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16.03.

2020

Mimasia15 = password per i testi di socio-pragmatica.

La pragmatica collega le forme linguistiche e il modo in cui sono usate in un contesto sociale. Parliamo di
enunciati, i cui significati sono recuperabili soltanto se si ha un contesto di riferimento. L’atto linguistico che
viene realizzato viene anche percepito in un determinato contesto sociale.

Pierce evidenzia il fatto che il segno è riconosciuto come


tale perché esiste qualcuno che lo interpreta. Morris
afferma che sintassi e semantica hanno a che fare con ciò
che la lingua significa, la pragmatica invece ha a che fare
con ciò che i parlanti vogliono dire, quindi la relazione dei
segni con gli interpreti. Morris è un filosofo americano che
nel suo lavoro del 1938 Foundations of the Theory of Signs
definisce sintassi, semantica e pragmatica. Nel loro insieme,
dice, queste tre discipline formano la semiotica. La sintassi
è lo studio della relazione dei segni tra loro, la semantica è
lo studio dei segni in relazione al loro denotato, mentre la
pragmatica è la relazione tra i segni e coloro che li ricevono,
che li interpretano. L’utente del segno è un io essenzialmente grammaticale, un dispositivo formale
dell’informazione (Benveniste), o un io a tutto tondo, con una consistenza sociale, storica e psicologica
(Morris). Fino a quel momento la pragmatica non si occupava della parte psicologica dell’utente, dando un
ruolo esclusivo alle peculiarità sociali di esso. Non si può negare che non sia importante, ma è alquanto
limitante poiché chi usa i segni è un soggetto che assume un comportamento, cioè qualcosa di personale
collegato alle passioni e alle emozioni di questo soggetto (alle sue credenze, ecc.). Morris parla della
semantica come l’atto del nominare delle cose in quanto esse sono presenti (nomenclatura, lessico, il porre
delle etichette). In realtà, quando si parla, non si nominano solo degli oggetti, ma si agisce. Non esiste nel
mondo qualcosa che abbia per natura un nome, ma sono io, parlante, a stabilire il suo nome, la sua
definizione linguistica. Facendo un riferimento, io creo la realtà.

Denominare qualcosa non è un atto


neutro, ma comporta un’interpretazione
che deriva da un retroterra sociale che si
deve considerare.

La pragmatica è una scienza molle, auspicabile, al contrario della linguistica che ha regole più rigide. La
pragmatica ha delle regolarità, più che delle regole (meno difficilmente modificabili).

Austin e Searle sono i due artefici della pragmatica moderna. Searle dice che gli atti linguistici sono atti
indiretti (Fa caldo-> qualcuno apra la finestra!)

Altra definizione di Morris fa leva sul contesto. Inizialmente la pragmatica aveva un focus prettamente
linguistico, che poi si è gradualmente mosso verso l’inclusione dell’azione sociale, il contesto e l’idea di
agente (chi agisce). Levinson sancisce la relazione tra lingua e contesto nella definizione di pragmatica, che
verrà ampliata da Morris (“Could you pass me the salt?” -> “Pass me the salt” in forma di cortesia, richiesta
codificata, grammaticalizzata).
19/03/2021

Il concetto di competenza comunicativa ci porta al concetto di appropriatezza.

Le frasi con l’asterisco rappresentano un livello linguistico


evidente, l’ordine delle parole è errato. Con il punto
interrogativo si indica, in linguistica, una frase di cui non si
comprende bene il significato o non si può decidere se
malformata o meno, in quanto dipende dal contesto. L’ultimo
botta e risposta riguarda il principio di appropriatezza, ha
qualcosa che non ci aspetteremmo di trovare come risposta. Un
discorso e un testo sono appropriati se tengono adeguatamente
conto della situazione di enunciazione degli interlocutori.

Non è una risposta appropriata, non quello che ci si


aspetterebbe. Non c’è nulla di grammaticalmente scorretto
ma non è appropriato al contesto.

Hymes è stato il fondatore della corrente sociolinguistica statunitense e del concetto di competenza
comunicativa.

Modello dell’evento linguistico. Rispetto ai


tentativi precedenti, egli introduce questo
acrostico che concerne gli 8 elementi costitutivi
dell’evento linguistico, che sono imprescindibili
per l’analisi del continuum sociocomunicativo
della lingua. Questa tassonomia si propone di
individuare diversi elementi che dal punto di
vista analitico vanno tenuti strettamente
presenti. Molte di ciò che Hymes puntualizza si
rifà agli atti linguistici.

Dipende anche dalla situazione


psicologica, dal tipo di scena,
quindi materiale dell’azione.

Legame scena comunicativa-


cultura.

Una situazione sintetizza tutti gli


aspetti comunicativo-situazionali
che per economia linguistica
viene definita come sinonimo di contesto situazionale. Sono tutte le componenti pragmatiche-situazionali
del linguaggio, gli elementi extralinguistici condizionanti l’interazione comunicativa, introdotto da
Malinovski: sono le caratteristiche culturali delle situazioni che accompagnano un atto linguistico.

Hymes allarga questa categoria


includendo: parlante/emittente ecc.
quando noi ci rivolgiamo ad una
persona stiamo attenti che non ci sia
qualcuno che ci può ascoltare. Se c’è
una terza persona a cui il messaggio
non è diretto, questa presenza può
condizionare quello che effettivamente
posso dire in quella circostanza a quella persona a cui mi sto rivolgendo. Questa categoria è molto utile
perché in qualsiasi comunità linguistica ci sono molto esempi di eventi in cui i ruoli dei partecipantisi
invertono a seconda della situazione comunicativa. L’emittente si può scindere in due persone diverse.
Magari, fisicamente mette un messaggio non suo, il parlante si può fare portavoce di qualcosa che non
viene da lui; l’emittente può essere costituito da una fonte missiva individuale o collettiva, anche di natura
astratta che deve trovare un apparato vocale per essere trasmessa.

Gli obiettivi, gli scopi trasmessi dagli


atti di discorso contribuiscono a
configurare il particolare tipo di
scambio. Sono degli scopi precisi,
personali che possono essere sia consci
che inconsci. A soddisfa o meno il suo
obiettivo in dipendenza di ciò che B
capisce. Spesso i nostri atti veicolano
scopi impliciti e nascosti.

Sono implicite le regole sintattiche per la


costruzione delle frasi così come quelle
semantiche e pragmatiche relative al
modo in cui io parlo e all’abilità di usare
mezzi espressivi con appropriatezza. La
capacità di gestire le strategie discorsive,
di utilizzare le tattiche dello strumento di
lingua, sono i requisiti per una efficace e
felice transazione comunicativa. C’è un forte rimando agli atti linguisti, all’agire in grado di trasformare la
realtà, compiere qualcosa con le parole.

La chiave che rappresenta


un’espressione, il tono il modo,
l’umore con cui vengono
compiuti gli atti linguistici. È
importante perché ci può essere
un conflitto tra quello che dico e
il modo in cui lo dico. Spesso il
modo contraddice ciò che viene detto (Es. ironia, sarcasmo, scherno). L’indicazione della chiave può essere
caratterizzata da tratti soprasegmentali, in genere la competenza paralinguistica (gesti, posture, occhiate).
Elementi che marcano la modalità connotativa e l’assetto teorico dell’evento.

Sono quello che Bazzanella chiama


Agenti Strumentali e che riguardano il
fatto che l’attività comunicativa si serve
di strumenti che riuniscono i canali e le
forme parlate. I canali si riferiscono al
fatto che qualcosa può essere espresso
in modo orale o scritto, il mezzo. Anche i
modi d’uso, la scelta della varietà di
quello che voglio utilizzare. I codici e i
sottocodici, varietà e registri. Questa
componente strumentale investe la
prospettiva sociale della lingua dato che
le modalità di organizzazione dei tratti linguistici devono essere connessi in qualche modo e devono essere
determinate in relazione alle diverse occasioni comunicative.

Le norme sono le regole. Sono i


fondamenti razionali della
comunicazione e coinvolgono dei
comportamenti che possono
accompagnare l’interazione. Quando
comunichiamo abbiamo un ordine di
turni, distribuzione dei silenzi. Come
usare la modalità dei toni della voce. Ci
sono le norme di interpretazione che
sono riferite alle credenze di una
comunità. Le convinzioni che ci permettono di stabilire quando è opportuno socialmente esprime un atto
comunicativo in una circostanza particolare.

Sono regolamentati da modelli


grammaticali che regolamenta la
funzione sociale, la pertinenza in una
specifica comunità di parlanti. Essa
legittima un certo repertorio di generi.
Essi fanno parte della competenza comunicativa, del contesto. Sono ciò che legittimano un certo modo di
dire le cose.

Parlando di pragmatica si fa
riferimento anche ad un
altro elemento importante
che è correlato al contesto,
quindi all’enunciato in relazione al contesto: la deissi. Essa costituisce l’ancoraggio dell’enunciazione a tutti
gli elementi del contesto situazionale, in cui il parlante proferisce un enunciato. Quindi rappresenta la
maniera più evidente in cui il rapporto tra lingua e contesto è riflesso nella struttura della lingua stessa.
Riguarda quell’insieme di riferimenti spaziali, temporali, personali che caratterizzano l’atto comunicativo.
Ogni produzione linguistica si colloca in un determinato spazio, tempo e si innesta in una particolare azione
tra emittente, ricevente e anche testo. Il termine deissi è un prestito dal greco che significa indicazione. In
questa definizione di Andorno è evidente, in quelle che seguono dopo, le modalità secondo cui
l’interpretazione dell’enunciazione dipende dall’analisi del contesto, dobbiamo fare sempre riferimento al
contesto perché le parole cambiano. L’aggancio del messaggio alle coordinate di enunciazione è un
fondamentale universale pragmatico, a differenza delle anafore e delle catafore che rinviano all’interno del
discorso, i deittici fanno riferimento alle coordinate spazio-temporali e siccome le lingue sono pervase dai
fenomeni deittici, la deissi è un argomento chiave nella discussione dei rapporti fra grammatica, pragmatica
e semantica. I riferimenti sia temporali che spaziali li troviamo espressi attraverso un’ampia gamma di
categorie grammaticali.

(In rosso gli elementi deittici) ogni atto comunicativo ha un suo


centro deittico che solitamente coincide con il parlante, attorno
al quale sono incatenati tutti gli elementi deittici. Es. Domani,
subito, oggi qui ecc. segnalano che ciò di cui si sta parlando è
ancorato al momento e al luogo in cui l’enunciato viene
prodotto. Nel semplice enunciato ‘ci vediamo domani a casa
tua’ troviamo io come interlocutore, poi c’è il morfema ci,
l’aggettivo tua, un riferimento temporale domani, spaziale a
casa tua, tua è anche un riferimento sociale che indica la simmetria del rapporto (confidenziale in questo
caso).

Classificazione delle deissi

I primi tre tipi di deissi riguardano l’aggancio per eccellenza al


locutore, ai destinatari, al contesto cronotopologico dell’atto
comunicativo. Operano in maniera interdipendente, di solito.

È quella un po’ più complessa, più


ricca di sfumature. Il centro da cui
parte tutto coincide con il momento
in cui il parlante produce l’enunciato.
C’è una relazione fra il momento
dell’enunciazione e il tempo della
situazione descritta. Viene veicolata da alcuni avverbi di tempo, anche aggettivi deittici (Es. scorso,
prossimo)

Possono accompagnare l’unità di tempo, anche dei


tempi dell’espressione verbale.

L’ancoraggio al momento della lettura rende


irrealizzabile la promessa contenuta nel messaggio.

Domani fa parte di un altro centro deittico, quello del


telegramma, che però è privo di ancoraggio
temporale che consente di ancorarlo in modo
definito nel centro deittico del personaggio. Non si sa quando sia questo ‘domani’ o quando la madre sia
morta.

Sono quell’insieme di espressioni la cui


interpretazione richiede il riferimento
alle coordinate spaziali
dell’enunciazione. I punti d’ancoraggio
sono la posizione del parlate, il centro
deittico. Vengono codificate con la
topo-deissi le relazioni e i punti di ancoraggio, le posizioni di vicinanza/lontananza, di persone o altre entità
rispetto al luogo in cui chi parla si trova.

Preposizioni: sotto/sopra, destra/sinistra.

Es. ‘Qui si soffoca’ vale sia in questo luogo in cui


trova il parlante sia nel momento in cui il
parlante proferisce l’enunciato. La deissi
temporale e spaziale è interdipendente.

I verbi deittici esprimono un’idea di movimento


orientato rispetto al parlante (Es. Vieni anche
tu). Indicano avvicinamento verso il parlante o
insieme al parlante (Es. Vai anche tu) indica un
orientamento divergente e indipendente dal parlane. Le espressioni asteriscate non rispettano il significato
deittico di questi verbi che hanno in sé l’idea dell’allontanamento/avvicinamento dal/al parlante.
Molto importante. Parlante come centro
deittico, mittente del messaggio da cui
sono distinti i riceventi e i partecipanti
terzi.

La deissi personale viene espressa dai pronomi personali.

Io e tu: intrinsecamente deittici

Lui, lei, loro: sono anche anaforici, cioè sono riferiti ad individui assenti.

Costituta dagli elementi che manifestano il tipo di


relazione sociale che governa il rapporto tra
l’interlocutore dell’evento comunicativo. Concerne
la codifica delle differenze sociali sia in ordine e
ruoli dei partecipanti sia in ordine alla particolare
configurazione delle relazioni che regolano l’istanza
emissiva e ricettiva. Es. utilizzo dei pronomi di
cortesia o l’impiego di titoli per rivolgersi a qualcuno
(onorifici) che in alcune lingue, soprattutto
asiatiche, sono molto numerosi e grammaticalizzati.
Stabiliscono distinzioni tra le posizioni sociali.

Costituita dall’insieme delle


espressioni attraverso le quali il
parlante fa riferimento al discorso
stesso. Nel discorso fa riferimento al
discorso. Natura meta-testuale, per
aiutare l’ascoltatore nella
comprensione del testo. Vengono
impiegati degli elementi testuali o
grammaticali che si riferiscono a
qualche aspetto del discorso, sono
ancorati alla posizione dell’enunciato
nel discorso in corso (Es. Nel capitolo/paragrafo precedente. Sopra, prima ecc.).

Non ci riferiamo al punto in cui si trova il parlante, o lo spazio corrispondente, ma nel punto a cui
corrisponde il testo. Il centro deittico non è il punto fisico del parlante ma il luogo/tempo del testo.
‘Scommetto che questo brano non lo conosci’, questo è un deittico spaziale. Se dico ‘Prima abbiamo parlato
di Kant’, prima è un deittico temporale.

20.03.2021

Riportiamo un altro esempio sulla deissi.

Questo è un enunciato che ha bisogno di


essere contestualizzato per comprendere il
significato che vuole veicolare chi lo sta
enunciando. Un termine strettamente
collegato ai deittici è, per esempio, “oggi”, e
l’idea di essere americano si àncora ad un tempo specifico: ha un ancoraggio deittico. La pausa
rappresentata dalla virgola rafforza l’idea che l’affermazione sia appropriata limitatamente a quel preciso
lasso di tempo. Il sentimento espresso dalla giornalista deriva dall’elezione di Obama appena avvenuta, è
quindi collegata ad un qui ed ora.

Questo estratto è tratto da una


polemica sull’antipatriottismo tra il
presidente tedesco Rau e il segretario
democratico, che si era detto
orgoglioso di essere tedesco. Il
ministro dell’ambiente Meyer
sosteneva che così dicendo e facendo
faceva il gioco dei naziskin. L’allora
presidente Rau, scomparso nel 2006,
viene accusato di antipatriottismo.
Ciò che è d’interesse per noi è
l’argomento portato contro la
dichiarazione di Meyer contro Rau.
Rau dà una definizione: “si può essere orgogliosi solo di qualcosa che si è raggiunta con le proprie forze”.
Introduciamo, a questo proposito, il concetto di PREDICATO DI ATTEGIAMENTO PROPOSIZIONALE. Il
parlante che usa un predicato di questo tipo esprime un atteggiamento rispetto ad uno stato di cose
espresso da una data preposizione (P). Quindi il parlante è deluso dalla proposizione P. L’inferenza deriva
dal fatto che tengo presente i contesti, e da questa conoscenza deriva la conoscenza di altri aspetti non
immediatamente visibili all’interno dei diversi enunciati. Sono aspetti sociali, culturali, politici nelle cui
situazioni questi enunciati sono pronunciati. Bisogna anche capire se rispetto alla situazione in cui vengono
pronunciati essi possono ritenersi appropriati: questo ci porta alla pragmatica, mediante una serie di catene
inferenziali.
La presupposizione circa la natura di conseguimento personale della proposizione in tedesco è molto
marcata. Per poter affermare di essere orgoglioso di qualcosa è ancora più necessario l’aver contribuito a
realizzarla. Chi pronuncia un enunciato di questo tipo, diventato slogan di un partito politico, deve far
capire a chi lo pronuncia se parla a nome di sé stesso, rinnovando anche il senso attribuito all’enunciato,
oppure se parla a nome di più persone. Deve dunque segnalare il ruolo di partecipazione che intende
adottare rispetto all’enunciato. È importante stabilire che da un lato ci sono i fatti semantici, che sono
interni alla lingua, e i fatti sociologici, pragmatici, legati alla cultura ed esterni alla lingua. Dobbiamo vedere
come queste diverse prospettive siano intrecciate fra loro. Il testo si “costruisce”, si interpreta sulla base di
un riferimento ideologico, storico e sociale che in quel momento non è visibile, se non mediante alcuni
elementi deittici. La pragmatica è ciò che mi fa capire che in quel contesto d’uso, dire “sono orgoglioso di
essere tedesco” è un’affermazione nazionalista. La pragmatica è ciò che mi fa capire perché Rau non può
accettare quell’affermazione, mentre Mattarella potrebbe, senza essere accusato di essere fascista.

Attraverso questo ragionamento,


possiamo riferirci al fatto che non esistono degli universali a livello analitico dei predicati degli
atteggiamenti proposizionali. Nella concezione di Caffi, la trappola della filosofia analitica smonta questi
predicati come se fossero entità algebriche e vede il loro costituirsi attraverso micro-tratti costituiti come se
fossero avulsi da qualsiasi contesto. Non esistono atteggiamenti proposizionali validi a livello assoluto. Una
lingua, nei suoi registri, rende un enunciato non solo più o meno accettabile pragmaticamente, ma anche
una gaffe sul piano culturale e politico; agisce poi sull’accettabilità semantica dell’enunciato, quindi a livello
del suo significato. Esiste una relazione imprescindibile tra lingua e cultura, è uno degli assunti fondanti
della pragmatica. Gli atti linguistici si intendono diversamente a seconda di lingue e culture diverse. La
pragmatica si occupa di una lingua immersa nella sua cultura. Saper usare una lingua significa anche saper
stare al mondo.
Caffi ci propone uno schema sui diversi modi di concepire un sistema linguistico. Ci sono due paradigmi
fondamentali: paradigma formale e paradigma funzionale. Questa è una semplificazione, ma ci aiuta a
capire quale può essere il nostro orientamento. La prima domanda è come definire una lingua (sia secondo
il paradigma formale che secondo il funzionale: vedi schema). La semantica è subordinata alla pragmatica, e
la sintassi alla semantica, per semplificare (d). L’approccio pragmatico è quello che ci interessa di più, e Caffi
si chiede cosa bisogna fare per renderlo operativamente utile. Nell’ottica pragmatica ci interessa saper fare
oltre che saper dire. Il tipo di parlante ideale ci interessa poco, ci interessa il partecipante di un dato gruppo
che sa fare delle cose, sa agire in modo efficace (si passa dalla grammaticalità ad un agire corretto, felice,
efficace).

