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Se ricordate, venerdì ci siamo lasciati parlando di chemochine, che sono quella famiglia di citochine con
azione chemiotattica, e dicevamo che ci sono circa una cinquantina di chemochine conosciute che vengono
classificate in base alla presenza, per esempio, di cisteine conservate. Ci sono anche altri meccanismi di
classificazione, ma questo è quello più in uso e più accettato.
In base a questa classificazione vengono denominate come C, CC, CXC oppure CX3C seguito da una L e poi
da un numero.
La L indica che stiamo parlando proprio della chemochina. Se invece c’è una R, significa che stiamo
parlando del recettore delle chemochine e anche per questi recettori ce ne sono diversi.
In questa immagine possiamo avere una
panoramica sulle citochine. Per prima cosa
possiamo osservare i numerosi “serpentelli” o
“termosifoni”, che non sono altro che quei recettori
delle citochine di cui abbiamo parlato nella scorsa
lezione, composti da 7 α-eliche transmembrana.
Si può notare, poi, che la ruota nell’immagine è
divisa in spicchi: si ha il settore arancione, che è
definito specifico, poiché ad ogni recettore
corrisponde una e una sola chimochina, per cui
questi sei recettori sono specifici per ricevere una
sola chimochina; il settore verde, quello più
grande, definito shared/condiviso, che rappresenta
una “novità”, in quanto i recettori che sono
rappresentati in questa porzione possono legare più
chimochine: ad esempio CCR8 può legare le
chimochine 1, 4 e 17 della famiglia CCL.
Vi faccio anche notare che, ad esempio, la CCL4 può essere legata anche dal recettore CCR5, e questo
significa che il sistema è degenerato: più chimochine possono legarsi allo stesso recettore e più recettori
possono legare la stessa chemochina, è una cosa molto importante. (Questo tipo di degenerazione è presente
nel sistema del linguaggio: voi potete usare la stessa parola per indicare lo stesso concetto o lo stesso oggetto
e chi vi ascolta capisce).
Di fatto anche questo sistema delle chemochine può essere considerato una specie di linguaggio: è quello che
le nostre cellule utilizzano per scambiarsi informazioni relative al “dove devo andare?”.
Ci sono poi alcuni recettori, indicati come sezione viral, che in realtà legano delle cose di origine virale, oltre
alle citochine, e tra questi abbiamo dei recettori che legano i virus, uno in particolare è il virus dell’HIV. Il
virus dell’HIV entra nelle nostre cellule attraverso dei recettori molecolari che hanno un’alta funzione
(ovviamente non sono lì per aiutare il virus ad entrare), e uno di questi è proprio un recettore delle
chemochine. (Ne riparleremo quando tratteremo l’argomento dell’HIV).
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
Sbobinator* 2: Elisa Fiocco Immunologia, lezione 4
Revisor*: Chiara Clementini Prof. Salvioli
Innanzitutto l’endotelio che deve essere attraversato, deve essere stato attivato dalle cellule che si trovano nel
tessuto sottostante, ad esempio dai macrofagi residenti, che a loro volta vengono attivati dalla presenza di un
patogeno. In risposta all’interazione con il patogeno, il macrofago inizia a produrre citochine e chemochine.
Queste due determinano sull’endotelio l’espressione di molecole adesive: selectine e ligandi delle integrine.
Una parte di queste si lega ai residui, tipo paransolfato o altri tipi di zuccheri complessi, sempre sulla
superficie dell’endotelio.
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
Sbobinator* 2: Elisa Fiocco Immunologia, lezione 4
Revisor*: Chiara Clementini Prof. Salvioli
In realtà, questo fenomeno per i leucociti termina lì. Se però parliamo di linfociti, e in particolare di linfociti
T, che sono quelli che si muovono nei tessuti in questo modo (i linfociti B tornano al midollo osseo o
rimangono dove sono, e quindi nei linfonodi, nella milza o in altri tessuti linfoidi), si notano delle differenze.
Durante tutto questo percorso il leucocita non sa chi lo sta chiamando, sta solo ricevendo una chiamata, non
sa cosa troverà nel tessuto. Fino a quando parliamo di leucociti, che sono spazzini generici, va tutto bene.
Se però parliamo di linfociti T, questo processo non è più adatto: è del tutto inutile richiamare un linfocita T
specifico per un antigene x, se l’antigene che ha innescato la risposta è un virus o un batterio che ha
l’antigene y.
Una volta arrivato nel tessuto il linfocita dovrà effettivamente vedere se è il caso di rimanere lì oppure no.
