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ATTIVITÀ DI DIO E ATTIVITÀ DELL'UOMO NELLA "METAFISICA" DI ARISTOTELE

Author(s): Carlo Natali


Source: Rivista di Filosofia Neo-Scolastica , aprile-dicembre 1993, Vol. 85, No. 2/4 (aprile-
dicembre 1993), pp. 324-351
Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

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Carlo Natali *

ATTIVITÀ DI DIO E ATTIVITÀ DELL'UOMO


NELLA METAFISICA DI ARISTOTELE

I - Il problema di Dio e le attività secondo virtù

Nella Metafisica Aristotele, dopo avere dimostrato che il Primo


re è immobile, esiste di necessità, e per questo è bene e principi
«Il cielo e la natura dipendono da un principio siffatto. Il (suo) m
vivere è tale, quale è il migliore per noi, (ma) per breve tempo;
quello è così sempre, e per noi è impossibile» (1072 b, 13-16). Inte
discutere qui alcuni aspetti di questo paragone che Aristotele fa
tività di Dio e l'attività dell'uomo. Ma per poter fare questo, prim
frontare il testo della Metafisica, dobbiamo prendere in conside
altre opere, e soprattutto alcuni brani dell'Etica Nicomachea.
Alla fine dell'Etica Nicomachea Aristotele, per difendere la te
superiorità della felicità propria della vita teoretica rispetto alla
tà derivante dalla vita politica, afferma:

Che la felicità perfetta sia una certa attività teoretica, apparirà


anche da quanto segue. Noi ammettiamo che gli dei siano più di tut
ti e felici: e quali azioni si devono attribuire loro? Forse le azioni
E non sembrerà ridicolo che facciano contratti, restituiscano depo
così via? O quelle coraggiose?1. Affrontare con fermezza le situazi
paurose e i pericoli perché ciò è bello? O quelle liberali? E a chi do
no? Sarebbe assurdo che essi avessero denaro o cose simili. E i loro atti di
moderazione cosa mai potrebbero essere? O forse non è rozzo l'elogio, da-

* Università di Venezia.
1 Nel testo, àXXà xàç àvSpetouç, u7tofxévovT0cç xà 9oßepa xat xtvSuveúovxaç öxt xa-
Xóv, vi è un anacoluto, e Bywater indica una lacuna nella sua ed. del testo. Burnet ritiene
sia caduta un'espressione come àXX' axoTUOt e scrive, con Kb: àXXà xàç àvSpetouç, ...
UTUOfxévovxeç xà 9oßepa xat xtvSuveúovxeç oxt xaXóv. Ne verrebbe qualcosa come: «O le
azioni dei coraggiosi? (Ma sarebbe strano) che affrontassero con fermezza le situazioni
paurose e i pericoli...». Gauthier e Dirlmeier mantengono il testo tradito.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 325

to che non hanno desideri bassi? A coloro che passano in rassegna tutto
ciò, quello che riguarda le azioni apparirà chiaramente piccino e inde-
gno degli dei. D'altra parte tutti ammettono che essi vivono e quindi so-
no in attività, poiché certo non dormono come Endimione. Allora, quan-
do alla vita si sia sottratto l'agire, ed ancora di più il produrre, che co-
sa rimane se non la contemplazione? Di modo che l'attività degli dei,
che spicca per beatitudine, verrà ad essere una attività teoretica, e
quindi tra le attività umane quella più vicina ad essa sarà la più felice.
Ne è indizio che gli altri animali non partecipano della felicità, essendo
completamente privati di questa attività. E per gli dei tutta la vita è
beata, per gli esseri umani, lo è nella misura in cui appartiene ad essi
una qualche immagine di una simile attività: degli altri animali nessuno
è felice, dato che nessuno ha a che fare con la contemplazione. Per
quanto si estende la contemplazione, di tanto si estende la felicità, ed a
coloro cui maggiormente appartiene il contemplare, appartiene anche
l'essere felici, non per accidente, ma in conseguenza della contemplazio-
ne: questa infatti è degna di onore di per sé. Di modo che la felicità ver-
rà ad essere un certo tipo di contemplazione (X, 8, 1178 b, 7-32).

Fin dai commenti antichi è stato notato che qui Aristotele sta argo-
mentando dialetticamente, ex endoxon2, per confermare una dottrina
dimostrata nelle linee precedenti. Si tratta di un procedimento abba-
stanza diffuso nelle opere di Aristotele, e di cui in E.N. I, 8, 1098 b,
9-11, troviamo un altro esempio: «Si deve indagare intorno alla felici-
tà non solo sulla base delle conclusioni della dimostrazione, e a parti-
re dai principi da cui essa deriva, ma anche a partire dalle cose che
si dicono intorno ad essa». Mentre su questo punto l'accordo è gene-
rale, vi sono dissensi tra gli interpreti su altre due questioni: 1) di
quali dei Aristotele sta parlando?, e 2) quale valore ha la sua argo-
mentazione?

Riguardo al primo punto vi è chi ha sostenuto che le divinità qu


descritte sono una versione riveduta e corretta degli dei tradiziona

2 Mich. Eph. in Eth. Nic., p. 597, 23-26 Heylbut; vedi poi R.A. Gauthier - J.Y. Joli
Aristote. L'Éthique à Nicomaque, Paris 1959, 1967 2, vol. II, p. 896, J. Dudley, Gott un
Theoria bei Aristoteles. Die metaphysische Grundlage der Nikomachischen Ethik, Fran
furt/Main-Bern 1982, p. 18. Dudley ritiene che in questo passo Aristotele usi la funzio
«peirastica» della dialettica, quella secondo cui noi possiamo mettere alla prova le op
nioni degli esperti pur non essendo noi esperti, ed a partire da cose note a tutti; ma
non ci pare riflettere esattamente l'argomentazione presente; sulla peirastiké vedi or
bel saggio di R. Bolton, The epist emolo gical basis of Aristotelian dialectic, in Biolog
logique et métaphysique chez Aristote, éds. D. Devereux - P. Pellegrin, Paris 1990, p
185-236. Infine R. Bodeüs, Aristote et la théologie des vivants immortels, St. Laure
(Québec)-Paris 1992, pp. 46 e 181, mette in rilievo come più volte in questo brano (107
b, 8-9, 18-19) Aristotele richiami le assunzioni, hypolepseis, correnti.

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cui sono stati sottratti


parte degli interpreti è
coincidenze con il libro
che Aristotele qui inten
in Metaph. XII, 7 e 94.
Riguardo al secondo pun
re evidente che le ragion
compiano azioni virtuose
no giusti in generale, so
alla sfera degli scambi e
mento logicamente sco
stesso vale per la negaz
queste ragioni, e perché
le negare che Dio posseg
lare, Gauthier nel suo c
parla sul serio:

Une série d'arguments a


laires, et dans lesquels il
pensée; faux dans leur dé
fin de compte ils affirme

Gauthier e i critici ing


di Aristotele sia insosten
gliato di ogni antropom
tribuita nemmeno la the
tribuire sia all'uomo che
ria, non si vede perché n
do diverso e per analogia

3 G. Ramsauer, Aristotelis E
Dirlmeier, Aristoteles. Nikomachische Ethik, üb. u. komm., Berlin 1959, 1964 3, pp.
595-596 ritiene che qui vi sia una polemica contro la concezione tradizionale della divini-
tà; T.B. Eriksen, Bios theoretikos. Notes on Aristotle's Nicomachean Ethics X 6-8, Oslo
1976, pp. 155-156, ritiene che Aristotele qui utilizzi le opinioni popolari politeistiche sen-
za polemizzare contro di esse.
4 Cfr. già Mich. Eph. in Eth. Nic., 597, pp. 23-25; più di recente, tra gli altri, vedi Ph.
Merlan, Aristotle's unmoved Movers, «Traditio», 4, 1946, pp. 17-18. I paralleli più evidenti
sono quello tra 1178 b, 19, e Metaph. 1074 b, 17, e quello tra 1178 b, 26, e Metaph. 1072 b,
14 e 24, ma ve ne sono anche altri. Alcuni (Gauthier, Gigon, Eriksen) ritengono che questo
brano abbia un parallelo nel fr. 43B Düring del Protreptico, ma la cosa non ci pare molto
evidente.
5 R.A. Gauthier, Aristote..., cit., p. 896; egli contrappone a questo passo di Aristotele
S. Tommaso, rinviando a S. theol. la Ilae, q. 7, a. 1 (deve essere un errore di stampa: sa-
rebbero piuttosto da vedere la Ilae, q. 61, a. 5 e q. 67, a. 1). Cfr. anche A. Grant, The
ethics of Aristotle, ed. and comm., London 1857, p. 490; J.A. Stewart, Notes on the Nico-

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A nostro parere, se è vero che le ragioni addotte qui da Aristotele ci
appaiono cattive e poco convincenti, ciò non basta ad affermare che in
questo passo egli non parli sul serio. Il vocabolario del brano è un voca-
bolario tecnico, e non puramente popolare: vi appaiono le distinzioni
tra prattein, poiein e theorein, a Dio è attribuita Yenergheia ed è citata
anche la distinzione tra ciò che avviene 'per accidente' e ciò che avviene
'in conseguenza della contemplazione'. Infine è stato notato un certo sa-
pore platonico in alcune espressioni usate qui da Aristotele 6. Quindi la
difficoltà teorica permane.
Il punto è il seguente: dato che Aristotele sta parlando, sia pure in
modo impreciso, del Dio della Metafisica, è ben fondata la sua afferma-
zione, secondo la quale egli non può compiere nessuna azione diversa
dal contemplare, ed in particolare si deve negare che egli compia delle
praxeis, delle azioni virtuose? E, quando Aristotele dice: «A coloro che
passano in rassegna tutto ciò, quello che riguarda le azioni apparirà
chiaramente piccino e indegno degli dei», e «quando alla vita si sia sot-
tratto l'agire, ed ancora di più il produrre, che cosa rimane se non la
contemplazione?» (1178 b, 17-18 e 20-21)7, in base a quali motivi egli
può giungere a questa conclusione?
Michele di Efeso ha provato a suggerire una ragione sistematica del
perché Aristotele abbia negato che gli dei possano compiere azioni vir-
tuose: la virtù riguarda i pathe, egli osserva, e gli dei non hanno passio-
ni8. S. Tommaso, che nel suo commento ali 'Etica Nicomachea non trova
nulla di particolare da dire su questo passo, nella Somma teologica ri-
torna due volte sulla questione, proponendo due modi differenti di su-
perare la difficoltà in cui Aristotele ci pone9. Dapprima egli afferma,
seguendo S. Agostino, che è necessario che in Dio esista un modello
(exemplar) delle virtù umane, e che quindi, necessariamente, in Dio vi

