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BIOCHIMICA

ORMONALE
Sbobina n° 31 [Biochimica] (20.04.2021)

Prof.ssa: Chiarugi

Sbobinatore: Sofia Corrente

Revisore: Lorenzo Borghi

INTRODUZIONE

Iniziamo a vedere come funziona la trasduzione del segnale, come gli ormoni possono condizionare le
risposte delle cellule, che tipo di attori molecolari usano e i sistemi con cui le cellule si parlano e
condizionano il proprio comportamento in relazione al segnale che arriva loro da lontano.

Dopo questa introduzione alla segnalazione ormonale la professoressa Giannoni svolgerà delle lezioni sulla
biosintesi da parte delle ghiandole di buona parte degli ormoni che l’Homo Sapiens usa. Ovviamente non li
faremo tutti perché sono moltissimi e sarebbe impensabile farlo, ma tratteremo i più importanti del
metabolismo cellulare.

La fotografia del metabolismo è stata completata. Avete visto l’introduzione alla biochimica e alla biologia
molecolare, il metabolismo cellulare e come gli ormoni vengono sintetizzati. Rimane da fare la summa di
tutto questo. Allora ci rivedremo nell’arco di maggio e rifaremo la parte di biochimica di sistematica umana,
quindi come funziona il fegato e come funziona la regolazione ormonale del fegato, come funziona il rene, il
tessuto adiposo. Parleremo anche della connessione ormonale e metabolica fra i vari organi.

Per affrontare in maniera efficiente quella parte di corso vi gioverebbe di riguardare la parte sul
metabolismo in modo da comprenderlo meglio.

Gli ormoni sono dei messaggeri, in particolare sono i primi messaggeri perché sono messaggeri
extracellulari che vengono secreti da delle ghiandole che possono essere anche molto distanti dalla cellula
che recepisce il segnale, la quale è detta cellula bersaglio (o cellula target). Questi segnali influenzano il
comportamento della cellula bersaglio.

Generalmente si tende parlare di ormoni indentificandoli unicamente con gli ormoni endocrini, quali
insulina, glucagone, adrenalina, noradrenalina, glucocorticoidi, ormoni sessuali. Questi vengono secreti da
delle ghiandole endocrine e veicolati nel torrente circolatorio fino ad arrivare alla cellula bersaglio, che
varia il suo comportamento.

In realtà ci sono anche tanti altri ormoni che non sono endocrini, ma che vengono secreti da cellule vicine
alla cellula target e che quindi non hanno bisogno del torrente circolatorio, altri possono essere secreti
dalla stessa cellula che recepisce il segnale. In più possiamo usare il termine ormone in un’accezione più
ampia, riferendosi a stimoli esterni che la cellula recepisce con la stessa tipologia di molecole che servono
per recepire i segnali, cambiando poi il suo comportamento. Un esempio è la luce, che cambia il
comportamento delle cellule che avendo i fotorecettori recepiscono il segnale luminoso. La stimolazione
meccanica tecnicamente non è un ormone, ma propriamente sì perché cambia il comportamento delle
cellule che la sentono.
ECCO COSA VIENE INSERITO SOTTO L’EPITETO ORMONI:

antigeni, oligosaccaridi o glicoproteine di superficie, segnali di sviluppo,


le proteine della matrice extracellualre (ci sono degli specifici recettori
per la matrice extracellulare che si chiamano integrine), i fattori di
crescita, ormoni endocrini, tocco meccanico, neurotrasmettitori,
odoranti, molecole che stimolano i recettori del gusto (tastants), i
feromoni (la cui esistenza nell’essere umano è questionabile. Sulle quali
svolgeremo una lezione delle attività AFP, giusto per approfondire la
biochimica relazionale. Sono molecole addirittura extracorporee).

GLI EFFETTI DEL SEGNALE ORMONALE

Gli ormoni regolano:

• i processi metabolici (sarà il 90% delle vie che vedremo)


• il ciclo cellulare, per esempio i fattori di crescita inducono la proliferazione
• la chemiotassi. Le cellule sentono dei fattori di motilità verso cui vanno o da cui si allontanano. Si
parla di segnalazione attrattiva o repulsiva. Quella repulsiva è di gran lunga più efficiente e usata.
• adattamenti ambientali. La luce, il buio, il rumore, il caldo, il freddo, il dolore, sono tutti stimoli
ambientali legati ad ormoni nella loro accezione più ampia. Ci sono dei sistemi che ci dicono come
reagire a queste sensazioni e che attivano nei vari casi i diversi organi che vanno ad attivare ad
esempio il tessuto adiposo o i muscoli. (questa parte l’ho presa dalle sbobine del 2019, mi
sembrava più chiara)

GLI ATTORI DEL METABOLISMO DELL’INFORMAZIONE

1. i segnali che portano l’informazione: gli ormoni o primi messaggeri


2. Le molecole che ricevono il segnale: i recettori. Questi possono stare o sulla membrana o nella
cellula
3. Le molecole che elaborano il segnale: trasduttori. Questi sono i secondi messaggeri, coloro che
dicono alla cellula di cambiare il proprio comportamento.

LA SEGNALAZIONE DIVIDE GLI ORMONI IN 3 GRANDI GRUPPI

1. ENDOCRINI, sintetizzati in un posto diverso da dove vengono recepiti. Hanno bisogno di un


trasportatore, generalmente vengono trasportati nel sangue, raramente nella linfa.
2. PARACRINI, secreti nelle immediate vicinanze della cellula bersaglio. Non hanno bisogno di un
trasportatore perché si muovono nel liquido interstiziale.
3. AUTOCRINI è la stessa cellula che segnala a sé stessa. Ciò sembra un’idiozia. A che serve questa
cosa? Non potrebbe esserci una regolazione intra-cellulare per cambiare il comportamento della
cellula? Potrebbe essere, ma questa è più funzionale perché essendo fatta da più passaggi è
maggiormente regolabile.

Comunicazione attraverso la membrana sono:

- OMOTIPICO, segnalatore uguale al ricevente del segnale (ad esempio le caderine)


- ETEROTIPICO, segnalatore diverso al ricevente del segnale
ECCO ALCUNI ESEMPI

1. Segnalazione endocrinaà la ghiandola, che può essere anche


molto lontana dal bersaglio, secerne l’ormone nel torrente
circolatorio che lo porta fino alla zona bersaglio.
2. Segnalazione paracrinaà Di due cellule abbastanza vicine, una
secerne l’ormone attraverso delle vescicole, che vengono recepite
dall’altra cellula che ha un recettore, ossia una proteina di membrana
che interagisce fisicamente con l’ormone. Il comportamento della
seconda cellula cambierà.
3. Segnalazione autocrinaàQualcosa dice alla cellula di cominciare a
secernere l’ormone, poi esprime anche il recettore che interagendo
con l’ormone determina un cambiamento di comportamento della
cellula. Questa è una segnalazione molto comune, anche se non tanto
quanto quella endocrina
4. Segnalazione mediante molecole di membranaàParlando della
segnalazione paracrina abbiamo descritto una cellula che secerneva un ormone che era solubile e
che andava verso le cellule vicine. Adesso parliamo di una molecola segnalatoria, dunque un
ormone, che rimane attaccato alla membrana della cellula che l’ha sintetizzato. Questa è una
molecola segnalatoria ad azione ormonale che segnala alla cellula accanto. Quindi è una
segnalazione che va bene per cellule adiacenti. Ad esempio le Caderine sono molecole di superficie
che mediano l’interazione tra due cellule vicine. E’ una segnalazione di tipo omotipico, perché le
caderine della due cellule sono uguali. Quando invece le cellule interagiscono con molecole diverse
si parla di interazione eterotipica.

CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEI SISTEMI DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE

SPECIFICITA’: l’ormone interagisce con il suo recettore. Il recettore stechiometricamente


e topologicamente risponde alla conformazione dell’ormone. Nell’immagine ci sono due
molecole che potrebbero funzionare da ormone, una delle quali è specifica per quel
recettore e dunque l’attiverà, mentre l’altra no. La specificità e fondamentale altrimenti
tutte le molecole ormonali agirebbero su tutti i recettori.

AMPLIFICAZIONE: il segnale viene amplificato all’interno della cellula, in quanto attiverà


dei secondi messaggeri. I secondi messaggeri propagheranno il segnale all’interno della cellula. Sarebbe
impensabile modificare il comportamento di una cellula semplicemente agendo su una molecola. Se in
seguito all’interazione dell’ormone con il recettore fosse attivato un solo secondo messaggero sarebbe
troppo flebile come segnale. Allora ci sono diversi secondi messaggeri che
amplificano il segnale, questi secondi messaggeri agiranno poi su un
numero di molecola ancora più ampio e così via. Nell’immagine vediamo
come il segnale ormonale attiva un enzima 1 che attiva più molecole di
enzima 2, le quali attiveranno più molecole dell’enzima 3. Ecco che si
amplificherà il segnale a cascata tanto più quanto più sono i passaggi.
Mediamente i passaggi sono sette o otto.
DESENSITIZZAZIONE E TERMINAZIONE. Per quanto tempo bisogna influenzare il segnale? Come si fa a fare
in modo che questo segnale termini? I segnali sono dotati di un fenomeno di desensitizzazione e di
terminazione. DESENSITIZZAZIONE vuol dire che se il segnale rimane nel torrente circolatorio dopo un po’
l’ormone si sente un po’ meno, il recettore è meno recettivo. Ad esempio quando ad un
esame ci mettiamo a sedere davanti ad un docente abbiamo una grande stimolazione
adrenergica, ma poi piano piano ci si tranquillizza perché c’è una desensitizzazione del
recettore. Per farlo ci saranno dei segnali che vanno sul recettore e gli danno una
“smorzatina”. Per desensitizzazione ci abituiamo anche al segnale degli odoranti.

Inoltre ci sono anche segnali che lo terminano, che lo chiudono. Ad esempio finché io ho la
stimolazione indotta dallo stressogeno, l’adrenalina viene sintetizzata dalla midollare del surrene. Ad un
certo punto il segnale smette perché ci saranno degli enzimi che si occupano della TERMINAZIONE del
segnale. I segnali funzionano solo ed esclusivamente se hanno un termine, altrimenti si va incontro
ad una trasformazione neoplastica, che è un esempio in cui il segnale non termina mai, ad una
duplicazione segue una seconda e poi una terza.

INTEGRAZIONE Alla cellula arrivano insieme diversi segnali. La cellula allora risponde insieme a
tutti facendo una sommatoria dei segnali. Qualche volta i segnali sono antitetici e in questo caso si
produrrà una somma algebrica dei segnali all’interno della cellula.

LE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DEI SISTEMI DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE

Il segnale si origina fuori dalla cellula, va su un recettore (nell’immagine si tratta di un recettore che sta
sulla membrana. La maggior parte dei recettori stanno sulla membrana, ma non tutti). Il recettore cambia
conformazione, si attiva e manda un segnale dentro. Il segnale viene mediato dai cosiddetti secondi
messaggeri (nell’immagine sono indicati come intracellular signaling
protein), che sono proteine (anche se talvolta possono non essere
proteine) che hanno una funzione segnalatoria. I secondi messaggeri
possono essere uno, due, tre o molti. Arrivano ad effettori che sono
enzimi (qualche esempioà se voglio regolare la sintesi del glucosio,
andrò a regolare la gluconeogenesi. Se voglio regolare la trascrizione
dei geni, andrò a regolare la RNA polimerasi). Questi effettori vanno a
fare il loro mestiere. Possono indurre il movimento delle cellule,
alterare il metabolismo, alterare l’espressione genica.

Questo è uno schema generale che funziona sempre. Nelle prossime


lezioni ci occuperemo della classificazione degli ormoni, dei secondi
messaggeri.

DIFFERENZA TRA SEGNALAZIONE FAST E SLOW

Tecnicamente il segnale può essere breve o di lunga durata. Ci sono ormoni che inducono segnali di breve
durata, ormoni che inducono segnali di lunga durata oppure ormoni che
inducono un segnale sia di breve che di lunga durata.

- Segnale di breve (fast)à regola gli enzimi


- Segnale di lunga durata (slow)à si tratta di una risposta duratura,
nella quale è coinvolta la trascrizione di geni.
La gluconeogenesi si attiva quando siamo lontani da un pasto. Il glucagone dà una regolazione enzimatica, il
cui target sarà la glicogeno fosforilasi, la quale stacca le unità monomeriche di glucosio dal glicogeno.

Se siamo in caso di digiuno prolungato si attiveranno altri ormoni. Ad esempio i glucocorticoidi, sintetizzati
dalla midollare del surrene, nello specifico il cortisolo. Il cortisolo ha meno effetti sugli enzimi, non andrà
sulla glicogeno fosforilasi, anche perché dopo molti giorni di digiuno il glicogeno è terminato. Allora il
glicogeno dovrà essere sintetizzato. Per fare questo si attiverà la trascrizione genica, avremo quindi tutta
azione “slow”.

Ricapitolando quindi glucagone e glucocorticoidi fanno la stessa cosa perché regolano entrambi la
gluconeogenesi ma in momenti fisiologici diversi e con meccanismi diversi:

• Segnalazione fastà effettuata dal glucagone che regolerà gli enzimi.


• Segnalazione slowàeffettuata dal cortisolo che regolerà la trascrizione degli enzimi. Per altro la
gluconeogenesi è tipica del fegato ma coadiuvata dal rene quando siamo in lunga starvazione, cioè
in digiuno prolungato. Chi lo dice al rene che è arrivato il momento di fare gli enzimi della
gluconeogenesi? Il cortisolo. Si tratta di condizioni fisiologiche diverse, una passa dalla biosintesi
del RNA e l’altra no.

GLI EFFETTI CHE POSSONO AVERE GLI ORMONI SULLE CELLULE

Sopravvivenza. La sopravvivenza non è semplice per la cellula. La cellula è programmata per morire. Se
sopravvive vuol dire che ha sentito un segnale che le ha detto di sopravvivere. La cellula innesca quindi la
risposta

Crescita e divisione. Queste sono due effetti diversi. Alcuni ormoni, come
l’insulina, dicono di fare anabolismo e di ingrandire il citoplasma, senza
proliferare. Altri ormoni stimolano la divisione, stimolando l’entrata in fase S
e quindi la biosintesi del DNA. Sono due risposte diverse

Differenziamento. Molte cellule sono blasti che non sono differenziate ma


che devono farlo. Ad esempio un mioblasto deve differenziarsi in miocita
perché deve ricostruire un buco in seguito ad una ferita o ad una atrofia. Sarà
poi diverso se sarà un cardiomiocita oppure no. Sono quindi ormoni diversi
che spiegano alle cellule dove andare a differenziarsi.

Morte per apoptosi. Alcuni segnali dicono alle cellule di morire. La cellula va
quindi incontro alla morte cellulare programmata.

Domanda

Gli interferoni sono ormoni? Sì, fanno parte della classe di citochine e hanno una azione paracrina. Vengono
sintetizzate dalle cellule e sentite da altre non molto lontane.
ORMONE HA TANTI EFFETTI DIVERSI A SECONDA DAL TESSUTO CON CUI INTERAGISCE.

Lo stesso ormone può fare cose diverse a seconda del tessuto con cui
interagisce. Si raggiunge questo effetto cambiando tipo di recettore.

L’adrenalina è l’esempio principe. Ha recettori diversi: recettore di tipo


alpha (alpha1, alpha2) oppure di tipo beta (beta1, beta2, beta3). Questi
recettori sono espressi in tessuti diversi e causano risposte diverse.
L’adrenalina è cronotropa sul cuore (che esprime il recettore beta 1)
andando ad aumentare la velocità di battito. E’ un ormone che induce
un metabolismo di consumo del glucosio sul fegato (che esprime il
recettore beta2)

E’ attivo sulla muscolatura liscia. Può indurre contrazione della muscolatura liscia in un distretto e
rilassamento della muscolatura liscia in altri distretti. Induce rilassamento nel tratto genito-urinario, ma è
vaso costrittrice in altri ambiti. È lo stesso ormone e le cellule sono sempre muscolari lisce, tuttavia i
distretti sono diversi. Ma come può avvenire ciò? Il motivo è che vengono espressi recettori diversi in
tessuti diversi.

ORMONE HA TANTI EFFETTI DIPENDENTI DALLA DOSE

Un ormone se sintetizzato in quantità diverse può avere effetti diversi. Piccole quantità indurranno un
effetto, alte quantità indurranno altri effetti.

Tipico è il caso del tumor grow factor- beta (TGF-beta)à sintetizzato in piccole quantità è differenziativo e
inibitorio della crescita. Le cellule che differenziano non proliferano, si specializzano in qualcosa.

Sintetizzato in grande quantità è proliferativo

Questi ormoni possono avere una velleità di morfogeni. Le cellule possono


sentirne dei gradienti. Visto che viene sintetizzato in quantità differenti da
ghiandole diverse, le cellule che hanno i recettori sono capaci di sentire se ce
n’è tanto o poco e quindi si muovono verso un gradiente, di solito
incrementale. Se sentono che ce n’è poco si muovono verso la sorgente.
Questo di solito attiva dei fenomeni di mobilità, che sono molto importanti.
Pensate all’embriogenesi e a quante cellule si muovono nel corso di questa.
Ciò avviene anche nell’età adulta, basti pensare ai linfociti, alla neoangiogenesi, alla neurigenesi.

MECCANISMI DI TRASDUZIONE DEL SEGNALE

Da un punto di vista molecolare possiamo distinguere due grandi gruppi: ormoni idrofili e idrofobi.

ORMONI IDROFILI:

• trasporto plasmatico senza carrieràessendo il liquido interstiziale, il sangue e il citoplasma


soluzioni acquose non hanno bisogno di essere trasportati
• hanno un recettore di membranaà hanno dei problemi per attraversare la membrana che
essendo lipofila costituisce una barriera. Ecco perché questi ormoni sono bloccati dalla membrana
e hanno bisogno di un recettore di membrana. L’ormone non entrerà mai dentro la cellula, gira
ovunque ma mai dentro la cellula.
• necessita di secondi messaggeri che trasducano il
segnale. Ha bisogno di altre molecole all’interno della
cellula che trasducano il segnale dl primo messaggero,
ossia l’ormone. Questi possono essere molti e
andranno ad influenzare tanti aspetti diversi.
• l’effetto finale è sempre la trascrizione dell’RNA di
una serie di geni. Alla fine si andrà sempre a modulare
la trascrizione dell’RNA messaggero e quindi a
cambiare la risposta della cellula.

ORMONI LIPOFILI:

• quando girano nel torrente circolatorio di solito hanno un carrier, quando girano nel torrente
circolatorio hanno bisogno di qualcosa che gli aiuti a trasportarli, di solito hanno un carrier
plasmatico che di solito è una proteina con affinità lipofila
• possono attraversare la membrana e quindi non necessitano di un recettore di membrana, ma
possono avere un recettore interno alla cellula o addirittura dentro il
nucleo. Qualche volta possono avere un recettore di membrana, ma
comunemente entrano nella cellula.
• Non hanno bisogno tecnicamente di secondi messaggeri
A questo gruppo appartengono tutti gli ormoni steroidei, che derivano dal
colesterolo. Il colesterolo è un lipide che ha un piccolo OH su un anello, ma
negli ormoni steroidei questo non è presente, quindi sono lipofili.
Rientrano in questo gruppo i glucorticoidi, tutti gli omoni sessuali, gli
androgeni (precursori degli ormoni sessuali) e i mineralcorticoidi. Tutti
questi hanno recettori citosolici. Un altro gruppo è composto dagli ormoni
tiroidei T3 e T4. Questi derivano dall’associazione di due tirosine che
lasciano il gruppo fenilico all’interno del T3 e del T4, alla fine si originano
due ormoni molti lipofili, che non solo entrano dentro la membrana ma
passano anche dentro il nucleo. Il recettore dell’ormone tiroideo è
addirittura nucleare. Si tratta di una segnalazione facilitata.
• L’effetto è la modifica della trascrizione dell’RNA di una serie di geni: vedremo che i recettori sono
essi stessi dei fattori trascrizionali.
Sia per quanto riguarda gli ormoni lipofili che idrofili l’effetto finale è la modifica trascrizionale. In
un caso è veloce, nell’altro è più lento, ci sono più passaggi.

Nell’immagine vediamo la popolazione


degli ormoni lipofili: cortisolo, estradiolo,
testosterone, la vitamina D (ha una
doppia veste, essendo sia un ormone che
una vitamina), tiroxina (due gruppi fenilici
addizionati con una componente di
iodio), l’acido retinoico (deriva dalla
vitamina A, ha una valenza di tipo
ormonale differenziativa)
CLASSI DI RECETTORI DI MEMBRANA:

1. RECETTORI ACCOPPIATI ALLE PROTEINE G


2. CANALI IONICI
3. RECETTORI BASATI SU ATTIVITA’ ENZIMATICA, IL RECETTORE E’ UN ENZIMA. Questa classe include
sia molecole di superficie che sono essi stessi degli enzimi, sia dei recettori che reclutano un enzima
all’interno della cellula. Entrambi comunque si basano su un’attività enzimatica.
4. RECCETTORI ATTIVATI DA PROTEOLISI LIMITATA. Si tratta di un taglio proteolitico limitato a qualche
amminoacido, di uno scorciamento della proteina

Andando nello specifico:

1. RECETTORI ACCOPPIATI ALLE PROTEINE G


Recettori di membrana che si associano ad un trasduttore che sono le proteine H. le proteine G
sono trimeriche, ossia formate da tre subunità: una subunità alfa, una beta e una gamma. Quando
si attiva il recettore, si attiva anche la proteina G.

Le subunità si staccano:
• La subunità alfa va a regolare un
effettore (nell’immagine E), che
cambia a seconda dell’ormone.
• La subunità beta-gamma fa sempre la
stessa cosa in tutti i recettori
accoppiati alle proteine G: si occupa della desensitizzazione e della terminazione del segnale.
L’effettore diventa la parte che dà specificità al segnale essendo la parte che cambia a seconda del
recettore e dell’ormone

2. CANALI IONICI
Sono delle proteine di membrana, costituite da un canale
pervio a degli ormoni e selettivo. Il passaggio sarà
condizionato dal legame del ligando, altrimenti il canale
rimane chiuso. I canali per il sodio fanno passare il sodio,
quelli per il potassio solo il potassio. Le proteine canale
hanno selettività anche per l’ormone che accende e apre il
canale

3. RECETTORI ACCOPPIATI AGLI ENZIMI.


Questa è una classe di recettori molto ampia che include
• RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE TIROSINO CINASI
tra cui per esempio quelli dell’interferone. Sono recettori accoppiati ad un’attività tirosino-
cinasica. Ciò significa che viene fosforilato su un residuo di tirosina. La tirosina è un amminoacido
che presenta un gruppo OH fosforilabile. Il fosfato in gamma dell’ATP è spostato sulla tirosina ad
opera delle kinasi. Questa modifica post-traduzionale è attivatoria per il recettore.
Il recettore è costituito da due subunità identiche, sono quindi omodimeri. L’interazione con
l’ormone induce una dimerizzazione e quindi è necessaria la fluidità di membrana perché questi
possano muoversi all’interno della membrana. Il foglietto lipidico è mantenuto a grande efficienza
di mobilità grazie alla presenza di colesterolo e acidi grassi
esterificati ai fosfolipidi.
Quando il recettore è dimerizzato, questo recluta delle
proteine kinasi che si attivano a seguito dell’inetrazione con
il recettore. Queste kinasi vanno poi a fosforilare le proteine
su tirosina, le proteine che vngono fosforilate possono
essere molte: loro stesse, il recettore stesso e altre proteine
che funzioneranno da secondi messaggeri, portando
l’informazione all’interno della cellula.
Per adesso prendiamo l’informazione generica

• RECETTORI DOTATI DI ATTIVITA’ ENZIMATICA INTRINSECA

TIPO IàATTIVITA’ GUANILATO CICLASICA


Un esempio è il RECETTORE DEL MONOSSIDO DI AZOTO
Questo è un altro tipo di segnale che si basa sull’attività
enzimatica.
E’ un recettore unico nel suo genere, non si tratta di una famiglia di
recettori, ma è molto tipico.
E’ costituito da due subunità che sono sempre legate tra loro e che
hanno un gruppo eme al loro interno. L’eme è un tetrapirrolo
legato alle proteine del recettore, quindi si tratta di un gruppo prostetico, e all’interno presenta un
atomo di ferro che si ossida e si riduce. Il monossido di azoto è un forte ossidante e porta
all’ossidazione del ferro, che da Fe2+ passa a Fe3+. Ciò induce l’attivazione del recettore.
Si tratta quindi di un recettore che si attiva per una reazione redox indotta da un ormone che è un
radicale libero. Dura pochissimo, è un segnale paracrino in quanto viene sintetizzato dalle cellule
vicine, non potrebbe durare tanto tempo da poter essere veicolato nel torrente circolatorio.
L’attivazione induce un’attività nella parte citosolica dell’enzima, che è una molecola
transmembrana. Questa attività è un’attività guanilato ciclasica. La molecola prende un GTP è
induce una ciclizzazione formando un fosfodiestere interno tra la posizione 3’ e 5’ del ribosio del
GTP. Due fosfati vengono staccati, un fosfato viene utilizzato per formare il ciclo tra il carbonio 3 e il
carbonio 5 del ribosio. Questa molecola si chiama GMP ciclico o cGMP. E’ la molecola che servirà
per il rilassamento indotto dal monossido di carbonio.