Avendo a che fare con una


molteplicità di situazioni, le
variabili da considerare sono
diverse. Non si può fare una
formalizzazione elegante come
avviene nella linguistica teorica,
ma possiamo produrre descrizioni
quanto più adeguate, cioè vicine
a ciò che le persone stanno
dicendo in un dato contesto.
Questi aspetti si ricollegano
all’ETNOMETODOLOGIA, una
corrente della
MICROSOCIOLOGIA, che
nasce in America. Un
esponente che studia la realtà sociale e quindi come gli individui comunicano nella loro quotidianità sociale
è il micro-sociologo Goffman, che descrive l’evento comunicativo come una scena quotidiana attraverso cui
si perpetua l’ordine sociale, osservando che le persone si mettono in scena. La sua categoria più famosa è
quella di “faccia”, che si innesta sull’idea che ciascun parlante ha un territorio da difendere. Nella
competenza pragmatica ci si occupa della competenza comunicativa (Hymes), e ci sono anche altri elementi
che intervengono nella scena comunicativa. Un modo interessante per concettualizzare ciò che sappiamo
sul mondo è la nozione di frame, che è un concetto più esteso e riguarda il modo in cui le nostre
conoscenze sul mondo agiscono nei processi di comprensione dei messaggi linguistici 8esempi di frame
sono un acquisto, un’udienza, un’intervista, una lezione, ecc.). Gli script sono delle rappresentazioni fisse
della conoscenza di eventi ordinati secondo una sequenza temporale, e influiscono sui processi di
comprensione dei messaggi linguistici, permettendoci di colmare le lacune di comprensione.

La pragmatica linguistica è stata fondata e sviluppata da filosofi (in particolare quelli citati nel titolo) che
hanno messo in evidenza ciò che i linguisti non avevano compreso, cioè che la lingua è azione. La priorità
assoluta è stata data da Aristotele al linguaggio apofantico, cioè lo stabilire la verità op la falsità di
un’asserzione. Austin è il primo ad aver iniziato una teoria degli atti linguistici. Per superare il privilegio dato
ai filosofi all’asserzione, quindi la fallacia descrittiva, Austin si occupava di demolire la concezione positivista
della lingua secondo la quale le basi della comprensione degli enunciati sono le concezioni di verità, e fonda
la lingua come azione (dimensione azionale del linguaggio: il linguaggio fa delle cose).
Fare cose con le parole significa che quando enunciamo qualcosa, stiamo compiendo un atto, svolgendo
un’azione, che non sempre è immediata, ma dipende dal contesto.

Qui elencati vi sono degli atti linguistici


e la loro possibile interpretazione.

Quando si vuole protestare, si può fare in varie maniere, non


c’è un modo univoco di usare il linguaggio. Inserendo questi
esempi in un contesto determinato, si può veicolare lo stesso
atto linguistico, cioè agire in un modo particolare all’interno di
un’interazione.

Ritornando al concetto di lingua come azione, la priorità era sempre stata data al linguaggio atto a
determinare la verità o falsità di una frase. In realtà, è importante capire come questo modo di concepire
ciò che viene proferito da un atto linguistico contrasta con l’idea di poter descrivere gli enunciati allo stesso
modo, o comunque di adottare una descrizione univoca. Caffi riporta l’esempio di un cartello con scritto
“VIETATO FUMARE”. È difficile rispondere alla domanda “questo enunciato è vero o falso?”, poiché non si
tratta di un’affermazione, sebbene possa essere descritta sintatticamente. Di un divieto non ha senso dire
se è vero o falso. La domanda da porsi è “si applica o no questo divieto?”. L’affermazione va distinta
dall’attività pragmatica, che è un’attività deontica in questo caso (implica cioè un divieto). Ciò ci porta
all’atto performativo (quando enuncio qualcosa, io la sto facendo. Quindi dicendo VIETATO FUMARE
determino un cambiamento al comportamento dei parlanti).
Con LO VOGLIO ci impegniamo a volere una cosa, quindi
stiamo compiendo un’azione.

Ci sono tre atti, secondo Austin, che vengono compiuti


simultaneamente nel momento in cui vi dice qualcosa. Non
c’è un atto che precede l’altro, sono istantanei ed inseparabili. Tali atti sono l’ ATTO LOCUTORIO, l’ATTO
ILLOCUTORIO e l’ATTO PERLOCUTORIO.

L’atto locutorio è l’azione fonatoria che si compie enunciando qualcosa. Quando voglio agire tramite il
linguaggio devo formulare un qualcosa avvalendomi delle regole grammaticali.

Il secondo atto, quello illocutorio,


che corrisponde alla forza del mio
enunciato, non solo al suo
significato (es. “lo voglio” è un
enunciato che ha una forza, vale
come promessa).
I tempi verbali, il tono della
voce e l’enfasi sono indicatori
della forza che i parlanti
pongono nell’enunciato che
stanno formulando.

23.03.2020

Ci sono vari indicatori che ci fanno comprendere con quale atto linguistico abbiamo a che fare. I verbi
illocutori sono, per esempio, il verbo suggerire, e le espressioni sono, per esempio, per favore. Capisco che
se uso il futuro mi posso trovare di fronte ad una promessa (es. Lo farò). Poi ci sono indicatori prosodici,
che si riferiscono al tono della voce (chiudila-> invito, supplica o anche sfida). Il tipo di atto illocutorio,
quindi, spesso dipende da aspetti non convenzionali, legati al contesto. Claudia Caffi e Maria Corti hanno
individuato tre tipi di indicatori di forza illocutoria (elencati nelle slide). La prosodia gioca un ruolo
fondamentale negli enunciati (tono discendente, se affermativo, o ascendente, se interrogativo). Anche i
gesti contribuiscono a farci capire di che atto stiamo parlando.

John Searle fu allievo di Austin e Grice,


nel periodo degli anni 60, in cui
predominava la grammatica generativa
di Chomsky (competenza linguistica dei
parlanti). Su influenza del generativismo,
Searle propone una revisione delle idee
di Austin tramite una caratterizzazione
più linguistica degli atti linguistici.
Avanza una critica alla tripartizione
austiniana degli atti linguistici. Ogni atto
linguistico è costituito da una
proposizione che a seconda del contesto può essere proferita con una forza (f) illocutoria.

Quando esprimiamo una proposizione eseguiamo un certo tipo di atto linguistico (atto enunciativo di
Searle).
I cinque enunciati vogliono veicolare
più o meno lo stesso messaggio, sono
tutte richieste, ma differiscono per la
forma (dall’esplicito all’implicito, per
gradi). Un parlante con L1 diversa dalla
nostra farebbe più fatica a
comprendere la frase 5 rispetto alla 1 o
alla 2. Entra in gioco la dimensione
dell’intenzionalità (mi aspetto che
l’interlocutore comprenda ciò che
intendo, o sottintendo).

Il significato in questo caso è diverso dall’uso del significato, affinché il ruolo del parlante venga
riconosciuto è essenziale la conoscenza del contesto, attraverso il quale il parlante comunica molto più di
quanto enunci.

“Sei sordo?” non corrisponde a ciò


che il parlante intende, perché si
sottintende che dovrebbe
abbassare, per esempio, il volume
della TV o della voce. L’atto locutivo
non coincide con quello illocutivo, il contesto gioca un ruolo essenziale.

Secondo Searle, un atto illocutorio viene realizzato indirettamente attraverso l’esecuzione di un altro atto.
L’indicatore linguistico (la prosodia) va nella stessa direzione della forza illocutoria, perché se indico con
forza una certa prosodia (intonazione), per me è un indicatore linguistico che mi dice che la forza illocutoria
è proprio quella. Mentre con un atto indiretto, gli indicatori linguistici vanno in una direzione, mentre la
forza illocutoria in un’altra. Quando la discrepanza non è immediata, si fa riferimento al concetto delle
implicature. (Pupoi passarmi il sale?-> gli indicatori linguistici e prosodici, come quello intonativo, ci fanno
capire che si tratta di una richiesta, ma lo sappiamo per convenzione, perché non si tratta di una curiosità
sulle abilità di una persona di passarci il sale. C’è un percorso inferenziale da fare).

Questo enunciato ha la
forma del divieto, ma è
indiretto, perché è espresso
sotto forma di
constatazione (in italiano e
in inglese, mentre per il
francese è espresso sotto
forma di divieto). Il
fallimento pragmatic ,
invece, consiste nel non
riuscire ad usare un’espressione inserita in un determinato contesto.

La scelta del modo in cui esprimo ciò che dico dipende dal contesto.
Ogni cultura si dà delle norme di
comportamento (paralinguistica).

seconda della situazione posso modulare gli atti linguistici facendo scelte riguardo alle strutture linguistiche.

Searle insiste molto sul significato come intenzione, seguendo Grice, ma allontanandosi dall’idea di
convenzionalità.
Grice vuole sottolineare l’aspetto razionale della comunicazione. Se sono un meccanico e devo ripararti la
macchina, ho bisogno che tu mi dica cos’ha la macchina (principi di razionalità presenti anche in altre forme
dell’agire umano). C’è un aspetto semantico, di espressione e referenza semantica, e un aspetto
psicologico, che è fondamentale e che riscontriamo anche in Austin.

Grice opera una distinzione tra significato naturale e non naturale. Il significato implica la verità dello stato
di cose.
Non c’è nessuna intenzione o azione
umana, il significato naturale risiede
nelle conseguenze naturali a prescindere
dalle intenzioni.

Il significato non naturale, invece, è


intenzionale. Questa è la differenza
fondamentale tra le due accezioni di
significato fornite da Grice.

Searle si chiede come avvenga il


riconoscimento dell’intenzione
comunicativa. Esiste un significato ed
esiste un uso che io faccio di quel
significato. Il significato intenzionale è
un concetto importante e complesso.
La produzione intenzionale di un
essere umano ha effetti su altri esseri
umani, con l’augurio che siano chiari.

Il destinatario deve riconoscere non


solo quello che dico, ma anche che
con ciò che dico io voglio produrre un
determinato effetto.

26/03/2021
Il primo enunciato riceve una risposta coerente che
esprime l’impossibilità di andare a Roma a causa
della mancanza di un mezzo di trasporto. È una
risposta negativa. È importante in questo caso che
l’intenzione del parlante sia riconosciuta
dall’interlocutore. Deve esserci un riconoscimento
dell’intenzione comunicativa, solo in questo caso la
comunicazione ha successo.

Il tempo dedicato allo studio non della possibilità di


fare un’altra attività. La risposta è quindi coerente
rispetto agli esempi successivi.

Il problema dell’implicito è stato oggetto di studio della


ricerca pragmatica e la ricerca di Grise è molto
importante perché è la prima volta che si parla in una
maniera più sistematica del non-detto. Il significato del
parlante (ciò che si intende non corrisponde a ciò che si dice) si può calcolare:

Distinguere il significato non-naturale da quello naturale non è il


concetto di convenzionalità ma quello di intenzionalità. Il
significato convenzionale è una caratteristica delle parole che il
parlante può sfruttare per realizzare le intenzione. C’è una
interazione tra il significato convenzionale e il contesto.

Elementi che determinano la situazione di


produzione dell’enunciato.
Con Grice si introduce il concetto di implicatura. Ci sono due tipi: il concetto di implicatura conversazionale
od occasionale è quella di nostro.

in qualche modo io devo capire che tutto quello che viene


detto dal parlante è qualcosa che deve essere compreso.
Si deve dare per scontato che ciò che il mio interlocutore
ha detto è qualcosa di rilevante per lo scambio
comunicativo. Se non capisco immediatamente, devo
cercare, attraverso una serie di passi inferenziali e
ragionamenti complessi, di rintracciare quello che
significa. La teoria di Grice è sul modo in cui si usa la
lingua tra agenti azionali che inducono credenze d’azione nei destinatari che cooperano allo scambio
stesso. Considerazioni razionali guidano la condotta della conversazione inteso come un caso speciale di
comportamento finalizzato si negli aspetti verbali che non verbali. Il contributo alla conversazione deve
adeguarsi allo scopo che i due parlanti condividono e rispettare lo scambio comunicativo. Stiamo parlando
del conosciuto Principio i Cooperazione.

La questione è che le problematicità dietro questo principio sono che non sempre esso può essere
rispettato. Però queste sono le regole
interiorizzate per l’interazione intesa come
impresa razionale di cooperazione e naturalmente
il principio di cooperazione si può anche non
rispettare nel senso che si può uscire
volontariamente evitando di dire qualcosa (Es.
Dicendo ‘Non lo so’ quando viene chiesto qualcosa) come normalmente succede in un’interazione non
conflittuale ma cooperativa e razionale, però si può anche rispettare il principio violando alcune massime in
cui si articola il principio stesso.

Quantità: Mi aspetto che il contributo sia quello richiesto.


Relazione: Mi aspetto che il contributo sia appropriato alle
esigenze di ciascuna fase della comunicazione.
Modo: breve, ordinato nell’esposizione, non oscuro.

Quando queste massime non vengono rispettate gli ascoltatori cercano un livello più profondo. Ad un
livello superficiale la cooperazione può sembrare non rispettata. Nel livello più profondo il principio di
cooperazione viene comunque rispettato perché è possibile che il mio interlocutore, anche se io sto
violando una massima, possa recuperare il significato. Possiamo inferire il significato di un enunciato che il
parlante non esplicita bene tramite l’implicatura. Essa scatta nel caso in cui noi stiamo rispettando il
principio di cooperazione ma violiamo una massima.

Io so che il mio interlocutore mi vuole dire qualcosa e


quindi devo sforzarmi a trovare il significato.

nonostante l’apparente incoerenza, cioè la violazione


di una massima, comunque si suggerisce di
cogliere un’intenzione che va oltre il significato
convenzionale e letterale che cogliamo come
ambiguo.

la
condizione base della comunicazione che Grice considera
necessaria ma non sufficiente è il principio i cooperazione che è
iper-ordinato rispetto alle massime. Queste massime sono
proiettate su uno sfondo idealizzato e sono violate nella
quotidianità. Si comprende la violazione perché sullo sfondo ci
sono le massime. Grice parla di violare le massime e anche di
uscire dal piano della conversazione mostrando
l’intenzione di non voler cooperare nel modo nella massima.
Esco dal piano della conversazione. Posso girare e burlare la norma per ottenere alcuni effetti come ironia e
sarcasmo.

Aggiro la massima consapevolmente perché non mi voglio


esporre. L’analisi di Grice sulla violazione delle massime si
ricollega agli atti linguistici indiretti. Es. ‘Fa freddo qui
dentro’ è un enunciato per chiedere indirettamente a
qualcuno di chiudere la finestra. È un atto illocutorio
letterale è una affermazione, ma l’atto illocutorio inteso è indirettamente una richiesta. Il meccanismo è
anche descrivibile nei termini di Grice, cioè in termini di implicatura perché anche un caso del genere
l’interlocutore tiene fermo il principio di cooperazione e deve, sulla base del principio di comunicazione, è
come se producesse una serie di inferenze secondo lo schema di ragionamento proposto da Grice. Il
principio di cooperazione è fondamentale, non è un principio etico o una buona condotta conversazionale
per un comportamento conversazionalmente corretto ma un dispositivo che rispecchia l’adattamento che
noi parlanti abbiamo alle soluzioni e cerca di spiegare cosa facciamo. L’idea che ci sia un conflitto fra le
norme è abbastanza naturale, perché un parlante a volte non può soddisfare una massima senza violarne
un’altra.

Non è chiaro se una massima sia stata violata. Si


deve implicare che il distributore sia aperto.
Anche nel secondo caso sembra essere stata
violata la massima del modo, ma in realtà rispetto al fatto che non ho una risposta precisa sto comunque
cooperando dicendoti qualcosa che potrebbe soddisfare la tua domanda.

Secondo Grice c’è una sorta di conoscenza


condivisa, io riesco a recuperare quello che
effettivamente qualcuno vuole dire.

Ci sono anche altre regole che assicurano uno scambio di informazione e perseguimento degli scopi.
non è un caso che l’implicatura si riferisca ad una
implicatura occasionale che ha la sua origine dal
contesto della conversazione. È importante
distinguere tra l’implicatura convenzionale (data
indipendentemente dalla situazione e dal fluire del
discorso) e l’implicatura conversazionale che dipende
dalla conversazione.

È frutto di un ragionamento. Chi ascolta deve


comprendere che l’informazione che riceve in forma
esplicita non soddisfa le esigenze della conversazione
e quindi deve cercare di recuperare deduttivamente il
contenuto implicito di cui la stessa informazione
difetta. La parte mancante viene ricostruita a partire
dalla violazione di una massima. Devo cercare i motivi
di questa violazione arrivando all’implicatura conversazionale, cioè il non-detto del parlante. Ci sono due
tipi di implicatura:

Il primo esempio è frutto di un’ipotesi. Si


segnala un rapporto di consequenzialità
come implicatura convenzionale che però
ci viene data proprio dalla congiunzione. È
un’implicatura convenzionale perché
convenzionalmente questa congiunzione
porta a questo tipo di deduzione. Anche
nel secondo caso, il valore del termine
usato e ha un valore convenzionale che non può essere cambiato.

L’implicatura conversazionale dipende dal


ragionamento e ciò che contribuisce alla mia
deduzione. L’implicatura non dipende dall’uso
dei termini ma da un ragionamento più
complesso e che è legato alle circostanze
dell’enunciazione. È deducibile anche dal
principio generale che regola l’uso del linguaggio.
C’è effettivamente una presunzione di fedeltà a
questo principio.

27.03.2021

In questa lezione faremo un accenno agli atti linguistici e alla loro classificazione proposta sia da Austin che
da Searle.

Partendo dalla nozione di atto


linguistico ci avvieremo a
considerare la prospettiva pratica
dei fatti linguistici e a considerare
più da vicino le due sotto aree
della pragmatica:
pragmalinguistica e socio
pragmatica.

La nozione di atto linguistico ha


giocato un ruolo importante nella formazione della pragmatica linguistica contemporanea e nel diffondersi
di pratiche del discorso attente agli aspetti operativi del linguaggio. La sua influenza sul modo di favorire la
comunicazione ha incentivato il passaggio da una nozione di comunicazione basata sulla codifica,
trasmissione e decodifica del messaggio, in cui emittente e destinatario del messaggio sono semplici
terminali del processo meccanico, ad una nozione che mette in primo piano le intenzioni comunicative del
soggetto parlante. Oltretutto, come passo ulteriore, ha contribuito a promuovere una concezione
interazionale della comunicazione, per cui questa è resa possibile dall’agire interconnesso dei soggetti
coinvolti. La teoria degli atti linguistici, considerando il proferire di enunciati come il compiere atti,
considera la produzione di parole o di frasi come esecuzione di atti linguistici e pone l’atto linguistico come
unità della comunicazione linguistica.

CLASSIFICAZIONE DEGLI ATTI LINGUISTICI

La classificazione degli atti linguistici è proposta puntando l’attenzione su due idee principali. La teoria degli
atti linguistici può essere caratterizzata in base ad esse, che sono:
Gli enunciati possono avere, ad esempio, forma di enunciati dichiarativi, ma se pronunciati in circostanze
particolari, non riferiscono né descrivono qualcosa, ma eseguono un atto.

Gli enunciati performativi sono quindi caratterizzati dall’uso del presente indicativo attivo, che è
asimmetrico rispetto alle altre persone e tempi del modo indicativo dello stesso verbo, l’uso dei quali
costituirebbe semplici descrizioni o resoconti. I verbi che alla seconda persona dell’indicativo attivo possono
essere usati per formare enunciati performativi vengono chiamati proprio VERBI PERFORMATIVI.

Senza una esemplificazione della gamma di atti linguistici locutori, la nozione di atto illocutorio rimane
vuota di contenuti, quindi bisogna fare una distinzione di cosa possa essere considerato nel linguaggio un
atto illocutorio e quale no. Bisogna vedere anche quali differenziazioni interne la classe di atti illocutori può
contenere.

