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Alimentazione e nutrizione umana

ALIMENTAZIONE E NUTRIZIONE UMANA (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)

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ALIMENTAZIONE

Nutrienti
Riguardano quelle sostanze che sono necessarie per lo svolgimento dei processi vitali del
nostro organismo (funzione energetica – strutturale).

Glucidi (saccaridi, zuccheri, carboidrati)


Costituiscono le molecole più abbondanti in natura, presenti principalmente nei vegetali
(cereali). Il C è in buona parte presente nei carboidrati.
Carboidrati idrati del carbonio, parola che descrive proprio la loro struttura chimica.
Formula bruta: (CH2O)n (n=3,8).

Monosaccaridi
Le unità fondamentali dei carboidrati sono i monosaccaridi, molecole costituite da 3 a 8 C
a i quali sono annessi gruppi CARBONILI (C=O) – OSSIDRILICI (OH) – H.
I monosaccaridi sono definiti come poliossidrilici e a seconda che sia legato con un gruppo
aldeidico–chetonico formerà rispettivamente: Poliidrossialdeidi o poliidrossichetoni.
Caratteristica dei monosaccaridi è il fatto di essere isomeri, cioè sono molecole che
possono presentare lo stesso numero di elementi ma con disposizione diversa,
determinando molecole differenti. L’isomeria nei monosaccaridi è determinata grazie alla
capacità del C di costituire una forma tetraedrica costituita da 4 legami semplici. Il C
legato, con i 4 legami semplici, a 4 gruppi funzionali diversi è definito centro chiralico. La
presenza di più centri chiralici nei monosaccaridi da la possibilità alla molecola di
presentarsi in 2 forme diverse ma speculari dette entantiomeri. Tale isomeria viene definita
come ottica, in quanto le molecole
speculari hanno la capacità di ruotare in maniera diversa il piano della luce polarizzata. In
questo caso per differenziare e riconoscere il tipo di isomero, viene adottata la conversione
di Fisher, la quale intende confrontare l’isomero di una molecole chirale con quella della
gliceraldeide, che sarebbe lo zucchero più semplice, dove a seconda che il carbonio chirale
sia legato a destra con un gruppo ossidrile, viene classificato
come D (D,gliceraldeide), mentre se il gruppo ossidrile è posizionato a sinistra del
carbonio chirale, viene classificato come L (L,gliceraldeide).
I monosaccaridi possono avere più centri chirali e di conseguenza più isomeri e, in questo
caso per riconoscere se lo zucchero appartiene al gruppo D o L, si prende in
considerazione il carbonio chiralico più lontano dal gruppo aldeidico o chetonico.

Altre tipologie di isomeria


Diastereoisomeri: stereoisomeri che non sono enantiomeri,epimeri isomeri che
differiscono per 1 solo centro chirale,anomeri struttura ciclizzata che presenta isomeria.
Monosaccaridi che in H20 diventano anomeri: in H2O i monosaccaridi perdono la loro
struttura lineare per acquisire quella ciclica. I monosaccaridi con 5 o 6 C, in soluzione
acquosa tendono a dare una reazione di ciclizzazione intramolecolare, che coinvolge il
gruppo aldeidico o chetonico e il gruppo OH legato al C 4 o 5,
formando rispettivamente emicetali eemichetali. Il legame viene stabilito grazie l’atomo di
O e viene definito ponte glicosidico.
Per effetto della ciclizzazione anche il primo atomo di C della catena diventa asimmetrico
perché legato a 4 gruppi diversi: ,O,, ,H, ,OH e il resto della molecola. Si formano così 2

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nuovi isomeri, detti anomeri e indicati come α e β. La differenza tra l’anomero α e β, sta
nella posizione del gruppo ossidrile (,OH) legato al C in posizione 1.
Per far si che avvenga la ciclizzazione, conta anche la lunghezza della molecola, se infatti
è troppo corta, manca la distanza che consentano alle cariche degli atomi di non
respingersi.
Nell’anomero α OH si trova al di sotto di tale piano, mentre nell’anomero β si trova al di
sopra.
Importanza biologica dell’isomeria: La disposizione degli elementi costituenti una
molecola ha una grande importanza a livello biologico, in quanto una certa disposizione
della molecola può venire ad essere riconosciuta, o meno, dal nostro metabolismo.
Per quanto riguarda i carboidrati, ad esempio l’esistenza delle due forme anomeriche α e β
del
D,glucosio, è un particolare di grande importanza biologica. Innanzitutto si deve tenere
presente che solo il D,glucosio può essere utilizzato dagli esseri viventi. Poi il nostro
organismo riconosce solo l’anomero α, cioè il costituente dell’amido e del glicogeno e
rappresenta quindi il combustibile più importante da cui gli organismi (piante comprese)
possono trarre energia. L’anomero β è il costituente della cellulosa e non può essere usato
da organismi animali, ad eccezione degli erbivori che possiedono nel rumine (uno dei 3
pre,stomaci) batteri in grado di trasformarlo nella forma α.

Alcuni monosaccaridi
Differiscono tra loro per la diversa disposizione dei loro elementi:
 GLUCOSIO: C6 H12 O6, è un aldoso che si trova in grandi quantità in tutto il
mondo vivente ed è utilizzato da tutte le cellule animali ed è la fonte energetica
principale del tessuto nervoso – eritrociti.
 GALATTOSIO: si diversifica da glucosio per diversa configurazione sul C4, può
essere prodotto dal glucosio 1,fosfato o andare a costituire il lattosio, oppure andare
a costituire glicolipidi,glicoproteine,fosfolipidi.
 FRUTTOSIO: è un cheto esoso, isomero del glucosio. È contenuto in grandi
quantità nella frutta,miele,sciroppo di granoturco. Il fruttosio rispetto al saccarosio
ha un potere dolcificante maggiore.
 DERIVATI MONOSACCARIDI: i derivati sono:
- AMINOZUCCHERI: contengono un gruppo aminico al posto di un GR.OH,
sono: D,GLUCOSAMMINA – D,MANNOSAMMINA –
DGALATTOSAMMINA;
- ALCOL ZUCCHERI.
Altri derivanti degli zuccheri si possono ottenere per ossidazione di un GR.OH,
producendo così un gruppo acido (acidi gluconici o uronici) ad esempio l’acido
ascorbico (vitamina C), sintetizzata dalle piante, molti animali, ma non l’uomo.
Due monosaccaridi, possono reagire per formare un legame covalente tra C anomerico di
un monosaccaride e GR.OH dell’altro, con perdita di 1 H2O. Il legame che si forma viene
definito come: legame glicosidico.
Quando a legarsi sono due monosaccaridi si parla di disaccaride. Quando si legano da 2 a
8
Monosaccaridi, invece, si parlerà di oligosaccaride. Quando i monosaccaridi sono
maggiori di 8 si parlerà di polisaccaridi.

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DISACCARIDI
I più famosi sono:
 MALTOSIO formato da: alfaGLUCOSIO,alfaGLUCOSIO, il legame glicosidico
si viene a costituire tra C1 di un glucosio e C4 dell’altro. Esso è contenuto nella
birra – cereali – germogli. È anche il prodotto di idrolisi enzimatica dell’amido.
 SACCAROSIO è il più abbondante nel regno vegetale, formato da alfa,glucosio
e beta,fruttosio. Si trova in: zucchero, barbabietola, canna e miele.
 LATTOSIO formato da beta,galattosio e alfa,glucosio, è presente nel latte, ma
può essere prodotto anche artificialmente. È il meno dolce dei disaccaridi. Il lattosio
va ad essere scisso nell’intestino grazie alla presenza dell’enzima lattasi contenuto
nei villi intestinali, la sua mancanza provoca intolleranza.

POLISACCARIDI
Si possono dividere in due tipi:
- Omo,polisaccaridi: formati da una serie di monosaccaridi tutti dello stesso tipo;
- Etero,polisaccaridi: serie di monosaccaridi diversi tra loro.
Le catene di polisaccaridi possono essere sia lineari che ramificate.
I più importanti sono:
 AMIDO formato da sequenza di glucosio. Forma di accumulo di glucosio da
parte delle piante. Si trova in: semi – cereali – legumi – patate – radici. È costituito
da:
- Amilosio: costituito da una sequenza lineare di glucosio, i cui legami tra unità
sono del tipo α,(1,4).
- Amilopectina: costituita da sequenza ramificata di glucosio, i cui legami sono
del tipo α,(1,6). Proprio la sequenza ramificata è responsabiledella forma
granulare. Inoltre l’amilopectina è presenta in quantità maggiore rispetto
all’amilosio. Gli amidi che presentano una concentrazione maggiore di
amilopectina risultano più digeribili e assorbibili, in quanto l’amilopectina,
grazie alle sue ramificazioni, mette a disposizione dell’amilasi una quantità
maggiore di estremità riducenti sulle quali agire.
 GLICOGENOrappresenta la forma di immagazzinamento di glucosio nel corpo
umano, ed è presente con una quantità di: 250g muscolo – 100g fegato. È un
polimero altamente ramificato (più dell’amido), in seguito alla maggior presenza di
legami glicosidici α,(1,6). Il motivo per cui il glucosio è conservato in glicogeno,
invece che in forma libera, è dato dal fatto che in questo modo viene ad essere
mantenuta costante la pressione osmotica intracellulare, che altrimenti in presenza
di glucosio libero, aumenterebbe fino alla lisi della cellula.
 CELLULOSA presente nelle piante con funzione strutturale. È costituito da
ripetizioni di glucosio con legame β,(1,4) organizzato in struttura lineare a formare
fibre. Tale anomero in configurazione β, non può essere utilizzato dal nostro
organismo in quanto non riconosciuto da nessun enzima. Infatti non presentiamo
l’enzima β,glicosidasi ma solo enzima α,glicosidasi.

Come stabilire il fabbisogno energetico giornaliero?

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In generale l’apporto energetico deve mantenere un bilancio corretto: le kcal introdotte con
la dieta devono essere pari alla quantità di energia spesa.
Stabilire il fabbisogno energetico giornaliero di ogni persona non è facile, poiché ogni
soggetti differisce in base a caratteristiche genetiche, metaboliche, stile di vita.
In particolar modo, per poter definire il fabbisogno energetico di un individuo, bisogna
tenere in considerazioni per quali aspetti il nostro organismo utilizza energia: mantenere
metabolismo basale – produzione di calore a partire dal cibo – attività fisica.

Come stabilire i livelli di nutrienti da assumere: LARN


L’energia può essere ricavata da diversi nutrienti: carboidrati – grassi – proteine. Ma ogni
gruppo di questi nutrienti svolge altre funzioni oltre a quelle energetica e oltretutto, la
funzione energetica viene ad essere svolta maggiormente da un gruppo di nutrienti rispetto
agli altri (45,60% dell’energia totale deriva da carboidrati ,per il 25% da lipidi e per il 10%
da proteine). Di conseguenza la ripartizione del fabbisogno energetico non è equamente
distribuito per ogni categoria di nutrienti, ma ognuna presenterà un proprio LARN (livello
di assunzione raccomandato di nutriente).

LARN GLUCIDI
I carboidrati rappresentano il nutriente dal quale proviene più energia (45,60% dell’energia
totale). Nonostante rappresenti la fonte principale di energia, le regole per la sua
assunzione non risultano severe come quelle di altri nutrienti, in quanto l’organismo è in
grado di rigenerare glucosio (gluconeogenesi). Tuttavia, una sua carenza prolungata porta
allo sviluppo di condizioni non favorevoli per il nostro
organismo.
- Carenza glucidi: l’assenza di carboidrati e la loro sintesi a partire da altri
precursori (gluconeogenesi), non risulta sufficiente a soddisfare il fabbisogno
energetico quotidiano, per tale motivo il metabolismo energetico tende a
produrre energia a partire da altri nutrienti come proteine e lipidi.
Le proteine svolgono principalmente un ruolo “strutturale”, di conseguenza la
deplezione di proteine dieta,muscolari comporta una quantità insufficiente per
svolgere la funzione strutturale. L’utilizzo prolungato di lipidi e la simultanea
attivazione del meccanismo gluconeogenetico (responsabile del rallentamento
del ciclo di krebs) comporta un accumulo di Acetil CoA e l’attivazione di una
via metabolica di energia di riserva, la chetoneogenesi. Tale via converte l’Acetil
CoA in corpi chetonici, una forma molecolare energetica che può essere
esportata in altri tessuti e utilizzata per ricavare energia, evitando così un
rallentamento della beta ossidazione e quindi la possibilità di continuare a
ricavare energia da lipidi, nonostante il rallentamento del ciclo di Krebs, imposto
dalla gluconeogenesi. L’aspetto negativo della produzione di corpi chetonici
riguarda il fatto che, una loro produzione in quantità maggiori rispetto alle
capacità degli organi epertraepatici di utilizzarli, comporta un accumulo nel
sangue (chetosi) ed essendo composti acidi, tendono a liberare H+ con
conseguente abbassamento pH ematico andando incontro ad acidosi.
- Eccesso glucidi: l’eccesso di carboidrati viene ad essere convertito in acidi
grassi ed immagazzinati sottoforma di trigliceridi, determinando come effetto un
aumento dei trigliceridi, un abbassamento di HDL e come conseguenza un

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aumento di rischio coronarico. È consigliabile che l’assunzione di carboidrati sia


sottoforma di amido invece che di zuccheri solubili (glucosio – fruttosio –
saccarosio), in quanto quest’ultimi sembrano essere correlati ad una maggiore
insorgenza diabete e carie dentaria.
Cibi ricchi di amido: pane – pasta – cereali – legumi;
Cibi che contengono quantità rilevanti di zuccheri solubili: dolci – frutta
(banane, uva, fichi) – alcune bevande.

Indice glicemico
L’aumento del glucosio ematico è diverso a seconda dell’alimento che viene introdotto.
La capacità che ogni alimento ha di poter aumentare la glicemia a parità di contenuto
glicemico, viene definita indice glicemico (IG): (risposta glicemica singolo
elemento/risposta glicemica alimento di riferimento) per 100.
A seconda dell’IG si effettua una classificazione degli alimenti:
- Alimenti ad alto IG: causano un aumento rapido della glicemia subito dopo
l’assorbimento, ma è seguito da un repentino calo;
- Alimenti basso IG: causano un aumento graduale della glicemia, dando un senso
di sazietà per un periodo più lungo.
L’IG (quindi la capacità di ogni alimento di poter aumentare la glicemia), varia a seconda:
 Dimensioni particelle
 Forma
 Grado di cottura
 L’alimento in questione viene assunto isolatamente oppure durante un pasto
insieme ad altri alimenti (ad esempio frutta e verdura, contenenti fibre sono in grado
di abbassare la glicemia e quindi ritardare lo svuotamento gastrico). A tal proposito,
dobbiamo menzionare anche la variazione dell’IG in seguito al rapporto
lipidi/proteine.

Latticini, legumi e frutta: IG basso


Pane e riso: IG sia alto che basso
Patate: IG più elevata rispetto alla pasta e ai legumi.

Diete caratterizzati da cibi a basso IG:sembrano avere effetti benefici su varie condizioni
patologiche e ciò ha indotto a proporre diete costituite da cibi a basso IG. Tale
metodologia è stata messa in discussione, in seguito alle variazione che l’IG può subire in
conseguenza a interferenze con altri alimenti. Perciò i nutrizionisti tendono a consigliare
una valutazione dell’IG riferita ad un pasto intero e non quindi del solo
alimento.

Importanza dei glucidi nell’esercizio fisico


All’interno del muscolo è presente glucosio immagazzinato sottoforma di glicogeno
muscolare. Tale riserva può essere immagazzinata con una limitata quantità (non come gli
acidi grassi). Nello svolgimento di tutte le attività fisiche il glucosio rappresenta il
combustibile d’eccellenza per ricavare energia, la cui deplezione può variare a seconda del
tipo di attività, ed essere sostituito in parte dall’utilizzo di lipidi: per attività intense e di

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breve durata (attività anaerobiche): indispensabile utilizzo glucosio – per attività aerobiche
intense: 40,50% lipidi– 60,50% glucosio.
Una volta che il glicogeno muscolare si è esaurito (ciò può avvenire anche nel giro di 60
secondi) si ha l’impedimento nel continuare l’attività svolta a quella intensità. Il corpo ha
bisogno di recupero per poter ristabilire le proprie riserve di glicogeno. Le piene riserve
vanno ad essere ristabilite dopo almeno 24 ore. Dunque, in un soggetto che compie attività
fisica, per permettere la ristabilizzazione del glicogeno muscolare sarà importante una
elevata quantità di carboidrati.

Carboidrati non disponibili


Vengono definiti come carboidrati non disponibili, quei carboidrati della dieta resistenti
all’azione degli enzimi digestivi che, pur non contribuendo in modo apprezzabile
all’apporto energetico giornaliero, possono modulare importanti funzioni dell’organismo e
contribuire al mantenimento di uno stato di buona salute.
I carboidrati non disponibili possono essere idrolizzati parzialmente o totalmente dalla
microflora intestinale presente nella porzione dell’intestino crasso. I prodotti di questa
idrolisi sono: acqua – anidride carbonica – metano – acido butirrico – acido proprionico –
acido acetico – etanolo, e vanno ad essere riassorbiti nel colon. Invece che utilizzare il
termine “non disponibili”, sarebbe più corretto il termine “non glicemici”.
Questi composti possono essere presenti naturalmente nell’alimento, oppure possono
essere prodotti. Molti di questi composti (ma non tutti) appartengono alla categoria delle
come le fibre alimentari.

Fibra alimentare
Non è ancora presente una definizione ampia del termine. Un aspetto in comune è quello
di non essere idrolizzabile per gli enzimi digestivi umani. I composti che appartengono
alla categoria della fibra, possono svolgere funzioni fisiologiche molto diversificate e
mentre per alcuni di essi è stato dimostrato un ruolo positivo per la salute, per altri non vi è
alcuna evidenza circa eventuali effetti benefici.

Componenti delle fibre


Le fibre possono essere costituite dalle seguenti molecole:
 Cellulosa: polimero lineare costituito da unità glucosio legate con legami β,1,4
glicosidici. È il principale costituente della parete delle cellule vegetali. Non è
solubile in acqua, ma è idratabile. Può essere idrolizzato dalle cellulasi–cellobiasi
dei batteri intestinali. Si trova in: crusca, ortaggi, legumi, frutta e nel rivestimento
esterno dei semi.
 Emicellulosa: gruppo eterogeno di polisaccaridi (perilani – mannani –
glucomannani – galattani) associato alla cellulosa. Possono essere sia solubili che
insolubili in acqua. Vengono idrolizzati dalle cellule batteriche. Presenti in: cereali
integrali, ortaggi, legumi e frutta.
 Lignina: non è un polisaccaride ma un insieme eterogeneo di polimeri. È ritenuto
in grado di modulare alcune importanti funzioni fisiologiche in seguito alle sue
proprietà antiossidanti. Fonti alimentari sono: ortaggi, legumi e frutta.
 Beta,glucani: strutture ramificate costituite da molecole di glucosio. Sono i
principali costituenti della parete cellulare di orzo e avena.

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 Pectine: sono polisaccaridi solubili in acqua calda, aventi proprietà gelificante. Nel
tratto digerente possono legare Sali biliari e ioni. Li ritroviamo prevalentemente
nella frutta (mele, buccia agrumi), negli ortaggi, nei legumi e nella frutta secca.
Utilizzati anche come additivi nelle confetture.
 Amido resistente: porzione di amido e prodotti della degradazione amido che non
vengono assorbiti dall’intestino tenue. Si suddividono in 4 categorie:
- Amido fisicamente inaccessibile: presenti in cereali e legumi parzialmente
macinati;
- Amido non gelatinizzato: presenti in alimenti consumati crudi come banane non
mature o nella pasta poco cotta;
- Amido retrogradato: deriva da riarragiamenti dell’amido avvenuti con il
raffreddamento di cibi cotti (pane, patate);
- Amidi modificati: utilizzati come additivi alimentari;
- Inulina – frutto oligosaccaridi (FOS) – oligofruttosio: l’inulina può contenere
10,60 unità di fruttosio legate ad un glucosio. FOS: struttura simile all’inulina
con polimerizzazione minore. Fos ed inulina sono presenti in: carciofi, asparagi,
cereali, aglio e cipolla. L’oligofruttosio, contiene meno di 9 unità di fruttosio.
Tutti e 3 questi composti svolgono funzione prebiotica, cioè andando ad essere
fermentanti rapidamente dai batteri del colon, favoriscono lo sviluppo di
bifidobatteri, importanti nel mantenimento dell’ecosistema intestinale.
 Gomme: polisaccaride con elevato grado di ramificazione, caratteristica che
permette di intrappolare acqua e dare elevata viscosità – adesività. Sono ricavate da:
secrezione di alcune piante in seguito a traumi esterni (gomma arabica – gomma
adragante) – secrezione di batteri (gomma perantano) – da farine ottenute da semi di
leguminose (gomma guar) – da farine ottenute da tubero di una pianta giapponese
(gomma konjac). Vengono utilizzate dall’industria alimentare come addensante –
stabilizzante, ad alcune di esse è stata attribuita funzione positiva per la salute (es.
gomma guar sembra ridurre picco glicemico dopo pasto glucidico).
 Mucillagini: mucopolissacaride che a contatto con acqua si dilata formando
soluzioni colloidale viscosa. Vengono sintetizzate dalle piante per prevenire la
disidratazione. Si trovano in: semi di lino, orzo e farine derivanti da legumi.

Caratteristiche funzionali della fibra alimentare


All’introduzione di fibre alimentari con la dieta sono correlati alcuni effetti positivi:
prevenzione dell’iperalimentazione – regolazione funzioni intestinali – prevenzione alcuni
tumori.
Tali effetti sono dovuti alle caratteristiche chimico,fisiche di queste fibre:
 Viscosità: è la proprietà dei fluidi che indica la resistenza allo scorrimento. Tale
proprietà determina un rallentamento dello svuotamento gastrico, protraendo il
senso di sazietà. Inoltre interferisce con l’assorbimento intestinale di altri nutrienti
determinando un rilascio ematico più graduale di glucosio e lipidi.
 Fermentescibilità – Idratabilità: entrambe queste caratteristiche contribuiscono
all’incremento della massa fecale che permette di diluire sostanze
tossiche,cancerogene che possono essere presenti nel contenuto fecale, riducendone
l’assorbimento , produzione di gas , aumento massa microbica – accelerazione
transito intestinale. Le fibre che non fermentano vanno a legare l’acqua.

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L’accelerazione transito intestinale – diluizione del contenuto fecale sono fattori


protettivi nei confronti di alcune patologie come emorroidi, vene varicose e tumori
al colon o al retto. In particolar modo l’ accelerazione del transito intestinale
favorisce il deflusso venoso nell’area del retto e riduce il tempo di contatto
dell’epitelio con sostanze potenzialmente cancerogene. La fermentazione porta alla
produzione di acidi grassi a catena corta che svolgono: azione antinfiammatoria
sulla mucosa intestinale – diminuzione pH, creando ambiente favorevole allo
sviluppo di batteri fermentativi a scapito di quelli putrefattivi e riducendo
formazione di sostanze potenzialmente dannose (ammine – ammoniaca).

Classificazione fibre alimentari


Le classificazioni sono state fatte in base alle caratteristiche chimiche delle fibre che
potessero essere predittive delle funzioni fisiologiche: solubilità – viscosità –
fermentescibilità.
Queste classificazioni, risultano però piuttosto approssimative.

