Ci si dice che le persone non agiscono affatto sulla base di quanto hanno
capito, per quanto riguarda le istituzioni sociali o mentre stanno vivendo la
loro vita sociale: agiscono secondo il proprio interesse. E gli abbienti ovvia-
mente hanno un interesse a mantenere le loro proprietà. Coloro che sono
socialmente privilegiati hanno un interesse a conservare i propri privilegi
sociali. Perciò è un’illusione, contare sul fatto che basti dire che si dovrebbe
fare questo o quello. Infatti, appunto, non lo fanno, perché non agiscono in
base al ragionamento, bensì in base al proprio interesse.
Nel senso più ampio, si può dire, a poco a poco (ma veramente solo a
poco a poco) Karl Marx ha riconosciuto questo punto di vista. Nella vita di
Karl Marx si possono descrivere veramente parecchie fasi. Nella giovinez-
za, Marx fu anche un pensatore idealista e pensò, anche nel senso che ho
appunto caratterizzato, alla realizzazione delle utopie. Ma fu proprio lui, e
dopo di lui anche il suo amico Engels, a dissociarsi nel modo più estremo
da questo far affidamento alla capacità di comprensione delle persone. E se
caratterizzo in generale quella che in realtà è una grande storia, posso dire:
Karl Marx alla fine ha maturato la convinzione che nel mondo le cose non
possano migliorare altrimenti che facendo appello a quelle persone che non
hanno un interesse a conservare i propri beni e i propri privilegi. Non si
può assolutamente badare a coloro che hanno un interesse a conservare per
sé i propri beni, anzi, bisogna non tenerne affatto conto, perché in qualche
modo non acconsentiranno mai ad aderire a nessuna delle prediche che ri-
cevono, per quanto belle esse siano. D’altra parte c’è proprio la grande massa
dei proletari [che non hanno alcun bene da perdere]. Karl Marx stesso fece
sua questa convinzione all’epoca in cui in Europa centrale iniziò a formarsi
in nuce quello che oggi si chiama ‘proletariato’; egli vide come, in Europa
centrale, il proletariato fosse sorto da altri contesti economici. Quando poi
andò a vivere in Inghilterra, là la situazione era un po’ diversa. Ma all’epoca
in cui Karl Marx passò dagli idealisti ai materialisti economici, in realtà in
Europa centrale si era ancora appena alla nascita del proletariato. Ed egli
si disse: “Questo proletariato moderno ha proprio interessi molto diversi
rispetto a quelli della minoranza che dirige, che guida, perché consiste di
uomini che non possiedono nient’altro che la propria forza lavorativa, di uo-
mini che non hanno altro sostentamento, per vivere, che quello di mettersi a
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servizio degli abbienti, cioè di mettersi a servizio di coloro che possiedono i
mezzi di produzione. Se questi operai lasciano il proprio lavoro, rimangono
(il che quella volta valeva nel senso più assoluto) letteralmente per strada.
Non hanno davanti a sé nient’altro che la possibilità di una corvée per quelli
che possiedono i mezzi di produzione. Questi uomini hanno un interesse
molto diverso da quello degli abbienti. Essi hanno interesse a che tutto l’or-
dine sociale precedente abbia fine, a trasformare questo ordine sociale. A
loro non serve predicare in modo da stimolare la loro capacità di pensiero,
ma soltanto in modo da stimolare il loro egoismo, il loro interesse. A questo
ci si può affidare. Far prediche a coloro per affidarsi ai quali bisognerebbe
contare sulla comprensione non serve proprio a nulla, perché gli uomini
non agiscono in base alla propria capacità di pensare, bensì in base ai propri
interessi. Dunque, non ci si può rivolgere a quelli per i quali bisognerebbe
far leva sull’intelletto, bensì agli interessi di quelli che non possono far altro
che iniziare una nuova epoca partendo proprio da una forza interiore. Tale
forza interiore, che infine Karl Marx ha trovato, è l’egoismo. Perciò egli non
credette più che l’umanità sarebbe stata in grado di compiere quel passo in
avanti verso nuovi condizioni sociali se non, appunto, grazie alle azioni del
proletariato stesso. Il proletariato poteva, così pensava Karl Marx, aspirare
ad un rinnovamento delle condizioni sociali umane soltanto a partire dai
propri interessi, dai propri interessi del tutto egoistici. E così il proletariato
libererà (ma ora non per benevolenza umana, bensì per interessi egoistici)
anche tutto il resto dell’umanità, perché non ha altro da offrire che ciò che
producono gli uomini che non rimangono attaccati ai vecchi beni e che con
il cambiamento non hanno alcun vecchio bene da perdere.