Ogni cellula ha il suo tipo di linguaggio, i linfociti ne hanno uno, i monociti un altro, proprio perché c’è la
possibilità di utilizzare tante “parole”, ovvero i diversi recettori e le diverse chemochine, che indicano alle
cellule della risposta immunitaria dove andare.
I metodi che hanno le cellule per fermarsi sono pochi: come abbiamo visto si possono usare le integrine e le
selectine; mentre le chemochine e i recettori sono tanti, per cui si può avere maggiore complessità delle
informazioni che vengono date.
I linfociti, per poter vedere il loro antigene per la prima volta, devono recarsi nel tessuto linfoide
secondario, in particolare nei linfonodi o in altre formazioni anatomiche caratterizzate da ammassi di
linfociti, come le placche di Peyer, situate nell’intestino tenue.
Si tratta di un passaggio in più, ma il funzionamento è praticamente identico. La differenza sta nell’endotelio
particolare presente negli endoteli delle venule a livello di questi organelli: prende il nome di endotelio alto,
in cui le cellule epiteliali non sono piatte ma cubiche, e soprattutto sono naturalmente appiccicose per i
linfociti naive, ovvero quei linfociti che non sono mai entrati a contatto con il proprio antigene.
Il linfocita che entra attraverso l’arteriola afferente, che attraversa il letto capillare ed entra nella venula,
prima di uscire, si appiccica all’endotelio alto; poi esce e finalmente arriva nel parenchima del linfonodo. A
questo punto si posiziona nell’area di sua competenza (area T per i linfociti T, area B per i B) e inizia a
cercare il suo antigene. Saranno le cellule dendritiche a esporre l’eventuale antigene, che è stato portato nel
linfonodo dalla periferia.
Se il linfocita riconosce l’antigene, si attiva e dà inizio a una risposta immunitaria. Se inviene non è presente
l’antigene, cosa che succede nella stragrande maggioranza dei casi, il linfocita esce dal linfonodo e ritorna
nel torrente circolatorio attraverso la linfa e quindi i vasi linfatici.
Se il linfocita viene attivato possono succedere due cose, a seconda che si tratti di un linfocita T o B:
Se è un linfocita B, o rimane nel
linfonodo o ritorna al midollo
osseo
Se è un linfocita T, ricomincia a
circolare e fa la stessa cosa nei
tessuti periferici: va quindi a
cercare nei tessuti periferici lo
stimolo che lo ha attivato a livello
linfonodale.
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
Sbobinator* 2: Elisa Fiocco Immunologia, lezione 4
Revisor*: Chiara Clementini Prof. Salvioli
C’è quindi tutta questa circolazione vorticosa che avviene continuamente: si pensa che siano circa 25
miliardi di cellule (linfociti naive) che ogni giorno fanno questo movimento attraverso i linfonodi per
pattugliare il nostro organismo alla ricerca di antigeni.
Nelle due micro-fotografie al lato si vedono la sezione di una venula con linfociti che si portano all’esterno.
Una cosa interessante, che ha anche un’applicazione pratica, è capire come fa il linfocita, una volta entrato
nel linfonodo, ad uscire. Abbiamo detto che il linfocita esce dal linfonodo se non trova il suo antigene; in
realtà esce anche se trova l’antigene, venendo attivato, ma con tempi più lunghi, poiché deve dare inizio alla
risposta.
Ma come fa ad uscire?
Sicuramente i meccanismi utilizzati sono
diversi, ma quello che conosciamo noi è un
meccanismo di tipo chemiotattico: questa
volta non dipende dalla presenza di una
chemochina, ma dalla presenza di una
sostanza complessa, che è la sfingosina-1,
fosfato. Si tratta di una sostanza che viene
rapidamente degradata nei tessuti, ma è
presente in alte concentrazioni nella linfa e
nel sangue.
Sono stati evidenziati dei farmaci che bloccano questi recettori e che quindi impediscono la fuoriuscita dei
linfociti dai tessuti, principalmente dai tessuti linfoidi: se si impedisce la fuoriuscita del linfocita, in realtà, si
va a impedire che il linfocita possa agire sui tessuti periferici, se sono stati attivati, o che vadano a fare un
ulteriore pattugliamento in altri linfonodi, se sono rimasti inattivi. Si va quindi a bloccare tutto il ricircolo dei
linfociti.