Ruolo sulla salute


Numerosi studi dimostrano che alimenti ricchi di fibra (mele, orzo, fagioli, altri legumi e
farina) o fibre isolate (Beta glucani, gomma guar, pectine ecc) riducono la colesterolemia,
in particolare LDL. Alla base
dell’abbassamento della colesterolemia c’è la proprietà della viscosità, la quale permette:
- Interferenza con colesterolo derivate dieta;
- Riduzione biosintesi endogena del colesterolo: durante la fermentazione della
fibra viene prodotto acido propionico che è assorbito nel colon e trasportato al
fegato nel quale va ad inibire l’enzima chiave per la sintesi del colesterolo;
- Aumentata eliminazione (all’esterno) di acidi biliari: quasi la totalità degli acidi
biliari vanno ad essere riciclati, ma l’assunzione di fibre alimentari favorisce
l’aumento della frazione di acidi biliari che andranno ad essere espulsi attraverso
defecazione. Ciò comporta una riduzione del acidi biliari disponibili e la
necessità di ricostituirli servendosi proprio del colesterolo ematico, presenti
sottoforma di LDL. Di conseguenza si avrà una riduzione LDL circolante.
Altri effetti benefici delle fibre alimentari:
- Controllo peso corporeo: le fibre alimentari richiedono una masticazione
protratta, sono ingombranti , hanno bassa densità energetica. Questi fattori
contribuiscono a promuovere il senso di sazietà;
- Miglioramento della risposta insulinica (meccanismi attraverso i quali la fibra
esplica questa azione, non ancora conosciuti).
- ↓ incidenza cancro colon,retto (?): situazione controversa, sembrano che il ruolo
protettivo sia svolto da altre sostanze associate alle fibre.
- Modulazione funzione immunitaria intestinale: favoriscono la crescita di batteri
probiotici la cui presenza ostacolerebbe la vita di agenti patogeni. Funzione
immunitaria viene anche svolta dai processi fermentativi a cui sono sottoposte le
fibre, che permettono di abbassare pH del colon, sfavorendo crescita
microrganismi patogeni.

Raccomandazioni nutrizionali

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I LARN consigliano un apporto di 30g giornalieri di fibra alimentare. Questa quantità


dovrebbe essere raggiunta mediante il consumo di alimenti ricchi di fibra, piuttosto che
mediante l’assunzione di integratori alimentari. Ciò è spiegato dal fatto che, le evidenze
sul ruolo positivo della fibra alimentare derivano prevalentemente da studi sperimentali
basati su diete ricche in fibra derivanti da alimenti (frutta, verdura,
cereali integrali) e non su componenti isolate. Quindi è difficile discriminare se l’effetto
benefico derivi direttamente dalle fibre o dall’associazione con altri componenti della dieta
(vitamine – minerali – fitochimici).
- Eccessivo apporto di fibre: potrebbe causare alcuni effetti negativi quali
l’interferenza nell’assorbimento di vitamine, minerali, proteine. Ciò potrebbe
essere un problema in quelle persone che presentano già stati
patologici,carenziali (bambini, anziani). Tale interferenza risulta però piuttosto
improbabile se le fibre derivano dagli alimenti naturali, in quanto con
l’introduzione degli alimenti contenenti fibre, si acquisiscono anche gli altri
micronutrienti. Altro effetto collaterale è il disagio intestinale (flatulenza), per
evitare questo effetto si consiglia di aumentare gradualmente l’apporto di fibre e
assumere quantità adeguate di acqua.

Integratori alimentari di fibre


Questi integratori possono essere disponibili sottoforma di: tavolette, capsule, compresse,
flaconcini.
Le linee guida specificano che gli integrati di fibra insolubili sono indicati in casi di ridotto
apporto di fibra con la dieta e conseguente rallentamento transito intestinale, mentre gli
integratori di fibre solubili sono indicate nell’ambito delle diete finalizzate alla
perdita/controllo peso (in quanto facilitano il conseguimento
senso sazietà) e nell’alimentazione di individui affetti da turbe del metabolismo
lipidioglucidico (fibre rallentano assorbimento dei nutrienti).

Effetti negativi degli integratori di fibre:


- DISPEPSIA;
- METEORISMO;
- INFIAMMAZIONE INTESTINALE;
- SINDROMI DA MALASSORBIMENTO.

Lipidi
Una dieta povera di lipidi induce effetti nocivi per la salute, alterando la crescita, la
riproduzione, lo sviluppo del sistema nervoso, l’integrità della cute.
Questi effetti ci permettono di comprendere come i lipidi non svolgano solo funzione
energetica ma siano fondamentali nella regolazione e nella costituzione cellulare.

Acidi grassi
Gli acidi grassi sono acidi carbossilici, cioè formati da una lunga catena idrocarburica
(alifatica) responsabile della caratteristica di idrofobicità che li rende insolubili in acqua.
Ad un’estremità è presente il gruppo carbossilico (OH,C=O), caratteristico degli acidi
grassi in quanto è l’unico gruppo polare.

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Il gruppo carbossilico, permette di formare legame estere con diverse molecole,


costituendo una forma più complessa di lipide. Può legarsi al:
 Glicerolo: permette di formare i triacilgliceroli. Il glicerolo è un polialcol con 3 C.
Ad ogni C è presente un gruppo OH il quale andrà a formare un legame estere con il
gruppo carbossilico di 1 acido grasso. L’esterificazione dei gruppo OH del glicerolo
con acidi grassi determina caratteristiche: apolari, idrofobici e insolubili in acqua. I
triacilgliceroli sono la forma di immagazzinamento degli acidi grassi.
 Acido fosfatidico: si formano i fosfolipidi. Esistono diverse classi di fosfolipidi che
si distinguono per il diverso legame del fosfato con gruppi polari (Colina,
Etanolamina, Inositolo, Serina). Il legame con questa porzione polare conferisce la
caratteristica idrofila alla testa del fosfolipide, mentre le code sono formate dalla
catena dell’acido grasso che risulta idrofoba. Di conseguenza i fosfolipidi sono
definiti anfipatici.
 Colesterolo: Il colesterolo presenta una struttura idrofobica, abbastanza rigida e
presenta un gruppo OH (porzione idrofila) ad una sola estremità. Grazie alla
presenza dell’ gruppo OH, il colesterolo può andare in contro ad esterificazione,
reagendo e legandosi con un acido grasso, costituendo così il colesterolo esterificato,
avente una struttura completamente apolare. Il colesterolo si può trovare però
sottoforma di colesterolo libero o appunto esterificato (COLESTERILESTERI). La
prima tipologia è presente nelle membrane cellulari, mentre la seconda è presente
nel citoplasma sottoforma di goccioline lipidiche, le quali rappresentano la forma di
immagazzinamento e trasporto (assemblaggio lipoproteine per trasporto colesterolo
ai vari tessuti). L’organismo riceve colesterolo attraverso 2 vie:
- colesterolo endogeno: è il colesterolo sintetizzato dall’organsimo (in particolare
fegato), a partire dall’Acetil CoA che deriva da metabolismo glucidi;
- colesterolo esogeno: è il colesterolo assorbito dall’intestino derivante dalla dieta
o bile.
Il colesterolo rappresenta 0,2% peso corporeo, ed è distribuito prevalentemente
nel cervello –tessuto connettivo, pelle, muscoli (75%) e per un 7,8% nel
sangue (200mg/100ml) dove andrà ad essere distribuito ai vari tessuti attraverso
lipoproteine. Dalle quantità di colesterolo presenti nel sangue e assorbito
dall’intestino, si evince che il colesterolo proveniente dalla dieta influenza solo
minimamente la colesterolemia. Inoltre esistono meccanismi omeostatici che
consentono di mantenere costanti i livelli colesterolo, per cui un aumento
colesterolo assorbito a livello intestinale riduce la sintesi endogena e viceversa,
quindi alterati valori della colesterolemia sono in generale dovuti ad alterazioni
metabolismo lipoproteico e non a un’elevata introduzione colesterolo con la
dieta.

Gli acidi grassi possono essere presenti in forma libera (non esterificati) – esterificata.
La prima tipologia può essere presente nel sangue e all’interno delle cellule. Essendo
lipofili sono sempre legati ad una proteina che nel sangue è l’albumina, mentre nella
cellula è la lipid binding protein. Oppure possono legarsi al CoA, che li rende parzialmente
idrofilici e di dimensioni tali da non poter uscire dalla cellula.
Catena idrocarburica: rappresenta la parte idrofobica dell’acido grasso. Nel nostro
organismo esistono più 500 tipi diversi acidi grassi. Tale eterogeneità permette di

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costituire diverse tipologie di lipidi, interagire con diversi recettori, essere precursori di
molecole ad alta attività biologica.
Ciò che caratterizza gli acidi grassi è il numero C e il numero dei doppi legami.
La lunga catena può essere costituita da 4 a 36 atomi di C (quelli che hanno 14,20 C sono i
più frequenti in natura) e in base alla loro lunghezza distinguiamo:
 Acidi grassi a catena corta: tutti quegli acidi grassi che presentano una catena
inferiore a quella dell’acido palmitico (16C) ed hanno la caratteristica di avere
maggiore libertà di movimento, proprio perché sono molecole più piccole. Hanno
un livello di idrofobicità minore rispetto a acidi grassi a catena lunga, che gli
consente di attraversare membrane senza l’intervento di un apposito trasportatore,
circolare nel plasma sanguigno senza essere legati a specifiche proteine
trasportatrici;
 Acidi grassi a catena lunga: tutti quegli acidi grassi che presentano una catena
maggiore a quella dell’acido palmitico (16C). Sono più idrofobici rispetto a quelli a
catena corta, determinando maggiori difficoltà nell’attraversamento delle membrane
biologiche, difficoltà anche nel trasporto nel flusso sanguigno. Hanno quindi
bisogno di strutture predispose per il loro metabolismo (determinato trasportatore
che interviene).

Acidi grassi saturi o insaturi


Gli acidi grassi, a secondo che presentino un doppio legame tra gli atomi di C, possono
essere classificati in:
 Saturi (SFA): privi di doppi legami tra atomi di C e presentano una catena non
ramificata. Gli acidi grassi che presentano una catena non ramificata sono i più
presenti in natura con un numero di C da 12 a 24. La caratteristica sarà quella di
avere una certa linearità e di conseguenza le catene di acidi grassi saranno disposte
l’una affianco all’altra, stabilizzate dalla presenza di legami intermolecolari (forze
di Van der Walls). Questo tipo di configurazione determina la proprietà degli acidi
grassi saturi (grassi animali) di essere presenti a temperatura ambiente allo stato
solido (vedi burro). Gli acidi grassi saturi introdotti con la dieta non devono
superare il 10% dell’energia totale. È stata dimostrata correlazione tra SFA,
patologie cardiovascolari. Un eccesso di SFA e un basso apporto PUFA con la dieta,
possono determinare ↑LDL. Tuttavia non tutti gli SFA manifestano lo stesso effetto
sulle lipoproteine:
- Acidi grassi con 12,16C: ↑lipoproteine, acidi grassi con meno di 10C e acido
stearico non influenzano.
 Insaturi (PUFA): presenza di doppi legami tra atomi di C. Può essere presente un
solo doppio legame: monoinsaturo. Se poi i doppi legami sono più di uno si
definiscono poliinsaturi, molto importanti per il corretto funzionamento del
metabolismo, per tale motivo vengono definiti acidi grassi essenziali. La posizione
dei doppi legami mostra una certa regolarità, nella maggior parte degli acidi grassi
monoinsaturi il doppio legame si trova tra gli atomi C9 – C10 (Δ9), mentre negli
acidi grassi poliinsaturi si trovano solitamente tra C12,C13 (Δ12) e C15,C16 (Δ15). In
tutti i principali acidi grassi insaturi presenti negli esseri viventi il doppio legame si
trova in posizione CIS, con gli atomi di H legati al C disposti dalla stessa parte
rispetto al doppio legame. La forma CIS abbassa il punto di fusione dell'acido

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grasso e ne fa aumentare la fluidità, di conseguenza sarà necessaria un energia


termica inferiore per disorganizzare una struttura così poco organizzata degli acidi
grassi insaturi. Alcune tipologie di acidi grassi insaturi possono essere costituiti
dall’uomo, grazie alla sua capacità di poter inserire doppi legami in posizione Δ9 –
Δ6 – Δ5 ed esclusivamente in forma ,cis. Ma non è capace di poter inserire doppi
legami in posizione Δ12 (ω,6) – Δ15 (ω,3), i quali risultano essenziali e devono
perciò essere introdotti attraverso l’alimentazione.
- Acidi grassi monoinsaturi (MUFA): il principale componente di questa
famiglia è l’acido oleico, presente per 70,80% nell’olio oliva. Esso non è un
acido grasso essenziale in quanto può provenire sia da fonti alimentari, sia dalla
sintesi endogena a partire dall’acido stearico. Diversi studi hanno mostrato come
l’acido oleico sia in grado di ↓colesterolo plasmatico (in modo marginale), senza
interferire in HDL. Maggiore è la funzione preventiva di una dieta contenente
acido oleico rispetto ai TFA e SFA, nei confronti malattie cardiovascolari. Tale
effetto sembrerebbe dovuto al fatto che l’acido oleico è il precursore di un acido
grasso a 20C presente nelle membrane cellulari, MEAD ACID, il quale potrebbe
andare ad antagonizzare la conversione dell’ acido arachidonico in PGE –
LEUCO, riducendo effetto infiammatorio.
- Acidi grassi polinsaturi (ω6): il più rappresentativo di questa famiglia è l’acido
linoleico, un acido grasso essenziale comunemente presente negli oli vegetali
(mais – soia – girasole). Nell’organismo è il precursore dei PUFA
(PolyUnsaturated Fatty Acids) a lunga catena, come l’acido arachidonico (ARA) ,
l’acido docosapentaenoico (DPA) e derivati, influenzando la loro concentrazione
nell’organismo (esempio quota di acido arachidonico sintetizzata a partire da
acido linoleico è di circa 180,800mg/die). La sostituzione nella dieta di acido
linoleico agli acidi saturi, determina un effetto ipocolesterolemizzante, riducendo
la concentrazione di LDL – HDL (l’assunzione acido arachidonico non sembra
influenzare concentrazione lipoproteine). Alcuni studi hanno dimostrato
l’influenza dell’acido linoleico sullo sviluppo di tumori. In particolar modo è
stata osservata la diretta correlazione tra l’acido linoleico e PGE2 e tumore alla
mammella. Le PGE2 sono coinvolte nei processi infiammatori – proliferazione
cellulare che caratterizzano l’aterogenesi (eventi iniziali sviluppo aterosclerosi) –
cancerogenesi. Un eccesso nella dieta di PUFA ω6 può determinare un eccesso
nell’incorporazione di acido arachidonico nei fosfolipidi, aumentando la
probabilità di formare prostaglandine – leucotrieni coinvolti nella
risp.infiammatoria e proliferazione cellulare dell’aterogenesicancerogenesi. Tra i
PUFA ω6 si differenzia l’AC.EICOSATRIENOICO (ETA) il quale è precursore
delle PGE1 con attività antiproliferativa – antinfiammatoria. Una dieta ricca di
AC.GAMMA,LINOLEICO, precursore dell’ETA, determina un aumento di
quest’ultimo a livello cute, svolgendo un’azione protettiva contro diverse
patologie della pelle (es. dermatiti).
- Acidi grassi polinsaturi (ω3): presentano proprietà antiaterogene,
antitrombotiche, antinfiammatorie. È stato dimostrato che una dieta
caratterizzata di PUFA ω3 aiuta a ↓aterogenicità LDL , ↓ livelli triacilglieceroli
circolanti, abbassando il rischio di patologie cardiovascolari.
I PUFA ω3 più studiati sono:

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o Acido alfa,linolenico (ALA): acido grasso di origine vegetale, si trova


in semi lino (50%), olio soia (8%), altri oli meno conosciuti , pesce
grasso;
o Ac. eicosapentaenoico (EPA): prodotti ittici;
o Ac. docosaesaenoico (DHA):prodotti ittici.
Nel mondo occidentale c’è una minore assunzione acidi grassi ω3 rispetto agli
ω6. Il possibile motivo per cui i PUFA ω3 hanno proprietà opposte rispetto ω6,
potrebbe essere dovuto al fatto che l’EPA sembra competere con l’acido
arachidonico nell’incoporazione nei fosfolipidi delle membrane piastriniche,
fungendo da substrato per la ciclossigenasi e lipossigenati al posto dell’acido
arachidonico. L’EPA viene convertito in prostaglandine 3 (e non 2) –
leucotrieni,5 – trombassani,3, i quali possiedono effetti opposti agli altri
eicosainodici pro,infiammatori del gruppo 2 provenienti dall’acido arachidonico.
Tale interferenza si realizza solo a livelli di assunzione giornaliera di diversi
grammi di EPA – DHA. EPA – DHA possono essere derivate a partire dall’acido
alfalinoleico. Inoltre sembrano avere anche effetti anticancerogeni, spiegabile in
parte dall’interazione ω3 – ω6 somministrati con un corretto bilancio, affinchè
gli ω3 possano espletare la funzione anticancerogena.
Si consiglia infatti un rapporto ω6/ω3 intorno a 5:1 per permettere agli ω di poter
svolgere un’azione di riduzione incidenza malattie cardiovascolari Attualmente
nel mondo occidentale, il rapporto è di 12:1, quindi molto lontano da quello
consigliato. Per riequilibrare il rapporto non è solo importante ↑assunzione ω,3
ma anche ↓ω,6.
Altra importante funzione attribuita riguarda l’influenza dello sviluppo delle
capacità cognitive (apprendimento,memoria,riflessi,ecc) o l’attività visiva. La
loro carenza provoca modifiche ai livelli tissutali di alcuni neurotrasmettitori
(serotonina,adrenalina,noradrenalina,dopamina,ach) in specifiche regioni
cerebrali.

Acidi grassi saturi TRANS (TFA): In base alla posizione degli atomi di idrogeno
associati ai carboni impegnati nel doppio legame, un acido grasso può esistere in natura
sotto due forme, una cis e una trans.
In natura prevalgono nettamente gli acidi grassi cis rispetto ai trans, che si formano
soprattutto in seguito a determinati trattamenti artificiali di rettificazione industriale , a
partire da acidi grassi insaturi di origine soprattutto vegetale.
Oltre che essere prodotti artificialmente, i TFA sono presenti anche in natura. Infatti li
possiamo trovare nei prodotti latteo,caseari poiché si formano nello stomaco dei ruminanti
a causa dell'azione di determinati batteri. Circa il 5% del grasso della carne presenta TFA.
La quota di TFA che assumiamo da prodotti di carne è però minima rispetto invece alla
quota introdotta da TFA derivanti da prodotti vegetali.
I più abbondanti TFA presenti negli alimenti (in generale) sono acidi grassi a 18C con un
singolo doppio legame, che derivano dall’idrogenazione dell’acido linoleico.
Nei prodotti vegetali il TFA più rappresentativo è l’acido elaidico, mentre nei prodotti
animali è l’acido vaccenico.
Diversi studi mostrano la correlazione positiva tra alcuni TFA e patologie cardiovascolari.
I TFA infatti inducono cambiamenti della concentrazione ematica di colesterolo (↑LDL),
come avviene per i SFA ma con la differenza che si ↓HDL. Sembrerebbe quindi che i TFA

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risultano più aterogenici dei SFA. In particolar modo, diverse ricerche suggeriscono una
correlazione positiva tra malattie cardiovascolari e TFA vegetali, piuttosto che con TFA
animali. Ciò sembrerebbe dovuto ad un diverso metabolismo degli acidi grassi di origine
animale, i quali si incorporano in minore concentrazione nel tessuto adiposo rispetto ai
TFA dei prodottivegetali. Inoltre il TFA di origine animale, acido vaccenico, sembrerebbe
avere finalità benefiche e per questo andrebbe differenziato dai TFA in generale. Egli
infatti è precursore dell’acido linoleico coniugato (CLA) il
quale sembrerebbe avere benefici anticancerogeni, antiaterogeni, antidiabetici. In realtà
per CLA si intende un gruppo di acidi grassi polinsaturi costituiti da un insieme di
stereoisomeri dell’acido linoleico.

Lipidi negli alimenti


I lipidi sono presenti in quasi tutti gli alimenti in quantità e qualità variabile. I prodotti di
origine vegetale, hanno una scarsa varietà nella composizione acidi grassi, in quanto
determinata geneticamente e dipendente dal microclima. Quelli di origine animale
presentano invece una maggiore varietà, in quanto gli acidi grassi introdotti dalla dieta
nell’animale sono ulteriormente metabolizzati. Di conseguenza la composizione lipidica
dei prodotto di origine animale dipende in maniera determinante dall’alimentazione
dell’animale.
Il fabbisogno quantitativo e qualitativo di lipidi per l’uomo è frutto di un’interazione
dinamica tra gli alimenti di diversa origine e le necessità metaboliche dell’uomo. La facile
reperibilità di acidi grassi ha portato il nostro organismo a non avere la necessità di
produrli autonomamente. Di conseguenza alcuni acidi grassi devono necessariamente
essere introdotti con la dieta, come ad esempio l’acido linoleico o l’acido alfalinoleico.
In quelle condizioni in cui il metabolismo degli acidi grassi polinsaturi a lunga catena non
è efficiente (gravidanza, stati patologici, primi anni vita) risulta necessario introdurre con
la dieta anche quegli acidi grassi polinsaturi che solitamente vengono ad essere sintetizzati
dall’organismo (ad esempio l’acido arachidonico).
Nella dieta gli acidi grassi sono presenti per la maggior parte sottoforma di triacilgliceroli
(burro, oli, strutto, ecc) e in misura minore sottoforma di fosfolipidi (prodotti ittici o carni).

Quanti e quali acidi grassi mangiare??


In generale, da un punto di vista quantitativo l’introduzione di lipidi non deve superare il
30% delle Kcal tot. Da un punto di vista qualitativo, diviene importante individuare le
esigenze fisiologiche contingenti e
verificare se esistono fabbisogni particolari per cui è necessario ad esempio un maggior
fabbisogno di acidi grassi ω,3.
Viste le qualità degli acidi grassi insaturi, sarà importante adottare una dieta in cui essi
siano prevalenti rispetto agli acidi grassi saturi, il cui quantitativo consigliato non deve
superare il 10% kcal tot. Questa quantità permette da una parte di avere un apporto
sufficiente di questi acidi grassi e dall’altra di non influire negativamente sul metabolismo
lipoproteico. Gli acidi grassi trans, a parte di quelli origine lattierocasearia,
dovrebbero essere evitati in quanto non forniscono alcun vantaggio metabolico ma al
contrario possono contribuire all’insorgenza di dislipidemie.

Assorbimento e trasporto di acidi grassi ai tessuti

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Una volta avvenuta la completa degradazione dei LIPIDI, essi vengono assorbiti dalle
cellule epiteliali costituenti la mucosa intestinale (ricca di villi e microvilli che aumentano
la superficie assorbente).
Superata la barriera epiteliale, i prodotti della degradazione, avendo una scarsa mobilità
in un ambiente acquoso in quanto idrofobiche, vengono riconvertiti in triacilgliceroli e
incorporati insieme a colesterolo e apolipoproteine (“apo” sta ad indicare che la proteina
è nella forma priva di lipidi. Sono proteine che si legano ai lipidi nel sangue e sono
responsabili del trasporto di trigliceridi, fosfolipidi, colesterolo ed esteri del colesterolo),
formando chilomicroni (aggregati lipoproteici) che permettono di muoversi in un ambiente
acquoso come quello linfatico (prima) e sanguigno (poi) andando a raggiungere i vari
tessuti.