Ci si dice dunque: “Da questa parte, qui, ci sono le cerchie dei dirigenti,
dei leaders, essi hanno certi diritti che sono stati loro conferiti in tempi
precedenti, o che in tempi precedenti hanno acquisito, e ai quali sono tena-
cemente attaccati. Queste cerchie di dirigenti, di leaders, sono in possesso
di questo o di quello, se lo passano in eredità all’interno della loro cerchia,
della loro famiglia, e così via. Queste cerchie, se c’è un cambiamento, hanno
sempre da perdere, per il semplice fatto che, se non perdessero niente, non
avverrebbe appunto alcun cambiamento. Si tratta proprio del fatto che colo-
ro che non possiedono nulla dovrebbero ricevere qualcosa, perciò quelli che
hanno qualcosa non possono che perderla. Quindi si potrebbe fare appello
alla comprensione soltanto se tale capacità di comprensione della classe degli
abbienti, dei dirigenti, apportasse l’impulso a voler perdere qualcosa. Ma
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loro non accondiscendono”. Così vedeva le cose Karl Marx. Perciò bisogna
fare appello a quelli che non hanno niente da perdere. è per questo motivo
che nel 1848 il “Manifesto comunista” si conclude con le seguenti parole: “I
proletari non hanno altro da perdere, che le loro catene, ma hanno tutto da
guadagnare. Proletari di tutto il mondo, unitevi!”
Vedete, nel corso del XIX secolo la nostra cultura spirituale è diventata
del tutto frase fatta. E il fatto che riguardo alla cultura spirituale viviamo
nella frase fatta è un dato di fatto molto più importante di quanto comu-
nemente si pensi. E così, i membri delle cerchie dei dirigenti, dei leaders,
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naturalmente pronunciano ogni tipo di belle parole anche sulla questione
sociale e spesso essi stessi sono convinti di averla, la buona volontà. Ma in
realtà lo credono e basta, è soltanto una loro illusione; nel momento in cui si
pone realmente mano a qualcosa a questo riguardo, salta subito fuori che è
un’illusione. Di questo parleremo ancora. Comunque, come ho detto, oggi
non possiamo più parlare come si parlava al tempo delle utopie. Questa è la
reale conquista raggiunta grazie a Karl Marx: il fatto che egli ha mostrato
quanto l’umanità di oggi è impelagata nell’illusionismo, a tal segno che
non ha senso contare su nient’altro che sull’egoismo. Bisogna una buona
volta farci i conti; perciò non si può ottenere assolutamente niente se in
qualche modo si vuole far leva sull’altruismo, sulla buona volontà, sulle basi
morali degli esseri umani (dico sempre “in relazione alla questione socia-
le”). E questo cambiamento improvviso, che ci ha portati a dover parlare
della questione sociale, ai giorni nostri, appunto in un modo totalmente
diverso da come si poteva ancora parlarne, per esempio, nella prima metà
del secolo XIX, questo cambiamento improvviso si è verificato appunto con
il manifesto comunista. Però non si è verificato tutto in un colpo, ma era
sempre ancora possibile che, anche dopo il manifesto comunista, e ancora
fino agli anni Sessanta, come tutti saprete già (alcuni socialisti più giovani
hanno già dimenticato quei tempi), era dunque ancora possibile che questo
genere totalmente diverso di pensare sociale, il tipo di Ferdinand Lassalle,
afferrasse i cuori, le anime. E anche dopo la morte di Lassalle, avvenuta nel
1864, è ancora continuato quello che era il socialismo di Lassalle. Lassal
fa in tutto e per tutto parte di quegli uomini che, anche se l’altro modo di
pensare si era già manifestato, contavano ancora sulla forza d’urto delle idee.
