Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
2020
La pragmatica collega le forme linguistiche e il modo in cui sono usate in un contesto sociale. Parliamo di
enunciati, i cui significati sono recuperabili soltanto se si ha un contesto di riferimento. L’atto linguistico che
viene realizzato viene anche percepito in un determinato contesto sociale.
La pragmatica è una scienza molle, auspicabile, al contrario della linguistica che ha regole più rigide. La
pragmatica ha delle regolarità, più che delle regole (meno difficilmente modificabili).
Austin e Searle sono i due artefici della pragmatica moderna. Searle dice che gli atti linguistici sono atti
indiretti (Fa caldo-> qualcuno apra la finestra!)
Altra definizione di Morris fa leva sul contesto. Inizialmente la pragmatica aveva un focus prettamente
linguistico, che poi si è gradualmente mosso verso l’inclusione dell’azione sociale, il contesto e l’idea di
agente (chi agisce). Levinson sancisce la relazione tra lingua e contesto nella definizione di pragmatica, che
verrà ampliata da Morris (“Could you pass me the salt?” -> “Pass me the salt” in forma di cortesia, richiesta
codificata, grammaticalizzata).
19/03/2021
Hymes è stato il fondatore della corrente sociolinguistica statunitense e del concetto di competenza
comunicativa.
Parlando di pragmatica si fa
riferimento anche ad un
altro elemento importante
che è correlato al contesto,
quindi all’enunciato in relazione al contesto: la deissi. Essa costituisce l’ancoraggio dell’enunciazione a tutti
gli elementi del contesto situazionale, in cui il parlante proferisce un enunciato. Quindi rappresenta la
maniera più evidente in cui il rapporto tra lingua e contesto è riflesso nella struttura della lingua stessa.
Riguarda quell’insieme di riferimenti spaziali, temporali, personali che caratterizzano l’atto comunicativo.
Ogni produzione linguistica si colloca in un determinato spazio, tempo e si innesta in una particolare azione
tra emittente, ricevente e anche testo. Il termine deissi è un prestito dal greco che significa indicazione. In
questa definizione di Andorno è evidente, in quelle che seguono dopo, le modalità secondo cui
l’interpretazione dell’enunciazione dipende dall’analisi del contesto, dobbiamo fare sempre riferimento al
contesto perché le parole cambiano. L’aggancio del messaggio alle coordinate di enunciazione è un
fondamentale universale pragmatico, a differenza delle anafore e delle catafore che rinviano all’interno del
discorso, i deittici fanno riferimento alle coordinate spazio-temporali e siccome le lingue sono pervase dai
fenomeni deittici, la deissi è un argomento chiave nella discussione dei rapporti fra grammatica, pragmatica
e semantica. I riferimenti sia temporali che spaziali li troviamo espressi attraverso un’ampia gamma di
categorie grammaticali.
Lui, lei, loro: sono anche anaforici, cioè sono riferiti ad individui assenti.
Non ci riferiamo al punto in cui si trova il parlante, o lo spazio corrispondente, ma nel punto a cui
corrisponde il testo. Il centro deittico non è il punto fisico del parlante ma il luogo/tempo del testo.
‘Scommetto che questo brano non lo conosci’, questo è un deittico spaziale. Se dico ‘Prima abbiamo parlato
di Kant’, prima è un deittico temporale.
20.03.2021
La pragmatica linguistica è stata fondata e sviluppata da filosofi (in particolare quelli citati nel titolo) che
hanno messo in evidenza ciò che i linguisti non avevano compreso, cioè che la lingua è azione. La priorità
assoluta è stata data da Aristotele al linguaggio apofantico, cioè lo stabilire la verità op la falsità di
un’asserzione. Austin è il primo ad aver iniziato una teoria degli atti linguistici. Per superare il privilegio dato
ai filosofi all’asserzione, quindi la fallacia descrittiva, Austin si occupava di demolire la concezione positivista
della lingua secondo la quale le basi della comprensione degli enunciati sono le concezioni di verità, e fonda
la lingua come azione (dimensione azionale del linguaggio: il linguaggio fa delle cose).
Fare cose con le parole significa che quando enunciamo qualcosa, stiamo compiendo un atto, svolgendo
un’azione, che non sempre è immediata, ma dipende dal contesto.
Ritornando al concetto di lingua come azione, la priorità era sempre stata data al linguaggio atto a
determinare la verità o falsità di una frase. In realtà, è importante capire come questo modo di concepire
ciò che viene proferito da un atto linguistico contrasta con l’idea di poter descrivere gli enunciati allo stesso
modo, o comunque di adottare una descrizione univoca. Caffi riporta l’esempio di un cartello con scritto
“VIETATO FUMARE”. È difficile rispondere alla domanda “questo enunciato è vero o falso?”, poiché non si
tratta di un’affermazione, sebbene possa essere descritta sintatticamente. Di un divieto non ha senso dire
se è vero o falso. La domanda da porsi è “si applica o no questo divieto?”. L’affermazione va distinta
dall’attività pragmatica, che è un’attività deontica in questo caso (implica cioè un divieto). Ciò ci porta
all’atto performativo (quando enuncio qualcosa, io la sto facendo. Quindi dicendo VIETATO FUMARE
determino un cambiamento al comportamento dei parlanti).
Con LO VOGLIO ci impegniamo a volere una cosa, quindi
stiamo compiendo un’azione.
L’atto locutorio è l’azione fonatoria che si compie enunciando qualcosa. Quando voglio agire tramite il
linguaggio devo formulare un qualcosa avvalendomi delle regole grammaticali.
23.03.2020
Ci sono vari indicatori che ci fanno comprendere con quale atto linguistico abbiamo a che fare. I verbi
illocutori sono, per esempio, il verbo suggerire, e le espressioni sono, per esempio, per favore. Capisco che
se uso il futuro mi posso trovare di fronte ad una promessa (es. Lo farò). Poi ci sono indicatori prosodici,
che si riferiscono al tono della voce (chiudila-> invito, supplica o anche sfida). Il tipo di atto illocutorio,
quindi, spesso dipende da aspetti non convenzionali, legati al contesto. Claudia Caffi e Maria Corti hanno
individuato tre tipi di indicatori di forza illocutoria (elencati nelle slide). La prosodia gioca un ruolo
fondamentale negli enunciati (tono discendente, se affermativo, o ascendente, se interrogativo). Anche i
gesti contribuiscono a farci capire di che atto stiamo parlando.
Quando esprimiamo una proposizione eseguiamo un certo tipo di atto linguistico (atto enunciativo di
Searle).
I cinque enunciati vogliono veicolare
più o meno lo stesso messaggio, sono
tutte richieste, ma differiscono per la
forma (dall’esplicito all’implicito, per
gradi). Un parlante con L1 diversa dalla
nostra farebbe più fatica a
comprendere la frase 5 rispetto alla 1 o
alla 2. Entra in gioco la dimensione
dell’intenzionalità (mi aspetto che
l’interlocutore comprenda ciò che
intendo, o sottintendo).
Il significato in questo caso è diverso dall’uso del significato, affinché il ruolo del parlante venga
riconosciuto è essenziale la conoscenza del contesto, attraverso il quale il parlante comunica molto più di
quanto enunci.
Secondo Searle, un atto illocutorio viene realizzato indirettamente attraverso l’esecuzione di un altro atto.
L’indicatore linguistico (la prosodia) va nella stessa direzione della forza illocutoria, perché se indico con
forza una certa prosodia (intonazione), per me è un indicatore linguistico che mi dice che la forza illocutoria
è proprio quella. Mentre con un atto indiretto, gli indicatori linguistici vanno in una direzione, mentre la
forza illocutoria in un’altra. Quando la discrepanza non è immediata, si fa riferimento al concetto delle
implicature. (Pupoi passarmi il sale?-> gli indicatori linguistici e prosodici, come quello intonativo, ci fanno
capire che si tratta di una richiesta, ma lo sappiamo per convenzione, perché non si tratta di una curiosità
sulle abilità di una persona di passarci il sale. C’è un percorso inferenziale da fare).