machean Ethics of Aristotle, Oxford 1892, vol. II, p. 454; Ph. Merlan, Kleine Schriften,
Hildesheim 1976, p. 292. T.B. Eriksen, Bios theoretikos..., cit., pp. 157 s., afferma che le
critiche di Senofane potrebbero applicarsi anche ad Aristotele: anch'egli infatti concepi-
rebbe Dio solo come un'immagine idealizzata, in questo caso della vita del filosofo.
6 Soprattutto per quanto riguarda i termini metechein, homoioma, koinonein, e per
la citazione di Endimione. Cfr., tra i molti che hanno sottolineato questo punto, J. Léo-
nard, Le bonheur chez Aristote, Bruxelles 1948, p. 131; T.B. Eriksen, Bios theoretikos...,
cit., p. 161. R. Bodeüs, Aristote et la théologie..., cit., p. 186, vede in questo passo la ripre-
sa delle teorie di Eudosso secondo cui Dio e il bene sono superiori agli elogi ed è ridicolo
lodarli usando criteri umani (E.N. I, 12, 1101 b, 18-34). A.P. Bos, Teologia cosmica e meta-
cosmica. Per una nuova interpretazione dei dialoghi perduti di Aristotele (1989), trad. it.
Milano 1991, p. 167, vede in questo passo un'eco dell 'Eudemo.
7 ôieÇiouat õè 7iávxa çocívoit' av xà rcept tocç 7cpáÇetç (xtxpà xat àváÇia 0ecõv ...
Sri Çcõvti tou ícpárceiv àcpatpouaevou, ext 8è ixãXXov tou 7toieív, ti Xet7C£T<xt tcXtiv öecoota: '
8 Mich. Eph. in Eth. Nic. 597, 30-35 e 598, 7-9.
9 Vedi i testi citati a nota 5.

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siano anche le virtù 'po


che Aristotele, quando h
parlato delle virtù in qu
sunt circa res humanas)
diversa: la virtù etica, e
clinazione delle passioni,
tura, quindi, necessariam
la parte formale: vi sar
strano un certo imbaraz
sostanzialmente rifiutat

II - Azioni e movimenti: la poiesis

A nostro parere si possono trovare altri argomenti, più storicamente


attendibili e forse anche teoricamente più approfonditi; essi ci possono
insegnare qualcosa sia sulla concezione aristotelica della divinità, sia, e
soprattutto, sulla teoria aristotelica dell'azione. Cosa vi potrà mai esse-
re di tanto basso nelle azioni virtuose, perché Aristotele debba assolu-
tamente negare che esse, anche in un senso analogico, possano esser
attribuite agli dei?
La posizione di Aristotele è un paradoxon. Infatti nella mentalità co-
mune certe virtù, come la giustizia, sono naturalmente attribuite alla
divinità, e lo stesso Aristotele, quando parla della virtù divina in manie-
ra vicina alle opinioni correnti, attribuisce la giustizia agli dei ed am-
mette che si possano fare elogi della loro virtù; nella stessa Etica Nico-
machea, poche righe più avanti del passo incriminato, egli pare ammet-
tere, sia pure in formula dubitativa, che via sia una qualche epimeleia ,
un prendersi cura, degli uomini da parte degli dei (1179 a, 22-32). Il con-
cetto di Dike, poi, ha un posto centrale nelle cosmologie mitiche e nel
pensiero presocratico11. E, più in generale, questo passo contrasta con
la tendenza costante di Aristotele, il cercare di mostrare che le proprie
concezioni filosofiche non si oppongono, nel fondo, alle opinioni del
suo pubblico: solo per forti ragioni teoriche egli può essere giunto a so
stenere una teoria così lontana dalla sensibilità comune.
Detta in una parola, la nostra opinione è che Aristotele sostenga che
non è possibile attribuire agli dei l'agire, e tanto meno il produrre, per-
ché entrambe queste azioni comportano kinesis , movimento in senso

10 In questo testo egli polemizza contro Aristotele e Cicerone, che, a suo parere ri-
tengono che sia gli angeli, sia gli uomini dopo la morte, non possederanno virtù, e per l'o-
pinione di Aristotele cita il brano di E.N. X, che stiamo esaminando.
11 Cfr., per le opinioni popolari, le opere dei poeti e i frammenti dei presocratici, H.
Lloyd- Jones, The Justice of Zeus, Berkeley-London 1971, 1983 2. In Aristotele cfr. E.N.
1134 b, 28, 1179 a, 24, 1099b, 11, Rhet. 1401 a, 18, 1405 a, 22, e in generale i passi raccolti
nel l'Index del Bonitz, 325 a, 45-b, 38.

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ampio, e come tali non possono essere attribuite ai motori immobili, la


cui essenza è pura attività (1071 a, 20), e che muovono senza essere
mossi (1072 a, 25).
Non vi sono dubbi sul fatto che il movimento, come energheia ateies,
atto incompleto, ed entelecheia di ciò che è in potenza in quanto in po-
tenza, non possa essere attribuito agli dei. Esso infatti costituisce un
modo d'essere transitorio, ed indirizzato ad un telos, raggiunto il quale
cessa di esistere. Il movimento, nei passi più teoreticamente approfon-
diti del libro III della Fisica, viene descritto come un modo di essere,
sebbene puramente transitivo: anche se ogni movimento è qualcosa, è
quel particolare movimento, e non un altro, tuttavia esso è una forma
di divenire 12.
È ben vero che il movimento non muta, e, quando si verifica, non si
trasforma, passando per esempio dall'essere un movimento locale al-
l'essere un mutamento di colore (Phys. 225 b, 15-16): al massimo i due
processi possono essere coincidenti, o dipendenti l'uno dall'altro, ma,
quando avvengono, rimangono distinti. Per questo, giustamente, è stato
detto che: «Aristotle calls it [= il movimento] aptly an entelecheia, a
word which says that becoming, when it takes place, does so not becau-
se it itself is becoming, but because it successfully manages to be» 13.
Ma il movimento «si arrangia per esistere», per riprendere l'imma-
gine della Waterlow, solo temporaneamente, procedendo verso il suo
telos, raggiunto il quale, cessa. Quindi il movimento non può appartene-
re alla causa prima, che è immutabile. Il motore immobile

muove come oggetto d'amore, tutto il resto muove essendo mosso. Infatti
se qualcosa si muove, può anche essere diversamente, di modo che la pri-
ma forma di traslazione, pur essendo anche atto, in quanto si muove può
essere diversamente, secondo il luogo, se non secondo la sostanza. Ma da-
to che vi è qualcosa che muove essendo esso stesso immobile, ed essendo
in atto, esso non può essere diversamente in nessun senso 14.

12 Cfr. Phys. III, 1-3; E.N. X, 3.


13 S. Waterlow, Nature, change, and agency in Aristotle's Physics. A philosophical
study, Oxford 1982, p. 113; cfr. L.A. Kosman, Aristotle's definition of motion, «Phronesis»
14, 1969, pp. 41-45; L. Couloubaritsis, L'avènement de la science physique. Essai sur la
Physique d'Arìstote, Bruxelles 1980, p. 266 ss.; R. Brague, Aristote et la question du mon-
de. Essai sur le contexte cosmologique et anthropologique de l'ontologie, Paris 1988, p.
500; R. Brague, Note sur la définition du mouvement (Physique III, 1-3), in La physique
d'Aristote et les conditions d'une science de la nature, éds. F. de Gandt - P. Souffrin, Paris
1991, pp. 109-120; E. Berti, Il concetto di atto nella Metafisica di Aristotele, in L'atto ari-
stotelico e le sue ermeneutiche, a cura di M. Sanchez Sorondo, Roma 1990, pp. 50-51.
14 Metaph. XII, 7, 1072 b, 2-8. Alla linea 3 leggo xtveì òe, con Jaeger e tutti i mss.
mentre Bonitz, W.D. Ross (Aristotle's Metaphysics, ed., introd. and comm., Oxford 1924,
1 953 3, e G. Reale (Aristotele. La Metafisica, trad, introd. e comm., Napoli 1968, ad /.), cor-
reggono in xivet 8rj; ed alla linea 5 leggo oSaG' rj cpopà rj 7tpa>nr) et xat evépyetá eaxtv, con

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Se al dio della Metafisi


è alcun dubbio che a lui
tutto, a favore di quest
né nella mentalità comu
particolarmente lettera
potrebbe interpretare i
Cfr. anche Soph. 265 b-
nità si potrebbe trovare
fonte (Mem. I, IV, 5 e 7
videnziale, dotato di pr
utile (tcouov àvôpœrcouç
(TSxvrKxa). Ma nessuno
ma, ed è dubbio che la s
In secondo luogo, per A
senziale, riproduce esatt
distingue da esso per la
per il tipo di energheia
per il rapporto con il f
ne 15, quindi qui basterà
kinesis, ricordare che in
stesso tipo di dynamis
trasformazioni in altro,
8, 199 a, 8-20 e 9, 200 a
quella della produzione t
in una sequela di passi n

III - Azioni e movimenti: la praxis

La prassi per Aristotele ha caratteristiche opposte a quelle della


produzione, e quindi non è totalmente riducibile a movimento: anzi,
certi passi del corpus, pare che la prassi non abbia nulla in comune co
il movimento. Il testo più importante in questo senso è la seconda par
di Metaph. IX, 6, in cui Aristotele distingue la kinesis dalla praxis
senso forte proprio per il diverso comportamento rispetto al fine: la k
nesis quando raggiunge il proprio fine si arresta, la praxis invece ha
sé il fine, e lo realizza in ogni istante della propria attività.

il ms. E. Jaeger scrive càa0' rj 90p à rj 7Tpa>TT) et xaì Ivepyeta èaxtv «pur essendo anche
atto», Ross ¿Sax' et [rj] çopà 7Cpcí>T7) rj èvépyetá lai tv, intendendo: «di modo che, se l'a
(se. dei cieli) è la prima forma di traslazione, etc.».
15 Su questo punto quindi mi permetto di rinviare al mio saggio su Événement
poiesis. La théorie aristotélicienne des événements naturels, «Raisons Pratiques», 2, 19
pp. 177-201.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 331

Dato che delle praxeis delle quali c'è un limite nessuna è fine, ma (so-
no tra) quelle che tendono al fine 16, per esempio del dimagrire il dimagri-
mento 17, e le stesse cose, quando dimagriscono, sono in movimento in
questo modo, non essendo dato ciò per cui si verifica il movimento, que-
ste cose non sono praxis, o non sono praxeis perfette (infatti non è presen-
te il fine); ma quella nella quale sia presente il fine è anche praxis. Per
esempio, insieme vede (ed ha visto), riflette (ed ha riflettuto), intuisce ed
ha intuito; ma non si dà il caso che impara ed ha imparato, o guarisce ed
è guarito. Insieme vive bene ed è vissuto bene, è felice e lo è stato. Altri-
menti ci vorrebbe un punto in cui fermarsi, e in questo caso (vûv) no, ma
vive ed è vissuto. Quindi, di queste, le prime devono essere 'movimenti',
le seconde 'attività' (1048 b, 18-28) 18.

