverso di coscienza, rispetto a quello col quale
ero entrato nella stanza. Era come se, senza perdere lucidità, ma anzi acquistandone di maggiore,
fossi portato un po’ oltre alla coscienza normale e la prova di questo sia il fatto che se avevo un
problema di tipo umano banale, col quale magari mi tormentavo per mesi e quindi era il motivo per
il quale ero sceso fino a Roma per trovare una risposta, o un’indicazione o un esercizio, o qualcosa
del genere... ebbene quel problema che mi sembrava catastrofico, non esisteva più. Era lì, più basso,
sotto, messo da parte. Perché? Che cosa succedeva quando incontravo Massimo? Perché quel
problema che per me era drammatico diventava di colpo un niente, un qualche cosa che non aveva
più importanza, che non poteva incidere sulla mia vita come aveva fatto fino a pochi minuti prima?
Massimo era di origini calabresi, ma viveva a Roma. E Roma ha un’atmosfera particolare,
ha una storia unica. Gli antichi romani avevano due principi ai quali si rifacevano ed erano: la
dignitas e la pietas. Ci sarebbe da parlare per ore su una cosa di questo genere!
Gli antichi romani, diceva Rudolf Steiner, potevano vedere gli dèi camminare in mezzo a
loro. Questa presenza che era intessuta nel loro tessuto - scusate il bisticcio di parole - sociale li
portava ad assumere, come popolo, e come singole persone, una dirittura morale: quel mos
maiorum che permise loro di conquistare il mondo. Perché avevano l’assoluta verticalità di una
compiuta umanità.
L’umanità di quel tempo era completamente incarnata. Era completamente umana nel senso
fisico. Era qui, presente. E questa era una dignitas.
Ma nel contempo c’era questa pietas per cui gli antichi romani riuscivano veramente ad
incontrare gli dèi, ad avere uno scambio con forze che si muovevano in mezzo a loro e che non
erano fisiche. Tutto questo è profondamente inserito nel suolo di Roma. E Massimo è lì che è
andato ad operare. Perché?
Perché forse Massimo - ma questa naturalmente è un’opinione mia, un punto di vista
particolare, ve ne possono essere infiniti… ma io devo darvi il mio, non posso darvi quello di un
altro - …Massimo prese proprio questa base: dignitas e pietas. Attraverso le quali era passato però
il Cristo, c’era stato un attimo nella storia dell’umanità in cui il Logos solare era penetrato fino
all’interno della Terra. Questo aveva stravolto completamente questa base del mos maiorum degli
antichi romani, ne aveva fatto qualche cosa d’altro. In Massimo questo era presente. In che modo?
La dignitas è l’uomo compiuto. Ma l’uomo compiuto non può essere soltanto quello che siede su
queste sedie, c’è qualche cosa di più. E l’uomo compiuto, come diceva Fabio prima, realizza
veramente quella struttura divina che porta con sé e che l’evento del Golgota ha illuminato di un
sole, che è l’Io.
Poiché è compiuto, questo uomo non può non incontrare altri uomini. E da qui la pietas, che
non è più rivolta al mondo degli dèi, che ormai noi non vediamo più, che per noi non esiste, ma è
rivolta ad un mondo di dèi incarnati: che siete tutti voi, che siamo tutti noi. L’uomo che realizza la
dignitas incontra l’uomo mediante la pietas. Questo mi ha mostrato Massimo. Ma non me l’ha
mostrato perché me l’ha detto, non me l’ha mostrato perché lo ha scritto, tutto quello che ha scritto
Massimo è grandioso e spiegarlo sarebbe cosa assolutamente impossibile, specialmente poi in una
sede come questa. Ripercorrere il pensiero di Massimo è realizzare questa dignitas. E allora
Massimo poteva permettersi di incontrare una persona e mostrargli una cosa di questo genere,
tirando fuori dalla sua contingente prigionia del momento, per metterlo di fronte a se stesso, ma
simultaneamente di fronte anche agli altri uomini.
Dargli la dignitas e insegnargli la pietas.
Grazie.

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