Lipoproteine
Sono aggregati sferici che presentano una superficie polare, in quanto rivestiti da un solo
strato di fosfolipidi disposti con le teste polari rivolte verso l’esterno e la coda idrofobica
verso l’interno, costituito da un nucleo
apolare, in quanto formato esclusivamente da lipidi idrofobici (trigliceridi e esteri del
colesterolo).
Nella superficie fosfolipidica sono inserite molecole di colesterolo libero, orientate con la
porzione polare verso l’esterno e apolare verso l’interno.
Altra caratteristica riguarda la presenza sempre sulla superficie, di proteine che etichettano
l’aggregato, svolgendo un ruolo di riconoscimento per le varie cellule (dando informazioni
sulla provenienze e su che cosa viene trasportato), queste proteine prendono il nome di
apolipoproteine.
La funzione delle lipoproteine è quella di veicolare gli aggregati lipidici in un ambiente
polare fino ai tessuti periferici dove verranno rilasciati e, quello che rimane delle
lipoproteine andrà ad essere riciclato nel fegato.
Si possono avere diverse tipologie di lipoproteine, tale eterogeneità è data dal tipo di lipidi
che trasportano, determinando aggregati con differente densità [V/PESO] (più lipidi=
minor densità), e dal tipo di apolipoproteine presenti sulla superficie:
1.CHILOMICRONI (>95% TGL; 3% COL; 2%PRO): da intestino a tessuti;
2.VLDL (70%T,20% C,10%P): da fegato ad intestino;
3.LDL (20%T,55%C,25%P): da fegato ad intestino;
4.HDL (15%T,35%C,50%P): da tessuti a fegato;
5.VHDL.

1. Chilomicroni (>95% TGL; 3% COL; 2%PRO)


Sono le lipoproteine più grandi e le meno dense, in quanto contengono un’elevata porzione
di triacilgliceroli (>95%). Sono sintetizzati nel REL delle cellule epiteliali che rivestono
l’intestino tenue, e si spostano mediante il sistema linfatico per poi entrare nel flusso
sanguigno a livello della succlavia sinistra. Possono contenere le apolipoproteine:
- ApoB,48 (specifica di questa classe di lipoproteine): avvia biogenesi del
chilomicrone all’interno delle cellule epiteliali intestino;
- ApoE: grazie a questa apolipoproteina il chilomicrone viene captato dai recettori
delle cellule epatiche;

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- ApoC,II: attiva la lipoproteina lipasi presente nei capillari del tessuto adiposo,
cuore, muscolo scheletrico, ghiandola mammaria, consentendo il rilascio degli
acidi grassi verso i tessuti.
I chilomicroni trasportano i lipidi esogeni (introdotti con la dieta) digeriti nell’intestino,
verso i tessuti in cui verranno utilizzati per produrre energia o immagazzinati. (intestino
tessuti)
Azione della Lipoproteina lipasi: nella porzione extracellulare dei capillari di questi
tessuti, ma attaccato alla superficie dell’endotelio (attraverso catena polisaccaridica), è
presente l’enzima lipoproteina lipasi, che viene attivato grazie all’apoC,II di cui il
chilomicrone è dotato.
Tale enzima, idrolizza i triacilgliceroli ad acidi grassi e glicerolo, che entreranno
all’interno delle cellule del tessuto bersaglio (nel muscolo gli acidi grassi andranno ad
essere ossidati per produrre energia; nel tessuto adiposo verranno riesterificati a
triacilgliceroli per essere conservati).

Come gli acidi grassi entrano all’interno delle cellule dei vari tessuti periferici?
Sulla membrana delle cellule muscolari, è presente una proteina trasportatrice (CD36), in
grado
di interagire con l’acido grasso e trasportarlo nell’ambiente intracellulare (acidi grassi a
catena
corta non hanno bisogno di interagire con il CD36, in quanto le loro dimensioni gli
consentono di solubilizzarsi con la membrana biologica ed attraversala).
Una volta all’interno, visto che si ha sempre un ambiente idrofilico, l’acido grasso andrà
ad
essere stabilizzato grazie all’interazione con una proteina, FABP (Fatty acid,binding
protein ), la quale veicolerà l’acido grasso verso il mitocondrio, dove subirà delle
modificazione per entrare all’interno (Betaossidazione).
I chilomicroni svuotati, cioè dai quali sono stati rimossi quasi completamente i
triacilgliceroli ma che contengono ancora colesterolo e apolipoproteine , vengono diretti al
fegato dove andranno ad essere internalizzati per endocitosi, grazie a recettori specifici
presenti sugli epatociti che riconoscono e
interagiscono con l’apoE (le altre proteine apo vengono perse), mettendo fine al ciclo
esogeno.
All’interno del fegato i chilomicroni rilasceranno colesterolo e andranno ad essere
degradate dai lisosomi.
Il fegato utilizzerà i vari precursori derivanti dalla degradazione di altri prodotti, per
sintetizzare lipidi che andrà a rimettere in circolo.

2.VLDL (70%T,20% C,10%P)


Trasportano i lipidi prodotti dal fegato, cioè quando la dieta contiene più acidi grassi di
quanto non sia immediatamente necessario, essi vengono convertiti in triacilgliceroli nel
fegato e andranno a legarsi con le
apoliloproteine VLDL. Il fegato rappresenta una centrale metabolica, capace di riciclare le
strutture rimanenti, ad esempio dei chilomicroni o di altri precursori, per risintetizzare
acidi grassi che torneranno ad essere disponibili per i tessuti periferici.

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La tipologia VLDL contiene: triacilgliceroli, colesterolo/esteri del colesterolo e le


apolipoproteine
apoB,100, apoC,I, apoC,II, apoC,III e apoE.
Le VLDL si formano nel RER del fegato per poi venire ad essere immesse nel circolo
sanguigno. Sono dotate dell’apo B100 che permette di legarsi al recettore per LDL, ma
nella forma VLDL non viene esposta.
Appena messe in circolo, le VLDL non hanno raggiunto la piena maturità ed hanno un alto
contenuto di trigliceridi e una quantità ridotta di colesterolo. Entrando in contatto con
HDL ricevono da essa apoC2 e apoE, diventando così VLDL mature
Tramite il flusso ematico, vengono trasportate al tessuto muscolare (li utilizzano per
produrre energia) e adiposo (risintetizzano trigliceridi e li conserva sottoforma di gocce
lipidiche), dove grazie alla apoC,II viene attivata la lipoproteina lipasi determinando il
rilascio di acidi grassi più glicerolo a patire dai trigliceridi contenuti nelle VLDL.
Dopo aver svuotato il suo contenuto di trigliceridi, la VLDL perde anche l’apoC2
divenendo IDL, il cui contenuto è suddiviso in proporzioni simili tra trigliceridi e
colesterolo esterificato.
La metà di queste IDL andranno ad essere assorbite dagli epatociti, grazie all’interazione
tra l’apoE presente sulla superficie delle IDL e i recettori specifici presenti sulle
membrane degli epatociti. La restante parte invece, perdendo ulteriori trigliceridi e
cedendo l’apoE ad una HDL nascente, diviene LDL, lipoproteine aventi un contenuto
maggiore di colesterolo.

3.LDL (20%T,55%C,25%P)
Sono lipoproteine molto ricche di colesterolo ed esteri del colesterolo, la loro
apolipoproteina principale è l’apoB,100.
Il ruolo delle LDL è quello di trasportare principalmente colesterolo ai tessuti periferici
che possiedono uno specifico recettore per l’apoB,100 (la più alta presenza di recettori per
LDL è nel fegato).
Come il colesterolo ed esteri del colesterolo entrano nella cellula? per endocitosi mediata
dal recettore (Michael Brown – Joseph Goldstein) la presenza sulle LDL dell’apoB,100
permette a queste lipoproteine di legarsi a specifici recettori posti sulla superficie delle
cellule che costituiscono i tessuti periferici. Il legame
apoB,100/recettore innesca un processo di endocitosi che andrà ad inglobare, grazie ad un
endosoma, l’LDL più recettore trasferendoli all’interno della cellula (apoB,100 è presente
anche sulle VLDL ma in questo caso il dominio non risulta esposto, non permettendo alla
lipoproteina di legarsi allo specifico recettore. La conversione in LDL, espone il dominio
al legame con il recettore APO B,100).
Il fenomeno di endocitosi è mediato da una proteina posta sotto la membrana che prende il
nome di clatrina, questa proteina attira i recettori legati all’LDL in un punto specifico,
creando un’invaginazione verso l’interno della membrana (dovuta alle forze di torsione
che si vanno a creare sulla membrana) che porterà alla formazione della vescicola
(endosoma).
La vescicola creata, andrà poi a fondersi con un lisosoma, contenente gli enzimi in grado
di idrolizzare l’LDL e rilasciare nel citosol colesterolo,acidi grassi e amminoacidi,
chiamato fagosoma.
Il recettore delle LDL non andrà incontro alla degradazione e ritornerà sulla superficie per
captare nuove LDL.

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Il colesterolo liberato andrà ad essere riesterificato, per poter poi essere immagazzinato
sottoforma di piccole gocce.

Ipercolesterolemia familiare
I livelli delle LDL ematico sono sempre elevati, nonostante le accortezze nell’assunzione
di colesterolo con la dieta, ciò è dovuto ad un non efficiente funzionamento del
meccanismo di endocitosi. Questo malfunzionamento è dovuto ad una mutazione di uno
(eterozigosi) o entrambi i geni (omozigosi) che codificano i recettori per LDL. Nel primo
caso, avendo un solo gene in grado di codificare correttamente, il numero di recettori sarà
ridotto e di conseguenza il processo di internalizzazione sarà più rallentato. In una
condizione del genere, attraverso un adeguata dieta e l’attività fisica, si potrà andare a
diminuire i livelli
di colesterolo ematico.

4.HDL (15%T,35%C,50%P)
Ha origine nel fegato e intestine tenue (nell’ambiente extracellulare), inizialmente
contengono molte proteine e quantità limitate di colesterolo (non esterificato). Le
apolipoproteine contenute sono: apoA,I; apoAII;
apoA,IV; apoC,I; apoC,II (ricevute da VLDL); apoC,III; apoD (HDL scambia colesterolo
esterificato, ricevendo in cambio trigliceridi, con le VLDL e dalle IDL); apoE (ricevuta da
IDL).
La funzione di questa lipoproteina è quello di captare il colesterolo in eccesso presente nei
tessuti epertraepatici e trasformarlo in colesterolo esterificato, mediante uno specifico
enzima localizzato sulla
superficie delle HDL che prende il nome di lecitina,colesterolo aciltrasferasi. Questo
enzima esterifica il colesterolo utilizzando la lecitina (fosfatidilcolina). Il colesterolo
esterificato entra all’interno delle HDL per essere così convogliato nel:
 Fegato: dove le HDL tramite l’apoE, possono interagire con specifici recettori degli
epatociti, che mediano l’endocitosi. Oppure possono interagire con un recettore
(SR,BI) che non media endocitosi, ma permette il trasferimento del colesterolo da
HDL a tessuto. L’HDL vuoto si dissocia dal recettore per tornare in circolo per
estrarre lipidi da chilomicroni e VLDL o colesterolo da tessuti extraepatici. In
particolar modo, HDL vuota può prelevare il colesterolo presente in un tessuto,
grazie all’interazione con il recettore SR,BI che permette il passaggio di colesterolo
nella direzione cellulaHDL. Esiste poi un’altra via dove il recettore SR,BI
interagisce con l’apoA1 che viene internalizzata per poi essere secreta di nuovo
carica di colesterolo.
 Tessuti steroidogenici (ghiandole surrenali o gonadi)l’HDL interagisce con un
recettore (SR,BI) che non media endocitosi, ma permette il trasferimento del
colesterolo da HDL a tessuto. L’HDL vuoto si dissocia dal recettore per tornare in
circolo per estrarre lipidi da chilomicroni e VLDL o colesterolo da tessuti
extraepatici. In particolar modo, HDL vuota può prelevare il colesterolo presente in
un tessuto, grazie all’interazione con il recettore SR,BI che permette il passaggio di
colesterolo nella direzione cellulaHDL.

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Proteine
I costituenti base delle proteine sono gli amminoacidi. Gli amminoacidi sono formati da un
gruppo carbossilico (,COOH) e un gruppo amminico (,NH2) legati allo stesso atomo di C.
Gli amminoacidi sono del tipo α.
Le caratteristiche dell’amminoacido sono:
 Tutte possiedono un gruppo carbossilico (,COOH) e un gruppo amminico (,NH2)
che costituiscono la parte invariabile della molecola e questo tipo di configurazione
è uguale per tutti gli amminoacidi. Differiscono invece per il gruppo R, che può
essere: amminoacidi con gruppo R polare carichi, polari non carichi, non polari.
 Gli amminoacidi, possiedono 4 costituenti diversi legati all’atomo di C (,COO, H,
H3N, R), assumono una configurazione asimmetrica, cioè per ogni amminoacido
esistono 2 isomeri diversi (L e D).
 Gli amminoacidi presenti nelle proteine appartengono sempre alla serie L e vengono
definiti come α in quanto i vari composti sono legati tutti allo stesso C definito
appunto α.

Funzioni proteine
Le proteine introdotte con la dieta permettono di neo sintetizzare proteine strutturali –
ormoni peptidici (insulina, glucagone, ecc) – proteine trasporto (albumina) – enzimi – ma
anche prodotti non proteici come ad esempio il triptofano precursore vitamina PP –
seratonina– quando la quantità di aa esogeni è superiore ai fabbisogni, essi vengono
sfruttati per produrre energia – ecc.
Legame peptidico: Il gruppo carbossilico e amminico, sono impegnati nella formazione
del legame che tiene uniti 2 amminoacidi, detto appunto legame peptidico.
Questo tipo di legame è determinato dalla reazione di condensazione che avviene tra un
gruppo carbossilico e un gruppo amminico, con eliminazione di una molecola di acqua e
formazione di un legame ammidico (acidi carbossilici più ammineammide sostituite)
chiamato in questo caso legame peptidico.
Il legame che si forma quindi tra C e N, non è un legame semplice ma ha parziale carattere
di doppio legame, dovuta alla delocalizzazione degli elettroni del doppio legame C=O e di
quelli presenti come coppia solitaria nell’azoto N (ha 5 elettroni nello strato di valenza.
Questo tipo di doppio legame, determina la forma planare e rigida del legame peptidico.
Tale forma rigida è la causa principale del ripiegamento della catena peptidica.

Aminoacidi (aa)
Esistono centinaia di aa, ma solo 20 sono rilevanti per la nostra alimentazione. Questi 20
vanno suddivisi in:
 Aa essenziali: vengono definiti tali in quanto il nostro organismo non è capace di
sintetizzarli, perciò devono essere introdotti con la dieta.
 Aa non essenziali: vengono definiti tali perché possono essere prodotti da una fonte
anche molto semplice di N. Per alcuni di questi aa
(glicina,prolina,arginina,glutammina,taurina) in condizioni nelle quali non riescono
ad essere sintetizzante con sufficiente velocità, può divenire essenziale la loro
introduzione con la dieta (es. dopo un trauma o intervento chirurgico, il fabbisogno
di glutammina aumentano in modo considerevole, con una richiesta di quantità che

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il corpo non riesce a soddisfare. Per tale motivo diventa essenziale introdurli con la
dieta).

Fonti alimentari AA
Tutti le proteine che derivano dagli alimenti (a parte qualcuno) contengono tutti gli aa
essenziali ma in quantità variabile, perciò potremo assumere proteine che contengono
quantità molto basse di un certo/i aa. In questo caso si parla di aa limitante. Questo aa
limitante è capace anche di influenzare il modo in cui l’organismo può metabolizzare una
certa proteina.
Ad esempio i cereali sono molto poveri di lisina ma ricchi di metionina, mentre i legumi
sono poveri di metionina ma ricchi di lisina.
Questa complementarietà fra proteine vegetali ha determinato inconsapevolmente
nell’uomo l’abitudine ad
abbinare cereali e legumi (pasta,fagioli; pasta,ceci o lenticchie) determinando un apporto
aa completo.
In generale assumere aa limitanti non dovrebbe essere un problema, salvo nel caso in cui si
assumono proteine da una sola fonte proteica e per di più proteine di “cattiva qualità” !
questo significa, dato che le varie proteine hanno aa limitanti diversi, chi mangia svariate
fonti proteiche dovrebbe soddisfare i fabbisogni di aa piuttosto facilmente.
Comunque, anche assumendo grosse quantità di una proteine a bassa qualità, si dovrebbe
riuscire ad assumere abbastanza aa per la salute e il corretto funzionamento del
metabolismo. Si tratterebbe però, semplicemente di un modo poco efficace, perché si
assumerebbero quantità eccessive di aa non limitanti, solo per assimilare una quantità
esigua di aa limitanti.

Come si possono assumere proteine?


Le 3 fonti principali di aa alimentari disponibili per gli individui sono: proteine intere del
cibo, proteine parzialmente digerite (idrolizzate) derivanti da polveri proteiche , aa liberi.
Le proteine intere impiegano più tempo per essere assorbite rispetto alle proteine
idrolizzate (essendo quest’ultime già parzialmente disgregate).
Per quanto riguarda l’assunzione di aa liberi, un possibile vantaggio potrebbe derivare dal
fatto di assumere una miscela di aa che contengano quantità specifiche per ogni singolo aa.
Per far questo è però necessario sapere le quantità ottimale di ogni singolo aa. Inoltre una
miscela molto concentrata di aa determinerebbe l’assorbimento di molta più acqua a
livello intestinale, determinando crampi, diarrea e irritazione.
Per quanto riguarda l’assorbimento, gli aa liberi risultano assorbiti peggio rispetto ai
dipeptidi – tripeptidi, in quanto quest’ultimi presentano trasportatori specifici.
Vista la difficoltà nel realizzare tali miscele (quindi costo maggiore) – minore efficienza di
assorbimento degli aa liberi, essi andrebbero considerati come forma integrazione proteica
inefficiente.
La differenza principale tra proteine intere– proteine idrolizzate– aa liberi non sta nella
maggiore o minore digeribilità (vengono ad essere digerite più o meno in maniera simile)
ma nei diversi tempi di assorbimento. Inoltre indipendentemente dalla fonte gli aa presenti
nel sangue vengono trattati tutti allo stesso modo.

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Sapere la differenza nei tempi di assorbimento, può tornare utile nell’assunzione di aa


subito dopo l’allenamento per fornire più velocemente ai muscoli aa durante il periodo di
recupero.
Dopo che gli aa vengono assorbiti a livello intestinale, entrano nel circolo della vena porta
dove subiscono la loro metabolizzazione a partire dal fegato, dove sono presenti gli enzimi
coinvolti nella degradazione ! primo passaggio epatico.
Fanno eccezione gli aa ramificati, i quali vengono metabolizzati principalmente nel
muscolo. A questo
punto gli aa presenti in eccesso vanno ad essere ossidati, mentre quelli necessari
saranno rilasciati nel sangue pronto per l’uso da parte dei vari tessuti.

Qualità delle proteine e metodi di misura


Per qualità delle proteine si riferisce generalmente a quanto l’organismo sia in grado di
metabolizzare una determinata proteina. Più precisamente ci si riferisce a quanto il profilo
(tipologia – quantità) degli aa essenziali soddisfi il fabbisogno dell’organismo (ciò non
significa che gli aa non essenziali di una proteina siano irrilevanti per la qualità della
proteina).
Considerando che la qualità della proteina dipende dal metabolismo dell’organismo,
dobbiamo tenere in considerazione che la dieta – attività fisica influenzano il metabolismo
e quindi anche il modo con cui il corpo metabolizza gli aa: l’attività aerobica di lunga
durata tende a ossidare grandi quantità di aa catena ramificata, di conseguenza possono
avere bisogno di un fabbisogno maggiore di aa ramificati rispetto ad es., ad atleti che
svolgono altre discipline prettamente anaerobiche.
La qualità di una proteina viene ad essere misura con diversi metodi, ognuno dei quali da
un responso diverso. Non esiste un metodo ideale per classificare le proteine, tra i vari
metodo abbiamo:
 Punteggio chimico: si basa sulla composizione chimica, più precisamente sui livelli
di aa essenziali. Per determinare tale punteggio, una proteina è scelta come
riferimento e le altre proteine sono classificate in confronto a quella proteina di
riferimento. Benchè il punteggio chimico sia utile per classificare le proteine in base
alla loro composizione, esso presenta uno svantaggio, non tiene in considerazione
quanto il corpo utilizzerà una proteina alimentare, perchè non considera la
digeribilità;
 Valore biologico (VB):permette di valutare gli alimenti che contengono aa
essenziali nelle proporzioni fisiologiche. Gli alimenti ad alto valore biologico sono
in grado di fornire maggiore apporto aa. La metodologia del bilancio azotato ha i
suoi problemi per via del test che avviene con una dieta senza proteine,ma il VB e
cmq un indice generico di quanto una certa proteina soddisfa i fabbisogni del corpo.
Il principale svantaggio del bilancio azotato e che non da informazioni sul
metabolismo (e le deficienze) degli aa specifici o sui tessuti specifici influenzati,ma
solo un indice di quanto succede a livello dell'intero organismo. Il VB di una
proteina e influenzato da molti fattori:
- Assunzione calorica: una persona che assume molte calorie avrà un Vb
apparentemente più alto;
- Attività fisica: l'allenamento con i pesi aumenta apparentemente il VB;

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- Quantità di proteina somministrata: le proteine sono utilizzate meglio a livelli


sub,ottimali che a assunzione di quasi mantenimento,di conseguenza le
misurazioni biologiche della quantità di proteine condotte a livelli sub,ottimali
nei soggetti sperimentali umani o animali possono sopravvalutare il valore delle
proteine ai livelli di mantenimento.
 Tasso efficienza proteina (PER): usato per valutare le proteine e per rappresentare
la quantità di peso guadagnata (g) in confronto alla quantità di proteine consumate
(g). Ma nell'uomo e impossibile misurare il guadagno in grammi,quindi alcuni
autori hanno criticato l'uso del “PER” per calcolare i fabbisogni proteici dell'uomo.
 Punteggio aa corretto per la digeribilità: sistema ideale per classificare proteine
in base alla loro capacità di soddisfare i fabbisogni dell’uomo. Simile al punteggio
chimico, classifica gli alimenti proteici relativamente a una proteina di riferimento.
Va oltre il punteggio chimico perche prendi in considerazione la digeribilità di una
certa proteina,dando al profilo degli aa maggiore rilevanza per i bisogni dell'uomo.
Il profilo degli aa di riferimento e quello considerato ideale per i bambini di 2,5 anni:
ciò ovviamente solleva la domanda di quanto sia rilevante questo profilo per
soggetti adulti che si allenano intensamente.

Fabbisogni Proteici
Poiché la sintesi di proteine è un processo molto dispendioso dal punto di vista energetico,
essa va ad influenzare l’efficienza di utilizzazione dell’energia da parte dell’organismo.
Tradurre il fabbisogno proteico in numeri è estremamente difficile, in seguito ai vari fattori
che modificano l’utilizzo di proteine:
- Digeribilità;
- Composizione in aa;
- Quota azoto proteico;
- Vitamine;
- Sali minerali.
I valori attualmente consigliati sono riferiti ai LARN 1996. I valori dei bisogni proteici
sono stati ricavati dalle stime della quantità di proteine di alta qualità necessaria a
mantenere l’equilibrio dell’azoto in presenza di una adeguato apporto energia.
Tali valori sono stati aumentati per quelle condizioni in cui il dispendio energetico e
proteico è maggiore (gravidanza, allattamento, ecc). Attualmente i valori proposti per un
adulto sano (sia uomo che donna) sono di 0,75 g/kg giorno.