Per queste ragioni la praxis vera e propria pare essere una ener-
gheia in senso metafisico ed una attualità piena, mentre il movimento è
energheia in senso fisico, e attualità incompleta. Le azioni morali rien-
trano nel senso metafisico di praxis ? Gli esempi che Aristotele fa in Me-
taph. IX, 6 lo suggeriscono, dato che tra di essi vi è anche l'eudaimo-
nein; e nell'Etica Eudemia Aristotele dice chiaramente che per lui le
azioni morali sono forme di praxis in senso forte e di energheia in senso
metafisico, e non sono delle forme di kinesis come lo sono, invece, le at-
tività produttive:

Opera (i'pyov) si dice in due modi: infatti di alcune cose esiste un ente
diverso, al di là dell'attuazione, che costituisce l'opera, come per l'arte di
costruire case la casa, e non la costruzione-di-una-casa, e per la medicina
la salute, e non il guarire o il somministrare-la-cura, di altre invece l'at-
tuazione costituisce l'opera, per esempio della vista l'atto-di-vedere e del-
la scienza matematica la conoscenza, di modo che è necessario, riguardo
alla cose la cui opera è un'attuazione, che l'attuazione sia migliore della
disposizione (1219 a, 13-18).

L'esempio del vedere, che appare sia nella Metafisica che nell'Etica
Eudemia , dimostra che Aristotele sta parlando nei due passi della stessa
distinzione. Quindi la praxis sembrerebbe un'attualità completa, e, in li-
nea di principio, non avrebbe nulla di incompatibile con l'attività divina.
Stando così le cose, potrebbe avere ragione S. Tommaso quando, se-
guendo Plotino in Macrobio, attribuisce a Dio, in un senso particolare e
per analogia, anche le virtù e le attività che ne derivano. S. Tommaso,

16 rapi to t£Xoç al posto del più usuale rcpòç tò xeXoc.


17 Testo dei mss.: xou taxvat'vetv rj ìaxvaata; Ross: -uoû ìaxvaivetv rj ìaxvaata «il di-
magrire o il dimagrimento».
18 Cfr. anche 1050 a, 4-b, 6.

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come abbiamo detto prim


passioni terrene: la tem
me la conversio divinae
immutabilitas, la giusti
operibus e via dicendo 19
Questa interpretazione
fine immanente alla pra
virtuosa si svolge secon
termine eupraxia viene
ca moderna, come l'agir
in modo abbastanza neu
(Ross), «good activity»
agir» (Pellegrin), a volte
ne conduite» e «vie vert
«buona condotta», «con
buono» (Mazzarelli). Fan
cono, in modo più appr
heureuse» o «activité réussie».
Così Y eupraxia viene interpretata, in maniera del tutto naturale dati
i presupposti dell'etica moderna, come l'agire bene per l'agire bene, l'a-
zione virtuosa come fine. Uno studioso come Ross, insieme grande in-
terprete del pensiero aristotelico e importante studioso di etica, sulla
base di questa interpretazione può commentare:

L'etica di Aristotele è senz'altro teleologica... Questa veduta non può


tuttavia esser realmente conciliata con la distinzione che egli traccia tra
azione o condotta, che ha valore in se stessa, e produzione che deriva il
suo valore dall"opera'... Se si fosse attenuto a questa distinzione avrebbe
raggiunto un tipo di teoria più simile a quella di Kant 22 .

L'indicazione è chiara, ma fa nascere dei sospetti: è possibile che


Aristotele, proprio nel nocciolo teorico più approfondito della sua con-
cezione della prassi, ci presenti una teoria che fa a pugni con gran par-
te della sua analisi dell'azione, e che invece prelude ad una teoria etica,
quella kantiana, fondamentalmente opposta alla sua?

19 S. theol. la Ilae, q. 61, a. 5.


20 E.N. VI, 2, 1 139 a, 34, b, 3 e 5, 1 140 b, 7.
21 A dire il vero, L.H.G. Greenwood, Aristotle. Nicomachean Ethics book six, Cam-
bridge 1909, reprint New York 1973, traduce le tre occorrenze di eupraxia in E.N . VI in
tre modi diversi: «good action», «good activity», «doing well», e commenta (p. 176) che
ì'eupraxia è un certo tipo di praxis, cioè, presumibilmente, secondo lui è l'azione etica-
mente buona.
22 W.D. Ross, Aristotele (1923) , trad, it., Bari 1946, Milano 1972 3, p. 181.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 333

Eppure, a stare alle interpretazioni più correnti, pare proprio che le


cose stiano così: anche Heidegger su questo punto non legge Aristotele
in modo molto diverso, e vede nel Yeupraxia quella che noi, con un lin-
guaggio non heideggeriano, potremmo definire come una forma di au-
torealizzazione dell'agente. Qui non possiamo affrontare la questione in
tutta la sua complessità e nelle sue molte sfumature; ci basti notare co-
me la praxis aristotelica per Heidegger sia l'agire rivolto in direzione
dell'agente stesso, ed abbia lo stesso carattere ontologico dell 'ale-
theuein ; quindi Yeupraxia viene da lui definita come «das Rechte sein
des Menschen»23. L'odierna assolutizzazione della prassi in alcuni auto-
ri del dibattito contemporaneo sulla «filosofia pratica» ci pare in accor-
do sostanziale con questa visione.
Anche negli studiosi di lingua inglese, sebbene per ragioni diverse, è
diffusa una posizione del genere, in cui si tende a considerare il buon
risultato dell'azione come qualcosa di collegato solo accidentalmente
alla praxis, cioè come un'aggiunta, magari desiderabile, ma inessenzia-
le. Questa interpretazione del concetto aristotelico di prassi è stata di
recente espressa in modo molto chiaro da Richard Kraut:

Someone who activates the virtue of courage, for example, does not
think it desirable (1) to stand firm in battle only because this will lead to
a victory. Of course, he hopes for that outcome, and his mastery of fear
increases its likelihood. But he also thinks (2) that exercising this mastery
... is desirable in itself, even apart the contribution it makes to his
success in subduing the enemy ... even if that result is twarted by misfor-
tune, the generous person rightly takes his action to have been desirable
in itself. To act in accordance with the ethical virtues is in this sense to
have an end which consists in the action itself: the action (3) need not ter-
minate in some hoped-for end in order to be desirable ... Both contempla-
tion and ethical activity fall into cathegory (a) of NE I 1: each endeavor
aims at an end, but their goodness does not depend on some further re-
sult, and in this sense the end is the activity itself24.

In questo brano a noi pare si confondano due posizioni diverse: da


una parte è vero quanto si dice in (1), che per Aristotele l'azione morale
non ha valore se e solo se raggiunge un risultato esterno; ma da ciò non
deriva necessariamente quanto si dice in (2) e (3), che l'esercizio delle
proprie capacità è un valore, indipendentemente dal fatto che si rag-
giunga o meno il risultato prefisso.

23 M. Heidegger, Platon: Sophistes, Gesamtausgabe 11/19, Frankfurt/M. 1992, pp.


48-50 (raccoglie i testi di un corso di lezioni del 1924-1925).
24 R. Kraut, Aristotle on the human good, Princeton 1989, pp. 214-215. I numeri tra
parentesi sono stati aggiunti da noi.

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334 C. Natali

Potremmo continuare
tile. Vorremmo invece
fatti è nostra impressio
terpretata, e che, propr
rale è l 'eupraxia, si celi
rica Nicomachea citato
virtù e compiano azion
coerente, e più compren
mine praxis , sia la ridu
Il termine eu7rpaÇta o
che in genere indica la
re conseguente alla rius
la vittoria nei giochi pa
pure il benessere ( Olim
7tpr)Ç(r) sia un evento,
54), sia uno stato, la potenza e il benessere di cui l'uomo non si sazia
mai (VII, 49, 4). Gli esempi sono molteplici, e qui non abbiamo lo spazio
di elencarne altri, ma in generale si può dire che eupraxia ed eupraghia
indicano uno stato o un evento tale che chi lo sperimenta è oggetto di
phthonos, invidia, e si oppongono a termini indicanti 'disgrazia, sconfit-
ta, cattive condizioni', come duspraghia, dustuchia, kakopraghia25. An-
che in Platone ed in Aristotele i termini eupraghia ed eupraxia nella
maggior parte delle loro occorrenze indicano la buona fortuna ed il
successo concreto, mondano. Ciò vale anche per tutti i casi in cui il ter-
mine è usato al plurale, per indicare i successi, opposti alle sconfitte,
ed è collegato all'invidia26.
In alcuni passi di Senofonte, Platone ed Aristotele, però, Yeupraxia
viene ricollegata al bene ed all'agire moralmente buono27. Sulla base di
questi passi i dizionari attribuiscono ad eupraxia ed eupraghia anche