Lassalle voleva senz’altro ancora scuotere gli uomini nella loro capacità di
capire, soprattutto nella loro volontà sociale. Ma questa sfumatura lassaliana
scemò sempre più mentre l’altra, la sfumatura marxista, che voleva far leva
soltanto sugli interessi di quella parte della popolazione umana che posse-
deva solamente se stessa e la propria forza lavoro, prendeva sempre più piede.
Però comunque non fu un passaggio così veloce. Tale maniera di pensare si
sviluppò soltanto gradualmente nell’umanità.
Negli anni Ottanta prendeva sempre più piede questo modo di pensare,
di non concepire più il mondo nel senso che il singolo individuo sia parti-
colarmente responsabile di quello che fa, bensì che egli fa quello che deve
fare a seconda della sua situazione economica. Il capitalista, l’imprenditore,
sfrutta gli altri nella massima innocenza. Chi è proletario non farà rivoluzio-
ni per un principio morale, bensì, nella massima innocenza, a partire da una
necessità umana e prenderà i mezzi di produzione, il capitale togliendoli di
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mano a quelli che appunto li hanno. Questo deve succedere come necessità
storica. Sorse questo modo di pensare.
Nevvero, queste idee, che si sono avute fino al 1914, si sono talmente
insinuate in modo corrosivo nell’ambiente degli uomini, che questi non ne
saltano più fuori. E cosa ne consegue? Ne consegue che, anche se al giorno
d’oggi è necessario un nuovo agire, anche se in Europa orientale e centrale
è avvenuta una rivoluzione, anche se oggi dobbiamo mettere in atto una ri-
costruzione (non secondo idee vecchie, ma secondo idee nuove), nonostante
tutto ciò, la gente predica idee vecchie. E che cosa sono, oggi, i partiti, anche
i partiti socialisti? I partiti socialisti sono quelli che ancora oggi predicano
questo o quel vangelo socialista nella stessa vecchia maniera in cui hanno
predicato fino al luglio del 1914, perché non c’è una differenza fra questi
programmi di partito e quelli precedenti – tutt’al più una differenza che vie-
ne da fuori. Per chi sa come stanno le cose, nei singoli gruppi di partito viene
detto tremendamente poco di nuovo, o perfino niente del tutto, di nuovo. I
vecchi avanzi di pensieri vengono tirati fuori ancora oggi. Ora sì, certo, una
piccola differenza c’è: se uno ha un paiolo di rame e ci batte dei colpi, esso
suona; se si batte nello stesso identico modo su una botte di legno, essa suo-
na diversamente; ma il modo di battere i colpi può essere esattamente lo stes-
so. Dipende da cosa si batte, se il suono è diverso. E così è oggi, quando la
gente espone i suoi progetti di partito. Quanto è contenuto in questi vecchi
programmi di partito in realtà sono i vecchi rimasugli di partito; solo perché
adesso ci sono altre condizioni sociali il suono è un po’ diverso, ed è la stessa
differenza che si ha battendo su un paiolo di rame invece che su una botte di
legno. Che parlino i socialisti indipendenti o i socialisti di maggioranza o i
comunisti, quello che dicono sono comunque appunto vecchi motti di par-
tito, che suonano diversamente perché invece di esserci un paiolo di rame,
c’è una botte di legno. In realtà, per molti versi non si è imparato proprio
niente, assolutamente niente. Ma si tratta di imparare qualcosa, bisogna che
questa spaventosa guerra mondiale, come la si chiama, ma che in realtà è
stata una rivoluzione mondiale, ci dica qualcosa.