TIPO IIàRECETTORI A ATTIVITA’ TIROSINO CHINASICA


Questi sono ricettori omodimerici, simili a quelli dell’interferone
ma con una piccola differenza. Mentre quelli reclutavano
un’attività tirosino-cinasica, questi sono loro stessi degli enzimi.
La loro parte citosolica è un enzima, è lei che prende l’ATP e
induce una fosforilazione del recettore nonché di molecole
all’ineterno della cellula. L’effetto finale non è tanto diverso da
quello precedentemente visto, entrambi hanno come effetto
quello della iperfosforilazione. La differenza sta nel fatto che i
recettori delle citochine tipo l’interferone agiscono prevalentemente sulle cellule del sangue, le
cellule mesenchimali e poco altro; questi invece sono dei recettori per fattori di mobilità e di
proliferazione tipici di ormoni, quali per esempio i grow factors, che inducono la duplicazione più
che il differenziamento.

MECCANISMO DI FUNZIONAMENTO RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE G TRIMERICHE

Recettori accoppiati a proteine G agiscono sulle proteine G trimeriche, costituite da 3 subunità. Al


momento in cui il recettore non è attivato le tre subunità sono legate
tra loro, vicine al recettore ma non hanno subito nessun ciclo di
attivazione. Quindi la proteina G alpha sarà spenta. Le proteine G sono
gli interruttori molecolari migliori:

- sono spenti quando legano il GDP,


- sono accesi quando legano il GTP.

In aggiunta sono essi stessi degli enzimi, sono delle idrolasi del GTP: se
legano il GTP si attivano, ma loro idrolizzano il GTP e si spengono, sono
degli interruttori a tempo. Quanto dura l’attivazione sarà regolata da
altre proteine che regoleranno questo interruttore, alcune proteine
allungheranno la durata dell’attivazione e altre la abbrevieranno.

La proteina G andrà ad interagire con un effettore. Alcuni di questi effettori sono la adenilato-ciclasi, la
fosfolipasi C, SRC.

Ormoni diversi lavoreranno con effettori diversi

Il recettore è una proteina transmembrana costituita da sette domini


transmembrana. Le porzioni transmembrana saranno costituite
prevalentemente da alpha eliche idrofobe, poi abbiamo una p arte N-terminale
fuori dalla cellula e una parte C-terminale all’interno della cellula.

• Il recettore interagisce con l’ormone, cambia conformazione e attiva


la proteina G.
• Il cambio di conformazione permette un’interazione proteina-
proteina alla proteina G.
• La subunità alpha si stacca dalla sub beta-gamma, che invece
rimangono associate insime.
• La subunità alpha legherà il GTP.
• La subunità alpha va verso l’effettore che dovrà essere attivato. La
subunità beta-gamma rimane ancora vicino al recettore.
• L’effettore dall’interazione con la subuintà G-alfa si attiva. Nel caso
della slide l’effettore è l’adenilato ciclasi che ciclizza l’ATP a cAMP
(stesso meccanismo di ciclizzazione del GTP visto precedentemente).
cAMP è il secondo messaggero per antonomasia, in quanto è molto
frequente ed è stato il primo ad essere scoperto e caratterizzato
come secondo messaggero, acquisendo così una fama
supplementare.
• La G alpha, essendo lei stessa un’idrolasi del GTP, rimarrà attiva per
un tempo X. Nel periodo in cui è attiva, attiverà l’effettore, fino a
quando idrolizza il GTP. Quando legherà il GDP e ritornerà nella sua
fase spenta. L’effettore si spenge e il segnale è finito.

Le subunità sono ancorate alla membrana attraverso delle zone lipofile che servono
a mantenere delle proteine, che non sarebbero di membrana, nelle immediate
vicinanze della membrana. Sono quindi lipoproteine. Se questa proteina fosse
sparsa per il citoplasma non svolgerebbe la sua funzione.

Queste zone lipofile sono delle ancore lipidiche che possono essere:

o un acido grassoà acido palmitico o acido miristico.


o Prenileàgruppo farnesilico o geranilico. In questo caso si tratta quindi di frammenti di 10/15/20
atomi di carboni (multipli di cinque in quanto sono derivati dall’isporene, costituito da 5 atomi di
carbonio).

DIVERSI TIPI DI SUBUNITA’ G-ALPHA

Ci sono tanti tipi diversi di G-alpha, essendo anche molti gli effettori, invece le beta e le gamma sono
sempre le stesse.

• G-alpha-sà STIMOLATORIA. Questo è il caso visto precedentemente dell’adenilato-ciclasi. Il suo


effetto sull’adenilato ciclasi è quello di indurre la sintesi del secondo messaggero cAMP.
• G-alpha-ià INIBITORIA. Il suo effetto è quello di inibire la biosintesi dell’ cAMP quindi la adenilato-
ciclasi. In questo caso la concentrazione di cAMP sarà bassa.
• G-olfàOLFATTORIA. Ha lo stesso tipo di target, andando a regolare la sintesi di cAMP nell’epitelio
olfattivo. Serve nella percezione dello stimolo olfattorio
• G-oà è capace di regolare i canali per il potassio e in alcune cellule ha come effettore la
FOSFOLIPASI C-beta. Quest’ultimo è il caso del cuore, dove la fosfolipasi C-beta indurrà la biosintesi
dell’inositolo 3 fosfato, un secondo messaggero, e che insieme al calcio indurrà la contrazione.
Quindi questo succederà prevalentemente nelle cellule contrattili, fra cui il cuore è un esempio
importante.
• G-tà TRASDUCINA. Questa è espressa a livello oculare sulla retina e funziona nella percezione
dello stimolo visivo.
• G-gustàimportante per percepire lo stimolo del gusto
• G-qà attiva la fosfolipasi C-beta

Quindi queste sono proteine simili, in quanto tutte legano il GTP, sono tutte idrolasi del GTP e sono tutte
attive e inattive se hanno legato rispettivamente GTP e GDP, ma funzionano su effettori diversi.

Le vedremo in azione nel momento in cui parleremo dei singoli ormoni. Attiveranno segnali diversi in organi
diversi.

Ritorniamo ora all’esempio dell’adrenalina. Lo stesso ormone in qualche caso attiva la Gq, in altri un’altra
Galpha. Questo è possibile perché tessuti diversi esprimono recettori diversi, i quali hanno proteine G
diverse, che hanno effettori diversi. L’adrenalina è in grado di produrre effetti che vanno dall’aumento della
velocità di contrazione del muscolo cardiaco, alla vasodilatazione di alcuni distretti, alla regolazione del
metabolismo epatico del glucosio o del metabolismo dei lipidi nel tessuto adiposo.

TOSSINA COLERICA E DELLA PERTOSSE

Questi sono due regolatori, o meglio deregolatori, in quanto sono tossine, delle subunità Galpha. Questi
inducono una modifica post-traduzionale stabile della Galpha, ossia
l’ADP-RIBOSILAZIONE. Prendono l’ADP-RIBOSILE DL NAD, lo staccano e
lo portano sulla subunità Galpha. La subuntà Galpha non funziona più
bene nell’idrolisi del GTP e di conseguenza è mantenuta sempre attiva,
in quanto sempre carica con il GTP.

La tossina del colera modifica la G alpha-s. La G alpha-s andrà a


stimolare la biosintesi del cAMP.

La tossina della pertosse modifica la G aplha-i, che inibisce la sintesi del


cAMP.

Nel primo caso avremo cAMP alto, nel secondo basso. Entrambi i casi
non sono regolabili da nessuno ormone, perché le tossine hanno
bloccato le G aplha nella forma GTP-bound. Sono tossine perché
operano una modifica che è duratura.

LA INTERGRAZIONE DEI SEGNALI ATTIVATORI ED INIBITORI SUGLI EFFETTORI

Faccio un esempio di segnale multipli su due recettori

Nell’immagine vediamo un recettore verde e uno giallo. Il recettore verde funziona con una G-alpha-s, che
stimola l’adenilato ciclasi. L’adrenalina (detta anche epinefrina), il glucagone, l’ormone adrenocorticotropo
(che stimola la ghiandola surrenale a sintetizzare gli
ormoni steroidei) sono esempi di ormone che
funzionano in partnership con la subunità G alpha-s.

Il recettore giallo funziona in partnership con la subunità


G aplha-i, che va ad inibire l’adenilato ciclasi. Questo è il
caso delle prostaglandine (una classe di ormoni
amplissima, derivati dall’acido arachidonico, un acido
grasso polinsaturo a 20 atomi di carbonio), oppura
l’adenosina.

Cosa fa una cellula che possiede entrambi questi recettori nel caso in cui questi ligandi dovessero arrivare
insieme (ad esempio se l’adrenalina arriva insieme alla prostaglandina)? La cellula ha in questo caso due
stimoli, uno opposto all’altro. La cellula fa la somma algebrica, si parla di integrazione del segnale. L’effetto
finale dipenderà anche dal tessuto, in quanto ci sono tessuti estremamente sensibili alle prostaglandine e
quindi il segnale sarebbe più inibitorio, altri più sensibili all’adrenalina e quindi l’effetto cambierebbe.
Sbobina n° 32 – Biochimica III 21/04/2021
Prof.ssa: Paola Chiarugi
Sbobinatori: Alberto Franceschini, Giuseppe Diele
Revisore: Alessia Corbia

Proseguiamo la lezione della volta scorsa; avevamo visto la trasduzione del segnale associata ai recettori
accoppiati a proteine G e che differiscono per la tipologia della subunità α, che regola un effettore diverso a
seconda della tipologia e che è target di una modifica come l’ADP ribosilazione operata dalla tossina
pertussica e la tossina colerica; queste bloccano la subunità α nella conformazione attiva (GTP-bound) e
quindi bloccano la Gα corrispondente, in un caso la Gα-s, in un caso la Gα-i, bloccando la capacità o di
sintetizzare cAMP, o di distruggerlo.
Abbiamo anche visto che i recettori sono soggetti a integrazione, e a volte è proprio l’effettore a essere
l’integratore del segnale; abbiamo fatto l’esempio di segnali che possono essere sia positivi che negativi
sull’effettore adenilico ciclasi, ne emergerà un segnale che sarà la sommatoria algebrica dei due segnali.

Le subunità β/γ che sono molto simili in tutti i recettori a proteine G; mentre le Gα variavano al variare
dell’effettore, queste svolgono un po’ la stessa funzione in tutti i recettori: si occupano della
desentitizzazione, processo a cui i recettori vanno incontro che li rende meno recettivi se il segnale perdura
nel tempo.
Per fare questo il recettore è rimosso temporaneamente dalla superficie della membrana, internalizzato in
vescicole endocitotiche (impedendogli di entrare in contatto con l’ormone) con conseguente inibizione del
segnale.
Il processo è guidato dalle subunità β e γ (che rimangono sempre associate) che seguono un ciclo.

Queste subunità reclutano un enzima detto β arrestina kinasi, attivandolo, che è in grado di fosforilare a
livello di una Serina (si tratta dunque di una Serina Kinasi) sulla coda C-terminale del recettore; in questo
modo il recettore viene reso meno efficiente (manda un segnale meno rilevante), e la β arrestina si potrà
legare all’estremità fosforilata formando un complesso.
Avviene un’internalizzazione per endocitosi del recettore; le proteine responsabili dell’endocitosi,
principalmente clatrina e proteine associate ad essa, invaginano la membrana nella zona del recettore
fosforilato, la vescicola gemma verso l’interno della cellula e il recettore viene rimosso dalla superficie della
cellula.
Il recettore ha due possibili destini:
- Essere degradato dai sistemi proteolitici se la vescicola si fonde con le vescicole lisosomiali, in questo
caso la regolazione è duratura (il recettore non si recupera)
- Fusione con delle vescicole endocitotiche con ambiente leggermente acido (meno dei lisosomi);
l’acidità porta al distacco del complesso ormone-recettore, una volta che il recettore è liberato
dall’ormone può essere riesposto. La vescicola può quindi fondersi con la membrana e riportare il
recettore sulla superficie, se l’ormone è ancora presente all’esterno della cellula il segnale continua.
Per questo si parla di desentitizzazione e non di terminazione del segnale, perché i due possibili destini fanno
sì che se l’ormone permane all’esterno della cellula la risposta continui seppur con meno recettori.

Il segnale che parte dai recettori a proteine G è facilmente omologabile ma vedremo, quando parleremo dei
secondi messaggeri, come questi abbiano esiti diversi; qui (immagine a sopra) vediamo vasopressina,
adrenalina o epinefrina (due nomi alternativi), la luce, gli odoranti e il gusto dolce.
I recettori per quanto siano tutti con sette domini transmembrana, sono tutti diversi, la Gα che è sempre
presente, cambia: c’è la G-i, la G-s, la trasducina, la G olfattiva (ce ne sono due, per odoranti diversi) e la G-
gust (del gusto dolce).
Alle Gα si associa un effettore che a sua volta cambia; vediamo che l’adenilico ciclasi nel primo caso viene
inibita e nel secondo attivata, l’adenilico ciclasi ricompare anche dopo, ma in cellule diverse il cAMP (il
secondo messaggero dell’adenilico ciclasi) ha effetti diversi.
Sia nel caso dell’epinefrina (il recettore è un recettore β che si trova in fegato e cuore), che del secondo
odorante (epitelio nasale), che del gusto dolce (cellule che sentono il gusto) il cAMP aumenta; ma tessuti
diversi esprimono proteine diverse e quindi la risposta sarà diversa.
Nel fegato il cAMP andrà a regolare la glicogeno fosforilasi e si avrà un rilascio di glucosio nel fegato, nel caso
del gusto dolce il cAMP attiva la PKA (protein kinasi cAMP dipendente) che fosforila un canale, il quale si
chiude e blocca il passaggio del potassio, in questo modo la cellula del gusto sente il dolce; nell’epitelio
olfattivo invece si apre un canale che fa passare calcio e sodio.
Cellule diverse esprimono proteine diverse, sentono ormoni diversi ma lo schema di funzionamento è spesso
simile.
Nel caso del primo odorante e della luce, l’effettore non è l’adenil ciclasi ma altri, che modulano secondi
messaggeri diversi.
Nel caso della luce, la trasducina (la Gα) attiva la fosfodiesterasi del cGMP, un nucleotide ciclico molto
inusuale nella cellula (lo sente subito quando aumenta di concentrazione); la fosfodiesterasi lo distrugge,
idrolizza il legame fosfodiestere ciclico 3’ 5’ nel ribosio e così funziona la visione (lo rivedremo comunque più
avanti).
Nel caso degli odoranti la G olfattiva ha come effettore la fosfolipasi C, questa ha come secondo messaggero
l’inositolo trifosfato (IP3), piccola molecola cha va ad aprire dei canali del calcio che stanno sul RE, un deposito
di calcio; aumentando la concentrazione di IP3 si aumenta quindi anche quella di calcio; il calcio è un catione
che si comporta da secondo messaggero.

È arrivato il segnale al recettore accoppiato a proteine G, è stato modulato l’effettore, si è staccata la subunità
βγ, è andata a down-regolare il recettore portando a desentitizzazione e poi che succede?

Prendiamo un esempio e poi lo generalizziamo.

La Gα in questo caso ha stimolato l’adenilil ciclasi, il cAMP è aumentato e va su una proteina detta PKA , una
proteina kinasi con 4 subunità, due regolatorie e due catalitiche; le due regolatorie sono capaci di legare
ciascuna due cAMP che le fanno staccare dalle subunità catalitiche che a questo punto sono libere di
funzionare.
La regolazione effettuata dalle subunità regolatorie è quindi un’inibizione della subunità C (catalitica).
La subunità catalitica è una kinasi e quindi fosforila dei substrati, ad esempio la glicogeno fosforilasi nel fegato
e nei muscoli.
L’effetto generale di questi ormoni è di permettere a questa proteina catalitiamente attiva (la subunità C
della PKA) di entrare nel nucleo e fosforilare dei fattori trascrizionali, che in questo modo si attivano.
Entra nel nucleo grazie a una sequenza di localizzazione nucleare che prima era coperta, infatti la subunità C
ha cambiato conformazione al distacco dalle subunità regolatorie.
I fattori trascrizionali fosforilati si associano con le istone acetilasi (infatti tutte le volte che c’è una trascrizione
c’è anche una acetilazione istonica); i fattori trascrizionali inoltre andranno a trascrivere il gene “giusto” che
riconoscono grazie a delle sequenze sul promotore.
Vari geni sono trascritti da questi fattori trascrizionali ormone-dipendenti e questi hanno la sequenza CRE
(Cyclic-AMP Responsive Element, elemento di risposta ad AMP ciclico), tutti i geni che hanno la CRE
rispondono a cAMP.
CRE è una sequenza palindromica di una ventina di basi presente solo nei geni regolati dai fattori trascrizionali
fosforilati.

La fosforilazione da parte della PKA non è solo sui fattori trascrizionali ma anche su delle proteine regolatrici
dei fattori; la trascrizione è infatti finemente regolata e coinvolge molte proteine, una di queste si chiama
CREB (Cyclic-AMP Responsive Element Binding protein), uno dei bersagli della fosforilazione, che lega la
sequenza CRE del DNA.
Tutti gli ormoni seguono lo stesso criterio di questo esempio, cambia il responsive element (la sequenza di
dna), perciò nel caso dell’ormone tiroideo avrò il TRE (Thyroid Responsive Element), se invece parlo dei geni
regolati dai glucocorticoidi, ormoni steroidei sintetizzati dalla corticale del surrene, avrò un GRE
(Glucocorticoid Responsive Element), se ho l’aldosterone, un mineralcorticoide, un altro steroide della
corticale del surrene, ci sarà un MRE nel promotore.
Cambia la sequenza, cambia il tipo di regolazione ormonale.

Non tutti i nomi sono necessariamente così intuitivi: SRE (Serum Responsive Element), il siero è il mitogeno
per eccellenza, al suo interno ci sono tanti ormoni mitogeni, tutti gli ormoni mitogeni attivano gli stessi geni
della regolazione del ciclo (ciclo cellulare); è perciò che il responsive element di tutti gli ormoni mitogeni si
chiama SRE invece che prendere il nome dal singolo mitogeno

Recettori a Tirosino Kinasi


Recettori con attività enzimatica nella loro porzione intracellulare.
Hanno due subunità uguali tra loro, quando non c’è il ligando sono separate, quando invece arriva si
associano a coppie (grazie alla fluidità della membrana) e vanno incontro a fosforilazione.
La fosforilazione avviene in due step: Trans-fosforilazione e Cis-fosforilazione.

Nella Trans-fosforilazione una subunità


fosforila l’altra su una tirosina, poi nella cis-
fosforilazione la subunità si autofosforila,
non solo su una ma su tante tirosine (alcune
si fosforilano su 3 altre fino a 18).
Ognuna delle tirosine fosforilate sarà il punto
di partenza di un segnale intracellulare,
recluterà un segnale di secondi messaggeri
che avrà un effetto come motilità,
proliferazione, controllo del metabolismo,
crescita del citoplasma, differenziamento.
Questa è la più grande famiglia di recettori e
non necessariamente hanno lo stesso
numero di tirosine, alcuni ne hanno solo 3
altri 18.
Si possono suddividere in tre sottoclassi: sottoclasse 1, sottoclasse 2, sottoclasse 3.
Le 1 e 3 si somigliano molto, hanno le subunità slegate (effettivi monomeri) che si associano quando arriva il
ligando; la differenza risiede nel fatto che il ligando del tipo 1 è un monomero che lega un solo recettore (un
solo monomero) mentre nel tipo 3 l’ormone dimerizza e solo poi, interagisce con il recettore, il sito di legame
con il recettore si forma con la dimerizzazione.
La dimerizzazione dell’ormone di tipo 3 diviene un passaggio di regolazione in più ed è perciò importante.
La seconda classe ha dei legami covalenti tra le subunità del recettore che quindi non sono indipendenti e
non si staccano mai.
Alla seconda classe appartengono i recettori per l’insulina e per l’Insulin-like growth factor, fattore di crescita
insulino-simile, questo è il principale responsabile della crescita delle cellule, mutazioni su questo ormone
portano a nanismo.
Recettore PDGF
Prendiamo questo recettore
come esempio, ha 5 tirosine
fosforilabili, in posizione 740,
751,771, 1009 e 1021.
Quando facevo il dottorato le
facevo mutare (ne sostituivo una
con un altro amminoacido) e
andavo a vedere quale segnale
veniva meno, questo ormai è ben
conosciuto e presente nei libri.
Ciò che è stato evidenziato da
questo metodo di mutagenesi
sito-specifica è che la fosforilazione di quelle tirosine attiva vie di trasduzione del segnale, degli effettori.
Qui se ne cominciano a vedere alcuni:
- Fosfatidil-inositolo 3-kinasi (PI 3-kinasi), un enzima importantissimo, target di molti farmaci,
soprattutto in contesto tumorale, esso media la sopravvivenza, produce un secondo messaggero
fondamentale per la sopravvivenza che è uno degli effetti fenotipici più importanti.
- GTPase Activating Protein (GAP), dei regolatori delle piccole proteine G, hanno un importante effetto
fenotipico, la proliferazione; perciò attraverso la tirosina 771 i recettori attivano la via proliferativa
- Fosfolipasi C che produce l’inositolo trifosfato come secondo messaggero, attiva dei segnali che sono
legati alla motilità; quindi le tirosine 1009 e 1021 sono legate alla motilità.

Se guardiamo la fosfolipasi C notiamo che sono indicati dei domini, SH3 e SH2, ancora non posso andare nel
dettaglio ma noi già sappiamo cosa sono dei domini: parti della proteina con funzioni specifiche e conservate,
e che quindi posso ritrovare in proteine diverse; si chiamano SH perché per la prima volta sono stati trovati
nella proteina Src (letto “sarc”), un oncogene che è mutato in molti tumori, in particolare nei sarcomi dei
tumori molto aggressivi e metastatici.
Questi domini sono comuni a molte proteine con funzione conservata: il dominio SH2 lega le tirosine
fosforilate, infatti sia la GAP, che la PI 3 kinasi che la fosfolipasi C hanno questo dominio, altrimenti non
legherebbero la tirosina fosforilata del recettore.
Il dominio SH3 a sua volta media il contatto proteina-proteina e interagisce con un’altra proteina che ha una
zona ricca di proline, la prolina è un amminoacido inusuale, chiuso a gomito e nemmeno un amminoacido
vero e proprio ma un imminoacido a causa del legame interno; quindi quando ci sono tante proline, la
proteina ha una struttura tridimensionale sui generis e quindi facilmente riconoscibile.
Il dominio SH3 si è quindi evoluto per riconoscere questa struttura inusuale in un’altra proteina, questo crea
una sorta di collante specifico.

Le proteine funzionano basandosi molto sui domini, Tony Towson, un canadese, per tutta la vita ha studiato
i domini delle proteine (li è valso il Nobel) e ha identificato una serie di domini che si conservano nelle
proteine, tra cui SH2 e SH3.
Trasduzione del segnale RTK

Fase 1: interagisce l’ormone con il ligando, le subunità dimerizzano, si fosforilano (prima trans- fosforilazione
poi cis-fosforilazione)

Fase 2: le tirosine fosforilate interagiscono con i domini SH2 di un’altra proteina, in quest’immagine si segue
solo una via di trasduzione del segnale ma se ci sono tre tirosine ci saranno almeno altre tre vie, con 18, 18
vie e così via.
Nella diapositiva è mostrata la via mitogenica, la via di attivazione della mitosi, questi recettori fanno uscire
la cellula dalla fase G0 e la fanno entrare in G1 attivando il percorso delle cicline D.
La proteina con il dominio SH2 ha anche il dominio SH3, questa funge da adattatore: la SH2 serve a legare la
proteina adattatore al recettore e la SH3 serve a legarla ad un’altra proteina; la proteina collante (o
adattatore) si chiama GRB2 (letto “greb2”)

Fun Fact by Paolina Chiarugi: per rendere pronunciabili a noi gente dell’ovest (infatti in asia
pronunciano senza problemi anche 16 consonanti di fila) è consuetudine inserire una vocale
all’interno degli acronimi con cui indichiamo i geni, “quale vocale? Vattelappesca” (cito
testualmente)
In pratica per conoscerla dovete averla sentita dire, si tramanda oralmente, e quando la sbagliate a
un convegno vi prendono per dei raccattati, e la vergogna lo imprimerà a fuoco nella vostra
memoria.
(l’aneddoto traumatico della chiarugi termina qui, ma ci servirà da monito nei giorni che verranno)
(il tutto è riferito a Src e GRB2 che si leggono sarc e greb2)

La proteina a cui GRB2 si lega è la proteina SOS che ha delle zone ricche di prolina; il nome SOS vuol dire
Son Of Sevenless (in pratica nulla), è stata scoperta in Drosophila e a tutte le proteine che sono scoperte in
Drosophila gli mettono un nome che non ha alcun significato da cui estrapolano un acronimo, quindi
quando troviamo un acronimo che non ha nulla a che fare con la funzione, è stata scoperta in drosophila.
(drosophila melanogaster è un modello di studio molto comune)
Nonostante il nome SOS ha una funzione importante, è un
regolatore di una GTPasi.
Le GTPasi sono degli interruttori molecolari, sono attivi
quando legano il GTP e inattivi quando legano il GDP; le
proteine G non sono solo trimeriche (α,β e γ) ma ne esistono
anche di monomeriche che sono importanti secondi
messaggeri, queste sono molto simili alla Gα e sono dette
small GTPase; fuzionano nello stesso modo, attive con GTP e
inattive con GDP, si autoinattivano perché hanno attività
idrolasica (un ciclo).
Il capostipite di questi secondi messaggeri è il Ras, un
oncogene mutato nel 50% dei tumori umani (impotante), è il
capostipite dei segnali di tipo proliferativo, delle mitosi
incontrollate, e molte delle mutazioni del Ras mutano
l’attività GTPasica, non si scarica più e la mitosi continua a
procedere.