25 Vedi Liddell-Scott, s.w. In Antipho. Tetral. I d, 9, eupraghia è collegato a eudai-


monia, ma entrambi i termini sono da intendere in senso del tutto mondano: Decleva
Caizzi li traduce infatti, rispettivamente, con «benessere» e «ricchezza».
26 Plat. Euthyd. 279e, 28 lb; Protag. 345a, Legg. 70 le, 732c, 814e, 887e; Aristot. E.E.
1221 a, 39, 1233 b, 25, 1247 a, 1, EM 1100 a, 21, 1101 b, 6, 7, 1167 a, 16, Top. 109 b, 37,
110 a, 2, e molti dei passi della Retorica : 1367 a, 4, 1368 b, 11, 1368 b, 19, 1386 b, 24, 1387
a, 9, 18, b, 23. A. Wartelle, Lexique de la «Rhétorique» d'Aristote, Paris 1982, p. 171, pone
una differente sfumatura di significato tra eupraxia ed eupraghia : la prima indicherebbe
«bohneur, bonne conduite, art de bien vivre» e la seconda «bonheur, succès, habileté»,
ma il confronto con le altre opere di Platone e Aristotele mostra che le due forme della
parola sono usate in modo sostanzialmente identico. È solo in certi contesti che Platone
ed Aristotele danno ad eupraxia un'accezione particolare.
27 Xenoph. Mem. III, IX, 14; Plato. Alcib. /, 116b; Resp. 379b; Aristot. E.E. 1246 b,
37, E.N. 1098 b, 22, 1139 a, 36, b, 3, 1140b, 7, Phys. 197 b, 5, Poi. 1325 a, 22, b, 15, 21; Rhet.
1360 b, 14.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 335
un senso più filosofico, e traducono questi termini con «well doing»
(Liddell-Scott) o con «operare rettamente» (Rocci). Ma su questa tradu-
zione si potrebbero sollevare obiezioni.
Quello che si trova nei testi filosofici sopra citati, a nostro parere,
non è tanto un diverso significato dei termini eupraxia ed eupraghia,
quanto una reintepretazione filosofica dell'uso comune. In altri termi-
ni, quando Senofonte nei Memorabili identifica eurcpaijta con «agire be-
ne», e la oppone a «buona fortuna» (< euthychia ), quando Platone nell'i4/-
cibiade, I ci dice che Yeupraghia è «agire bene» o «felicità» (eu prattein,
eudaimonia), e quando Aristotele nell'Etica Nicomachea identifica l 'eu-
praxia con il «vivere bene ed agire bene» (eu prattein, eu zen), la tesi
che viene proposta è:
(A) per chi intende bene, l' eupraxia è agire bene (in senso morale).
Ma se questa tesi viene interpretata dando ad eupraxia il senso di
«operare rettamente», come vorrebbe Rocci, quello che i filosofi ci di-
cono diviene una tautologia banale:
(Al) per chi intende bene, l'operare rettamente (eupraxia) è agire be-
ne (in senso morale).
Se al contrario manteniamo ad eupraxia un certo collegamento con
l'idea di «successo», «riuscita», la tesi diviene filosoficamente più inte-
ressante:

(A2) per chi intende bene, il successo (eupraxia) è agire be


so morale).
Mentre la (Al) non ci insegna niente di nuovo, la (A2) è una tesi etica,
nuova rispetto alla mentalità corrente, e storicamente importante. Lo
sforzo argomentativo fatto dai filosofi per stabilire la tesi (A) diviene
comprensibile se (A) è inteso come (A2), mentre sarebbe meno giustifi-
cabile se (A) viene inteso come (Al), insieme evidente e banale28.
Con questo vogliamo dire che il termine eupraxia in Aristotele,
quando viene usato per indicare il fine della prassi, non può essere in-
teso nel senso vagamente kantiano di «azione morale» o di «condotta
virtuosa», ma in esso va mantenuto un certo legame generale con l'idea
di riuscita e di successo. Per questo dicevamo sopra che la traduzione
di Gauthier, «action heureuse» ci pare particolarmente appropriata.
Aristotele, inoltre, usa eupraxia per indicare il fine della prassi, trat-
tandolo come un termine del linguaggio comune che non ha bisogno di
particolari spiegazioni, solo in poche occorrenze dell'Etica Nicomachea
e della Politica. Nel resto delle opere etiche il fine della prassi viene in-

28 Aristotele, per dimostrare questo, si serve di un argomento etimologico, che è pre-


sente, sullo sfondo, anche in Senofonte e Platone: «è impossibile che chi non agisca affat-
to agisca bene, l'agire bene e la felicità sono la stessa cosa» (àSuvocxov yàp xòv (xrjxev
7cpoČTTOVTOc rcparceiv eu, TT)v 8' eÚTupayíocv xat TTjv euSatfxovtav etvai tocùtóv, 1325 a, 21-23).

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336 C. Natali

dicato come to kaloň o


considerata sostanzialme
Se Yeupraxia corrispon
dell'azione, il suo successo, non sono indifferenti alla valutazione del-
l'azione. A noi pare che il raggiungimento del risultato prefisso sia par-
te componente della buona attuazione delle proprie capacità, se non
sempre e in tutti i casi, almeno per lo più: nessuno direbbe generoso un
individuo che tenta sempre di fare del bene agli altri scegliendo bene a
chi deve, nel tempo, nel luogo e nella misura in cui è bello donare e non
vi riesce mai30; ma sarà generoso, per Aristotele, chi di solito, e nella
maggior parte delle occasioni, riesce a fare quanto si propone, anche se
qualche volta, raramente, può fallire. Gli esempi di azione virtuosa che
Aristotele elenca nell'Etica Nicomachea vanno in questo senso: la virtù
della magnificenza, ad esempio si esprime con offerte votive, donazioni,
sacrifici, l'organizzare dei cori, l'equipaggiare una trireme, il dare un
banchetto pubblico (1122 b, 19-23); la giustizia negli scambi si esplica
nel dare una casa per una quantità X di scarpe (1133 a, 5-10); nell'Etica
Eudemia un esempio di atto magnanimo è l'esprimere preferenza per
l'elogio di uno solo, eccellente, a quello della folla (1232 b, 7-9). E si po-
trebbero indicare molti altri casi.
Se la buona riuscita non fosse parte componente del fine, non si ca-
pirebbe perché Aristotele consideri la buona deliberazione, cioè una
adeguata scelta dei modi di agire e delle strade da percorrere, per rag-
giungere il risultato prefisso, come elemento necessario dell'agire vir-
tuoso. Se il risultato esterno fosse, in fondo, indifferente, e potesse
mancare anche in ogni singola azione, senza che il valore di ciò che fa
l'agente morale ne risulti compromesso, perché il phronimos dovrebbe
impegnarsi nella ricerca dei mezzi descritta da Aristotele (zetesist 1112
b, 20)? Una qualsiasi azione, anche inappropriata al raggiungimento del
fine nelle circostanze date, basterebbe. Invece Aristotele ci dice che chi
delibera cerca di trovare il modo di realizzare il fine con i mezzi che
permettono la maggiore rapidità, efficacia e bellezza (Sia tívoç pôca-ca xa
xáXXiaxa, 1112 b, 17). Ciò non avrebbe senso, se il fine fosse la sola azio-
ne morale, ad esempio il mostrare coraggio, considerato indipendente-
mente dal risultato: cosa potrebbe mai significare il cercare come l'a
zione possa essere compiuta «nel modo più rapido e nobile»? Quindi
l'assimilazione proposta da Kraut, nel passo citato prima, tra l'azione

29 T. Engberg-Pedersen, Aristotle's theory of moral insight, Oxford 1983, pp. 27-28,


ricollega eupraxia ad eudaimonia, il che è sostanzialmente corretto; ma è necessario ve-
dere Yeupraxia come il fine della singola azione oltre che come il fine di un'intera vita.
30 E.N. IV, 2, 1 120 b, 3-4: per riuscire a fare questo il generoso cercherà di non dona-
re a chi capita, ma a chi merita.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 337
morale e la contemplazione non è del tutto appropriata, e l'azione mo-
rale mostra caratteristiche contrarie: per alcuni versi essa è energheia
ed è simile alla theoria, per altri versi è simile alla kinesis ed alla poie-
sis. Il suo fine sono insieme l'azione in sé e il risultato positivo, e ciò ri-
specchia la natura composita dell'agente umano.
Che l'azione morale sia anche kinesis è detto esplicitamente, e più
volte, sia nell'Etica Eudemia che nella Metafisica 31. Nell'£ř/ca Eudemia
l'azione è definita un tipo di movimento32, e la capacità di compiere
movimenti è definita come condizione necessaria del compiere azioni
virtuose (I, 2, 1214 b, 17-21). In E. E. II, 6 Aristotele tenta di distinguere
azioni umane e movimenti fisici in base alla loro differente causa mo-
trice, sempre partendo dal principio che anche l'azione è movimento (r
yàp 7upãÇtç xtvrjaiç, 1222 a, 28-29). Accenni, un poco più vaghi, al fatto che
l'azione è movimento si trovano anche nell'Etica Nicomachea 33. Queste
indicazioni potrebbero apparire contraddittorie con i passi in cui si di-
ce che la praxis è energheia e non kinesis. Ma vi è una soluzione: nella
Metafisica Aristotele (1) afferma che l'agire bene e male è insieme movi-
mento ed attività ( kinesis kai energheia , 1028 b, 20), e poi (2) dice che il
bene e il fine morale riguardano il movimento, in quanto sono cause fi-
nali e le altre cose avvengono e sono in vista di loro. Ciò vale anche per
le azioni, aggiunge Aristotele, ed infatti tutte le azioni implicano movi-
mento (at Se 7tpáÇetç 7tãaat fierà xtvrjaecoç, III, 2, 996 a, 27). Quindi l'azione
non è identica al movimento, ma è composta di movimenti; in questo si
differenzia dalla poiesis, che ha una struttura identica a quella del mo-
vimento34. A nostro parere nel caso delle azioni il rapporto che si in-
staura tra movimento fisico e praxis è un rapporto del tipo materia-for-
ma, come quello indicato in Metaph. IX, 6, 1048 b, 6-9; ma non possia-
mo dimostrare ora adeguatamente questo punto35.