Questo enunciato ha la
forma del divieto, ma è
indiretto, perché è espresso
sotto forma di
constatazione (in italiano e
in inglese, mentre per il
francese è espresso sotto
forma di divieto). Il
fallimento pragmatic ,
invece, consiste nel non
riuscire ad usare un’espressione inserita in un determinato contesto.
La scelta del modo in cui esprimo ciò che dico dipende dal contesto.
Ogni cultura si dà delle norme di
comportamento (paralinguistica).
seconda della situazione posso modulare gli atti linguistici facendo scelte riguardo alle strutture linguistiche.
Searle insiste molto sul significato come intenzione, seguendo Grice, ma allontanandosi dall’idea di
convenzionalità.
Grice vuole sottolineare l’aspetto razionale della comunicazione. Se sono un meccanico e devo ripararti la
macchina, ho bisogno che tu mi dica cos’ha la macchina (principi di razionalità presenti anche in altre forme
dell’agire umano). C’è un aspetto semantico, di espressione e referenza semantica, e un aspetto
psicologico, che è fondamentale e che riscontriamo anche in Austin.
Grice opera una distinzione tra significato naturale e non naturale. Il significato implica la verità dello stato
di cose.
Non c’è nessuna intenzione o azione
umana, il significato naturale risiede
nelle conseguenze naturali a prescindere
dalle intenzioni.
26/03/2021
Il primo enunciato riceve una risposta coerente che
esprime l’impossibilità di andare a Roma a causa
della mancanza di un mezzo di trasporto. È una
risposta negativa. È importante in questo caso che
l’intenzione del parlante sia riconosciuta
dall’interlocutore. Deve esserci un riconoscimento
dell’intenzione comunicativa, solo in questo caso la
comunicazione ha successo.
La questione è che le problematicità dietro questo principio sono che non sempre esso può essere
rispettato. Però queste sono le regole
interiorizzate per l’interazione intesa come
impresa razionale di cooperazione e naturalmente
il principio di cooperazione si può anche non
rispettare nel senso che si può uscire
volontariamente evitando di dire qualcosa (Es.
Dicendo ‘Non lo so’ quando viene chiesto qualcosa) come normalmente succede in un’interazione non
conflittuale ma cooperativa e razionale, però si può anche rispettare il principio violando alcune massime in
cui si articola il principio stesso.
Quando queste massime non vengono rispettate gli ascoltatori cercano un livello più profondo. Ad un
livello superficiale la cooperazione può sembrare non rispettata. Nel livello più profondo il principio di
cooperazione viene comunque rispettato perché è possibile che il mio interlocutore, anche se io sto
violando una massima, possa recuperare il significato. Possiamo inferire il significato di un enunciato che il
parlante non esplicita bene tramite l’implicatura. Essa scatta nel caso in cui noi stiamo rispettando il
principio di cooperazione ma violiamo una massima.
la
condizione base della comunicazione che Grice considera
necessaria ma non sufficiente è il principio i cooperazione che è
iper-ordinato rispetto alle massime. Queste massime sono
proiettate su uno sfondo idealizzato e sono violate nella
quotidianità. Si comprende la violazione perché sullo sfondo ci
sono le massime. Grice parla di violare le massime e anche di
uscire dal piano della conversazione mostrando
l’intenzione di non voler cooperare nel modo nella massima.
Esco dal piano della conversazione. Posso girare e burlare la norma per ottenere alcuni effetti come ironia e
sarcasmo.
Ci sono anche altre regole che assicurano uno scambio di informazione e perseguimento degli scopi.
non è un caso che l’implicatura si riferisca ad una
implicatura occasionale che ha la sua origine dal
contesto della conversazione. È importante
distinguere tra l’implicatura convenzionale (data
indipendentemente dalla situazione e dal fluire del
discorso) e l’implicatura conversazionale che dipende
dalla conversazione.
27.03.2021
In questa lezione faremo un accenno agli atti linguistici e alla loro classificazione proposta sia da Austin che
da Searle.
La classificazione degli atti linguistici è proposta puntando l’attenzione su due idee principali. La teoria degli
atti linguistici può essere caratterizzata in base ad esse, che sono:
Gli enunciati possono avere, ad esempio, forma di enunciati dichiarativi, ma se pronunciati in circostanze
particolari, non riferiscono né descrivono qualcosa, ma eseguono un atto.
Gli enunciati performativi sono quindi caratterizzati dall’uso del presente indicativo attivo, che è
asimmetrico rispetto alle altre persone e tempi del modo indicativo dello stesso verbo, l’uso dei quali
costituirebbe semplici descrizioni o resoconti. I verbi che alla seconda persona dell’indicativo attivo possono
essere usati per formare enunciati performativi vengono chiamati proprio VERBI PERFORMATIVI.
Senza una esemplificazione della gamma di atti linguistici locutori, la nozione di atto illocutorio rimane
vuota di contenuti, quindi bisogna fare una distinzione di cosa possa essere considerato nel linguaggio un
atto illocutorio e quale no. Bisogna vedere anche quali differenziazioni interne la classe di atti illocutori può
contenere.
La prima classificazione è fornita da Austin, che considera come una semplice ricognizione provvisoria.
Delimita il campo degli atti illocutori, considerando come esecuzioni esplicite di atti illocutori tutti i verbi o
locuzioni verbali alla prima persona del presente, che presentano la caratteristica dell’asimmetria della
prima persona rispetto alle altre. In secondo luogo, suddivide queste esecuzioni esplicite, e con esse gli atti
che eseguono e che dovrebbero essere eseguiti anche implicitamente, in cinque classi, individuando e
descrivendo cinque prototipi di azione linguistica illocutoria intorno a cui si articolano molti casi ambigui e
marginali.
La classificazione comprende:
La caratteristica saliente dei verdettivi è quella di essere valutati veri, falsi, equi o iniqui.
Gli esercitivi consistono nel dare un sostegno a favore o contro un certo corso di azione. La caratteristica è
presupporre che il parlante abbia diritti o doveri.
I commissivi consistono nell’impegnarsi di un parlante in un certo tipo di commissione o comportamento.
Gli espositivi costituiscono una classe trasversale rispetto alle altre, che riunisce atti che appartengono
anche alle precedenti. Corrispondono ai modi in cui gli enunciati si adattano ad un’argomentazione o
conversazione.
La classificazione secondo Searle, che critica Austin, ritenendo che avesse classificato più verbi che atti, e
riscontrando la mancanza di criteri generali, mira a definire le sue classi in modo che si eliminino casi
ambigui. Propone per questo una classificazione che innanzitutto ha dei criteri. Questi criteri costituiscono
in primo luogo lo scopo illocutorio. Per esempio, in un ordine, lo scopo è di far fare qualcosa
all’interlocutore, in un’asserzione, lo scopo è dare una rappresentazione della realtà.
Un altro parametro sono le differenze relative alla direzione del vettore d’adattamento tra parole e mondo.
Nelle asserzioni, che sono atti rappresentativi, si adatta il contenuto proposizionale (le parole) alla realtà,
mentre in una richiesta si vuole adattare il mondo alle parole. Altro parametro sono le differenze relative
agli stati psicologici espressi. Chi spiega, asserisce, ed esprime la credenza del parlante. Chi richiede, ordina,
esprime un desiderio.
I rappresentativi o assertivi impegnano il parlante alla verità della proposizione espressa. Hanno una
direzione di adattamento dalle parole al mondo, esprimono credenze, quindi in questo caso lo scopo è
impegnare il parlante all’effettivo darsi di qualcosa.
I direttivi costituiscono un tentativo di far fare qualcosa a qualcuno. Sono tentativi di diverso grado del
parlante di indurre l’interlocutore a fare qualcosa.
Gli espressivi esprimono stati interiori del parlante, non hanno particolare direzione di adattamento, perché
presuppongono gli stati di cose cui verte il loro contenuto proposizionale. Riguardano lo stato psicologico e
le circostanze specifiche di ciò che viene proferito.
I dichiarativi introducono nuovi stati di cose nel mondo e hanno una doppia direzione di adattamento (sia
dalle parole al mondo che dal mondo alle parole).