Esistono anche dei regolatori delle GTPasi, possono essere


positivi o negativi:
- GEF (positivi) ad esempio SOS, sono GTPase
exchange factors (fattore che scambia i GTP);
queste levano il GDP e mettono il GTP nel sito
catalitico
- GAP (negativi) sono GTPase activating protein,
attivano l’attività GTPasica ovvero idrolizzare GTP
e farlo spengere

Il regolatore positivo sposta l’equilibrio verso la forma


attiva (con il nucleotide rosso) scambiando il nucleotide
blu con quello rosso, mentre il GAP sposta l’equilibrio
verso la forma inattiva, attivando il sistema di
“spegnimento” del recettore.
Questo sistema funziona molto bene e viene usato per regolare moltissimi processi; oltre alla mitosi,
regolano anche la migrazione all’interno del nucleo, usano una proteina detta RAN (un’altra small GTPase),
il movimento delle cellule con polimerizzazione dell’actina, usando RAC che induce la polimerizzazione
dell’actina, il movimento delle vescicole verso l’interno o verso l’esterno della cellula, usando RAB, di
queste proteine ce ne saranno una ventina e si occupano dei più svariati compiti.
La trasduzione del segnale RTK
Abbiamo quindi presentato SOS come un GEF che attiverà una piccola GTPasi che prende il nome di Ras.

(Domanda di un nostro collega: “I domini SH2 ed SH3 sono sempre accoppiati?”; risposta della prof.: “Si,
sono sempre accoppiate”. Ps. Non ho la certezza che la domanda sopra riportata sia quella realmente
proposta durante la lezione poiché nella registrazione la voce dello studente non è udibile. La domanda che
ho riportato mi è stata riferita da una nostra collega sul gruppo di Whatsapp.).

Quindi RAS si attiva fungendo da interruttore e attivando la mitosi.


L’attivazione della mitosi parte dal nucleo andando a regolare i geni
delle cicline, gli inibitori delle cicline, ecc…

Bisogna quindi portare il segnale di attivazione di questo


“interruttore” all’interno del nucleo. Per fare ciò la piccola GTPasi
Ras va ad attivare una kinasi con cui interagisce chiamata Raf, che
una volta attivata, questa kinasi va a fosforilare a cascata altri enzimi
portando ad un’amplificazione del segnale tipica dei secondi
messaggeri. Raf si è attivato (condizione resa nota nell’immagine con
il passaggio da verde chiaro a verde scuro) e va a fosforilare un’altra
molecola, di colore viola, un’altra kinasi chiamata MEK che a sua
volta fosforila quello che è il nostro target, una terza kinasi chiamata
MAP kinasi. Ci sono quindi tre kinasi di fila, Raf, MEK e MAP kinasi,
dove MAP sta per mitogen activated protein kinase. Una volta
attivate, le MAP kinasi migrano nel nucleo: una volta attivate
dimerizzano ed espongono una sequenza di localizzazione nucleolare
che gli permette di entrare nel nucleo. Una volta nel nucleo vanno a
fosforilare dei regolatori trascrizionali che attivano il macchinario
biosintetico dell’RNA. Poi vanno sul DNA, a livello dei promotori dei
geni, dove legano degli elementi di risposta legati agli eventi di
proliferazione.

In questo processo possiamo


osservare l’SRE, a cui avevamo
accennato prima che sta per
serum responsive element, in
quanto nel siero troviamo i
principali mitogeni, effettuando
delle ricerche su questa molecola
si è visto che in più meccanismi di
risposta ormonale questo i geni
attivati erano gli stessi, si è quindi pensato che questi segnali fossero tra loro simili e si è optato per dargli
un nome generico.
RECETTORE DEL MONOSSIDO DI AZOTO
Sempre appartenente al gruppo dei recettori dotati di un’attività enzimatica troviamo il recettore del
monossido di azoto di cui abbiamo già parlato in precedenza. Era stato detto quindi che questo recettore:

• è costituito da due subunità;


• presenta un gruppo eme con un atomo di ferro.
Questo atomo di ferro viene ossidato dal radicale libero del monossido di azoto
(in ambito medico si è diffusa la nomenclatura anglosassone per cui prende il
nome di ossido nitrico) e induce una modifica conformazionale nel tetrapirrolo e
dunque nelle due subunità e, di conseguenza attiva la componente enzimatica
del recettore che svolge un’attività di guanilato ciclasi che produce del GMP
ciclico (cGMP) a partire dal GTP.
Nell’immagine sulla destra possiamo osservare il
tetrapirrolo, la struttura a cui si lega l’ossido nitrico per
poi ossidare l’atomo di ferro inducendo la catalisi ed
aumentando di molto l’efficienza con cui il cGMP viene
sintetizzato (circa di 50 volte).
Il monossido di azoto viene sintetizzato attraverso un percorso di due reazioni
enzimatiche che dipendono dal NADPH a partire dall’amminoacido arginina, all’interno delle cellule
endoteliali, rilasciando la citrullina che
rientra in un “aborto” di ciclo dell’urea (non
è esattamente il ciclo dell’urea in quanto
non siamo nel fegato) da cui si produce il
monossido di azoto.

Il monossido di azoto è un mediatore


paracrino, anche perché per la sua estrema
reattività non potrebbe essere endocrino,
non potrebbe restare troppo a lungo nel
torrente circolatorio. Allora il percorso che segue quest’ormone è molto breve: viene sintetizzato dalle
cellule endoteliali in seguito ad uno stimolo di origine nervosa acetilcolina dipendente che attiva l’enzima
NO synthase, sintasi dell’ossido nitrico, o NOS. (questo enzima lo ritroveremo molto spesso nella nostra
carriera in quanto è il target di molti farmaci e ad oggi è oggetto di numerose ricerche, proprio poiché ci
sono diversi isoenzimi di questo NOS e si ricercano farmaci efficaci solo contro alcuni di essi)

Come dicevamo l’NO è un segnalatore paracrino che fuoriesce rapidamente dalla cellula endoteliale ed
altrettanto velocemente raggiunge la cellula muscolare liscia dove induce un rilassamento che avviene in
quanto il contatto actina-miosina nel muscolo liscio è regolato dal cGMP, il NO va sul suo recettore che
viene attivato ed inizia a sintetizzare GMP ciclico, questo va sul regolatore della miosina e inibendola induce
il miorilassamento.

(Ci sono dei farmaci che


aumentano la produzione del NO,
come viagra e cialis che inducono
un miorilassamento in un target
preciso, senza necessità della
presenza di NO sintasi che viene
fornito direttamente dal farmaco
Recettori simili ai tirosinochinasici
Esistono altri recettori simili, ma non identici, ai recettori tirosinochinasici che abbiamo gia osservato.
Questi recettori li possiamo trovare soprattutto a livello delle cellule del sangue e che quindi non sono
abituate a stare in adesione. La differenza tra questi recettori e quelli già osservati è che mentre questi
ultimi presentavano già di loro una componente enzimatica sul versante citosolico della membrana, questi
recettori non presentono una componente con attività
enzimatica e devono richiamarla dalll’interno della
cellula. Quindi reclutano delle tirosinchinasi dall’interno
della cellula ma, concettualmente agiscono comunque
come i recettori già analizzati: rispondono ad un
ormone, sono costituiti da due subunità che si
associano in dimeri in seguito all’interazione con
l’ormone. A questo punto hannno inizio le differenze,
infatti la dimerizzazione induce il reclutamento di una
proteina tirosinochinasica nella cellula che si associa
con il recettore, si attiva e fosforila le tirosine che a loro volta legano i domini SH2 come per i recettori con
una componente enzimatica propria. Tutto ciò che abbiamo visto prima per la regolazione della mitosi si
applica anche per questi recettori, in questo caso però la molecola che si legherà ai recettori stimolando la
risposta intracellulare che porta ad una proliferazione, è una citochina. Queste kinasi che vengono
reclutate nel citosol sono di una sottoclasse detta JAK, che può avere un duplice significato:

• Inizialmente l’acronimo JAK stava per janus kinase dal dio Giano, il dio bifronte, con due teste,
questo perché anche queste proteine hanno una struttura simile, ovvero presentano queste due
componenti catalitiche simili a due teste;
• L’altra interpretazione di questo acronimo è just another kinase, a significare che è un’ulteriore
kinasi che si aggiunge alle molteplici già presenti.
A parte le JAK, altre kinasi che possono essere reclutate ed attivate da questi recettori sono le Src di cui
abbiamo già parlato e su cui torneremo in quanto sono una classe di proteine molto importante.

Troviamo qui gli esempi della segnalazione dell’interferone gamma o


dell’interleuchina 6, che agiscono sui recettori che reclutano le proteine
JAK, una recluta JAK 1 e 2 mentre l’altra JAK 1,2 e Tyk2 (una proteina che
fa parte della stessa famiglia ma presenta nomi diversi la professoressa
preferisce non dilagarsi sul concetto). Fatto sta che funzionano tutte con
lo stesso meccanismo, vanno a fosforilare dei fattori trascrizionali che si
chiamano STAT. questi fattori trascrizionali dovrebbero trovarsi nel
nucleo, invece questo si trova nel citosol in forma inattiva, quando viene
fosforilato, e quindi attivato, espone delle sequenze di localizzazione
nucleolare e migra nel nucleo. Qui trascrive dei geni che hanno degli
elementi di risposta specifici che prendono il nome di SIE che sta per
stuk inducible element, una sequenza palindromica presente nei
promotori dei geni che devono essere regolati dagli ormoni che agiscono
con questi recettori . stiamo osservando quindi come ormoni diversi
sfruttino sistemi diversi per ottenere il medesimo risultato, ovvero regolare la trascrizione.
RECETTORI ASSOCIATI A CANALI IONICI
Questi recettori hanno poco o nulla in comune con i recettori precedentemente osservati, parliamo dei
canali ionici.

Sono costituiti da una proteina di membrana, solitamente multimerica, che attraversa la membrana 4-5,
mai 7 volte, si associano e formano un canale che si trova chiuso finchè non avviene l’interazione con
l’ormone che induce una modifica conformazionale sulla subunità che ha
interagito con l’ormone e che si propaga alle altre subunità permettendo
l’apertura del canale ed il passaggio dello ione. Ci sono canali molto disparati
così come sono diversificati anche gli ioni che li attraversano, qui in
particolare è riportato il recettore per l’acetilcolina, un ormone che presenta
più tipologie di recettori: esistono i recettori nicotinici ed i recettori
muscarinici, inibiti rispettivamente dalla nicotina e dalla muscarina,
quest’ultima presente in una specie di fungo. Sono due classi di recettori che
rispondono entrambi all’acetilcolina ma con criteri differenti. I recettori
nicotinici sono quelli rappresentati nell’immagine sulla sinistra; strutture
semplici che si basano sull’apertura e sulla chiusura del canale. I muscarinici
invece sono del tipo accoppiati alle proteine G, un po' più complicati. Lo
stesso ormone presenta rece ttori diversi per svolgere funzioni diverse.

Esistono poi due recettori differenti per ciascuna tipologia (2 nicotinici e 2 muscarinici) per differenziare
ulteriormente le varie segnalazioni.

Parlando dei recettori nicotinici abbiamo detto che si tratta di strutture semplici, “buchi” nella membrana.
Tuttavia questi “buchi” possono presentare una certa regolazione: esiste uno stato di riposo, in cui il canale
è chiuso e l’ormone non è arrivato; uno stato di eccitazione
in cui l’ormone ha interagito con il recettore ed il canale è
aperto; e poi esiste uno stato desensitizato, in cui il canale
non è né ben aperto né completamente chiuso, dovuto ad
una situazione in cui l’ormone è rimasto un po' troppo al
lungo. In questo caso è solo una questione sterica,
conformazionale, ovvero non vi è l’azione della beta
arrestina che induce la fosforilazione, c’è solo la presenza
di questi tre stati.

RECETTORI ATTIVATI MEDIANTE PROTEOLISI LIMITATA


Questa è l’ultima classe di recettori (“molto strani”). Sono dei recettori attivati per proteolisi limitata,
ovvero un’idrolisi di un legame covalente peptidico non su tutta la proteina ma appunto limitato solo ad un
segmento della proteina che viene quindi “scorciata” e in questo modo attivata. Abbiamo già osservato nel
metabolismo delle proteine come questo fenomeno funzioni in maniera ottimale nel nostro tratto
digerente dove gli zimogeni vengono infatti attivati per proteolisi limitata.

Questi recettori sono molto coinvolti nello sviluppo ontogenetico, ovvero nel differenziamento.

Sono dei recettori di membrana costituiti da grandi proteine che vengono protolizzati quantomeno due
volte:
• il primo taglio avviene nel reticolo del golgi
durante la maturazione della proteina, prima
dell’esposizione alla membrana (nell’immagine
possiamo vedere come questo taglio avvenga sul
sito 1 prima che avvenga l’interazione con
l’ormone). A questo punto la proteina viene
esposta sulla membrana citoplasmatica e le due
subunità proteiche che si sono venute a formare
in seguito al primo taglio proteolitico si vanno ad
associare tramite un’interazione proteina-
proteina e per un legame covalente;
• a questo punto avviene l’iterazione con un
ligando per questo recettore, solitamente una
proteina di membrana di un’altra cellula
(parliamo allora di una segnalazione eterotipica)
nella fattispecie nell’immagine possiamo osservare l’interazione tra il recettore NOTCH ed il ligando
Delta (proteine riconosciute durante degli studi effettuati sui drosofila ma che presentano gli stessi
nomi anche nell’uomo). Delta interagisce con la subunità extracellulare di NOTCH e induce il
secondo taglio su NOTCH da parte di una proteasi vicina alla membrana. NOTCH a questo punto
perde la subunità extracellulare che resta attaccata a Delta, mentre la porzione extracellulare della
subunità transmembrana subisce una proteolisi limitata che porta all’attivazione di NOTCH;
• questa attivazione prosegue all’interno della cellula che porta ad un terzo tagio che questa volta
avverrà sul versante citosolico portando al distacco della componente citosolica della proteina e
lasciando adesa alla membrana solo la porzione idrofobica .
Questa porzione citosolica della proteina, una volta separata dalla componente che la legava alla
membrana, si trova libera all’interno del citoplasma e migra all’interno del nucleo dove andrà ad associarsi
con dei fattori trascrizionali andando a regolare l’espressione genica.

Quindi possiamo osservare come i meccanismi terminali di queste segnalazioni siano sempre gli stessi, a
modificarsi, anche ampiamente, sono le metodologie di recezione del segnale che osserviamo a livello della
membrana.

RECETTORI DOTATI DI ATTIVITA’ SER/THR CINASICA


Anche questi sono dei recettori abbastanza semplici. Sono dei recettori dotati di un’attività
Serino/treonino chinasica che, a differenza di come si potrebbe pensare, sono totalmente diversi dai
recettori ad attività tirosino chinasica, infatti molto raramente sono proliferativi, ma sono invece quasi
sempre differenzaitivi; inoltre una Ser/Thr fosforilata non viene riconosciuta dai domini SH2.
Questi sono recettori dimerici o tetramerici che
si associano tra loro in risposta all’interazione
con l’ormone e attivano l’attività
serino/treonino cinasica. (si fosforilano o le
serine o le treonine. Sono una classe di recettori
quindi ci saranno alcuni che fosforilano le serine
ed altri che invece fosforilano treonine). Una
volta fosforilati i recettori, dei fattori
trascrizionali, anch’essi nel citosol e non nel
citoplasma, si associano con i recettori, questi
fattori prendono il nome di SMAD e sono una
piccola famiglia di fattori che va da SMAD 1 a
SMAD 6. Questi fattori vengono fosforilati,
cambiano conformazione e si dimerizzano tra
loro andando a formare o omodimeri o
eterodimeri. Questi dimeri migrano nel nucleo
e vanno a regolare dei geni del
differenziamento, nell’immagine in particolare
è riportato il gene TGF beta, che è un’importante differenziante per il tessuto muscolare e per tutti i tessuti
mesenchimali durante l’embriogenesi. Questa molecola si presenta come un morfogeno, per il quale la
cellula percepisce anche un gradiente che viene percepito appunto tramite questi recettori.

I SECONDI MESSAGGERI
Abbiamo presentato i secondi messaggeri come qualcosa che si trova a valle dei recettori e alcuni li
abbiamo anche presentati in modo prettamente generico, ora entreremo un po' più nel dettaglio.

IL cAMP
L’AMP, ciclico o adenosino monofosfato 5I-3I ciclico, è costituito dalla base
azotata adenina legata tramite un legame N-glicosilico al ribosio ed i carboni 3 e
5 del ribosio sono legati da un legame fosfodiestere ciclico che è stato
sintetizzato dall’enzima adenilato ciclasi a partire da una molecola di ATP.
Questo secondo messaggero ha poi un sistema per essere recepito dalla cellula
che prende il nome di PKA, protein cinasi AMP ciclico dipendente. Il cAMP è un
secondo messaggero molto utilizzato, ad esempio lo troviamo nelle segnalazioni
mediate dall’adrenalina, dall’ormone adreno-corticotropo, dal glucagone,
dall’ormone follicolo-stimolante, dall’ormone luteinizzante, dall’ormone
tireotropo, dall’ormone paratiroideo, dalla vasopressina, da diverse
prostaglandine, ed altri ancora. Possiamo quindi dire che questo secondo messaggero è molto utilizzato,
forse il più utilizzato, motivo per cui è stato il primo ad essere scoperto e caratterizzato come secondo
messaggero.
IL cGMP
Molto simile al primo troviamo il guanosin monofosfato ciclico, la cui unica
differenza dal cAMP sta nella base azotata che non è più un’adenina ma una
guanosina, per il resto ritroviamo la stessa struttura già osservata. Ovvaimente
questa volta troveremo l’enzima guanilato ciclasi che andrà a formare il nostro
secondo messaggero a partire da una molecola di GTP.

Viene percepito anche lui dalla cellula da una protein kinasi in questo caso una
PKG ovvero proein kinasi GMP ciclico dipendente. Un’altra caratteristica che
accomuna questi due secondi messaggeri è che possono essere entrambi idrolizzati dalle fosfodiesterasi,
degli enzimi specifici per ciascuno dei due secondi messaggeri che vanno a distruggerli appunto per idrolisi.
Quindi per controllare la concentrazione di questi secondi messaggeri posso agire sia sull’enzima che li
sintetizza che su quello che li distrugge, attivandoli o inibendoli. Ad esempio nella visione inibiamo una
fosfodiesterasi.

DAG
Un altro secondo messaggero è il diacil glicerolo. Un glicerolo, che presenta
treatomi di carbonio, in cui la prima e la seconda posizione rimangono
esterificate ad un acido grasso mentre la terza no, così come avviene nei
fosfolipidi solo che questi ultimi presentano anche un gruppo fosfato con una
testa polare. Questo secondo messaggero deriva infatti da un fosfolipide a cui è
stata rimossa la testa polare.

IP3
In questo caso il secondo messaggero è costituito da una testa polare. L’inositolo
1,4,5 trifosfato, lo abbiamo già osservato parlando dei meccanismi di rilascio del
calcio dai depositi del reticolo endoplasmatico. Per comprendere la relazione tra l’IP3
e il DAG pensiamo alla struttura del fosfatidil inositolo, un fosfolipide molto
importante nelle membrane biologiche, possiamo osservare come questo sia
solitamente fosforilato in posizione 4 e 5, in più c’è il gruppo fosfato che sta a ponte
tra la testa polare e il glicerolo. Se un enzima idrolizza il legame in terza posizione liberando la testa polare
ci dà il diacil glicerolo. IP3 e DAG sono in connessione.

Ca2+
Le due molecole appena descritte sono in relazione non solo tra loro ma
anche con un altro secondo messaggero che è il calcio. Essendo il
messaggio qualcosa che posso recepire/rilevare, anche uno ione come il
calcio la cui concentrazione viene mantenuta bassa all’interno della
cellula, può fungere da secondo messaggero
mediante un aumento della sua conentrazione
intracellulare, un messaggio che verrà recepito
grazie ad una serie di proteine in grado di
legare il calcio la cui capostipite è una proteina
molto piccola chiamata calmodulina. Questa
proteina è solitamente una subunità di proteine
multimeriche calcio dipendenti, ovvero tutte le
proteine calcio-dipendenti presentano tra le loro subunità una calmodulina in
grado di legare gli atomi di calcio in quanto presenta degli amminoacidi carichi negativamente nel sito
catalitico che attirano il calcio che è un catione instaurando questo legame di tipo elettrostatico.

La calmodulina esiste in due conformazioni, una aperta ed una chiusa, la conformazione aperta è data cpon
il legame con 4 ioni calcio (in giallo nell’immagine). Il legame con gli ioni calcio determina un’attivazione
della calmodulina che viene propagata alla proteina di cui la calmodulina fa parte. Un esempio è la
glicogeno fosforilasi che ha tra le sue subunità una calmodulina che ne permette la regolazione tramite il
calcio, cosa non presente nel fegeto ma che è fondamentale nel muscolo dove l’attività della glicogeno
fosforilasi è strettamente legata alla contrazione che a sua volta è anch’essa regolata dalla presenza di ioni
calcio nel citoplasma.

Altre proteine che vanno ad utilizzare il calcio come sensore sono la F-actinina, un regolatore del
citoscheletro; la calcineurina B, una proteina molto importante nella neurotrasmissione; la calretinina,
anch’essa coinvolta nella neurotrasmissione; la mieloperossidasi, fondamentale nei meccanismi di
infiammazione ad opera dei neutrofili; la tioredoddina reduttasi, importante nella biosintesi del DNA; la
troponina C, coinvolta nella contrazione muscolare; e tante altre.

Nell’immagine possiamo osservare tramite dei


fluorofori la diffusione di calcio in un oocita che
ha incontrato con successo il suo spermatozoo
(che la professoressa ci ricorda essere anch’esso
considerabile un ormone). L’aumento del calcio
è un secondo messaggero stimolato dall’arrivo
dello spermatozoo. Questi colori indicano l’imponenza dell’aumento di calcio, dal colore rosso che
rappresenta un imponente aumento della concentrazione intracellulare di calcio fino al blu che invece non
presenta un aumento dello ione percepibile.

Precedentemente abbiamo accennato al fatto che questi ultimi tre secondi messaggeri sono associati tra
loro, ovvero quando c’è uno troviamo anche gli altri. Nell’immagine possiamo osservare il fosfatidil
inositolo 4-5 bifosfato, un fosfolipide di membrana, uno dei più comuni. Possiamo osservare: il glicerolo; i
due acidi grassi, uno saturo ed uno insaturo, quest’ultimo solitamente in posizione 2; più sotto vediamo il
gruppo fosfato; e sotto ancora c’è l’inositolo fosforilato nelle posizioni 4 e 5. Questo fosfolipide incontra il
suo effettore ovvero l’enzima fosfolipasi C che va ad idrolizzare il legame tra il fosfato ed il glicerolo e
rilascia il diacilglicerolo, le cui code apolari, i due acidi grassi, rimangono dentro la membrane, parliamo
quindi di un secondo messaggero lipofilo; e poi c’è l’inositolo trifosfato, IP3, tre perché un fosfato deriva
dal fosfolipide. L’IP3 va a questo punto sui depositi reticolari del calcio dove vi è un suo recettore, un canale
che viene regolato dall’inositolo trifosfato. Questo canale prende il nome di canale del calcio rianodina-
dipendente, così chiamato perché l’agonista riadonina, un farmaco, è in grado di modularlo.

Sia il calcio che il Diacil glicerolo sono dei regolatori di una protein kinasi, ovvero per il calcio la protein
kinasi C, o PKC, che va a fosforilare delle molecole come la glicogeno fosforilasi o dei canali.
Anche il DAG che rimane in seguito al taglio
adeso alla membrana va ad attivare la PKC.

Come accennato il calcio viene mantenuto costantemente a concentrazioni molto basse così da
permettergli di funzionare da secondo messaggero. Ci sono infatti una serie di trasportatori che
consentono in maniera efficiente il mantenimento di quesa concentrazione molto bassa. Nella fattispecie,
sulla membrana abbiamo sia uno scambiatore calcio-sodio (trasporto attivo secondario) che una pompa
per il calcio ATPasica, mentre nel reticolo agirà principalmente la pompa e nel mitocondrio avremo
un’attività prevalente ad operà dello scambiatore.