31 Ciò è stato notato anche da N. Vamvoukakis, Les catégories aristotéliciennes d'ac-


tion et de passion vues par Simplicius, in Concepts et catégories dans la pensée grecque,
éd. P. Aubenque, Paris 1980, p. 259, sulla scorta di Giamblico, e da J. Dudley, Gott und
Theoria..., cit., pp. 206-207.
32 1220 b, 26-27 , 1222 b, 29: rj ... TTpáçiç xtvrjatç. In modo più vago in E. E. I, 1, 1214 a,
28-30, si assimila la praxis alla ghenesis.
33 1112 a, 23, 1139 a, 31-33.
34 Alessandro d Afrodisia, in Metaph., p. 182, 16-19 Hayduck, ha espresso bene la di-
stinzione, quando ha affermato che le azioni avvengono meta kineseos e le produzioni av-
vengono dia kineseos. Cfr. anche Aristot. De motu an. II, 4, 740 b, 26-29.
35 II rapporto materia-forma descritto in Metaph. IX, 6, 1048 b, 6-9, non si applica
solo agli enti immobili, come riteneva S. Tommaso, XII libros Aristotelis Metaphys. exposi-
tio, ad /., ma anche a casi che coinvolgono movimento, come si vede dagli esempi: vivere
bene, essere felice. Per una discussione più completa di questo punto ci permettiamo di
nuovo di rinviare ad un nostro lavoro, Azioni e movimenti in Aristotele, in corso di pub-
blicazione in un volume collettivo curato da A. Alberti per la casa ed. Bibliopolis.

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338 C. Natali

Vorremmo comunque n
e in parte kinesis, dell
umano, immerso nel m
materia e dell'incerto, i
so. Aristotele pone una
ci, come Dio, la cui att
composti, come l'uomo,
non per l'anima, o vicev

nulla che sia identico è s


non è semplice, ma vi è
ruttibili, di modo che, q
tro natura per l'altra na
ciò che si fa non è né pia
dividuo fosse semplice, l
questa ragione il dio god
solo un'attività propria d
cere si trova più nella quie

Ora forse è possibile co


attribuire agli dei le azio
esse potrebbero anche a
re; ma in quanto sono co
incomplete, e inadatte al

IV - Praxis e theoria nella Politica

Nella Politica, coerentemente con quanto detto nella Metafisic


stotele sostiene che praxis in senso proprio, come attività che ha
fine, e per la quale, quindi, il raggiungimento del fine non pone t
al processo ( Metaph . IX, 6, 1048 b, 26-27), è soprattutto la theoria :

Ma se questo è stato detto in modo corretto, e si deve ritenere c


felicità è la buona riuscita (eupraghià), e che quello pratico sia il t
vita migliore sia per l'intera polis che per il singolo, tuttavia non è
sario che il vivere pratico sia rivolto ad altri, come ritengono alcu
che ragionamenti pratici siano solo quelli tali che nascono dall'
tendono al risultato, ma molto più lo sono quelli che hanno in sé la
zione, e le forme di theoria e di riflessione che hanno se stesse 36 co
ne: infatti la buona riuscita è il fine, e dunque è una certa praxis. E
che nel caso delle azioni rivolte all'esterno diciamo che agiscono so
tutto, in senso forte, coloro che dirigono attraverso i loro ragionam

36 auT&v è congettura di Bruno Vettori; ocutcòv mss.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 339
(...) Allo stesso modo ciò si attribuisce anche ad ogni individuo singolo:
difficilmente, sennò, il dio e tutto il cosmo sarebbero in una condizione
beata, loro, che non hanno azioni rivolte all'esterno al di là di quelle loro
proprie. È quindi chiaro che necessariamente è lo stesso tipo di vita il mi-
gliore, sia per ciascun essere umano, sia insieme per la polis e per i citta-
dini 37 (VII, 3, 1325 b, 14-32).

Qui è chiara la distinzione tra i ragionamenti pratici «che nascono


dall'agire e tendono al risultato» (tocç t&v arcoßaivovTCüv yiyvo(x£vaç
ix tou rcpdiTTetv), cioè i ragionamenti pratici della phronesis, che dirige
l'azione con un ragionamento tendente al fine (Xóyoç ó evexá tivoç, E.N.
VI, 2, 1139 a, 32-33), ed i ragionamenti che non hanno altro fine che se
stessi, che Aristotele generalmente definisce come theoria. Nell'uso co-
mune di Aristotele, praxis è riservato all'azione di tipo etico, politico e
in genere moralmente valutabile, e viene ben distinta dalla theoria. Qui
invece la theoria è definita il tipo più alto di praxis e di prattein 38. Ciò è
comprensibile sulla base della distinzione stabilita in Metaph. IX, 6,
1048, b 17-35: è praxis sopratutto quell'attività che ha il fine in sé, ed
abbiamo visto che l'azione morale da questo punto di vista è in una si-
tuazione piuttosto ambigua. Quindi Aristotele, in modo paradossale ri-
spetto a certe sue distinzioni, ma anche coerente con altre, giunge a di-
re che la somma praxis è la theoria. Il che non significa, a nostro parere
e contro quanto riteneneva Kraut, che ad ogni tipo di praxis, in partico-
lare a quelle che mettono in pratica le virtù etiche, e che qui, nella Poli-
tica, sono chiamate exotherikai praxeis, si possano attribuire tutte le
caratteristiche della theoria. Piuttosto significa che, se si prende la de-
finizione di praxis in senso stretto, solo atti come il riflettere, il vedere,
il pensare posono essere considerati casi perfetti di azione. Alla città
questa definizione ristretta di praxis può essere applicata solo per ana-
logia: Aristotele non pensa ad una comunità di saggi impegnati, solo ed
esclusivamente, nella theoria, dato che una tale comunità non potrebbe

37 Mss. TOtç àv0pá)7toiç, Richards congettura xotç rcoXtTaiç. W.L. Newman, The poli-
tics of Aristotle, ed. and comm., Oxford 1887-1902, vol. Ill, p. 340, e, sulla scia, J. Aubon-
net, Aristote. Politique, éd. et trad., Paris 1960-1989, vol. Ill, p. 145, ritengono che qui TOtç
àvGpcorcotç, per la sua vicinanza a TióXeat, possa essere inteso come equivalente a xotç 7CO-
XtTaiç, mentre nella riga precedente, evidentemente, éxáaTW tg>v avGpcoircov indica cia-
scun singolo essere umano. Della stessa opinione Pellegrin, mentre Lord e Laurenti inten-
dono alla lettera: «sia per ciascun uomo sia, insieme, per la polis e per gli uomini», il che
suona un po' strano.
38 Anche per quanto riguarda i «pensieri pratici» quanto dice qui Aristotele contra-
sta con quanto si dice in De an. I, 3, 407 a, 23. In De cáelo, II, 12, 292 a, 22, invece, Aristo-
tele nega che si possa attribuire la praxis a Dio, intendendola ovviamente come 'azione'
nel senso umano del termine.

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340 C. Natali

nemmeno sopravvivere,
sia la politica estera.
L'uomo, invece, può rag
le a quello di Dio:

L'attività dell'intelletto s
sendo teoretica, e che non
bia il suo proprio piacere,
teristiche dell'indipenden
quanto è possibile ad un e
è beato, si mostrano chiar
sta attività: essa verrebbe
no, quando comprenda la
pleto rientra tra ciò che f
trebbe essere troppo supe
fatti non vivrà in questo
lui appartiene qualcosa di
dal composto, di tanto lo
l'altra specie di virtù. Se
vita secondo questo è div
seguendo coloro che ci am
umane, né che chi è mort
si renda immortale per q
l'elemento più alto tra qu
estensione, per potere e d
brebbe anche che ciascuno
pale e il migliore. Ne de
scegliesse la vita più pro
che abbiamo detto prima
ciascuno per natura è per
re umano, quindi, lo è la
umano è soprattutto que
felice (EM X, 7, 1177 b, 1

Questo testo rappresen


di Aristotele: per lui l'uo
umano, nel senso di lim
sono gli animali. L'uom
gerarchicamente dispos
insieme la più umana e

39 8rj con i codici più antichi


da Susemihl e Stewart.
40 Protr. fr. 65 Düring; Metaph. I, 2; cfr. F. Dirlmeier, Aristoteles. Nikomachische
Ethik, cit., pp. 591-592; R.A. Gauthier, Avistóte ..., cit., II, pp. 728-729; T.B. Eriksen, Bios

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Attività di Dio e dell'uomo nella « Metafisica » 341
un ideale regolativo, come voleva Stewart41, dato che per un breve tem-
po l'uomo riesce a realizzare la sua attività migliore. Si deve dire piut-
tosto, come vedremo, che, anche al suo massimo livello, l'attività uma-
na non riesce ad essere del tutto identica a quella divina.
Nel brano del l'Etica Nicomachea appena citato non è detto chiara-
mente quale sia il contenuto della theoria di cui parla Aristotele. Ma
pochi hanno dubitato che si tratti di una forma di conoscenza discorsi-
va, dianoia.
Tuttavia Aristotele ci parla costantemente di nous e noesis. È proba-
bile che qui il termine abbia un valore generico, ed indichi «la ragione»
o «il pensiero», senza ulteriori specificazioni.
Ma nel brano della Metafisica citato all'inizio, quando imposta un
paragone tra l'attività dell'uomo e l'attività divina, e parla quindi in
modo più rigoroso, Aristotele può paragonare la theoria umana alla
theoria divina solo per quanto riguarda il nous preso in senso stretto, e
l'attività intuitiva di esso. Infatti secondo Aristotele il pensiero discor-
sivo mostra, ben inteso ad un livello più alto, la stessa ambiguità della
praxis : da una parte è energheia, dall'altra è kinesis o implica kinesis. Il
problema è complesso42: quindi ricorderemo solo che in De anima, I, 4,
408 b, 1-11, Aristotele ammette che le affezioni e il pensiero, o sono mo-
vimenti, o sono collegati a movimenti, sebbene affermi che da questo
non si può inferire che l'anima sia in movimento. Parlando più in gene-
rale, in sede polemica contro gli Eleati, Aristotele fa propria l'opinione
diffusa, secondo cui phantasia e doxa sono movimenti43, mentre nell'Ê-
tica Eudemia tutte le attività dell'anima razionale sono descritte come
forme di energheia e di kinesis insieme (II, 1, 1218b, 35-36).
Neil 'Etica Nicomachea Aristotele afferma che «il bene e il male del
ragionamento teoretico, e non pratico né produttivo, sono verità ed er-
rore» (VI, 2, 1139 a, 27-29). Ciò suggerisce che il ragionamento che av-

theoretikos..., cit., pp. 114-129. Vi è un dibattito sul contenuto della theoria umana, tra
chi pensa sia l'insieme delle scienze teoretiche, come W.D. Ross, Aristotele, cit., p. 224 e
R. Joly, Le thème philosophique des genres de vie dans l'antiquité classique, Bruxelles
1956, pp. 117-123, e chi pensa che sia la divinità, come P. Defourny, L'activité de contem-
plation dans les morales d'Aristote, «Bull. Inst. Hist, belge de Rome», 18, 1937, pp. 89-101,
e J. Dudley, Gott und Theoria..., cit., pp. 111-115. A nostro parere una considerazione di-
retta di Dio, come oggetto di cui cercare le cause e la natura, indipendentemente dalla
considerazione del mondo del divenire, non si trova mai in Aristotele: la metaphysica spe-
cialis si fonda sulla metaphysica generalis.
41 J.A. Stewart, Notes..., cit., II, p. 448.
42 Vedi sul tema D.J. Furley, Self Movers, in: Aristotle on mind and the senses, eds.
G.E.R. Lloyd - G.E.L. Owen, Cambridge 1978, pp. 165-179, e G. Movia, Aristotele. L'anima,
trad, e comm., Napoli 1979, pp. 103-104 e 261-263.
43 Cfr. Phys. Vili, 3, 254 a, 26-30; vedi anche De an. 429 a, 1: rj 90cvT<xaia... xtvrjatç;
433 b, 18: ôpeÇtç xtvrjatç Ttç eaxtv rj èvepyeta.