L’applicazione della teoria degli atti linguistici ha studi di carattere empirico. Quando andiamo a verificare e
ad applicare questa teoria ad esempi realizzati con reali contesti d’uso invece che con esempi costruiti, ci si
pongono davanti aspetti poco chiari degli atti linguistici. Diversi studi definiscono gli atti linguistici in
maniera più ampia, cioè come la consapevolezza del parlante come agente, e pongono in particolar modo
in evidenza l’importanza di una situazione completa dell’enunciazione nell’interpretazione degli atti
linguistici un’importanza che viene trascurata nell’impostazione searliana dell’atto linguistico, che è
considerata come astratta e isolata. Il legame profondo tra atto e contesto di enunciazione si intreccia con
un altro aspetto che viene trascurato da Searle. Gli esempi che facciamo sono il valore convenzionale di un
atto di scuse (la giustificazione del parlante nell’esempio 1), mentre nell’esempio 2 il parlante intende
effettivamente sincerarsi che nulla impedisca all’interlocutore di accompagnarlo a casa.
La forza di un enunciato è frutto dello scambio comunicativo che avviene tra i partecipanti, mentre la
concezione atomistica di Searle tende ad ignorare il ruolo dell’interlocutore nell’atto linguistico.
La pragmatica si fa carico
anche dello studio del
linguaggio in relazione alle
condizioni sociali dei parlanti,
e dunque occuparsi della
funzione del discorso come
forma di pratica sociale.
Dobbiamo approfondire
perciò in una direzione sociale il discorso come terreno di sperimentazione per la comprensione e l’analisi
dell’interazione verbale vista dalla parte dei parlanti e di ciò che essi intendono fare e disfare con l’atto del
parlare. Una concezione della struttura linguistica ma anche della sua attuazione concreta legata anche agli
aspetti sociali e contestuali del discorso, che ci fa situare la pragmatica in uno spazio diverso della struttura
della lingua come noi la conosciamo, fatta di sottostrutture (morfologia, sintassi, fonologia e semantica).
L’utilizzo della lingua avviene sempre in un contesto sociale che non è ristretto al momento specifico di una
particolare interazione, ma è connesso all’organizzazione sociale della realtà, quindi è da considerare la
cultura di una società.
Abbiamo quindi
l’orientamento verso una
integrazione dei progressi
sociali all’interno della
pragmatica in relazione alla
struttura verbale della
lingua, che richiede uno
sforzo interdisciplinare fra
la sociolinguistica, in cui
sono inclusi riferimenti ad
altre discipline come la psicologia sociale, e la pragmatica. la pragmatica è al crocevia di una teoria cognitiva
e sociale della comunicazione, e quindi l’uso di una lingua ha sempre luogo nel contesto di una situazione
sociale, e la nozione di contesto viene anche estesa ai contenuti degli stati mentali dei parlanti, includendo
la dimensione cognitiva dell’interazione. La domanda pragmatica per eccellenza non è ciò che un enunciato
significa, ma la motivazione che sta dietro (perché si produce un enunciato?).
La prospettiva pragmatica ha
il suo focus nell’adattabilità
del linguaggio, che è una
proprietà fondamentale che
rende capaci gli individui di
impegnarsi nell’attività
comunicativa e che richiede
di compiere delle scelte, in
stretta correlazione con i
bisogni e le credenze delle
persone e delle circostanze in
cui le persone interagiscono.
Quando comunichiamo
adattiamo ciò che esprimiamo a fattori che ci interessano molto da vicino (che hanno a che fare con quello
che noi pensiamo), e a fattori esterni legati al contesto o ai nostri interlocutori. Questo lo possiamo fare
proprio perché abbiamo in gioco il concetto di variabilità della lingua, connessa all’esistenza. Ci sono aree di
vaghezza all’interno dell’espressione linguistica che sono il risultato e il presupposto della dinamicità,
possibilità di mutare nel tempo, adattarsi alle esigenze delle varie situazioni (lingua come qualcosa che
muta).
Variabilità e adattabilità entrano in gioco nell’interazione verbale, quindi nella presenza di un oggetto cui è
rivolto un atto comportamentale. Variabilità e regole della grammatica contribuiscono entrambe a costruire
l’essenza del comportamento umano e della lingua. Da un lato ci sono le regole della lingua che fissano il
comportamento linguistico in modo che non ci sia spazio per la variazione, e dall’altro c’è la variabilità dei
comportamenti verbali che emerge prepotentemente come tratto che non può essere eluso nella lingua, e
quindi la conversazione diventa uno strumento essenziale d’indagine dell’uso linguistico. Diventa il luogo in
cui è possibile osservare le strategie che i parlanti mettono in atto nel tentativo di individuare tra le varie
possibilità quella che il parlante intendeva che l’ascoltatore elaborasse. A volte l’esito di questo tentativo
non è positivo perché non ci capiamo, interpretiamo male o parzialmente il messaggio, ma è proprio questo
che giustifica la messa in primo piano dell’adattabilità come fulcro dell’osservazione pragmatica. Gli oggetti
dell’adattabilità del linguaggio sono rappresentati da ciò che costituisce un’interazione, da componenti che
caratterizzano lo scambio interazionale.
La pragmatica si colloca all’intersezione tra lingua e cultura in quel territorio dove i comportamenti
linguistici si interfacciano con le norme culturali. Queste due dimensioni hanno originato due filoni distinti
di ricerca, identificati con la PRAGMALINGUISTICA e la SOCIOPRAGMATICA. Questo approccio
interdisciplinare permette di ampliare ed estendere gli orizzonti della pragmatica e di inglobare la nozione
di lingua come mezzo attraverso cui si dispiegano le azioni umane. L’uso del linguaggio come
comportamento sociale, quindi, ci porta a considerare quale elemento distintivo della socio pragmatica la
relazione di interdipendenza tra forma linguistica e contesto socioculturale. Questa interdipendenza si
realizza mediante la variazione che i parlanti attuano in relazione alle differenti situazioni in cui l’evento
linguistico si realizza. La socio pragmatica è un’interfaccia sociale della pragmatica ed è relativa alle
percezioni sociali sottostanti l’interpretazione e la realizzazione dell’azione comunicativa.
La PRAGMALINGUISTICA, invece, l’altra sotto area della pragmatica, e concerne l’insieme degli elementi
linguistici che hanno la funzione di modificare un enunciato in relazione al contesto. Sono le risorse
disponibili per modificare pragmaticamente una espressione e quindi per rendere questa espressione
diversa (diretta, indiretta, ecc.).
Per dire la stessa cosa noi possiamo esprimerla in
modi diversi. In un caso per mitigare una richiesta
posso presentarla come lontana dalla realtà, come
ipotesi (se ti chiedessi di sposarmi?), oppure esporla
in maniera diretta (vuoi sposarmi?-> è sempre un atto
indiretto, ma meno del primo). Sono rappresentazioni
diverse della stessa forma illocutiva, che hanno una
forza diversa perché i parlanti hanno scopi diversi e
perché le situazioni in cui le enunciano sono diverse.
30.03.2021
Lingue diverse fanno delle scelte di esprimere atti linguistici uguali in situazioni diverse.
Il principio della pragmatica interculturale è stato sintetizzato Wierzbichka, che dice che in diverse
comunità le persone parlano in modo diverso e riflettono varie e diverse gerarchie di valori. Ci sono diversi
stili comunicativi che sono resi comprensibili in termini di valori culturali diversi stabiliti in modo
indipendente.
Il processo comunicativo tra culture diverse è sinergico, è una miscela in cui le norme pragmatiche di
ciascun parlante sono rappresentate in una certa misura e sono miscelate insieme nell’interazione.
L’inglese e il polacco
sottolineano come in
certe culture dominino
valori interpretabili come
richiesta . Questi valori
non si possono
interpretare nel quadro
della cortesia, sebbene la
struttura ricordi quella di
una forma di cortesia.
Le formule inglesi si differenziano dal polacco, lingua in cui non si capisce un “ti andrebbe una birra?”,
perché verrebbe interpretata come una domanda e non come un’offerta. Le convenzioni sociali in Polonia
richiedono che l’ospitante insista affinché l’invitato beva o mangi qualcosa.