PI3P
Il fosfatidil indositolo 3 fosfato è un secondo messaggero ,olto particolare. È e rimane
un fosfolipide di membrana. Che il fosfatidil inositolo sia fosforilato o meno nelle
posizioni 4, 5 o entrambe,non fa differenza l’importante è che ad essere fosforilata sia
la posizione 3 in quanto funge da sito di attivazione della molecola. Avremo quindi un
enzima, la fosfatidil inositolo 3 cinasi, che lo fosforila in posizione 3 formando il
nostro secondo messaggero. Questa molecola è una dei più importanti secondi
messaggeri se non la più importante, perché è un segnale di sopravvivenza e la
sopravvivenza della cellula è il punto primo affinchè la cellula stessa possa percepire gli
altri segnali, se la cellula va in apoptosi gli altri segnali saranno inutili.

Questo secondo messaggero abbiamo detto che è un fosfolipide di membrana ed


andrà ad attivareproteine e regolatori che si trovano sulla membrana. Ed è questo che
lo rende tanto diverso dagli altri secondi messaggeri in quanto non andrà né nel
citoplasma e tantomeno nel nucleo. L’altra caratteristica di questa molecola, in questo
caso più comune, è che presenta un senso, una cinasi che viene attivata appunto dal fosfatidil inositolo e
prende il nome di PKB (il nome, ci spiega la professoressa, è dovuto puramente ad un senso di completezza
alfabetica. C’era A, c’era C e si è deciso di mettere anche B).

La PKB è anche un oncogene, ovvero un gene che se dovesse essere mutato o alterato nella sua funzione
indurrebbecalcinogenesi, una trasformazione neoplastica. Quando sono un oncogene presentano un nome
diverso ovvero Akt (il nome è differente in quanto nello stesso periodo due ricercatori distinti hanno
scoperto la stessa molecola, uno come recettore del segnale di sopravvivenza e lo ha chiamato PKB; mentre
il secondo gruppo di ricercatori ha scoperto questa proteina mutata in un tessuto tumorale e l’ha chiamata
Akt. Solo successivamente si sono resi conto che si trattava della stessa molecola che aveva però subito una
mutazione).
Sbobina n° 33 – [Biochimica II] (23/04/2021)
Prof.ssa: Chiarugi
Sbobinatore: Lorenzo Goti
Revisore: Elena Ferretti

Secondi messaggeri
Fosfatidilinositolo 3 fosfato (PI3P)
Secondo messaggero particolare perché rimane nella membrana, quindi
è in grado di regolare effettori che sono o dentro la membrana o nelle
immediate vicinanze. [per essere effettori proteici nelle immediate
vicinanze della membrana basta avere una modificazione post-
traduzionale per le proteine di tipo lipofilo, come proteine prenilate o
addizionate ad acidi grassi].
Il PI3P è inoltre particolare poiché fosforilato nella posizione 3, e la
condizione che lo converte da un normale fosfolipide di membrana a
essere un messaggero, quindi foriero di un segnale ormonale, è proprio
l’esclusiva fosforilazione in posizione 3. Di fatto questi fosfolipidi di
membrana possono essere fosforilati anche nelle posizioni 4 e 5, e
quindi potremmo identificare una sorta di famiglia di secondi
messaggeri in cui la fosforilazione in 3 è comune, ed è quella che
segnala, ma può esserci la fosforilazione in 4, in 5, o addirittura in
entrambe le posizioni. PI3P è in grado di interagire con dei domini delle
membrane, in particolare domini chiamati PH, da pleckstrin homology,
omologhi alla plecstrina, cioè la prima proteina che è stata trovata ad
Figura 1 – Fosfatidilinositolo 3 fosfato
interagire con il fosfatidilinositolo. Poi è stato visto che tutte le proteine (PI3P)
che interagiscono con il fosfatidilinositolo hanno in comune questo
dominio PH. Tra queste, la proteina più importante che funge da trasduttore del segnale portato dal PI3P è
la PKB, una proteina chinasi che segnala alla cellula di sopravvivere. È un segnale attivato in moltissimi
tumori, che saranno in grado di sopravvivere anche in condizioni disvitali in cui invece altre cellule
morirebbero per apoptosi, perché hanno una mutazione in questa PKB che la rende costitutivamente
attiva, svincolata dalla regolazione ormone-dipendente che segnala attraversa il dominio PH e la presenza
di PI3P. Questa proteina oncogenica prende il nome di AKT.

Le piccole proteine G monomeriche


[Già trattate in parte nella lezione precedente.] Le piccole GTPasi
non sono trimeriche, ma monomeriche, proprio per la loro
dimensione. Sono idrolasi del GTP in quanto lo idrolizzano a GDP
+ Pi, e sono regolate in maniera molto simile alle G-α delle
subunità trimeriche: attive quando sono legate a GTP, inattive se
legate al GDP.

Alla famiglia delle piccole GTPasi appartengono diversi membri:


 il capostipite è la famiglia Ras, oncogene trovato mutato
in molti tumori umani, in cui un amminoacido del sito Figura 2 – Azione del Ras
attivo risulta mutato in modo che l’attività idrolasica, che
gli permette di auto-spegnersi, è inibita e la proteina è costantemente attiva.
A sua volta la famiglia Ras è molto estesa. Per esempio, Ras stesso esiste nei tumori umani
sottoforma di 3 isoforme diverse, H-Ras, K-Ras, N-Ras. Poi abbiamo Rheb e Rep1, anch’essi
coinvolti in fenomeni molto importanti: per esempio, Rheb stimola la crescita cellulare attraverso la

1
regolazione di una chinasi
chiamata TOR, la quale fosforila
le proteine ribosomiali in modo
tale da attivare il ribosoma e
renderlo più efficiente; quindi,
non ha un effetto specifico sulla
traduzione di una singola
proteina, ma sulla traduzione di
Figura 3 – Tabella riassuntiva dei membri più importanti delle famiglie delle piccole un po’ tutte le proteine,
GTPasi velocizzandone la loro sintesi.
 Della sottofamiglia Rho fa parte Rho, importante nella contrattilità cellulare miosina-dipendente. Di
questa famiglia fanno poi parte Rac, importante nella motilità, e Cdc-42, importante per la polarità
cellulare, è una caratteristica di tutte le cellule che si muovono e serve per definire qual è il fronte
anteriore e quale quello posteriore in modo da dare una direzione;
 Della famiglia Ran esiste un unico membro, Ran appunto, che serve per trasportare le proteine
all’interno del nucleo attraverso i pori nucleari;
 La famiglia ARF, di cui fanno parte 6 membri (ARF1-ARF6), serve per regolare il traffico, soprattutto
in uscita, delle vescicole endocitotiche ed esocitotiche;
 La famiglia Rab (Rab1-Rab60), regola soprattutto il traffico in entrata delle vescicole.

Sono regolate mediante due meccanismi: GEF e GAP.


Sono dei regolatori positivi: i GEF, o GTPase exchange
factor, scambiano il GDP con il GTP convertendo la forma
inattiva nella forma attiva, mentre le GAP, o GTPase
activating protein, promuovono l’attività GTPasica,
velocizzando il meccanismo con cui queste proteine si
spengono. Quando agiscono il GEF e la GAP la banale
situazione di forma inattiva e attiva della piccola GTPasi si
complica leggermente, perché in presenza del GEF c’è una
spinta nell’equilibrio verso la forma attiva, e in presenza
del GAP c’è una spinta dell’equilibrio verso la forma
inattiva. [Si riporta a lato il meccanismo di regolazione, già
trattato nella lezione precedente.]
Figura 4 – Meccanismo di regolazione GEF e GAP

Inoltre, queste piccole proteine G sono reclutate nella compagine intracellulare di più o meno tutti i
recettori di membrana dal momento che sono i migliori “interruttori” che la natura abbia messo a punto,
cioè sono in grado di gestire il segnale (aperto/chiuso – acceso/spento) in maniera eccellente.

Proteine chinasi e proteine fosfatasi citosoliche


Altri secondi messaggeri importanti, sono enzimi presenti
all’interno della cellulare in grado di fosforilare e defosforilare le
proteine con funzione regolatoria. La proteina (in verde) è
spenta se defosforilata o accesa se fosforilata. Un esempio può
essere la glicogeno fosforilasi, che è attivata da fosforilazione.
Tuttavia, esistono molte proteine che in realtà possono essere
attivate se defosforilate, quindi non è detto che soltanto le
proteine chinasi siano attivatorie, ma ci sono dei casi in cui le
fosfatasi sono attivatorie, come per esempio la glicogeno sintasi
chinasi che è attivata per defosforilazione appunto. Ad ogni
modo, la fosforilazione e la defosforilazione di proteine ed
enzimi è uno degli eventi più comuni nella trasduzione del
Figura 5 – Segnalazione mediante fosforilazione

2
segnale, per questo rientrano nei secondi messaggeri.

Proteine adattatrici
Tra il grande gruppo dei secondi messaggeri è opportuno includere anche le cosiddette proteine
adattatrici, le quali non sono formalmente degli enzimi però sono in grado di legare i recettori sulla loro
facciata citosolica del recettore e funzionare da adattatori veri e propri. Un esempio è GRB-2: non ha
un’attività enzimatica in sé stessa, ma senza la sua presenza e i suoi relativi domini SH-2 e SH-3 non sarebbe
possibile la trasduzione del segnale mitogenico. Di questi adattatori ce ne sono moltissimi e ne esiste una
grandissima famiglia. In generale, il loro meccanismo di azione è quello mostrato nell’immagine
sottostante: ci sono delle vere e proprie proteine
chiamate scaffold che hanno la capacità di
interagire con il recettore nella sua parte citosolica,
ma presentano anche numerosi siti di interazione
con tantissime altre proteine presenti all’interno
della cellula, funzionando così come una sorta di
“ciabatta” adattatrice per tante spine diverse.
Quindi queste proteine scaffold sono molto comuni
e uno dei segnali che funziona più largamente
attraverso il reclutamento di questi scaffold è
proprio il segnale dell’insulina (più precisamente,
questa recluta una grande proteina adattatrice
chiamata IRS-1 o Insuline Receptor Substrate 1).
Figura 6 – Propagazione del segnale mediante proteine scaffold

Concettualmente, la capacità di reclutare una serie di proteine attraverso il legame di una proteina scaffold
è funzionale soprattutto alla propagazione del segnale. Proteine che sarebbero disperse nel citoplasma,
infatti, in questo modo vengono concentrate e reclutate verso la superficie della cellula. È dunque un
sistema di settorializzare il segnale cellulare nelle vicinanze del recettore.

Trasduzione del segnale dalla membrana al citoplasma


A questo punto abbiamo tutti gli elementi per capire come funziona la trasduzione del segnale. In breve:
1. un segnale ormonale, ossia un primo
messaggero, reagisce con il suo
recettore;
2. questo produce un cambiamento
conformazionale del recettore che si
troverà ora nel suo stato attivo, viene
iperfosforilato (nel caso si parli di
recettori a tirosin-chinasi o associati
a tirosin-chinasi) oppure la modifica
può essere una proteolisi, un cambio
conformazionale o una fosforilazione
su serina, in base alla diversa
tipologia di recettore; Figura 7 – Trasduzione del segnale dalla membrana al citoplasma
3. dopodiché ci sono dei segnali
intracellulari multipli (non è mai uno solo, nell’immagine ce ne sono tre generici, ma possono
essere moltissimi), che vengono propagati dai secondi messaggeri all’interno della cellula, fino ad
arrivare alla regolazione di enzimi e segnali nucleari di regolazione trascrizionale che cambiano il
comportamento della cellula.

3
Reclutamento di proteine segnalatorie sui lipidi di membrana
Il PI3P è un secondo messaggero
particolare anche per il fatto che, a
differenza di quanto visto fino ad
adesso, trasduce il segnale
direttamente sulla superficie della
membrana. Come si può vedere in
Figura 8, il fosfatidilinositolo viene
mostrato a sinistra con due
fosforilazioni, verosimilmente le
posizioni 4 e 5; in seguito
all’interazione ligando-recettore ed al
Figura 8 – Reclutamento di proteine segnalatorie sui lipidi di membrana conseguente cambio conformazionale
di questo, viene aggiunta la
fosforilazione in posizione 3, formando PI3P. Tuttavia, il secondo messaggero, ovvero il trasduttore del
segnale, rimane legato alla membrana perché ha ancora i 2 acidi grassi esterificati al glicerolo, e quindi sono
le proteine (la 1 e la 2, rispettivamente in verde e in arancione) che dovranno essere attivate ad essere
reclutate a livello della superficie della membrana, dove si andranno a legare al secondo messaggero
mediante il dominio PH. Dopodiché queste si attivano e porteranno ad un segnale downstream, che
certamente dopo essersi propagato a livello della membrana giungerà anche nel citoplasma per poi passare
nel nucleo dove sarà convertito in risposta cellulare.

Sinergia di vari sistemi


Molti di questi sistemi che abbiamo fin
qui descritto sono in realtà sinergici
all’interno dello stesso processo di
segnalazione, coesistono. Un esempio è
quello che si può vedere in Figura 9,
riguardante un tipico recettore a tirosin-
chinasi in cui questo si fosforila,
interagisce con una proteina scaffold (in
questo caso IRS1), che presenta due
domini: un dominio PH che interagire con
PI3P, e un altro che si chiama PTB
(Phosphotyrosine Binding Domain) che Figura 9 – Esempio di sinergia
lega le fosfotirosine; quindi, è un
dominio ulteriore rispetto all’SH-2, che presenta la stessa funzione ma è differenziato da un punto di vista
strutturale (questo ci fa capire che legare fosfotirosine è un processo talmente importante che si sono
evoluti due domini diversi che fanno la stessa cosa). Il recettore attivato fosforila anche l’adattatore, il quale
viene legato da un altro adattatore (GRB-2), il quale, da una parte, va ad attivare la via proliferativa
attraverso la duplicazione dei Sos o dei Ras (a valle c’è tutta la viia mitogenica che abbiamo già visto),
mentre dall’altra con i suoi domini SH-3 può legare altre proteine scaffold che servono per legare ulteriori
proteine da regolare. [Non entriamo in dettaglio, in quanto la situazione può essere estremamente
complicata.]

4
In Figura 10 abbiamo uno schema per osservare
quanti sono i segnali che un recettore può attivare
in seguito all’interazione con il suo ormone. Le
due principali famiglie di recettori sono i GPCR (G
protein-coupled receptors, recettori accoppiati a
proteine G) e i RTK (receptor tyrosine kinase,
recettori a tirosino-chinasi), e sono acronimi
molto utilizzati perché sono le due famiglie più
grandi. Entrambe sono in grado di attivare vie che
attivano moltissime chinasi diverse, come la
chinasi cAMP-dipendente, la chinasi Ca2+-
dipendente, la MAP-chinasi (via proliferativa), la
PKB/AKT (via di sopravvivenza), o la calmodulina
chinasi (di cui non abbiamo parlato, noi abbiamo
trattato solo la calmodulina, cioè quella subunità
presente in molte proteine in grado di legare
Figura 10 – Recettori GPCR e RTK
calcio e capace di regolare, in relazione alle
concentrazioni di calcio, molte proteine, fra cui la calmodulina chinasi).

Vie di segnalazione motoria


Ci sono poi segnali che meritano una menzione
a parte poiché sono un po’ strani in termini di
effetti che questi provocano. Per esempio, il
segnale motorio di tipo repulsivo (Figura 11). I
segnali motori possono infatti essere di tipo
attrattivo o repulsivo e quelli repulsivi sono
addirittura più efficienti di quelli attrattivi. Una
grandissima classe di recettori a tirosino-chinasi,
i recettori efrinici (EPH), sono portatori di
questo tipo di segnale repulsivo. È un tipo di
segnale cellula-cellula, cioè il ligando non viene
secreto dalla cellula ma rimane attaccato alla
cellula che genera il segnale; per cui le due
cellule devono arrivare in contatto una con
l’altra in modo che il ligando (efrina A1, EphA1)
interagisca con il suo recettore specifico (efrina Figura 11 – Segnale motorio di tipo repulsivo
A4, EphA4). In seguito all’interazione ligando-
recettore, questo si fosforila in diverse tirosine; il recettore fosforilato sarà poi in grado di attivare delle
tirosino-chinasi che danno dei segnali classici (come quelli che abbiamo già visto), ma anche un GEF per una
piccola GTPasi. Questo GEF, sostituendo il GDP con GTP, va ad attivare una proteina GTPasi Rho, che ha il
compito di andare ad attivare una chinasi chiamata ROCK (Chinasi Rho-dipendente), la quale a sua volta è in
grado di fosforilare la miosina nella sua catena leggera, dando luogo ad un effetto fortemente contrattivo.
La contrazione cellulare è il primo fenomeno importante che serve per ritrarre una cellula che deve essere
respinta e quindi cambiare direzione. Questa segnalazione repulsiva è quindi molto importante durante
l’ontogenesi in vari distretti tissutali. Nella vita post-natale, è importante durante la neurogenesi, ad
esempio, nella Figura 11 è raffigurata la crescita di un assone: gli assoni infatti trovano la loro strada
tentandone diverse e quando intraprendono quella sbagliata vengono respinti dalla presenza del loro
ligando, che fa retrarre l’assone grazie alla contrazione miosina-dipendente.

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Via di trasduzione del segnale di sopravvivenza
Importante poiché tutte le cellule
necessitano di un segnale di
sopravvivenza per inibire un
segnale apoptogenico, cioè di
morte, che di default sarebbe
attivato e a cui le cellule
andrebbero incontro se non ci fosse
appunto un segnale di
sopravvivenza a contrastarlo.
Questo segnale di sopravvivenza
può essere di semplice
sopravvivenza o di sopravvivenza
che contrasta segnali di morte: se la
cellula è priva di segnali di morte,
Figura 12 – Trasduzione del segnale di sopravvivenza mediato da RTK
basta anche un segnale di sopravvivenza basso per sopravvivere; se invece la cellula è bombardata da
segnali di morte sarà necessario un segnale di sopravvivenza alto per contrastarlo (da ricordare in questo
caso il concetto dell’integrazione, cioè della sommatoria dei segnali). Il segnale di sopravvivenza parte da
recettori di sopravvivenza: circa il 90% di recettori sono recettori di sopravvivenza, tanto è vero che questa
è garantita anche dalle integrine stesse, che sono dei recettori di membrana nel contesto extracellulare.
Sappiamo infatti che una cellula che è in contatto con la propria matrice extracellulare vive tranquillamente
in attesa di un diverso segnale di comportamento. In questo caso (Figura 12) ci si riferisce ad un recettore
ad attività tirosino-chinasi (RTK): il segnale di sopravvivenza induce la fosforilazione del recettore (cosa che
non si avrebbe se il recettore fosse un’integrina); questa fosforilazione va quindi ad attivare la
fosfatidilinositolo-3-chinasi, che fosforilando in posizione 3 il fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato, sintetizza
come secondo messaggero il fosfatidilinositolo-3,4,5-trifosfato (se parlassimo di integrine l’attivazione della
fosfatidilinositolo-3-chinasi non sarebbe mediata dalla fosforilazione, ma sempre dall’attivazione del
recettore, quindi non cambierebbe moltissimo, semplicemente non c’è questo gruppo fosfato iniziale). Il
secondo messaggero fosforilato nella posizione 3 interagisce successivamente con i domini PH di due
proteine, l’AKT (ne abbiamo parlato prima) e la PDK1 (una chinasi); quest’ultima ha sempre i domini PH e
ha il compito di potenziare il segnale su AKT. A questo punto AKT, chinasi in grado di dissociarsi dalla
membrana una volta iperfosforilata, dà un segnale multiplo: principalmente va a fosforilare la proteina Bad,
una proteina molto importante dal punto di vista della regolazione della morte cellulare programmata
perché, normalmente, quando il segnale di sopravvivenza non è presente, la Bad è legata ad una proteina
inibitrice dell’apoptosi, chiamata Bcl-2, rendendola inattiva. Quindi quando Bad non è fosforilata, la
proteina antiapoptotica Bcl-2 è legata a Bad e quindi la prima non è capace di svolgere la sua funzione;
quando AKT fosforila Bad, invece, questa si stacca da questa proteina Bcl-2, che sarà quindi capace di
inibire l’apoptosi. In questo modo il segnale di sopravvivenza è attivo, ed è bloccata la capacità della cellula
di entrare in apoptosi, grazie al secondo messaggero fosfatidilinositolo-3-chinasi che ha attivato la AKT.
Nell’immagine è indicato anche mTOR, che, come dicevamo prima, è una chinasi che fosforila le proteine
del ribosoma attivandolo; anche questo è intuitivo, perché una cellula che deve sopravvivere deve anche
sintetizzare le proteine vitali.

Segnale di crescita cellulare


Un'altra tipologia di segnale cellulare è quello relativo alla crescita cellulare, da non confondere con la
proliferazione cellulare. È normale che le cellule che si duplicano crescano anche, perché per duplicarsi
bisogna anche raddoppiare il proprio citoplasma, ed è necessaria quindi la produzione di molte proteine. Ci
sono anche dei casi in cui le cellule vanno incontro a duplicazione senza aumentare di molto il citoplasma,
come nelle prime fasi della gastrulazione, dove non c’è una grande crescita della bozza d’embrione, ma le
cellule si dividono rimanendo sempre piccole. Inoltre, ci sono moltissimi casi in cui le cellule crescono
soltanto senza dividersi, quindi aumentano di molto la loro massa citoplasmatica. Per far sì che la cellula

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accresca la propria massa citoplasmatica ci sono dei veri e
propri fattori di crescita, che attivano sempre la PI3-K, la
quale andrà a sintetizzare il secondo messaggero PI3P, che a
sua volta attiva AKT/PKB. AKT/PKB va ad attivare la piccola
GTPasi Rheb, regolatoria della chinasi TOR, la quale fosforila
le proteine ribosomiali, aumentando l’efficienza della
traduzione a livello dei ribosomi, influenzando positivamente
la crescita della cellula.

Terminazione del segnale Figura 13 – Segnale di crescita cellulare

Processo importante tanto quanto l’inizio o la trasduzione stessa del segnale, considerato il fatto che i
segnali devono durare per il tempo necessario affinché siano recepiti e per indurre un cambiamento di
risposta della cellula, ma non devono durare troppo altrimenti si passa a segnali non più percepiti dalla
cellula oppure percepiti in un contesto di tipo neoplastico.

Figura 14 – Meccanismi di terminazione del segnale

I sistemi con cui la terminazione del segnale può essere ottenuta sono diversi:
 Sequestramento del recettore all’interno di vescicole endocitotiche: queste vescicole, essendo
leggermente acide, inducono il rilascio dell’ormone dal recettore e successivamente questa
vescicola può rilasciare il recettore inattivato sulla superficie cellulare. È un esempio di
inattivazione transitoria.
 Down-regulation: la regolazione appena vista può culminare anche in una inattivazione vera, fisica,
proteica del recettore, in quanto la vescicola formatosi può fondersi con il lisosoma e in quel caso si
distrugge tutto. Si tratta quindi di una inattivazione definitiva: non si può tornare indietro ma
occorre risintetizzare il recettore prima di poter recepire una nuova “ondata” di segnali ormonali.
 Inattivazione di tipo recettoriale: il recettore stesso viene disattivato. È il caso, ad esempio, della
fosforilazione del recettore su un residuo di serina (β-arrestina chinasi, che fosforila il recettore
rendendolo meno sensibile).
 Inattivazione a carico delle proteine intracellulari: come sopra, ma invece che il recettore vengono
disattivate le proteine intracellulari. Diverse fosfatasi, infatti, possono defosforilare il recettore, ma
talvolta anche le proteine che il recettore aveva precedentemente fosforilato, inducendo la
terminazione del segnale.
 Biosintesi di proteine inibitorie: il recettore stesso le sintetizza, e la loro trascrizione viene regolata
proprio dal recettore stesso, in modo da indurre una down-regolazione. In questo caso si tratta di
un meccanismo molto più lento perché prevede appunto la trascrizione e la traduzione di nuove
proteine.

I recettori nucleari
Sono recettori che rispondono ad ormoni di natura lipofila, come ormoni steroidei e tiroidei. In questo
caso, a differenza degli ormoni proteici che necessitano obbligatoriamente di recettori di membrana per
trasdurre il segnare all’interno della cellula, gli ormoni lipofili possono scegliere: possono infatti sia entrare
direttamente nella cellula, in quanto in grado di permeare la membrana, sia rimanere all’esterno. Il

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vantaggio di non entrare è che si può sfruttare un sistema di trasduzione del segnale estremamente più
complicato: il recettore è di varie categorie, si cooptano diversi secondi messaggeri, andando ad attivare
moltissime vie; il segnale è quindi più complesso, in qualche modo pleiotropico. Normalmente, ormoni
steroidei e tiroidei hanno quasi esclusivamente recettori nucleari o citosolici, ma ci sono ormoni lipofili,
quali ormoni eicosanoidi paracrini, derivanti dall’acido arachidonico (20 atomi di carbonio), che presentano
recettori di membrana (nella fattispecie recettori accoppiati a proteine G) con una conseguente via di
segnalazione assai più complicata.
Tuttavia, è opportuno precisare che il trasporto di questi ormoni lipofili risulta un problema dal momento
che il plasma è un ambiente estremamente idrofilo: per ovviare a tale problema esistono specifiche
proteine carrier plasmatiche. Il legame carrier-ormone è sicuramente reversibile (non covalente) però è un
aspetto da tenere in conto perché quando si va a considerare la quantità di ormone attivo bisogna sempre
pensare che quello legato al carrier non è attivo, cioè non è capace di interagire col recettore, ma è
semplicemente trasportabile. Il complesso carrier-ormone ha comunque una valenza: funziona infatti da
riserva circolante dell’ormone e lo protegge dai meccanismi di degradazione ed escrezione, aumentandone
l’emivita.