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342 C. Natali

viene attraverso il pass


una conclusione, è da u
l'altra kinesis, in un sen
raggiungimento della
non con il semplice fatt
cioè, nei termini di Met
dicando separate le cose
to, quindi, come la pras
il suo bene.
Il nous, al contrario, quando coglie gli indivisibili44, non può errare,
ma, nel caso degli indivisibili,

l'attingere e l'enunciare sono la verità, infatti non sono la stessa cosa l'af-
fermare e l'enunciare; l'ignorare è il non attingere, dato che ingannarsi
intorno all'essenza non è possibile, se non per accidente, ed allo stesso
modo riguardo alle sostanze non composte45, dato che non è possibile in-
gannarsi; (...) quindi le cose che sono come ciò che è (una certa cosa), e in
atto, intorno a queste non è possibile ingannarsi ma solo o pensare o no.
Ma riguardo ad esse si cerca l'essenza, se sono di un certo tipo o no (1051
b, 24-33).

Questa teoria può essere spiegata, a nostro parere, sulla base della
distinzione tra energheia e kinesis. L'intellezione degli indivisibili, in
quanto tale, al di là del processo dialettico che può avere condotto ad
essa, non è processuale, come vedremo meglio più avanti, riguardo a
Metaph. XII, 9. Non è possibile per il nous l'errore proprio della dia-
noia, e che consiste nel non pervenire al telos, cioè nel non attribuire
correttamente un predicato ad un soggetto: quest'ultimo errore infatti
è proprio di un ragionamento che avvenga attraverso un movimento
del pensiero, che può non arrivare alla giusta conclusione. Se invece
si intende la noesis in senso ristretto, come energheia in senso metafi-
sico, nel senso di Metaph. IX, 6, fine, essa, per tutto il tempo in cui si
verifica, ha in sé il telos, che nel suo caso è la verità, e non sta al ter-
mine del processo. Quindi non è possibile avere una noesis che non
raggiunge il vero riguardo al suo oggetto, perché, ripetiamo, se la
noesis è energheia, e il vero è il bene e il fine, per definizione quando
Yenergheia si verifica il fine è sempre presente. È solo possibile non

44 Non ci occupiamo qui di quali siano gli indivisibili per il nous umano: ma è chiaro
che il suo ergon è un contenuto esprimibile in forma proposizionale e non una intuizione
mistica ed irrazionale, cfr. 1051 b, 32-33: «si cerca l'essenza, se sono di un certo tipo o
no».

45 fjirj ouvOexáç: il fxrj è aggiunto nel cod. E, ma è accettato dallo


tutti gli editori a partire da Bekker.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 343

avere affatto noesis, cioè ignorare.

V - Attività umana e attività di Dio


NEL LIBRO A DELLA METAFISICA

Sulla base di quanto detto fin ora, possiamo finalmente affrontare i


passi di Metafisica, XII, 7 e 9, in cui sono contrapposte l'attività di Dio e
l'attività dell'uomo. Il primo confronto, contenuto in Metaph. XII, 7, è
espresso da un testo estremamente difficile ed incerto, sulla cui esatta
interpretazione i commentatori si sono affaticati per generazioni, senza
giungere a risultati definitivi. Gli editori più recenti, Ross e Jaeger, han-
no dato una lettura del testo che sostanzialmente si ispira, nei passi più
difficili, al commento dello Ps. Alessandro d'Afrodisia, e non ai codici
più antichi. Non sappiamo quale testo leggesse il vero Alessandro; ma
Averrroè, nel suo grande commento alla Metafisica, che si presenta co-
me una parafrasi del commento di Alessandro con qualche aggiunta
tratta da Temistio (cfr. pp. 1393-1394 Bouyges), sembra seguire, per
quanto riguarda questo passo, le lezioni dei manoscritti più antichi e
non quelle dello Ps. Alessandro46. Quindi la questione rimane aperta.
Il passo, molto noto, è il seguente:
Il cielo e la natura dipendono da un principio simile. Il (suo) modo di
vivere è tale, quale è il migliore per noi, (ma) per breve tempo; infatti
quello è così sempre - per noi è impossibile - dato che la sua attività è
anche piacere 47, e per questa ragione la veglia, la sensazione e il pensiero
sono cose dolcissime, e le speranze e i ricordi a causa di questi. Il pensie-
ro che è per sé riguarda ciò che per sé è il migliore, ed è soprattutto (per
sé) quello di ciò che è soprattutto (il migliore). L'intelletto pensa se stes-
so, secondo la partecipazione all'intelligibile: infatti diviene intelligibile
attingendo e pensando, di modo che intelletto e cosa pensata (sono) lo
stesso. Infatti ciò che può accogliere l'intelligibile e la sostanza, è intellet-
to, ed è in atto possedendo, di modo che, più di quello, questo48 è ciò che

46 Del commento di Averroè al libro Lambda è disponibile ora una traduzione fran-
cese commentata del testo arabo edito da M. Bouyges: A. Martin, Averroès. Grand com-
méntaire de la «Métaphysique» d'Aristote (Taf sir ma ba'd at-tabi'at). Livre Lam-Lambda,
trad, francese, Paris 1984, cfr. in particolare pp. 25-27 e 230-240.
47 67cet xat rjòovrj rj èvepyeta toutou, Bonitz, Ross, Jaeger e Reale, sulla base dello Ps.
Alessandro e di E; Averroè e, tra i commentatori moderni, Schwegler, seguono la lezione
dei mss. più antichi, inií xat i' ijSovrj ivépyeta toutou «dato anche che il piacere è attività
di questo». Quasi tutti i commentatori, antichi e moderni, ritengono che l'èxeìvo della li-
nea 15 e il toûto della linea 16 si riferiscono allo stesso ente, il Motore immobile; fa par-
zialmente eccezione C. Diano, Aristotele. La metafisica libro XII, ed. e trad., Bari 1949, Pa-
dova 1971 2, p. 32, che traduce «l'atto di questa (sua forma di vita) è anche piacere».
48 II brano è stato discusso a lungo, e ne sono state date interpretazioni differentissi-
me. Averroè ed i commentatori del secolo XIX, Krische, Biese, Schwegler hanno interpre-
tato Ivepyet 8è ê'x^v, linee 22-23, nel senso di contrapporre Yechein, il possedere la scien-
za, al pensare attuale, cfr. Phys. 255 a, 33; De ari. 412 a, 25: «ed è in atto già possedendo

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344 C. Natali

l'intelletto pare avere di


migliore. Se dunque, in qu
me noi siamo a volte, è co
ancora più meravigliosa. E
fatti l'attività dell'intelletto è vita, e tale attività è lui49; l'attività che è
per sé di quello è vita ottima ed eterna, e noi diciamo50 che il dio è essere
animato eterno, ottimo, di modo che la vita e una durata continua ed
eterna appartengono a Dio: infatti Dio è tale (1072 b, 13-30).

In accordo con quanto ha detto in E.N. X, 7, Aristotele afferma che


l'attività di Dio è quella che a noi è possibile solo per breve tempo, anzi
è anche superiore ad essa. E tra le attività teoretiche dell'uomo quella
che permette di porre un rapporto di somiglianza con Dio è l'intellezio-
ne degli indivisibili, che avviene attraverso un 'attingere' (1051 b, 24,
cfr. 1072 b, 21: thighein, thinganon). Inoltre, Aristotele aggiunge la teo-
ria del De anima, III, 4, fine, secondo cui l'intelletto conosce se stesso
attraverso il conoscere le forme delle cose.
Il brano è divisibile in due parti; nella prima (1072 b, 13-25) Aristote-