Questa espressione
giapponese potrebbe
provocare
incomprensione in uno
studente che non ha il
giapponese come prima
lingua. I giapponesi si
scusano per il disagio che provocano in chi li ospita, mentre noi occidentali sceglieremmo piuttosto di fare i
complimenti per l’ospitalità, piuttosto che scusarci ripetutamente. Non siamo di fronte allo stesso atto
linguistico, ma un diverso valore attribuito alla medesima situazione da parte di parlanti di lingue differenti,
che scelgono di attribuire valori diversi a situazioni simili.
La pragmatica è una cerniera evidente del rapporto tra lingua e cultura, ed è l’area in cui si evidenziano di
più le differenze tra le lingue diverse (e quindi tra le culture diverse).
L’uso della lingua dipende dal tipo di relazione che esiste tra i partecipanti. Uno dei modelli che tenta di
spiegare questi fattori è quello della POLITENESS, cioè della cortesia linguistica, elaborata da Brown e
Levinson, che si ispirano alle teorie del sociologo Goffman. I partecipanti devono rispettare una certa
distanza gli uni dagli altri per non invadere la sfera privata altrui. La “faccia” coincide con l’immagine
pubblica che ognuno offre di sé. È un’entità sociale ed emozionale che ogni membro della comunità
desidera che si rispetti e riconosca. Ognuno pretende che non ci si comporti in modo invadente. La cortesia
diventa una strategia comunicativa che i parlanti mettono in atto al fine di preservare l’armonia delle
interrelazioni sociali. La cortesia linguistica include la scelta dei mezzi attraverso cui i parlanti scelgono di
manifestare l’intenzione di evitare di essere scortesi. Le scelte orientano il livello di cortesia degli enunciati.
La natura della scortesia può anche essere legata all’ignoranza delle formule linguistiche, e allora non è
intenzionale. Il concetto centrale in questa teoria (la faccia) riguarda anche i concetti di stima. Io devo non
invadere la sfera privata dell’altra persone, e così facendo devo cercare di non essere rude utilizzando
magari una formula indiretta. Questo se ho un rapporto non molto intimo con una persona. In alcune
culture l’uso dell’imperativo è considerato molto scortese a priori, a prescindere dal rapporto tra i
comunicanti. Da un lato c’è quindi la faccia negativa, dall’altra la positiva, che riguarda il fatto che ogni
persona vuole che la propria dignità d’immagine sia rispettata e preservata. Questa è una conquista che il
parlante acquisisce nella comunicazione ogni volta.
La teoria della cortesia prende in considerazione anche le reazioni. I parlanti esprimono delle scelte più o
meno consce, relativamente alla competenza che si ha di una lingua che si sta studiando.
Quando vogliamo richiedere qualcosa (tipo un favore) e non vogliamo risultare scortesi, possiamo usare
strategie linguistiche volte a preservare la nostra faccia positiva. Un esempio è fare dei complimenti
all’interlocutore per ingraziarcelo (Esempio: “So che scrivi benissimo…se mi aiutassi a scrivere questa mail
mi faresti un favore enorme!”).
La richiesta può rappresentare un atto minaccioso in relazione al concetto di faccia. La faccia negativa è
legata all’intrusione nella sfera privata di qualcuno. Tutte le richieste sono quindi atti potenzialmente
minacciosi, che noi possiamo rendere meno minacciosi mediante l’uso di strategie di cortesia (formule
indirette).
Brown e Levinson hanno trovato una formula atta a stimare il peso della minaccia della faccia:
Per mitigare una richiesta,
ad esempio, in italiano è
necessario allontanarla dalla
realtà (usando per esempio
il periodo ipotetico).
Nel caso del rifiuto di un’offerta, invece, un parlante nativo di inglese e irlandese in Germania tende a
rifiutare la prima offerta di caffè, sebbene desideri accettarlo. Questo perché l’abitudine nella sua L1 è di
comportarsi in questo modo aspettandosi una riofferta del caffè. In Germania, al contrario, si interpreta il
rifiuto alla lettera. Alla domanda “sei sicuro?”, inoltre, un tedesco risponderebbe seccato, chiedendosi il
motivo dell’insistenza del proprio interlocutore. Questi malintesi sono il frutto del trasferimento delle
norme pragmatiche da una lingua all’altra.
Questa classificazione
descrive e analizzale
componenti dei parametri
della politeness. Non tutte
queste componenti sono
rilevanti in tutte le culture.
È presente anche il livello di
conoscenza e piacevolezza
(empatia) tra gli individui).
C’è anche un peso da dare
alla durata della
conoscenza e alla
frequenza del contatto. In
alcuni casi entrambe le
parti hanno stessa età,
sesso, occupazione eppure non si piacciono. Questo determina differenze nella distanza e nella familiarità
(o intimità). Tutto ciò varia a seconda di una situazione sia in una cultura sia tra culture diverse. La vicinanza
può essere determinata anche nella quantità di auto rivelazione (la quantità di cose che su di me posso dire
al mio interlocutore. Più dico di me, più aumento l’intimità con l’altra persona).
La preoccupazione per la
relazione sociale è codificata in
lingua giapponese, che ha un
sistema di onorifici (segnali
linguistici che un giapponese
non può far a meno di usare). Il
giapponese non ammette di
produrre enunciati che non
siano marcati a livello
sociolinguistico, anche quando
si vuole comunicare una
semplice informazione. Prendersi cura della faccia in Giappone vuol dire riconoscere la posizione sociale
dell’interlocutore, trasmettendo ciò linguisticamente. Stabilire la propria posizione nei confronti dell’altra
persona in Giappone è fondamentale. Infatti, la nozione di faccia negativa è estranea alla cultura suddetta.
La nozione di atto linguistico ha giocato un ruolo importante nella formazione della pragmatica linguistica e
dell’analisi del discorso. La sua influenza sul modo di intendere la comunicazione ha favorito il passaggio da
una nozione di comunicazione basata sulla trasmissione e decodifica dei messaggi (postale) ad una nozione
di comunicazione che mette in primo piano le intenzioni comunicative del parlante e ha contribuito a
promuovere una concezione interazionale della comunicazione, resa possibile dall’agire interconnesso dei
parlanti. L’atto linguistico è quindi considerato l’unità della comunicazione.
Le strategie indirette convenzionali contengono alcuni esempi che non hanno generalità di forma, ma in un
contesto appropriato verrebbero
espresse come frasi indirette, cioè frasi
che incorporano uno di questi elementi
all’interno di un altro (un verbo
locutorio direttivo all’interno di questi
contesti).
Gli atti linguistici indiretti hanno secondo Searle sempre più di un significato. L’esempio 1 contiene un
riferimento esplicito all’ascoltatore, mentre l’esempio 2 non contiene un riferimento formale
all’ascoltatore, e la richiesta viene espressa implicitamente.
Alcuni autori sottolineano, nello spiegare i motivi per cui essere indiretti, l’importanza del contesto
situazionale, piuttosto che il significato letterale. Alcuni esperimenti suggeriscono che un individuo che
comprende una richiesta dal contesto, capisce immediatamente cosa deve fare saltando il passaggio
dell’atto direttivo, lo interpreta direttamente.
09/04/2021
Abbiamo poi modificatori discorsivi cioè le marche di cortesia, Es. per piacere
Herbert mette in atto delle strategie per ottenere ciò che necessita. Fa sembrare la richiesta più grande di
quella che non sia. Effettua la richiesta, continua a
dicendo che deve passare la materia, cosa che non
potrebbe fare senza libro. Si giustifica, motiva la sua
richiesta. Attraverso questa modalità lunga di richiesta,
Herbert sta cercando di salvare la faccia all’interlocutore
ma anche l’affermazione della relazione. Questo suo
tentativo di giustificare la richiesta ha come obiettivo
affermare la relazione. Essa sembra più importante del
libro che sta chiedendo in prestito.
In relazione a questo tipo di richiesta indiretta, c’è una strategia importante: orientata all’ascoltatore, si
concentra su ciò che deve fare l’ascoltatore rispetto al
beneficio di chi parla.