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
Sbobinator* 2: Elisa Fiocco Immunologia, lezione 4
Revisor*: Chiara Clementini Prof. Salvioli
Si tratta di farmaci che portano all’immuno-soppressione: si blocca il circolo dei linfociti e quindi la
possibilità dei linfociti di riconoscere il loro antigene e successivamente di portarsi nei tessuti in cui possono
svolgere la loro azione. Ci sono diversi farmaci di questo tipo, il primo che è stato fatto si chiama
Fingolimod (mod=modulatore), e sono farmaci che vengono utilizzati per il trattamento di malattie
autoimmuni. Non è quindi solo un discorso che riguarda le conoscenze accademiche, ma ha anche una
valenza nella pratica medica.
Ci sono poi tutti gli altri tessuti che hanno un loro particolare tipo di sistema immunitario locale, con homing
delle cellule bianche, guidato specificamente sia dalle chemochine che dall’espressione di alcune integrine e
ligandi delle integrine, ma non entriamo nello specifico. Ricordate però che ogni tessuto ha il suo sistema
immunitario, mentre i linfociti sono sempre gli stessi: i linfociti che vanno a finire in un determinato tessuto
sono quelli che sono stati indirizzati lì dopo aver ricevuto il segnale da parte di determinate chemochine o
addressine molecolari, come i ligandi per le integrine.
Al prof piace l’idea che ogni volta che si incontra la dicitura “naturale” quando si parla di biologia,
anatomia o scienze in generale, significa che non avevano capito assolutamente nulla dell’argomento
trattato.
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
Sbobinator* 2: Elisa Fiocco Immunologia, lezione 4
Revisor*: Chiara Clementini Prof. Salvioli
L’immunità innata è quella che preesiste all’incontro con l’antigene e che non è così specifica né precisa
nei confronti di un determinato antigene, ma prende un po’ in generale grandi categorie di patogeni.
Parleremo quindi dei componenti principali e dei suoi recettori, delle cellule che hanno un ruolo prominente
in questo tipo di immunità, che sono cellule di tipo fagocitico (quindi parleremo principalmente di
macrofagi) e infine di una cosa molto interessante, ovvero lo stato antivirale.
È utile studiare lo stato antivirale, soprattutto perché è strettamente collegato all’argomento del COVID-19: è
stato visto che un buono stato antivirale produce citochine con attività antivirale in quantità sostanziale e la
malattia si presenta in una forma meno grave. Si valuta che il 90% delle infezioni vengono combattute
dall’immunità innata, quindi non si vanno ad attivare linfociti T e a creare anticorpi specifici.
Come mai invece i vertebrati hanno sentito il bisogno, premiato dall’evoluzione, di sviluppare anche un
ulteriore stadio di efficacia, rappresentato dallo stadio dei linfociti? Non lo sappiamo.
Si ritiene che sia stato determinato dalle dimensioni dell’organismo, che, ad esempio, presenta un tubo
digerente molto complicato, molto lungo, e colonizzato da batteri.
La presenza di una flora batterica intestinale potrebbe essere una delle cose da tenere sotto controllo che ha
determinato la necessità di sviluppare un’ulteriore risposta immunitaria.
Fatto sta che un processo molto complesso e molto dispendioso come quello di dover creare un repertorio di
linfociti è presente da questi animali in su, fino a noi, e soprattutto non è dispensabile : non possiamo fare a
meno dei linfociti, è un tipo cellulare, un tipo di risposta del quale non possiamo fare a meno.
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
Sbobinator* 2: Elisa Fiocco Immunologia, lezione 4
Revisor*: Chiara Clementini Prof. Salvioli
quanto riguarda l’immunità innata, soprattutto a livello dei due gruppi cellulari principali, che sono i
macrofagi e le NK;
È antica;
Rappresenta la prima risposta del sistema immunitario verso i patogeni: da questo punto di vista
noi possiamo distinguere, all’interno di queste risposte immunitarie, le risposte che avvengono
nell’immediato, proprio perché si tratta di barriere chimico-fisiche già preesistenti, e risposte che
sono comunque veloci ma che vengono attivate in qualche ora, perché si tratta di cellule (fagociti)
che vanno in ogni caso attivati;
I meccanismi effettori di questa risposta, cioè sostanzialmente come si fa a rispondere ad un
patogeno con l’immunità innata, molto spesso sono gli stessi che usa anche l’immunità specifica:
non dobbiamo pensare ai due tipi di risposta come a due meccanismi completamente diversi e
svincolati l’uno dall’altro, si tratta di una divisione che facciamo noi, per comodità; i meccanismi
effettori molto spesso sono gli stessi.