La prima classificazione è fornita da Austin, che considera come una semplice ricognizione provvisoria.
Delimita il campo degli atti illocutori, considerando come esecuzioni esplicite di atti illocutori tutti i verbi o
locuzioni verbali alla prima persona del presente, che presentano la caratteristica dell’asimmetria della
prima persona rispetto alle altre. In secondo luogo, suddivide queste esecuzioni esplicite, e con esse gli atti
che eseguono e che dovrebbero essere eseguiti anche implicitamente, in cinque classi, individuando e
descrivendo cinque prototipi di azione linguistica illocutoria intorno a cui si articolano molti casi ambigui e
marginali.

La classificazione comprende:

La caratteristica saliente dei verdettivi è quella di essere valutati veri, falsi, equi o iniqui.

Gli esercitivi consistono nel dare un sostegno a favore o contro un certo corso di azione. La caratteristica è
presupporre che il parlante abbia diritti o doveri.
I commissivi consistono nell’impegnarsi di un parlante in un certo tipo di commissione o comportamento.

I comportativi costituiscono reazioni o espressioni di atteggiamenti nei confronti del comportamento e


delle sorti di persone. Sono particolarmente vulnerabili all’insincerità. Hanno a che fare con le reazioni del
parlante.

Gli espositivi costituiscono una classe trasversale rispetto alle altre, che riunisce atti che appartengono
anche alle precedenti. Corrispondono ai modi in cui gli enunciati si adattano ad un’argomentazione o
conversazione.

La classificazione secondo Searle, che critica Austin, ritenendo che avesse classificato più verbi che atti, e
riscontrando la mancanza di criteri generali, mira a definire le sue classi in modo che si eliminino casi
ambigui. Propone per questo una classificazione che innanzitutto ha dei criteri. Questi criteri costituiscono
in primo luogo lo scopo illocutorio. Per esempio, in un ordine, lo scopo è di far fare qualcosa
all’interlocutore, in un’asserzione, lo scopo è dare una rappresentazione della realtà.

Un altro parametro sono le differenze relative alla direzione del vettore d’adattamento tra parole e mondo.
Nelle asserzioni, che sono atti rappresentativi, si adatta il contenuto proposizionale (le parole) alla realtà,
mentre in una richiesta si vuole adattare il mondo alle parole. Altro parametro sono le differenze relative
agli stati psicologici espressi. Chi spiega, asserisce, ed esprime la credenza del parlante. Chi richiede, ordina,
esprime un desiderio.
I rappresentativi o assertivi impegnano il parlante alla verità della proposizione espressa. Hanno una
direzione di adattamento dalle parole al mondo, esprimono credenze, quindi in questo caso lo scopo è
impegnare il parlante all’effettivo darsi di qualcosa.

I direttivi costituiscono un tentativo di far fare qualcosa a qualcuno. Sono tentativi di diverso grado del
parlante di indurre l’interlocutore a fare qualcosa.

I commissivi hanno lo scopo di impegnare il parlante ad assumere un certo comportamento futuro


(promessa).

Gli espressivi esprimono stati interiori del parlante, non hanno particolare direzione di adattamento, perché
presuppongono gli stati di cose cui verte il loro contenuto proposizionale. Riguardano lo stato psicologico e
le circostanze specifiche di ciò che viene proferito.
I dichiarativi introducono nuovi stati di cose nel mondo e hanno una doppia direzione di adattamento (sia
dalle parole al mondo che dal mondo alle parole).

L’applicazione della teoria degli atti linguistici ha studi di carattere empirico. Quando andiamo a verificare e
ad applicare questa teoria ad esempi realizzati con reali contesti d’uso invece che con esempi costruiti, ci si
pongono davanti aspetti poco chiari degli atti linguistici. Diversi studi definiscono gli atti linguistici in
maniera più ampia, cioè come la consapevolezza del parlante come agente, e pongono in particolar modo
in evidenza l’importanza di una situazione completa dell’enunciazione nell’interpretazione degli atti
linguistici un’importanza che viene trascurata nell’impostazione searliana dell’atto linguistico, che è
considerata come astratta e isolata. Il legame profondo tra atto e contesto di enunciazione si intreccia con
un altro aspetto che viene trascurato da Searle. Gli esempi che facciamo sono il valore convenzionale di un
atto di scuse (la giustificazione del parlante nell’esempio 1), mentre nell’esempio 2 il parlante intende
effettivamente sincerarsi che nulla impedisca all’interlocutore di accompagnarlo a casa.

La forza di un enunciato è frutto dello scambio comunicativo che avviene tra i partecipanti, mentre la
concezione atomistica di Searle tende ad ignorare il ruolo dell’interlocutore nell’atto linguistico.

La pragmatica si fa carico
anche dello studio del
linguaggio in relazione alle
condizioni sociali dei parlanti,
e dunque occuparsi della
funzione del discorso come
forma di pratica sociale.
Dobbiamo approfondire
perciò in una direzione sociale il discorso come terreno di sperimentazione per la comprensione e l’analisi
dell’interazione verbale vista dalla parte dei parlanti e di ciò che essi intendono fare e disfare con l’atto del
parlare. Una concezione della struttura linguistica ma anche della sua attuazione concreta legata anche agli
aspetti sociali e contestuali del discorso, che ci fa situare la pragmatica in uno spazio diverso della struttura
della lingua come noi la conosciamo, fatta di sottostrutture (morfologia, sintassi, fonologia e semantica).
L’utilizzo della lingua avviene sempre in un contesto sociale che non è ristretto al momento specifico di una
particolare interazione, ma è connesso all’organizzazione sociale della realtà, quindi è da considerare la
cultura di una società.

Abbiamo quindi
l’orientamento verso una
integrazione dei progressi
sociali all’interno della
pragmatica in relazione alla
struttura verbale della
lingua, che richiede uno
sforzo interdisciplinare fra
la sociolinguistica, in cui
sono inclusi riferimenti ad
altre discipline come la psicologia sociale, e la pragmatica. la pragmatica è al crocevia di una teoria cognitiva
e sociale della comunicazione, e quindi l’uso di una lingua ha sempre luogo nel contesto di una situazione
sociale, e la nozione di contesto viene anche estesa ai contenuti degli stati mentali dei parlanti, includendo
la dimensione cognitiva dell’interazione. La domanda pragmatica per eccellenza non è ciò che un enunciato
significa, ma la motivazione che sta dietro (perché si produce un enunciato?).

La prospettiva pragmatica ha
il suo focus nell’adattabilità
del linguaggio, che è una
proprietà fondamentale che
rende capaci gli individui di
impegnarsi nell’attività
comunicativa e che richiede
di compiere delle scelte, in
stretta correlazione con i
bisogni e le credenze delle
persone e delle circostanze in
cui le persone interagiscono.
Quando comunichiamo
adattiamo ciò che esprimiamo a fattori che ci interessano molto da vicino (che hanno a che fare con quello
che noi pensiamo), e a fattori esterni legati al contesto o ai nostri interlocutori. Questo lo possiamo fare
proprio perché abbiamo in gioco il concetto di variabilità della lingua, connessa all’esistenza. Ci sono aree di
vaghezza all’interno dell’espressione linguistica che sono il risultato e il presupposto della dinamicità,
possibilità di mutare nel tempo, adattarsi alle esigenze delle varie situazioni (lingua come qualcosa che
muta).

Variabilità e adattabilità entrano in gioco nell’interazione verbale, quindi nella presenza di un oggetto cui è
rivolto un atto comportamentale. Variabilità e regole della grammatica contribuiscono entrambe a costruire
l’essenza del comportamento umano e della lingua. Da un lato ci sono le regole della lingua che fissano il
comportamento linguistico in modo che non ci sia spazio per la variazione, e dall’altro c’è la variabilità dei
comportamenti verbali che emerge prepotentemente come tratto che non può essere eluso nella lingua, e
quindi la conversazione diventa uno strumento essenziale d’indagine dell’uso linguistico. Diventa il luogo in
cui è possibile osservare le strategie che i parlanti mettono in atto nel tentativo di individuare tra le varie
possibilità quella che il parlante intendeva che l’ascoltatore elaborasse. A volte l’esito di questo tentativo
non è positivo perché non ci capiamo, interpretiamo male o parzialmente il messaggio, ma è proprio questo
che giustifica la messa in primo piano dell’adattabilità come fulcro dell’osservazione pragmatica. Gli oggetti
dell’adattabilità del linguaggio sono rappresentati da ciò che costituisce un’interazione, da componenti che
caratterizzano lo scambio interazionale.

Il parlante cerca, tramite le scelte linguistiche, di


produrre degli effetti comunicativi nel suo
interlocutore, che a sua volta condiziona il parlante
con le sue credenze, i suoi desideri e le sue
intenzioni.

La pragmatica si colloca all’intersezione tra lingua e cultura in quel territorio dove i comportamenti
linguistici si interfacciano con le norme culturali. Queste due dimensioni hanno originato due filoni distinti
di ricerca, identificati con la PRAGMALINGUISTICA e la SOCIOPRAGMATICA. Questo approccio
interdisciplinare permette di ampliare ed estendere gli orizzonti della pragmatica e di inglobare la nozione
di lingua come mezzo attraverso cui si dispiegano le azioni umane. L’uso del linguaggio come
comportamento sociale, quindi, ci porta a considerare quale elemento distintivo della socio pragmatica la
relazione di interdipendenza tra forma linguistica e contesto socioculturale. Questa interdipendenza si
realizza mediante la variazione che i parlanti attuano in relazione alle differenti situazioni in cui l’evento
linguistico si realizza. La socio pragmatica è un’interfaccia sociale della pragmatica ed è relativa alle
percezioni sociali sottostanti l’interpretazione e la realizzazione dell’azione comunicativa.

La PRAGMALINGUISTICA, invece, l’altra sotto area della pragmatica, e concerne l’insieme degli elementi
linguistici che hanno la funzione di modificare un enunciato in relazione al contesto. Sono le risorse
disponibili per modificare pragmaticamente una espressione e quindi per rendere questa espressione
diversa (diretta, indiretta, ecc.).
Per dire la stessa cosa noi possiamo esprimerla in
modi diversi. In un caso per mitigare una richiesta
posso presentarla come lontana dalla realtà, come
ipotesi (se ti chiedessi di sposarmi?), oppure esporla
in maniera diretta (vuoi sposarmi?-> è sempre un atto
indiretto, ma meno del primo). Sono rappresentazioni
diverse della stessa forma illocutiva, che hanno una
forza diversa perché i parlanti hanno scopi diversi e
perché le situazioni in cui le enunciano sono diverse.

30.03.2021

L’autore che ci presenta questa


distinzione è Thomas, che scrive su ciò
nel 1983, dicendoci che la
pragmalinguistica è l’utilizzo di forme
linguistiche, mentre la socio
pragmatica riguarda il comportamento
sociale adeguato. I parlanti sono consapevoli del fatto che le forme che scelgono non è a volte esattamente
ciò che un parlante non nativo di quella lingua si aspetta di ascoltare. Se utilizzo un formula per esprimere
un rifiuto dicendo “Non posso”, va comunque bene. Tuttavia, quando si rifiuta un invito, possiamo scegliere
tra una varietà linguistica e un'altra, molto diversificate tra loro (grazie, ma davvero non posso; mi dispiace
ma ho già un altro impegno, non so devo pensarci, eccetera). La conoscenza socio pragmatica include la
conoscenza di quali espressioni siano appropriate e quali no in una determinata L2.

Lingue diverse fanno delle scelte di esprimere atti linguistici uguali in situazioni diverse.

Gli atti linguistici si


realizzano
indipendentemente a
seconda della lingua
in cui stiamo
parlando. Ci sono
delle risorse diverse
che ogni lingua ha a disposizione. Per non incorrere nel fallimento pragmatico, bisogna imparare tali atti in
una lingua che studiamo. May sottolinea nell’estratto che un atto linguistico è valido se inserito nel suo
appropriato contesto. Contesti diversi presentano atti linguistici diversi. La pragmatica trans-culturale
confronta diverse culture mediante l’uso del linguaggio, la pragmatica interculturale si concentra sulle
interazioni tra persone di lingue diverse. Nella prima studiamo i modelli di una singola cultura, nella
seconda parliamo di interazioni tra culture e del modo in cui si interrelano e agiscono tra di loro. La
pragmatica trans culturale considera ogni lingua separatamente e analizza le somiglianze tra le lingue,
mentre la pragmatica trans culturale analizza cosa succede quando due lingue si relazionano. Ciò che
indaghiamo è la produzione del parlato e ciò che i parlanti comprendano degli interlocutori di lingua diversa
quando si usa una lingua franca per la comunicazione.

Il principio della pragmatica interculturale è stato sintetizzato Wierzbichka, che dice che in diverse
comunità le persone parlano in modo diverso e riflettono varie e diverse gerarchie di valori. Ci sono diversi
stili comunicativi che sono resi comprensibili in termini di valori culturali diversi stabiliti in modo
indipendente.

Il processo comunicativo tra culture diverse è sinergico, è una miscela in cui le norme pragmatiche di
ciascun parlante sono rappresentate in una certa misura e sono miscelate insieme nell’interazione.

I parlanti manifestano, nell’interrelazione, somiglianze e differenze, a seconda del contesto.


Le strategie inglesi si affermano dapprima come comuni a tutte le lingue. Studiosi americani hanno poi
acceso un dibattito tra l’universalismo culturale e la relatività i sostenitori della posizione universalistica
sostengono che le modalità sono uguali in tutte le lingue, e muta solo il modo d’uso. Una pragmatica
universalista impone una visione esterna della descrizione delle pratica linguistica, con parametri definiti a
priori. Però chiunque abbia vissuto a lungo in diversi paesi sa che la comunicazione è diversa, e i codici sono
diversi e non sempre sistematizzabili.

L’entità delle differenze tra le diverse


società è spesso sottovalutata nella
letteratura sull’uso della lingua.
Searle e Grice hanno teso ad
assumere che i modi di parlare
dell’inglese americano siano
universali in tutte le società, ma
questa è un’illusione etnocentrica.

La posizione relativista propende per


una stretta relazione tra culture e atti
linguistici diversi, che si radicano in
una data lingua in modo differente rispetto a un’altra lingua. Nella letteratura tende a prevalere questa
posizione relativista. SONO NUMEROSI IN LETTERATURA GLI ANEDDOTI RELATIVI ALL’INCOMPRESIONE
INTERCULTURALE.
La competenza sociopragmatica si riferisce alla conoscenza e alle prestazioni coerenti nelle norme sociali in
situazioni specifiche (come la variazione di cortesia). Qui abbiamo una dimostrazione di come i parlanti
utilizzano le formule linguistiche più o meno dirette per richiedere qualcosa. Il problema sta in come queste
formule simili vengono utilizzate.

L’inglese e il polacco
sottolineano come in
certe culture dominino
valori interpretabili come
richiesta . Questi valori
non si possono
interpretare nel quadro
della cortesia, sebbene la
struttura ricordi quella di
una forma di cortesia.

Le formule inglesi si differenziano dal polacco, lingua in cui non si capisce un “ti andrebbe una birra?”,
perché verrebbe interpretata come una domanda e non come un’offerta. Le convenzioni sociali in Polonia
richiedono che l’ospitante insista affinché l’invitato beva o mangi qualcosa.

Questa espressione
giapponese potrebbe
provocare
incomprensione in uno
studente che non ha il
giapponese come prima
lingua. I giapponesi si
scusano per il disagio che provocano in chi li ospita, mentre noi occidentali sceglieremmo piuttosto di fare i
complimenti per l’ospitalità, piuttosto che scusarci ripetutamente. Non siamo di fronte allo stesso atto
linguistico, ma un diverso valore attribuito alla medesima situazione da parte di parlanti di lingue differenti,
che scelgono di attribuire valori diversi a situazioni simili.
La pragmatica è una cerniera evidente del rapporto tra lingua e cultura, ed è l’area in cui si evidenziano di
più le differenze tra le lingue diverse (e quindi tra le culture diverse).

L’uso della lingua dipende dal tipo di relazione che esiste tra i partecipanti. Uno dei modelli che tenta di
spiegare questi fattori è quello della POLITENESS, cioè della cortesia linguistica, elaborata da Brown e
Levinson, che si ispirano alle teorie del sociologo Goffman. I partecipanti devono rispettare una certa
distanza gli uni dagli altri per non invadere la sfera privata altrui. La “faccia” coincide con l’immagine
pubblica che ognuno offre di sé. È un’entità sociale ed emozionale che ogni membro della comunità
desidera che si rispetti e riconosca. Ognuno pretende che non ci si comporti in modo invadente. La cortesia
diventa una strategia comunicativa che i parlanti mettono in atto al fine di preservare l’armonia delle
interrelazioni sociali. La cortesia linguistica include la scelta dei mezzi attraverso cui i parlanti scelgono di
manifestare l’intenzione di evitare di essere scortesi. Le scelte orientano il livello di cortesia degli enunciati.
La natura della scortesia può anche essere legata all’ignoranza delle formule linguistiche, e allora non è
intenzionale. Il concetto centrale in questa teoria (la faccia) riguarda anche i concetti di stima. Io devo non
invadere la sfera privata dell’altra persone, e così facendo devo cercare di non essere rude utilizzando
magari una formula indiretta. Questo se ho un rapporto non molto intimo con una persona. In alcune
culture l’uso dell’imperativo è considerato molto scortese a priori, a prescindere dal rapporto tra i
comunicanti. Da un lato c’è quindi la faccia negativa, dall’altra la positiva, che riguarda il fatto che ogni
persona vuole che la propria dignità d’immagine sia rispettata e preservata. Questa è una conquista che il
parlante acquisisce nella comunicazione ogni volta.

La teoria della cortesia prende in considerazione anche le reazioni. I parlanti esprimono delle scelte più o
meno consce, relativamente alla competenza che si ha di una lingua che si sta studiando.

È importante che gli


interlocutori esprimano un
bisogno di inclusione con gli
individui con cui comunicano.
Al contrario, se una persona
non ci interessa e quindi non
vogliamo comunicare con lei,
entra in gioco la volontà di
individualità, di non condivisione (la faccia negativa), che nulla ha a che fare con quella positiva relativa
all’approvazione sociale (opposizione: inclusione VS privacy).

Quando vogliamo richiedere qualcosa (tipo un favore) e non vogliamo risultare scortesi, possiamo usare
strategie linguistiche volte a preservare la nostra faccia positiva. Un esempio è fare dei complimenti
all’interlocutore per ingraziarcelo (Esempio: “So che scrivi benissimo…se mi aiutassi a scrivere questa mail
mi faresti un favore enorme!”).

La richiesta può rappresentare un atto minaccioso in relazione al concetto di faccia. La faccia negativa è
legata all’intrusione nella sfera privata di qualcuno. Tutte le richieste sono quindi atti potenzialmente
minacciosi, che noi possiamo rendere meno minacciosi mediante l’uso di strategie di cortesia (formule
indirette).
Brown e Levinson hanno trovato una formula atta a stimare il peso della minaccia della faccia:
Per mitigare una richiesta,
ad esempio, in italiano è
necessario allontanarla dalla
realtà (usando per esempio
il periodo ipotetico).

L’ospite polacco non accetterebbe mai una risposta


negativa da un suo invitato, e dunque è necessario che
insista sempre di più.
07.04.2021

Nuzzo riporta un esempio che ci fa


vedere come il modo in cui ci si
saluta il lunedì mattina è causa di
malinteso tra australiani e francesi.

Nel caso del rifiuto di un’offerta, invece, un parlante nativo di inglese e irlandese in Germania tende a
rifiutare la prima offerta di caffè, sebbene desideri accettarlo. Questo perché l’abitudine nella sua L1 è di
comportarsi in questo modo aspettandosi una riofferta del caffè. In Germania, al contrario, si interpreta il
rifiuto alla lettera. Alla domanda “sei sicuro?”, inoltre, un tedesco risponderebbe seccato, chiedendosi il
motivo dell’insistenza del proprio interlocutore. Questi malintesi sono il frutto del trasferimento delle
norme pragmatiche da una lingua all’altra.

