GIOVANNI COLAZZA
Nel commemorare Hermann Joachin, Rudolf Steiner citò le belle parole scritte da Hermann
Grimm allorché morì Walther Robert Tornow: “Egli si distacca dalla compagnia dei viventi; egli
viene accolto dalla compagnia dei morti. Gli è come se si dovessero istruire anche i morti su chi
entra nelle loro file” (“Aus dei Gesellschaft der Lebenden scheidet er aus; in die Gesellschaft der
Toten wird er aufgenommen. Es ist, als müsse man auch diese Toten davon unterrichten, wer in
ihre Reihen eintritt”, IVª conferenza, “Il Karma del Materialismo”, del 21/08/17). E nella prima
conferenza del medesimo ciclo, a proposito del pensatore Afrikan Spir, Rudolf Steiner parla della
possibilità che uno che abbia passato la Soglia della Morte venga a trovarsi in una condizione di
disagio per il fatto che i suoi pensieri, pur essendo importanti, non abbiano potuto trovare
comprensione negli altri uomini, sicché il trapassato, tutto rinserrato in sé, continua a custodirli,
finché un vivente non lo sciolga dall’incantesimo rivelando il contenuto ed il valore dei suoi
pensieri. Questo fece Rudolf Steiner per Afrikan Spir, la cui condizione spirituale venne perciò
radicalmente cambiata dalla comprensione postuma.
Da questo vediamo come la comprensione dell’intimo travaglio di uno che è trapassato,
purché fatta nel senso della verità, abbia funzione di viatico indispensabile per colui che si trova al
di là della Soglia.
Il Dott. Giovanni Colazza, che, all’età di 76 anni, ha lasciato improvvisamente il piano fisico
il 16 febbraio, era una figura molto complessa, sì che nel parlare di Lui nel senso giusto, si deve
usare particolare circospezione per non alterarne la fisionomia. Chi ha passato la Soglia ha bisogno
di ritrovarsi nel ricordo dei viventi nella verità della propria positività e non nelle semplici frasi
elogiative che si usano in tali occasioni.
Pochi giorni prima di morire, disse con vera gioia ad una vecchia amica antroposofa: “Sa, in
questi giorni ho compiuto cinquant’anni di Antroposofia!” Già da questo si comprende come il
nostro amico avesse fatto dell’Antroposofia, per mezzo secolo, il massimo interesse della Sua vita,
la quale fu perciò strettamente intrecciata allo sviluppo del Movimento Antroposofico in Italia.
Aveva avuto un profondo rapporto di amicizia con la Sig.na Maria von Sivers, ancora quale
esponente della Società Teosofica, e fu Lei a presentarlo a Rudolf Steiner. L’incontro, quanto mai
interessante, avvenne in Roma. Una personalità che pure seguiva allora il movimento teosofico e
che in seguito divenne un esponente molto ragguardevole dell’Antroposofia nel mondo, aveva
avvertito il Dott. Colazza di diffidare di Rudolf Steiner, per cui al primo incontro il Dott. Colazza fu
piuttosto riservato e non si sentì di aderire subito. Più tardi raccontò, però, che, prima ancora di
vedere fisicamente Rudolf Steiner, avendo voltate le spalle, aveva avvertito intorno a lui la presenza
di una forza eccezionale. Rudolf Steiner, con molta cortesia, diede al Dott. Colazza il libro
“Iniziazione”. Colazza si diede subito a quello studio e, appena letto il libro, riconobbe il Maestro
e divenne suo discepolo. Da allora incominciò il Suo instancabile lavoro antroposofico.
Rudolf Steiner ebbe a dire di Lui che Egli non lo conosceva, ma che gli era stato indicato dal
mondo Spirituale. Per iniziativa del Dott. Colazza venne fondato in Roma il Gruppo Novalis, per il
quale Rudolf Steiner diede una speciale meditazione, considerandolo come un Suo figlio prediletto.
Ogni anno il Dott. Colazza prendeva contatto con Rudolf Steiner e con la Sig.a Steiner. Egli fu a
Monaco ove prese parte alla prima Scuola Esoterica di Rudolf Steiner e assistette alla
rappresentazione del primo Mistero. Ci teneva a rendere testimonianza oggettiva della
considerazione altissima in cui Rudolf Steiner teneva Marie von Sivers nell’ambito della Scuola,
ove figurava sempre come “ad latere” del Maestro.
Se si volesse dare conto di tutti i cicli di conferenze e delle conferenze isolate tenute dal
Dott. Colazza in mezzo secolo, a Roma ed in altre città, ne risulterebbe un elenco che non potrebbe
essere contenuto in questo Bollettino. Tuttavia, questa attività non rappresentava tutto il Suo
lavoro antroposofico. C’era un altro campo, nel quale la Sua opera risultò non meno preziosa:
quello dei rapporti personali con singoli membri o con persone estranee alla Società e che, per Suo
tramite, cercavano un rapporto con l’Antroposofia.
Per chi avesse una certa sensibilità, nel suo modo di star ad ascoltare il prossimo si
manifestava la Sua grande maturità, il Suo livello spirituale, oltre che la Sua esperienza del mondo.