La differenza è che, se parlo di immunità innata, con questi meccanismi “sparo nel mucchio”; con
l’immunità specifica il meccanismo ha un bersaglio preciso. Mettiamo il caso che io sia un killer
assoldato da una mafia di qualche tipo che mi dice: “qua in mezzo c’è uno che devi far fuori”; se
sono dell’immunità innata sparo con un mitra e chi prendo prendo; se sono dell’immunità specifica
prendo un mirino telescopico, sparo a quello che mi interessa e tutti gli altri li lascio perdere.
Ma utilizzo in ogni caso un’arma da fuoco: non c’è così tanta differenza tra un mitra e un fucile con
il mirino; stessa cosa per i due tipi di immunità.
L’immunità innata è la prima ad agire ed è quella che segnala ai linfociti di mettersi in movimento.
L’immunità specifica utilizza a sua volta il meccanismo dell’immunità innata per compiere il suo lavoro.
La comunicazione tra immunità innata e specifica avviene chiaramente tramite la produzione di citochine.
L’immunità innata è composta da barriere fisiche o chimiche preesistenti all’incontro con i patogeni. Esempi
di queste barriere sono: gli epiteli, le mucose, un Ph sfavorevole alla presenza di batteri, la produzione di
sostanze batteriostatiche… tutti
elementi che rappresentano un
ostacolo per i batteri. Questo sistema
non ha un’efficacia totale, però la sua
assenza determina gravi
problematiche.
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
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Queste barriere rappresentano il primo stadio di placcaggio di batteri e infezioni, ma non sono gli unici
elementi a svolgere questa funzione.
Nell’immunità innata vi sono infatti anche altre cellule molto importanti quali: Cellule Natural Killer (NK),
NKT, cellule MAIT, cellule T gamma/delta e cellule B1.
Queste popolazioni sono numericamente meno estese e si trovano soprattutto a livello dei tessuti.
È evidente che negli acronimi ci siano ampi riferimenti alla dicitura B e T, quindi ciò porterebbe
naturalmente a correlarli ai linfociti B e T appartenenti all’immunità specifica.
In realtà queste cellule “a metà strada” fanno parte dell’immunità innata: hanno un’origine linfocitaria ma
agiscono come cellule dell’immunità innata, sono infatti in grado di riconoscere solo una gamma molto
limitata di antigeni, non agiscono con precisione.
La pentraxina più famosa è la proteina C-reattiva. Essa pur possedendo un suo ruolo specifico, viene
utilizzata da un punto di vista medico come indice di infiammazione: se nelle analisi il valore risulta elevato,
significa appunto che è in atto un’infiammazione.
Questa proteina fa parte delle proteine della fase acuta e viene normalmente prodotta dal fegato.
invece vi è uno strato di muco (in blu) e batteri (in azzurro), che tendono a colonizzarlo. La maggior parte di
essi chiaramente sta fuori. Quelli rossi sono i batteri patogeni.
In situazioni normali il sistema immunitario delle mucose, soprattutto di quelle intestinali dove vi è la
maggior parte del microbiota del nostro corpo, funziona in maniera opposta ai linfonodi. Siamo infatti
abituati a pensare che, quando arriva qualcosa di estraneo, è necessario attivare una risposta immunitaria
efficace. Nell’intestino invece il meccanismo funziona al contrario. Infatti, nell’ambiente intestinale è
normale che ci sia qualcosa che proviene dall’esterno. Questa situazione fa quindi in modo che i recettori
dell’immunità innata non vengano attivati, non vi è dunque la sintesi di fattori di trascrizione e si crea una
situazione di tolleranza.
(un fattore di trascrizione molto importante nell’induzione del processo infiammatorio è l’NFKB)
Un sistema diverso da quello dell’intestino è quello proprio dei linfonodi, dove la presenza di agenti estranei
fa scattare una pronta risposta immunitaria.
Il loro compito è distruggere la membrana dei batteri: funzionano come dei detergenti che si inframmezzano
alla membrana batterica creando dei pori che permettono l’ingresso di acqua e soluti, causando la morte del
batterio.
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
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Revisor*: Chiara Clementini Prof. Salvioli
Questo tipo di sostanze potrebbe causare un danno anche alle nostre cellule ma, per ovviare a questo,
vengono secrete in una forma inattiva e si attivano solamente in ambienti con una bassa forza ionica quali
lacrime, sudore, secrezioni vaginali e intestinali.
Un’infiammazione nel momento in cui diventa cronica è sempre un fattore di rischio per lo sviluppo di
tumori.