le. la capacità)». Anche quando il nous ha solo la capacità (hexis) di cogliere l'intelligibi-
le, è già in attività. Secondo questa interpretazione il nous di cui si parla è quello umano.
Il testo tramandato dai mss. alla linea 23, gS<jt' èxeìvo [xãXXov toutou o Boxet ó voûç 0etov
e'xeiv, «cosicché quello (= il fatto che l'intelletto pensa se stesso secondo l'apprensione
dell'intelligibile, linee 19-20) piuttosto di questo (= l'essere capace di accogliere l'intelli-
gibile) è ciò che l'intelletto pare avere di divino» risulta quindi accettabile. Da Bonitz in
poi si è inteso invece èvepyet Se e'x<ov come «possedendo (se. l'intelligibile) è in atto». Il te-
sto della linea 23 diviene allora difficile da capire, e già Bonitz propone di accettare il te-
sto dello Ps. Alessandro: <&<jt' èxetvou [xãXXov toûto o Soxet ó voûç 0eîov è'xstv «cosicché
piuttosto di quello ( = l'essere capace di accogliere l'intelligibile), questo (= l'essere in at-
to, linea 19) è ciò che l'intelletto pare avere di divino» Questa interpretazione si può ap-
plicare sia all'intelletto umano che a quello divino. Ross, comm. ad, l osserva che il testo
dello Ps. Alessandro potrebbe essere interpretato anche in un altro senso: «so that what
reason is thought to have of divine belongs to the prime mover (ekeinou, cf. ekeinos linea
27) rather than to the human mind», e che, al limite, si potrebbe mantenere il testo dei
mss. anche interpretando l'espressione èvepyet 8è e'x^v al modo di Bonitz, e tradurre: «so
that that (ekeino) which reason is thought to have of divine belongs to the Prime mover
(toutou) rather than to the human mind». Jaeger e Reale seguono Ross, Jaeger con qual-
che incertezza. A titolo di curiosità ricordiamo l'interpretazione di èvepyet 8è ex<*>v data
da Jackson: «e sta sempre in atto», sulla base di espressioni del linguaggio comune come
Xrjpetç e'xwv, <<resti h a chiachierare», ma Ross obietta giustamente che un tale linguaggio
pare qui fuori luogo.
49 exeîvoç, Ross e Jaeger; Ixetvo mss.
50 90C[xèv oe, testo dei mss. e dello Ps. Alessandro, mantenuto da Diano, contro il te-
sto corretto da Bonitz e dagli editori successivi sulla base della parafrasi di Temistio: 90c-
(xev 8rj, «noi quindi diciamo», testo che pare accettato anche da Averroé. Il testo dei mss.
è stato recentemente difeso da R. Bodeüs, Aristote et la théologie..., cit., pp. 44-45, secon-
do cui qui Aristotele non sta traendo le conclusioni di quanto ha detto, ma sta afferman-
do che si accorda con quanto detto anche quello che comunemente si afferma su Dio, cioè
che egli è essere animato eterno, ottimo.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 345
le mette a confronto il funzionamento del nous umano e del nous divino
attraverso una comparazione abbastanza complessa: egli procede ad in-
dividuare le caratteristiche tipiche del nous in astratto, per poi deter-
minare il modo particolare in cui il nous umano, da una parte, e il nous
divino, dall'altra, attuano tali caratteristiche51. Così la diagoghé dell'in-
telletto dapprima è detta la migliore (b, 14-15), e poi si specifica che in
Dio essa è eterna, ed in noi è possibile solo per brevi istanti (b, 15-16).
L'attività noetica è detta essere anche piacere, e ciò vale evidentemente
sia per Dio che per l'uomo, dato che si dice che a causa di essa l'uomo
trova piacevoli veglia, sensazione, pensiero, speranze e ricordi: sarebbe
assurdo dire che l'uomo trova piacevoli queste cinque attività psichiche
perché l'attività noetica del motore immobile è anche piacere (b,
17-18) 52.
Un brevissimo Confronto, non molto chiaro, tra l'attività del nous
umano e di quello divino si trova subito dopo (b, 18-19: «Il pensiero che
è per sé riguarda ciò che per sé è il migliore, ed è soprattutto (per sé)
quello di ciò che è soprattutto (il migliore)»). Le linee seguenti (1072 b,
19-22: «L'intelletto pensa se stesso, secondo la partecipazione all'intelli-
gibile: infatti diviene intelligibile attingendo e pensando, di modo che
intelletto e cosa pensata (sono) lo stesso») si occupano del modo in cui
l'intelletto diviene oggetto a se stesso, attraverso la partecipazione (me-
talepsis) all'intelligibile. Il fatto che non si specifichi se l'oggetto dell'in-
tellezione è lo stesso nous o un altro ente, rende queste determinazioni
applicabili sia a Dio che all'uomo53. Il capitolo XII, 9 si occuperà di ap-
profondire e spiegare questo punto. L'indicazione sulla distinzione tra
l'intelletto in potenza e quello in atto (b, 22) è da riferirsi invece all'uo-
mo, mentre le tormentate linee 1072 b, 22-24 («ed è in atto possedendo,
di modo che, più di quello, questo è ciò che l'intelletto pare avere di di-
vino, e la contemplazione è la cosa più dolce e migliore»), secondo le va-

51 Questa prospettiva è prevalente nel comm. dello Ps. Alessandro, pp. 696, 33-699,
25 Hay duck, ed anche nel commento di Averroè, pp. 1612i- 1619a Bouyges, cfr. A. Martin,
Averroes. Grand comméntaire..., cit, pp. 233-239. Temistio, in Aristot. Metaphys. librum
Lambda paraphr., pp. 21, 30-24, 23 Landauer, parafrasa Aristotele come se l'oggetto di
tutto il brano fosse il nous divino: evidentemente egli pensa che il nous divino è quello
che meglio esemplifica le caratteristiche del nous in generale, e che il nous umano è da
considerarsi una forma depotenziata di quello divino. S. Tommaso, XII libros Aristotelis
Metaphys. expositio, § 2536 ad 1072 b, 14 ritiene invece che qui Aristotele metta a con-
fronto il nous divino e quello del primo cielo.
52 Cfr. Ps. Alex. 697, 8-11. Tuttavia Temistio (22, 1-3 e 12-14) e Averroè (1616a Bouy-
ges = p. 236 Martin) riferiscono l'espressione della linea 16 (£7i£i xaì rjSovr) rj evepyeia
toutou) al motore immobile.
53 Lo Ps. Alessandro, 697, 16-698, 22, e Averroè, 1 6 1 7f Bouyges = p. 237 Martin, ri-
feriscono il tutto all'uomo.

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346 C. Natali

rie interpretazioni, poss


bi, come abbiamo già de
La seconda parte del br
Dio, superando gli aspe
Dio non è perfetto solo
fetto (b, 24-26). A Dio so
che ricordano quelli che
precisato, con un comple
8ioç U7cápxei xá) Osco, «
un punto già sollevato n
nel tempo54. Qui il tono
l'attività divina che tro
minori: questo brano sot
bile, e ci dice meno su co
Il motore immobile ese
attività noetica. Ma, seb
l'energheia è pura, meno
fatti Aristotele non usa
no diagoghé , energheia,
questo Aristotele è coe
machea.
Tutto ciò è detto nel capitolo 7 in poche righe; alcune precisazioni
vengono date in Metaph. XII, 9. Su quest'altro testo faremo solo alcune
osservazioni rapide, per non allungare troppo il nostro intervento. Inol-
tre il capitolo 9, a quanto pare, sarà oggetto di una relazione specifica
del prof. Krämer.
Il capitolo afferma che esistono alcune aporie e alcune difficoltà (8u-
axoXtocç) intorno al nous , intendendo con ciò il nous divino. Un'altra di-
scussione intorno all'attività di Dio è citata nei Magna Moralia, 1212 b,
37-1213 a, 5, in cui si conclude che è atopon che Dio contempli se stes-

54 De cael. I, 9, 279 a, 11-b, 3, in part, a 17-22: «È chiaro che lì fuori (= al di là del


cielo delle stelle fisse) non vi è luogo né vuoto né tempo, quindi le cose di lassù non sono
per natura in un luogo né il tempo le fa invecchiare, né vi è nessun mutamento per nessu-
no degli enti che sono posti al di là del movimento più esterno, ma senza mutarsi e senza
subire affezioni posseggono la vita migliore e la più autosufficiente che si estende per
tutta l'eternità (tov ówcavTOC aícõva)». Vi è una discussione sul problema se queste righe si
riferiscano ai motori immobili o no. Noi riteniamo di sì, dato che queste realtà sono poi
comparate, allo stesso modo di Metaph. XII, 7-9, con il discorso comune sugli dei, e si di-
ce che sono «immutabili» (279 a, 32). Tale attributo, se può anche essere riferito al cielo
delle stelle fisse, molto più si riferisce al motore immobile: «si è dimostrato che il mosso
è primo e semplice e ingenerato e incorruttibile e in generale immutabile, ma è ragione-
vole pensare che il motore sarà tale molto di più: infatti è motore primo del primo e sem-
plice del semplice e incorruttibile e ingenerato dell'incorruttibile e ingenerato» (288 a,
34-b, 4).

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 347

so. Gli studiosi sono in dubbio se questo brano dei M.M. rifletta una di-
scussione precedente o contemporanea a Metaph. XII, 9, oppure sia
opera di un autore peripatetico tardo55. Attraverso queste aporie Ari-
stotele arriva a formulare la dottrina secondo cui il pensiero divino ha
per oggetto se stesso ed è pensiero di pensiero (rj vórjaiç vorjaecoç vórjatç, b,
34-35), che tanta celebrità ha avuto nella storia del pensiero europeo.
Nel corso della dimostrazione di questo punto Aristotele formula
due affermazioni che ci sembrano confermare la nostra interpretazio-
ne, secondo cui la noesis divina è pura attività intuitiva, e solo essa, a
parlare rigorosamente, è scevra da movimento, perché il suo oggetto è
semplice ed identico al soggetto pensante. È assurdo che il nous divino
pensi altro da sé, dice Aristotele (b, 23-25), e quindi

è chiaro dunque che pensa la cosa più divina e migliore, e non muta, in-
fatti il mutamento sarebbe verso il peggio, ed una cosa simile sarebbe già
una forma di movimento (xtvrjatç xtç fļSrļ tò Totoôtov, 1074 b, 25-27).

Alcuni commentatori hanno interpretato il passo pensando che Ari-


stotele voglia dire il nous divino non muta, perché il movimento che ne
deriverebbe, essendo un allontanarsi dalla cosa migliore e più divina,
sarebbe necessariamente un mutamento verso il peggio56. Ciò è vero
ma non è sufficiente: anche se fosse un mutamento verso il meglio o
verso una cosa altrettanto divina, il mutamento, essendo un tipo di mo-
vimento, non potrebbe essere attribuito a Dio, che per natura è atto pu-
ro e quindi del tutto privo di kinesis 57 . Ciò conferma quanto dicevamo
prima: il pensiero umano non è mai energheia completa, anche se è
energheia in misura maggiore dell'azione; infatti sia come dianoia sia
come nous comporta una molteplicità, e il passaggio dall'uno all'altro
elemento di questa molteplicità è già una kinesis. Nel caso del nous non
c'è più il pericolo che il movimento in cui il pensiero consiste non giun-
ga al suo fine, la verità, dato che per definizione il fine è presente quan-
do lo è l'intellezione. E tuttavia il fatto che l'oggetto del nous sia com-

55 F. Dirlmeier ha sostenuto entrambe le posizioni: in Die Zeit der «Grossen Ethik»,


«Rheinisches Museum», 88, 1939, pp. 229-234, ha sostenuto che l'autore è un esponente
della decadenza del Peripato; in Aristoteles. Magna moralia, üb. u. komm., Berlin 1964,
1983 5, pp. 468-470, ritiene invece che il brano sia stato scritto prima della redazione di
Metaph. XII, 9. A noi il brano pare simile alle aporie metafisiche di Teofrasto, e tende-
remmo quindi a ritenerlo di autore posteriore ad Aristotele. Cfr. anche Ph. Merlan, Stu-
dies in Epicurus and Aristotle, Wiesbaden 1960, pp. 85-92 e P.L. Donini, L'etica dei Magna
Moralia, Torino 1965, p. 140 n. 22.
56 A. Schwegler, Die Metaphysik..., cit., p. 284.
57 Ps. Alex. Aphrod. in Metaphys., p. 711, 35-36 Hayduck; cfr. H. Bonitz, Aristotelis
Metaphysica..., cit., pp. 516 e 518, W.D. Ross, Aristotle's..., cit., p. 396, G. Reale, Aristotele.
La Metafisica..., cit., p. 302.