Figura 15 – Risposta agli ormoni lipofili

La risposta agli ormoni lipofili è caratterizzata da due fasi, una rapida e una lenta. Quella rapida, o early
response, è una fase in cui l’ormone interagisce con il suo recettore; il complesso ormone-recettore entra
nel nucleo e induce la trascrizione di una serie di proteine, definite proteine della risposta primaria.
Queste, a loro volta danno luogo a una risposta secondaria, lenta. Spesso sono esse stesse proteine
trascrizionali o vanno a regolare dei fattori trascrizionali, causando una nuova trascrizione regolata, detta di
seconda generazione o delayed response, che induce la biosintesi di nuove proteine. La regolazione della
trascrizione delle proteine indotta dagli ormoni lipofili sarà dunque una regolazione che dura molto a lungo
essendo questa costituita da una risposta precoce e da una tardiva.

Figura 16 – Recettore intracellulare

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Il recettore comune a tutti gli ormoni lipofili è una proteina il cui cambio di conformazione è molto ingente.
È costituito da una zona che lega il ligando, normalmente legata a una proteina inibitrice (in grigio in Figura
16) molto spesso della famiglia delle HSP (Heat-Shock Protein, le abbiamo nominate varie volte, in relazione
al fatto che sono protettive per gli shock termici, per questo hanno questo nome), chaperoni molecolari in
grado di legare domini di proteine impedendone la loro normale funzione; in questo caso impediscono al
recettore di funzionare anche in assenza dell’ormone. Oltre a questa zona di legame all’ormone, il
recettore, in quanto fattore trascrizionale, presenta una zona di legame diretta con il DNA ed hanno la
capacità di attivare la trascrizione in quanto presentano un cosiddetto trans activation domain, un dominio
mediante il quale vanno ad interagire con proteine attivatrici, solitamente istoni acetilati. Al momento in
cui l’ormone lega il suo dominio specifico, la proteina inibitrice HSP viene rilasciata, il recettore cambia del
tutto conformazione, si può legare l’istone acetilasi o proteina co-attivatrice, il dominio che lega il DNA
risulta totalmente disponibile a legare il DNA, che verrà dunque legato in particolari regioni costituenti i
promotori dei geni che saranno i target di questi ormoni. [Stiamo parlando in maniera generale, e non
specifica, infatti in Figura 16 si parla semplicemente di ligando e non di un particolare ormone, di un
recettore non specifico, di geni target generici, e si parla di un elemento di risposta all’ormone senza
spiegare quale sia. Chiaramente potremmo entrare in dettaglio, qualora si parlasse di un ormone specifico.]

Recettore per gli ormoni steroidei


Scendendo più nel dettaglio, i recettori per gli ormoni steroidei funzionano in questo modo (Figura 17):
1. Una proteina plasmatica funziona da
carrier, e serve da riserva dell’ormone
in forma legata;
2. Quando viene liberato l’ormone (in
questo caso, estrogeno), questo entra
direttamente nella cellula in quanto
lipofilo;
3. Lega il suo recettore, inducendone un
cambio conformazionale in seguito al
rilascio della sua HSP inibitrice;
4. Questo induce un trasferimento
all’interno del nucleo per esposizione di
particolari sequenze di localizzazione
nucleare (trasporto nel nucleo mediato
dalla piccola GTPasi Ran, menzionata a
inizio lezione);
5. Ci sarà inoltre una compartecipazione
di RNA polimerasi e regolazione delle
istone deacetilasi per la regolazione
della sintesi proteica de novo, ma nel
caso di alcuni ormoni che inducono Figura 17 – Schema semplificato di segnalazione mediata da estrogeni
anche la proliferazione, tra cui appunto anche gli estrogeni, ci sarà un reclutamento anche della DNA
polimerasi, e quindi un’attivazione della proliferazione cellulare delle cellule estrogeno-dipendenti.

In realtà, tale processo è leggermente più complesso di quanto può sembrare da questa prima analisi:
intanto il recettore risulta legato a delle HSP (verdi in Figura 18) e quindi tale legame è regolato da
particolari domini che mediano questo legame e l’interazione tra ormone steroideo e recettore induce il
distacco delle HSP; il recettore, una volta che è migrato nel nucleo, spesso viene fosforilato da chinasi
nucleari. Questi recettori fosforilati vanno incontro a dimerizzazione, fondamentale per costruire il dominio
attivo del legame al DNA. Una volta che tale legame si è formato in maniera efficiente, è possibile che i
recettori vengano ulteriormente fosforilati dalle stesse chinasi perché hanno cambiato nuovamente
conformazione dopo aver legato il DNA, e questa risulta essere la condizione che media la definitiva
attivazione della trascrizione. Riassumendo, gli eventi sono sempre molto semplificati rispetto alla

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trasduzione dei segnali idrofili, ma sono leggermente complicati da una doppia fosforilazione e da una
dimerizzazione.

Figura 18 – Attivazione dei recettori steroidei

I recettori di cui abbiamo parlato,


facenti parte del grande gruppo degli
ormoni steroidei, come ad esempio i
recettori leganti glucocorticoidi (GR,
glucocorticoid receptor),
progesterone (PR, progesterone
receptor), mineralcorticoidi (MR,
mineralocorticoid receptor),
androgeni (AR, androgen receptor) ed
estrogeni (ER, estrogen receptor), Figura 19 – Recettori per gli ormoni steroidei
risultano essere tutti molto simili
nonostante siano proteine diverse, cioè derivano da eventi di duplicazione genica. Hanno tutti lo stesso
modello di funzionamento (Figura 20) in cui c’è un dominio di modulazione della trascrizione (A/B) che va a
regolare la RNA polimerasi; un dominio di formazione del dimero (C); un dominio di localizzazione nucleare
(D), ricco di AA basici che consentiranno il passaggio attraverso i pori nucleari; un dominio di legame con
l’ormone, lo stesso che lega la HSP inibitoria: è a livello di questo dominio che i diversi recettori per gli
ormoni lipofili differiscono, oltre che a livello delle sequenze di DNA cui i recettori di legano (vedi Figura
21). A questo gruppo si associano anche altri recettori come, ad esempio, il recettore per la vitamina D, la
quale ha anche una
valenza segnalatoria
oltre che la valenza
vitaminica; è
estremamente lipofila
in quanto deriva da
una molecola di
colesterolo, così come
gli steroidi, e infatti
presentano recettori
analoghi. Poi esistono i
Figura 20 – Modello di funzionamento comune a tutti i recettori a sede nucleare
recettori tiroidei, di
due tipi: TR-α e TR-β. I recettori per l’acido retinoico, il quale essendo un derivato della vitamina A ha una
grandissima valenza ormonale, tanto da essere uno dei più importanti agenti differenziativi tra quelli
conosciuti.

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Tutti questi recettori, per concludere, agiscono con lo stesso meccanismo ma interagendo con sequenze
diverse del DNA; nella fattispecie queste hanno delle sequenze consenso sul DNA, che prendono il nome di
elementi di risposta, che sono sequenze palindromiche, nel 90% dei casi, estremamente conservate e
contenute all’interno dei promotori dei geni che devono essere regolati da quei particolari ormoni.
Tali sequenze consenso sono formate da sei coppie di basi:
 con 3 nucleotidi “spaziatori” (n) per GRE ed ERE;
 senza nucleotidi spaziatori per le altre.

Alcuni esempi:
 Le GRE (Glucocorticoid Responsive Element)
sono l’elemento di risposta presente in tutti i
geni che devono essere regolati dai
glucocorticoidi;
 ERE per gli estrogeni;
Figura 21 – Esempi di elementi di risposta
 TREp per gli ormoni tiroidei.

La specificità della segnalazione di questi ormoni è


data sempre ed inevitabilmente dalla presenza dei
GRE. Questi GRE sono legati da dei domini che si
formano all’interno delle proteine recettoriali in
grado di legare DNA, che si chiamano dita di zinco
(Figura 22). Costituiti da un atomo di zinco che lega
covalentemente 4 cisteine della catena polipeptidica
che forma una sorta di prolungamento, come dita
appunto, formando queste strutture a livello delle
quali si va a legare direttamente il DNA. Tutti i
Figura 22 – Motivi a dita di zinco recettori di tipo nucleare sono caratterizzati dalla
presenza di queste dita di zinco, mediante le quali
interagiscono con gli elementi di risposta nei promotori dei geni che devono andare a regolare.
Chiaramente la formazione del dimero è fondamentale per legare la sequenza palindromica, tanto che si
pensa che ogni monomero possa legare una parte della sequenza e che quindi sia fondamentale
dimerizzare per interagire con l’intera sequenza palindromica.
I recettori di tipo tiroideo hanno soltanto una peculiarità rispetto a quelli steroidei: di solito, infatti, quelli
tiroidei sono già legati alla cromatina, quindi sono nucleari e di conseguenza non presentano la migrazione
all’interno del nucleo, ma è l’ormone tiroideo stesso che migra direttamente nel nucleo e va ad attivare il
suo recettore nucleare, abbreviando ulteriormente la risposta di questi ormoni che sarà dunque immediata
dal momento che il recettore è già legato a livello del DNA ed è soltanto l’attività trascrizionale che viene
regolata.

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Sbobina n°34 -biochimica II-26/04/2021
Prof.ssa: Chiarugi
Sbobinatore: Eleonora Bianchi
Revisore: Simone Eccheli

ROS, SPECIE REATTIVE DELL’OSSIGENO


La lezione di oggi tratta delle specie reattive dell’ossigeno, della loro  L’OSSIGENO MOLECOLARE
generazione e rimozione ,e anche del loro ruolo regolatorio. E’ UN BIRADICALE CON
DUE ELETTRONI SPAIATI IN
L’evoluzione del fenotipo respiratorio è stato un grande guadagno
ORBITALI DIVERSI CON SPIN
evolutivo perché ha permesso di sfruttare il potere energetico di tutti i
PARALLELO, OTTIMO
nutrienti, non solo i carboidrati, infatti il glucosio è l’unico (oltre agli esosi
riconvertibili ad esso) che si può fermentare in condizioni di anaerobismo. ACCETTORE DI ELETTRONI,
PRODUCE H2O, MA HA
L’ossigeno (O2) è un fortissimo elettron-attrattore, è una molecola UNA SFORTUNATA
lipofila, tende a stare nelle membrane, è difficile che si trovi nel TENDENZA A RIDUZIONI
citoplasma o nei liquidi interstiziali, non è facile avere delle buone PARZIALI
condizioni di ossigeno lontano da dove l’emoglobina lo lascia, poichè ha
poca solubilità, tranne che nelle membrane, infatti il sito di riduzione di
O2 ad H20 è proprio la membrana del mitocondrio.
Il problema dell’ossigeno è di avere una grande tendenza ad attrarre gli elettroni e alle riduzioni parziali,
ovvero:
-Se l’ossigeno prende 4 elettroni nella catena respiratoria, si trasforma in acqua
-Se prende meno di 4 elettroni ha una riduzione parziale e si formano delle specie reattive dell’ossigeno
Da questo già si intuisce che la catena di trasporto è un sito importante di produzione di specie reattive
Le specie reattive dell’ossigeno si dividono in due gruppi:
• Specie radicaliche: i radicali sono molecole che hanno
un elettrone spaiato in un orbitale, di conseguenza la
tendenza ad appaiare l’elettrone e riempire l’orbitale è
fortissima, sono grandi elettronattrattori, quindi agenti
ossidanti fortissimi.
Tra i radicali liberi dell’ossigeno troviamo:
-L’ossigeno singoletto O2*, sta nelle alte parti dell’atmosfera,
c’è solo un caso in cui si può trovare in natura, possiamo
tralasciarlo
-Il radicale superossido O2̇°− , che è la specie reattiva che si
forma nella catena di trasporto degli elettroni
-Il radicale idrossilico OH°, si forma nel momento in cui il ferro ferroso è presente libero nel mezzo, infatti il
ferro non deve stare libero e ci sono tanti sistemi atti ad impedirlo: ferritina, trasferrina, proteine che legano
il ferro
-Radicale lipoperossilico LOO°, si origina da dei lipidi nelle membrane che vengono ossidati
-Il monossido di azoto NO°(che abbiamo trattato dal punto di vista ormonale), il legame tra questo e il
radicale superossido forma una specie reattiva dell’ossigeno (Perossinitrito ONOO-)

1
• Specie reattive non radicaliche:
-Perossido di idrogeno H2O2, che si forma come sottoprodotto di molte reazioni enzimatiche (comune acqua
ossigenata, smacchiante e disinfettante)
-Perossinitrito ONOO- si forma dall’incontro tra monossido di azoto e radicale superossido
-Acido ipocloroso HOCl-, viene sintetizzato da delle cellule, la componente leucocitaria, con lo scopo di
utilizzarlo come arma nei confronti degli agenti patogeni grazie alla sua forte azione ossidante
Tutte queste specie reattive dell’ossigeno hanno una caratteristica
comune: hanno un’emivita molto bassa, che cresce al ridursi del
potere ossidante (quelle fortemente ossidanti hanno un’emivita
bassissima, quelle con minor potere ossidante hanno un’emivita un
po’ più alta). Questo è dovuto al fatto che ossidano un substrato
(hanno una forte tendenza a farlo) e quindi si riducono.
Esiste un potenziale di riduzione con le quali si potrebbero
classificare, ma non è importante conoscere i valori nello specifico
Un’ eccezione è ad esempio l’acido ipocloroso che è molto ossidante,
ma invece ha una stabilità che dipende un po’ dal substrato che va a ossidare, quindi è più difficile
classificarlo.

Ci sono essenzialmente tre vie attraverso cui queste specie si formano :

• Via respiratoria (energetica): nella catena di trasporto degli elettroni, attraverso riduzioni
incomplete si forma l’anione superossido
• Via metabolica: ci sono alcune reazioni metaboliche che come sottoprodotto hanno anche una
specie reattiva dell’ossigeno, come l’ anione superossido o acqua ossigenata
Ci sono cellule che professionalmente esprimono enzimi che gli servono per produrre specie reattive
dell’ossigeno come i granulociti, che utilizzano un enzima NADPH ossidasi e producono anione
superossido O2°- che usano come ‘’arma’’ (è un grande ossidante)
• Via reattiva: è tipica delle cellule della componente immune (neutrofili e macrofagi) che sfruttano il
grande potere ossidante di queste molecole come un’arma, producono queste specie attivamente
Queste vie non sono ugualmente produttive: la via metabolica ne produce poche, la via energetica ne
produce in medie quantità, la via reattiva ne produce tantissime.
L’ossidazione delle molecole, qualsiasi siano i target, può costituire un grave danno (ossidazione dei lipidi,
DNA, proteine), ma quando abbiamo parlato delle modifiche post traduzionale abbiamo visto anche le
modifiche redox con un ruolo regolatorio, quindi se le specie reattive dell’ossigeno sono poche, confinate e
controllate nella produzione e rimozione, possono essere uno strumento e non un danno (ad esempio per
regolare le proteine).
Via energetica
Nella catena di trasporto degli elettroni ci sono dei siti dove ci
può essere una riduzione incompleta dell’ossigeno (nella
fattispecie complesso I e III) perché l’ossigeno sta ovunque, è
lipofilo, non ha un sito di permanenza. Nella catena c’è una
grande mobilità di elettroni, l’O2 è molto elettron-attrattore e
riesce ad acquisirne alcuni, si va incontro a riduzione incompleta
e si forma anione superossido O2°-
L’ossigeno non completamente ridotto può arrivare ad essere il
4-5%, che è il valore massimale che si raggiunge nelle cellule

2
senescenti, l’invecchiamento è stato associato con un danno ossidativo continuo, in tutte le replicazioni a cui
queste cellule sono andate incontro, che si accumula e rende disfunzionali molti meccanismi cellulari, tra
cui anche la catena di trasporto che funziona meno bene quindi è più capace di perdere elettroni (più leaky)
e cederli all’ossigeno.
Per una catena di trasporto efficiente si parla dell’ 1-2% di produzione delle specie reattive, che comunque è
una quantità che se non si fosse parallelamente evoluto un sistema di protezione sarebbe distruttiva,
incompatibile con la vita
Via enzimatica
Ci sono diversi enzimi che producono specie reattive
dell’ossigeno:
- La mieloperossidasi (MPO) è un enzima di
membrana, endocitotico, che produce acido
ipocloroso a partire da acqua ossigenata nei leucociti
- La xantinossidasi, che abbiamo visto nel catabolismo
dei nucleotidi purinici, produce perossido di idrogeno
H2O2
- La eme-ossigenasi, la abbiamo già vista.
- La lipoossigenasi, che insieme alla ciclossigenasi,
produce eicosanoidi (che derivano dall’acido
arachidonico precursore a 20 atomi di carbonio) e sono: prostaglandine, le prostacicline, i leucotrieni
e i trombossani. Ogni volta che producono eicosanoidi producono anche specie reattive
dell’ossigeno.
- Citocromo p450 monossigenasi, (sono una famiglia di più di mille enzimi) tutti producono specie
reattive dell’ossigeno come sottoprodotto, sono prevalentemente epatici. Verranno trattati più
avanti perché nel fegato svolgono un ruolo importante di detossificazione.
- NADPH ossidasi enzima di membrana, presente in tutte le cellule (sono 6 isoenzimi tessuto specifici)
è usata professionalmente nei granulociti neutrofili (dove è stata scoperta), produce quantità di
specie reattive controllate, quelle a cui ci si riferiva riguardo alla regolazione di tipo redox delle
proteine
- Sintasi dell’acido nitrico (eNOS dove ‘’e’’ sta per endoteliale perché è un mediatore prevalentemente
endoteliale) produce monossido di azoto NO che può complessarsi con il superossido O2°- a dare il
perossinitrito ONOO-
- Citocromo b5 che abbiamo trovato nella sintesi dell’acidi grassi insaturi, fa parte di una piccola catena
di trasporto degli elettroni
Infatti i meccanismi che hanno a che fare con gli elettroni, queste piccole catene di trasporto degli elettroni,
sono zone di potenziale ‘’sfuggita’’ di elettroni che vengono attratti dall’ossigeno
La biosintesi degli acidi grassi insaturi, appunto, avviene nel reticolo endoplasmatico liscio, zona di membrana
quindi lipofila, dove l’ossigeno trova le sue condizioni adatte

Bersagli dei ROS


In quantità corposa i ROS causano:
• Danno al Dna, si inducono mutazioni (ad esempio formazione dell’8-oxoguanina) e quindi
trasmettono mutazioni alle replicazioni. Queste mutazioni, pur essendo somatiche quindi non
propagandosi, si accumulano e influiscono con il comportamento della cellula che va in senescenza
• Ossidazione di proteine che quando sono massicciamente ossidate vengono veicolate al sistema di
distruzione, al proteasoma, ubiquitina dipendente.
Quando l’ossidazione coinvolge non una sola, ma molte proteine, il sistema proteasomico viene
sovraccaricato e la cellula va in UPS (unfolded protein response); si trova troppe proteine unfolded e
3
la sua capacità di distruggerle non va di pari passo, queste si accumulano e precipitano formando le
fibrille amiloidi, ci sono delle patologie correlate a questa condizione.

• Ossidazione degli acidi grassi porta alla formazione di


radicali lipoperossilici che sono fortemente reattivi. ( Nella
figura è rappresentata una catena alifatica policarburica di
un acido grasso insaturo di membrana generico)
Questo acido grasso reagendo con un radicale libero (quasi
sempre con l’idrossile OH* perché è il più lipofilico), forma
un radicale lipoperossilico LOO*, si forma nell’acido grasso
insaturo un perossido che porta, in presenza di un altro
radicale, alla rottura dell’acido grasso e la formazione di
aldeidi come l’idrossialchenale o la malondialdeide

Queste aldeidi sono ‘’appiccicose’’ ovvero c’è una


reazione spontanea che non ha bisogno di catalisi
enzimatica, si legano alle proteine che diventano
disfunzionali.
Nelle cellule senescenti dopo vari round di
ossidazione, quindi perossidazione lipidica e
distruzione delle proteine si trovano moltissimi
addotti con l’idrossialchenale e la malondialdeide e
sono causa delle macchie nella pelle delle persone
anziane, è un fenomeno ossidativo.

Le membrane non funzionano più bene, hanno dei


fosfolipidi destrutturati, in alto nella figura a sinistra
è raffigurata una membrana wild-type in cui le
proteine integrali hanno le giuste relazioni chimico
fisiche mentre sotto le relazioni sono alterate, la
membrana non è più un doppio foglietto ordinato
lipofilo all’interno e idrofilo all’esterno, cambia la
struttura delle proteine che stanno all’interno e
quindi la loro funzione, potrebbero essere ad
esempio recettori e non funzionare più
correttamente

Non serve entrare nel dettaglio della chimica di questi effetti


ma per comprendere il meccanismo si fa l’esempio
dell’acido arachidonico:
è un acido grasso molto importante, esterificato in
posizione 2 dei fosfolipidi di membrana (frequentemente),
liberato da dei fosfolipasi ormone-dipendenti. Una volta
liberato è il substrato per la sintesi di ormoni eicosanoidi
che hanno molte funzioni: mediano la risposta al dolore,
contrazione muscolare, rialzo febbrile, coagulazione,
4
vasocostrizione ecc. Qui, in alto nella figura, c’è l’esempio dell’ossidazione dell’acido arachidonico che forma
la malondialdeide (MDA) e quindi anche la biosintesi di questi ormoni eicosanoidi viene influenzata
fortemente.

La slide a lato introduce un concetto, ovvero che il


danno lipidico si auto propaga perchè una volta che
si è formato un radicale questo è la causa di
formazione di un radicale nel lipide adiacente,
causando un effetto a catena nella membrana ed è
molto dannoso.
Abbiamo ovviamente dei sistemi di protezione, in
particolare per questo tipo di danno ha un ruolo
fondamentale la vitamina E, lipofila. Svolge una
funzione antiossidante nel sito di produzione del
danno lipoperossilico, quindi fa da scavenger
(spazzino), sono riducenti che rimuovono la specie
reattiva dell’ossigeno ossidandosi loro stessi ed
evitando l’ossidazione dei target, in questo caso dei
lipidi. Poi devono essere nuovamente ridotti altrimenti la loro funzione si esaurisce
La quantità di vitamina E è inversamente proporzionale alla quantità di aldeidi derivate dalla distruzione
lipoperossilica

Sistemi di difesa
Abbiamo delle difese che servono per ridurre le specie reattive dell’ossigeno, agenti danneggianti, o i danni
causati da queste e possono essere:

• Enzimi: superossido dismutasi, catalasi, glutatione perossidasi sono enzimi deputati a far parte del
sistema antiossidante
• Vitamine: C, E, A che sono antiossidanti
Vitamina C, (idrosolubile) ne abbiamo parlato nel momento in cui abbiamo parlato del collagene
Vitamina E (liposolubile), sopracitata
Vitamina A o acido retinoico (liposolubile)
• Altre sostanze che di solito sono esogene, che hanno un potenziale antiossidante
Come il tè verde che contiene epigallocatechina che ha forte azione antiossidante, si trova molto
diluita nel tè.
Il vino rosso contiene resveratrolo, che viene usato anche sulle cellule e ha un buonissimo potere
antiossidante.
Ci sono altre catechine presenti in altre specie vegetali (come il tè nero)
Nessuna di queste molecole comunque è un trattamento rispetto all’esposizione di un agente
ossidante.