Ma vedete, quelle persone che non riescono a imparare niente dagli even-
ti, e che oggi hanno una disposizione d’animo simile a quella che i vecchi
cattolici avevano nei confronti dei loro vescovi e dei loro papi, queste perso-
ne non possono affatto capacitarsi del fatto che qualcosa come il marxismo
debba anch’esso essere sviluppato nel senso della realtà oggettiva. Essi han-
no davanti a sé sempre la vecchia realtà, e perciò le persone fischiano e sibi-
lano sempre le stesse cose che hanno fischiato e sibilato prima della guerra
mondiale. Così fanno i socialisti, ma anche i borghesi. Lo fanno le cerchie
più vaste. I borghesi ovviamente lo fanno molto assonnati, con l’anima del
tutto addormentata, gli altri lo fanno in modo da trovarsi comunque in
mezzo e da vedere il crollo, ma in modo da non voler fare i conti con la re-
altà che grazie a ciò si manifesta. Oggi è appunto necessario che gli uomini
accolgano qualcosa di nuovo. E perciò è necessario capire qualcosa [come la
tripartizione], che non è un’utopia, bensì che fa proprio i conti con la realtà
oggettiva. Se da quella parte ciò che fa i conti con la realtà oggettiva viene
definito come una cosa che si mette di traverso, in realtà si potrebbe essere
davvero soddisfatti. Perché se la gente definisce linea retta ciò che la porta
avanti, allora bisogna, per fare qualcosa di sensato, mettersi di traverso, per
portare ciò che è insensato in una direzione sensata. Però, vedete, quelli che
capiscono ancora ciò che è sensato, dovrebbero approfondire quanto viene
detto qui. E queste serate servono a questo.
Perché non deve succedere neanche così: c’è un pezzo teatrale, in cui il
gallo canta al mattino e ogni volta, dopo che il gallo ha cantato, sorge il Sole.
Ora, certo, il gallo non può capire i nessi, perciò crede che quando lui canta
il Sole risponda al suo richiamo, che esso sorga perché lui ha cantato, crede
di essere stato lui, a far sorgere il Sole. – Dopotutto, se qualcuno nella vita
non-sociale si dà a una tale illusione come questo gallo, che canta sul letame
e vuole far sorgere il Sole, non importa. Ma se qui, in questo contesto, suc-
cedesse che l’idea veramente economica del consiglio di fabbrica procedesse
bene sul terreno dell’organismo tripartito, ma che quelli che se ne occupano
volessero rinnegarne l’origine, e cioè che è stato l’impulso della tripartizione
a mettere in moto questa idea, e se queste persone credessero che i consigli
di fabbrica siano sorti per il fatto di aver cantato, ecco che farebbero lo stesso
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errore, e sarebbe davvero un errore fatale. Ma questo non deve succedere.
Ciò che avviene in questa direzione [dei consigli di fabbrica] ciò a cui qui
si è messo mano, non deve essere separato, deve restare in relazione con
l’impulso correttamente inteso della tripartizione dell’organismo sociale. E
chi vuole realizzare i consigli di fabbrica nel senso di questo impulso non
potrà mai accettare che ci si limiti solo a costituire i consigli di fabbrica in
modo più o meno unilaterale e che si gracchi in continuazione: “Consigli di
fabbrica, consigli di fabbrica!” Questo non basta. Ha senso solo se contem-
poraneamente si aspira a tutto ciò a cui si dovrebbe aspirare grazie all’im-
pulso dell’organismo sociale tripartito. Si tratta di questo. Perché, se volete
realmente capire ciò che si trova nei “Punti essenziali”, dovete acquisire quel
punto di vista che si può acquisire appunto grazie agli eventi che sono av-
venuti negli ultimi quattro-cinque anni. Chi capisce bene questi eventi ha
come l’impressione che in questi quattro o cinque siano trascorsi i secoli, e
davanti ai programmi di partito ha l’impressione che chi li rappresentava
abbia dormito per secoli. Oggi bisogna capire tutto questo con chiarezza e
senza riserve.