Nel caso del video, la richiesta della parlante spagnola di prende in prestito il pc per una settimana, appare
una richiesta più forte rispetto alla richiesta del libro. Nel momento in cui vediamo un’interazione di un
certo tipo che coinvolge la richiesta, possiamo capire se c’è un’imposizione elevata attraverso le strategie
usate dai parlanti. La ragazza usa molte più strategie, motivi rispetto all’interazione del video 1. Ono una
serie di strategie che servono a mantenere la relazione (abbracci, baci).
10.04.2021
a livello lessicale, ci sono espressioni con diminutivi e riferimenti frequenti all’ascoltatore, insieme a
richieste che sottolineano la cooperatività.
L’interesse e l’attenzione verso l’ascoltatore rappresentano strategie positive. Un complimento come “che
bel vestito” è qualcosa che l’ascoltatore si aspetta che il parlante noti, ovviamente dipende dal tipo di
relazione (ci dev’essere un rapporto tale che sia ragionevole che ci si aspetti un apprezzamento. Omettere
tale apprezzamento sarebbe una minaccia alla faccia positiva dell’ascoltatore).
(strategie non convenzionali)
H= hearer (ascoltatore)
13.04.2020
L’atto testa (head act) è la parte del discorso in cui possiamo identificare un atto linguistico ben preciso.
L’atto della richiesta è molto complesso e cambia da contesto a contesto: è costoso perché la richiesta mina
la faccia negativa del parlante. Può minacciare anche la faccia negativa dell’ascoltatore. Il potere, la
distanza e il grado d’imposizione sono fattori sociali che riguardano l’atto linguistico. In dipendenza da
questi, l’esito della conversazione può essere modificato.
Parliamo di studi italiani nella realizzazione di atti linguistici in tipi di testo differenti dai discordi, le e-mail.
Gli studi sulle mail ai professori sono in costante crescita, poiché la scrittura digitale sta sostituendo il
colloquio diventando un mezzo di interazione molto importante. La mail è un particolare tipo di testo
principale non ancora caratterizzato da norme di scrittura standardizzate.
A partire dagli anni 80 si è assistito a un numero di studi sulla richiesta sia in relazione allo scritto che al
parlato. Questi studi danno particolare attenzione al livello di “direttezza” (gli atti diretti). È stato
dimostrato che le strategie dirette sono usate maggiormente da studenti di lingua straniera con un basso
livello di L2. Gli studenti nativi tendono ad usare, invece, modificatori linguistici lessicali e morfosintattici
più vari rispetto agli studenti stranieri.
Il quadro metodologico istituito sugli atti di richiesta è basato sul presupposto che la varietà degli atti
linguistici può derivare dalla situazione, dalla cultura e dall’individuo. Bisogna studiare i modelli di
realizzazione degli atti linguistici al fine di indagare la natura della loro variabilità nelle diverse dimensioni.
Il Cross Culture Speech Act Realisation Project raccoglie I dati in otto lingue per stabilire i modelli di
realizzazione degli atti linguistici relative ai diversi vincoli sociali (vedi altri obiettivi nella slide).
Al fine di garantire i dati interculturali, è stato deciso di ottenerli attraverso una pratica di elicitazione .
16/04/2021
Confronto interlinguistico che porta con sé considerazioni di tipo acquisizione: come un parlante non nativo
realizzi un atto linguistico in una lingua/cultura che hanno un grado di competenza ridotto all’interno della
cultura in cui sono immersi.
Le espressioni di dispiacere sono considerati gli atti testa per l’atto di scusa. La locuzione di questa strategia
contiene un appello di risarcimento che impegna
l’interlocutore ad accettare il rimedio verbale con un
verbo performativo. Il cellulare non rotto è una
verifica dell’effetto dell’atto compiuto.
Veicolano sentimenti negativi legati alla colpa del parlante che si dimostra dispiaciuto per quanto avvenuto.
Rimediare è una strategia, oppure una compensazione materiale e comportamentale per ristabilire un
mancato adempimento alle norme. Si dividono in
diverse categorie.
c’è una conferma della prevalenza della richiesta di perdono come un metodo convenzionale di veicolare la
scusa. L’espressione di dispiacere si unisce spesso, nei
parlanti italiani, alla richiesta di perdono soprattutto
quando si tratta di un danno materiale o fisico, dove si
richiede un alto grado di rincrescimento. Questa espressione nei parlanti russi è stata usata solo una volta
in concomitanza con la richiesta di perdono. I non-nativi tendono ad usare entrambe le strategie, mentre i
nativi preferiscono le strategie di rimedio.
Gli italiani non forniscono una spiegazione dettagliata. Queste giustificazioni di motivazioni si verificano
quando è presente una maggiore distanza sociale.
Queste formule non rientrano nel repertorio dei
parlanti non nativi che poi spiegano la mancanza di
tempo con altre espressioni tipo ‘ho avuto tantissime
cose da fare’.
Queste due espressioni si riferiscono al rifiuto di ammettere la colpa. ‘Sai che ore sono?’ è una richiesta
indiretta non convenzionale, il parlante può intenderla come una richiesta
vera e propria o come una semplice domanda per cui la risposta potrebbe anche essere una di queste due.
Queste sono strategie che vengono fuori dall’inferenza che il parlante compie in risposta alla richiesta che
gli viene rivolta dal suo interlocutore. Nelle risposte dei parlanti italiani è un rifiuto di inferire un’implicatura
del fastidio causato. Si tratta della situazione dove il rapporto è simmetrico, sono due amici che permette di
sfruttare la polisemia pragmatica senza minare il rapporto interpersonale.
17.04.2021
Poi abbiamo le strategie evasive, in cui si minimizza il grado di offesa. Si cerca di negare non totalmente la
responsabilità, riconducendo ad esempio tutto
ad una richiesta preliminare.
Ancora, vi è il riconoscimento della responsabilità. Da qui in poi ci sono quelle che Trosborg descrive come
scuse indirette: accettazione implicita, mancanza di intenzionalità, espressione di imbarazzo (sono tutte non
vere e proprie scuse); e infine abbiamo l’accettazione esplicita della colpa.
Altra categoria è quella della spiegazione del
motivo, che può essere implicita (tentativo di
chi si sta scusando di mitigare la colpa dando
una spiegazione), o esplicita, in cui si ammette
che ciò che è stato fatto è indesiderabile. Il
tentativo è quello di diminuire la colpa
imputabile alla persona.
Poi abbiamo le strategie di rimedio. Se l’offesa è severa non bastano soltanto espressioni di scuse, ma ci
devono essere anche giustificazioni. In più
possono essere fatte delle promesse riguardo
al futuro o compensazioni (rimedi).
Poi ci sono una serie di strategie disarmanti, usate allo scopo di modificare il tono di una interazione. Lo
scusante può cercare di minimizzare, addolcire i sentimenti del suo interlocutore e avere un effetto
addolcente sulla persona a cui è stata fatta
l’offesa.
C’è una minaccia per il parlante, ma per lui è possibile immediatamente giustificare le ragioni di quanto
commesso, e questo può salvare la
sua faccia.
20/04/2021
Complimenti e cortesia verbale
Si è occupato dei complimenti nella conversazione è Alfonzetti. Il tentativo è esaltare delle caratteristiche e
giocare sulla faccia positiva dell’interlocutore ma allo stesso tempo può esaltare la faccia negativa dell’altro.
I primi studi sull’argomento hanno evidenziato gli aspetti più rilevanti che influenzano le diverse scelte di
risposta al complimento. Pongono in debito chi li riceve, come se mi aspettassi che l’interlocutore ricambi il
complimento, può causare imbarazzo. In quanto a giudizi violano la libertà altrui.
I complimenti possono anche essere apprezzati perché soddisfa la nostra esigenza, per esempio, di
gratificazione. I complimenti svolgono un ruolo importante nella società. Alimentano l’amicizia e una
linguista Sifianou sottolinea la relazione tra offerte di doni e complimenti, in quanto il complimentarsi sono
una realizzazione dell’atto fisico di offrire. Ci sono una serie di risposte che possono venir fuori in seguito al
complimento.
Possono considerarsi normativi i complimenti che per esempio gli invitati offrono alla padrona di casa
durante una cena. Un atto quasi di routine che si fa ed è una convenzione svolta in certe circostanze.