Questa classificazione
descrive e analizzale
componenti dei parametri
della politeness. Non tutte
queste componenti sono
rilevanti in tutte le culture.
È presente anche il livello di
conoscenza e piacevolezza
(empatia) tra gli individui).
C’è anche un peso da dare
alla durata della
conoscenza e alla
frequenza del contatto. In
alcuni casi entrambe le
parti hanno stessa età,
sesso, occupazione eppure non si piacciono. Questo determina differenze nella distanza e nella familiarità
(o intimità). Tutto ciò varia a seconda di una situazione sia in una cultura sia tra culture diverse. La vicinanza
può essere determinata anche nella quantità di auto rivelazione (la quantità di cose che su di me posso dire
al mio interlocutore. Più dico di me, più aumento l’intimità con l’altra persona).

Il potere è il controllo o l’autorità, il diritto di


esercitare influenza su un altro. Le sue
componenti includono fattori quali status,
ruolo istituzionalizzato, la forza fisica, ecc. Da
ciò nasce la nozione di uguaglianza e
disuguaglianza sociale, dipendendo da cultura a
cultura (cultura egalitaria VS cultura basata
sulla “legge del più forte fisicamente).
In Occidente il termine potere è
strettamente associato al dominio, e ha
accezione negativa, mentre in Oriente,
dove il Confucianesimo ha influenzato
fortemente le relazioni sociali, la
disuguaglianza non è considerata una
cosa negativa, e si suggerisce considerarla come una relazione neutra, verticale, come può essere il
rapporto instaurato tra genitore e figlio.

L’imposizione, invece, è collegata alla richiesta. Ciò che è chiesto


può essere materiale o meno, e il valore è collegato all’oggetto,
e per questo valore entrano in gioco una serie di elementi quali
il tempo, lo sforzo, l’onere e il carico psicologico. Più la richiesta
include questi elementi, più il grado di imposizione della
richiesta è elevato.

L’imposizione contiene anche diritti ed obblighi, ciò è ricollegato


al fatto che il richiedente può avere o meno il diritto di
richiedere qualcosa (dunque, se ha diritto, il grado
d’imposizione è minore). Le variabili sono correlate tra di loro,
ma questo varia sempre a seconda della cultura. In una certa cultura, per esempio, un insegnante ha il
diritto di chiedere al suo studente di fare qualcosa di non legato alla didattica, mentre in altre culture
potrebbe non essere il caso. Il grado d’imposizione della richiesta dipende anche dalla ragionevolezza della
richiesta.

Questo è quanto è stato


detto in modo
schematizzato.

Le pretese di universalità della cortesia


postulata da Brown e Levinson sono state
messe in discussione da studiosi non
anglofoni. I face threatening acts hanno
costretto i ricercatori non occidentali a
riconsiderare la nozione di faccia proposta
da Goffman, cercando di generare una
versione di cortesia che accolga
comportamenti che sono sia strategici (quindi volti a proteggere la propria faccia), sia sociali. I
comportamenti di strategico sembrano essere preponderanti nelle società occidentali (Brown e Levinson
sostengono che la politeness è strategica), mentre i comportamenti di tipo sociale sono più tipici delle
società gerarchiche. Nelle società occidentali la cortesia strategica riflette la preoccupazione per il diritto
individuale, mentre in molte altre società, la cortesia normativa o indicizzata linguisticamente segnala la
preoccupazione per il dovere (legato alla società). L’ordine sociale basato sui diretti è la manifestazione di
un’ontologia individualista (civiltà occidentali), mentre le civiltà orientali si basano su ontologia comunitaria
(basata sulla società).

La preoccupazione per la
relazione sociale è codificata in
lingua giapponese, che ha un
sistema di onorifici (segnali
linguistici che un giapponese
non può far a meno di usare). Il
giapponese non ammette di
produrre enunciati che non
siano marcati a livello
sociolinguistico, anche quando
si vuole comunicare una
semplice informazione. Prendersi cura della faccia in Giappone vuol dire riconoscere la posizione sociale
dell’interlocutore, trasmettendo ciò linguisticamente. Stabilire la propria posizione nei confronti dell’altra
persona in Giappone è fondamentale. Infatti, la nozione di faccia negativa è estranea alla cultura suddetta.

Gu, un altro studioso sociolinguistico delle società


orientali indaga sulla cortesia cinese, che è
caratterizzata da una tendenza a denigrarsi e a
rispettare l’altro (nozione di LIMAO, non
strumentale ma normativa). Secondo Gu, il limite
fondamentale della teoria della cortesia è di
offrire una visione strumentale della cortesia, più
adeguata a descrivere relazioni all’interno di
società individualistiche (cioè diverse da quella cinese). Le critiche non provengono solo da culture orientali,
in cui la cortesia è obbligatoria, ma anche da altre culture non asiatiche in cui viene prescritto di usare
marcatori di cortesia (non ci sono società con cortesia intenzionale VS società con cortesia normativa, ma
c’è un continuum).

Altri autori che si sono occupati di questo sono


Blum Kulka, House e Kasper, che hanno
presentato risultati di un progetto di ricerca
volta a studiare le modalità di realizzazione di
due atti linguistici da una prospettiva cross-
culturale. Hanno contestato la relazione che Brown e Levinson avevano postulato tra atti diretti e cortesia
(più un atto è indiretto, più è cortese). Da questo studio, invece, emerge che alcune lingue, come russo ed
ebraico, sembrano considerare più cortesi le richieste e le scuse pronunciate mediante atti più diretti.

Il fenomeno della cortesia potrebbe


essere universale, ma le manifestazioni
concrete sono variabili e culturalmente
determinate.

Molti studiosi spagnoli portano avanti


studi contrastivi in cui descrivono le
modalità di cortesia differenti nello
spagnolo a seconda dei contesti. Questi
studiosi hanno una visione della cortesia
come fenomeno socioculturale che
richiede prospettive di studio interdisciplinari legate dal linguaggio che funge da filo conduttore. Tra questi
autori abbiamo Diana Bravo.

Diana Bravo fa una distinzione e propone alcuni aggettivi che


qualificano la cortesi. Alla componente strettamente verbale si
associano anche altre componenti gestuali, che svolgono funzione
comunicativa nel contesto non virtuale, ed anche elementi
paralinguistici. Per Bravo è importante non utilizzare la nozione di
contesto in modo astratto, ma considerarlo un ulteriore dato di analisi
da verificare nella ricerca. Propone due categorie di analisi:
l’autonomia e affiliazione.

Secondo Bravo, in Spagna il concetto di


autonomia è più importante di quello di
affiliazione.

LE RICHIESTE – Atti direttivi

La nozione di atto linguistico ha giocato un ruolo importante nella formazione della pragmatica linguistica e
dell’analisi del discorso. La sua influenza sul modo di intendere la comunicazione ha favorito il passaggio da
una nozione di comunicazione basata sulla trasmissione e decodifica dei messaggi (postale) ad una nozione
di comunicazione che mette in primo piano le intenzioni comunicative del parlante e ha contribuito a
promuovere una concezione interazionale della comunicazione, resa possibile dall’agire interconnesso dei
parlanti. L’atto linguistico è quindi considerato l’unità della comunicazione.

L’atto della richiesta, ricordando la


classificazione searliana, rientra nel
gruppo degli atti direttivi, attraverso i
quali il parlante cerca di orientare l’azione dell’interlocutore. Le richieste sono il tipico atto linguistico che è
stato al centro della discussione a partire dal lavoro di Austin e quello di Searle, che stabilisce alcune
condizioni che soddisfino l’atto della richiesta. Searle ritiene che la teoria degli atti linguistici ci consenta di
fornire una semplice spiegazione di come determinate frasi che hanno una determinata forza illocutoria
che parte dal loro significato possano essere usano essere usati per compiere un atto con una forza
illocutoria diversa. Ogni tipo di atto illocutorio ha una serie di condizioni necessarie per la sua riuscita.

Ci sono delle condizioni preparatorie.


Per esempio, il parlante P crede o
presume che l’interlocutore I possa
compiere questo atto, se non lo crede
non può richiederlo, e ci deve essere
un motivo particolare per cui il
parlante deve avanzare una richiesta
(dev’essere ragionevole).

Nel discutere i casi in cui un atto


illocutorio viene eseguito
indirettamente mediante l’esecuzione
di un altro, Searle elenca alcune delle
frasi che potrebbero considerarsi
standard per fare delle richieste
indirette o dirette (l’elenco è nella
slide).

Le strategie indirette convenzionali contengono alcuni esempi che non hanno generalità di forma, ma in un
contesto appropriato verrebbero
espresse come frasi indirette, cioè frasi
che incorporano uno di questi elementi
all’interno di un altro (un verbo
locutorio direttivo all’interno di questi
contesti).
Gli atti linguistici indiretti hanno secondo Searle sempre più di un significato. L’esempio 1 contiene un
riferimento esplicito all’ascoltatore, mentre l’esempio 2 non contiene un riferimento formale
all’ascoltatore, e la richiesta viene espressa implicitamente.

Alcuni autori sottolineano, nello spiegare i motivi per cui essere indiretti, l’importanza del contesto
situazionale, piuttosto che il significato letterale. Alcuni esperimenti suggeriscono che un individuo che
comprende una richiesta dal contesto, capisce immediatamente cosa deve fare saltando il passaggio
dell’atto direttivo, lo interpreta direttamente.

Le richieste dirette con azione


compensativa prendono due forme di
cortesia, una positiva e una negativa.
Nella cortesia negativa c’è una tensione
tra l’essere diretti e il desiderio di evitare
l’imposizione.

Nell’esempio 1 c’è un’espressione diretta


con un modificatore (per favore), mentre
l’esempio 2 è una domanda relativa alla
capacità del destinatario di compiere l’atto ma inteso come una richiesta (richiesta indiretta
convenzionale). Nell’esempio 3, invece, il parlante ha fatto una dichiarazione che fornisce un’informazione,
che tuttavia s’intende come una richiesta indiretta non convenzionale.
Thomas chiarisce come si possono
comprendere le richieste tramite alcuni
stati (iniziale, intermedio e finale). In uno
stato iniziale c’è un’affermazione o una
costatazione in cui un parlante, per
esempio, ha freddo. Il parlante proferisce
questa sua sensazione, poi c’è uno stato
intermedio in cui l’interlocutore
comprende che il parlante abbia freddo e
vuole che si accendano i termosifoni.
Nell’azione 2 li accende, e abbiamo quindi
lo stato finale in cui il parlante non sente
più freddo.

Gli atti di minaccia della faccia, elaborati


nella teoria di Brown e Levinson,
minacciano la faccia positiva del parlante
nell’elaborare la richiesta, poiché questi
potrebbe incorrere in un rifiuto, e allo
stesso tempo minacciano anche la faccia
positiva dell’interlocutore che limita la sua
autonomia nel rapporto di cooperazione
ed armonia all’interno dello scambio
comunicativo.

09/04/2021

Ci sono diversi modi per compiere una


richiesta: 7 sono i modi per fare
richieste e poi vengono classificati.
Conferma: il parlante pone all’interlocutore una domanda e nel porla si serve di un verbo che in qualche
modo lessicalizza ciò che è la richiesta. Il parlante vuole accertarsi che il destinatario voglia compiere
l’azione che sta richiedendo. È una strategia convenzionale molto comune, è cristallizzata nella lingua
italiana e si apprende così come una formula e non dipende dal contesto. Questa potrebbe essere in
qualche modo espressa in qualunque tipo di contesto. È un atto di richiesta indiretta convenzionale che si
potrebbe esprimere verso una persona con la quale prestiamo una sorta di attenzione. Non è che +
Condizionale è la forma cristallizzata.
Desiderio: esprime un desiderio. La persona che si ritiene incaricata di soddisfarlo può essere individuata
nell’interlocutore o anche in qualcun altro. Si esprime quello che si vuole ottenere attraverso l’espressione
di un desiderio. Queste formule possono anche essere accostate da altre formule ancora ‘se non ti
dispiace’.
Giustificazione: il parlante espone il motivo per cui si trova nelle condizione di richiedere qualcosa
all’interlocutore. Il contesto e le persone coinvolte nell’interazione sono necessari per capire la forza
illocutoria dell’enunciato. L’interlocutore deve interpretare il messaggio e questo può anche essere
frainteso, non rispondendo come ci si aspetterebbe o ignorando la richiesta implicita.
Ipotesi: il parlante presenta l’oggetto della richiesta come un’ipotesi che nel caso si realizzasse avrebbe per
lui conseguenze positive.
Necessità: si presenta come ciò che il parlante vuole ottenere. La persona a cui si fa riferimento, anche in
questo caso, può essere l’interlocutore o qualcun altro.
Ordine: si utilizza la forma imperativa presentando l’azione come un ordine.
Verifica delle condizioni preparatorie: il parlante si informa sulle possibilità di ottenere ciò che desidera
dall’interlocutore e spesso sono frasi idiomatiche. Cerca di verificare se l’interlocutore può fare la cosa
richiesta. Si sta facendo una verifica delle condizioni. C’è un valore convenzionale della richiesta. C’è
un’ambiguità che viene colmata dal valore convenzionale della richiesta che un parlante italiano riesce a
comprendere senza problemi.
Ci sono una serie di mitigatori che appunto
mitigano la forza illocutoria dell’atto. Sono
interpretati come modificatori gli elementi
che risultano opzionali, cioè che se vengono
eliminati la forza illocutoria, il significato,
non cambia. Gli elementi opzionali sono
delle opzioni aggiuntive. Sono modificatori
grammaticali o semanticamente opzionali
che hanno meramente una funzione
pragmatica, non aggiungono significato.
Condizionale: pone in discussione l’appartenenza di quello che si dice alla sfera della realtà.
Imperfetto: c’è un’associazione con diversi tipi di strategie. L’imperfetto è utilizzato nei suoi diversi valori
modali generalmente con un significato di allontanamento dalla realtà.
Incassatura: usato spesso con l’imperfetto o il condizionale. Questo modificatore costituisce una sorta di
filtro rispetto all’immediatezza dell’enunciazione. Nell’esempio si ha una strategia che realizza la richiesta
formulando una domanda di verifica.
Negazione dell’interrogativa: Mostra il parlante incredulo rispetto ad una possibile risposta affermativa. In
questo caso viene usata in associazione con una domanda di verifica delle condizioni preparatorie.
Attenuatori: cercano di alleggerire il peso
dell’enunciato facendo riferimento alla
quantità/qualità dell’oggetto in questione o
alla quantità di tempo che l’ascoltatore deve
impiegare per esaurire la richiesta.
Autoumiliatori: presentano il parlante come
responsabile della situazione che lo induce
ad effettuare la richiesta.
Blanditori: hanno lo scopo di mostrare
benevolenza nei confronti dell’interlocutore
e al tempo stesso hanno un atteggiamento di referenza da parte del parlante.
Dubitatori: esprime l’incertezza riguardo la capacità dell’interlocutore di compiere quanto richiesto,
riducendo le aspettative di realizzazione.

Abbiamo poi modificatori discorsivi cioè le marche di cortesia, Es. per piacere

Richieste di accordo: vero? giusto? no?


Riempitivi: segnalano una sorta di
temporeggiamento mostrando il disagio
che il parlante ha nel formulare la richiesta:
cioè, veramente.
Chi inoltra la richiesta cerca di ridurre
l’impatto negativo sul destinatario usando
questi modificatori.
Minimizzatore: Minimizza quanto detto

Rabbonitore: Si cerca di sottolineare la


positività della richiesta. Si invoca la
collaborazione dell’altro

Appello: Si cerca l’attenzione di qualcuno.

Garanzia: è una promessa che quello che


si è avuto dall’interlocutore, verrà
restituito.
Considerazioni che dobbiamo fare per capire
perché il parlante ha detto alcune cose e non altre.

Herbert mette in atto delle strategie per ottenere ciò che necessita. Fa sembrare la richiesta più grande di
quella che non sia. Effettua la richiesta, continua a
dicendo che deve passare la materia, cosa che non
potrebbe fare senza libro. Si giustifica, motiva la sua
richiesta. Attraverso questa modalità lunga di richiesta,
Herbert sta cercando di salvare la faccia all’interlocutore
ma anche l’affermazione della relazione. Questo suo
tentativo di giustificare la richiesta ha come obiettivo
affermare la relazione. Essa sembra più importante del
libro che sta chiedendo in prestito.

In relazione a questo tipo di richiesta indiretta, c’è una strategia importante: orientata all’ascoltatore, si
concentra su ciò che deve fare l’ascoltatore rispetto al
beneficio di chi parla.

Il criterio del grado di imposizione che ci


aiuta a scegliere le strategie linguistiche
appropriate per eseguire una richiesta.
Maggiore è il grado di imposizione e più cortese è la richiesta. Ci sono diverse strategie che si utilizzano nel
caso di richieste di prestito.

Il grado di imposizione dipende dal contesto socioculturale.

Nel caso del video, la richiesta della parlante spagnola di prende in prestito il pc per una settimana, appare
una richiesta più forte rispetto alla richiesta del libro. Nel momento in cui vediamo un’interazione di un
certo tipo che coinvolge la richiesta, possiamo capire se c’è un’imposizione elevata attraverso le strategie
usate dai parlanti. La ragazza usa molte più strategie, motivi rispetto all’interazione del video 1. Ono una
serie di strategie che servono a mantenere la relazione (abbracci, baci).

le strategie variano a seconda delle


convenzioni sociali di una data cultura.
Prima di fare una richiesta infatti è
opportuno considerare ad esempio se
un certo tipo di richiesta va bene in un
dato contesto oppure no. Quando una
persona si trova in una cultura che non
conosce bene, potrebbe fare delle
richieste che non sono in quel
momento opportune. Nonostante l’alto
grado di imposizione del prestito del pc, Gemma usa una strategia convenzionalmente indiretta con diversi
modificatori, strategie linguistiche morfosintattiche e lessicali. Questo ci dice molto dell’imbarazzo in cui si
trova la parlante che usa tali modificatori per ammorbidire la richiesta e non perdere la faccia. In altre
lingue (inglese o italiano) si potrebbero usare strategie non convenzionalmente indirette: suggerimenti
quando c’è un alto grado di imposizione (cosa mi consigli? Che posso fare?) che a volte può avere l’aspetto
di una sorta di manipolazione. Siccome non è chiaro se sia una vera e propria richiesta, lascio che
l’interlocutore decida cosa fare.

La spiegazione può essere più o meno utile. Oltre


alla strategia principale ve ne sono altre che
supportano il suo intento. Gemma lavora anche
sulla relazione. Prima della richiesta fa dei
complimenti. A seguito della richiesta entrambi
fanno una negoziazione e infine si giunge una
conclusione. Durante la negoziazione Gemma
rafforza ancora la relazione, promette di dargli
qualcosa in cambio e infine lo ringrazia. La
conclusione non è semplice ma anche i
ringraziamenti hanno la forma di un gesto
annunciato. Anche la parte gestuale svela
l’imbarazzo che contraddistingue la studentessa in
quel momento.

10.04.2021

Approfondiamo l’argomento della


cortesia linguistica rifacendoci al
modello di Brown e Levinson. La faccia è
un’identità interazionale: l’immagine
pubblica di sé consiste di due aspetti
correlati (faccia negativa= autonomia;
faccia positiva= inclusione).

in un atto linguistico potenzialmente


minaccioso, una strategia linguistica di
cortesia potrebbe essere rappresentata, ad esempio, da una richiesta (es. “potresti prestarmi la penna?”).
“Prestami la penna” è la corrispondente formula diretta. Generalmente, l’atto indiretto è accompagnato da
un mitigatore della forza illocutoria. Una strategia di cortesia positiva, indica immagine positiva di sé e
personalità. Il lessico utilizzato del tipo “grazie, molto gentile, ecc.”, sono volte a preservare la faccia
positiva del parlante e anche dell’interlocutore. La cortesia positiva fa appello al terreno comune ed evita di
esplicitare il disaccordo.

a livello lessicale, ci sono espressioni con diminutivi e riferimenti frequenti all’ascoltatore, insieme a
richieste che sottolineano la cooperatività.