Poteva capitare, per esempio, che andasse da Lui per consiglio una persona piuttosto agitata, che gli
esponeva in modo disordinato i casi suoi, e che, di fronte a tutto quel parlare precipitato, Egli se ne
stesse quasi del tutto in silenzio. Dopo che l’interlocutore aveva finito il soliloquio, se ne andava
più tranquillo e, grazie al lavoro tutto interiore fatto dal Dott. Colazza nel “silenzio attivo”, sentisse
poi affiorare dalla coscienza quelle risposte che prima, per il suo stato di agitazione, non avrebbe
potuto accogliere. Nel dicembre 1944 il Dott. Colazza tenne una conferenza pubblica, con
successivo dibattito, nella sala Capizucchi in Roma, dal titolo “Antroposofia”. Il nostro Amico si
presentò in sala con la febbre oltre 39° e dolorante per la riaccensione di una sinusite nella zona
frontale. Parlando senza appunti, fece ugualmente un’esposizione che era un capolavoro di
chiarezza e di eleganza. Aveva appena finito, che subito scattò veemente a contraddirlo un
giovanissimo professore di filosofia. Il tono del contraddittore era, più che aggressivo, villano; il
contenuto delle obiezioni consisteva nella pretesa di voler dimostrare come l’Antroposofia fosse
nient’altro che una miscellanea arbitraria di tante correnti filosofiche, principali e secondarie.
Stanco e sofferente, dopo un’ora di esposizione tenuta ad alto livello, che cosa fece il Dott.
Colazza? Umile, calmo, sereno, si limitò a guardare in silenzio il suo aggressore animico. Questi,
di fronte a tanta superiorità, indignatissimo, con gesto doppiamente villano, si alzò furioso e lasciò
frettolosamente la sala. La mattina dopo, però, si precipitava a chiedere scusa al Dott. Colazza!
Anche quella volta, pur in condizioni difficili, il “silenzio attivo” aveva prodotto la sua efficacia,
consentendo all’altro di oggettivarsi.
Più volte il nostro Amico, come tutti coloro che si distaccano dalla mediocrità, fu oggetto di
calunnie e di maldicenza. Pur sapendolo, ed anzi, proprio perché lo sapeva, aveva continuato a
prodigarsi amorevolmente quale medico e quale amico per i Suoi più autentici nemici, i quali non
sospettavano nemmeno che Egli sapesse la loro vergogna. Era ben difficile sentirlo pronunziare la
parola “amore”, per il semplice fatto che Egli era diventato capace di realizzarlo nella forma più
alta. A ragione si poté dire di Lui che avesse raggiunto quel grado di perfezione morale cui
accenna la Baghavad Gita con le parole: “Rinunziare al risultato delle proprie azioni”, nel senso di
compiere l’azione morale e subito distaccarsene, affidandola quindi direttamente, si può dire, come
reale acquisizione del mondo morale, al ministero degli Esseri della Terza Gerarchia.
Tutto quello che possono dire gli amici che hanno avuto la ventura di conoscere e di
praticare il Dott. Colazza, si può riferire alle manifestazioni della Personalità, mentre ci rimane
sconosciuta l’Individualità, di cui abbiamo potuto intuire qualcosa soprattutto attraverso il tono
morale della Sua vita e del Suo operare. Ma chi abbia ascoltato le Sue conferenze con una più
acuta sensibilità, avrà potuto rilevare il modo del tutto particolare di esporre. Prima di
incominciare a parlare, se ne stava alcuni minuti seduto al podio, raccolto in un silenzio che
rapidamente s’imponeva a tutti i presenti. Si aveva l’impressione che in quel silenzio venisse
creata una specie di barriera di protezione contro l’invadenza delle forze del mondo. Poi si alzava
calmo e, dopo un’altra pausa, incominciava pianamente l’esposizione. Parlava pacato, senza mai
alzare la voce ad alti toni, formando un’atmosfera di attenzione intensa. Il Suo modo di esporre e
le Sue pause davano la sensazione che, di volta in volta, prima di parlare, Egli stesse in ascolto, per
dare poi veste a quanto aveva udito. Si può dire che in questo si manifestasse una caratteristica
della Sua Individualità e di come questa operasse attraverso la Personalità.
Si presentarono all’obitorio per rendere omaggio alla salma anche persone di umile
condizione, poverissime. Fu notato un operaio anziano, dimessamente vestito, il quale, insieme al
figlio, non staccò un momento gli occhi dalla povera salma, finché non fu chiuso il feretro. E la
sera prima, delle povere donne erano venute a buttarsi a singhiozzare dirottamente sul cadavere,
inconsolabili. Poiché Egli non ne parlava mai, nessuno può dire quanti atti di amore Egli avesse
compiuto. E, accanto agli umili, la più alta nobiltà romana fu presente al funerale. Quante cose
può riunire la vera aristocrazia dello Spirito!
Gli antroposofi italiani tutti e gli amici del Gruppo Novalis in particolare, stanno
sperimentando la verità della sentenza data da Rudolf Steiner nel 1917, secondo la quale nessun
uomo è sostituibile nell’insieme delle connessioni in cui è stato posto dal suo Karma. Questo è
tanto più vero quando si tratti di una Individualità come quella del Dott. Colazza.
Mario Viezzoli