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348 C. Natali

posto comporta già un


di compósto (e quello um
quindi rimane ancora un
muterebbe nel (passaggio

Il confronto del nous u


qualcosa su Dio, ma an
reperibile tra le cose di
che fare, in misura mag
strutturalmente identic
il movimento fisico com
ché è un tipo di attività
il suo oggetto è compos
In conclusione, quindi
na è di essere un comp
ragione Aristotele nell
tate, che gli dei compia
cezione di Dio come attu
l'attività divina, egli pu
siste nell'intuizione di u
L'attività umana, invece
ogni praxis si nasconde

VI - L'attività di Dio e la concezione aristotelica dell'azione

Cosa significa questa dottrina? Quale lettura dobbiamo dare


parole di Aristotele? A questa domanda possono essere date ri
differenti.
Alcuni potrebbero pensare che la vera prassi è solo quella d
Simplicio nel suo commento alle Categorie si pone ad un certo pu
problema della divisione della categoria del poiein, e lo risolve, co
temente con la sua posizione neoplatonica, attraverso una gerarch
zione delle forme di agire, gerarchizzazione in cui il gradino infe
presuppone il gradino superiore ed è prodotto da esso. Quindi sec
Simplicio il modello più perfetto di «azione» si trova nell' energh
vina, ed a partire da essa vanno interpretati i gradi successivi di
templazione e di azione, che Simplicio elenca con minuzia: pura en
gheia, atto auto-contemplativo di Dio, intuizione degli enti sempl
tuizione degli enti matematici, contemplazione delle sostanze astr

58 Che nella poiesis umana vi sia anche un aspetto di energheia è stato però so
to da Giamblico, tra i commentatori antichi, cfr. N. Vamvoukakis, Les catégorie
pp. 199-200, e da S. (Waterlow) Broadie, Ethics with Aristotle, New York-Oxford 19
206-209 e 238-239, tra i moderni.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 349
generazione di essenze, azioni politiche, produzioni. Tutto ciò in Sim-
plicio va inteso come una serie dipendente dal significato primo 59.
In tempi più vicini a noi Blondel ha cercato di fondare una filosofia
dell'azione su basi che, per alcuni aspetti, a noi non sembrano molto
lontane da quelle di Simplicio. Nel suo ampio volume sul concetto di
azione Blondel si è proposto di «cogliere l'unità fondamentale e ultima
che anima il dinamismo universale ab imis ad summum finem»; un mo-
mento importante di tale programma consiste nell'interpretazione della
teoria aristotelica dell'azione. E, per interpretare Aristotele, Blondel
costruisce una scala ascendente dei vari tipi di agire: partendo dalla
produzione, passando poi per la praxis intesa - in modo non lontano
da quello di Heidegger - essenzialmente come autorealizzazione, Blon-
del giunge alla contemplazione, vista come autorealizzazione completa
o «dinamismo pacificato e trionfante». Ma lo stesso contemplare uma-
no si rivela un agire caduco. Perché si abbia 'azione' in senso pieno è
necessario allora passare ad uno stadio ancora superiore, l'agire puro
divino, che è il solo a non avere in sé un elemento passivo. L'agire divi-
no, per Blondel, si acquieta in sé, e, lungi dall'essere una operazione
transitiva, è una perfetta immanenza nel seno di una trascendenza as-
soluta. L'agire divino è quindi il senso pieno dell'agire, nell'uomo inve-
ce l'azione è sempre mescolata di passività60.
Il vitalismo che sta alla base della sistematica costruzione di Blon-
del è molto lontano dalle gerarchizzazioni neoplatoniche tardive di
Simplicio, ma entrambi gli autori condividono una interpretazione del-
la teoria dell'azione di Aristotele per la quale l'agire divino, come ener-
gheia pura, è il nodo concettuale a partire dal quale si comprendono
tutte le altre forme di agire, tutte imperfette e subalterne rispetto alla
prima.
Non credo che questa sia la via di Aristotele. L'azione umana è an-
che energheia, e Y energheia perfetta è reperibile solo in Dio; ma l'ener-
gheia divina non è un'azione, ed anzi, nell'Etica Nicomachea, nei passi
del libro X che abbiamo citato nei paragrafi precedenti, Aristotele nega
che la divinità compia azioni. Se si interpretasse l'azione umana sulla
base dell 'energheia divina molti degli aspetti tipici dell'azione umana
(come la distinzione fine/mezzi, il fatto che l'azione è frutto di delibera-
zione e scelta, che è prodotta dalla saggezza, che l'azione corretta è un
giusto mezzo, e via dicendo) dovrebbero necessariamente risultare

59 Simpl. in categ., pp. 317, 6-319, 25 Kalbfleisch, cfr. N. Vamvoukakis, Les catégo-
ries..., cit., pp. 257-259.
60 M. Blondel, L'action , Paris 1936-1937, 1949-1963 2, vol. I, pp. 51-121 e 191-192. Su
Blondel, filosofo oggi molto trascurato, vedi S. Cialdi, Genesi e sviluppo della filosofia di
Maurice Blondel, Firenze 1973, con ampia bibliografia.

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350 C. Natali

estranei al nocciolo conc


ro venire considerati com
bolimento che l'azione s
ragionando in questo mo
sere impoverita, e sost
di atto o attività.
L'idea dell 'energheia divina è importante nella determinazione del
contenuto concettuale dell'azione umana, ma non come significato fo-
cale o come primo significato della serie. Se quanto abbiamo detto nei
paragrafi precedenti è vero, allora si può dire che Aristotele considera
come praxeis umane sia l'azione morale che la theoria , e che entrambe,
sia l'azione morale che la theoria , sono per lui un composto di ener-
gheia e di kinesis , anche se nella theoria il movimento deve essere inte-
so in un senso particolare. La nozione di energheia serve quindi ad Ari-
stotele per chiarire cosa sia la praxis , mostrando le differenze che la di-
stinguono dalla kinesis ; essa permette ad Aristotele di concepire un ti-
po di evento che, pur verificandosi nel mondo della materia e del dive-
nire, è dotato di caratteristiche sue proprie, diverse e in parte opposte
a quelle di un qualunque movimento fisico.
Noi pensiamo che Aristotele riformuli in questo modo la sua nozio-
ne di azione in contrapposizione alle teorie dei suoi predecessori. In
particolare il concetto di energheia , come attività in cui il fine è presen-
te durante tutto l'agire, permette ad Aristotele di elaborare una visione
dell'agire umano tale da superare la teoria socratica dell'azione, secon-
do la quale l'azione morale è frutto di una techne, e quindi non è del
tutto distinguibile da una produzione61. Reinterpretata nei termini di
Aristotele, la posizione di Socrate consiste nel ridurre tutto l'agire
umano ad una produzione, e cioè a qualcosa di molto simile ad un mo-
vimento naturale, che termina quando raggiunge il suo fine, ed ha il
suo fine fuori di sé. Nella prospettiva aristotelica, se l'agire fosse tale,
perderebbe la sua autosufficienza, e diverrebbe totalmente dipendente
dal risultato.
Al contrario il modello dell 'energheia divina fornisce ad Aristotele
un esempio di attività del tutto autosufficiente. La prassi umana, for-
malmente energheia , ma kinesis dal punto di vista della sua costituzio-

61 La posizione di Platone su questo punto è molto complessa, ma è evidente dal Car-


mide, 163a-164c, che egli non accettava la distinzione tra poiesis e praxis. Sull'uso della
techne come modello dell'azione in Socrate e Platone si può vedere da una parte H.G. Ga-
damer, Verità e metodo (1960), trad, it., Milano 19896, pp. 366 ss., e dall'altra T. Irwin, Pla-
to's moral theory, Oxford 1977, 1982 3, pp. 71-73, 93-95, 127 ss., su cui vedi anche G. Cam-
biano, Remarques sur Platon et la 'techné', «Revue philosophique de la France et de l'é-
tranger», 4, 1991, pp. 407-416.

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Attività di Dio e dell'uomo nella «Metafisica» 351
ne materiale, si situa ad un livello suo proprio, ed unisce aspetti di atti-
vità ad aspetti di movimento.
Non abbiamo quindi nella teoria dell'azione di Aristotele un primo
passo verso l'etica kantiana, come voleva Ross, ma qualcosa di molto
diverso. L'azione umana è un evento complesso e dotato di più fini, di-
stinguibili a vari livelli, diversa da un movimento naturale o da una
produzione non solo per l'intenzione di chi agisce, ma anche per la
struttura formale dell'atto messo in pratica. I movimenti fisici che ne
sono parte materiale sono indirizzati e determinati dalla complessa
struttura dei fini dell'azione.
Si può quindi dire che la nozione aristotelica di azione è strettamen-
te legata all'antropologia di Aristotele, antropologia che pone l'uomo
come un ente intermedio tra la sfera puramente naturale e la sfera tra-
scendente. Di tale visione la teoria dell'azione è frutto coerente, e ne
rappresenta bene, sul piano dinamico, l'ambigua complessità62.

62 Una prima versione di questo testo è stata discussa presso l'Università di Stra-
sburgo II; E. Berti, L. Brown e J. Frère mi hanno dato degli utili suggerimenti, per i quali
li ringrazio. Questa ricerca è stata finanziata con fondi del MURST.

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