Mentre la cortesia in negativo deve riparare e


contrastare l’atto che si sta producendo, la
cortesia positiva non è necessariamente
riparatoria.

In Brown e Levisnon c’è una visione


occidentocentrica, in cui i valori dei principi di
fondo sono occidentali, appunto, e non
universali. C’è quindi un problema di relatività
linguistica, sebbene possiamo affermare che
le differenze culturali generino inferenze di
una complessità grande. Ci può essere un
principio generale, anche secondo Levinson,
del tipo: “per ogni restrizione della lingua
reciprocamente accettata dai partecipanti,
esiste un insieme corrispondente di inferenze
potenziali, dovute al fatto che il parlante
rispetti o violi la restrizione”. La cortesia è un
fenomeno sociale che coinvolge una rete di interazioni tra differenti identità sociali e differenti sistemi di
regole. Glia atti di minaccia della faccia sono, ad esempio, quelli commissivi (secondo Searle), come
accettare un’offerta, fare una confessione, chiedere scusa, farsi un’autocritica.
Queste sono le strategie volte a
contrastare l’atto di minaccia.
P= parlante; A= ascoltatore

L’interesse e l’attenzione verso l’ascoltatore rappresentano strategie positive. Un complimento come “che
bel vestito” è qualcosa che l’ascoltatore si aspetta che il parlante noti, ovviamente dipende dal tipo di
relazione (ci dev’essere un rapporto tale che sia ragionevole che ci si aspetti un apprezzamento. Omettere
tale apprezzamento sarebbe una minaccia alla faccia positiva dell’ascoltatore).
(strategie non convenzionali)

H= hearer (ascoltatore)
13.04.2020

L’atto testa (head act) è la parte del discorso in cui possiamo identificare un atto linguistico ben preciso.
L’atto della richiesta è molto complesso e cambia da contesto a contesto: è costoso perché la richiesta mina
la faccia negativa del parlante. Può minacciare anche la faccia negativa dell’ascoltatore. Il potere, la
distanza e il grado d’imposizione sono fattori sociali che riguardano l’atto linguistico. In dipendenza da
questi, l’esito della conversazione può essere modificato.

Parliamo di studi italiani nella realizzazione di atti linguistici in tipi di testo differenti dai discordi, le e-mail.
Gli studi sulle mail ai professori sono in costante crescita, poiché la scrittura digitale sta sostituendo il
colloquio diventando un mezzo di interazione molto importante. La mail è un particolare tipo di testo
principale non ancora caratterizzato da norme di scrittura standardizzate.
A partire dagli anni 80 si è assistito a un numero di studi sulla richiesta sia in relazione allo scritto che al
parlato. Questi studi danno particolare attenzione al livello di “direttezza” (gli atti diretti). È stato
dimostrato che le strategie dirette sono usate maggiormente da studenti di lingua straniera con un basso
livello di L2. Gli studenti nativi tendono ad usare, invece, modificatori linguistici lessicali e morfosintattici
più vari rispetto agli studenti stranieri.

Il quadro metodologico istituito sugli atti di richiesta è basato sul presupposto che la varietà degli atti
linguistici può derivare dalla situazione, dalla cultura e dall’individuo. Bisogna studiare i modelli di
realizzazione degli atti linguistici al fine di indagare la natura della loro variabilità nelle diverse dimensioni.

Il Cross Culture Speech Act Realisation Project raccoglie I dati in otto lingue per stabilire i modelli di
realizzazione degli atti linguistici relative ai diversi vincoli sociali (vedi altri obiettivi nella slide).
Al fine di garantire i dati interculturali, è stato deciso di ottenerli attraverso una pratica di elicitazione .
16/04/2021

Confronto interlinguistico che porta con sé considerazioni di tipo acquisizione: come un parlante non nativo
realizzi un atto linguistico in una lingua/cultura che hanno un grado di competenza ridotto all’interno della
cultura in cui sono immersi.

Secondo Searle gli atti di scuse rientrano nella categoria


degli atti espressivi, che fanno riferimento ad uno stato
psicologico specificato nella regola di sincerità che sta alla
base dello stato di cose definito nella proposizione, nel
contenuto proposizionale delle scuse. La definizione basata
sulle restrizione sintattico-morfologiche del verbo
performativo mostra una sorta di debolezza perché il verbo
prototipico dell’inglese non rappresenta un modo universale di scusarsi. La condizione essenziale per la
realizzazione dell’atto presuppone che il parlante induca l’ascoltatore ad annullare le conseguenze negative
di ciò che è stato compiuto, quindi a adattare il mondo alle parole. In I apolagize e mi scuso che è un verbo
performativo contiene un atto direttivo, quello di ‘ti chiedo di accettare la scusa’. Altra implicazione è che
nel proferire la scusa il parlante si rende responsabile per un fatto accaduto. Riconosce che è stata volata
una norma sociale e promette di non ripetere questo atto nel futuro. Di conseguenza la scusa si avvicina
anche agli atti commissivi come può essere l’atto della promessa. Io mi impegno a non svolgere una
seconda volta un atto indesiderato. Questo ci mostra che in effetti, sottolineato dalla Trubnikova, l’atto di
scusa ha delle sfumature che se applicaste alla comunicazione effettiva potrebbe essere categorizzato come
espressivo, direttivo e commissivo insieme. La scusa, in una accezione più diffusa, è un rimedio verbale per
un’azione dannosa subita dall’interlocutore e rappresenta un modo per restaurare l’equilibrio che viene
stabilito insieme all’imperativo di cortesia, che è connessa a una norma sociale. Le scuse trasmettono il
rispetto per l’interlocutore e tendono ad insinuare un sentimento positivo, bilanciando le conseguenze
dell’atto sgradevole compiuto. Oltre ad evocare le intuizioni comuni, c’è anche il tentativo di capire come e
quando scusarsi: norme di comportamento (sociopragmatica). Ci sono diversi studi che riportano tutto ciò
che è relativo all’ambito della sociopragmatica.

scambi correttivi che mirano a ripristinare e


mantenere l’equilibrio sociale poiché consentono ai
partecipanti di andare avanti, col diritto di agire
come se le cose fossero chiuse e che l’equilibrio sia
stato ripristinato.
Al presente studio è stato adottato il metodo della
raccolta dati scritti. Quest’indagine è stata estese
anche ad altri atti linguistici come le richieste.

Lo strumento di rilevazione usato è stato DCT che


mira ad elicitare il comportamento discorsivo
adeguato al contesto e permette di accogliere
tutto il repertorio delle strategie, delle formule
semantiche con le quali gli utenti della lingua
realizzano l’atto linguistico delle scuse. Lo scopo
è quello di rivelare il sapere pragmatico acquisito
con il focus sulla conoscenza dichiarativa e di
formulare il repertorio delle strategie tese alla
realizzazione di un atto linguistico senza
rintracciare tutta la dinamica conversazionale.
Variabili contestuali: istanza, potere in questo
caso. Incidono sulla scelta della strategia.

La descrizione delle situazioni contiene


informazioni non solo sul bisogno
comunicativo ma anche il ruolo dei
partecipanti, la distanza sociale e le situazioni
sono state scelte in base all’avvenimento
sociolinguistico che rappresenta la necessità
di dimostrare lo stato di rammarico o
rincrescimento. In questo caso sarebbero
necessitare delle scuse.

Quali caratteristiche dello scenario ti spingono a


rispondere in un certo modo.
Determinazione della variabile sociopragmatica.

Situazione di distanza in quanto non c’è contatto fra


queste due persone. Non c’è nessuna simmetria
rispetto alla variabile P.

queste sono le 5 situazioni presentate agli


studenti.

Le espressioni di dispiacere sono considerati gli atti testa per l’atto di scusa. La locuzione di questa strategia
contiene un appello di risarcimento che impegna
l’interlocutore ad accettare il rimedio verbale con un
verbo performativo. Il cellulare non rotto è una
verifica dell’effetto dell’atto compiuto.

Veicolano sentimenti negativi legati alla colpa del parlante che si dimostra dispiaciuto per quanto avvenuto.

Altra strategia è la nominazione dell’atto,


interpretabile anche come ammissione della colpa.
Autoumiliazione

Rimediare è una strategia, oppure una compensazione materiale e comportamentale per ristabilire un
mancato adempimento alle norme. Si dividono in
diverse categorie.

Atteggiamento di negoziazione del rimedio, il


parlante indaga sulla possibilità di fornire un
rimedio e si informa su come riparare al danno
commesso.

Il parlante si impegna a non ripetere l’errore in


futuro.
Esprime la necessità di trattare le conseguenze
dell’evento e indagare sulla sua gravità. Significa
avere cura della possibile minaccia che l’atto
fisico/verbale ha arrecato all’interlocutore per
tentare di rimediare e mantenere l’equilibrio.

Strategia che può variare in base al conteso. Include delle


tattiche di evasione con le quali il parlante cerca di non
ammettere le proprie colpe. Può anche esserci
un’ammissione di colpa.

Veicola il sentimento di disagio legato all’atto offensivo.

c’è una conferma della prevalenza della richiesta di perdono come un metodo convenzionale di veicolare la
scusa. L’espressione di dispiacere si unisce spesso, nei
parlanti italiani, alla richiesta di perdono soprattutto
quando si tratta di un danno materiale o fisico, dove si
richiede un alto grado di rincrescimento. Questa espressione nei parlanti russi è stata usata solo una volta
in concomitanza con la richiesta di perdono. I non-nativi tendono ad usare entrambe le strategie, mentre i
nativi preferiscono le strategie di rimedio.

Le mosse di sostegno si adottano di più quelle che


fanno parte degli atti rimediali che quelli del
riconoscimento di violazione. Questo si può
considerare una caratteristica interessante dal punto di vista transculturale della collaborazione
conversazionale a cui viene affidato un lavoro sulla faccia positiva dei parlanti. Nel promuovere un rapporto
armonioso si impegnano tutti gli interlocutori che costruiscono insieme una situazione nuova attraverso le
mosse di rimedio. Per quanto riguarda l’offerta non sono state rilevate discrepanze fra i gruppi di parlanti. I
non-nativi tendono ad usare delle strategie che li aiutino a non essere fraintesi nelle loro intenzioni con il
parlante.

La verifica della gravità, i parlanti russi si discostano dai


parlanti italiani. C’è una consuetudine altamente
partecipativa di trattare le conseguenze delle azioni che
presuppone un alto grado di confidenza con l’interlocutore. Anche con la presenza di distanza sociale, i
russi rispondono all’esigenza di entrare nell’ottica dell’interlocutore affidandosi alla cortesia positiva. La
distanza sociale non impedisce ai parlanti russi di affidarsi alla cortesia positiva.
L’espressione dello stato d’animo legata alla
condizione di sincerità permette di evitare le
ambivalenze dei proferimenti, risultando tuttavia
umiliante pe il parlante perché veicola sentimenti
negativi. Per questo l’ammissione di colpa è stata
usata solo una volta da un parlante. L’espressione
di imbarazzo è stata adottata solo in due casi dai
parlanti russi.

La nominazione dell’azione, deplorevole nella proposizione. La richiesta di perdono può reggere un


complemento di causa che motiva il motivo delle scuse. I parlanti nativi di entrambi le lingue usano questa
strategia più spesso rispetto ai non nativi, con una maggioranza dei parlanti russofoni. Uno scarso impiego
di questa strategia in un gruppo di apprendenti può essere spiegato con la loro riluttanza a fornire risposte
contestualmente specifiche.

La strategia della mancanza di intenzione è quella


più diffusa tra i parlanti russi come un metodo di
deresponsabilizzazione del proprio
comportamento senza attribuire la causa altrove.
C’è una forte preponderanza a minimizzare la
responsabilità. I parlanti nativi forniscono le
ragioni più plausibili del comportamento tramite
la giustificazione del comportamento quasi allo
stesso modo dei parlanti di italiano nativi. Non ci
sono espressioni di autoumiliazione o insufficienza
nel corpus dei non-nativi e c’è una sorta di parsimonia nello scegliere questa strategia poiché i parlanti
nativi temono la perdita della faccia.

Esprime la mancanza di intenzione tra i parlanti


russofoni. Se i parlanti di italiani seguono questa micro-
funzione i russi usano una serie di farsi ellittiche del
predicato che trasmettono la causalità delle loro azioni,
alle quali assegnano un valore culturalmente specifico.

Gli italiani non forniscono una spiegazione dettagliata. Queste giustificazioni di motivazioni si verificano
quando è presente una maggiore distanza sociale.
Queste formule non rientrano nel repertorio dei
parlanti non nativi che poi spiegano la mancanza di
tempo con altre espressioni tipo ‘ho avuto tantissime
cose da fare’.

Queste due espressioni si riferiscono al rifiuto di ammettere la colpa. ‘Sai che ore sono?’ è una richiesta
indiretta non convenzionale, il parlante può intenderla come una richiesta
vera e propria o come una semplice domanda per cui la risposta potrebbe anche essere una di queste due.
Queste sono strategie che vengono fuori dall’inferenza che il parlante compie in risposta alla richiesta che
gli viene rivolta dal suo interlocutore. Nelle risposte dei parlanti italiani è un rifiuto di inferire un’implicatura
del fastidio causato. Si tratta della situazione dove il rapporto è simmetrico, sono due amici che permette di
sfruttare la polisemia pragmatica senza minare il rapporto interpersonale.

Analisi delle strutture pragmalinguistiche. Abbiamo


alcune locuzioni o espressioni che mitigano o rafforzano
la scusa. L’invocazione alle forze sovrannaturali riduce le
responsabilità del parlante. Queste esclamazioni sono
appropriate per interazioni in cui una situazione
deprecabile sia stata inaspettata per entrambi gli
interlocutori. Per quanto riguarda il repertorio delle
formule usate, la sorpresa e il disappunto in italiano
vengono trasmessi da questo vocativo ‘Oh’ sostituibile con l’intercalare ‘oi’ in russo che spiega il ricorso
all’esclamazione ‘oddio’ nella produzione interlinguistica dei non-nativi. Il significato di imprecazioni, rivolte
al proprio comportamento è una strategia di autoumiliazione usata dai parlanti nativi che fa esaltare la
faccia dell’interlocutore. L’impiego di esclamazioni e interiezioni arricchisce la conversazione con dei
significati emotivi. La prosodia rende di più il significato pragmatico di queste espressioni e quindi fanno
anche sbiadire il tratto di convenzionalità attribuito agli atti cortesi.

Altre forme che vengono usate per rafforzare la scusa


sono l’appello, considerato un atto che include il nome
proprio dell’interlocutore, il titolo o la combinazione
nome + titolo. La funzione è fatica che consiste non
solo nel richiamo di attenzione ma ha il compito di
mitigare l’atto successivo. Si simula una sorta di
familiarità. Permettono gli allocutivi e di entrare in un
dominio personale dell’interlocutore per agevolare la
conversazione. i nativi di russo non usano una qualifica professionale come allocutivo e riempiono lo spazio
a volte con il nome e il patronimico del professore, poiché si rivolgono ad una persona che conoscono. I
parlanti nativi di italiano usano l’allocutivo ‘professore’. Quando impiegano l’allocutivo ‘signore’ i parlanti
non-nativi veicolano un’intenzione di riverenza.

Attenuatori: mezzi lessicali che servono a diminuire la


gravità dell’evento negativo le cui conseguenze sono
subite dall’interlocutore. I non-nativi tendono più a
rafforzare il rincrescimento che ad attenuare la
responsabilità. I parlanti russi negoziano la gravità
dell’azione nell’atto locutoria che riguarda il ritardo.

Intensificatori: agiscono sul contenuto proposizionale


dell’atto discusso in maniera opposta agli attenuatori. I parlanti russi rafforzano la richiesta di perdono con
una richiesta di cortesia.

L’analisi delle strategie e la dispersione. I nativi


l’espressione di dispiacere è quasi sempre
accompagnata dalla richiesta di perdono. Questa
strategia appare sufficiente per l’attuazione dell’atto linguistico di scusa. Oppure convoglia le mosse di
sostegno basate sulle condizioni di felicità. Il fatto che una mancata conoscenza delle formule semantiche
non porta al fenomeno del transfert, cioè i non-nativi trasferiscono difficilmente le espressioni in russo
nell’italiano. Questi parlanti non-nativi sono a conoscenza dello script situazionale che può essere
verbalizzato erroneamente a causa di carenze grammaticali, anche se non inficiano sul significato
pragmatico trasmesso. I non-nativi individuano una strategie usata dai nativi di italiano ma scelgono una
forma linguistica non appropriata. L espressioni non routinizzate sono frequenti nella produzione
interlinguistica, cioè della produzione dei non-nativi e rappresentano un tentativo di usare la lingua in
modo creativo per eseguire delle micro-funzioni. Le formule fisse si attivano per prevenire un errore
linguistico. Si suppone che nello stadio intermedio dello studio interlinguistico, i parlanti facciano
affidamento sulla codifica linguistica di determinate strategie accessibili per una gestione efficacie della
situazione comunicativa. Le risposte fornite in questa indagine non rappresentano un repertorio ristretto di
strutture che sono una sorta di formula, usate sporadicamente ma le strutture sintattiche utilizzate
riflettono un particolare modo di pensare che viene poi rafforzato contestualmente.

La scelta della strategia rimane routinizzata in diversi


contesti ma anche se i parametri sociali cambiano. I
risultati si conformano all’osservazione di un autore,
Coulmas, che sostiene che la formula usata per le
scuse dipenda dalla natura e dalla gravità dell’evento
più che dalla relazione che sussiste. Più l’offesa è
grave più spazio ricevono le mosse di sostegno e gli
strumenti di mitigazione. L’analisi condotta da
Trubnikova svela la necessità di un interpretazione socioculturale dell’atto di scusarsi soggiacente alla scelta
delle strategie con le rispettive formule semantiche. Questa esigenza fa emergere il carattere trasversale
dell’atto delle scuse che risponde al bisogni universale di stabilire un equilibrio nelle relazioni interpersonali
e soprattutto di sostenere la faccia positiva dei parlanti.

17.04.2021

Le scuse possono essere seguite da una di


queste strategie o da qualsiasi combinazione di
strategie. Questa classificazione viene fatta
sulla base di dati empirici: si sottopongono a
studenti e parlanti dei role play, si analizzano
questi dati e si stila una classificazione di queste strategie. Nel riassumere le strategie viste finora,
ripercorriamo la classificazione che da Trosborg nel 1995.

Abbiamo le strategie di evitamento in cui non


c’è un riconoscimento della responsabilità;
una negazione implicita della responsabilità
(parlare d’altro); la giustificazione volta a
persuadere l’altro, o semplicemente dire che
non è successo nulla. Infine, si può spostare la
responsabilità su qualcun altro (accusare
un’altra persona).

Poi abbiamo le strategie evasive, in cui si minimizza il grado di offesa. Si cerca di negare non totalmente la
responsabilità, riconducendo ad esempio tutto
ad una richiesta preliminare.

Ancora, vi è il riconoscimento della responsabilità. Da qui in poi ci sono quelle che Trosborg descrive come
scuse indirette: accettazione implicita, mancanza di intenzionalità, espressione di imbarazzo (sono tutte non
vere e proprie scuse); e infine abbiamo l’accettazione esplicita della colpa.
Altra categoria è quella della spiegazione del
motivo, che può essere implicita (tentativo di
chi si sta scusando di mitigare la colpa dando
una spiegazione), o esplicita, in cui si ammette
che ciò che è stato fatto è indesiderabile. Il
tentativo è quello di diminuire la colpa
imputabile alla persona.

Poi abbiamo le scuse dirette, che sono


l’espressione di dispiacere, l’offerta di scuse e
la richiesta di perdono.