Complimentandomi, sto anche valutando un qualcosa. Spesso si risponde ‘grazie’ ai complimenti, e poi
accordo e disaccordo che tipicamente sono risposte che seguono una valutazione. Es. ‘hai fatto una bella
relazione’ ‘sono d’accordo/ non credo’.
I complimenti fra A e B hanno uno scopo manipolatorio, mirano a farsi perdonare. Una visione del
complimento come minaccia della faccia trova conferma nella risposta del ringraziamento:
Spesso sono le circostanze che richiedono determinati atti. Poi ci sono complimenti che vengono fatti a
seconda del fine da raggiungere, oppure voglio avvicinarmi all’interlocutore creando un rapporto di
avvicinamento. A volte si fanno complimenti per riempire situazioni di silenzio/imbarazzo.
I complimenti sull’aspetto fisico sono i più controversi. Seguono abilità e bravura. L’interlocutore può
sospettare di non meritare il complimento e quindi vederci un secondo fine. Anche l’irritazione è causata
dai complimenti sull’aspetto fisico.
Strumentale + normativa, i complimenti sono atti normativi in alcune situazioni, in altre sono strategici.
Il duplice fine del complimenti si denota dalla reazione del destinatario che può rispondere in maniera
verbale o non verbale.
23/04/2021
Nell’esempio sopra, non c’è un rifiuto ma l’atto risulta un po’ esagerato, risulta come un’adulazione fatta a
posto per la circostanza. Quindi non può essere considerata come un ero e proprio rifiuto.
Dopo una valutazione positiva che verte sul
destinatario, quest’ultimo risponde con un modo
abbastanza offensivo.
Le reazione e i commenti fatti sono più frequenti quando vengono complimentati beni materiali. Si tratta di
interazioni fra persone che si conoscono più
o meno bene che usano il complimento per
favorire la conversazione.
I complimenti rientrano nella comunione fatica ma di un tipo molto particolare. A differenza di quanto
avviene in altri tipi di enunciati fatici in cui l’argomento è del tutto irrilevante qui invece l’argomento è al
centro della discussione. Il problema è che quando ci sono delle comunicazioni fatiche diverse da questa, la
cosa importante è che si mantenga aperto il canale di comunicazione. Nei complimenti la funzione primaria
è far piacere il destinatario attraverso ciò che si dice. Rappresenta un tentativo di avvicinarsi al destinatario
manifestando interesse, approvazione, apprezzamento vero o simulato per il suo mondo di valori. La
strategia però può assumere la forma dell’evitamento legittimo. Quando è il turno di A oltre al
complimento contiene anche una seconda azione: domanda, augurio, consiglio, critica alla quale il
destinatario può reagire evitando di rispondere al complimento.
27/04/2021
ESEMPI
Gli enunciati A e D sono stati considerati dei complimenti solo dal 21% intervistati per ragioni diverse: A
perché molti non sanno che i giapponesi sono considerati all’avanguardia per il taglio e le composizioni di
frutta; D perché trattare come una docente una laureanda implicherebbe sminuirne lo status. B è ritenuto
un complimento dal 63% degli intervistati, percentuale notevolmente maggiore rispetto a D. E è
categorizzato come complimento solo dal 52%, questo perché richiede la necessità di conoscere il contesto
extralinguistico della situazione. C è un complimento per il 71% delle persone, è un caso meno controverso
poiché nella cultura italiana saper cucinare è un valore indiscusso e universalmente riconosciuto.
Non si riesce a stabilire con esattezza se un enunciato sia un invito, una promessa, un rimprovero. Nella
complessità noi analisti del discorso verifichiamo e scandagliamo le caratteristiche degli atti linguistici per
darne una categorizzazione e cercare di costruire criteri per la definizione degli atti linguistico.
La teoria dei prototipi viene applicata agli atti linguistici e rende conto del fatto che un enunciato possa
realizzare l’atto corrispondente in una maniera più o meno conforme ad una definizione astratta. Se un
enunciato possiede tutti gli attributi connessi alla definizione, sarà considerato una realizzazione prototipica
dell’atto specifico. Se invece possiede alcuni tratti soltanto o se il potere definitorio di questi attributi è
debole, allora sarà definito come una realizzazione meno forte. Di conseguenza, le valutazioni positive
rivolte disinteressatamente al destinatario, si collocano in una posizione più centrale all’interno della
categoria, perché sono complimenti prototipici. Quelle implicite stanno in periferia, e lì ci sono le
oscillazioni nei comportamenti direttamente osservabili da parte dei parlanti.
Gli attributi prototipici presuppongono la conoscenza degli esseri umani, delle attività e del mondo reale, e
quindi sono proprietà contestuali secondo la studiosa che ha ideato la teoria dei prototipi, che è Rosch.
Alfonzetti, nel 2007, propone dei criteri di categorizzazione dei complimenti in quanto essi non hanno
collocazione predefinita nella conversazione ma godono di una forte mobilità di occorrenza. Il complimento
è considerato una supportive action in cui il parlante va incontro alla faccia positiva del parlante. La classe
degli atti di supporto rispetta la personalità dell’altro, e questo valore si evince dall’accettazione del
complimento per mezzo del ringraziamento e altre mosse già viste. I complimenti vengono assegnati agli
espressivi searliani, ai comportativi di Austin, ma sono una classe eterogenea e co-occorrono con altri atti
linguistici. Oltre ad esprimere uno stato psicologico (reazione) è presente anche l’aspetto valutativo in un
complimento. Sono dotati di una forza illocutoria che gode di una miscela di vari ingredienti, le cui
oscillazioni sono poi sostenute da indicatori di forza presenti a livello di forma e contenuto degli enunciati e
da valori situazionali.
C’è un’altra categorizzazione, che prende in considerazione il livello formale, quindi l’azione del
complimentarsi può essere eseguita per mezzo di verbi illocutori in funzione performativa, usati di solito in
situazioni formali. Si nota l’aspetto rituale di questi enunciati. La recezione del destinatario è conforme
all’interpretazione esplicita indicata dal parlante nell’atto linguistico.
Ci sono poi altri indicatori di tipo prossemico, cinesico, paralinguistico, e a livello lessicali vi sono termini
valutativi di tipo espressivo.
Il tipo di frase dichiarativa, di solito associato ai verdittivi, autorizza solo in parte una lettura ei complimenti
di tipo verdittivo. È piuttosto un indicatore neutro che seleziona una gamma di forze illocutorie diverse.
Proprio in virtù dell’ingrediente valutativo presente nella miscela illocutoria dei complimenti, non sono del
tutto estranei al giudizio di verità o falsità, come dimostrano anche le risposte in cui il parlante esprime
accordo o disaccordo.
Qui viene assegnato un grado positivo ad espressioni che prese da sole risulterebbero neutre (il non essere
cambiati, l’essere uguali e precisi). Le stesse frasi potrebbero essere considerate come offese nelle civiltà
orientali, che vedono la vecchiaia come un valore acquisito di estrema importanza.
In questa circostanza, quello che doveva in inizio essere un complimento, risulta essere invece una vera e
propria gaffe a cui cerca di rimediare con l’aiuto di un parlante C.
Nel caso dei complimenti impliciti, l’elogio viene recepito mediante un processo inferenziale (come nel caso
dell’esempio “E che sei, una giapponese?”). I complimenti impliciti pongono in modo più evidente il
problema dell’individuazione e interpretazione: non c’è un documento diretto (“hai fatto una bella
composizione di frutta”, ma un assunto che necessita di inferenze per essere compreso e accolto).
Qui c’è l’esplicitazione dell’intenzione (complimentarsi) del parlante. Lo statuto del complimento nel turno
1 viene accettato con un sorriso soltanto quando, alla fine, le intenzioni illocutorie della persona sono state
esplicitate.
Gli esempi riportati in queste slide sono tratti da un articolo di Sifianou sui complimenti in altre culture,
nello specifico in Grecia. I complimenti sono gli unici che tra gli atti linguistici presentano flessibilità.