La bilancia, nella quale da una parte troviamo i Ros e dall’altra i


sistemi di protezione, antiossidanti, esplica il concetto che in
condizioni di salute, gioventù, è equilibrata, il danno è controllato
(la senescenza non è una patologia, anche se per quanto riguarda
l’esposizione e la gestione del danno ossidativo sono comparabili)

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Enzimi:
Superossido dismutasi: E’ un metallo enzima, ne esistono diverse forme isoenzimatiche, mitocondriali
citoplasmatiche e extracellulari, che dipendono dal manganese Mn3+ o dal rame Cu2+. Catalizza la reazione
di dismutazione ( La dismutazione è un particolare tipo di reazione di ossidoriduzione, nella quale un'unica
sostanza in parte si ossida e in parte si riduce) del superossido in acqua ossigenata e ossigeno molecolare
O2 .- + O2 .- + 2H+ → H2O2 + O2
L’acqua ossigenata H2O2 è sempre un ossidante ma un po’ più debole, inoltre assieme alla superossido
dismutasi reagiscono la catalasi o la glutatione perossidasi che rimuovono l’acqua ossigenata.
La catalasi, è una eme proteina, si trova nei perossisomi, quindi non è ben distribuita, ma i perossisomi sono
un’ importante sede del catabolismo degli acidi grassi che produce specie reattive dell’ossigeno.
Produce ossigeno e acqua secondo la reazione 2H2O2 → 2H2O + O2
Le perossidasi (sono una famiglia, la glutatione perossidasi è la più importante), sono seleno proteine che
non hanno una cisteina ma una selenocisteina nel sito attivo, non è un vero gruppo sulfidrilico SH ma un SeH
si ossida e riduce formando dei ponti simili ai ponti disolfuro. Il ciclo di reazione è costituito dalla donazione
di un gruppo riducibile dell’enzima (SH o SeH) che si ossida a spese della riduzione dell’acqua ossigenata.
SH2 + H2O2 → S + 2H2O
Questa viene eliminata, ma c’è l’enzima ossidato, che deve essere
ridotto perché compia un nuovo ciclo.
Quindi questo sistema si associa alla glutatione reduttasi che è capace
di prendere gli elettroni dal NADPH, che è il donatore di elettroni per
eccellenza (viene formato dal ciclo dei pentosi fosfati o dall’enzima
malico)si ossida, e si riduce nuovamente cedendoli ai
gruppi sulfidrilici della perossidasi che si sono ossidati
Questo glutatione perossidasi che oscilla tra la sua forma
ossidata e quella ridotta deve il recupero della sua
funzionalità alla glutatione reduttasi.
E’ una partnership che parte dal ciclo dei pentosi fosfati
per il 99%
Le piante hanno sistema di produzione del NADPH più
funzionale, lo producono dalla fotosintesi, utilizzano
l’energia solare, poi lo stress ossidativo viene affrontato
nello stesso modo
Il ciclo dei pentosi fosfati è un pathway fondamentale per garantire il recupero dai danni redox, tutte le cellule
ne hanno bisogno.
Vitamine:
Quello che abbiamo visto fino a ora funziona bene nel
citoplasma ma non nelle zone lipofile, che
comprendono tutte le membrane, sia plasmatiche che
degli organelli, come il reticolo endoplasmatico liscio
che è una centrale importantissima per i processi
biosintetici e per questo si trovano molte specie reattive
dell’ossigeno.
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In questi ambienti la Vitamina E ha delle caratteristiche chimico-fisiche che gli enzimi che abbiamo visto
prima non riescono a sopperire.

Vitamina C svolge un ruolo importante sia nella biosintesi di


proteine strutturali (come collagene) sia nel recupero redox di
alcune molecole ad esempio l’emoglobina, la meta emoglobina
quando il ferro si trova nello stato di ferro ferrico ha bisogno della
vitamina C per recuperare il suo stato funzionale di emoglobina
È uno dei donatori di elettroni della meta emoglobina reduttasi

Il Ferro è uno ione che non può stare libero nella cellula, è come se potenziasse la pericolosità delle specie
reattive dell’ossigeno, è un meccanismo complicato di cui vediamo solo alcuni aspetti
In presenza del ferro (circondato di giallo nella
figura) sono possibili due reazioni:

• l’anione superossido forma il radicale idrossile


( reazione di haber-weiss)
• l’acqua ossigenata forma il radicale idrossile (
reazione di fenton)

Si forma in entrambi i casi il radicale idrossile che è


molto ossidante, è il più lipofilo; tutte le volte che
si forma il radicale idrossile vuol dire che c’è stata
una di queste due reazioni, quindi che c’era del
ferro libero nella cellula. Limitare la presenza di
ferro libero è importante per impedire la
formazione del radicale idrossilico, impedire la formazione dei radicali lipoperossilici e la distruzione delle
membrane.
Quando si parla di ferro si intende il ferro ferroso
Ci sono molte proteine che legano il ferro: la ferritina, poi abbiamo dei depositi di ferro tipo l’emosiderina,
che non sono legati a proteine ma il ferro è segregato, indisponibile. Ci sono poi le proteine ferro zolfo che
non sono solo nel mitocondrio con il ruolo di trasporto degli elettroni, ce ne sono tantissime e il ruolo
principale è quello di bloccare il ferro.

Ros: regolazione delle proteine


Le specie reattive dell’ossigeno possono dar luogo anche a una forma regolatoria delle proteine, cambia la
quantità prodotta, è una produzione controllata e di piccoli livelli, sono enzimi di membrana come la NADPH
ossidasi e sono soggetti a regolazione, ci sono dei segnali extracellulari di tipo ormonale che inducono
l’attivazione della NADPH ossidasi a produrre delle specie reattive dell’ossigeno. Si confinano da sole perché
sono talmente reattive che rimangono libere per poco, reagiscono nella zona vicino a dove vengono
sintetizzate e inducono una modifica post traduzionale delle proteine.
Se sono tante le specie reattive inducono modifiche massicce e le proteine vengono distrutte via proteasoma

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Se la valenza è regolatoria di solito si produce ossidazione delle cisteine, in maniera transitoria, perché ci
sono enzimi che inducono il recupero di queste ossidazioni.
Ci sono tante classi di molecole che vengono regolate via redox:
- GTPasi Ras è redox dipendente, ha una cisteina che se viene ossidata è attivata, idrolizzerà meno
bene il GTP e starà più tempo GTP-bound
- Chinasi: ci sono dei recettori tirosino chinasi che se sono ossidati sono attivati
Es. TRK (si dice trak) è un recettore tirosin chinasico importante durante lo sviluppo neuronale
espresso nel tessuto nervoso, Src (si dice sarc) chinasi che ha domini SH2- SH3, ed è regolata
- Fosfatasi, enzimi che staccano gruppi fosfati

Queste regolazioni avvengono nel citoplasma perché è un ambiente riducente, se si produce uno stress
ossidativo questo si può percepire.
Mentre l’ambiente extracellulare e l’ambiente delle vescicole endocitotiche del reticolo endoplasmatico
rugoso (che sono in continuità) sono sempre ossidanti, lì non è possibile ossidare una proteina.

Esempi di regolazione redox


E’ importante la maturazione delle proteine attraverso la disolfuro isomerasi, permette la formazione dei
ponti disolfuro che sono fondamentali per l’acquisizione della struttura tridimensionale.

Es. maturazione dell’insulina, necessita della formazione


di ponti disolfuro. E’ costituita da due catene, una A e una
B, con al centro un peptide C che viene eliminato, le due
catene A e B sono legate attraverso ponti disolfuro che
devono essere mantenuti, infatti se l’insulina si riducesse
non esplicherebbe più la sua funzione.

Infatti le preparazioni farmaceutiche dell’insulina sono


mantenute artificialmente in condizioni ossidanti, è un
farmaco che viene somministrato ai diabetici insulina
dipendenti

Le specie reattive ossidano le proteine e normalmente si formano disolfuri che possono essere:

• interni (due cisteine della stessa proteina reagiscono tra loro e formano un ponte disolfuro)
• misti (due cisteine di due proteine diverse formano un ponte disolfuro e dimerizzano covalentemente),
è tipico dei fattori trascrizionali che dimerizzano associandosi e formano ponte disolfuro attivatorio.
• Ponte disolfuro con un glutatione che ha un altro SH (uno degli amminoacidi del glutatione è una cisteina)
e la proteina si trova a essere glutationilata.
Questo è regolatorio perché cambia la struttura e modula la funzione della proteina

Si possono formare anche dei derivati del gruppo sulfidrile, se


non si forma il disolfuro ma è solo uno a essere modificato. Si
può formare (in ordine crescente di grado di ossidazione):
- l’acido sulfenico (SOH), che è il più reversibile è poco ossidato e
quindi i sistemi di riduzione riescono facilmente a recuperare
queste proteine ossidate

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-l’acido sulfinico (SO2H), che è un pochino più ossidato, ancora recuperabile dai sistemi di riduzione
(riconvertito dalla sulfiredossina, scoperta da poco)
-l’acido sulfonico (SO3H), che è un’ossidazione troppo massiccia e non ci sono dei sistemi cellulari che
recuperino queste proteine.
L’ossidazione è quindi reversibile finchè si arriva a SO2-oltre è
irreversibile, e le proteine sono indirizzate al proteasoma

Nell’immagine a destra sono riportati degli esempi, in alto ci


sono delle fosfatasi (PTP), si può formare un ponte disolfuro con
un glutatione, intramolecolare, e per le fosfatasi hanno
dimostrato anche un legame atipico SN con un azoto amminico.
Mentre in basso ci sono le chinasi (PTK) che possono formare un
ponte disolfuro tra due proteine.

Quando una proteina si trova nello stato ossidato, cambia la forma e struttura della proteina e quindi cambia
la funzione ecco perché si chiama regolazione redox, che può essere attivatoria o inattivatoria, dipende dalla
classe di enzimi:
• Le fosfatasi sono inattivate dalla regolazione redox
• Le chinasi sono attivate dalla regolazione redox
• I fattori trascrizionali sono attivati dalla regolazione redox

Recupero dell’attività funzionale della proteina


Ovviamente, essendo questa una regolazione delle proteine ci dovrà essere un sistema che ne recupera
l’attività funzionale, che ristabilisce lo stato iniziale, questo si ottiene revertendo l’ossidazione, quindi
riducendo.
Ne partecipano le Tioredossine e le Perossireodossine che
appartengono a una famiglia di diversi membri di enzimi che
funzionano come le Tioredossine che abbiamo già
incontrato, perché fanno parte di una piccola catena di
trasporto degli elettroni per la riduzione del ribosio in
partnership con la ribonucleotide reduttasi. Queste
cedevano gli elettroni, ossidandosi e formando un ponte
disolfuro.
In questo processo operano allo stesso modo:
-entrambe hanno due cisteine, cedono gli elettroni alla
proteina ossidata che recupera la sua attività
- su di loro si forma un ponte disolfuro
-recuperano gli elettroni dal NADPH formato dal ciclo dei pentosi e vengono recuperati via glutatione
reduttasi
Quindi, il ciclo dei pentosi fosfati è a monte sia dell’eliminazione delle specie reattive dell’ossigeno sia
dell’eliminazione dell’ossidazione provocata dalle specie reattive dell’ossigeno, che sia un danno o una

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regolazione il sistema di recupero è lo stesso, costituito da proteine che hanno due cisteine che si ossidano
e si ri-riducono recuperando gli elettroni dal NADPH derivante dal ciclo dei pentosi fosfati.
I ROS quando regolano le proteine attivano molti segnali
- Regolano fattori trascrizionali HSF1 ,NF-kB (coinvolti nella
gestione dell’infiammazione)
- p53 fattore trascrizionale coinvolto nell’apoptosi, è
guardiano del genoma, viene attivato ogni volta che c’è un
blocco del ciclo cellulare e l’attivazione di un checkpoint
-La fosfatidilinositolo trichinasi (Akt), sono chinasi sono
attivate via redox, se ossidate sono più attive (anche SRC)
-Map cinasi sono proteine che abbiamo menzionato a valle
della piccola gtpasi ras come degli esecutori della
proliferazione della mitosi, hanno tanti nomi, tra cui ERK
(extracellular regulator kinases, chinasi regolate in maniera
extracellulare)
Vediamo un esempio, la terminazione del segnale dei recettori tirosin-cinasi
Ci sono molti metodi per terminare il segnale dei recettori ormonali, uno di questa era l’inattivazione
dell’enzima (quando il recettore è un enzima)
I recettori tirosin-cinasi interagiscono con il ligando,
si autofosforilano e propagano il segnale attraverso il
reclutamento delle proteine che legano le tirosine
fosforilate.
C’è un momento in cui il segnale deve cessare, un
sistema per farlo è redox dipendente: il recettore tra
le tante vie che attiva, attiva anche il suo
spegnimento attraverso l’attivazione della NADPH
ossidasi (enzima che produce le specie reattive
dell’ossigeno in maniera controllata).
Senza entrare nei dettagli
-ci sarà una molecola che ha un SH2 domain che
interagisce con il recettore e che attiva la NADPH ossidasi
- questa attivata produce acqua ossigenata H2O2 o superossido O2°-
-queste due specie reattive dell’ossigeno ossidano le tirosino fosfatasi (Protein tyrosine phosphatases, PTPs)
nel sito catalitico, si forma ponte disolfuro, si inibiscono e non compiono più la loro funzione, ovvero
interagire con il recettore tirosin-cinasi e defosforilare le tirosine fosforilate. Quindi il loro compito è
‘’disattivare’’ il recettore, ma finchè il recettore deve funzionare (il tempo di funzionamento varia da
recettore a recettore) vengono inibite le fosfatasi tramite H2O2 o O2°-
Dopo che il recettore ha svolto la sua funzione:
-i sistemi riducenti, cioè le perossiredossine, interagiscono con le fosfatasi e le riducono
-queste recuperano la loro attività catalitica, vanno sul recettore lo defosforilano spegnendolo.
C’è un lag time tra la ossidazione delle fosfatasi e l’attivazione delle perossiredossine, che è il tempo in cui il
recettore deve essere nello stato attivato.
La regolazione redox che è transiente è importante per la regolazione della funzionalità e della durata del
segnale ormonale.

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Patologie
Ci sono una serie di patologie connesse
alla quantità di ROS che si producono.
Tutte le sorgenti dei ROS possono essere
dismetaboliche e possono produrre una
quantità eccessiva di ROS, compresa la
catena di trasporto degli elettroni nel
fenomeno della senescenza, che non
sarebbe da classificare tra le patologie.
Cause esogene di produzione patologica
di ROS possono essere smog, fumo,
radiazioni UV

La bilancia tra ossidanti e antiossidanti può perdere il


suo equilibrio, o perché abbiamo aumentato la
produzione delle specie reattive dell’ossigeno (per
invecchiamento, patologie o cause esogene) oppure
perché è la parte che deve controbilanciarle, ovvero
i sistemi di riduzione, che funziona meno bene.
Esistono infatti delle mutazioni negli enzimi
antiossidanti, un esempio è la SLA (sclerosi laterale
amiotrofica), di cui una delle cause è una
componente mutata nella superossido dismutasi.

Nel box azzurro della figura sono riportate alcune


patologie che possono causare lo squilibrio di questa
bilancia (diabete, ipertensione, aterosclerosi ecc.)
Nonostante l’ invecchiamento non sia considerabile una patologia, per quanto riguarda questo meccanismo
comporta delle conseguenze simili, è sia una causa che un effetto. Infatti nella senescenza gli enzimi
antiossidanti funzionano meno bene, inoltre si producono più specie reattive (a causa dei meccanismi
cellulari che con il tempo accumulano mutazioni e quindi sono danneggiati) che si eliminano quindi con più
difficoltà.

Mutazione nella glucosio 6 fosfato deidrogenasi


È una patologia redox
Un eritrocita che ha una mutazione nella G6PD non può fare il ciclo dei pentosi fosfato, quindi non può
produrre NADPH, i sistemi antiossidanti non sono ben funzionanti e nel momento in cui c’è un danno redox
degli eritrociti (per i motivi sopracitati: fumo di sigaretta, raggi UV, per una patologia ecc) si manifesta una
patologia.

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Nell’immagine sono riportati i farmaci che possono attivare il fenotipo favico in un individuo favico, sono
farmaci che aumentano lo stress ossidativo, disturbano un equilibrio delicato provocando emolisi

La prof fa nuovamente un accenno alla scuola pitagorica

Qua vi riporto la spiegazione presente sulle sbobine 2019 che tratta il glutatione in modo, a mio parere, molto
più esaustiva
Una molecola essenziale per la gestione dello stress ossidativo è il glutatione (chiamato anche γ-glutamil
cisteinilglicina), un tripeptide che non è sintetizzato sui ribosomi, né a partire dall’idrolisi di proteine più
lunghe è invece sintetizzato da reazioni di biosintesi, a spese di energia, nel citoplasma di tutte le cellule,
anche se può variare la sua concentrazione, essendo una via metabolica generale. Il tripeptide glutatione è
sintetizzato a partire da glutammato, cisteina e glicina e viene assemblato: la prima reazione è catalizzata
dalla γ-glutammina cisteina sintetasi ATP dipendente, unendo il glutammato alla cisteina. Il glutammato ha
2 gruppi carbossilici: uno sul carbonio α e uno su quello γ, per formare un legame amidico (peptidico) può
usare uno qualsiasi dei due gruppi: in un ribosoma avrebbe usato sicuramente il carbonio α (come in tutte le
proteine wild type), mentre questa è un’eccezione e il C del gruppo γ-carbossilico si lega all’N del carbonio α
della cisteina. Si forma un dipeptide che è substrato della glutatione sintetasi ATP dipendente, cui aggiunge
l’ultimo amminoacido, la glicina, formando il tripeptide. Questo tripeptide ha un amminoacido reattivo che
è la cisteina, la quale può ossidarsi e formare un ponte disolfuro un legame covalente, fra due cisteine,
formando un amminoacido ossidato chiamato cistina. Questa è una reazione redox con perdita di elettroni e
ossidazione dei due zolfi delle cisteine e formazione di un ponte S-S. Quindi 2 molecole di glutatione ridotto
(GSH) reagiscono e formano il ponte nella molecola glutatione ossidata (GSSG). Si passa da una all’altra grazie
all’enzima glutatione reduttasi, donatore di elettroni, che trasferisce gli elettroni dal glutatione al NADPH e
viceversa. Tutte le volte che il glutatione deve reagire da ridotto a ossidato e da ossidato a ridotto il NADP è
il cofattore. Quando nella cellula c’è un livello di GSSG alto, vuol dire che questo glutatione ha eliminato una
serie di danni alla cellula e il NADPH lo recupera facendolo tornare attivo (in forma ridotta), attraverso la
reazione catalizzata dalla glutatione reduttasi. Il glutatione quindi funge da scavenger dei danni nei confronti
delle biomolecole. Se un lipide ossidato (lipoperossido) deve essere recuperato, si utilizza la glutatione
perossidasi che invece di avere nel suo sito attivo una cisteina ha una selenocisteina, il 21° amminoacido,
rarissimo, presente solo in una decina di enzimi in tutta la cellula, è per questo che il selenio serve solo in
tracce (e anche per questo non sono utili gli integratori di selenio venduti in farmacia).

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Sbobina n°1 Biochimica ormonale (26/04/21)
Prof.ssa Elisa Giannoni
Sbobinatori: Ciurlo Giada e Gaiani Alessia
Revisore: Esposto Lorenzo

GLI ORMONI
Un ormone (dal greco hormon= eccitare) è una molecola che può avere una diversa natura
chimica e che porta un segnale che viene recepito solo e soltanto da quelle cellule che
possiedono i recettori in grado di rispondere all’ormone. Tali recettori possono avere diversa
localizzazione a livello cellulare a seconda della natura chimica dell’ormone.

Caratteristiche degli ormoni


L’ormone normalmente viaggia nel circolo sanguigno, anche se ci sono altri ormoni che
hanno un’attività più a breve raggio, ma nella maggior parte dei casi può agire a distanza,
quindi essere prodotto da una ghiandola endocrina e attraverso il torrente circolatorio
andare a raggiungere il suo tessuto target.

Principali ghiandole
Nella figura sono rappresentate le principali ghiandole endocrine:
⮚ Ipotalamo: centro importante per la regolazione dell’asse ipotalamo-
ipofisi. Produce gli ormoni che agiscono sull’ipofisi, che a sua volta
produrrà altri ormoni;
⮚ Ipofisi: gli ormoni prodotti da questa ghiandola sotto effetto
dell’ipotalamo in parte agiscono su tessuti bersaglio, mentre altri, detti
ormoni tropinici , agiscono su altre ghiandole endocrine, stimolando la
produzione di altri ormoni;
⮚ Paratiroidi: producono il paratormone;
⮚ Tiroide: ivi troviamo i tireociti, che produrranno gli ormoni tiroidei, e le
cellule c della tiroide, che produrranno la calcitonina. Tirociti e cellule c
sono essenziali per la regolazione del metabolismo del calcio,a cui
contribuirà anche la vitamina D.
⮚ Surrenali: hanno due porzioni, ovvero la corticale del surrene che
produce i mineral corticoidi, i glucocorticoidi e parte degli androgeni, e
la midollare del surrene che produce le catecolamine;
⮚ Ovaio e testicolo: producono gli ormoni sessuali;
⮚ Pancreas: ha una porzione endocrina, deputata alla sintesi dell’insulina
e del glucagone, e una porzione esocrina che ha un’attività importante nella produzione
degli zimogeni pancreatici.

Meccanismi di funzione
Le funzioni biologiche degli ormoni si svolgono con tre principali meccanismi:

Endocrino: Gli ormoni vengono prodotti da una ghiandola endocrina e possono andare ad
agire a diversa distanza rispetto al sito in cui sono stati prodotti, quindi su tessuti bersaglio
lontani dal luogo d’origine perché sfruttano il torrente circolatorio. È il meccanismo più
diffuso.

PAGE \* MERGEFORMAT 1
Paracrino: gli ormoni agiscono nelle immediate vicinanze della ghiandola endocrina che le ha
prodotte (ad esempio le catecolamine). Non entrano nel circolo ematico, ma sfruttano il
mezzo extra-cellulare.

Autocrino: La cellula che produce l’ormone ha anche il sistema recettoriale per rispondere
all’ormone stesso, quindi l’ormone esce dalla cellula e oltre ad agire su altri tipi cellulari
agisce anche sulla cellula produttrice (è il caso delle prostaglandine).

CLASSIFICAZIONE DEGLI ORMONI


Questa classificazione piuttosto vasta degli ormoni li vede suddivisi sulla base della loro
natura chimica.

❖ Ormoni proteici o peptidici: questi si distinguono per il numero di amminoacidi presenti


nella catena, se un ormone è costituito da meno di 50 AA viene definito peptidico.
Appartengono a questa classe gli ormoni ipotalamici, ipofisari e pancreatici.

❖ Ormoni steroidei: a differenza degli ormoni peptidici non sono polari, ma lipofili, quindi
apolari e insolubili nei solventi acquosi. Tra questi ci sono i glucocorticoidi, i
mineralcorticoidi e gli ormoni sessuali.

❖ Ormoni derivati da aminoacidi: sono degli ormoni che derivano da un singolo


amminoacido che viene modificato (catecolamine e ormoni tiroidei, entrambi che
derivano dalla tirosina).

❖ Ormoni derivati dall’acido arachidonico: tra questi troviamo tutti gli eicosanoidi,quindi
prostaglandine, trombossani, prostacicline e leucotrieni. Derivano tutti da un acido
grasso polinsaturo che l’uomo non può sintetizzare per via endogena, che è appunto
l’acido arachidonico. Questo si trova a livello dei fosfolipidi di membrana e, a seguito di
un segnale specifico, viene rimosso e utilizzato nelle sedi opportune per la sintesi degli
eicosanoidi.

MECCANISMO D’AZIONE

● Ormoni proteici o peptidici - catecolamine - prostaglandine


- Sono ormoni idrofili. ( Le prostaglandine non sono tipicamente idrofile in quanto
derivano da un acido grasso, ma condividono con gli ormoni peptidici e proteici lo
stesso meccanismo di segnalazione).
- Di solito vengono prodotti a livello della ghiandola endocrina, dove sono accumulati e
mantenuti in granuli o vescicole secretorie. Poiché sono già stati sintetizzati, al
momento dello stimolo vengono liberati immediatamente.
- Possono essere riversati nel liquido extracellulare o nel torrente ematico, a seconda
che agiscano rispettivamente in modo paracrino o endocrino.
- Vanno a stimolare dei recettori di membrana presenti sulla cellula bersaglio, che inizia
una via di trasduzione del segnale che sarà tipica per ogni recettore e che, attraverso il
coinvolgimento di secondi messaggeri e di effettori enzimatici, andrà a determinare la
risposta ormonale. Nella maggior parte dei casi si tratterà di una risposta a breve

PAGE \* MERGEFORMAT 1
termine (significa che il tempo impiegato nella risposta è breve). Alcuni ormoni peptidici
hanno anche una riposta a lungo termine.

Alcuni ormoni peptidici


La professoressa non ha detto nulla di particolare circa questa tabella, ha solo letto
alcuni nomi di ormoni, di cui comunque parleremo più avant i.

● Ormoni steroidei e tiroidei


- Sono lipofili.
- Non possono essere trattenuti all’interno di granuli secretori, ma nel momento in cui
sono sintetizzati attraversano la membrana mediante diffusione semplice e vengono

PAGE \* MERGEFORMAT 1
riversati all’esterno della cellula endocrina.
- Non sono solubili nel plasma, perché non sono idrofili, quindi necessitano di un
trasportatore che ne mascheri la loro idrofobicità. Ogni tipo di ormone avrà il proprio
trasportatore, anche se l’albumina serve per il trasporto di tutti gli ormoni, con minore
o maggiore affinità, svolge quindi un ruolo pleiotropico.
- Nel momento in cui l’ormone individua la propria cellula bersaglio il recettore non sarà
esposto sulla membrana, ma l’ormone così come è uscito per diffusione semplice dalla
cellula di origine può entrare nella cellula bersaglio e sarà all’interno della cellula che
troverà il proprio recettore, che potrà avere sede citosolica o nucleare.
Indipendentemente da questo, l’attività del recettore si esplicherà sempre a livello
nucleare, quindi se è citosolico dovrà entrare nel nucleo, se è direttamente nucleare
sarà l’ormone a raggiungerlo. Il ruolo di questi recettori è legare specifiche sequenze di
DNA presenti su promotori genici particolari e andare a regolare l’espressione genica, in
senso positivo o negativo. Questo implica che ci sia una regolazione a lungo termine, a
un ormone steroideo non si risponde nel giro di pochi secondi o minuti, perché è
necessario che si attivi la trascrizione e vengano sintetizzate le proteine. Tutti gli ormoni
lipofili hanno una risposta a lungo termine che porta ad una regolazione
dell’espressione genica.