Avvicendamento proteico e bilancio azotato


Tutti i giorni il corpo disgrega costantemente alcune proteine e ne sintetizza altre:
TURNOVER,AVVICENDAMENTO PROTEICO.
Nel corpo nessuna reazione funziona con efficienza del 100%, di conseguenza anche nelle
reazioni del turnover si avranno alcuni aa che andranno ad essere ossidati con l’ azoto (N)
che va perso sotto forma di urea.
L’azoto perso viene eliminato attraverso urine,feci,sudore,unghie,ecc.
La perdita di N va ad influenzare il bilancio azotato, il quale è dato dal rapporto quantità N
immessa /quantità N persa:
- Se una persona assume più N di quanto ne perde : BILANCIO POSITIVO;

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- Se una persona assume e perde N in eguale quantità :EQUILIBRIO (non viene


né perso né depositato N, quindi BILANCIO OTTIMALE);
- Se una persona perde più N di quanto assume: BILANCIO NEGATIVO
(vengono perse proteine corporee).
Dato che la degradazione degli aa (ossidazione) è la causa principale della perdita N,
sapere quanto N è stato eliminato, fornisce un indice della degradazione degli aa, dando
un’indicazione di una perdita proteica da parte dell’organismo.
La perdita di N è però influenzata da diverse condizioni: a digiuno si perde più N rispetto a
quando si assumono solo carboidrati evitando assunzione proteine. Inoltre le calorie
assunte dai grassi alimentari non migliorano il bilancio azotato come le calorie derivanti
dai carboidrati alimentari.
Infine soggetti che assumono dosi molto alte di proteine espellono anche più N.

Assunzione proteica raccomandata


Per assunzione proteica raccomandata, si intende la quantità di proteine necessaria per
controbilanciare le perdite giornaliere, in modo che l’individuo abbia un perfetto bilancio
azotato.
Questo valore viene determinato misurando dapprima l’eliminazione di azoto, quando una
persona è sottoposta a una dieta priva di proteine.
In questo caso, dato che l’eliminazione di N è pari a zero, tutto l’N espulso proviene dalla
disgregazione delle
proteine corporee, in questo modo stimo la quantità di proteine perse giornalmente, che
corrisponde alla quantità che dovrò introdurre.
L’assunzione di N proteico è stimato in 50,60mg/kg giorno. Tenendo conto delle diversità
individuali e digeribilità, il valore viene esteso a 0,8g/kg giorno. Questi valori sono
calcolati presumendo che vengano ad essere assunte proteine di alta qualità e sufficienti
fonti energetiche.

Assunzione proteica raccomandata nell’att.fisica


I valori di RDA non sono mai state intese a soddisfare i fabbisogni proteici delle persone
particolarmente attive (atleti).
Una inadeguata assunzione proteica da parte di questi soggetti, provoca una perdita di
massa corporea, specificamente a carico dei muscoli, con conseguente calo della
prestazione. Se gli atleti richiedono proteine addizionali, allora questa richiesta può essere
soddisfatta incrementando la quantità di cibo per compensare l’aumentato dispendio
energetico conseguente l’att.fisica.
Sia att.aerobica,anaerobica richiedono un aumento dei fabbisogni proteici:
 Durante l’attività aerobica: gli aa possono essere utilizzati per produrre energia
(specialmente aa catena ramificata) e possono fornire fino al 10% dell’energia totale
prodotta durante l’attività di durata. Tutto ciò è amplificato se il glicogeno è in via
di esaurimento, motivo per cui l’attività aerobica eccessiva può essere ancora più
catabolica in condizioni di dieta povera carboidrati. Gli atleti di durata possono
avere bisogno di 1,2,1,4 g/kg peso corporeo proteine per mantenere bilancio azotato
positivo, accumulando proteine;
 Durante attività di incremento della forza: anche se aa non contribuiscono in
maniera significativa alla produzione energetica, si verifica comunque una

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degradazione netta di aa insieme all’aumento del fabbisogno di nuova sintesi


proteica. Gli atleti di forza possono aver bisogno di 1,6,1,8g/kg peso corporeo
proteine per mantenere bilancio azotato positivo, accumulando proteine.
Anche se alcune ricerche indicano che assunzioni proteiche molto alte possono aumentare
la velocità di guadagno massa muscolare, non tutti gli studi sono arrivati a tale conclusione.
Infatti proteine in eccesso vanno ad essere ossidate o immagazzinate sottoforma di grassi
nel tessuto adiposo. Il consumo di quantità di proteine non eccessivamente superiore alle
raccomandazioni non è da considerare a rischio. Secondo il Comitato per la Nutrizione e
Salute, è prudente che gli apporti di proteine non superino il doppio del livello
raccomandato.
L’attività fisica conduce al consumo di molte risorse metaboliche e in tal caso la
propensione a incrementare l’alimentazione andrebbe ad essere frenata in quanto forse
abbiamo già abbastanza risorse a disposizione da destinare alla crescita muscolare senza
aumentare l’alimentazione, a patto però che la dieta sia adeguata.

L’alimentazione adeguata è fondamentale ed esagerare con il cibo può ostacolare il


recupero post esercizio.
Che l’eccesso proteico abbia o no effetti deleteri sulla salute è una cosa da determinare.
Sono molti i fattori coinvolti. Per un soggetto che pratica attività fisica intensa sarà
necessario apportare un fabbisogno proteico maggiore, ma senza esagerare, per non
incombere nei seguenti problemi che
L’eccesso proteico può provocare:
 L’eccesso proteico non aiuta a costruire più massa muscolare e può addirittura
ostacolare la costruzione muscolare, a seconda dell’entità eccesso proteico – dieta
complessiva – salute individuo – ecc.;
 Crescente affaticamento funzionalità renale: più proteine consumiamo, più il nostro
organismo deve sbarazzarsi dell’azoto sotto forma di urea;
 Produzione eccessiva urea, quindi urine molto concentrate: possibile formazione di
calcoli renali: ↑perdita Ca2+ ! ↑ osteoporosi;
 Paradossalmente si può avere carenze proteine, chi pratica una dieta iperglucidica
ha un equilibrio aa migliore;
 Sintomo Bigoressia(soprattutto tra culturisti).

Fabbisogno dei singoli aa durante l’att.fisica


Sia l’allenamento di forza, che di durata determina un incremento del fabbisogno proteico
e quindi anche un incremento del fabbisogno dei singoli aa.
- L’ attività aerobica di lunga durata: aumenta ossidazione aa, specialmente
quando il glicogeno muscolare è esaurito. Il tessuto muscolare scheletrico riesce
però ad ossidare solo 6 aa durante l’attività fisica , aa catena ramificata
(isoleucina – leucina – valina) – asparagina– aspartato – glutammato. Durante
l’att.aerobica (ma anche durante digiuno o periodi stress) si è osservato un
maggiore rilascio, da parte del muscolo scheletrico, di alanina – glutammina che
vengono immessi in circolo in concentrazioni molto più alte di quanto siano
presenti nel muscolo. Ciò indica che questi 2 aa sono sintetizzati nel muscolo, la

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glutammina, deriva molto probabilmente dal catabolismo dei 6aa indicati prima,
mentre l’alanina deriva dall’aumentata transaminazionedel piruvato;
- Allenamento di forza: in questo caso il contributo delle proteine nella
produzione di energia è quasi inesistente, e il fabbisogno proteico osservato dopo
l’allenamento è frutto della degradazione del tessuto muscolare (non è possibile
ancora calcolare la quantità esatta di tessuto degradato). Nell’allenamento di
forza, l’esaurimento del glicogeno muscolare determina un ↑ossidazione aa
ramificati. Il reintegro di questi aa può essere però ottenuto in quantità più che
abbondanti dalla somministrazione di alcune proteine alimentari, sembra quindi
improbabile che il consumo di aa ramificati in quantità extra abbia un grosso
impatto sulla crescita. Garantire le riserve ottimali di glicogeno muscolare e
fornire glucosio durante l’allenamento (es.attraverso assunzione bevanda a base
carboidrati), dovrebbe impedire, o comunque ridurre, l’ossidazione di aa
ramificati durante l’attività fisica. L’integrazione di aa ramificati attraverso
integratori o proteina del siero possono dare benefici durante un dieta
ipolgucidica.
Altra condizione in cui si ha un aumento fabbisogno proteico è quando c’è un aumento
dell’acido lattico, in quanto la glutammina è coinvolta nell’equilibrio acido,base, un
aumento dell’acido lattico porta ↓pH con conseguente ↑sintesi di glutammina e quindi
esaurimento nel muscolo degli aa dal quale viene sintetizzata glutammina con conseguente
aumento del fabbisogno proteico.
Quali aa somministrare? Una ipotesi riguarda quella di scegliere il profilo aa da
somministrare basandosi sul profilo degli aa costituenti i tessuti del corpo. Probabilmente
le proteine con il profilo aa più vicino a quello del muscolo umano sono le proteine
animali (carne) e questo tipo di ragionamento è stato usato come prova del fatto che la
carne costituisce più massa muscolare. Di conseguenza le polveri proteiche sono state
sviluppate in base al profilo di aa del muscolo umano.
Valore energetico dei nutrienti
L’energia fornita dai nutrienti viene ad essere espressa attraverso la kcal, che è la quantità
di calore necessaria per innalzare di 1 °C la temperatura di 1kg acqua.
Più frequentemente si usa il KJ che è l’unità standard per misurare l’energia ed è riferita al
lavoro svolto per indurre un determinato aumento di temperatura.
Lo strumento utilizzato per misurare tale energia è la bomba calorimetrica, la quale
consente di misurare l’energia sottoforma di calore, sprigionata dalla totale combustione di
un determinato composto.
Zuccheri semplici o complessi oppure lipidi di origine animale o vegetali, hanno un valore
energetico leggermente diverso tra loro, ma comunque da considerare simile.
Per quanto riguarda le proteine, si avrà che il valore energetico dipenderà dal contenuto
di N.

Coefficiente digeribilità: i valori che si ottengono durante la combustione dei


macronutrienti nella bomba non sono esattamente quelli che si otterrebbero se essi
venissero determinati nell’organismo umano. Ciò è dovuta al fatto che la bomba ossida
tutto il campione, mentre nell’organismo lo stesso campione, prima di essere ossidato,
deve subire processi digestivi e di assorbimento.

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La digestione per quanto efficiente non permette mai di assorbire il 100% dei nutrienti
assunti con la dieta. Si definisce:
Coefficiente di digeribilità: la percentuale di nutriente presente nell’alimento ingerito che
viene effettivamente assorbito.
Valore energetico netto: per sapere quindi il vero valore energetico dei nutrienti nel nostro
organismo, dovremo tenere in considerazione il coefficiente di digeribilità.
VALORE ENERGETICO NETTO = VALORE ENERG.BOMBA per
COEFFICIENTE DI DIGERIBILITA’
Per calcolare il valore energetico derivante dalle proteine, considerare solo il coefficiente
di digeribilità non basta, in quanto l’organismo non ossida tutto l’azoto (come avviene
invece nella bomba), ma viene eliminato sottoforma di urea.
Ciò comporta che l’energia potenziale che può derivare dall’N, non possa essere utilizzata
(18% dell’energia potenziale non utilizzata).
Valori netti dei nutrienti per 1g di ogni nutriente:
- Carboidrati: 4 kcal/g;
- Lipidi: 9 kcal/g;
- Proteine: 4kcal/g.

Vitamine
Sono composti organici indispensabili in piccole quantità al nostro organismo, il quale non
può sintetizzarle in quantità sufficienti e devono perciò essere introdotte con la dieta.
Diverse sono le funzioni svolte dalle vitamine:
- Coenzimi per le reazioni metaboliche;
- Precursori dei coenzimi;
- Fungono da ormoni;
- Mediatori di segnalazioni cellulari;
- Regolatori della crescita;
- Differenziamento cellulare.

Quante assumerne con la dieta?


La quantità varia per le diverse vitamine e sono determinate in base alle esigenze per
evitare stati carenziali in diverse condizioni fisiologiche.
Inoltre alcune delle ultime ricerche, hanno mostrato come la quantità di vitamina influenza
le diverse attività che la vitamina potrebbe svolgere (a concentrazioni differenti possono
svolgere att.differenti).
Si possono avere problematiche sia in caso di carenza che di eccesso vitaminico:
 Carenza vitaminica: può essere determinato da:
- Apporto insufficiente (carenza primaria);
- Malassorbimento (indotto da patologie specifiche o abuso di alcol o regimi
alimentari squlibrati);
- Aumentato catabolismo e/o eliminazione; diminuita capacità di
immagazzinamento (carenza secondaria).
 Eccesso vitaminico: può essere determinato dagli stessi fattori per la carenza solo
che in direzione opposta.

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Con un’alimentazione varia in tutte le sue componenti animali,vegetali, si è in grado di


introdurre una quantità ottimale di vitamine e solo in situazioni patologiche è necessario
ricorrere all’integrazione farmacologica.

VITAMINE LIPOSOLUBILI E IDROSOLUBILI


Le loro caratteristiche chimico,fisiche ne determinano:
- Assorbimento;
- Immagazzinamento;
- Trasporto;
- Attività biologica.

VITAMINE IDROSOLUBILI
Le vitamine del complesso B, sono 8 vitamine idrosolubili che svolgono un ruolo
fondamentale nel metabolismo energetico, nella proliferazione e nella differenziazione
cellulare.
Esse sono:
 Vitamina B1 (tiamina): la cottura di quegli alimenti che la contengono ne fa
diminuire il contenuto, la cui quantità varia a seconda dell’alimento e dei tempi di
cottura. Viene ad essere assorbita a livello intestinale mediante trasporto attivo
(trasporto nel sangue) o trasporto passivo. Essa può essere presente in forma libera o
come fosfoestere, in questo caso una fosfatasi la renderà libera. Una volta arrivata ai
tessuti è fosforilata a Tiamina Pirofosfato(TPP).
Funzione biologica: la tiamina pirofosfato (TPP) è il coenzima che partecipa alla
decarbossilazione del piruvato e dell’alfa chetoglutarato (4°tappa ciclo krebs).
Dose raccomandata: i livelli di assunzione sono calcolati in base alla quantità di
carboidrati assunti e allo stato fisiologico (o patologico) individuo. Al momento se
ne consiglia: 0,4mg/1000kcal.
Carenza tiamina: non essendo immagazzinata deve esse assunta dall’esterno
costantemente. La sua carenza anche dopo pochi giorni, può dare problemi
metabolici soprattutto a livello metabolismo energetico carboidrati. La carenza
cronica provoca alterazioni del sistema nervoso accompagnate da problemi
cardiovascolari e gastrointestinali (beri,beri). L’assunzione eccessiva di alcol
provoca mal assorbito con carenza tiamina.
Eccesso tiamina: non si conoscono effetti tossici, grandi quantità vengono
eliminate rapidamente con le urine.
Dove si trova? Negli alimenti vegetali si trova in forma libera: legumi, germe dei
cereali. Negli alimenti animali si trova oltre che in forma libera anche sottoforma
mono,difosfato: nel fegato, nel rene, nel cervello e nell’intestino. Nel pesce crudo è
presente un enzima inibitore della B1 (tiaminasi); il consumo di pesce crudo per
lungo tempo può portare a una carenza tiamina, ma essendo sensibile al calore, una
cottura breve è sufficiente a inattivare l’enzima.

 Vitamina B2 (riboflavina): composto scarsamente solubile in acqua. È il


componente centrale dei cofattori FMN (Flavin Mono Nucleotide), FAD (Flavin
Adenin Dinucleotide). Viene assorbito nell’intestino in forma libera, quindi se si
presenta come fosforilata e deve subire defosforilazione ad opera opportune

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fosfatasi. Una volta assorbita viene trasportata nel sangue legata a specifiche
proteine plasmatiche (soprattutto albumina e globuline). Tramite il circolo
raggiunge il fegato e altri tessuti dove viene trasformata in FMN – FAD.
Funzione biologica: i 2 coenzimi che vanno a costituire sono i componenti protetici
degli enzimi flavinici. Intervengono in diverse reazioni di ossidoriduzione del
metabolismo dei carboidrati, delle proteine e dei lipidi e nella decarbossilazione del
piruvato.
Dose raccomandata: stesse considerazioni tiamina. Attualmente si consiglia
0,6mg/1000kcal.
Carenza B2: provoca stato pluricarenziale di altre vitamina (niacina, vitamina K,
acido folico, ecc) in quanto coinvolta in molte reazioni metaboliche in sinergia con
altre vitamine – anemia da carenza Fe – alterazioni mitocondriali ecc. A livello
macroscopico si osserva: arresto crescita, sindrome tipo pellagra caratterizzata da
lesioni delle mucose, epitelio occhio, apparato gastrointestinale, ecc.
Eccesso B2: non sono noti effetti tossici.
Dove si trova? Si trova in verdure, lievito di birra, latte (quantità dipende da
alimentazione animale), fegato, cuore, rene, albume dell’uovo. Una quantità
modesta può essere fornita anche dalla flora intestinale.

 Vitamina PP o B3 (niacina): con il termine niacina si intendono 2 molecole tra


loro simili: l’acido nicotinico )niacina e il nicotinamide. Entrambi vengono ad
essere assorbiti nello stomaco e nell’intestino attraverso trasporto facilitato (basse
concentrazioni) o trasporto passivo (alte concentrazioni).
Funzione biologica: la nicotinammide è un composto fondamentale di 2 coenzimi:
NAD+ (Nicotinamide Adenina Dinucleotide) e NADP+ (Nicotinamide Adenina
Dinucleotide Fosfato). Questi 2 coenzimi sono coinvolti in diverse reazioni di
ossidoriduzione di vie cataboliche e anaboliche, fungendo da accettatore di 2e,
sottoforma ione H, (ione idruro).
Dose raccomandata: la flora intestinale è in grado di formare acido nicotinico a
partire da triptofano, ma in quantità basse tali da compensare in parte bassi livelli di
assunzione B3, ma non in grado di risultare sufficienti e quindi sopperire la dose da
introdurre con la dieta, la quale è attualmente stimata in 13 mg per adulto che
utilizza circa 2000kcal e 20mg per adulto che utilizza > 2000kcal.
Carenze B3: può essere dovuta a apporto insufficiente B3 o triptofano. Carenza
provoca pellagra (dolo gastrointestinali, dermatite fotosensibile, disturbi mentali,
stanchezza, depressione, disturbi della memoria).
Eccesso B3: elevate dosi di acido nicotinico (ma non nicotinamide) è in grado di
↓LDL , ↓trigliceridi plasmatici , ↑HDL. Ci possono essere effetti collaterali come:
vasodilatazione, eritema, prurito, nausea, mal di testa, epatotossicità ecc.
Dove si trova?
- Nicotinamide: più presente in fonti alimentari vegetali;
- Acido nicotinico: più presente in fonti alimentari animali.
Alimenti più ricchi sono lievito birra – carni. Mediamente ricchi cereali. Frutta,
verdura e uova basse quantità. Sono composti resistente alla cottura, ma possono
disperdersi facilmente nel liquido cottura.

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 Vitamina B5 (acido pantotenico): deriva dalla fusione β-alanina+ acido pantoico =


acido pantotenico che si presenta sottoforma di isomeri L-D, ma solo la forma
chirale destrogiro è attiva.
Viene ad essere assorbito a livello intestinale, mediante trasporto attivo, a partire
dall’idrolisi del CoA presente negli alimenti. Una volta nel circolo ematico viene
prelevato dalle cellule mediante co-trasportatore Na+,dipendente.
All’interno delle cellule entra nella via di sintesi CoA che viene completata a
livello dei mitocondri.
Funzione biologica: B5 è il costituente principale (insieme β-mercaptoetilamina) del
CoA (e fosfopantenina). Il CoA funzione come trasportatore di gruppi acili-acetili
in diverse vie metaboliche (glucidi – aa – acidi grassi –ecc). La chiave dell’azione
del CoA è rappresentato dalla presenza del gruppo tiolico terminale che è in grado
di legarsi ad un gruppo carbossilico, formando un tioestere, un composto ad alto
contenuto energetico, la cui idrolisi libera notevole energia.
Dose raccomandata: non ben definito, orientativamente 5,10mg al giorno.
Carenza B5: molto presente negli alimenti, quindi difficile sapere cosa comporta
carenza.
Eccesso B5: non noti.
Dove si trova? Presente in tutti gli alimenti, soprattutto in fegato, manzo, lievito di
birra, pappa reale.

 Vitamina B6: si intende una serie di molecole: PIRIDOSSINA, PIRIDOSSALE e


PIRIDOSSAMINA. Le 3 forme sono assorbite a livello del digiuno (prima parte
intestino tenue) per diffusione passiva. In circolo si può trovare legata all’albumina
o all’emoglobina (quindi all’interno dei globuli rossi, dove la funzione svolta è però
sconosciuta). Gran parte della vitamina viene depositata nel fegato, dove viene ad
essere immagazzinata previa fosforilazione, per poi essere rilasciata in forma
defosforilata.
Funzione biologica: la PIRIDOSSINA una volta trasformata in PIRIDOSSALE (o
PRIDOSSAMINA) costituisce la forma attivata B6. Coinvolta in: metabolismo aa,
dei lipidi e dei glucidi, in qualità di coenzimi invece partecipano alla formazione
sfingolipidi e neurotrasmettitori.
Dose raccomandata: la buona utilizzazione proteica dipende da questa vitamina.
Perciò si è deciso di regolare apporto B6 a seconda dell’apporto proteico giornaliero.
Si consiglia 1,5mg/1000kcal di proteine al gg.
Carenza B6: rara, se presente: nausea, vomito, dermatite, neuropatie periferiche ecc.
Eccesso B6: neuropatie periferiche, comunque reversibili.
Dove si trova? Presente sia nei prodotti animali come PIRIDOSSINA–
PIRIDOSSALE; nei vegetali prevale la PIRIDOSSINA. Sempre nei vegetali è
possibile che sia presente una PIRIDOSSINA GLICOSILATA che non viene
idrolizzata da enzimi intestinali, quindi inutilizzabile.

 Vitamina B8 (vitamina H o biotina): viene assunta in forma libera o legate a delle


proteine. Viene però ad essere assorbita solo la forma libera, perciò quella legate
alle proteine deve essere scissa e ciò avviene ad opera di una biotinasi secreta dal
succo pancreatico. La forma libera della vitamina viene assorbita in intestino tenue

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da meccanismi di trasporto passivo/attivo. Una volta nel plasma la biotina si lega a


delle proteine plasmatiche (alfa,beta globuline – albumina) (non è chiaro se esiste
una proteina specifica). A livello biologico la biotina serve come coenzima legato a
carbossilasi, le quali intervengono nel metabolismo acidi grassi, nella
gluconeogenesi e in altre vie metaboliche.
Dose raccomandata: non chiaro quanta assumerne, poiché la biotina può essere
prodotta anche da batteri intestinali.
Carenza B8: estremamente rari. Si possono verificare in soggetti che mangiano
uova crude, in quanto contengono un enzima (avidina) che si lega alla biotina non
rendendola assorbibile. La carenza determina: desquamazione e perdita di capelli.
Eccesso B8: niente
Dove si trova? Si trova in prodotti di origine animale: latte (e suoi derivati), tuorlo
dell’uovo e frutti di mare. Nei prodotti vegetali, la biotina si trova legata a proteine
determinando una ridotta biodisponibilità. Può essere prodotta in elevate quantità da
flora batterica.

 Vitamina B9 (acido folico): formato da 3 molecole 6-METILPTERINA , ACIDO


PAMINOBENZOICO (PABA) , ACIDO GLUTAMMICO. Il legame con il
glutammato e essenziale per la sua attivita biologica. E' presente negli alimenti di
origine animale: rene,fegato e uova. Come folato nelle verdure a foglia verde e nei
legumi,durante la cottura si assiste a una perdita di almeno il 50% della vitamina.
Funzione biologica: ha un ruolo fondamentale nell'espressione genica e nella
proliferazione cellulare (sintesi di Dna e Rna e cellule a ricambio rapido come
midollo osseo).
Danni da carenza o eccesso: la carenza e molto diffusa in paesi sottosviluppati; la
sintomatologia prevede anemia macrocitica-leucopenia e
trombocitopenia(diminuzione di leucociti e piastrine),alterazioni della cute,mucose
e disturbi gastrointestinali. Estremamente importante è la carenza di acido folico in
gravidanza che può comportare problemi nella differenziazione del tubo neurale.
Dose raccomandata: 200μg di folati per adulti, 50μg bimbi,400 μg in gravidanza e
300μg in allattamento.