(alcuni secondi di audio incomprensibili)
I FAGOCITI
Quelli verdi sono batteri Escherichia coli. È importante osservarli per avere
un’idea delle dimensioni. I fagociti infatti fagocitano qualcosa di più piccolo
di loro.
Gli elementi fagocitati possono essere batteri o corpi apoptotici. Tranne
che per rarissime eccezioni, non viene mai fagocitata un’altra cellula intera.
Queste eccezioni sono rappresentate da situazioni di cannibalismo
cellulare, evento rarissimo che avviene a volte anche tra cellule tumorali.
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
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Altri elementi degni di nota sono i Toll-like receptors, recettori simili a Toll. Questi vennero scoperti in
Drosophila e poi sono stati riconosciuti anche nel nostro organismo. All’insetto sono utili per il proprio
sviluppo cellulare, mentre nell’uomo guidano le risposte immunitarie innate.
In realtà ci sono tanti altri recettori che permettono al macrofago di riconoscere la sostanza da fagocitare.
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Il macrofago da un lato produce sostanze che servono a uccidere ciò che ha fagocitato e dall’altro ad attivare
la risposta adattativa/specifica di altre cellule. In questo caso l’infiammazione non seve solamente per
distruggere il batterio, ma anche a far attivare la risposta adattativa, quella che poi darà la memoria.
Il monocita diventa M1 o M2 a seconda dei segnali che riceve tramite altre citochine. IL13 e IL4 guidano la
differenziazione in senso M2; l’interferone gamma e il fatto di essere stato mangiato da ligandi/microbi che
vanno a legarsi su questi TLR (toll like reseptors) mi guidano la differenziazione M1.
In realtà questo concetto potrebbe creare confusione, dato che generalmente pensiamo all’interferone come
qualcosa di antivirale. Questo si spiega in quanto esistono due classi di interferoni, quelli di classe 1 e quelli
di classe 2:
- classe 1 è antivirale
- classe 2 invece è costituita unicamente dall’interferone gamma il quale è pro-infiammatorio, serve
quindi per attivare la risposta immunitaria sempre tramite infiammazione. Non è un antivirale come
gli altri, ma per motivi storici viene ancora denominato interferone, pur non interferendo in senso
vero nel metabolismo dei virus come gli altri.
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
Sbobinator* 2: Elisa Fiocco Immunologia, lezione 4
Revisor*: Chiara Clementini Prof. Salvioli
Queste molecole associate ai patogeni vengono indicate con PAMPs -Pathogen-associated molecular pattern
molecules - Patterns Molecolari associati ai Patogeni. Si tratta di componenti essenziali dei patogeni.
I recettori con cui le cellule fagocitarie riconoscono i PAMPs sono i PRR, Pattern recognition reseptors.
Pur essendo un meccanismo così efficace nella sua semplicità, è stato dimostrato negli anni che questi
recettori non riconoscono solo agenti estranei (PAMPs), ma vedono anche alcuni elementi del self. Questi
particolari elementi del self rientrano sotto la denominazione di DAMPs, Danger Associated Molecular
Patterns.
Essendo qualcosa di proprio non dovrebbe esserci risposta immunitaria. Queste molecole si presentano però
come alterate, danneggiate, ossidate, mal ripiegate, fuori posto (molecole intracellulari trovate fuori dalla
cellula, molecole nucleari o intramitocondriali trovate nel citoplasma…).
Insomma una situazione di danno cellulare. Viene attivata un’infiammazione poiché ci deve
necessariamente essere un ente in circolo che ha causato questo malfunzionamento. Con questi recettori
riconosco sia il danno fatto che il patogeno.
Questo concetto ha complicato ulteriormente il nostro modo di pensare, ma è molto importante poiché
significa che se una situazione non provoca un danno, anche se ci sono effettivamente dei batteri in circolo, il
sistema non si attiva, non reagisce.
Esempi di molecole che vengono viste come DAMPs se dislocate dalla loro normale postazione:
Heat shock proteins extracellulari, questa è una proteina nucleare che, se viene trovata al di
fuori dal nucleo, indica malfunzionamento.
ATP extracellulare (l’ATP non dovrebbe stare fuori dalle cellule)
Istoni
DNA extramitocondriale (DNA mitocondiale fuori dai mitocondri)
Cardiolipine (componenti dalla membrana interna dei mitocondri)
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Sbobinator* 1: Eleonora Fasanelli 18/10/2021
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Proteine ossidate
Cristalli organici
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