INSULINA E GLUCAGONE

Pancreas
Il pancreas ha due porzioni:

■ Porzione esocrina: è importante per i processi digestivi.

■ Porzione endocrina: è costituita dalle isole di Langherhans e produce quattro ormoni


diversi: insulina, glucagone, somatostatina (regolatore della
funzionalità delle cellule che producono insulina e glucagone) e
polipeptide pancreatico (prodotto in tracce e non ha una rilevanza
particolare).

Tipi di cellule nelle isole di Langherhans


Il glucagone è prodotto dalle cellule α, che costituiscono circa il 25% della
porzione endocrina del pancreas.
L’insulina è prodotta dalle cellule β, che sono costituiscono la maggioranza
delle cellule del pancreas endocrino (75%)
Il 5% è costituito dalle cellule δ, che invece producono somatostatina.

PAGE \* MERGEFORMAT 1
~ Parte 1: INSULINA~

Caratteristiche L’insulina è un ormone che fa parte della classe degli ormoni peptidici, quindi
è idrofilo e polare. Ha azione ipoglicemizzante: viene secreto dalle cellule β del pancreas
quando vi è un aumento dei livelli glicemici del sangue. L’insulina è costituita da due catene,
a e b che sono mantenute unite da due ponti disolfuro.
Attività L’insulina può avere due tipi di attività:
1) Metabolica, che è la più frequente, per svolgerla agisce principalmente sul fegato, sul
muscolo e sul tessuto adiposo.
2) Mitogenica, ovvero induce una proliferazione di alcun citotipi e agisce su una varietà
più grande di tessuti.
Quando viene secreta Normalmente la glicemia deve essere mantenuta in un range che va
dai 4.5 ai 5 mM. Nel momento in cui i livelli glicemici, ad esempio dopo un pasto, iniziano a
salire, si ha la secrezione dell’insulina da parte delle cellule β pancreatiche. L’insulina,
poiché è un ormone proteico, è già stata sintetizzata ed è immagazzinata a livello di granuli
secretori presenti nelle cellule β pancreatiche, quando arriva lo stimolo iperglicemico i
granuli vengono riversati all’esterno e l’insulina può entrare nel torrente ematico.
Può essere indotta anche dalla diminuzione dei livelli di glucagone, perché questo determina
un effetto inibitorio nei confronti della secrezione di insulina. Quindi nel momento in cui il
glucagone è alto l’insulina non viene secreta. Quando i livelli di glucagone si abbassano
l’insulina può iniziare ad essere secreta, sempre se c’è un contemporaneo aumento dei livelli
glicemici.
Inibitori La secrezione è inibita dalla somatostatina e dalle catecolamine adrenalina e
noradrenalina. L’inibizione deriva dal fatto che hanno un effetto opposto, l’insulina, infatti, è
anabolizzante, mentre adrenalina e noradrenalina sono catabolizzanti.
Tra le catecolamine annoveriamo anche la dopamina, che tuttavia non ha azione ormonale,
ma è un neurotrasmettitore a livello del Sistema Nervoso Centrale. Anche adrenalina e
noradrenalina hanno tale effetto se prodotte dal SNC, ma se parliamo delle catecolamine
prodotte nella midollare del surrene adrenalina e noradrenalina si comportano da ormoni.

MATURAZIONE DELL’INSULINA

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● L’insulina viene inizialmente prodotta a livello delle cellule β del pancreas sotto forma
di Preproinsulina. Quando un ormone proteico deve essere secreto la sua sintesi deve
passare attraverso modifiche che avvengono nel RE, dove viene indirizzata verso le
vescicole secretorie. Affinché la proteina possa entrare nel RE, subire altre modifiche ed
essere impacchettata nelle vescicole di secrezione, deve avere una sequenza segnale.
L’ormone ce contiene tale sequenza segnale è detto pre-ormone.. Nell’immagine la
sequenza segnale è in rosso. Quando la proteina è entrata nel reticolo questa sequenza
segnale non ha più alcun ruolo e viene rimossa. Non sempre, ma nella maggior parte dei
casi, è presente all’estremità amminoterminale. La preproinsulina si converte quindi in
proinsulina.

● All’interno del reticolo la proinsulina va incontro a delle modifiche, tra cui la formazione
di tre ponti disolfuro. Il pro-ormone è costituito da una catena A (più chiara) da una
catena B (la più scura) e da una catena C (colore intermedio). Si formerà quindi un
ponte disolfuro intracatena a livello della catena A e due pontidisolfuro tra le catene A e
B.

● A livello del reticolo endoplasmatico e del Golgi la proinsulina subisce un altro taglio
proteolitico rimuovendo il peptide c. Quella che si è formata è l’insulina matura,
costituita soltanto da due catene unite tra loro per la presenza di due ponti disolfuro.
Questa insulina matura e il peptide C che si è distaccato con il secondo taglio
proteolitico rimangono entrambi a livello dei granuli secretori. Quando arriva lo stimolo
alla secrezione di queste vescicole, quini al riversamento, non verrò secreta solo
insulina, ma anche peptide C.

Peptide C : non ha nessuna attività biologica, non ha un suo recettore, non induce
nessun effetto, ma è importante da un punto di vista clinico - diagnostico.
Prendiamo, per esempio, un paziente affetto da diabete di tipo I. Il diabete di tipo I è
caratterizzato da una patologia auto immune che porta alla distruzione delle cellule β
del pancreas. Ci sono anche casi in cui non è questa la causa, ma le cellule β diventano
incapaci o poco capaci di produrre e secernere insulina. I pazienti con questa patologia
vengono trattati con insulina esogena, si cerca di supplementare ciò che l’organismo
non riesce a garantire. Un paziente deve essere seguito nella sua evoluzione, quindi
diventa una cosa importante capire, nel caso in cui non si abbia una completa
disfunzionalità, ma una parziale, la quantità di insulina prodotta endogenamente.
Dosando la quantità di insulina, se si tratta di un paziente trattato con insulina esogena,
non riusciremo a discriminare quale sia quella somministrata dall’esterno e quella che è
stato prodotta dalle cellule β pancreatiche del paziente. Per sapere quanta insulina
produce il paziente si dosa il peptide C, perché viene prodotto in quantità equimolare
con l‘insulina matura.

CONTROLLO ENDOCRINO DELLA GLICEMIA: RILASCIO DI INSULINA

1. Aumento dei livelli di glicemia nel sangue.


Il meccanismo di regolazione principale è quello determinato dai livelli glicemici nel sangue.
Quando la glicemia supera i valori 4.5/5 mM, questo è un stimolo per la cellula beta per
secernere insulina all’esterno.

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2. Assorbimento di glucosio tramite GLUT2
Le cellule β pancreatiche, insieme alle cellule
epatiche, hanno la caratteristica di avere come
trasportatori del glucosio i GLUT2, che sono i
trasportatori, o i membri della famiglia GLUT,
caratterizzati da una bassa affinità per il glucosio.
Legano il glucosio e gli permettono di
attraversare la membrana soltanto quando
questo supera una concentrazione paria 5mM. Il
fegato, quindi, non sottrae glucosio dal circolo,
ma lo lascia ai tessuti che hanno l’obbligo di
utilizzarlo, quindi i tessuti glucosio dipendenti.
Per questo motivo esprime trasportatori poco
affini per il glucosio.
Nella cellula β pancreatiche l’assorbimento del
glucosio ha un
significato ben
preciso, ovvero
recepire un
segnale di lieve
iperglicemia e innescare una riposta soltanto quando il
livello glicemico sale sopra i livello di normoglicemia. Solo e
soltanto quando il glucosio ematico supera i livelli di 5mM il
trasportatore GLUT 2 assume affinità per il glucosio e lo fa
entrare all’interno. Quando il glucosio entra all’interno
viene catabolizzato. Si attiva la glicolisi, normalmente
questo è lo stato resting della cellula β pancreatica
(riportato nell’immagine accanto). Dal punto di vista del
catabolismo del glucosio è una cellula spenta, ha bassi livelli
di ATP. Quando comincia ad entrare glucosio si ha un
incremento del tasso glicolitico, un incremento del ciclo d
Krebs, un aumento della sintesi di ATP.

3. Inibizione dei canali per il potassio Questo aumento nella concentrazione


intracellulare di ATP va a inibire dei canali per il potassio ATP dipendenti. Questi canali per il
potassio una volta chiusi fanno sì che una minor quantità d potassio possa uscire dalla
cellula. Si crea un effetto di depolarizzazione: esce meno potassio, che si accumula nel
versante intracellulare dove aumenta la carica positiva.

4. Rilascio di calcio
La depolarizzazione di membrana viene sentita da dei canali per il calcio voltaggio-
dipendenti detti canali VOC. Questi canali vengono attivati dallo stimolo depolarizzante, si
aprono e fanno entrare calcio all’interno della cellula. Il calcio è un classico segnale che
induce la secrezione delle vescicole secretorie, quindi la fusione di vescicole preformate con
la membrana e il riversamento del contenuto delle vescicole all’esterno, così come funziona
nella trasmissione sinaptica, quando si ha la liberazione delle vescicole contenti il
neurotrasmettitore, a livello del terminale presinaptico nello spazio intersinaptico. Il calcio
ha lo stesso significato.

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Trattamento pazienti con difficoltà a livello di secrezione nelle cellule β pancreatiche
I canali del potassio sono un target farmacologico , perché, come abbiamo visto, tutto il
processo si basa sulla loro regolazione ATP dipendente. Quando c’è una ridotta capacità
secretoria da parte delle cellula β pancreatiche questo si ripercuote su una bassa capacità di
secernere insulina. I pazienti possono essere trattati con dei farmaci che si chiamano
sulfaniluree , che vanno a determinare una chiusura dei canali per il potassio
indipendentemente da tutto il segnale metabolico. Quindi stimolano la secrezione di insulina
andando a determinare per via farmacologica la chiusura dei canali per il potassio, lo stimolo
depolarizzante e l’apertura dei canali per il calcio.

RECETTORE PER L’INSULINA: UNA TIROSINO CINASI DI MEMBRANA


L’insulina, una volta rilasciata, va ad agire su diversi tessuti,
soprattutto se si considera il suo ruolo mitogenico, ma nel caso
in cui si consideri selettivamente il suo ruolo metabolico
abbiamo detto che i suoi target prioritari sono il fegato, il
muscolo e il tessuto adiposo.
Questi tessuti esprimono il recettore per l’insulina, che
appartiene alla classe dei recettori a tirosino chinasi e, in
particolare, alla sottoclasse II degli RTK (receptor tyrosine
kinase).

Struttura Gli RTK e, in particolare, il recettore dell’insulina


appartengono alla sottoclasse II, che sono quei recettori che in
realtà non sono monomeri in partenza, ma già prima
dell’interazione sono dei dimeri. Il recettore dell’insulina è
costituito da quattro catene, due alfa e due beta. Consideriamo
un monomero l’unione di una catena alfa e di una catena beta.
Tuttavia, tra le due catena alfa è presente un ponte disolfuro,
quindi, il recettore dell’insulina è già un dimero, perché i due
monomeri sono unti tra loro da legami covalenti.
Le subunità alfa sono extracelluali, prendono contatto con il ligando:
Le subunità beta, invece, hanno una piccola porzione extracellulare, una porzione
transmembrana e una porzione intracellulare dove risiede l’attività tirosino chinasica.

Dimerizzazione Nonostante il recettore per l’insulina sia già un dimero si parla comunque di
effetto di dimerizzazione, perché nel momento in cui si lega l’insulina si osserva un
avvicinamento tra le due catene beta. L’avvicinamento sarà importante per portare le
catene beta a distanza idonea in modo che un monomero possa fosforilare tirosine sull’altro
monomero.

Attività Come tutti i recettori a tirosino chinasi sono caratterizzati da una modalità di azione
che prevede l’interazione con il ligando, la dimerizzazione del recettore e l’evento di trans
fosforilazione. Ciò vuol dire che un monomero attraverso la sua attività tirosino chinasica va
a fosforilare tirosine sull’altro monomero, quindi trans fosforilazione, che porta alla
formazione di residui di tirosina fosforilati su entrambi i monomeri.
Dopodiché le fosfotirosine a livello del versante intracelluare agiranno da siti di
reclutamento nei confronti di effettori a valle, questi effettori, che verranno reclutati a

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livello del recettore fosforilato e quindi attivato, saranno diverse a seconda che l’insulina
abbia un’attività metabolica o un’attività mitogenica.

INSULINA : EFFETTO METABOLICO


Cosa succede se la segnalazione che parte è di tipo metabolico.

1. Il recettore dell’insulina fosforila IRS1


Il recettore attivato con le sue fosfotirosine funziona da docking site, sito di reclutamento,
nei confronti di una proteina che è un substrato specifico del recettore dell’insulina ed è la
proteina IRS1 (insuline receptor substrate). Ne esistono 4 isoforme, ma la prevalente è
l’isoforma uno. IRS1 ha dei domini SH2, che sono domini delle proteine che hanno alta
affinità per le fosfotirosine, e grazie a questi domini viene reclutata a livello del recettore
attivato e si va a legare ad alcune delle sue fosfotirosine.

2. IRS1 attiva il PI3K


A questo punto, IRS 1 viene fosforilato dal
recettore attivato e quindi si formeranno delle
fosfotirosine anche a livello di IRS1. Queste
fosfotirosine, a loro volta. diventeranno docking
site per un altro effettore a valle che è un altra
chinasi: la fosfatidil inositolo 3 chinasi o PI3K. È
una chinasi che può avere due attività: può
andare a fosforilare delle proteine, quindi può
agire da protein chinasi, in particolare da serino
treonino chinasi, ma può avere anche un’attività
di lipido chinasi, quindi andare fosforilare dei lipidi
di membrana, con questa attività prosegue il
meccanismo di segnalazione del recettore
insulinico.

3. La PI3K fosforila PIP2


La PI3K va a fosforilare in posizione 3 il fosfatidil
inositolo 4,5 bisfosfato, o PIP2. La PI3K lo fosforila anche in posizione 3 della testa polare,
ovvero dell’inositolo, formando fosfatidil inositolo 3,4,5, trisfosfato o PIP3.

4. PIP3 attiva PKB


A questo punto il PIP3 ha affinità per una proteina che è PKB, che è una proteina chinasi, una
serino treonino chinasi, che contiene dei domini in grado di interagire con il fosfatidil
inositolo 3, 4, 5, trisfosfato. Tali domini si chiamano domini PH (pleckstin homology). Quindi
nel momento in cui si forma il PIP3, PKB può essere reclutata. A questo punto PKB viene
attivata. Sulle slide non viene riportato ma c’è anche l’attività di una chinasi che si chiama
PPK che a sua volta attiverà PKB e ne determinerà la fosforilazione. PKB a questo punto può
andare ad agire su target a valle.

5. Inibizione GSK3
Uno dei target è un enzima, GSK3, che sta per glicogeno sintasi chinasi 3, è una chinasi
dell’enzima glicogeno sintasi. Quando la GSK3 viene fosforilata da PKB questa viene inibita.
Si inibisce la sua attività chinasica, PKB fosgorila GSK3 e la inattiva. Quale sarebbe stato il
ruolo di G6K3 se fosse stata in froma attiva? Il suo ruolo sarebbe stato quello di fosforilare la
glicogeno sintasi (che nell’immagine viene rappresentata con GS). Quindi la GSK3 è un
enzima che se attivo fosforila e inattiva la glicogeno sintasi, spegnendo la glicogeno sintesi.

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L’insulina fa l’esatto contrario, deve attivare la glicogeno sintesi, perché c’è tanto glucosio in
circolo che deve essere smaltito. Una via per smaltire glucosio è quello di farlo entrare nelle
cellule epatiche e muscolari ed attivare la glicogeno sintesi, affinché questo accumulo possa
essere utilizzato per formare una molecola di riserva, che è il glicogeno. Quindi l’insulina
deve attivare la glicogeno sintesi. Una modalità on cui l’attiva è proprio quella si spegnere
GSK3, quindi la fosforilazione di PKB su GSK3 inibisce GSK3 e impedisce a questa di
fosforilare e inibire la glicogeno sintasi e quindi in definitiva la via di segnalazione metabolica
dell’insulina va a mantenere defosforilata e attiva la glicogeno sintasi, determinando
un’attivazione della glicogenosintesi.
Tutto questo viene favorito anche dal fatto che un altro target di PKB è una fosfatasi, la
fosfatasi PP1, che ha lo stesso effetto, cioè quello di defosforilare la glicogeno sintasi
mantenendola nel suo stato defosforilato e quindi attivo.
Quindi da una parte si inibisce GSK3 he andrebbe a fosforilare e inibire la glicogeno sintasi,
dall’altra si attiva la fosfatasi PP1 che mantiene defosforilata e attiva la glicogeno sintasi:
sono due modi per arrivare allo stesso effetto.

Cosa succede nel muscolo e nel tessuto adiposo


Nel muscolo e nel tessuto adiposo il processo è lo stesso, ma vi è un ulteriore passaggio.
Nell’immagine viene rappresentato dalla freccia tratteggiata, perché dall’attivazione di PKB
all’effetto finale ci sono nel mezzo vari passaggi (che noi non vedremo). Questa attività
supplementare consiste nell’esporre sulla membrana plasmatica un altro trasportatore del
glucosio che è il GLUT 4. Questo è l’unico ta i membri dei trasportatori glut che non è sempre
presente esposto sulla membrana plasmatica, ma viene esposto soltanto quando c’è una
stimolazione da parte di insulina, quindi è l’unico trasportatore glut insulino dipendente,
tutti gli altri sono sempre esposti sulla membrana.
A livello del muscolo e del tessuto adiposo GLUT 4 viene mantenuto intrappolato in delle
vescicole che restano all’interno della cellula. Quando arriva la stimolazione con l’insulina,
parte una segnalazione che induce la fusione di queste vescicole contenti sulla membrana
GLUT4 con la membrana plasmatica. Questo aumenta la capacità recettiva nei confronti del
glucosio nel muscolo e nel tessuto adiposo, che sono in generale i tessuti più abbondanti,
quindi se il muscolo e il tessuto adiposo esprimono tanti trasportatori per il glucosio è chiaro
che la rimozione avverrà molto rapidamente. È un segnale ipoglicemizzante.

COSA FA L’INSULINA - Breve riassunto

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In seguito a un aumento della glicemia ematica, in particolare basta che si oltrepassi la soglia
dei 5 mM, i trasportatori GLUT2 diventano affini per il glucosio. Il glucosio entra all’interno
delle cellule beta pancreatiche e si ha la secrezione dell’insulina.
Può andare ad agire sulle cellule epatiche oppure su adipociti e cellule muscolari.

Cellule epatiche : L’insulina attiva la glicogeno sintesi, quindi utilizza il glucosio in eccesso
per stoccarlo sotto forma di glicogeno per utilizzi futuri. Inoltre attiva la glicolisi, che non ha
tanto il ruolo di produrre energia, ma soprattutto di produrre acetil coenzima A, attivando
l’anabolismo lipidico. Tutto questo glucosio in eccesso se non c’è bisogno di energia non
viene catabolizzato via ciclo di Krebs. Quindi tutto il glucosio in eccesso in parte viene
accumulato sotto forma di glicogeno, ma la quantità di glicogeno che la cellula epatica e
muscolare può immagazzinare è comunque limitata, quindi si smaltisce attivando
l’anabolismo lipidico e quindi convertendo il glucosio in acidi grassi e trigliceridi, inviandoli al
tessuto adiposo. In questo modo si elimina l’eccesso di glucosio.

Cellule muscolari e adipociti: l’insulina induce l’esposizione del GLUT 4 sulla membrana per
favorire una rapida rimozione di glucosio dal circolo e induce la glicogeno sintesi, soprattutto
a livello de muscolo, a livello del tessuto adiposo indurrà anche la lipogenesi per andare a
immagazzinare l’eccesso di glucosio sotto forma di lipidi. Il tessuto adiposo in parte formerà
da solo i propri lipidi e in parte li riceverà dal fegato. Ruolo opposto avrà il glucagone.

AZIONE DELL’INSULINA (ripete quanto detto finora)


L’ insulina a livello del muscolo e del tessuto adiposo ,ma NON del fegato, ha un ruolo
primario nell’indurre l’esposizione del GLUT4, l’unico trasportatore insulino- dipendente, a
livello della superficie cellulare in modo tale da massimizzare l’ingresso di glucosio nelle
cellule muscolari e negli adipociti per rimuovere rapidamente il glucosio dal circolo e quindi

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ristabilire la normo glicemia. Nel caso invece del fegato la cellula epatica possiede GLUT 2
che diventa affine al glucosio nel momento in cui questo sale sopra la soglia del 5mM. A
questo punto il glucosio verrà convertito in piruvato grazie alla glicolisi. Dopo essere stato
decarbossilato entrerà nel ciclo di Krebs per produrre energia, ma non tutto, perché non è
quello di cui ha bisogno ora il fegato. Nella maggior parte dei casi questo acetil coenzima A
verrà deviato verso la lipogenesi, quindi verso la sintesi degli acidi grassi. Quindi si ha la
sintesi di due prodotti di immagazzinamento del glucosio, da una parte glicogeno e dall’altra
parte trigliceridi.

METABOLISMO DEL GLICOGENO: ENZIMI CHIAVE


Glicogeno sintesi e glicogeno lisi sono due metabolismi regolati da due enzimi: la
glicogenolisi viene attivata dalla attivazione della glicogeno fosforilasi, mentre la glicogeno

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sintesi viene attuata dalla glicogeno sintasi. Glicogeno
fosforilasi e glicogeno sintasi vengono regolate da
modifiche post traduzionali in maniera opposta.
La glicogeno fosforilasi è un enzima che può esistere in due
forme: una forma A una forma B. La forma A è la forma
fosforilata e quindi attiva. La forma B è al forma
defosforilata e quindi inattiva. La glicogno fosforilasi è
quell’enzima che catalizza la degradazione del glicogeno
per fosforolisi,perche entra non acqua ma un fosfato.
La glicogeno sintasi è l‘opposto. Per la glicogeno sintasi
quando è fosforilata è inattiva, mentre quando è
defosforilata è attiva.

L’insulina andando ad attivare la fosfatasi PP1 andrà da una


parte a defosforilare e attivare la glicogeno sintasi, a cui
compone anche l’inibizione di GSK3, ma PP1 avrà l’effetto
opposto sulla glicogeno fosforilasi, perché andrà a
defosforilare e quindi inibire la glicogeno fosforilasi. Quindi
da una pate si attiva la glicogneo sintesi, dall’altra si inibisce
la glicogeno lisi.

In realtà la glicogeno fosforilasi, che è attiva quando


fosforilata, viene attivata da un’enzima a monte che si chiama glicogeno fosforilasi chinasi.
Quest’ultima viene fosforilata e attivata mediante un segnale che arriva dal glucagone,
perché il glucagone è un ormone che non agisce su un recettore a tirosinochinasi, ma un
recettore accoppiato a proteine G. Nella via di segnalazione del glucagone si ha l’attivazione
del PKA, un’enzima serino treonino chinasi, che sotto attivazione diretta de glucagone andrà
a fosforilare e attivare la glicogeno fosforilasi chinasi. La glicogeno fosforilasi chinasi una
volta fosforilata e attivata andrà a fosforilare e attivare la glicogeno fosforilasi. Quindi
medierà la degradazione del glicogeno.

Interruzione della glicogeno lisi


L’insulina interrompe la glicogeno lisi a tre livelli:
1. PP1 defosforila direttamente la glicogeno fosforilasi, rimuove il fosfato e quindi fa
passare la glicogeno fosforilasi da una forma fosforilata attiva a una forma defosforilata
inattiva;
2. PP1 va anche a inattivare l’enzima a monte, andando a defosforilare e inibire la
glicogeno fosforilasi chinasi, quindi l’azione di PP1 non è soltanto diretta a carico di

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glicogeno fosforilasi, ma anche l’enzima a monte in modo tale che questo si spenga e non
possa più andare ad attivare la glicogeno fosforilasi. Quindi la PP1 spegne entrambi gli
enzimi.
3. Va a bloccare il segnale indotto dal glucagone, non soltanto andando a defosforilare
e inibire la glicogeno fosforilasi chinasi, che era stata attivata da PKA, ma inibisce il segnale
inizialmente attivato dal glucagone anche andando a ridurre i livelli di AMPciclico. (LA PKA si
chiama così perché è una proteina chinasi AMP ciclico dipendente, vuol dire che solo e
soltanto quando c’è un innalzamento dei livelli di AMP ciclico la PKA si attiva). Quindi per
interrompere l’attività di PKA bisogna abbassare i livelli di AMP ciclico. La fosfodiesterasi
AMP ciclico dipendente abbassa tali livelli. Questa viene attivata da insulina, quindi l’insulina
oltre a determinare una defosforilazione di entrambi gli enzimi, abbassa anche il livelli di
AMPciclico attivando la fosfodiesterasi, che porta ad un crollo dei livelli e a uno spegnimento
di PKA.
Chiaramente PP1 andrà anche a defosforilare e attivare la glicogeno sintasi,quindi la via
anabolica e catabolica del glicogeno vengono regolate in maniera opposta.