 Vitamina B12 (cobalamina): è una vitamina altamente solubile in acqua, possiede


un aroma di cobalto e può andare a formare diversi legami, ad esempio con: CN
(gruppo cianidrico) formando cianocobalamina , o con OH formando
idrossicobalamina – ecc. L’idrossicobalamina è la forma naturale con cui viene di
solito assunta. Un soggetto sano assorbe circa la metà della vitamina B12 contenuta
negli alimenti. L’efficienza dell’assorbimento, richiede la presenza del fattore
intrinseco prodotto dalle cellule principali dello stomaco. L’inibizione della
secrezione acida nello stomaco, comporta un ridotto assorbimento di vitamina B12.
L’elevata solubilità rende difficoltoso il passaggio attraverso membrana cellulare.
Esso si realizza grazie alla presenza di uno specifico recettori presente sulle cellule
dell’ileo, capace di riconoscere il complesso B12-fattore estrinseco e di introdurlo
mediante endocitosi. In circolo si lega a 2 proteine di trasporto: transocalamina I – II.
Entrano nei tessuti grazie al riconoscimento di uno specifico recettore presente sulle
membrana cellulare dei tessuti.

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Funzione biologica: esiste una interdipendenza tra B12 e l’acido folico. La


metilcobalamina (B12 legata al gruppo –CH3) interviene nella conversione di
omocisteina in metionina, azione in comune con ac.folico.
Dose raccomandata: consigliato 2μg/die cobalamina.
Carenza B12: stati carenziali si verificano per lo più a seguito di processi patologici
che interessano le cellule parietali stomaco o in seguito a diete strettamente
vegetariane. Le riserve dell’organismo di B12 sono ampie, quindi i segni di stati
carenziali compaiono solo dopo lungo periodo e possono essere: anemia perniciosa,
disordini del SN.
Eccesso B12: rischio tossicità per dosi superiori alle raccomandate.
Dove si trova? I batteri flora intestinale sono capaci di produrla, ma l’assorbimento
risulta scarso in quanto necessitano del legame con fattore intrinseco gastrico. In
natura la troviamo di origine animale in quanto sintetizzata da alcuni batteri ma non
nei vegetali (almeno che non contaminati da batteri in grado di produrli).

Vitamina C: si presenta in 2 forma che possono espletare attività biologica: Acido


ascorbico e acido deidroascorbico (forma ossidata). È ossidato a deidroascorbato ed entra
nell’enterocita attraverso GLUT1. Una volta dentro il DEIDROASCORBATO viene
ridotto ad ASCORBATO e immesso nel
sangue, passando per un trasportatore specifico Na+ dipendente. Nel plasma la vitamina
circola prevalentemente come Acido ASCORBICO (90,95%) per il resto come Acido
DEIDROASCORBICO. Viene immagazzinata nei tessuti (particolare surrene, fegato).
Funzione biologica: molti dei ruoli svolto sono sottoforma di agente riducente. In
particolare svolge un ruolo importante per: le reazioni di formazione del collagene,
idrossilazione dopamina per formare NA, sintesi carnitina e idrossilazione ormoni
steroidei, aumenta assorbimento ferro per riduzione Fe2+ in Fe3+ , ecc.
Dose raccomandata: quantità min giornaliera per evitare scorbuto sia 10mg/die, quelle
consigliate 30,60mg/die.
Carenza C: porta allo scorbuto (deficit produzione collagene), ciò determina: alterazione
vasi sanguigni con comparsa emorragie, rallentamento cicatrizzazione ferite, osteoporosi,
ecc. Nei bambini si ha arresto crescita. Oltre allo scorbuto si hanno effetti a livello
neurologico in seguito a mancata produzione di NA. Inoltre, per la sua attività
antiossidante e in particolare per la sua capacità di ridurre la vitamina E, carenza di
vitamina C può accentuare danni da stress ossidativo.
Eccesso C: non sono noti studi che supportano tossicità dosi eccessive di vitamina C. Si è
visto però maggiore formazione di ossalati e quindi maggiore rischio di calcolosi renale.
Dove si trova? Presente soprattutto in vegetali a foglia verde: peperoni – pomodori; e in
frutta : kiwi – agrumi. La carica vit C viene persa in gran quantità con la cottura (cottura
deve essere il più possibile rapida e in poca acqua) o tenendo alimento all’aria aperta o
tenendolo dentro un contenitore metallo che favorisce ossidazione.

VITAMINE LIPOSOLUBILI
 Vitamina A (retinolo): con vitamina A ci si riferisce a diverse molecole che
possiedono attività biologica simile al retinolo. Il retinolo può essere in forma libera,
esterificata (esteri retini lici), retinale e acido retinolico sono i derivati ossidati del
retinolo. Questa vitamina è caratterizzata dalla presenza di 4 doppi legami nella

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catena laterale e ciò è compatibile con isomerizzazioni cis,trans. Esistono quindi


diversi isomeri geometrici della vitamina A, ma le forme trans sono le più frequenti.
Il RETINOLO: è presente nei tessuti animali (fegato – albume uovo – latte e
derivati) sottoforma di retinil esteri, mentre nei vegetali troviamo i carotenoidi, ma
solo un 10% di questi può essere considerato come provitamina A in quanto
convertibile dall’organismo in vitamina A. Le forme più comuni di carotenoidi sono
α – β – γ e fra questi il β,carotene è il più diffuso. L’efficienza assorbimento dei
carotenoidi diminuisce con l’aumentare della loro concentrazione. Una parte dei
carotenoidi, in particolare β-carotene, può venire scisso in 2 molecole di retinale e
successivamente ridotto a retinolo nell’intestino. Per quanto riguarda invece i
retinil-esteri, per poter essere assorbiti subiscono un idrolisi da parte di un enzima
presente sull’orletto a spazzola degli enterociti; il retinolo libero ottenuto viene ad
essere assorbito dalla mucosa intestinale. Nelle cellule enteriche il retinolo viene
incorporato all’interno dei chilomicroni che raggiungono il sistema linfatico
attraverso la circolazione sanguigna. Nel sangue i chilomicroni svuotati del loro
contenuto lipidico, diventano chilomicroni remnants che conservano i retinil-esteri.
Questi vengono captati all’interno del fegato e immagazzinate nelle cellule stellate
(cellule ito) del fegato che possiedono numerosi enzimi capaci di sintetizzare e
idrolizzare i retinil-esteri. Contengono inoltre proteine trasportatrici del retinolo
(Retinol Binding Protein=RBP). Il fegato secerne nel sangue il retinolo tutto in
forma trans, legato alla proteina RBP, il quale a sua volta si lega con la transtiretina
(TTR) formando un complesso capace di prevenire l’escrezione renale del
complesso retinolo-RBP. Il retinolo circolante viene captato grazie alla presenza di
specifici recettori per la RBP presenti nelle cellule dei diversi tessuti. La RBP
rimane legata al recettore fin quando non arriva altra RBP. All’interno del citosol il
retinolo viene legato con proteina CRBP (Cellular Retinol Binding Protein) che lo
protegge dall’ossidazione e lo veicola all’interno del nucleo dove il retinolo si lega a
specifici siti di leganti nella cromatina che si ritiene siano alla base della regolazione
espressione genoma. Il CRBP fuoriesce dal nucleo e torno a disposizione nel citosol.
Funzione biologica: il retinale (che può essere prodotto da retinolo) fa parte del
meccanismo visione. Il retinale infatti si lega alla proteinaopsina, formando la
rodopsina. Quando un fotone colpisce la rodopsina, il retinale isomerizza nella
forma tutto trans e ciò determina un cambiamento conformazionale della rodopsina
e conseguente attivazione cascata molecolare mediata da proteina G. che determina
una generazione di impulsi elettrici. L’acido retinoico sembra partecipare alla
maturazione embrionale e differenziazione di alcune linee cellulari. Ciò viene
espletato attraverso il legame dell’acido retinoico a livello del genoma, andando
così a regolare l’espressione di alcuni geni.
Dose raccomandata: UOMO ! 700μg retinolo – 4,2mg β,carotene – 9,4mg altri
carotenoidi.
Donna: 600μg retinolo – 3,6 mg β,carotene – 7,2 mg altri carotenoidi.
Carenza A: inibizione crescita – deformazioni ossee – modifiche epiteliali e organi
riproduttivi – alterazione funzione visiva
Eccesso A: intossicazione acuta: nausea,vomito,emicrania,ecc; intossicazione
cronica:
provocata da introduzione dosi superiori vitamina A rispetto alle capacità di
immagazzinamento

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ed eliminazione fegato. Per quanto riguarda i carotenoidi la tossicità risulta ridotta


in quanto il loro assorbimento è modesto e diminuisce ad alte dosi.

 Vitamina D: può essere prodotta in quantità sufficienti dalla sola esposizione al


sole. I raggi devono però avere determinate caratteristiche riscontrabili in certi
momenti della giornata (ore centrali giornata), a latitudini >35° nel periodo ottobre –
marzo la quantità è insufficiente. In quei territori o in quelle fasce di popolazione
che solitamente non si espone al sole (es.anziani) la fonte di vit D è rappresentata
dai cibi. Pochi sono però i cibi che la contengono, principalmente l’olio di fegato di
merluzzo, poi pesci grassi (salmone, arringa), latte e suoi derivati, uova, fegato e
verdure verdi. L’assorbimento avviene come per la vitamina A, cioè viene
incorporata nei chilomicroni all’interno degli enterociti e poi trasportata sottoforma
di chilomicroni remnantes al fegato dove subisce idrossilazione con formazione 25-
IDROSSICOLECALCIFEROLO, il quale passa nella circolazione generale e si lega
a specifica proteina trasportatrice (DBP) che la porta al rene dove può subire 2
reazioni di idrossilazione che danno origine ad una componente attiva o inattiva
Funzione biologica: regolazione Ca2+ a livello renale, favorisce riassorbimento,
favorisce assorbimento intestinale, favorisce processi mineralizzazione osso.
Questa azione viene favorita grazie alla sua capacità di legarsi ad un recettore
nucleare e favorire la produzione di proteine trasportatrici del Ca2+. Oltre che
metabolismo Ca2+ la vitamina D sembra importante nella riduzione rischio malattie
cardiovascolari – diabete I – malattie infettive. Ciò sembra essere dovuto al fatto
che tutte le cellule dell’organismo hanno un recettore per la vitamina D.
Dose raccomandata: non perfettamente nota in quanto difficile stabilire la quantità
derivante dalla normale esposizione al sole. Per soggetti con impossibilità di
esposizione assunzione giornaliera raccomandata: 0 – 10 μg/die.
Carenza D: diminuzione livelli Ca2+ ematico e conseguente ipertiroidismo
secondario, in quanto bassi livelli plasmatici Ca2+ stimolano produzione di
paratormone. Stabili bassi valori Ca2+ inducono continua produzione di
paratormone. Gli effetti in seguito a carenza possono essere: alterazione processi
mineralizzazione (rachitismo nel bambino), debolezza muscolare e deformazioni
ossee e dolori.
Eccesso D: tossicità acuta – cronica.

 Vitamina E: la forma più potente e attiva di questa vitamina è l’α-TOCOFEROLO.


Esistono poi altre 7 forme, che svolgono l’attività della vitamina E in misura
minore: tocoferoli (β, γ,δ) – tocotrienoli. La conformazione di questa vitamina è
simile a quella dei fosfolipidi, hanno quindi una testa polare e una coda apolare, che
gli permette di inserirsi nella membrana fosfolipidica. Sono molto presenti negli
alimenti origine vegetale: estratti oleosi del germe di grano, dell’oliva, cereali , frutti,
ortaggi. Presente nell’olio extravergine oliva. Il contenuto della vitamina cala
quando questi prodotti subiscono cotture (fritture, forno) e stanno a contatto con O2
o materiali come ferro – rame –ecc. L’assorbimento avviene come per tutte le altre
vitamine liposolubili, necessitano quindi dell’attività digestiva riservata per i lipidi
(esempio Sali biliari, ecc). Per il resto si hanno gli stessi processi. La vitamina E
viene incorporata all’interno di diverse lipoproteine (LDL – VLDL – HDL) e può

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essere scambiata tra una lipoproteina e l’altra o ceduta ai tessuti. Questo


associazione con le LIPOPROTEINE ricche di colesterolo, determina una
correlazione diretta tra colesterolemia–concentrazione plasmatica di vitamina E.
Funzione biologica: svolge azione di antiossidante nella prevenzione
dell’ossidazione degli acidi grassi polinsaturi di membrana
Carenza E: difficile in quanto si accumula in diversi tessuti (tra cui fegato). Se
avviene carenza può essere dovuto a malassorbimento e comporta: sindrome
neurodegenerativa con neuropatia periferica, miopatia, atassia cerebellare.
Eccesso E: no tossicità

 Vitamina K: comprende 3 diverse molecole:


- K1 (filo chinone): di origine vegetale, si trova nei vegetali a foglia verde
(piselli,lattuga,spinaci,broccoli,cavoli,ecc);
- K2: di origine batterica, prodotta quindi da batteri flora intestinale. Si può
trovare nei prodotti animali: fegato (manzo,maiale), uova;
- K3: sintetica.
La K1 è assorbita a livello ileo, mentre la K2 prodotta dai batteri, è assorbita da
colon.
Stesse condizioni e processo di assorbimento delle altre vitamine liposolubili. Una
volta portate al fegato da chilomicroni, vengono inglobate all’interno di LDL –
VLDL per poi essere esportate ai tessuti.
Funzione biologica: è il coenzima di una carbossilasi che partecipa al metabolismo
di proteine che partecipano a processi di coagulazione. Carenza di vitamina K
induce effetto anticoagulante.
Dose raccomandata: difficile valutare l’apporto dietetico in considerazione del
contributo della flora. Cmq il quantitativo raccomandabile è 1μg/kg peso corporeo.
Carenza K: estremamente difficile visto che si trova in molti alimenti e viene
prodotta da flora intestinale.
Eccesso K: no effetti tossici.

L’acqua e il bilancio idrico


L’acqua è il costituente principali di tutti gli organismi viventi ( nell’uomo il 70% peso
corporeo costituito H2O). Mancanze del 12% di acqua dal totale, determinerebbe la
morte del soggetto.
La presenza di acqua all’interno della cellula, permette di svolgere svariate funzioni: è il
mezzo nel quale si svolgono tutti i metabolismi , apporta nutrienti – trasporta prodotti di
rifiuto – idrata biomolecole presenti – in questo mezzo i sali presenti permettono di
svolgere la loro funzione di mantenimento omeostasi cellulare.

Che cos’è l’acqua?


È un composto polare. Questa polarità è data dalla presenza di H e O che si legano mediate
legame covalente, ma si assiste ad una delocalizzazione delle cariche in virtù della
notevole differenza di elettronegatività (O più elettronegativo dell’H): le cariche (-)
vengono ad essere attratte dalla parte dell’O (poiché + elettronegativo), per cui avremo
l’estremità dalla parte dell’O caricata negativamente. Ciò comporta che l’estremità
opposta presenterà una maggiore concentrazione di cariche (+). Considerate le piccole

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dimensione dell’H, tale legame porta ad un avvicinamento notevole dell’atomo di H all’O,


costituendo un legame intermolecolare detto legame idrogeno. Questo legame è il più forte
dei
legami intermolecolari ma risulta comunque molto più debole del legame covalente.
Nonostante ciò, vista la notevole presenza, esso va a determinare molte delle
caratteristiche peculiari dell’acqua:
 Punti di FUSIONE – EBOLLIZIONE più alti rispetto a quelli ipotizzabili in base
al PM: iò permette all’acqua di essere disponibile in forma liquida alle temperatura
che si hanno sulla terra.
 Elevato CALORE SPECIFICO: la molecola d’acqua deve assorbire una grande
quantità di calore per riscaldarsi e per evaporare. Tutto ciò è dovuto al fatto che è
necessario fornire una quota addizionale di energia per rompere i legami H.
 Densità massima a 4°:permette al ghiaccio di avere una densità inferiore all’acqua
liquida e quindi permettendogli di galleggiare e consentire la vita al di sotto di esso.
 Ottime proprietà di solvente: permette a diversi composti di disciogliersi:
composti ionici, composti polari (es.zuccheri) e alcuni gas.

L’acqua e gli alimenti


L’acqua contenuta nei cibi concorre in maniera significativa a soddisfare il nostro
fabbisogno idrico giornaliero. Inoltre la sua presenza negli alimenti va a determinare sia le
caratteristiche strutturali (turgidità, friabilità, ecc) – caratteristiche organolettiche (aspetto,
sapore, sensazione tattile) nutrizionali (digeribilità, potere calorico). È di notevole
importanza per la conservazione cibi.
Il contenuto idrico è fortemente influenzato dalle modalità conservazione – cottura.
L’acqua negli alimenti non è mai pura, dato che essa svolge funzione di solvete. A
seconda del soluto disciolto presenta proprietà differenti:
- Soluti non elettroliti (es.zuccheri): determinano modificazioni dei valori di
tensione del vapore, punto di ebollizione e del punto di congelamento;
- Soluti elettroliti (Sali, basi,acidi): determinano variazioni conducibilità elettrica
o dei valori del pH

Acqua corporea e bilancio idrico


In un uomo adulto l’acqua costituisce circa il 60% del suo peso corporeo. In una donna
adulta invece circa il 50% del peso corporeo, questa diminuzione è dovuta al fatto che le
donne presentano maggiore riserve di tessuto adiposo e minore muscolare rispetto
all’uomo. Nei neonati è invece il 75% peso corporeo.
L’acqua è distribuita principalmente nel tessuto non adiposo e costituisce il 72% della
massa magra. Nel nostro organismo si suddivide in 2 compartimenti: compartimento
intracellulare, compartimento extracellulare. Per l’organismo è fondamentale mantenere
l’omeostasi volumetrica dei 2 compartimenti: il volume del liquido intra cellulare dipende
dalla concentrazione dei soluti in quello interstiziale. In condizioni normali il liquido
interstiziale e quello intracellulare sono isotonici (stessa osmolarità).
Anche la volemia deve rimanere costante (↑VOLEMIA ! ↑PA , ↓VOLEMIA ! ↓PA e
aumenta viscosità ematica e il cuore si affatica).

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Per garantire l’omeostasi del volume liquidi intracellulari-intravcascolari è necessario


mantenere costante il contenuto idrico dell’organismo e per questo, il bilancio di H20
entrante deve essere uguale al bilancio di H20 uscente (EUIDRATAZIONE), altrimenti se:
- BILANCIO H2O ENTRANTE > BILANCIO H2O USCITE=
IPERIDRATAZIONE;
- BILANCIO H2O ENTRANTE < BILANCIO H2O USCITE:
IPOIDRATAZIONE.

EUIDRATAZIONE: il contenuto idrico viene mantenuto costante, grazie a dei


meccanismi che:
- Regolano l’acqua in entrata (seno sete): il senso di sete (ipotalamo) si attiva
quando ↓volemia (disidratazione) o quando i fluidi corporei tendono a diventare
ipertonici (per esempio dopo pasto salato);
- Regolano acqua in uscita (urine): ↑ quando si introduce parecchia acqua,
mentre ↓ quando l’acqua viene ad essere espulsa mediante altri meccanismi
(sudorazione – traspirazione), aumentando la secrezione ormone antidiuretico
(ADH) o vasopressina.
L’acqua può essere assunta direttamente o indirettamente tramite cibi. Per questo motivo,
salvo casi particolari, è del tutto fuori luogo dare indicazioni su quanto si deve bere.

IPOIDRATAZIONE (DISIDRATAZIONE): una diminuzione del 7% di acqua corporea


totale è sufficiente a mettere in pericolo la sopravvivenza dell’individuo in seguito a
diversi motivi: viene bloccato meccanismo di sudorazione (IPERTERMIA), si riduce la
volemia e il sangue circola meno bene nei vasi, il cuore si affatica e può insorgere in casi
estremi collasso cardiocircolatorio.
Cause disidratazione: esposizione a clima secco e ventilato non necessariamente caldo
(anche a basse temperature la disidratazione è notevole, il freddo stimola l’eliminazione
acqua con le urine), attività fisica, vomito e diarrea, forti emorragie, ustioni.
I soggetti a rischio sono sportivi o comunque chiunque compie attività in climi caldi –
bambini – anziani. In quest’ultimi il senso della sete risulta attenuato, essi dovranno quindi
dissetarsi non quando sentono lo stimolo ma con una certa continuità. In linea generale si
consiglia di bere di più nei mesi estivi, quando si suda molto. Per prevenire disidratazione
durante att.fisica si consiglia di bere prima – durante – dopo attività.
Quando l’esercizio è prolungato l’introduzione di sola acqua può non bastare, perciò si
ricorre
a bevande che presentino una modesta quantità Sali minerali (non superiori 8% per evitare
l’osmolarità della soluzione con conseguente richiamo acqua all’interno intestino (effetto
opposto)).

IPERIDRATAZIONE : si possono avere pericolose alterazioni delle funzioni cellulari a


causa dell’eccessiva diluizione dei soluti. Queste alterazioni possono provocare:
disfunzione gastrointestinale – debolezza muscolare – irregolarità battito cardiaco. La
causa principale di tale alterazione è l’eccessiva diluizione serica del Na+
(IPONATREMIA). Per far si che si realizzi, si devono manifestare 2 condizioni:
- Marcata perdita Na+ (soprattutto con sudorazione);
- Diluizione Na+ extracellulare.

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Un esercizio fisico condotto per lungo tempo in condizioni che inducono notevole
sudorazione possono indurre altre perdite di Na+. Quindi non bere eccessivamente quando
si fa attività fisica (non superare 1L acqua per ora) e aggiungere piccola quantità Na+ ,
glucosio nella bevanda.