Poi abbiamo le strategie di rimedio. Se l’offesa è severa non bastano soltanto espressioni di scuse, ma ci
devono essere anche giustificazioni. In più
possono essere fatte delle promesse riguardo
al futuro o compensazioni (rimedi).

Poi ci sono una serie di strategie disarmanti, usate allo scopo di modificare il tono di una interazione. Lo
scusante può cercare di minimizzare, addolcire i sentimenti del suo interlocutore e avere un effetto
addolcente sulla persona a cui è stata fatta
l’offesa.

I modificatori interni sono elementi che


modificano l’enunciato o la frase (es. proprio,
semplicemente, forse, probabilmente), oppure i minimizzatori possono essere “un po’, non molto” e
minimizzano l’atto e cercano di ridurre la colpa che può essere attribuita al parlante. Abbiamo poi
approssimatori, e modificatori che modificano le caratteristiche della proposizione come l’opinione
personale del parlante o indicano la sua attitudine verso la proposizione. Gli intensificatori sono, ad
esempio: “terribilmente”. Gli appealers sono elementi di discorso che elicitano una risposta da una persona
che si lamenta cercando di appellarsi alla sua comprensione.

Ci sono alcuni problemi che sorgono in


seno alle classificazioni prima proposte.
Non c’è dubbio che le strategie in cui il
parlante non si assume la responsabilità
non possano contare come scuse.

Il problema che si pone rispetto


all’applicabilità di atti come ringraziare,
scusarsi ed altri è su come questi possano
essere confrontati e tradotti in modo
interculturale. Trattarli come categorie
astratte non rende giustizia a culture
totalmente diverse, per esempio, da
quella occidentale. Esistono atti linguistici
diversi in culture e società diverse, e i
concetti codificati nelle parole italiane
non si adattano ad altre culture e
viceversa. Gli atti linguistici, quindi, non
sono strumenti adatti al confronto
interculturale. Possiamo però trovare una sorta di lingua prototipica per poter parlare effettivamente e
cercare di che cosa fanno certe culture diverse in situazione analoghe alle nostre (per esempio nei
ringraziamenti). Ringraziare qualcuno vuol dire che proviamo qualcosa di buono nei suoi confronti a causa
di una sua gentilezza. Per un occidentale, dire grazie può sembrare un atteggiamento del tutto normale,
cosa che non succede nella cultura giapponese, in cui c’è un fortissimo accento sulla gerarchia sociale e
sulla resa del favore che ci viene fato obbligatoriamente. In Giappone è normale rispondere ai favori che
qualcuno ci fa allo stesso modo in cui si risponde alle trasgressioni: si sente qualcosa di brutto piuttosto che
qualcosa di buono, se qualcuno fa un favore a qualcun altro. L’idea che ci sia un’indipendenza dallo status è
estranea alla cultura giapponese. Non c’è un atto corrispondente al ringraziamento, e ciò dà conto di
questa realtà. C’è un metalinguaggio di primitivi universali che possono tentare di tradurre la parola grazie
in giapponese.
Parole come “bene, male, pensare,
conoscere, desiderare” rappresentano dei
primitivi semantici che hanno esponenti
morfo lessicali in tutte le lingue e ci liberano
da una prospettiva anglo centrica
permettendo al contempo di conservare un
lessico minimale di 60 parole come lingua
franca per articolare diverse norme e valori
specifici di una cultura. La parola grazie in
giapponese può essere tradotta delineando
qualcosa che si sente rispetto a una certa
situazione. Il grazie nella cultura occidentale
è riflesso di gratitudine personale. In
giapponese, se volessimo tradurre la stessa situazione e il sentimento della persona a riguardo, le cose
cambierebbero: la persona pensa “mi sento in colpa, in obbligo nei tuoi confronti perché non posso
restituire appieno il favore”. Abbiamo componenti diverse, in Giappone c’è qualcosa di negativo in
aggiunto, si sottolinea un sentimento di obbligo in chi riceve un favore.

Un altro esempio di cultura differente


da quella occidentale:

Ecco un altro riferimento alla cultura giapponese:


è importante capire che la cultura
giapponese pone un valore molto alto
all’empatia: anticipare ciò che le persone
possano sentire. Ciò causa una sorta di
mascheramento dei sentimenti e
neutralizzazione delle forti emozioni. i
giapponesi sono frenati dal manifestare ciò
che hanno dentro, e chi non riesca a
controllare le proprie emozioni è considerato
da loro immaturi e capaci di imbarazzare le
persone. L’espressione diretta della paura,
per esempio, può causare insicurezza negli
altri, e quindi per i giapponesi dev’essere
controllata mediante le cosiddette tecniche di mascheramento. Anche l’espressione facciale dei giapponesi
è il più delle volte controllata.

Le scuse sono un atto linguistico


complesso e conflittuale perché implica
un grande costo emotivo: il parlante ha il
compito di riportare l’armonia nella
relazione, quindi se l’infrazione è grave o
se l’ascoltatore è gerarchicamente
superiore a livello sociale, la
situazione può essere molto tesa.
Poi richiede strutture linguistiche
molto complesse, soprattutto in
determinati contesti linguistici.

C’è una minaccia per il parlante, ma per lui è possibile immediatamente giustificare le ragioni di quanto
commesso, e questo può salvare la
sua faccia.

[VIDEO] Prendiamo in esempio una


situazione in cui due colleghi devono
vedersi per svolgere un lavoro da presentare. Uno dei due arriva in ritardo, e non è la prima volta. Iker usa
due strategie dirette, una delle due orientata verso chi parla (perdona). Il riconoscimento della
responsabilità può non venir percepito come sincero: dipende dalla relazione tra i parlanti.

Abbiamo poi le cosiddette strategie


disarmanti, molto simili ai
rabbonitori delle richieste: cercano
di mitigare il risentimento
dell’interlocutore e sono un mezzo
per far in modo che la persona a sua
volta si senta in colpa per essersi
lamentata.

[VIDEO 2] Abbiamo una ragazza che


porta il computer da un amico per
ripararlo e distrattamente lui cancella
la sua tesi. Il livello di gravità è alto. La
prima cosa che lui fa non è scusarsi
direttamente, ma giustificarsi. Non si
assume subito la responsabilità, se la prende col computer. Alla fine, lui offre la sua disponibilità per
risolvere il problema, e c’è una parte di linguaggio non verbale in cui è chiaro che lui sia molto triste e
provato per la situazione spiacevole.

[VIDEO 3] Qui abbiamo un


rapporto gerarchico diverso
rispetto agli altri, asimmetrico. La
studentessa e la professoressa
devono incontrarsi e la prof arriva
in ritardo. Mostra di non essersi
nemmeno ricordata
dell’appuntamento, e chiede alla
studentessa se stia aspettando
proprio lei. La prima cosa che fa
non è scusarsi ma usare una
strategia indiretta di imbarazzo
(che vergogna, da quanto mi aspettava?). Procede poi con lo spiegare i motivi per cui non si è presentata
all’appuntamento. Poi si scusa usando due forme orientate verso l’interlocutore, che si preoccupano di chi
ha ricevuto il torto. Poi c’è un tentativo di trovare una soluzione, seguito da altre scuse e altre espressioni di
imbarazzo. In questo tipo di relazione, notiamo che l’interazione è molto breve, laddove il rapporto è
asimmetrico.

20/04/2021
Complimenti e cortesia verbale

Si è occupato dei complimenti nella conversazione è Alfonzetti. Il tentativo è esaltare delle caratteristiche e
giocare sulla faccia positiva dell’interlocutore ma allo stesso tempo può esaltare la faccia negativa dell’altro.

I primi studi sull’argomento hanno evidenziato gli aspetti più rilevanti che influenzano le diverse scelte di
risposta al complimento. Pongono in debito chi li riceve, come se mi aspettassi che l’interlocutore ricambi il
complimento, può causare imbarazzo. In quanto a giudizi violano la libertà altrui.

I complimenti possono anche essere apprezzati perché soddisfa la nostra esigenza, per esempio, di
gratificazione. I complimenti svolgono un ruolo importante nella società. Alimentano l’amicizia e una
linguista Sifianou sottolinea la relazione tra offerte di doni e complimenti, in quanto il complimentarsi sono
una realizzazione dell’atto fisico di offrire. Ci sono una serie di risposte che possono venir fuori in seguito al
complimento.

Il complimento può aiutare a portare avanti la conversazione. in seguito ad un complimento,


l’interlocutore può concentrarsi a parlare sull’oggetto complimentato. C’è un lato oscuro del complimento
che può anche essere considerato offensivo. Secondo Golato, ciò che realmente costituisce un
complimento è il contesto nel quale viene prodotto.

Possono considerarsi normativi i complimenti che per esempio gli invitati offrono alla padrona di casa
durante una cena. Un atto quasi di routine che si fa ed è una convenzione svolta in certe circostanze.

Complimentandomi, sto anche valutando un qualcosa. Spesso si risponde ‘grazie’ ai complimenti, e poi
accordo e disaccordo che tipicamente sono risposte che seguono una valutazione. Es. ‘hai fatto una bella
relazione’ ‘sono d’accordo/ non credo’.
I complimenti fra A e B hanno uno scopo manipolatorio, mirano a farsi perdonare. Una visione del
complimento come minaccia della faccia trova conferma nella risposta del ringraziamento:
Spesso sono le circostanze che richiedono determinati atti. Poi ci sono complimenti che vengono fatti a
seconda del fine da raggiungere, oppure voglio avvicinarmi all’interlocutore creando un rapporto di
avvicinamento. A volte si fanno complimenti per riempire situazioni di silenzio/imbarazzo.

I complimenti sull’aspetto fisico sono i più controversi. Seguono abilità e bravura. L’interlocutore può
sospettare di non meritare il complimento e quindi vederci un secondo fine. Anche l’irritazione è causata
dai complimenti sull’aspetto fisico.
Strumentale + normativa, i complimenti sono atti normativi in alcune situazioni, in altre sono strategici.
Il duplice fine del complimenti si denota dalla reazione del destinatario che può rispondere in maniera
verbale o non verbale.

23/04/2021

Altri complimenti che sono rivolti all’aspetto


fisico, spesso provenienti da parlanti dell’altro
sesso, creano anche molto imbarazzo
soprattutto quando c’è una forte asimmetria di
ruolo o status tra i partecipanti che rendono
oltre che imbarazzante, anche inatteso il
complimento. Il cambiamento di discorso è
anche un modo per accettare il complimento e
sorvolare l’imbarazzo creato.
Proprio perché è un segnale di avvenuta ricezione,
il sorriso è considerato come una forma di
accettazione del complimento tanto più che non
solo accompagna anche altri segnali espliciti di
accettazione di cui è un’importante componente
non verbale, ma ricorre spesso negli stessi contesti
conversazionali e situazionali. Il ringraziamento, il sorriso ed altre formule di apprezzamento sono risposte
che possiamo considerare preferenziali in qualità di risposta ai complimenti realizzati con formule
performative da sole o accompagnate da espressioni valutative.

Anche in questo caso abbiamo l’accettazione che è


la reazione più frequente ai complimenti, anche
non performativi, scambiati dai partecipanti con
forti asimmetrie di età, status, ruolo oppure tra
estranei, conoscenti. Mentre invece è più rara tra
persone più intime della stessa età. Anche la
distanza sociale gioca un ruolo.

Per quanto riguarda l’oggetto lodato dell’azione ai


complimenti, le accettazioni sono più frequenti
rispetto a doti fisiche o al talento naturale, a cui si
preferisce dare riscontro positivo mostrando
piacere e gratitudine piuttosto che accordo, in
quanto quest’ultimo sarebbe una violazione più
forte della massima della modestia.

La possibilità che nel valore di un’azione di


supporto, il complimento possa essere rifiutato è un
punto controverso. A differenza di offerte di inviti di
solito rifiutati in turni che contengono una
componente di apprezzamento, solitamente si
ringrazia e poi c’è la ragione del rifiuto. Nel
complimento invece vengono respinti con disaccordo
e tuttavia questo non necessariamente implica il
rifiuto del complimento. Così come l’accettazione non
sempre implica l’accordo, è necessario guardare al
rapporto e alla relazione che esiste fra le persone, la
situazione specifica e il contesto che si viene a creare. Le forme di risposta che noi possiamo classificare nel
rifiuto, è una risposta a sé stante anche molto rara e marcata in quanto è una risposta che possiamo
considerare quasi offensiva. Nel corpus analizzato non sono stati analizzati veri e propri rifiuti del
complimento, c’è un unico esempio che sembra interpretato dal ricevitore del complimento come una
presa in giro. Potrebbe quindi ricondursi alle contestazioni di sincerità sebbene non esplicite. In questo
caso, non rifiuta il complimento ma è un atto a cui assegna un valore illocutivo diverso.

Nell’esempio sopra, non c’è un rifiuto ma l’atto risulta un po’ esagerato, risulta come un’adulazione fatta a
posto per la circostanza. Quindi non può essere considerata come un ero e proprio rifiuto.
Dopo una valutazione positiva che verte sul
destinatario, quest’ultimo risponde con un modo
abbastanza offensivo.

Neanche il disaccordo, anche se si potrebbe pensare


diversamente, è una reazione preferenziale ai
complimenti come viene dimostrato dalla
configurazione strutturale dei turni e delle sequenze
che contengono disaccordi. Ci sono alcuni casi di
disaccordi forti, in cui il destinatario si pone in una
forte contrapposizione con la valutazione positiva,
specie se a venire lodati sono doti naturali.

Questo è un caso di disaccordo forte in cui il ricevitore si


pone in netto contrasto con la valutazione positiva. Si
nega il contenuto di verità del complimento,
minimizzando la lode di sé.

Esprimere un disaccordo radicale dopo un


complimento equivale anche ad auto-denigrarsi e
sollecita la risposta preferenziale alle auto-
denigrazioni, cioè il disaccordo a sua volta
dell’autore del complimento. Si mettono in moto
dei cicli di negoziazione, c’è un botta e risposta
delle rispettive posizioni che possono concludersi
in vari modi. I disaccordi forti non sono frequenti in italiano o altre lingue occidentali, dalle ricerche
compiute, diversamente da quanto si riscontra nelle culture orientali, in particolare quella cinese dove
l’auto-denigrazione spiega la maggior parte delle reazioni ai complimenti. Queste differenze sono
significative nei valori socioculturali. In occidente l’auto-denigrazione danneggia la propria faccia mentre in
oriente è un comportamento atteso ed apprezzato, perché la modestia è una delle più importanti
costituenti dell’immagine di sé.

Ci riferisce spesso al disaccordo espresso con


segnali di accordo da soli o seguiti da una
parziale ripetizione del complimento,
solitamente l’aggettivo che porta il carico
valutativo positivo, a cui poi una parte
importante viene conferita dall’intonazione, la
chiave ironica simboleggia il disaccordo netto. In
molti altri casi, il disaccordo è manifestato da
segni non verbali accompagnati dalla risata che
simboleggia imbarazzo. In questo caso abbiamo un accordo che manifesta disaccordo attraverso
l’intonazione della voce e la ripetizione del complimento. L’illocuzione che è negativa è segnalata dalla
prosodia.

All’interno delle sequenze dei complimenti ci


possono essere dei trasferimenti cioè il fatto che
il parlante è in disaccordo ad assumersi questa
lode ricevuta e lo si colloca al polo negativo del
disaccordo perché è come se dicesse che non
merita la lode, quindi la riassegna a qualcun altro.

1. Un disaccordo parziale (‘ma va?’)


2. Un accordo attenuato dall’uso di un termine
valutativo più debole, accompagnato da un
sorriso
3. Parziale trasferimento sul marito del merito (‘D
l’ha ideato’)
4. Replica del complimento
5. Suscitazione di una richiesta di conferma
6. Ripetizione intensificata e ampliata dalla valutazione positiva
7. Silenzio
8. Nuovo ringraziamento

È un tipo particolare di trasferimento


in cui il merito viene dirottato sempre
su qualcun altro, che è sempre
l’autore del complimento stesso.
Spesso nel corpus analizzato il destinatario
reagisce al complimento chiedendo conferma,
come se non capisse o con sguardi di
sorpresa/incredulità o più di frequente con
enunciati interrogativi. I complimenti sono
costruiti in tersa persona. ‘Sì, veramente’ si usa
più con i complimenti in seconda persona che
vertono più direttamente sul destinatario
oppure per mezzo di ripetizioni parziali nel
complimento con intenzione interrogativa.
Questa ha una funzione particolare perché ha
una funzione attraverso cui il destinatario cerca di prendere tempo all’interno del proprio turno. C’è
l’esempio in cui la suocera non ammette la conferma del complimento da parte del genero, che aveva
sollecitato, ma procede nella costruzione del turno con un’interazione che funge da ricezione della notizia e
con una formula di accettazione. Questo tipo di reazione è assente in alcuni studi fatti sul tedesco, ad
esempio, viene anche considerato in modo diverso da vari autori come accettazione e correttifica. Come
strategia per sviare il complimento, dubito di ciò che dici. È una delle soluzioni che funzionano a tutti e due i
livelli: esplicito sollecita una ripetizione del complimento, chiede di più l’interlocutore; implicito mette in
dubbio la sincerità di chi ha fatto il complimento, tutti gli atti che si possono definire come contestazioni
della sincerità.

Ci sono molti modi in cui il destinatario può


sottrarsi al complimento.
Pone dei problemi di interpretazione. È una
forma di non accettazione, è una replica di
una richiesta indiretta di informazione.
Interpreto il complimento come fosse una
richiesta di informazione. Morandin scrive che
il valore di questa reazione assegna
all’enunciato precedente una richiesta
indiretta di informazioni.

Le reazione e i commenti fatti sono più frequenti quando vengono complimentati beni materiali. Si tratta di
interazioni fra persone che si conoscono più
o meno bene che usano il complimento per
favorire la conversazione.

I complimenti rientrano nella comunione fatica ma di un tipo molto particolare. A differenza di quanto
avviene in altri tipi di enunciati fatici in cui l’argomento è del tutto irrilevante qui invece l’argomento è al
centro della discussione. Il problema è che quando ci sono delle comunicazioni fatiche diverse da questa, la
cosa importante è che si mantenga aperto il canale di comunicazione. Nei complimenti la funzione primaria
è far piacere il destinatario attraverso ciò che si dice. Rappresenta un tentativo di avvicinarsi al destinatario
manifestando interesse, approvazione, apprezzamento vero o simulato per il suo mondo di valori. La
strategia però può assumere la forma dell’evitamento legittimo. Quando è il turno di A oltre al
complimento contiene anche una seconda azione: domanda, augurio, consiglio, critica alla quale il
destinatario può reagire evitando di rispondere al complimento.

Collega le categorie di evitamento con la differenza che qui il


commento segue una domanda esplicita presente nel turno
precedente, rispondendo alla quale il parlante elude il
complimento. Da casi come questi si può attuare la tesi di
Morandin. Non vuol dire che B interpreta il complimento
come una richiesta di informazione ma si comporta come se
questa richiesta di informazione fosse implicita.
Le informazioni sull’oggetto complimentato
sia che vengano fornite spontaneamente dal
destinatario sia che vengano esplicitamente
chieste dall’autore del complimento, sono
molto frequenti nel corpus analizzato tanto
che costituiscono una parte integrante dello
sviluppo della sequenza complimento-
risposta. Nel secondo caso, mirano a segnalare un interesse reale verso l’oggetto; nel primo sono un
segnale di intimità da parte del destinatario che mostra di non avere problemi a condividere con
l’interlocutore senza che questi rischi di apparire invadente o inopportuno. Le informazioni dell’oggetto
complimentato possono considerarsi come una sorta di compensa che il destinatario offre all’autore del
complimento, è segno di reciprocità.