Appaiono il più delle volte come mezzi per rinforzare altri atti, o al posto di altri atti. Questo esempio è
tratto da dati di parlanti greci. Abbiamo due amici molto intimi. Per la promozione di uno dei due viene
enunciato un complimento da parte dell’altro. L’informalità del contesto e l’intimità tra i parlanti rendono
accettabile questa sostituzione, nonostante il fatto che esiti come le promozioni di solito suscitano
congratulazioni.
Non è raro che in Grecia un regalo sia fatto spontaneamente, senza che ci sia un’occasione precisa.
È importante fare una distinzione tra complimenti di routine e di non routine (creativi), perché questo ha
una ripercussione sulla forma e sulla funzione del complimento. Da Sifianou i complimenti di routine sono
intesi come valutazioni formali scambiate tra conoscenti che si sentono obbligati a fare un complimenti,
con espressioni fisse. Possono avere una funzione di soddisfare le aspettative sociali.
I complimenti non di routine, secondo l’autrice dell’articolo, sono quelli creativi e possono occupare molti
turni. Non si verificano necessariamente nei casi in cui i complimenti sono socialmente previsti e spesso
possono portare a dei giochi verbali. Ci si aspetta che questo tipo di complimento sdia sincero a meno che
non rischi di ferire il destinatario.
Sembra che in greco non ci sia alcuna apparente restrizione all’immaginazione del parlante, se non che
qualcosa di positivo deve comunque essere detto al destinatario, in modo evidente o opaco che sia.
Poi ci sono anche tutta una serie di metafore che vengono utilizzate nei complimenti.
Per ultimo, vediamo che ci sono dei valori culturali importanti in ogni lingua rispetto ad una serie di
parametri quali frequenza, circostanze, forma, intensità, eccetera. I polacchi tendono di più a
complimentarsi per i beni materiali posseduti, mentre arabi ed egiziani più per le qualità naturali.
In virtù dei valori culturali di una lingua, l’espressione “sei dimagrito”, ad esempio, viene inteso come
complimenti o come critiche. I complimenti sono soggetti a significative variazioni interculturali. Si riflette
ciò che in una data cultura è apprezzato come positivo. Per quanto riguarda la frequenza, in America i
complimenti occorrono in una grande varietà di situazioni, servono a produrre e rinforzare un sentimento
di solidarietà tra i parlanti e sono spesso accompagnati da altri atti linguistici.
Gli orientali in generale non ammettono che si facciano complimenti sull’aspetto fisico delle donne. Nella
cultura araba, per esempio, valori importanti sono l’umiltà, la remissione.
Per quanto riguarda le risposte al complimento, nei tedeschi non è consuetudine la restituzione dei
complimenti, ma il semplice accordo, e questo può costituire un problema di interazione tra parlanti di altre
culture.
I cinesi utilizzano espressioni indirette, e di solito preferiscono ridimensionare e minimizzare il complimento
che ricevono, ricambiando raramente i complimenti. Gli americani, invece, rispondono e quasi sempre
restituiscono i complimenti ricevuti.
30/04/2021
04/05/2021
L’intenzione è importante per la comunicazione. Qualsiasi cosa ci può informare di qualcosa. Tutto è
comunicazione ma la comunicazione è quella trasmissione di significato intenzionale. Nella produzione di
un atto comunicativo, il parlante può esprimere solo una parte del suo contenuto mentale. Un parlante è in
grado di emettere un certo numero di sillabe al secondo.
In tempi antichi, gli uomini
comunicavano attraverso suoni e gesti
che hanno fatto da base alle sviluppo del
linguaggio.
07/05/2021
Attraverso la voce siamo in grado di esprimere emozioni diverse e riconoscere gli stati emotivi degli altri.
Svolge una funzione di reintegrazione, proietta il soggetto in una dimensione riflessiva necessaria per il
superamento dello sconforto.
Paura africano: molto veloce.
Paura inglese: Velocità minore rispetto alla
precedente
Paura iraniano: molto veloce e intensa
Tristezza russo: velocità maggiore
dell’italiano.
Tristezza inglese: perentorio e neutro, difficile
da identificare
Disgusto africano: difficile da identificare
Rabbia russo: volume alto, veloce.
I risultati ottenuti trovano conferma anche in uno studio recente che ha confrontato il parlato emotivo
degli italiani con i parlanti cinesi. In questo
caso le produzioni degli italiani si sono
caratterizzati per l’incremento dei parametri
acustici, in contrasto con quelle dei cinesi. Questa peculiarità sembra differenziare l’espressione vocale
delle emozioni della nostra cultura in relazione alle culture ad alto contesto.
Essere competenti emotivamente in una L1 e in una L2 vuol dire comprendere che la struttura e la natura
delle relazioni è definita dal grado di immediatezza e motiva o di genuità della manifestazione espressiva, e
dal grado di reciprocità o simmetria all’interno della relazione
Domande di ricerca
riguardo lingue molto
diverse dall’italiano e in
particolare anche sulla
possibilità di mettere in
atto una istruzione basata
su un training
propriamente basato sulle
emozioni.
Nelle attività di shadowing è stato chiesto loro di ascoltare lo stimolo in italiano e replicarlo nel minor
tempo possibile in termini di ritmo e intonazione. In questa fase, gli apprendenti hanno avuto la possibilità
di mettere in pratica i suggerimenti forniti nella fase precedente.
L’analisi del parlato emotivo nella L1 degli apprendenti ha avvalorato l’ipotesi dell’influenza sulle strutture
prosodiche della lingua d’origine su quella della lingua target. Ci sono diversi fenomeni di transfert
prosodico e la lingua madre degli apprendenti agisce come un potente filtro che rallenta e talvolta blocca
l’acquisizione di nuovi schemi intonativi. Ci sono una serie di analisi che hanno portato alla riflessione sul
transfert che è abbastanza importante. Ci sono delle radici più profonde rispetto al transfert che sono
legate a schemi comportamentali che fanno parte dell’individuo sin dai primi anni di vita. La gestione del
parlato emotivo non si limita al corretto ricorso delle strutture intonative della lingua target ma coinvolge
anche livelli più profondi e meno sensibili all’intervento didattico.
08.05.2021
Recentemente ha acquisito rilievo anche il filone conosciuto come pragmatica interlinguistica, quindi il
confronto interculturale, il cui campo di interesse è il campo delle interlingue (dunque i sistemi linguistici
usati dagli apprendenti di una lingua seconda). Ci sono due categorie di studio legate alle competenze
pragmatiche nelle interlingue. La prima si occupa di come i parlanti non nativi comprendono e producono
gli atti linguistici, e la seconda investiga come le abilità di comprensione e produzione si sviluppano negli
apprendenti, attraversandone i vari stadi. Gli studi sulla pragmatica in L2 si sono soprattutto concentrati sul
primo filone di studi. Non sono studi che affrontano il percorso acquisizionale. Ci sono effettivamente una
serie di lavori dedicati all’insegnamento della pragmatica. Le analisi e le osservazioni sul ruolo
dell’insegnamento dovrebbero essere sostenute da teorie e ricerche sullo sviluppo pragmatico. Parliamo di
questioni che interessano sia il confronto culturale che cross-culturale, e anche di ciò che succede quando
due parlanti di lingue e culture diverse si incontrano e provano a comprendersi. Succedono cose come il
transfer che possono portare anche all’incomprensione (fallimento pragmatico). Guardiamo anche al
rapporto tra acquisizione della grammatica e della pragmatica, su cui sono state effettuate molte ricerche
che hanno portato a scoprire le strategie che gli apprendenti mettono in pratica nell’acquisizione di un’altra
lingua.
Gli studi sull’impiego nella L2 di mezzi verbali per la realizzazione di atti linguistici sono abbastanza
numerosi. La maggior parte di essi analizza la realizzazione degli atti linguistici in una l2 da una prospettiva
contrastiva, comparativa e anche sociopragmatica, paragonando le produzioni linguistiche di gruppi di
parlanti nativi (appartenenti a due culture diverse). Sono pochi invece gli studi in ottica acquisizionale. Uno
dei pochi studi che analizza longitudinalmente la realizzazione degli atti linguistici è quello di Nuzzo, sulla
realizzazione di richieste, scuse e proteste in italiano. Queste ricerche vengono fatte con apprendenti e per
periodi prolungati, per capire come avviene lo sviluppo.