Sali minerali
Il 94% del peso corporeo e dato dalla somma di elementi chimici detti primari che sono
carbonio,idrogeno,ossigeno e azoto; una 20ina di ulteriori elementi chimici sono
responsabili del 6,2 % del peso corporeo: questi elementi sono i Sali minerali, i quali
rientrano nel gruppo delle sostanze essenziali.
La loro funzione e quella di partecipare: crescita e sviluppo di organi e tessuti , coinvolti
nella regolazione dell'equilibrio idrosalino , nell'attivazione di numerosi cicli metabolici,
sono fattori determinanti per la formazione di svariate molecole (es.emoglobina).
Nessun essere vivente e in grado di sintetizzare autonomamente alcun minerale i quali
vengono
assimilati attraverso acqua, alimenti oppure sottoforma di condimenti aggiunti al cibo
(sale da cucina). Devono dunque essere assunti con una corretta ed equilibrata
alimentazione. A tal fine però dobbiamo considerare la biodisponibilità dell’elemento.
Solitamente la quantità di Sali minerali ingeriti con la dieta non coincide con quella
biodisponibile. Per disponibile si intende la frazione di minerali ingerita con la dieta che è
effettivamente assorbita, trasportata al sito di utilizzo e metabolizzata. Ne deriva che un
alimento è in grado di coprire il fabbisogno di un elemento se questo è presente non solo
in quantità corretta ma anche in forma disponibile.
La biodisponibilità è influenzata da:
- Fattori soggettivi(età – sesso – microflora intestinale – stati fisiologici
particolari – ecc);
- Fattori oggettivi (forma chimica minerale – solubilità minerale – presenza nella
dieta di fattori che inibiscono l’assorbimento e/o forma chimica del minerale).
Si differiscono dai carboidrati,lipidi e proteine in quanto non forniscono direttamente
energia,ma la loro presenza e essenziale per la realizzazione di quelle reazioni che liberano
energia.
Rispetto a queste sostanze, il fabbisogno giornaliero di sali minerali è minimo; ma,
essendo continuamente eliminati tramite sudore,urine e feci vanno costantemente
reintegrati. Si differiscono dalle vitamine in quanto non si alterano ne disidratano durante
cottura,riscaldamento, ecc.
Si suddividono in:
- Macroelementi: prensenti nell'organismo in quantità relativamente elevate,
fabbisogno giornaliero ˃100 mg al gg;
- Microelementi: sono presenti nell'organismo in piccole quantità; fabbisogno
giornaliero compreso fra 1 e 100 mg al gg;
- Oligoelementi: sono presenti solo in tracce nell'organismo; fabbisogno
giornaliero va da qualche microgrammo al milligrammo.
Macroelementi
Calcio
Il minerale quantitativamente più rappresentato nel nostro organismo. La maggior parte si
trova nelle ossa e nei denti dove svolge funzione strutturale e di riserva; la restante parte si

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trova nel sangue e nei tessuti e agisce sottoforma di ione Ca2+ svolgendo svariate
funzione fra cui quella di attivatore della contrazione muscolare – fattore rilascio ormoni
neurotrasmettitori – regolatore permeabilità cellulare – cofattore per funzionamento
enzimi.
Si trova nel latte e nei suoi derivati (non tutti,burro e panna non sono buone fonti in quanto
non presentano proteina caseina), in quantità minore anche in ortaggi e legumi e in cereali,
carne,pesce e acqua.
L’assorbimento avviene principalmente a livello prima parte intestino (trans cellulare), e
una quota più piccola nella seconda porzione intestino. La vitamina D favorisce
assorbimento Ca2+ a livello intestinale. Altri fattori aumentano biodisponibilità come gli
zuccheri (lattosio), gli aa (lisina,arginina) l’aumento del pH intraluminale.
Altri fattori la diminuiscono: costituendi vegetali (es. fibra alimentare).

Fosforo
L' 85% in ossa e denti e il 12% in tessuti molli nei quali riveste un ruolo strutturale
(fosfolipidi di membrana di tutte le cellule e in particolare delle cellule nervose) –
composti adibiti al trasporto di energia (ATP e analoghi) – trasmissione intracellulari di
messaggi ormonali tramite secondo messaggero (AMP ciclico).
Ha anche un ruolo come componente di materiale genetico e contribuisce alla regolazione
dell'equilibrio acido-base dei fluidi corporei.
La carenza di fosforo e un evento molto raro poiché è contenuto in svariati alimenti quali il
latte,formaggi carne,pesce,uova,cereali,legumi.
Eventuali carenza determinano:
- Debolezza;
- Demineralizzazione ossea;
- Anoressia;
- Malessere.
L’assorbimento del P avviene per la maggior parte a livello intestinale ed è favorito dalla
vitamina D. L’omeostasi è mantenuta grazie alle variazioni dell’escrezione renali di fosfati
della quale il paratormone è il principale regolatore.

Magnesio
E’ un minerale necessario per la costituzione dello scheletro , l'attivita nervosa e
muscolare , per il metabolismo e la sintesi proteica. La maggior parte del magnesio è
localizzata nelle ossa e in misura minore nei compartimenti intra ed extracellulari dove
partecipa a un gran numero di reazioni cellulari: trasferimenti di gruppi fosfatici all’ATP,
dove agisce come complesso Mg2+,ATP – biosintesi lipidi
proteine e ac.nucleici – glicolisi –ecc). Essendo largamente diffuso negli alimenti,la dieta e
solitamente sufficiente per la richiesta da parte del nostro organismo.
Gli alimenti che lo contengono maggiormente sono: noci,mandorle,cacao,semi di
soia,fagioli,grano tenero e tutti i vegetali verdi (in quanto il Mg e un costituente essenziale
della clorofilla).
Carenze di magnesio si possono osservare in alcolizzati e pazienti post intervento
chirurgico,con sintomi quali anoressia,vomito,aumento dell'eccitabilita muscolare.
Un'eccesso provoca depressione del sistema nervoso centrale con disturbi all'att cardiaca e
respiratoria.

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Potassio
E’ localizzato principalmente all'interno delle cellule (95% di tutto K corporeo). Questo
gradiente viene mantenuto grazie alla pompa Na+,K+. Il contenuto di potassio rappresenta
un indice della massa magra dell'individuo,in quanto esso e proporzionale alla massa
corporea cellulare.
La quota di K+ extracellulare influenza l’attività del muscolo scheletrico e del miocardio.
Viene assorbito a livello prima parte intestino tenue. La maggior perdita di K+ si realizza
attraverso defecazione, mentre minima è la quota persa con sudore. L’apporto medio di K
= 3,2g al gg (adulto), provenienti per la maggior parte da prodotti vegetali e frutta. Le fonti
alimentari piu ricche (con rapporto sodio\potassio piu elevato) sono i cibi freschi non
sottoposti a trattamenti tecnologici di conservazione (frutta,verdura,cereali,carni fresche).

Sodio
Il contenuto corporeo medio e 90-100 gr:la meta e localizzata nei fluidi extracellulari,il
10% negli intercellulari mentre 35 g nelle ossa. La disparità di concentrazione intra e extra
cellulare crea un gradiente che viene mantenuto dal corretto funzionamento della pompa
sodio-potassio.
Il Na+ è contenuto principalmente nel sale da cucina,ma anche in formaggi,salumi e tutti i
prodotti conservati. Essendo la nostra alimentazione ricca di sale le dosi giornaliere non
superano i 4,6 gr,il che significa che non è necessario aggiungere sale nella preparazione
dei cibi.
La carenza provoca anoressia,nausea e vomito; l'eccesso predispone l'insorgenza
dell'ipertensione arteriosa.

Cloro
E’ presente nell'organismo in quantità di circa 100 g sottoforma di Cl,. Funge da
contro,ione (ione di carica opposta) del Na+ e K+ ed è localizzato principalmente nel
liquido extracellulare,ma anche negli spazi intracellulari nel connettivo e nell'osseo.
Come il sodio regola il bilancio idrico,la pressione osmotica, l'equilibrio acido,base ed e il
principale anione del succo gastrico.
La principale fonte e costituita dal cloruro di sodio (sale da cucina NaCl).

Zolfo
E’presente in quasi tutti i tessuti dell'organismo quale costituente delle proteine,ma e
indispensabile per la formazione delle cartilagini,peli,capelli,unghie. Si trova
principalmente in 2 aa (metionina – cisteina) e in 3 vitamine (tiamina – biotina – acido
pantotenico).
E difficile riscontrare carenze da zolfo se la dieta contiene quantità adeguate di proteine
animali; l'assunzione eccessiva causa problemi di sviluppo fisico e una scarsa crescita.
Carne,pesce,latte e derivati e legumi e cereali hanno un buon contenuto di zolfo

Microelementi
Ferro
Dobbiamo distinguere 2 tipologie di Fe presente nell’organismo:

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- ferro eminico: Fe presente nell’emoglobina, nella mioglobina e negli enzimi. È


il più disponibile in natura (pesce, carne, alcuni vegetali);
- ferro non eminico: ferro di riserva o deposito distribuito in larga parte nel
fegato , nella milza e nel midollo osseo. Più difficile da assimilare e
metabolizzare (uova, prodotti lattero,caseari).
Il Fe è presente quasi esclusivamente in forma di catione bivalente (ferro ferroso Fe2+),
fatta eccezione per l’eme dei citocromi (forma ferrica Fe3+) e cambia il suo stato di
ossidazione diventando ferroso durante il trasporto degli elettroni nella catena respiratoria
Il Fe nel corpo umano si presenta in forme di riserva essendo complessato in proteina
trasportatrici e altre (ferritina).
Un deficit di Fe incide prima sui siti di deposito (fegato, milza e midollo osseo) e solo
successivamente può provocare la diminuzione emoglobina.
L’assorbimento di Fe a livello intestinale è ridotto a causa della quantità presente negli
alimenti (la forma ferrosa è quella maggiormente assorbibile) – dalla presenza fattori
diminuiscono assorbimento (ioni ossalato – solfato – fosfato). Fatto facilitante
l’assorbimento è la vitamina C.
Si consiglia somministrazione 10mg al gg adulti maschi – 18mg al gg donne. Per atleti è
raccomandabile un surplus del 30% per compensare le perdite ematiche che possono
verificarsi in seguito a microtraumi.
La carenza di ferro provoca astenia,affaticabilita,facilita a contrarre infezioni e anemia;
l'eccesso porta danni negli organi in cui si accumula.

Rame (CU)
Concentrato principalmente a livello epatico. La quantità di rame assunto con la dieta e
generalmente sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero. Ne sono particolarmente
ricchi i legumi, pesci, crostacei, carne,cereali e noci. Vista la sua presenza in svariati
alimenti la sua carenza dipende da malnutrizione generale; l'eccesso si manifesta con
febbre,nausea,vomito e diarrea.

Zinco
Cofattore di numerosi e importanti enzimi implicati ad es. nella detossificazione alcol
etilico o la sintesi ac.nucleici – maturazione gonadi.
Più presente in: carne bovina,suina – ostriche – funghi – cacao – noci – tuorlo uovo.
Frutta e verdura ostacolano l’assorbimento in quanto contengono fibre.

Fluoro
Presente prevalentemente nelle ossa e nello smalto dentario dove svolge la sua azione
proteggendolo e prevenendo la carie dentaria. Esso agisce in forma di ione fluoruro F, e
legandosi all’idrossipatite dello scheletro forma il fluoroapatite, minerale molto resistente
agli acidi.
L’acqua costituisce la fonte prevalente di approvvigionamento del F.
La dose consigliata è di 4mg/gg per adulti. Quantità eccessive possono risultare tossiche
dando origine a fenomeni di alterazione dentarie (fluorosi).

Selenio

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Protegge l’integrità della membrana cellulare grazie alla sua azione di difesa contro i
radicali liberi.
Principali alimenti sono: cereali – pesci marini – alcuni tuberi. La sua quantità presente
negli alimenti dipende dalla sua presenza nel suolo.

Cromo
Indispensabile per metabolismo zuccheri – grassi. La sua carenza genera intolleranza al
glucosio, ↑trigliceridi , ↑colesterolo.
Gli alimenti più forniti sono: lievito di birra, carni, formaggio, cereali integrali e vegetali

Bevande alcoliche e nervine


Alcol
Caratterizzate presenza gruppo ossidrilico (-OH).
Sono strutturalmente simili all'acqua:al posto di un atomo di H hanno un gruppo organico.
Questa similitudine si riflette nella loro capacità di interagire facilmente con l’acqua !
diverse sono le molecole
biologiche alcoliche (glicerolo – retinolo).

Alcol etilico: per molto tempo è stato considerato come alimento accessorio, cioè privo di
qualsiasi nutriente utile per l’alimentazione umana. Tra le sostanze alcoliche, nel vino è
stata rilevata la presenza di più di 200 sostanze, tra cui il resveratrolo, al quale sono state
attribuite importanti funzioni nella prevenzione di alcune patologie. L'uso di bevande a
contenuto alcolico e ampiamente diffuso nella nostra società e ne deriva il verificarsi sia
dell'abuso di tale sostanza sia di molte patologie correlate all'alcol,motivo per cui sono
stare identificate quantità che possono essere definite "ammissibili" (tollerabili) anche se
difficilmente "raccomandabili".
Per tollerabilità si intende la quantità scarsamente tossica, anche se è difficile dare questi
valore poiché è presente una diversa sensibilità soggettiva (età sesso – ecc).
Secondo le linee guida del 2003 un U.A. (unita alcolica) e pari a:
• 125 ml di vino di media gradazione o
• 300 ml di birra di media gradazione o
• 40 ml di superalcolico
La quantità consigliata è :
- Uomo→2,3 UA;
- Donna→1,2 UA;
- Anziano→1 UA.
Tale dato è stato correlato all’effetto positivo che piccole quantità di etanolo (derivanti da
bevande fermentate (ad esempio vino,birra)) potrebbero avere sui HDL – coagulazione .
Questa tollerabilità non è valida per certe condizioni (<18anni – diabete mellito –
gravidanza – ecc).
L'alcol etilico ha un contenuto calorico intermedio fra quello dei glucidi e quello dei grassi
(7 kcal
per grammo).
L'apporto calorico derivante dall'alcol non deve mai superare il 10 % dell'introito calorico
giornaliero, anche perche l'etanolo ha uno scarsissimo indice di sazietà:l'alcol non
sostituisce le calorie,ma ne aggiunge solo altre.

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Pertanto è raccomandabile che le calorie derivanti da questa sostanza vengano sottratte a


quelle che giornalmente immettiamo sottoforma di carboidrati.

Gradazione alcolica (titolo alcolometrico)


Percentuale di alcol disciolto (indicando in %). La quantità di alcol presente nelle bevande
è espressa dal grado alcolico. Si intende la quantità in ml di alcol etilico presente in 100ml
di bevande.
Assorbimento e metabolismo alcol

Assorbimento: l'alcol etilico e strutturalmente simile ai carboidrati,idrosolubile e quindi


non richiede nessun processo digestivo,viene assorbito per diffusione passiva
principalmente nello stomaco, la restante parte nel duodeno e solo una piccola parte
nell’intestino retto. Ciò dipende comunque dalla qualità-quantità di cibo ingerito e dalla
modalità d’assunzione dell’alcol.
La presenza cibo nello stomaco, rallenta lo svuotamento gastrico e riduce velocità
assorbimento alcol
(per questo si consiglia di consumare vino durante i pasti e non stomaco vuoto). La
velocità d’assorbimento dell’alcol dipende da:
- ↑ velocità assorbimento: stomaco vuoto – assunzione contemporanea di bevande
gassate;
- ↓velocità assorbimento: stomaco pieno – cibo grasso.

Detossificazione: non tutto l’alcol assunto viene ossidato, in quanto 10% viene perso con
respirazione, sudore, urine e feci, senza subire alcuna trasformazione.
Inoltre l’organismo non accumula alcol, quindi la restante parte deve essere smaltita da
organismo nel breve tempo.
La detossificazione avviene a livello epatico, l’etanolo va ad essere trasformato in
acetaldeide e poi inacetato.
L’acetato prodotto esce dal fegato immesso in circolo ematico dove giunge ai tessuti per
essere trasformato in Acetil CoA. Questa molecola può:
- Entrare nel ciclo di Krebs e fornire energia;
- Essere trasformato in corpi chetonici;
- Essere sintetizzato in acidi grassi;
- Essere immagazzinati come triaciglicerolo.

Alcol e pratica sportiva


I riflessi vengono disturbati già con tassi alcolemici di 0,2 e la capacita di elaborazione
mentale e la percezione dei movimenti sono rallentati quando il tasso sale a 0,4 e
prestazione sportiva è influenzata negativamente
l'ACSM ha pubblicato le seguenti conclusioni:
• l'ingestione acuta di alcol ha effetti deleteri su molte abilita psicomotorie;
• il consumo di alcol non influenza sostanzialmente le funzioni fisiologiche cruciali per la
prestazione fisica;
• l'assunzione di alcol non aumenta la capacita di lavoro muscolare e potrebbe ridurre i
livelli di prestazione;

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• l'alcol potrebbe alterare i meccanismo di termoregolazione nel corso di attività fisiche


prolungate in ambienti freddi.
La tentazione da parte di atleti di ingerire alcol prima della competizione è motivata dagli
effetti che essa produce a livello SNC.
In quantità modeste l’alcol funge da antidepressivo, aumentando autostima e riducendo
ansia (effetto psicologico) positivo per atleta.

Gusto, Fame , Appetito e Sazietà


Odorato
La capacità di riconoscere gli odori nei cibi è uno stimolo importante per l’appetito, tant’è
che odori di cibo gradevoli provoca la secrezione di succhi gastrici, mentre l’odore
sgradevole rappresenta una sorta di protezione nei confronti di cibi insalubri.
L’uomo ha la capacità di riconoscere gli odori grazie all’epitelio olfattorio, costituito da
cellule nervose recettoriali bipolari (neuroni bipolari), in grado di captare l’odore e
trasmetterlo tramite il nervo olfattorio al sistema limbico, alla corteccia, all’ippocampo e
all’ipotalamo.
Gli odori giungono all’epitelio tramite l’aspirazione dalle narici, tramite faringe durante la
masticazione,deglutizione.
Un individuo sano può distinguere centinaia di odori, ma tale capacità varia da individuo a
individuo e tende a calare con l’età e con il declino delle funzioni cognitive (anche in
seguito a traumi cranici).
Gli odori possono essere classificati in 7 gruppi detti “primari”:
- Odore canfora;
- Odore muschio;
- Odore floreale;
- Odore mentolato;
- Odore dell’etere etilico;
- Odore speziato;
- Odore putrido.

Gusto
La possibilità di riconoscere un’ampia gamma di sapori è essenziale per assaporare cibi e
bevande ma anche per stimolare la digestione ed eventualmente per proteggersi da
composti dannosi.
Le caratteristiche di un alimento (temperatura,odore) sono importanti per la percezione del
gusto, del quale riconosciamo 5 tipi. Tutte le cellule gustative presentano recettori dei 5
gusti, anche se la quantità varia nelle diverse zone della lingua.
 Salato: concentrato sulla punta e porzione anteroposteriore della lingua. Piccole
quantità di composti salati sono desiderabili, mentre quantità grandi possono
causare avversione.
 Dolce: sono i più numerosi e sono localizzati sulla punta, generalmente il sapore
dolce è considerato piacevole. Le sostanze con sapore dolce sono numerose:
- Carboidrati :tra i quali abbiamo i disaccaridi come lattosio e saccarosio, e
monosaccaridi come glucosio, fruttosio e galattosio. Tali composti presentano un
potere dolcificante molto diverso, infatti il fruttosio è molto più dolce del

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glucosio, tant’è che viene utilizzato come dolcificante “dietetico” per le bibite, in
quanto di riesce ad ottenere un sapore dolce con la metà delle Kcal;
- Proteine, AA di origine vegetale;
- Composti eterociclici: dolci con retrogusto amaro;
- Terpenoidi
 Amaro: i recettori sono localizzati nella parte posteriore e presentano una grande
variabilità (sono note 40 specie differenti). Riconoscono composti come: caffeina –
chinino (presente nell’acqua tonica) – nicotina – fenoli – polifenoli.
 Aspro (acido) recettori localizzati nei margini della lingua e riconoscono acidi
organici (acetico,citrico,malico,fumarico) contenuto nei frutti e vegetali e l’acido
tartarico nel vino.
 Umami: è un gusto attribuito a diversi alimenti tra cui carne e vegetali.È provocato
da cibi contenenti glutammato monosodico.
Ci sono poi alimenti o additivi che presentano sapore metallico come: antibiotici,
anestetici, farmaci, ecc.
Il fumo causa una forte avversione al gusto metallico (infatti le gomme da masticare
utilizzate come deterrente contro il fumo, contengono acetato d’argento che svolge la
funzione di rendere sgradevole il gusto del fumo).
La sensibilità al gusto varia con l’età e stato fisico: i bambini percepiscono il sapore del
salato dopo i 4 mesi. Con l’attività fisica si matura una preferenza per il saccarosio e
l’acido citrico ma non per NaCl – caffeina – glutammato monosodico.

Appetito e sazietà
Si ritiene che l’appetito sia influenzato da componenti dell’organismo,metaboliche dette:
glucostatica (riferita al glucosio) – amino statica (riferita agli aa) – termostatica (riferita
alla prod.calore) – lipostatica (riferita alle scorte tess.adiposo). Ognuna di esse ha un ruolo
preponderante nel modulare l’espressione del cibo.
La fame può essere definita come la necessità di introdurre cibo, e i segnali derivanti dalla
vista e odore del cibo, preparano l’organismo all’INGESTIONE. L’ingestione di cibo
provoca la sazietà, la quale può essere suddivisa in:
- Sazietà a breve termine: generata dall’introduzione di cibo;
- Sazietà a lungo termine: generata da segnali metabolici riferiti alle necessità
energetiche.
I processi che portano alla sazietà sono determinati dalla dimensioni del pasto che a sua
volta determina la lunghezza dell’intervallo tra pasti.
Gli effetti che si hanno dall’inizio alla fine di un pasto e che portano alla sazietà possono
essere
riassunti e suddivisi in:
 Fase pre-prandiale (cefalica): di questa fase fanno parte quei segnali che derivano
dalla vista o dall’odore del cibo: queste info sono portate al cervello tramite nervi
cranici e stimolano la sensazione di fame prima dell’inizio pasto e nella prima fase
consumo cibo;
 Fase prandiale: il SNC riceve segnali dall’intestino che riferiscono la quantità di
cibo ingerito (meccanocettori rilevano le distensioni del tessuto fornendo una stima
del volume cibo consumato) e il contenuto in nutrienti (chemorecettori oltre a

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informare sul contenuto dei nutrienti sembrano informare anche sul contenuto
energetico).
 Fase post-prandiale: di questa fase fanno parte i segnali derivanti dall’entrata in
circolo di nutrienti, i quali una volta assorbiti ed entrati in circolo inducono la
sazietà.

Distinzione dei fattori che influenzano l’introduzione di cibo


Per la maggior parte dei soggetti, il peso corporeo rimane stabile per lunghi periodi di
tempo, nonostante durante la giornata si osservano grandi variazioni dell’alimentazione e
di spesa energetica, eventi che risultano costantemente modulati e bilanciati.
I segnali che regolano tale l’equilibrio e quindi l’introduzione del cibo (OMEOSTASI
ENERGETICA) possono essere suddivisi in:
Fattori periferici: fanno parte quei segnali derivanti da pancreas endocrino, tessuto
adiposo, ormoni intestinali.
Il tessuto adiposo oltre a svolgere la funzione di accumulo energetico svolge anche quella
di organo endocrino. Uno dei suoi ormoni più importanti è la leptina, ormone peptidico a
cui è riconosciuto un ruolo chiave nella regolazione peso corporeo. Tale ormone viene
prodotto dal gene OB espresso dagli
adipociti , e va ad agire sull’ipotalamo regolando la sintesi del neuro peptide Y il quale è
implicato nella regolazione introduzione cibo. In sintesi il ruolo della leptina è quello di
sopprimere introduzione cibo e stimolare la spesa energetica.
I livelli circolatori di leptina sono altamente correlati alla massa tessuto adiposo e
riflettono sia le scorte energetiche che bilancio energetico.
La secrezione di leptina non aumenta subito dopo l’introduzione di cibi. Altro ormone
prodotto dagli adipociti e che è implicato nella regolazione dell’introduzione del cibo è
l’adiponectina.
Per questo tipo di ormone sono presenti recettori nel muscolo scheletrico (recettore Adipo
R1) e nel fegato (Adipo R2).
Gli effetti che provocano sono:
- ↓sintesi lipidi – glucosio nel fegato;
- ↓ concentrazione ematica glucosio,lipidi;
- ↓ sintesi triacilgliceroli;
- ↑ ossidazione grassi in particolare nel m.sch.
-
Altro ormone coinvolto nell’introduzione di cibo è l’insulina, prodotto dalle cellule beta
del pancreas e oltre ad essere responsabile dell’introduzione di zuccheri all’interno della
cellula, agisce a livello del sistema nervoso centrale provocando o:
- O diminuzione dell’introduzione cibo tramite il neuropeptide Y;
- O regolazione introduzione cibo agendo sull’espressione dei geni ipotalamici,
responsabili di tale regolazione.
Le concentrazioni ematiche di insulina sono inversamente correlate alla sensibilità
insulinica periferica. La sensibilità insulinica è direttamente correlata ai depositi di grasso
(in particolare viscerale).
La secrezione insulina aumenta rapidamente dopo un pasto.