Il rapporto tra complimenti e cortesia


verbale è stato ampiamente trattato negli
studi di pragmatica interculturale. Nella
competenza meta-pragmatica, cioè la
competenza pragmatica acquisita, la
conoscenza sulla lingua che uso. Cosa so
della competenza che soggiace un atto linguistico. Nella competenza meta-pragmatica del campione
intervistato, delle principali concezioni teoriche dei complimenti come atti che minacciano la faccia del
destinatario, o atti che sono intrinsecamente cortesi, atti rituali, fatti in conformità, precise norme
socioculturali prevale quest’ultima. Le risposte a queste domande sopra, ci porgono l’immagine dei
complimenti come atti di cortesia positiva nei quali si esprime ammirazione verso il destinatario con lo
scopo di fargli piacere. Piacere è la reazione netta di molti parlanti che è la dichiarazione che viene espressa
dai parlanti. È diffusa fra i parlanti anche l’idea che i complimenti vengano fatti perché alcune circostanze lo
impongono, perché si vuole dare una buona immagine di sé e dimostrarsi affabili. La faccia positiva di chi fa
il complimento sia ancora al centro degli atti linguistici.

A seconda del ethos culturale che prevale in una


determinata cultura, vengono percepiti come atti di
minaccia o atti che rinforzano la faccia positiva di chi li
riceve e chi li fa. I parlanti sono consapevoli molto di più
del fatto che sono atti che esaltano la faccia positiva del
parlante più che vederli come atti di cortesia negativa, anche se lo sono.

Affinché un complimento sortisca l’effetto


desiderato è fondamentale che sia sentito
come spontaneo da chi lo riceve.

Il complimento è lo stesso, ma abbiamo due


situazioni diverse. Il complimento della
commessa può essere considerato come
manipolatorio e non sincero, a differenza del
secondo caso.
La valutazione positiva rivolta al destinatario viene percepita come un complimento o meno a seconda delle
circostanze, del rapporto tra parlante e destinatario, degli scopi, delle aspettative dei partecipanti.

Nell’analisi del parlato spontaneo è emerso


che per individuare un complimento nella
conversazione è importante, oltre al criterio
formale, pragmatico, funzionale, anche quello
sequenziale. Il complimento occorre quando il
parlante, avendo notato o saputo qualcosa
per cui ritiene che il destinatario meriti di
essere lodato, prende il turno e rivolge
spontaneamente una valutazione positiva. La sola forma dell’enunciato non basta a determinare il valore
illocutorio, contrariamente a quanto poi presuppongono altri studi di tipo etnografico che annotano ciò che
viene detto e poi li isolano da ciò che segue o precede. Da un punto di vista formale, un enunciato può
essere considerato un complimento se considerato singolarmente e non viene trattato come tale quando è
una mossa reattiva, cioè sollecitata in qualche modo dall’interlocutorio, per esempio attraverso
un’autodenigrazione o un’esplicita richiesta di opinione o attirando l’attenzione sull’oggetto del potenziale
complimento.

L’ultima soluzione viene scelta dalla


maggioranza degli intervistati. Questi dati
confermano la rilevanza del criterio sequenziale
degli stessi protagonisti della comunicazione
oltre che per l’analista (quello che dovrò
assumere io dopo sta lezione xdxd). Quanto più
spontaneamente viene fatto un complimento,
tanto più è probabile che il destinatario lo
recepisca come un complimento.

Lo stesso accade quando l’espressione di


apprezzamento che il parlante rivolge al
destinatario vengono intensificate. L’analisi
del parlato spontaneo mostra una tendenza
verso il rafforzamento del complimento a
diversi livelli: linguistici e non linguistici,
caratterizzati dalla ridondanza di segnali
emotivi. I complimento sono spesso formulati
sorridendo, con una tonalità di voce e un viso
amichevole, sguardi diretti, intensi,
prolungati, innalzamento o abbassamento della voce, avverbi di intensificazione, superlativi ecc., le
costruzioni sintattiche marcate, le ripetizioni e i performativi espliciti. Ovviamente sono assenti dal corpus i
fenomeni di mitigazione.

Gli autori si sono chiesti se abbia senso applicare il


concetto di mitigazione ad atti che, come
complimenti, hanno effetti positivi
sull’interlocutore o se la mitigazione non riguardi
altri atti linguistici, come rimproveri e critiche. La
mitigazione è una strategia anticipatrice che mira a
ridurre gli effetti negativi che alcuni atti linguistici
possono provocare al destinatario.

Si può anche adottare una concezione più complessa della


mitigazione, quella ideata da Caffi secondo cui la funzione
principale della mitigazione è quella di deresponsabilizzare il
parlante rispetto al contenuto e la destinatario. Il messaggio è
più spesso passibile di diverse interpretazioni. Potrebbero
considerarsi mitigati i complimenti impliciti, cioè quelli
realizzati come atti linguistici indiretti nei quali il giudizio
valore non è asserito ma presupposto o implicato e quindi c’è sempre il processo inferenziale (basato sulle
massime del principio di cooperazione di Grise e su conseguenze extralinguistiche condivise dagli
interlocutori) che deve essere avviato per ricostruire il significato. I complimenti impliciti hanno una certa
dose di ambiguità intrinseca che in determinate circostanze potrebbe essere intenzionalmente voluta dal
parlante perché vuole attenuare la responsabilità di quanto detto. Nel caso in cui il complimento non venga
recepito dal destinatario, il parlante può sempre dire che non intendeva fare un complimento ma dare
un’opinione, si può sempre ritrattare.

Nell’analisi del parlato spontaneo ci si imbatte


anche in molti esempi in cui la
categorizzazione dell’atto come complimento
non è sempre semplice, né per l’analista né
per il destinatario, soprattutto quando la
reazione di quest’ultimo manca oppure è
ambigua.
Ad aveva forse intenzione di lodare la docente per il suo aspetto giovanile oppure l’ha veramente
scambiata come una laureanda? A risponde così perché non l’ha inteso come complimento o ha solo fatto
finta? Se finge lo fa perché infastidita o perché non vuole correre il rischio di trattare come complimento ciò
che forse non era inteso come tale?

27/04/2021

ESEMPI

Gli enunciati A e D sono stati considerati dei complimenti solo dal 21% intervistati per ragioni diverse: A
perché molti non sanno che i giapponesi sono considerati all’avanguardia per il taglio e le composizioni di
frutta; D perché trattare come una docente una laureanda implicherebbe sminuirne lo status. B è ritenuto
un complimento dal 63% degli intervistati, percentuale notevolmente maggiore rispetto a D. E è
categorizzato come complimento solo dal 52%, questo perché richiede la necessità di conoscere il contesto
extralinguistico della situazione. C è un complimento per il 71% delle persone, è un caso meno controverso
poiché nella cultura italiana saper cucinare è un valore indiscusso e universalmente riconosciuto.
Non si riesce a stabilire con esattezza se un enunciato sia un invito, una promessa, un rimprovero. Nella
complessità noi analisti del discorso verifichiamo e scandagliamo le caratteristiche degli atti linguistici per
darne una categorizzazione e cercare di costruire criteri per la definizione degli atti linguistico.

La teoria dei prototipi viene applicata agli atti linguistici e rende conto del fatto che un enunciato possa
realizzare l’atto corrispondente in una maniera più o meno conforme ad una definizione astratta. Se un
enunciato possiede tutti gli attributi connessi alla definizione, sarà considerato una realizzazione prototipica
dell’atto specifico. Se invece possiede alcuni tratti soltanto o se il potere definitorio di questi attributi è
debole, allora sarà definito come una realizzazione meno forte. Di conseguenza, le valutazioni positive
rivolte disinteressatamente al destinatario, si collocano in una posizione più centrale all’interno della
categoria, perché sono complimenti prototipici. Quelle implicite stanno in periferia, e lì ci sono le
oscillazioni nei comportamenti direttamente osservabili da parte dei parlanti.

Gli attributi prototipici presuppongono la conoscenza degli esseri umani, delle attività e del mondo reale, e
quindi sono proprietà contestuali secondo la studiosa che ha ideato la teoria dei prototipi, che è Rosch.

Alfonzetti, nel 2007, propone dei criteri di categorizzazione dei complimenti in quanto essi non hanno
collocazione predefinita nella conversazione ma godono di una forte mobilità di occorrenza. Il complimento
è considerato una supportive action in cui il parlante va incontro alla faccia positiva del parlante. La classe
degli atti di supporto rispetta la personalità dell’altro, e questo valore si evince dall’accettazione del
complimento per mezzo del ringraziamento e altre mosse già viste. I complimenti vengono assegnati agli
espressivi searliani, ai comportativi di Austin, ma sono una classe eterogenea e co-occorrono con altri atti
linguistici. Oltre ad esprimere uno stato psicologico (reazione) è presente anche l’aspetto valutativo in un
complimento. Sono dotati di una forza illocutoria che gode di una miscela di vari ingredienti, le cui
oscillazioni sono poi sostenute da indicatori di forza presenti a livello di forma e contenuto degli enunciati e
da valori situazionali.
C’è un’altra categorizzazione, che prende in considerazione il livello formale, quindi l’azione del
complimentarsi può essere eseguita per mezzo di verbi illocutori in funzione performativa, usati di solito in
situazioni formali. Si nota l’aspetto rituale di questi enunciati. La recezione del destinatario è conforme
all’interpretazione esplicita indicata dal parlante nell’atto linguistico.

Ci sono poi altri indicatori di tipo prossemico, cinesico, paralinguistico, e a livello lessicali vi sono termini
valutativi di tipo espressivo.

Il tipo di frase dichiarativa, di solito associato ai verdittivi, autorizza solo in parte una lettura ei complimenti
di tipo verdittivo. È piuttosto un indicatore neutro che seleziona una gamma di forze illocutorie diverse.

Proprio in virtù dell’ingrediente valutativo presente nella miscela illocutoria dei complimenti, non sono del
tutto estranei al giudizio di verità o falsità, come dimostrano anche le risposte in cui il parlante esprime
accordo o disaccordo.

Qui viene assegnato un grado positivo ad espressioni che prese da sole risulterebbero neutre (il non essere
cambiati, l’essere uguali e precisi). Le stesse frasi potrebbero essere considerate come offese nelle civiltà
orientali, che vedono la vecchiaia come un valore acquisito di estrema importanza.
In questa circostanza, quello che doveva in inizio essere un complimento, risulta essere invece una vera e
propria gaffe a cui cerca di rimediare con l’aiuto di un parlante C.

Nel caso dei complimenti impliciti, l’elogio viene recepito mediante un processo inferenziale (come nel caso
dell’esempio “E che sei, una giapponese?”). I complimenti impliciti pongono in modo più evidente il
problema dell’individuazione e interpretazione: non c’è un documento diretto (“hai fatto una bella
composizione di frutta”, ma un assunto che necessita di inferenze per essere compreso e accolto).
Qui c’è l’esplicitazione dell’intenzione (complimentarsi) del parlante. Lo statuto del complimento nel turno
1 viene accettato con un sorriso soltanto quando, alla fine, le intenzioni illocutorie della persona sono state
esplicitate.

Gli esempi riportati in queste slide sono tratti da un articolo di Sifianou sui complimenti in altre culture,
nello specifico in Grecia. I complimenti sono gli unici che tra gli atti linguistici presentano flessibilità.
Appaiono il più delle volte come mezzi per rinforzare altri atti, o al posto di altri atti. Questo esempio è
tratto da dati di parlanti greci. Abbiamo due amici molto intimi. Per la promozione di uno dei due viene
enunciato un complimento da parte dell’altro. L’informalità del contesto e l’intimità tra i parlanti rendono
accettabile questa sostituzione, nonostante il fatto che esiti come le promozioni di solito suscitano
congratulazioni.

Il secondo esempio è il ringraziamento di un’amica ad un’altra. Il complimento è sostitutivo del


ringraziamento come atto linguistico.
In alcune culture vi è la tendenza donatrice: la tendenza, cioè di regalare una cosa per cui si è ricevuto un
complimento.

Non è raro che in Grecia un regalo sia fatto spontaneamente, senza che ci sia un’occasione precisa.

È importante fare una distinzione tra complimenti di routine e di non routine (creativi), perché questo ha
una ripercussione sulla forma e sulla funzione del complimento. Da Sifianou i complimenti di routine sono
intesi come valutazioni formali scambiate tra conoscenti che si sentono obbligati a fare un complimenti,
con espressioni fisse. Possono avere una funzione di soddisfare le aspettative sociali.
I complimenti non di routine, secondo l’autrice dell’articolo, sono quelli creativi e possono occupare molti
turni. Non si verificano necessariamente nei casi in cui i complimenti sono socialmente previsti e spesso
possono portare a dei giochi verbali. Ci si aspetta che questo tipo di complimento sdia sincero a meno che
non rischi di ferire il destinatario.

Sembra che in greco non ci sia alcuna apparente restrizione all’immaginazione del parlante, se non che
qualcosa di positivo deve comunque essere detto al destinatario, in modo evidente o opaco che sia.

Poi ci sono anche tutta una serie di metafore che vengono utilizzate nei complimenti.
Per ultimo, vediamo che ci sono dei valori culturali importanti in ogni lingua rispetto ad una serie di
parametri quali frequenza, circostanze, forma, intensità, eccetera. I polacchi tendono di più a
complimentarsi per i beni materiali posseduti, mentre arabi ed egiziani più per le qualità naturali.

In virtù dei valori culturali di una lingua, l’espressione “sei dimagrito”, ad esempio, viene inteso come
complimenti o come critiche. I complimenti sono soggetti a significative variazioni interculturali. Si riflette
ciò che in una data cultura è apprezzato come positivo. Per quanto riguarda la frequenza, in America i
complimenti occorrono in una grande varietà di situazioni, servono a produrre e rinforzare un sentimento
di solidarietà tra i parlanti e sono spesso accompagnati da altri atti linguistici.

Gli orientali in generale non ammettono che si facciano complimenti sull’aspetto fisico delle donne. Nella
cultura araba, per esempio, valori importanti sono l’umiltà, la remissione.

Per quanto riguarda le risposte al complimento, nei tedeschi non è consuetudine la restituzione dei
complimenti, ma il semplice accordo, e questo può costituire un problema di interazione tra parlanti di altre
culture.
I cinesi utilizzano espressioni indirette, e di solito preferiscono ridimensionare e minimizzare il complimento
che ricevono, ricambiando raramente i complimenti. Gli americani, invece, rispondono e quasi sempre
restituiscono i complimenti ricevuti.

30/04/2021
04/05/2021
L’intenzione è importante per la comunicazione. Qualsiasi cosa ci può informare di qualcosa. Tutto è
comunicazione ma la comunicazione è quella trasmissione di significato intenzionale. Nella produzione di
un atto comunicativo, il parlante può esprimere solo una parte del suo contenuto mentale. Un parlante è in
grado di emettere un certo numero di sillabe al secondo.
In tempi antichi, gli uomini
comunicavano attraverso suoni e gesti
che hanno fatto da base alle sviluppo del
linguaggio.

La mimica facciale è un insieme


articolato e coerente di segnali, così
come il tono della voce.

Fra linguaggio e comunicazione non


verbale ci sono enormi differenze a
causa di diversi percorsi evolutivi.

Paraverbale: modo in cui qualcosa viene


detto

Non verbale: movimenti del corpo e del


volto
In certe situazioni gli esseri umani sono in grado di inibire determinate emozioni oppure di ricrearle.

Hall afferma che ciascun individuo è circondato


da una bolla che regola il suo spazio personale
a seconda del contesto
Le donne tendono ad interagire in modo più
ravvicinato rispetto agli uomini
La prosodia è una disciplina che studia alcune
caratteristiche veicolate dal tono di voce,
quindi è anche tecnica (analisi acustico-
percettive).
60 dB Intensità media
L’intonazione è un
parametro chiave
nell’identificazione di
caratteristiche di significato.
Abbiamo una curva
melodica che esprime
diversi significato a seconda
delle modulazioni.

è una tipologia neutra. Si


caratterizza per un profilo
discendente.
La domanda orientata è una richiesta
di conferma

Le domande retoriche non


presuppongono una risposta da parte
dell’interlocutore. Hanno un
intonazione neutra.
L’intonazione funge da supporto
linguistico in quanto il contesto non è
sufficiente a disambiguare i due
significati.
f0= parametro, se alta abbiamo
determinati suoni e viceversa.
Frequenza fondamentale.
Emozioni collegate all’analisi di
questi elementi.
A volte il contesto o ciò che vediamo rispetto a quello che viene espresso, inganna il nostro orecchio.

07/05/2021

c’è un problema di fondo che riguarda la spontaneità


del fenomeno emotivo. Sebbene parliamo di
produzioni spontanee, non c’è effettivamente mai
una spontaneità vera e propria. Si tratta sempre di
registrazioni in situazioni grossomodo create
artificialmente.
Il Codice della Frequenza di J. Ohala,
sostiene che esiste una stretta
correlazione tra le dimensioni fisiche,
altezza tono vocale delle vocalizzazioni, e
il grado di sottomissione.
Sostanzialmente, ci sono delle
associazioni fra un tono basso e un livello
di sottomissione e un tono alto e un livello
di dominanza. Dalle ricerche fatte, ci sono
prove legate alla lingua specifica
nell’interpretazione del codice della
frequenza.

Attraverso la voce siamo in grado di esprimere emozioni diverse e riconoscere gli stati emotivi degli altri.

Svolge una funzione di reintegrazione, proietta il soggetto in una dimensione riflessiva necessaria per il
superamento dello sconforto.
Paura africano: molto veloce.
Paura inglese: Velocità minore rispetto alla
precedente
Paura iraniano: molto veloce e intensa
Tristezza russo: velocità maggiore
dell’italiano.
Tristezza inglese: perentorio e neutro, difficile
da identificare
Disgusto africano: difficile da identificare
Rabbia russo: volume alto, veloce.

Alcune emozioni vengono spesso confuse con altre perché


appartengono ad una sfera di attivazione simile, solitamente alta, o alla stessa categoria semantica
(tristezza e paura che condividono un presupposto di inferiorità da parte del soggetto che si sente incapace
di affrontare le circostanze esterne).

Le caratteristiche del processo di


comunicazione vocale possono essere
descritte quantitativamente utilizzando la
variante del modello della lente, che è un
modello percettivo usato per spiegare il
modo in cui gli umani selezionano le
informazioni che vengono dall’ambiente
circostante riuscendo a adattarsi e vivere
in un ambiente eterogeneo. Il modello si
fa carico di spiegare anche l’intero
processo comunicativo che comprende
tre fasi:
1. Espressione/codifica/encoding, di un emozione dal punto di vista dell’emittente
2. Trasmissione del suono
3. Impressione, decodifica da parte del ricevente che è intesa come il risultato di un’inferenza rispetto
ad un’emozione espressa.
Sherer afferma che i segnali vocali emessi dal parlante costituiscono degli indicatori distali dell’emozione
non ancora percepiti dal ricevente. In seguito, diventano degli indicatori prossimali, convogliati nel processo
percettivo del ricevente che le rielabora a partire da categorie soggettive legate alla discriminazione della
voce e delle sue modificazioni.
La differenza fra i due indicatori è utile per comprendere la complessità dell’intero processo che in alcuni
casi non si conclude con la decodifica corretta. Secondo S. la comunicazione vocale umana non è
determinata soltanto da fattori biologici che ne confermano la continuazione filogenetica, ma è soggetta a
vincoli culturali e sociali. Da un lato ci sono fattori interni legati a processi fisiologici, che producano delle
modificazioni di stato all’interno dell’organismo che si ripercuotono anche sugli organi vocali e dunque i
risultati parametri acustici sono quasi esclusivamente influenzati dalla natura e dalla forza dei meccanismi
fisiologici; dall’altro fattori esterni, quindi convenzioni sociali, influenzano la produzione di segni richiesti in
situazioni sociali, specificando pattern acustici da realizzare. S. definisce push effect i fattori interni, come il
tono muscolare; i fattori esterni sono definiti pull effect come le aspettative dell’ascoltatore attirano la
vocalizzazione affettiva in un’altra direzione determinando un maggiore controllo sulla produzione vocale,
in questo senso il parlante è in grado di alterare volontariamente il proprio comportamento espressivo,
valutando lo stimolo, e veicolando informazioni false sul proprio stato emotivo. Il modello della lente
sottolinea il carattere probabilistico e ridondante dei segnali vocali che non costituiscono degli indici fedeli
dell’emozione espressa. Come conseguenza, per raggiungere ad una percezione che sia il più possibile
veritiera, chi percepisce deve combinare indizi vocali differenti. Non è un associare ciò che sento
all’emozione percepita ma ci sono una serie di indizi che devono essere messi insieme e combinati per
arrivare all’emozione, quindi alla complessità del processo si fondono fattori ambientali (rumori che
distorcono la percezione). Gli indicatori prossimali percepiti dal ricevente anche nel caso in cui siano
genuini e non simulati dal parlante, possono essere interpretati erroneamente. Ci sono sia meccanismi
biologici in grado di cogliere indizi rilevanti per la sopravvivenza di un individuo, sia meccanismi cognitivi di
carattere inferenziale basati su esperienze pregresse sulle conoscenze condivise dai partecipanti in merito a
convenzioni e norme sociali.
Originariamente, il modello della Lente è stato inteso come un modello di percezione visiva, poi invece è
stato adottato in diversi ambiti per studiare la percezione sociale o della musica.