Gli studi sono stati realizzati soprattutto su apprendenti che acquisiscono una lingua seconda fuori dal
contesto scolastico. Gli atti linguistici sono diversi per culture diverse, in quando sottendono non solo mezzi
diversi, ma sottendono anche diversi valori che si rivelano dallo statuto completamente diverso tra lingua e
lingua (es. l’onestà per i tedeschi, l’umiltà per le culture orientali).
Per esempio, gli Americani usano le scuse per una varietà di motivi (dispiacere, spiegazione, riparazione
dell’offesa, ecc.). Altro esempio: il “sorry” di un israeliano, che è di base più diretto, potrebbe non suonare
come una scusa alle orecchie dell’amico americano.
Questa è una tipica situazione formale giapponese in cui viene offerta all’interlocutore una spiegazione non
richiesta. In Giappone, l’impiegato potrebbe continuare a proferire scuse ripetute non fornendo una
spiegazione dettagliata, a meno che il capo non lo richieda espressamente. [ripetizione, auto-umiliazione].
Ci sono aree che facilitano l’acquisizione della competenza pragmatica in L2, cioè l’inferenza, l’acquisizione
degli atti linguistici indiretti, l’uso di routine pragmatiche (quali sono le routine che possono essere apprese
per scusarsi, richiedere, ecc.), la capacità di variare in base al contesto (è importante far esercitare gli
studenti su situazioni molto diverse, con persone che hanno ruoli diversi), e infine le principali categorie
degli atti (con molta gradualità).
L’interpretazione accurata di ciò che c’è dietro il comportamento umano sta proprio nelle norme sociali e
culturali, e quindi definirle non è facile a
causa delle tradizioni, delle credenze e dei
valori che contribuiscono alla definizione
di queste norme.
Il problema della pragmatica è che essa non possiede norme di comportamento definite, esse vengono
stilate di volta in volta e subiscono variazioni a seconda del contesto culturale in cui ci troviamo.
Ci sono tre importanti aspetti su cui riflettere. Bisogna distingue, innanzitutto, tra gli stereotipi
(generalizzazioni. Il fatto che la cultura non sia un costrutto statico ma varia è un altro aspetto (non è una
entità monolitica!). Infine, sta agli apprendenti scegliere se voler essere pragmaticamente appropriati.
[cloze-> attività in cui ci sono parole mancanti che gli apprendenti devono individuare per completare
l’esercizio]
Esistono due posizioni contrastanti discusse da un testo di Bettoni dal tutolo “Usare un’altra lingua”. Qui si
afferma che se la pragmatica precede la grammatica, gli apprendenti si rifanno alle conoscenze
pragmatiche che già hanno in L1. Se, invece, succede il contrario, la conoscenza delle regole grammaticali
viene prima dell’acquisizione pragmatica. Queste due posizioni, seppur contraddittorie, non si escludono,
cioè possono essere correlate entrambe a diversi stadi dello sviluppo linguistico. Negli stadi iniziali
dell’apprendimento, che sono caratterizzate dall’accostamento degli elementi lessicali in base al contesto
situazionale e discorsivo, gli apprendenti si rifanno alla conoscenza pragmatica di cui già dispongono. Solo
in un secondo momento, questa frase pre-sintattica è seguita da un’analisi grammaticale (la grammatica
emerge).
Il rapporto tra grammatica e pragmatica si rivela molto complesso. Da diversi studi sull’argomenti sono
emersi i risultati (riportati dalla slide).
Sulla base di questi assunti (che sono il risultato dello studio), facciamo l’esempio di una costruzione di un
apprendente nederlandese che deve chiedere se può pagare con la carta. Probabilmente questo enunciato
non costituirà un problema perché grosso modo l’enunciato corrisponde alla sua L1. Saranno invece più
difficili costruzioni che implicano l’uso del condizionale, che in nederlandese sono percepite come molto
formali.
Qui vediamo ciò che privilegia una lingua. C’è una preferenza dell’apprendente per le forme al presente,
meno marcate e usate più di frequente.
Gli apprendenti di livello avanzato riescono ad individuare il contesto nel quale le strategie dovrebbero
essere usate nella L2. Nell’effettuare le richieste, gli apprendenti base fanno un uso più diretto degli atti
(prediligono gli imperativi). Il primo stadio dello sviluppo delle richieste è denominato pre-basico, e si
caratterizza per una forte dipendenza dal contesto e per una scarsissima sintassi. Segue il formulaico (si
basa sulle formule). Il terzo stadio è quello dello “spacchettamento”, nel quale ci si sposta verso una
convenzionalità indiretta (es. “puoi passarmi la matita” invece di “passami la matita”). Con l’espansione
pragmatica si aggiungono nuove formule, aumenta la complessità sintattica e vi è un uso della mitigazione.
Il quinto stadio è quello della sintonizzazione, in cui l’apprendente modula la forza illocutoria della richiesta
in relazione al contesto e ai propri obiettivi. Qui c’è anche un’attenzione all’aspetto socio-pragmatico.
Questo stadio sembra essere raggiunto più rapidamente da soggetti che si trovano ad apprendere la lingua
all’interno della comunità in cui questa lingua viene parlata (è questo il concetto di L2). L’apprendimento
delle norme socio pragmatiche costituisce un compito estremamente arduo, soprattutto laddove
l’acquisizione avviene in contesti di lingua straniera che sono caratterizzati da rapporti di interazione
inferiori rispetto ad un contesto L2.
È possibile estrarre dati dagli apprendenti attraverso diverse modalità, che servono anche per insegnare e
far riflettere gli studenti a proposito dei comportamenti linguistici e pragmatici.
Qui abbiamo diverse tecniche di elicitazione dei dati classificati sulla base di diversi criteri. Nuzzo propone
questa distinzione tra dati manipolati (meno naturali, come le interviste e le narrazioni) e dati grezzi (più
naturali, come le interazioni spontanee).
Questo è un esempio di intervista, che è utile per ottenere informazioni sui significati culturali che i membri
di una comunità attribuiscono a certe pratiche comunicative e a certi aspetti dell’agire linguistico, non per
ottenere informazioni su pratiche comunicative nella realtà.
I diari e le annotazioni sul campo sono utili per cogliere la prospettiva del parlante non nativo in merito
all’esperienza acquisizionale o all’esperienza con i parlanti nativi, mentre non sono utili per ottenere
informazioni sulle pratiche comunicative e sull’interazione. Si può riportare per iscritto la propria
esperienza come studente di L2.
I questionari servono per ottenere informazioni sul sapere pragmatico coinvolto nello svolgimento di
determinate pragmatiche comunicative e giudizi meta-pragmatici sulle variabili contestuali che influenzano
le scelte strategiche e linguistiche. È utile per il ricercatore al fine di ottenere un elevato numero di dati
molto velocemente da tanti informanti.
C’è anche la possibilità di dare una situazione e poi delle opzioni su cosa si intende in quel dialogo.
Poi abbiamo gli esercizi di completamento del discorso (DCT), in cui c’è una richiesta e una risposta.
[questo è un cloze]
I Think-out-loud protocols possono essere utili per ottenere informazioni su alcuni aspetti delle effettive
modalità di realizzazione dell’agire linguistico, quindi parte di ciò che i parlanti farebbero se si trovassero in
una determinata situazione. Non è utile per capire quello che i parlanti fanno quando si trovano in una
determinata situazione.
I role plays possono essere chiusi, nel senso che c’è già una struttura ben definita di una situazione in cui
bisogna solo rispondere ad una richiesta.
I role plays aperti possono essere spontanei o non spontanei (i parlanti interpretano qualcuno).
Con la conversazione spontanea, invece, si ottengono informazioni sulle effettive modalità di realizzazione
dell’agire linguistico (ciò che i parlanti farebbero trovandosi in una determinata situazione).
Esempio: dare una risposta più o meno assertiva da quella più diretta a quella meno diretta (o più cortese a
meno cortese, in base ad un contesto).
[magari scriverei DIALOGUE Anna…]
Tutte queste tecniche sono spesso realizzate nelle tecniche dell’apprendimento degli atti linguistici e per il
confronto cross-culturale.