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Altro ormone è il polipeptide pancreatico(PP), sintetizzato dalle cellule delle isole di


Langherans. La sua concentrazione aumenta subito dopo il pasto e resta elevata per 6 ore.
↑PP ! ↓ADIPOSITA’ (PP molto elevato negli anoressici).
Altro ormone è GLP-1 (Glucagon like peptide-1), sintetizzato da cellule dell’intestino
tenue e viene rilasciato in seguito a ingestione nutrienti. La sua funzione è quella di inibire
l’introduzione di cibo poiché induce sazietà. GLP-1 è inversamente correlato con la massa
corporea.
Bassi livelli di GLP-1 contribuisce alla patogenesi dell’obesità.
Altro ormone è operintomodulina, sintetizzato da cellule dell’intestino tenue in funzione
della quantità kcal. La sua funzione è quella di ridurre sensazione fame (quindi riduce
introduzione cibo). Il suo rilascio presenta picco al mattino presto e minimo primo
pomeriggio.
Altro ormone è la coleocistichinina sintetizzata e rilasciata dal duodeno. Il suo rilascio
avviene subito dopo introduzione cibo e rimane elevato per ore. Il suo ruolo è quello di:
stimolare rilascio succo pancreatico – contrazione cistifellea – motilità intestinale (agisce
anche nel SNC per modulare sazietà, ansietà, memoria, comportamento).
Tale ormone riduce quantità cibo introdotto e durata.
Fattori centrali: fa parte di questa categoria l’ipotalamo il quale risulta essenziale per la
regolazione dell’appetito e della spesa energetica attraverso le sue strutture:
NUCLEO ARCUATO – NUCLEI PARAVENTRICOLARI
DORSOMEDIALEVENTROMEDIALE– AREA PREFRONTALE,LATERALE.
La distruzione del NUCLEO ARCUATO, produce obesità e iperfagia. Lesioni del
NUCLEO VENTROMEDIALE, invece comporta l’aumento del peso corporeo e
ipogonadismo.
Il circuito neuronale che i neuroni delle varie strutture va a costituire è responsabile del
controllo omeostasi energetica, ed utilizzano come molecola segnale il neuropeptide Y che
è il neurotrasmettitore più abbondante nel cervello ed il principale sito di sintesi è il
NUCLEO ARCUATO.
↑NPY , durante digiuno , ↓NPY , durante pasto.
Il NPY è il più potente oressigenico (stimolante appetito) conosciuto.

Ricapitolando
Nell’organismo possiamo distinguere 2 sistemi di regolazione dell’omeostasi energetica:
- Segnali adiposità: forniscono info al SNC su depositi di grasso nell’organismo e
sono coinvolti nella regolazione a lungo termine dell’introduzione cibo: esempi
sono la leptina e l’adiponectina;
- Segnali sazietà: sono rilasciati in risposta all’introduzione di cibo e sono
coinvolti nella regolazione a breve termine dell’introduzione di cibo: per
esempio la coleocistichinina , il peptine YY – GLP-1, operintomodulina e il
polipeptide pancreatico.

Digestione e Assorbimento
Per digestione si intende la via di ingresso degli alimenti nell’organismo. La digestione
permette la modificazione degli alimenti in maniera tale da essere poi assorbiti nel circolo
ematico ed entrare nei diversi tessuti.
I componenti utili alla digestione sono:

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- Tratto gastrointestinale;
- Enzimi e zimogeni;
- Ormoni;
- Acidi biliari.

Tratto gastrointestinale
Per far si che gli alimenti vengano modificati per poi essere assorbiti, è necessario che le
varie porzioni del tratto gastrointestinale cooperino.
Il tratto gastrointestinale è costituito da:
 Cavità orale: la sola vista, odore, pensiero del cibo determina una stimolazione pre-
prandiale che consiste in una: secrezione di saliva, attraverso l’attivazione del
sistema parasimpatico che innerva le ghiandole salivari – rilascio di succo gastrico –
rilascio di una certa quantità insulina. Tale stimolazione permette di preparare
l’organismo alla digestione che poi porterà all’assorbimento. Dal momento che
l’alimento entra in bocca, la presenza del cibo stimola i recettori del gusto
aumentando la secrezione di saliva.
La saliva è prodotta principalmente dalle ghiandole maggiori (parotide,
sottolinguale, sottomandibolare ) ma anche da ghiandole minori le quali
contribuiscono a mantenere umida e lubrificata la superficie buccale. La saliva
presenta un pH neutro a causa della presenza del bicarbonato, contiene mucina che
ha proprietà lubrificanti, sostanze antibatteriche ed enzimi idrolitici come
l’alfa,amilasi che idrolizza i legami 1,4,alfa,glicosidici dei carboidrati, iniziando
così la digestione di tale macronutriente. Un soggetto normale è in grado di produrre
al giorno 1,5L di saliva.
Le funzioni svolte dalla bocca sono:
- Assumere alimenti dall’esterno;
- Triturare gli alimenti con i denti;
- Impastare gli alimenti con la saliva in maniera da solubilizzarli rendendoli in
grado di stimolare i calici gustativi;
- Deglutire: inviare il bolo nella faringe;
- Percezione gustativa per mezzo della lingua.

 Esofago
 Stomaco: lo stomaco riceve gli alimenti deglutiti (boli) per esporli all’azione
digestiva del succo gastrico, prodotto dalle ghiandole gastriche che sono: o
- Cellule mucipare a secrezione mucosa: presenti soprattutto a livello dello
sbocco;
- Cellule principali (adelomorfe): che producono uno zimogeno (enzima
inattivo), il pepsinogeno, precursore inattivo dell’enzima pepsina (enzima
presente nei succhi gastrici, provvede alla digestione parziale delle proteine);
- Cellule parietali (delomorfe) producono acido cloridrico (componente dei
succhi gastrici) e secretano il fattore intrinseco importante per l’assorbimento
della vitamina B12.
Oltre alle cellule gastriche ce ne sono altre localizzate nelle diverse zone dello stomaco:
ghiandole cardias e ghiandole piloriche.

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I componenti del succo gastrico sono:


- Pepsinogeno;
- Pepsina;
- HCl: inattiva potenziali patogeni – denatura proteine rendendole più accessibili
agli enzimi proteolitici – acidifica l’ambiente in modo che il pH sia favorevole
all’attivazione della pepsina e alla digestione proteine. La secrezione di HCl è di
circa 1,3L al giorno.
Attivazione secrezione HCl: è data dalla presenza di cibo nello stomaco ma
anche dalla vista e immagine cibo appetitoso. Ciò si traduce nella secrezione di 3
fattori che interagiscono sulla membrana delle cellule parietali, stimolando il
rilascio di HCl. La massima produzione di HCl si ha quando sono presenti tutti e
3 i seguenti fattori:
o Acetilcolina: neurotrasmettitore del sistema parasimpatico;
o Istamina: rilasciata da cellule stomaco in risposta a cibo che entra. Va a
legarsi con cellule parietali presenti in vicinanza (farmaci antiulcera
agiscono impedendo il legame istamina con recettori delle cellule
parietali, determinando diminuzione secrezione acida);
o Gastrina: secreto da cellule gastriche localizzate nella parte inferiore
stomaco (cellule G), agiscono sempre su cellule parietali inducendo
rilascio HCl. Viene inibita quando pH<2. Elevata presenza di proteine
nello stomaco svolgono funzione tampone, provocando un aumento pH e
quindi maggior rilascio di gastrina. L’inibizione secrezione HCl è data da
basso valore pH.
- Muco;
- Fattore intrinseco.

Processi digestivi
Lo stomaco comincia a prepararsi per la digestione grazie alla stimolazione pre-prandiale.
Una volta che il bolo giunge nello stomaco, l’ambiente acido, oltre ad attività antibatterica,
blocca l’azione dell’amilasi salivare (solo se pasto è molto abbondante l’amilasi continua
ad agire). Da alcune ghiandole dello
stomaco è rilasciata la lipasi gastrica, la quale si esprime ad un pH ottimale di 4,6 ed è
responsabile dell’idrolisi di circa il 20% triacilgliceroli.
Per quanto riguarda le proteine, esse vengono ad essere denaturate grazie proprio
all’ambiente acido. Tale denaturazione rende le catene proteiche più accessibili all’azione
della pepsina che deve rompere i legami peptidici. La pepsina è prodotta a partire dal
pepsinogeno che a sua volta viene prodotto
dall’attivazione dell’enzima zimogeno (attivato in seguito a basso pH). Al pepsinogeno
viene ad essere distaccato un peptide, divenendo pepsina. Tale enzima agisce a pH
ottimale 2 (ambiente acido), scindendo i legami interni delle proteine trasformandoli in
peptidi + corti. A livello stomaco non avviene assorbimento nutrienti ad eccezione
dell’etanolo.
La capacità contrattile della mucosa gastrica, permette di agevolare la digestione alimenti
e di far scorrere il bolo attraverso lo sfintere pilorico per giungere al duodeno.
C’è poi la grelina che è un peptide rilasciato dallo stomaco ed è presente in basse quantità
durante il pasto , e in alte quantità durante il digiuno.

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 Intestino tenue: presenta un epitelio con numerose pieghe (villi) ricoperti


esternamente dall’epitelio e internamente da tessuto connettivo all’interno del quale
ritroviamo vasi sanguini, vasi linfatici e fibre nervose. Sull’epitelio del villi ci sono
ulteriori estroflessioni (microvilli). L’aumentata superficie assorbente permette di
incrementare l’assorbimento dei vari nutrienti. Le cellule più abbondanti della
mucosa intestinale sono: enterociti (95%) – per il restante 5%
- Cellule globulari secernenti (secernono muco con funzione lubrificante,
consentendo lo scorrimento del chimo nell’intestino);
- Cellule enteroendocrine (sono almeno di 10 tipi diversi e producono:
SECRETINA – COLEOCISTICHININA – PEPTIDE YY – GLUCAGONE –
SOMATOSTATINA – SEROTONINA);
- Cellule Paneth (secernano peptidi con attività antimicrobica, garantendo
integrità parete intestinale).
Tali cellule vanno ad essere continuamente rinnovate in quanto presentano vita
media di 3,5 giorni. Oltre alle cellule intestinali, sono necessari altri elementi che
consentono la digestione:
o Sali biliari: necessari all’emulsionamento degli acidi grassi , prodotti
dalla cistifellea;
o Bicarbonato: riversato per neutralizzare acidità gastrica e molti enzimi
digestivi. Prodotto dal pancreas;
o Muco: prodotto da cellule secretorie;
o Enzimi digestivi: prodotto da orletto a spazzola.

Regolazione processi digestivi


La presenza del chimo nel duodeno attiva il riflesso enterogastrico che provoca ↓attività
nervosa parasimpatica, responsabile della secrezione gastrica e della contrazione gastrica ,
e ↑attività nervosa simpatica, responsabile contrazione sfintere pilorico e determina flusso
chimo nell’intestino tenue.
L’acidità del chimo nel duodeno provoca il rilascio nel sangue di:
- Secretina: provocando ↑ secrezione pancreatica , ↓secrezionecontrazione
gastrica, stimola pancreas endocrino a secernere insulinaL’acidità,distensione
duodeno provoca il rilascio nel sangue di coleocistichinina;
- Coleocistichinina: stimola pancreas esocrino a riversare nell’intestino succo
pancreatico (ricco di bicarbonato) – stimola pancreas endocrino a secernere
insulina, stimola contrazione cistifellea, determinando il rilascio di bile nel
duodeno, segnala senso sazietà;
- Inibitore gastrico: ↓secrezione,contrazione gastrica.
L’ulteriore digestione a livello intestinale avviene grazie al succo pancreatico, costituito da:
amilasi – proteasi – lipasi – DNAasi – RNAasi – fosfolipasi.
Per quanto riguarda l’amilasi, ce né una che idrolizza legami 1-4 alfaglicosidici dell’amido
(agisce con un pH ottimale di 7, che è il valore che si ha nell’intestino grazie al succo
pancreatico che neutralizza acidità gastrica), producendo destrine, piccoli oligosaccaridi,
tri-disaccaridi che saranno poi ulteriormente idrolizzati da enzimi associati alla membrana
dei microvilli.

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 Intestino crasso: la funzione principale è il recupero dei fluidi e elettroliti dal


contenuto intestinale. La mucosa non presenta microvilli, risulta liscia e costituita
principalmente da cellule globulari capaci di secernere muco.
Ciò favorisce una migliore lubrificazione, facilitando il movimento dei residui della
digestione e l’eliminazione delle feci.

Microflora intestinale: la presenza batterica è assente nel tenue in seguito


all’inattivazione di tali microrganismi da parte degli enzimi contenuti nelle
secrezioni digestive (lisozima,proteasi,lipasi,ecc) e dal sistema immunitario
intestinale (macrofai, anticorpi, linfociti).
Diversa è la situazione nel crasso , dove in particolar modo il colon , ma a partire
già dall’ileo del tenue, sono presenti batteri aerobi,anaerobi. I più importanti sono:
Escherichia coli – bifido batteri – lactobacilli – clostridi. Questi microrganismi
permettono in parte di digerire sostanze che altrimenti risulterebbero indigeribili, ad
esempio dalla demolizione di alcune fibre vengono prodotti acidi grassi a catena
corta (acido acetico, butirricopropionico) importanti fonti energetiche per enterociti;
in altre parte producono micronutrienti importanti come vitamina K, pantotenato,
biotina che verranno poi ad essere assorbiti proprio dal crasso.

Enzimi e zimogeni
Alcuni degli enzimi secreti nel tubo digerente sono secreti in forma di attiva altri in forma
di zimogeni (forma inattiva), la cui attivazione avviene mediante la rimozione di un
frammento della catena peptidica (es. alfa,amilasi ghiandole salivari.
Le sorgenti significative di enzimi digestivi sono: stomaco, pancreas ed enterociti.

Secrezione pancreatica
Il succo pancreatico viene secreto dalla parte esocrina del pancreas, costituita da cellule a
secrezione sierosa (acini pancreatici). Il succo pancreatico presenta un contenuto con un
pH=7,2,7,4. Gli enzimi digestivi contenuti all’interno del succo pancreatico, sono quasi
tutti inattivi:
- TRIPSINOGENO- TRIPSINA;
- CHIMOTRIPSINOGENO- CHIMOTRIPSINA;
- PROCARBOSSOPEPTIDASI A- CARBOSSIPEPTIDASI A;
- PROCARBOSSOPEPTIDASI B- CARBOSSIPEPTIDASI B;
- PROELASTASI- ELASTASI
Tutti questi enzimi sono diretti alla degradazione proteine.

Come avviene l’attivazione degli enzimi inattivati presenti nel succo pancreatico??
Tutti questi enzimi sono secreti in forma inattiva ma vanno poi ad essere attivati
nell’ambiente intestinale. Tale attivazione avviene grazie alla presenza di enterocinasi, un
enzima presente nell’intestino tenue legato alla superficie esterna degli enterociti.
L’enterocinasi catalizza la rottura di uno specifico legame peptidico del tripsinogeno,
trasformandolo in tripsina. A sua volta la
Tripsina catalizza l’attivazione di altri enzimi pancreatici.
Gli altri enzimi attivi secreti dal pancreas sono:

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- Alfa-Amilasi:unici enzimi del succo pancreatico che svolgono azione diretta


contro i carboidrati;
- Ribonucleasi – Deossiribonucleasi: enzimi che degradano gli acidi nucleici;
- Lipasi pancreatiche: degrada lipidi. L’azione di tali enzimi è possibile grazie
alla presenza di un ulteriore enzima presente nel succo pancreatico, il procolipasi
(inattivo). Questo enzima si lega alla lipasi, attivandosi in colipasi (attiva) e
permettendo un cambiamento conformazionale della lipasi tale, da permettergli
di espletare la sua funzione anche in un
ambiente dove sono presenti Sali biliari, i quali andrebbero ad inattivare la lipasi.

Importanza del bicarbonato


Tutti questi enzimi sono immersi in una soluzione di bicarbonato (120mM), la cui
presenza è importante in quanto serve ad alcanizzare l’ambiente intestinale (renderlo meno
acido), reso acido dal chimo gastrico: tutti gli enzimi digestivi pancreatici, rilasciati
nell’intestino, agiscono ad un
pH ottimale neutro.

Rilascio succo pancreatico


Il succo pancreatico prodotto dalle varie cellule viene immesso in 2 dotti escretori presenti
all’interno del dotto pancreatico principale o nel dotto accessorio

Acidi biliari
Sono composti acidi che contengono un anello steroideo. Immessi nell’ambiente
intestinale, perdono la funzione acida e diventano Sali ( Sali biliari).
I Sali biliari vengono definiti anche come agenti emulsionanti, in quanto partecipano al
processo digestivo andando ad emulsionare i lipidi. In particolar modo essi sono composti
anfipatici dotati quindi di una parte polare che andrà a legarsi con le molecole di acqua
presenti nell’ambiente digestivo, e di una apolare che invece andrà a legarsi con i grassi
solubilizzandoli, ottenendo così delle micelle miste
composte da Sali biliari e trigliceridi.
La formazione delle micelle aumenta enormemente la frazione di lipidi accessibile
all’azione di lipasi solubili in acqua.
Gli acidi biliari prima di divenire Sali, possono essere presenti sottoforma di acidi biliari
primari (acido colico,acido chenodesossicolico,) o secondari (acido colico-
acdesossicolico).
I primi vengono ad essere sintetizzati nel fegato dagli epatociti, per poi essere
immagazzinata nella cistifellea. Alcuni di essi possono venire ad essere modificati dalla
flora batterica intestinale trasformandoli in acidi biliari secondari.
Gli acidi biliari sono secreti nell’ambiente intestinale con la bile e passano dalla cistifellea
all’intestino attraverso il coledoco che sfocia nella parete posteriore del duodeno. I Sali
biliari presenti nell’intestino, circa il 95%, vanno ad essere riciclati, riconducendoli nella
cistifellea, il restante 5% va ad essere espulso
mediante defecazione.

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Proprietà anfipatica Sali biliari: l’aumento di concentrazione nell’ambiente intestinale


del sale biliare, determina la disposizione di quest’ultimo in una configurazione tale da
portare la parte idrofobica all’interno e la parte idrofilica all’esterno. I lipidi che verranno
ad essere inglobati dal sale biliare, si
disporranno all’interno in seguito alla loro natura idrofobica.

Digestione
Digestione proteine
La digestione delle proteine ha inizio a partire dall’iniziale omogeneizzazione ottenuta con
la masticazione.
Il bolo alimentare scivola lungo il tubo digerente, fino ad arrivare allo stomaco. Qui il
bolo sarà sottoposto all’acidità del succo gastrico, il quale contiene HCl che svolge
un’azione denaturante sulle proteine rendendole maggiormente suscettibile all’azione della
pepsina (proteasi presente nel succo
gastrico). Il pH basso provoca il cambiamento conformazionale nella struttura della
proteina (denaturazione), andando inoltre ad attivare la pepsina la quale provoca una
parziale digestione proteine, agendo in maniera non specifica.
La denaturazione è importante in quanto si liberano minerali e vitamine che possono
essere legate alla proteina (anche la cottura cibi denatura proteine rendendole +
digeribili).
L’arrivo delle proteine alduodeno, stimola il rilascio nel sangue di CCK che provoca il
rilascio di succo pancreatico nell’intestino. Le proteasi presenti all’interno del succo
pancreatico vengono attivate grazie da un meccanismo a cascata iniziato dall’enzima
enterocinasi.
Tra le proteasi pancreatiche:
- Tripsina: agisce in maniera specifica scindendo i legami lisina-arginina;
- Chimotripsina: agisce in maniera specifica scindendo i legami in vicinanza AA
aromatici (fenilanina – tirosina);
- Elastasi: agisce in maniera specifica scindendo i legami in cui sono coinvolti aa
che hanno catena laterale corta e non carica (glicina – alanina – valina –
fenilalanina).
Alla digestione delle proteine partecipa anche un enzima presente sulla membrana esterna
degli enterociti: la profosfolipasi che va ad essere attivata in fosoflipasi.

Assorbimento AA
L’entrata all’interno dell’enterocita da parte dei aa avviene tramite un trasporto attivo.
Sono noti 4 trasporti che richiedono il cotrasporto di 1NA:
- aa acidi come GLUTAMMATO – ASPARTATO;
- aa basici come LISINA – ISTIDINA;
- aa neutri come ALANINA – GLICINA – SERINA;
- GLICINA – PROLINA , IDROSSIPROLINA.
Digestione Carboidrati
La frutta e i vegetali sono eccellenti fonti carboidrati, la carne ne è povera. I carboidrati
della dieta sono:
 Monosaccaridi:
- Glucosio;

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- Fruttosio.
 Disaccaridi:
- Lattosio: costituito da GALATTOSIO – GLUCOSIO. Questo zucchero è
degradato nelle sue 2 unità dalla lattasi, enzima legato alla membrana dei
microvilli;
- Saccarosio: costituito da GLUCOSIO – FRUTTOSIO. Questo zucchero è
demolito nelle sue 2 unità dalla saccarasi, enzima legato alla membrana dei
microvilli.
 Oligosaccaridi e Polisaccaridi:
- Amido: sono i carboidrati più abbondanti della dieta. Costituito da amilosio (è
una catena lineare formata dalla ripetizione di molecole di glucosio legate da
legame 1,4,alfa- glicosidico) e amilopectina (è una catena ramificata di molecole
di glucosio legate da un legame 1,6-alfaglicosidico). La scissione del legame
1,4,alfa-glicosidico dell’amido, determina la sua idrolisi in molecole di maltosio
(glucosio,glucosio), destrine (dalla loro idrolisi si ottengono glucosio o
isomaltosio) e piccoli oligosaccaridi.
Alcuni legumi (come fagioli) contengono dei carboidrati trisaccaridi (raffinosio,
strachiosio, verbascosio) che non sono digeriti da enzimi umani, ma sono utilizzati dalla
microflora intestinale che li trasforma in prodotti volatili gassosi (CO2).
Gli amidi delle piante si trovano in forma tale da essere protetti da una struttura proteica
che impedisce la digestione (se consumati crudi) di circa 50% amidi. Mentre se cotti, la
cottura idrata le molecole amido e le rende più suscettibili all’idrolisi enzimatica (aumenta
digeribilità).
Il legame 1,4,alfa-glicosidico viene ad essere scisso dall’alfa-amilasi, enzima presente sia
nella saliva che nel pancreas. L’azione dell’ alfa-amilasi salivare è minore rispetto a quella
pancreatica in seguito al minor tempo in cui enzima-carboidrato stanno a contatto.

Assorbimento Monosaccaridi
Tutti i carboidrati digeribili, sono sottoforma di monosaccaridi. Essi entrano all’interno
dell’enterocita, passando per dei trasportatori. Differenziamo 2 tipologie di trasportatori:
- GLUTn (Glucose Trasporters): (n è il numero che li contraddistingue in base
alla loro localizzazione sulle membrana) sono trasportatori passivi. I GLUT
conosciuti sono 12;
- SGLT (Sodium Glucose Trasporters): sono trasportatori attivi sinporto che si
servono del gradiente concentrazione favorevole del Na+ ad entrare all’interno
cellula, per portare dentro il monosaccaride. Il gradiente di concentrazione per il
Na+ è mantenuto grazie alla presenza dell’ ATPasi Na +/K+ che porta fuori
(contro gradiente) dalla cellula Na+ servendosi dell’idrolisi di 1 ATP.