Ciò che vi ho detto ora ovviamente avrei anche potuto scriverlo nella
prefazione di questo libro. Solo che è soltanto negli ultimi mesi, che si è visto
quanto i programmi di partito al presente siano rigidi e sterili. Ma sarebbe
già di una certa utilità, se nella prefazione al libro ci fosse scritto proprio
questo. Molte delle cose che non stanno scritte in questo libro ve le ho dette
oggi, dato che voi, mi pare, avete deciso di riunirvi qui per studiare in modo
adeguato le serie questioni sociali del presente riallacciandovi a questo libro.
Ma prima di cominciare bisogna già aver chiaro che non si può più conti-
nuare a trotterellare nel vecchio stile dei programmi di partito e dei modelli
di partito, ma che bisogna decidersi ad affrontare le cose, oggi, per come esse
sono nella realtà e a eliminare tutto ciò che non tiene conto di queste cose
nuove. Soltanto così capirete correttamente che cosa si vuole raggiungere
proprio con questo impulso dell’organismo sociale tripartito. E lo capirete
correttamente se vi accorgerete che ogni frase di questo libro è fatta in modo
da poter diventare azione, da poter essere tradotta direttamente in realtà. E
la gran parte di coloro che dicono di non capirlo o che siano utopie o altro
del genere sono solo persone alle quali manca il coraggio, proprio il coraggio,
di pensare, oggi, con tanta forza che i pensieri possano intervenire nella real-
tà. Quelli che continuano a sbraitare: “Dittatura del proletariato”, “Conqui-
sta del potere”, “Socialismo”, per lo più pensano molto poco, mentre dicono
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queste cose. è per questo che con queste frasi fatte non si può intervenire
nella realtà. Ma poi questi vengono e dicono che qui [con i I punti essenziali
della questione sociale] verrebbe dato qualcosa che è mera utopia. Un’utopia
lo diventa solo nelle teste di chi non ne capisce niente.
E ora qui c’è, a Tubinga, il professor Heck, che è quello che (ne ho già
parlato) che ha detto che non c’è affatto bisogno di prestarsi a dire che gli
usuali rapporti di salariato, nei quali si viene retribuiti per il proprio lavoro,
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avrebbero qualcosa che abbassa il lavoratore, perché anche Caruso è in un
rapporto di salariato. La differenza non sarebbe di principio: perché Caruso
canta e prende la sua paga, e anche il proletario lavora e prende la sua paga;
e anche lui, in qualità di professore, prende la sua paga, se insegna. La dif-
ferenza fra Caruso e il proletario sarebbe solo che Caruso per una serata
prende da trenta a quarantamila marchi e il proletario un po’ di meno. Ma
questa non sarebbe una differenza di principio, ma solo una differenza rela-
tiva alla somma percepita. E quindi non serve – questo è quello che pensa
questo illustre professore – sentire niente di degradante nella retribuzione;
lui stesso non la vive così. – Tutto questo solo per inciso. Ma ora questo
professore tanto intelligente ha anche scritto un lungo articolo contro la
tripartizione. Dice: “Se dividiamo in tre, avremo tre parlamenti”. – E allora
mostra che non va bene, che ci siano tre parlamenti, perché dice: “Nel par-
lamento per l’economia, il piccolo artigiano non capirà il punto di vista del
grande industriale”, ecc. – Così il buon professore si è fatto le sue idee sulla
tripartizione, e contro queste idee (che io trovo ancora molto più stupide di
quanto le trovi stupide il professor Heck; le criticherei anch’io da cima a fon-
do), contro queste idee lui si scaglia, ma sono idee che ha creato lui stesso. Si
tratta proprio del fatto che non ci siano tre parlamenti uno accanto all’altro,
bensì di togliere quanto non appartiene a nessun parlamento. Egli fa sem-
plicemente tre parlamenti e dice: “Non va bene” – Così si vive in concetti
estranei alla realtà e su questa base si giudica anche il resto.
Note:
[1] Questa conferenza coincide praticamente
con la 14° conferenza del ciclo noto come OO 330. N.d.C.
Fonte:
http://www.tripartizione.it/pubblicazioni/OO337A_IV.html
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