Il parlato emotivo di culture diverse, ciascuna


delle quali ha dei parametri culturali d’origine,
manifesta delle diversità che si manifestano nella variazione dei pattern acustici all’interno delle produzioni
e un autore delle culture del mondo, ha proposto un’interpretazione delle culture del mondo attraverso
una scala della rilevanza del contesto all’interno della comunicazione. Per contesto si intendono le
informazioni globali che racchiudono un evento, il contesto è legato al significato dell’evento stesso.

Da questa interpretazione è venuto fuori che ci sono due tipi


di culture.

Hall interpreta le varie culture attraverso una scala che


misura la rilevanza del contesto all’interno della
comunicazione.

Stare a metà della scala significa che il significato


dalla comunicazione è dato in egual modo dal
contesto e dal codice, per tanto il messaggio viene
veicolato sia dall’aspetto para-verbale sia da quello
non verbale (gesti, espressioni del viso, posizione
del corpo), a questo si deve la vivacità del parlato.
Il contenuto para-verbale del messaggio
incide poco sulla trasmissione
dell’informazione e riveste un ruolo
secondario. Alto contesto comunicativo:
Tutte le informazioni vengono captate
implicitamente tralasciando soprattutto il
piano soprasegmentale. Quindi la minore
espressività del polacco potrebbe essere
attribuita a questo fattore che si trascinano
anche quando si esprimono nella seconda
lingua. C’è un ruolo secondario del contenuto
para-verbale.

Studio recente che ha misurato la distanza


culturale fra polacchi e inglesi, concentratasi
anche sull’aspetto para-verbale.

Gli inglesi si esprimono soprattutto attraverso


il linguaggio verbale e para-verbale
(importanza aspetto soprasegmentale)
limitando l’espressività del corpo e del viso; al
contrario, le culture come quella polacca fanno
più affidamento sul non-verbale. Il messaggio è
affidato ai gesti e alla mimica facciale.

I risultati ottenuti trovano conferma anche in uno studio recente che ha confrontato il parlato emotivo
degli italiani con i parlanti cinesi. In questo
caso le produzioni degli italiani si sono
caratterizzati per l’incremento dei parametri
acustici, in contrasto con quelle dei cinesi. Questa peculiarità sembra differenziare l’espressione vocale
delle emozioni della nostra cultura in relazione alle culture ad alto contesto.

La competenza emotiva è il risultato


dell’interazione di una serie di abilità in
grado di promuovere l’autoefficacia (la
convinzione della fiducia delle proprie
capacità rispetto al raggiungimento del
risultato all’interno delle interazioni
sociali di natura emotiva), il risultato
ottenuto riflette i valori e le credenze
del sistema culturale di riferimento
sebbene ciascun individuo faccia propri
questi valori trasformandoli in significati
e credenze personali.

Essere competenti emotivamente in una L1 e in una L2 vuol dire comprendere che la struttura e la natura
delle relazioni è definita dal grado di immediatezza e motiva o di genuità della manifestazione espressiva, e
dal grado di reciprocità o simmetria all’interno della relazione
Domande di ricerca
riguardo lingue molto
diverse dall’italiano e in
particolare anche sulla
possibilità di mettere in
atto una istruzione basata
su un training
propriamente basato sulle
emozioni.

Analisi incrociata dei test di produzione e


percezione degli apprendenti.

La prima attività è di stampo meta-pragmatico


L’obiettivo della prima fase è stato
quello di coinvolgere gli apprendenti in
una riflessione sulla lingua, finalizzata ad
uno scambio di impressioni e
informazioni sulle modalità di
trasmissione delle emozione nelle
rispettive culture di origine al fine di
individuare le principali criticità
sperimentate dagli apprendenti
nell’interazioni con i nativi. Questa
riflessione ha permesso di verificare il
fatto di etichettare certe emozioni. La
prima criticità riscontrata riguarda l’uso italiano di amplificare il volume della voce negli scambi verbali.
(altre criticità nella slide)

Fase in cui i parlanti sono stati esposti a input


linguistici di natura emotiva tratti da film italiani. In
più è stata fornita agli apprendenti una descrizione
della modalità di espressione dal punto di vista
vocale.
Attività legate alla comunicazione non verbale (role-play). Nessuna interferenza di natura semantica nella
maggioranza dei casi. In quest’ultimo caso, gli apprendenti non si concentrano sull’aspetto vocale ma
semantico. Questa fase è servita per aiutare o far giocare gli apprendenti con l’intonazione cercando di
andare al di là del contenuto linguistico del linguaggio. Gli apprendenti hanno sperimentato anche attività
ludiche concernente l’espressione di emozioni.

Nelle attività di shadowing è stato chiesto loro di ascoltare lo stimolo in italiano e replicarlo nel minor
tempo possibile in termini di ritmo e intonazione. In questa fase, gli apprendenti hanno avuto la possibilità
di mettere in pratica i suggerimenti forniti nella fase precedente.

Task vero e proprio.

Analisi delle informazioni raccolte prima e


dopo del training. È stata evidenziata una
difficoltà riguardo la gestione del parlato
emotivo sia nel piano della produzione che sul
piano del riconoscimento.

L’analisi del parlato emotivo nella L1 degli apprendenti ha avvalorato l’ipotesi dell’influenza sulle strutture
prosodiche della lingua d’origine su quella della lingua target. Ci sono diversi fenomeni di transfert
prosodico e la lingua madre degli apprendenti agisce come un potente filtro che rallenta e talvolta blocca
l’acquisizione di nuovi schemi intonativi. Ci sono una serie di analisi che hanno portato alla riflessione sul
transfert che è abbastanza importante. Ci sono delle radici più profonde rispetto al transfert che sono
legate a schemi comportamentali che fanno parte dell’individuo sin dai primi anni di vita. La gestione del
parlato emotivo non si limita al corretto ricorso delle strutture intonative della lingua target ma coinvolge
anche livelli più profondi e meno sensibili all’intervento didattico.
08.05.2021

Recentemente ha acquisito rilievo anche il filone conosciuto come pragmatica interlinguistica, quindi il
confronto interculturale, il cui campo di interesse è il campo delle interlingue (dunque i sistemi linguistici
usati dagli apprendenti di una lingua seconda). Ci sono due categorie di studio legate alle competenze
pragmatiche nelle interlingue. La prima si occupa di come i parlanti non nativi comprendono e producono
gli atti linguistici, e la seconda investiga come le abilità di comprensione e produzione si sviluppano negli
apprendenti, attraversandone i vari stadi. Gli studi sulla pragmatica in L2 si sono soprattutto concentrati sul
primo filone di studi. Non sono studi che affrontano il percorso acquisizionale. Ci sono effettivamente una
serie di lavori dedicati all’insegnamento della pragmatica. Le analisi e le osservazioni sul ruolo
dell’insegnamento dovrebbero essere sostenute da teorie e ricerche sullo sviluppo pragmatico. Parliamo di
questioni che interessano sia il confronto culturale che cross-culturale, e anche di ciò che succede quando
due parlanti di lingue e culture diverse si incontrano e provano a comprendersi. Succedono cose come il
transfer che possono portare anche all’incomprensione (fallimento pragmatico). Guardiamo anche al
rapporto tra acquisizione della grammatica e della pragmatica, su cui sono state effettuate molte ricerche
che hanno portato a scoprire le strategie che gli apprendenti mettono in pratica nell’acquisizione di un’altra
lingua.
Gli studi sull’impiego nella L2 di mezzi verbali per la realizzazione di atti linguistici sono abbastanza
numerosi. La maggior parte di essi analizza la realizzazione degli atti linguistici in una l2 da una prospettiva
contrastiva, comparativa e anche sociopragmatica, paragonando le produzioni linguistiche di gruppi di
parlanti nativi (appartenenti a due culture diverse). Sono pochi invece gli studi in ottica acquisizionale. Uno
dei pochi studi che analizza longitudinalmente la realizzazione degli atti linguistici è quello di Nuzzo, sulla
realizzazione di richieste, scuse e proteste in italiano. Queste ricerche vengono fatte con apprendenti e per
periodi prolungati, per capire come avviene lo sviluppo.

Gli studi sono stati realizzati soprattutto su apprendenti che acquisiscono una lingua seconda fuori dal
contesto scolastico. Gli atti linguistici sono diversi per culture diverse, in quando sottendono non solo mezzi
diversi, ma sottendono anche diversi valori che si rivelano dallo statuto completamente diverso tra lingua e
lingua (es. l’onestà per i tedeschi, l’umiltà per le culture orientali).

Per esempio, gli Americani usano le scuse per una varietà di motivi (dispiacere, spiegazione, riparazione
dell’offesa, ecc.). Altro esempio: il “sorry” di un israeliano, che è di base più diretto, potrebbe non suonare
come una scusa alle orecchie dell’amico americano.
Questa è una tipica situazione formale giapponese in cui viene offerta all’interlocutore una spiegazione non
richiesta. In Giappone, l’impiegato potrebbe continuare a proferire scuse ripetute non fornendo una
spiegazione dettagliata, a meno che il capo non lo richieda espressamente. [ripetizione, auto-umiliazione].

Ci sono aree che facilitano l’acquisizione della competenza pragmatica in L2, cioè l’inferenza, l’acquisizione
degli atti linguistici indiretti, l’uso di routine pragmatiche (quali sono le routine che possono essere apprese
per scusarsi, richiedere, ecc.), la capacità di variare in base al contesto (è importante far esercitare gli
studenti su situazioni molto diverse, con persone che hanno ruoli diversi), e infine le principali categorie
degli atti (con molta gradualità).

Ci sono, infatti, delle aree di


variazione che dipendono dalla
cultura (vedi slide). Le convenzioni
sono importanti per non incorrere
in un fallimento pragmatico.

L’interpretazione accurata di ciò che c’è dietro il comportamento umano sta proprio nelle norme sociali e
culturali, e quindi definirle non è facile a
causa delle tradizioni, delle credenze e dei
valori che contribuiscono alla definizione
di queste norme.
Il problema della pragmatica è che essa non possiede norme di comportamento definite, esse vengono
stilate di volta in volta e subiscono variazioni a seconda del contesto culturale in cui ci troviamo.

Ci sono tre importanti aspetti su cui riflettere. Bisogna distingue, innanzitutto, tra gli stereotipi
(generalizzazioni. Il fatto che la cultura non sia un costrutto statico ma varia è un altro aspetto (non è una
entità monolitica!). Infine, sta agli apprendenti scegliere se voler essere pragmaticamente appropriati.

Per essere pragmaticamente


appropriati, bisogna tener conto di
questi fattori (vedi slide).

Vi sono delle questioni


acquisizionali importanti.
Il transfer negativo è molto comune tra
gli apprendenti di una lingua seconda.

Ci sono una serie di potenziali cause di


divergenza, tra cui l’eccessiva
generalizzazione, quindi l’estensione delle
regole a contesti in cui esse non si
applicano.

Si possono anche sovra estendere (si


estende in L2) delle norme perché si
percepiscono nella propria lingua in un modo.
I giapponesi non sono sempre indiretti, ma a volte possono essere molto diretti. Il sesso può influenzare
l’esito della conversazione. Più si ha una esposizione ad una L2, più la nostra consapevolezza si può
ampliare e non rimanere più ancorata alla propria L1.
Lo sforzo dell’insegnante dovrebbe essere quello di illustrare i valori di una cultura straniera senza imporli
all’apprendente. Il fallimento pragmatico può essere pragmalinguistico o sociopragmatico.
In questo tipo di studi viene dibattuto lo sviluppo della competenza pragmatica in relazione allo sviluppo
della competenza grammaticale. Benché le due competenze appaiano legate, non è chiaro se la
competenza grammaticale e quella grammatica si sviluppino in modo parallelo o se si sviluppino una a
spese dell’altro. Ciò viene approfondito in uno studio su 46 studenti L1 nederlandesi (Paesi Bassi, lingue
germaniche occidentali-olandese e fiammingo). Lo studio è di Vedder, del 2007, e coinvolge studenti che
apprendono l’italiano. Nello studio viene analizzato l’uso dei modificatori nelle richieste.

Ciò che si chiede l’autrice è:

[cloze-> attività in cui ci sono parole mancanti che gli apprendenti devono individuare per completare
l’esercizio]

Esistono due posizioni contrastanti discusse da un testo di Bettoni dal tutolo “Usare un’altra lingua”. Qui si
afferma che se la pragmatica precede la grammatica, gli apprendenti si rifanno alle conoscenze
pragmatiche che già hanno in L1. Se, invece, succede il contrario, la conoscenza delle regole grammaticali
viene prima dell’acquisizione pragmatica. Queste due posizioni, seppur contraddittorie, non si escludono,
cioè possono essere correlate entrambe a diversi stadi dello sviluppo linguistico. Negli stadi iniziali
dell’apprendimento, che sono caratterizzate dall’accostamento degli elementi lessicali in base al contesto
situazionale e discorsivo, gli apprendenti si rifanno alla conoscenza pragmatica di cui già dispongono. Solo
in un secondo momento, questa frase pre-sintattica è seguita da un’analisi grammaticale (la grammatica
emerge).

Consideriamo alcuni estratti raccolti come dati di questa analisi.

Il rapporto tra grammatica e pragmatica si rivela molto complesso. Da diversi studi sull’argomenti sono
emersi i risultati (riportati dalla slide).

Sulla base di questi assunti (che sono il risultato dello studio), facciamo l’esempio di una costruzione di un
apprendente nederlandese che deve chiedere se può pagare con la carta. Probabilmente questo enunciato
non costituirà un problema perché grosso modo l’enunciato corrisponde alla sua L1. Saranno invece più
difficili costruzioni che implicano l’uso del condizionale, che in nederlandese sono percepite come molto
formali.

Qui vediamo ciò che privilegia una lingua. C’è una preferenza dell’apprendente per le forme al presente,
meno marcate e usate più di frequente.

Una delle strategie degli apprendenti è di


evitare le forme della lingua seconda che
non si conoscono o su cui non si è sicuri.

Nonostante la tendenza che è stata


riscontrata tra gli apprendenti di L2 che hanno diversi livelli di padronanza, si usano pochi modificatori
perché si tende al minimo sforzo e c’è la consapevolezza del fatto che usare più forme implica più
confusione. Comunque, il quadro che emerge in ogni caso da varie ricerche compiute sull’uso dei
modificatori non è uniforme.
Ci sono alcuni studi effettuati tra nativi e non nativi sulle richieste, sull’uso dei modificatori, le cui
considerazioni sono riportate nella slide.

Gli apprendenti di livello avanzato riescono ad individuare il contesto nel quale le strategie dovrebbero
essere usate nella L2. Nell’effettuare le richieste, gli apprendenti base fanno un uso più diretto degli atti
(prediligono gli imperativi). Il primo stadio dello sviluppo delle richieste è denominato pre-basico, e si
caratterizza per una forte dipendenza dal contesto e per una scarsissima sintassi. Segue il formulaico (si
basa sulle formule). Il terzo stadio è quello dello “spacchettamento”, nel quale ci si sposta verso una
convenzionalità indiretta (es. “puoi passarmi la matita” invece di “passami la matita”). Con l’espansione
pragmatica si aggiungono nuove formule, aumenta la complessità sintattica e vi è un uso della mitigazione.

Il quinto stadio è quello della sintonizzazione, in cui l’apprendente modula la forza illocutoria della richiesta
in relazione al contesto e ai propri obiettivi. Qui c’è anche un’attenzione all’aspetto socio-pragmatico.
Questo stadio sembra essere raggiunto più rapidamente da soggetti che si trovano ad apprendere la lingua
all’interno della comunità in cui questa lingua viene parlata (è questo il concetto di L2). L’apprendimento
delle norme socio pragmatiche costituisce un compito estremamente arduo, soprattutto laddove
l’acquisizione avviene in contesti di lingua straniera che sono caratterizzati da rapporti di interazione
inferiori rispetto ad un contesto L2.

È possibile estrarre dati dagli apprendenti attraverso diverse modalità, che servono anche per insegnare e
far riflettere gli studenti a proposito dei comportamenti linguistici e pragmatici.

Qui abbiamo diverse tecniche di elicitazione dei dati classificati sulla base di diversi criteri. Nuzzo propone
questa distinzione tra dati manipolati (meno naturali, come le interviste e le narrazioni) e dati grezzi (più
naturali, come le interazioni spontanee).
Questo è un esempio di intervista, che è utile per ottenere informazioni sui significati culturali che i membri
di una comunità attribuiscono a certe pratiche comunicative e a certi aspetti dell’agire linguistico, non per
ottenere informazioni su pratiche comunicative nella realtà.

I diari e le annotazioni sul campo sono utili per cogliere la prospettiva del parlante non nativo in merito
all’esperienza acquisizionale o all’esperienza con i parlanti nativi, mentre non sono utili per ottenere
informazioni sulle pratiche comunicative e sull’interazione. Si può riportare per iscritto la propria
esperienza come studente di L2.

I questionari servono per ottenere informazioni sul sapere pragmatico coinvolto nello svolgimento di
determinate pragmatiche comunicative e giudizi meta-pragmatici sulle variabili contestuali che influenzano
le scelte strategiche e linguistiche. È utile per il ricercatore al fine di ottenere un elevato numero di dati
molto velocemente da tanti informanti.
C’è anche la possibilità di dare una situazione e poi delle opzioni su cosa si intende in quel dialogo.

Poi abbiamo gli esercizi di completamento del discorso (DCT), in cui c’è una richiesta e una risposta.

[questo è un cloze]
I Think-out-loud protocols possono essere utili per ottenere informazioni su alcuni aspetti delle effettive
modalità di realizzazione dell’agire linguistico, quindi parte di ciò che i parlanti farebbero se si trovassero in
una determinata situazione. Non è utile per capire quello che i parlanti fanno quando si trovano in una
determinata situazione.

I role plays possono essere chiusi, nel senso che c’è già una struttura ben definita di una situazione in cui
bisogna solo rispondere ad una richiesta.
I role plays aperti possono essere spontanei o non spontanei (i parlanti interpretano qualcuno).

Con la conversazione spontanea, invece, si ottengono informazioni sulle effettive modalità di realizzazione
dell’agire linguistico (ciò che i parlanti farebbero trovandosi in una determinata situazione).

Esempio: dare una risposta più o meno assertiva da quella più diretta a quella meno diretta (o più cortese a
meno cortese, in base ad un contesto).
[magari scriverei DIALOGUE Anna…]

Tutte queste tecniche sono spesso realizzate nelle tecniche dell’apprendimento degli atti linguistici e per il
confronto cross-culturale.

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