Glucosio e galattoso: entrano mediante trasporto attivo, passando per SGLT-1. Durante la
digestione, la concentrazione glucosio o galattosio è molto alta nel lume intestinale, per
cui non sarebbe necessario un trasporto attivo, poiché le molecole possono passare
secondo gradiente. Però la presenza del trasporto attivo, assicura il completo assorbimento
di tutte le molecole di glucosio e galattosio anche in quelle fasi in cui non vi è gradiente di
concentrazione favorevole, vale a dire nella fase iniziale e finale della digestione.
Il passaggio del glucosio dall’enterocita al lume interstiziale è mediato dal GLUT 2.

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Fruttosio: entra mediante trasporto passivo, passando per GLUT 5. Il passaggio del
fruttosio dall’enterocita al lume interstiziale è mediato dal GLUT 2.

La presenza della quantità dei vari trasportatori è regolata dalla disponibilità dei
carboidrati introdotti con la dieta, ad esempio ↑GLUCOSIO fa aumentare l’espressione di
SGLT1 ; ↑FRUTTOSIO fa aumentare espressione GLUT5.
Alcune molecole di zuccheri, invece di passare nel circolo ematico, vanno direttamente ad
essere utilizzate dalle cellule enteriche, le quali richiedono di costante apporto di ATP per
espletare le funzioni cellulari, tra cui il mantenimento del GRADIENTE Na+.

Digestione LIPIDI
I lipidi introdotti con la dieta sono: TRIACILGLICEROLI – FOSFOLIPIDI –
COLESTEROLO – ESTERI DEL COLESTEROLO – VITAMINE LIPOSOLUBILI.
I triacilgliceroli per poter essere digeriti devono essere emulsionati dai Sali biliari,
formando micelle, cioè piccoli aggregati di lipide-sale biliare, suscettibili all’azione delle
lipasi.
L’ idrofobicità dei lipidi, li porta nell’ambiente acquoso intestinale ad aggregarsi in grosse
particelle, rendendo difficile la loro digeribilità. Per far si che i lipidi si leghino ai sali
biliari, l’aggregato di lipide va a subire una “scissione meccanica” ad opera della peristalsi
intestinale, formando degli aggregati più piccoli.
Per evitare che queste particelle si riaggreghino tra loro, ricostituendo la particella di
grosse dimensione, sulla superficie dei piccolo aggregati lipide, andrà a legarsi il sale
biliare aventi cariche negative: ogni particella di lipide ha quindi sulla sua superficie una
carica negativa.
Tale carica permette alle micelle di respingersi, evitando di aggregarsi.
Nelle micelle, a seconda della digestione che hanno subito da parte della lipasi linguale,
gastrica, possono essere presenti triacilgliceroli sottoforma di: monoacilgliceroli,
diacilgliceroli – acidi grassi liberi. Quei trigliceridi che non hanno subito una completa
scissione nei loro prodotti finali (2-monoacilglicerolo – 2 acidi grassi liberi), sono
sottoposti a livello intestinale all’azione della lipasi pancreatica che opererà in maniera da
degradare il trigliceride ai prodotti finali.
L’attività della lipasi pancreatica è però ostacolata dalla presenza del sale biliare il quale
inattiva la lipasi. Per ovviare a questa limitazione, la lipasi si serve della proteina colipasi
(attivata da tripsina), la quale, interagendo con la lipasi, la attiva ulteriormente e si va ad
incuneare tra il sale biliare in maniera da portare la lipasi a contatto con il contenuto
lipidico.
Gli altri lipidi della dieta (fosfolipidi – colesterolo), dopo l’idrolisi della rispettive lipasi,
entrano negli enterociti.

Assorbimento Lipidi
I prodotti della degradazione dei triacilgliceroli, acidi grassi liberi e monoacilgliceroli,
entrano per diffusione semplicie (o per presenza di un trasportatore) all’interno
dell’enterocita in seguito alla presenza di un gradiente di concentrazione favorevole. Una
volta all’interno, gli acidi grassi insaturi a catena corta e media, in seguito alla loro
maggiore solubilità e all’assenza di un enzima specifico per la loro esterificazione, entrano
direttamente nel circolo sanguigno, mentre i restanti acidi grassi vengono

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riesterificati a triacilgliceroli e vista la natura idrofobica, per poter viaggiare un in


ambiente idrofilico come quello del sangue, insieme a fosoflipidi e proteine, vanno a
formare particelle dette chilomicroni. I chilomicroni lasciano l’enterocita mediante
esocitosi ed entrano nella via linfatica, scorrono fino al dotto toracico per poi entrare nel
circolo sanguigno.

Resistenza di nutrienti alla digestione


Proteine materne, amido resistente e le fibre sono in situazioni normali, tra i nutrienti che
sfuggono alla digestione.
Nel neonato, le proteine sono poco digerite nello stomaco perché il succo gastrico è solo
debolmente acido ed è quindi insufficiente all’attivazione del pepsinogeno. Questo
significa che alla digestione delle proteine provvedono efficacemente le proteasi
pancreatiche.
Il vantaggio di questa mancata digestione a livello gastrico, permette ad alcuni anticorpi
materni di non essere digeriti, sopravvivendo quindi fino all’intestino dove entrano per
fagocitosi negli enterociti.
Intolleranza al lattosio
E’ una condizione allergica di scarsa (soggetto tollera certe quantità di latte) o assente
(piccolo quantità creano problemi) digeribilità del lattosio. Tale condizione viene superata
nel neonato, fornendo latte privo di lattosio e sostituito da maltosio e oligosaccaridi.
Nell’adulto invece si
cerca di evitare il consumo di alimenti contenenti lattosio.

Resistenza dell’Amido alla digestione:


L’amido è la forma di accumulo di glucosio nelle piante, si trova abbondantemente nei
semi, cereali, legumi, patate, radici. Il contenuto di amido in una pianta varia con l’età
della pianta, cioè diminuisce
con il processo di maturazione liberandosi sottoforma di glucosio libero. La digeribilità
dell’amido è quindi influenzata dalla forma fisica dell’alimento.
Negli alimenti ricchi di amido, questo è strutturato in grani che non sono solubili in acqua
e sono (in parte) resistenti all’idrolisi da parte dell’amilasi.
La cottura provoca la rottura dei grani, facendone aumentare la digeribilità dell’amido.
L’amido resistente alla digestione nell’intestino tenue è (in parte), idrolizzato dalla flora
batterica del colon.

Resistenza alla digestione delle fibre alimentari


La fibra alimentare include lignina e tutti i polisaccaridi che non sono digeriti dagli
enzimi umani. La parete delle piante è la fonte maggiore di fibra (quella che più entra
nell’alimentazione è cellulosa,
emicellulosa, pectine). Quantità di fibre giornaliere consigliate = 25,30g.

Composizione corporea
La composizione corporea è una delle variabili che definiscono lo stato di nutrizione
dell’individuo. Alla base dello studio della composizione corporea c’è il concetto di uomo
costituito dall’insieme di massa grassa più massa magra.
Diversi livelli di studio della composizione corporea

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 Livello atomico: studia la composizione corporea basandosi sugli atomi (o elementi)


fondamentali del corpo umano. Sei su 50 costituiscono il 98% peso corporeo: O –
C –H – N – Ca – P. Oggi lo studio atomico su un soggetto viene eseguito mediante
l’attivazione neutronica (studio comp.corporea che si basa su reazioni nucleari). I
valori atomici ottenuti vengono ad essere messi in rapporto con quelli rilevati
sull’individuo di riferimento (individuo di 70kg)
 Livello molecolare: i vari atomi sono presenti nell’organismo incorporati in diverse
molecole:
- Acqua: 60%;
- Lipidi: 8,23% U – 21,35% D. Il 90% grassi sono rappresentati da trigliceridi che
oltre a funzione energetica svolgono funzione di protezione organi vitali –
isolante. Restante 10% lipidi strutturali (es.fosfolipidi);
- Proteine: 10,15%, maggiore nell’U rispetto alla D in virtù maggiore massa
muscolare;
- Carboidrati 1%, caratterizzato da glicogeno (muscolare250g – fegato 100g);
- Minerali 5%.
 Livello tissutale: la composizione corporea viene studiata valutando i tessuti:
muscolare – connettivo (osseo – adiposo) – epiteliale – nervoso.
 Livello corporeo: prende in considerazione le dimensioni e la forma del corpo
(caratteristiche fisiche esteriori: peso – altezza – lunghezza segmenti –
circonferenza – pliche – volume. Sapere queste dimensioni permette di ricavare
parametri correlati alla composizione corporea: densità corporea (peso – volume) !
stima massa magra,grassa; IMC (peso/altezza2) ! correlata al grasso corporeo.

Metodologie utilizzate per lo studio della composizione corporea

Metodi Diretti
Vengono ad essere eseguite misurazioni direttamente sul compartimento di interesse. o
attraverso l’analisi chimica del cadavere o attivazione neutronica: unica tecnica eseguita
in vivo.
Si basa sulla misurazione degli elementi (livello atomico): C – P – Ca – N. La misurazione
viene effettuata irradiando il soggetto con neutroni veloci di energia che interagiscono con
questi elementi chimici del corpo, provocando emissioni di raggi gamma che possono
essere misurati.

Metodi Indiretti
Viene misurato un certo parametro per derivare poi indirettamente il compartimento
d’interesse. Per far ciò è necessario che sia una correlazione tra parametro misurato e
compartimento d’interesse o densiometria.
Viene ad essere calcolata la densità corporea. Sapere la densità corporea, e sapendo i
valori di densità della massa magra e grassa, può permetterci di derivare la percentuale di
massa magra,grassa dei vari distretti corporei.
La densità è data dal rapporto m/V corpo. Il volume del corpo viene ad essere misurato
grazie alla pesata idrostatica: il soggetto viene pesato in aria poi fatto immergere in acqua.

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La differenza tra peso in aria e peso in acqua, rappresenta la spinta che il corpo immerso in
acqua riceve dal basso verso l’alto, la quale è uguale al peso dell’acqua spostata.
Conoscendo la densità acqua è possibile ricavare volume acqua spostata che sarà uguale al
volume corpo o Tecniche diluizione.
Viene somministrato nel compartimento di interesse una dose nota di liquido tracciante, il
quale andrà a diluirsi con l’acqua presente nel compartimento. Dopo aver aspettato un
tempo tale da consentire la
distribuzione del tracciante viene ad essere misurato il volume idrico attraverso il rapporto
DOSE SOMMINISTRATA/CONCENTRAZIONE RAGGIUNTA o Metodologie per
immagine (TAC – RMN) utilizzata per misurare il grasso viscerale e in particolare la
proporzione tra tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo a livello addominale.

Metodi doppiamente indiretti


La misurazione del compartimento di interesse viene derivata attraverso equazioni o
Plicometria.
Metodo più usato per stimare grasso corporeo. Il metodo presuppone che lo spessore del
tessuto adiposo sottocutaneo rifletta una proporzione costante del grasso corporeo tot. e
che le aree selezionate per la misurazione rappresentino lo spessore medio del tessuto
adiposo sottocutaneo.
Aree di misurazione: plica tricipitale – plica bicipitale – polpaccio – coscia –
addome .
Il valore ottenuto viene immesso in equazioni che permettono di stimare la percentuale di
grasso corporeo o Impedenziometria.
Permette di misurare la resistenza della corpo umano al passaggio di una corrente alternata
a basse frequenze (frequenza nota). Il corpo umano si comporta come un conduttore e
come tale risponde alle leggi di Ohm: resistenza direttamente proporzionale alla lunghezza
e inversamente proporzionale alla sezione.
La sezione nella valutazione su corpo umano è rappresentata dal volume di acqua
corporea.
Questo metodo è diretto a misurare il contenuto di acqua corporea a partire da valori di
resistenza. Considerando che la massa magra è idratata, mentre non lo è quella grassa,
sapere i valore del contenuto di acqua permette di ricavare la massa magra e per differenza
la massa grassa.

Modello bi-comportamentale: Massa magra-massa grassa


Il modello attualmente più in uso è quello di considerare il corpo come costituito da 2
compartimenti: massa magra e massa grassa.
È opportuno mettere in atto una tecnica che permetta di ricavare 1 dei 2 compartimenti per
poi ricavarsi l’altro. Ad esempio la densiometria stima grasso corporeo, la diluizione
stima massa magra.

Applicazione studio composizione corporea


Lo studio della composizione corporea può essere applicato in condizioni fisiologiche-
patologiche. Per le condizioni patologiche, l’alterazione della composizione corporea con

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eccessivo accumulo di grasso specialmente a livello addominale, si associa alla comparsa


di alterazione metaboliche e a una maggiore probabilità di malattia cronico-degenerative.
Valutare la composizione corporea (e non solo il peso) permette di raccomandare corrette
variazioni dello stile di vita (alimentazione – sport).
Nell’obeso, valutare la composizione corporea e sapere quindi il quantitativo di grasso,
permette di indirizzare la terapia verso una perdita di peso controllata, dove si ha una
maggior perdita di massa grassa e mantenimento massa magra.
Nei sottopeso, valutare la composizione corporea permette di definire il livello
malnutrizione e applicare una corretta terapia di riabilitazione nutrizionale.
Nell’atleta agonista, valutare la composizione corporea permette di dare indicazioni
precise su massa grassa e massa magra che non dà il solo peso. La composizione corporea
del soggetto agonistico è infatti diversa dal sedentario e può cambiare nelle varie fasi
allenamento e competizione (massa grassa solitamente più bassa rispetto al sedentario).
Modificazioni della composizione corporea nel soggetto sportivo può avere ripercussioni
sulla prestazione.

Alimentazione equilibrata
Per alimentazione equilibrata si intende di evitare sia carenze che eccessi nutrizionali
attraverso un
apporto proporzionato di alimenti. Concorrono a ciò:
• Le raccomandazioni sull'assunzione di alimenti che sono i livelli quantitativi stabiliti
per
la maggior parte dei nutrienti al fine di coprire i fabbisogni ed evitare livelli tossici.
• Le linee guida che sono la traduzione qualitativa delle raccomandazioni,ovvero i
consigli pratici su cosa e come mangiare.
• Gli obiettivi nutrizionali che identificano i traguardi da raggiungere stabiliti da
organizzazioni scientifiche e sanitarie nazionali e internazionali per migliorare la salute
della popolazione attraverso l'alimentazione.

Raccomandazioni
Le prime raccomandazioni RDA (RECOMMENDED DIETARY ALLOWANCE) sono
state elaborate dagli USA nel 1943 e codificavano le necessita nutrizionali e fornivano
standard per una nutrizione che proteggesse dal rischio di carenze alimentari. Da li molti
altri paesi hanno sviluppato raccomandazioni in base alle nuove conoscenze e alle diverse
realtà.
I primi LARN (livelli di assunzione raccomandati di nutrienti) sono stati elaborati in Italia
nel 76 e revisionati 2 volte a distanza di 10 anni,gli obiettivi dell'ultima revisione (1996)
sono:
• Proteggere la popolazione dal rischio di carenze nutrizionali;
• Fornire elementi utili per valutare l'adeguatezza nutrizionale della dieta media della
popolazione;
• Pianificare la politica degli approvvigionamenti alimentari nazionali,nonché
l'alimentazione di comunità
Sia le RDA che i LARN vengono definiti a partire dalla conoscenza del fabbisogno del
nutriente considerato e aumentati di una percentuale che tenga conto della variabilità
individuale.
E importante sapere che:

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• I valori delle raccomandazioni non rappresentano un limite minimo al di sotto del quale
esiste un reale rischio di malnutrizione,ne rappresentano un livello ottimale di
assunzione: sono un livello di sicurezza valido per l'intera popolazione,gruppi di essa,ma
non singoli
individui.
• Le quantità raccomandate non devono essere necessariamente assunte ogni giorno,ma
rappresentano una media di consumi per un certo periodo di tempo
• Le raccomandazioni si riferiscono a individui sani e non possono essere applicate a
soggetti con problematiche varie.

Linee guida
Questi consigli pratici non possono riguardare tutti i nutrienti,devono perciò essere
specifiche per ogni nazione o gruppo di popolazione caratterizzato da diversi modelli
alimentari.
Riassumiamo le linee guida principali:
• Controllo del peso
• Incentivo all'attività fisica
• Limitazione delle bevande alcoliche
• Limitazione del sale
• Aumento consumo alimenti di origine vegetale
• Limitazione del consumo di prodotti di origine animale e in particolare della carne rossa
e carni conservate.

Obiettivi nutrizionali
Gli obiettivi sono specifici per ogni popolazione. In generale si tratta di promuovere la
salute e ridurre le malattie croniche associate alla dieta e al peso.

Alimentazione nei diversi periodi della vita


Rapporto calorico bilanciato in:
• 55% carboidrati
• 30% lipidi
• 15% proteine
La quantità totale della richiesta energetica dovrebbe essere rapportata allo stile di vita e
all'attività fisica di ogni individuo; inoltre devono essere seguite le seguenti indicazioni:
 Controllare peso corporeo e rientrare nella categoria normopeso,mantenendosi
sempre fisicamente attivi.
 Arricchire l'alimentazione con cereali, legumi, ortaggi e frutta.
 Moderare i grassi e prediligere quelli di origine vegetale.
 Limitare il consumo di zuccheri presenti nei prodotti di pasticceria e bevande
zuccherate.
 Sforzarsi di bere in abbondanza.
 Limitare il consumo di sale.
 Limitare il consumo di bevande alcoliche.
 Variare l’alimentazione per assicurare all'organismo una gamma completa di
nutrienti.

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Gravidanza
Durante la gravidanza e normale che la donna vada incontro a un aumento di peso.
L'aumento dovrebbe essere inizialmente molto graduale,arrivando a un aumento medio di
3,5 kg dopo le prime 20 settimane. In seguito si dovrebbe verificare un aumento di circa
0,5 kg a settimana. Nel caso la madre non sia normopeso,le indicazioni tendono a
normalizzare il peso della madre a fine gravidanza,riportandolo verso un valore più
appropriato.
Durante la gestazione la richiesta supplementare di energia e relativamente contenuta:nei
primi 3 mesi non e necessario un aumento della quota calorica,successivamente e
consigliabile un
aumento graduale intorno alle 300kcal giornaliere.
Si verifica,in questo periodo, una aumentata domanda proteica (il feto deve
costruire tessuti e organi) quindi il rapporto in macronutrienti cambia a favore delle
proteine in:
• 55 % carboidrati;
• 25 % lipidi;
• 20 % proteine.
Nell'incrementare le proteine sarebbero da preferire nell'ordine: pesce,carni
magre,uova,latte,formaggi.
Per quanto riguarda i micronutrienti in gravidanza si hanno aumentate richieste di folati,
ferro, calcio, vitamine B1, B2, A, C, B12.
I bisogni di ferro e calcio risultano raddoppiati, per le altre vitamine le richieste sono
aumentate del 10-20%.
Occorre quindi arricchire la dieta base con latte e latticini e consumare un'ampia varietà di
frutta e ortaggi,privilegiando quelli colorati in giallo/arancio.

Gravidanza e malattia
La toperoplasmosi e la listeriosi sono due buoni motivi per cui a una donna gravida viene
sconsigliato il consumo di insaccati e di carne cruda o poco cotta.
La toperoplasmosi e infatti particolarmente pericolosa per il feto e la listeriosi ha un
rischio di
contrazione per le donne gravide 20 volte maggiore.
Inoltre una mamma in attesa dovrebbe astenersi completamente dal bere bevande alcoliche
perche il bambino potrebbe manifestare la sindrome alcolica fetale che comporta: ritardo
nella crescita prenatale e post natale,gravi alterazioni della morfogenesi,problemi
motori,ritardi mentali,tremori ed e caratterizzata da volti con occhi piccoli e un ponte
nasale appiattito.
Infine e bene menzionare il diabete gestazionale che e una tipologia di diabete che viene
diagnosticato solitamente durante il 3 mese di gravidanza a donne alle quali non era mai
stato diagnosticato prima. Solitamente scompare dopo la gravidanza,ma alle volte permane.
Gli elevati livelli di insulina fetale possono agire come fattore di crescita eccessivo del
bambino, mortalità prenatale e disordini biochimici del nascituro. I fattori di rischio sono:
età superiore ai 25, BMI maggiore di 25, familiarità diabetica,diabete gestazionale in una
precedente gravidanza.
Se il diabete non si manifesta in forma grave va controllato con alimentazione corretta ed
esercizio fisico regolare,in forme più gravi viene iniettata insulina.

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Allattamento
E’ importante sapere che il costo energetico per la produzione di latte e superiore rispetto
alla domanda energetica richiesta per la gravidanza. Tuttavia parte di questa richiesta
viene soddisfatta utilizzando le riserve energetiche accumulate durante la gravidanza.
Alimenti da evitare:
• Spezie, asparagi, aglio, cipolle, cavoli, mandorle amare che conferiscono al latte gusto
sgradevole
• Crostacei, molluschi, mirtilli, formaggi fermentati, cacao, cioccolato, fragole, ciliegie,
pesche, albicocche che scatenano reazioni allergiche
• Superalcolici: inibisce la montata lattea e passa nel latte materno;
• Te, caffè, cacao, bevande a base di cola e i nervini in genere: vengono escreti nel latte in
maniera significativa.

Bambini e ragazzi fino ai 12 anni


I difetti più comuni nell'alimentazione dei bambini sono:
• Colazione e spuntini di meta mattina spesso insufficienti o comunque composti da
prodotti attraenti per il palato ma poveri dal punto di vista nutrizionale
• Consumo di frutta e verdura troppo basso
• Consumo eccessivo di alimenti e bevande dolci.
Inoltre, una percentuale rilevante di bambini non pratica a sufficienza giochi di movimento
porta ad obesità infantile. Se l'obesità si instaura quando si e ancora bimbi, la possibilità di
diventare adulti obesi e triplicata.

Adolescenti
Le maggiori richieste di energia in questo periodo della vita si accompagnano a maggiori
richieste sopratutto per proteine,vitamine A, C, D, minerali ferro e calcio. Le ragazze in
particolar modo dovrebbero avere un dieta ricca di ferro e calcio. Il ferro può essere
ricavato da alimenti quali la carne,il pesce, i frutti di mare. L'alternativa vegetariana sono i
vegetali ricchi di ferro o cereali fortificati con l'aggiunta di ferro consumati in associazione
ad alimenti ricchi di vitamina C.
Per aumentare il calcio basta non far mancare i latticini.

Menopausa
Durante questo periodo si assiste a un cambiamento della distribuzione del tessuto adiposo
da "ginoide" ad "androide" e quest'ultimo e un fattore di rischio per le malattie
cardiovascolari. Durante il climaterio (periodo che precede e segue la menopausa) la
donna va incontro a un aumento del rischio di aterosclerosi, trombisi, riduzione del
metabolismo basale e osteoporosi.
Una donna in questo periodo di vita dovrebbe avere un'alimentazione ricca di Ca e
vitamina D. Il
latte e un alimento completo che contiene tutto quello di cui ha bisogno; e preferibile
quello fresco
e per chi non lo digerisce quello ad alta digeribilità; anche lo yogurt,formaggi,pesce e
cereali contengono calcio.

Anziani

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Le necessita energetiche in questo periodo della vita si riducono, diminuendo sia il


metabolismo basale che le attività di tutti i giorni; la ridotta attività fisica e il
mantenimento delle stesse abitudini sono spesso la causa del sovrappeso e del'obesità nella
terza età.
L'anziano dovrebbe pur riducendo le calorie, mantenere un'alimentazione da un punto di
vista qualitativo non dissimile da quella di un adulto.
Con l'avanzare dell'età ,inoltre si assiste a una progressiva diminuzione del gusto che può
contribuire a ridurre l'appetito e deterioramento del senso della sete.

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