METABOLISMO DEL GLUCOSIO (glicolisi e gluconeogenesi): enzimi chiave regolati dall’insulina


L’insulina, oltre ad attivare la glicogeno sintesi e inibire la glicogenolisi, abbiamo detto che determina
anche una attivazione della glicolisi e contemporaneamente una inibizione della gluconeogenesi a
livello epatico.
Come fa ad agire sul metabolismo del glucosio? Ci sono vari punti di regolazione della glicolisi e,
conseguentemente, della gluconeogenesi perché alcuni di questi agiscono in maniera opposta sulla via
anabolica e catabolica. Però il punto di regolazione fondamentale che riesce a regolare in maniera
opposta la glicolisi e la gluconeogenesi è la regolazione a carico delle due tappe limitanti: per quanto

riguarda la glicolisi si parla dell’enzima PFK1 (fosfofruttochinasi 1) e per quanto riguarda la


gluconeogenesi si parla dell’enzima FBPasi 1 (fruttosio 1,6 bisfosfatasi). Uno stimolo che attiverà PFK1
inibirà FBPasi 1 e viceversa, in modo tale che quando è attivo l’anabolismo sia spento il catabolismo e
viceversa.
Chi agisce in maniera opposta sulla regolazione di questi enzimi? Sono i livelli di fruttosio 2,6 bisfosfato,
che non è un intermedio né della glicolisi né della gluconeogenesi, ma è un regolatore. Quando il
fruttosio 2,6 bisfosfato supera una certa soglia, quindi raggiunge alti livelli, questi vanno ad attivare la
PFK1 e a inibire la FBPasi 1. A regolare i livelli di fruttosio 2,6 bisfosfato è l’enzima bifunzionale. Questo
enzima si chiama così perché ha due attività catalitiche: un’ attività chinasica (PFK-2) e un’ attività
fosfatasica (FBPasi-2).
La PFK-2 va a fosforilare il fruttosio 6 fosfato in posizione 2, aumentando i livelli di fruttosio 2,6
bifosfato. La FBPasi-2 ha l’effetto opposto: defosforila il fruttosio 2,6 bifosfato in posizione 2, riducendo
i livelli.

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Regolare l’attività chinasica e fosfatasica dell’enzima bifunzionale in modo
tale da variare i livelli di fruttosio 2,6 si fa attraverso una regolazione
ormonale: l’insulina attiva PP1 (la solita fosfatasi) che, oltre ad avere come
target gli enzimi del metabolismo del glicogeno, ha come target anche
l’enzima bifunzionale. Quando PP1 defosforila l’enzima bifunzionale,
questo evento di defosforilazione spegne la FBPasi-2 e attiva la PFK-2.
Quindi la defosforilazione PP1 dipendente dell’enzima bifunzionale
spegne la fosfatasi e attiva la chinasi. PFK-2 fosforila il fruttosio 6 fosfato
in posizione 2 e quindi i livelli di fruttosio 2,6 bisfosfato aumentano. Se i
livelli di fruttosio 2,6 bisfosfato aumentano, andranno a stimolare la PFK-
1 (e quindi la glicolisi) e a inibire la fruttosio 1,6 bisfosfatasi spegnendo la
gluconeogenesi. Quindi soltanto con una defosforilazione dell’enzima
bifunzionale l’insulina riesce ad aumentare i livelli di fruttosio 2,6
bisfosfato che andranno ad agire positivamente sulla PFK1 attivando la
glicolisi e negativamente sulla fruttosio 1,6 bisfosfatasi spegnendo la
gluconeogenesi.
Il glucagone avrà chiaramente l’effetto opposto. Il glucagone andrà a
fosforilare l’enzima bifunzionale in maniera PKA mediata: la fosforilazione
dell’enzima bifunzionale porta ad una inattivazione della chinasi PFK-2 e
ad una attivazione della FBPasi-2, facendo abbassare i livelli di fruttosio
2,6 bifosfato. Questi bassi livelli di fruttosio 2,6 andranno a inibire PFK-1,
abbassando il tasso glicolitico, e andranno a riattivare la fruttosio 1,6
bifosfatasi stimolando la gluconeogenesi.
L’insulina, oltre ad avere questo effetto, che è a breve termine perché
defosforilare l’enzima bifunzionale determina immediatamente
l’attivazione della chinasi e quindi l’attivazione del metabolismo glicolitico,
può avere anche un effetto a lungo termine. L’effetto a lungo termine è
quello di andare a inibire la sintesi di due enzimi importanti per la
gluconeogenesi, ossia la glucosio 6 fosfatasi e la fosfoenolpiruvato
carbossichinasi. Per spegnere o abbassare la velocità della
gluconeogenesi, oltre ad agire a breve termine modificando mediante
fosforilazione gli enzimi che abbiamo visto, può anche andare a ridurre i
livelli di espressione di due enzimi importanti per la gluconeogenesi. Questo lo fa sempre attraverso
PKB.
Quando l’insulina si lega al suo recettore, PKB si attiva. Un target di
PKB è un fattore trascrizionale che si chiama FOXO1. Quando FOXO1
è allo stato defosforilato può entrare nel nucleo e trascrivere i geni
che codificano per la PEP carbossichinasi e per la glucosio 6 fosfatasi.
Quando, però c’è un segnale insulinico, l’insulina va a determinare
una fosforilazione PKB mediata di FOXO1: questa fosforilazione è uno
stimolo per la degradazione della proteina. (FOXO1, una volta
fosforilata, viene destinata verso una degradazione ubiquitina
dipendente e quindi non potrà più andare nel nucleo e trascrivere
questi due geni che codificano per due enzimi importanti per la
gluconeogenesi.

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METABOLISMO LIPIDICO
Oltre al metabolismo del glucosio e del glicogeno, l’insulina regola anche il metabolismo lipidico.
Abbiamo detto che sia nel fegato che nel tessuto adiposo, l’insulina attiva la lipogenesi perché questo
eccesso di glucosio non viene solo immagazzinato sottoforma di glicogeno ma viene immagazzinato
anche sottoforma di trigliceridi. Due enzimi importanti per attivare la lipogenesi sono la citrato liasi e
l’acetil-CoA carbossilasi. La citrato liasi è quell’enzima che si trova nel citoplasma e che serve a
degradare il citrato e a convertirlo in ossalacetato e acetil-CoA, questo funziona nel cosiddetto “shuttle
del citrato”. Quando c’è un aumento dei livelli di citrato nel mitocondrio significa che c’è tanto acetil-
CoA: l’acetil-CoA come prima tappa del ciclo di Krebs si condensa con l’ossalacetato a formare il citrato.
Se il citrato viene smaltito via ciclo di Krebs, non si accumula e tutto questo acetil-CoA viene ossidato
per dare energia. Ma quando non c’è bisogno di questa energia, ossia il ciclo di Krebs non riesce a
smaltire il citrato in eccesso, succede che il citrato aumenta di concentrazione a livello mitocondriale.
Questo aumento è uno stimolo per dei trasportatori del citrato che riconoscono il citrato soltanto
quando questo è in concentrazione superiore ad una certa soglia; dunque il citrato si lega a questi
trasportatori che lo fanno uscire dal mitocondrio e lo portano nel citoplasma. Nel citoplasma il citrato
troverà la citrato liasi che taglierà il citrato in ossalacetato
e acetil-CoA: l’ossalacetato rientrerà nel mitocondrio
attraverso due strade (non le vediamo), mentre l’acetil-
CoA sarà il substrato per la biosintesi degli acidi grassi e il
primo enzima che agirà per la biosintesi degli acidi grassi
sarà proprio l’acetil-CoA carbossilasi, che andrà a
carbossilare l’acetil-CoA a Malonil-CoA che sarà il
substrato per l’acido grasso sintasi.
L’insulina va a defosforilare e attivare sia la citrato liasi,
sia l’acetil-CoA carbossilasi innescando la sintesi degli
acidi grassi. Dunque da una parte attiva la biosintesi degli
acidi grassi, dall’altra, soprattutto a livello del tessuto
adiposo dovrà inibire la lipolisi, ossia quel processo grazie
al quale i trigliceridi conservati nelle gocce lipidiche
vengono mobilizzati andando a formare acidi grassi liberi
e glicerolo. Questo processo viene inibito dall’insulina
perché l’insulina fa l’esatto opposto di quello che fa il
glucagone via PKA.
L’insulina andrà a defosforilare due substrati: il primo è la perilipina (che costituisce quel guscio
proteico che impedisce da parte degli enzimi l’accesso ai trigliceridi cosi che non ci sia una
mobilizzazione dei trigliceridi non controllata). La perilipina riesce a formare questo guscio soltanto
quando è allo stato defosforilato; sarà la fosforilazione glucagone mediata (dipendente da PKA) che
andrà a dissociare questo guscio proteico consentendo l’accesso degli enzimi lipolitici a livello della
goccia lipidica. La defosforilazione della perilipina fa si che questo guscio proteico che circonda le gocce
lipidiche si mantenga intatto. Oltre a questo l’insulina porta ad una defosforilazione e inibizione della
lipasi ormone-sensibile che andrà ad agire a livello dei trigliceridi.
L’insulina ha questa azione anti lipolitica perché mantiene defosforilata la perilipina garantendo
l’integrità di questo guscio proteico, e inoltre defosforila la lipasi ormone-sensibile impendendo la sua

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attività lipolitica a livello dei trigliceridi. Da un punto di vista di metabolismo dei lipidi, l’insulina va ad
attivare la sintesi degli acidi grassi e a inibire la liberazione degli acidi grassi da parte del tessuto adiposo.

METABOLISMO PROTEICO
L’insulina stimola la sintesi proteica grazie all’attivazione della PKB, che va a fosforilare mTOR. La via di
mTOR è un meccanismo di trasduzione del segnale importante per attivare quei fattori di allungamento
fondamentali per la sintesi proteica. L’insulina è un ormone anabolizzante per quanto riguarda il
metabolismo delle proteine perché aumenta la sintesi proteica.
Nella slide accanto si vedono le
azioni di cui abbiamo già
parlato, è una slide un po’
riassuntiva.

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Ricapitolando: il profilo metabolico che viene indotto dalla stimolazione insulinica si esplica
principalmente su tre tessuti bersaglio: il fegato, il muscolo e il tessuto adiposo. Nel muscolo e nel
tessuto adiposo aumenta l’esposizione di GLUT4 alla membrana e quindi le rende più capaci di
rimuovere velocemente glucosio dal circolo. Nel muscolo attiverà anche la glicogeno sintesi, quindi
utilizzo di questo glucosio in eccesso per sintetizzare glicogeno; nel tessuto adiposo stimolerà la
biosintesi degli acidi grassi e avrà un’azione anti lipolitica, ossia inibire la mobilizzazione dei trigliceridi
contenuti a livello delle gocce lipidiche. Senza dubbio, uno degli effetti principali è anche quello che
l’insulina esercita a livello del fegato perché attiva la glicogeno sintesi e inibisce la glicogenolisi, attiva
la glicolisi e inibisce la gluconeogenesi. L’attivazione della glicogeno sintesi consente di accumulare
glicogeno per utilizzi futuri; l’attivazione della glicolisi consente di avere piruvato che poi potrà essere
convertito in acetil-CoA, il quale verrà condensato con l’ossalacetato formando citrato. Il citrato poi
esce e grazie all’attivazione della ciitrato liasi darà disponibiltà nel citoplasma di acetil-CoA che servirà
per la sintesi di acidi grassi. Questi acidi grassi poi verranno incorporati a livello di trigliceridi che, solo
in parte, potranno essere trattenuti e immagazzinati a livello della cellula epatica. Un eccesso di
trigliceridi non potrà mai rimanere nella cellula epatica, altrimenti si andrà incontro a steatosi epatica.
Quindi, una volta che i trigliceridi son stati sintetizzati per andare a smaltire l’eccesso di glucosio, questi
verranno incorporati nelle VLDL e trasferiti al tessuto adiposo laddove saranno immagazzinati e
stoccati. Altra cosa che si attiva non solo nel fegato, ma anche nel muscolo, sotto stimolazione da parte
dell’insulina è la sintesi proteica: visto che l’innalzamento della glicemia ematica si ha prevalentemente
dopo un pasto (nel quale si introducono anche amminoacidi, non solo glucosio), gli amminoacidi
vengono trasportati sia a livello del muscolo sia a livello del fegato e qui si ha un’attivazione della sintesi
di nuove proteine che, nel caso del fegato, può anche essere importante per sintetizzare proteine
plasmatiche che verranno messe in circolo. Il glucosio, che in condizioni iperglicemiche è in eccesso,
verrà utilizzato anche dal cervello a scopi energetici.

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INSULINA: EFFETTO MITOGENICO
Attivazione della via delle MAPK
Questa è l’ultima diapositiva sull’insulina per dirvi che come abbiamo accennato all’inizio, l’insulina dal
punto di vista metabolico agisce principalmente sul fegato, sul muscolo, sul tessuto adiposo, ma
abbiamo detto che l’insulina non ha solo una attività metabolica ma anche un’attività mitogenica e
quindi può agire anche su altri tessuti rispetto a quelli che abbiamo visto adesso.
Il signaling mitogenico dell’insulina ha dei tratti in comune con il signaling metabolico ma chiaramente
ha poi una via di trasduzione del segnale che è diversa. Si parte sempre dal recettore dell’insulina che
viene dimerizzato e transfosforilato in seguito all’interazione con il ligando, si ha sempre il reclutamento
di IRS-1 il quale viene reclutato dal recettore attivato e fosforilato a sua volta dall’attività
tirosinchinasica del recettore.
Ma, mentre per quanto riguarda il signaling metabolico abbiamo detto che le fosfotirosine di IRS-1
servivano da docking site nei confronti della P3 chinasi che poi faceva partire tutta la cascata a valle, in
questo caso le fosfotirosine di IRS-1 servono da docking site per un’altra proteina.
Questa proteina è Grb2 ed è una proteina adattatrice. E’ come il pezzo di un puzzle: riesce a combinare
due mediatori della vita di trasduzione del segnale che altrimenti non potrebbero mai interagire l’uno
con l’altro. Questi due mediatori, per quanto riguarda il caso specifico, sono: IRS-1 e Sos. IRS-1 e Sos
non potrebbero mai riconoscersi, a meno che Grb2 non funzioni da adattatore.
Grb2 funziona da adattatore perché ha molteplici domini. Grb2 possiede dei domini SH2 che sono affini
alle fosfotirosine ed è per questo che
riesce ad essere reclutato da IRS-1
fosforilato con i suoi domini SH2. Ma
Grb2 possiede anche altri domini che
si chiamano domini SH3. I domini
SH3 sono affini per le sequenze
ricche in prolina. Grazie alla presenza
dei domini SH3, Grb2 riesce a legare
SOS, perché SOS ha delle sequenze
ricche in prolina.

Quindi Grb2 da una parte con i suoi


domini SH2 lega IRS-1, con i suoi
domini SH3 lega le poliprolin rich
sequences (sequenze ricche in
prolina) di SOS.
Chi è Sos? Sos è un GEF di Ras, vuol
dire che è un fattore di scambio dei
nucleotidi della piccola proteina G-
Ras. Ras è una piccola proteina G
monomerica che è attiva quando
lega GTP, inattiva quando lega GDP.
Cosa fa Sos? SOS scambia il GDP con
il GTP a livello di Ras e quindi la attiva.
Converte Ras da una forma inattiva
legante GDP a una forma attiva
legante GTP, promuovendo uno
scambio dei nucleotidi. Strappa GDP
da Ras e attacca GTP, quindi la
converte nella forma GTP bound
quindi è attiva.
Una volta attivata Ras, questa determina una attivazione allosterica, mediante interazione, con
un’attivazione allosterica di un enzima che è Raf. Raf è un serino treonino chinasi che avvia la cascata
delle MAP chinasi, perché Raf una volta attivato andrà a fosforilare e ad attivare MEK, la quale
fosforilata e attivata andrà fosforilare ed attivare MAP chinasi. Quindi è una cascata di fosforilazioni
attivatorie: Raf fosforila e attiva MEK, MEK fosforila e attiva MAP chinasi.
MAP chinasi fosforilata può entrare nel nucleo, andare a legarsi ad altri fattori trascrizionali e quindi
occupare dei siti a livello di geni specifici (a livello del promotore) che inducono la trascrizione di geni

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sotto il controllo dell’insulina. Questi, normalmente, sono geni che servono per la proliferazione
cellulare. Quindi in questo modo l’insulina diventa un mitogeno attraverso l’attivazione della cascata
delle MAP chinasi che comunque ha origine dal recettore dell’insulina attraverso il reclutamento di IRS-
1. Quindi per il segnale metabolico, da IRS-1 si va su P3 chinasi, per il segnale mitogenico si va su Grb,
Sos e la via delle MAP chinasi.
GLUCAGONE
Il glucagone fa l’esatto opposto di quello che fa l’insulina. Abbiamo avuto modo di richiamarlo varie
volte, proprio perché i target enzimatici di queste vie di trasduzione del segnale sono esattamente gli
stessi.
Il glucagone è prodotto dalle cellule alfa delle isole di langherans della porzione endocrina del pancreas
e anche questo è un ormone di natura peptidica. E’ un oligopeptide di 29 amminoacidi che, a differenza
dell’insulina, non ha un’azione ipoglicemizzante, ma ha un’azione iperglicemizzante. Quindi serve a
rispondere a stimoli ipoglicemici e
a ristabilire i livelli di
normoglicemia.
In realtà questa azione
iperglicemizzante ce l’avranno
anche i glucocorticoidi e in parte
anche le catecolammine. Però,
mentre i glucocorticoidi
indurranno questo effetto
iperglicemizzante soprattutto in
seguito a condizioni di stress, fisici
e psicologici, il glucagone risponde
invece ad uno stimolo
ipoglicemizzante da digiuno.
Quindi il glucagone è l’ormone principale che reagisce in seguito a uno stimolo ipoglicemizzante da
digiuno.
Il glucagone agisce su delle sedi molto ristrette rispetto all’insulina. Agisce soltanto al livello del fegato
e del tessuto adiposo. Perché solo fegato e tessuto adiposo esprimono ed espongono in superficie i
recettori specifici per il glucagone.
Il glucagone viene secreto in seguito a una riduzione dei livelli di glucosio nel sangue e viene stimolata
la secrezione del glucagone anche quando c’è un aumento dei livelli di catecolammine in circolo. (Le
catecolammine, insieme ai glucocorticoidi, reagiscono prevalentemente a condizioni di stress, da
digiuno, ma hanno anche questa attività nei confronti del glucagone andando a favorirne la secrezione.)
Quindi, le cellule alfa pancreatiche vengono stimolate primariamente da una riduzione dei livelli di
glucosio in circolo, ma subiscono uno stimolo positivo anche da parte degli amminoacidi (in particolare
è stato visto che l’arginina ha un effetto stimolatorio nei confronti della secrezione di glucagone). Le
cellule alfa pancreatiche ricevono anche una stimolazione da parte del sistema parasimpatico e del
sistema simpatico , in particolare da acetilcolina che viene attivata soprattutto in seguito a processi
digestivi o in seguito alle catecolammine, adrenalina non adrenalina. Riceve però degli stimoli inibitori
da parte dell’insulina e della somatostatina. Quindi la somatostatina prodotta dalle cellule delta del
pancreas ha un’azione inibitoria sia per quanto riguarda la secrezione di insulina, che per quanto
riguarda la secrezione di glucagone. Quindi insulina e glucagone hanno questi effetti di regolazione
reciproca: alti livelli di insulina inibiscono la secrezione di glucagone e viceversa.
Quello che fa il glucagone è andare ad aumentare la lipolisi a livello del tessuto adiposo mentre a livello
del fegato la sua attività è quella di andare a indurre glicogenolisi e gluconeogenesi, perché chiaramente
lo stimolo che ha indotto la secrezione del glucagone è uno stimolo di ipoglicemia, quindi c’è bisogno
di ristabilire la glicemia. E per far questo si sfruttano delle riserve di glucosio già pronte, già presenti a
livello della cellula epatica, ossia il glicogeno (basta rimuovere il glucosio dal glicogeno e questo è il
primo meccanismo con cui si tampona l’ipoglicemia). Poi essendo i granuli di glicogeno comunque non
infiniti è chiaro che si deve attivare la glucogenesi per ristabilire correttamente la normoglicemia.
Quindi nel fegato il glucagone regola primariamente il metabolismo del glicogeno e il metabolismo del
glucosio andando a stimolare la glicogeno lisi e chiaramente inibire la glicogenosintesi, a stimolare la
gluconeogenesi e chiaramente a inibire la glicolisi.

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Il recettore per il glucagone è diverso rispetto al recettore per l’insulina perché non fa parte della classe
del RTK, ma fa parte dei GPCR (recettori accoppiati a proteine G). E in particolare il glucagone si associa
ad una proteina G trimerica che ha come subunità alfa la subunità G-alfaS. (S sta ad indicare che è
stimolatoria nei confronti della Adenilato ciclasi).

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Quindi la via di trasduzione del segnale prevederà:
● l’associazione del glucagone con il suo recettore
● il recettore va incontro ad una modifica
conformazionale che porta alla attivazione della
proteina G trimerica
● L’attivazione della proteina G trimerica è dovuta ad
una dissociazione del dimero beta gamma inibitorio
rispetto alla subunità Alfa GS
● La sub unità Alfa GS, una volta liberata dal dimero
inibitorio trasla sulla membrana dove va a incontrare il
suo effettore che è appunto l’Adenilato ciclasi
● L’Adenilato ciclasi si attiva in seguito all’interazione con la sub unità Alfa GS GTP bound
e porta avanti la sua attività. L’attività dell’Adenilato ciclasi è quella di utilizzare ATP
per formare AMP ciclico. Quindi si rimuove il gruppo difosfato dall’ATP e AMP viene
utilizzato per ciclizzare il fosfato in alfa tra le posizioni 3’ e 5’.

Quindi la AMP ciclico, una volta formato va a funzionare da attivatore allosterico di PKA (proteina
chinasi AMP ciclico dipendente). PKA è costituito da quattro subunità, due catalitiche e due regolatorie:
quando quattro AMP ciclico si legano alle due
subunità regolatorie, queste perdono affinità per le
subunità catalitiche e le subunità catalitiche si
dissociano andando a smascherare il sito attivo che a
questo punto ha accesso ai target che saranno l’ATP
e il target specifico di PKA, target che potrà essere
diverso a seconda della via metabolica che andrà ad
essere regolata.
Come si regola il metabolismo del glicogeno lo
abbiamo già detto. Che cosa fa la PKA che è stata
attivata dal glucagone? Andrà a fosforilare e attivare
la glicogeno fosforilasi chinasi che, una volta
fosforilata e attivata andrà ad agire sulla glicogeno
fosforilasi che verrà a sua volta fosforilata e attivata
andando quindi mediare questa stimolazione della
glicogenolisi.
La PKA oltre a fosforilare e attivare la fosforilasi
chinasi e far partire questa cascata di fosforilazioni
attivanti, andrà anche a fosforilare e inibire la
glicogeno sintasi. Quindi da una parte si attiva per
fosforilazione la glicogeno fosforilasi e quindi la
glicogenolisi dall’altra si inattiva per fosforilazione la
glicogeno sintasi andando a inibire la glicogeno
sintesi.
Come vedete qui è riportata anche la adrenalina,
perché in realtà nel fegato e nel muscolo l’adrenalina
coopererà con il glucagone per portare a
quest’innesco della glicogeno lisi.
La glicogeno fosforilasi via PKA oltre ad attivare per
fosforilazione la glicogeno fosforilasi attraverso la
fosforilasi chinasi e a inibire per fosforilazione la glicogeno sintasi, potenzia questo segnale anche con
un altro meccanismo. Così come l’insulina per massimizzare i suoi effetti doveva anche andare ad
interrompere la segnalazione PKA mediata, e lo faceva attivando la fosfodiesterasi per AMP ciclico,
anche il glucagone deve andare a potenziare la sua attività. Quindi oltre a portare avanti la

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fosforilazione degli enzimi target, deve andare a inibire l’attività di PP1, per andare ad inibire queste
defosforilazioni PP1 mediate.
Come fa ad inattivare PP1? Un altro target di PKA è questa proteina IP che è un inibitore di PP1. Questa
proteina normalmente inibisce PP1 soltanto quando è allo stato fosforilato. Quindi per inibire PP1 la
via di segnalazione glucagone mediata fosforila questo inibitore di PP1 ed è la PKA che lo fosforila e a
questo punto questo inibitore una volta fosforilato potrà andare a legarsi a PP1 e a inattivarla.
In questo modo il glucagone partecipa anche all’inibizione di PP1 così come l’insulina partecipava
all’inibizione di PKA. Quindi andando a spegnere PP1, il glucagone impedisce che questa fosfatasi possa
andare a desfosforilare e attivare la glicogeno sintasi e a defosforilare e inibire la glicogeno fosforilasi.
Quindi è un modo di arrivare allo stesso risultato ma andando ad agire su punti diversi: da una parte si
attiva PKA dall’altra si inibisce PP1, ma l’effetto che si ottiene è il medesimo.
Quali sono gli effetti dell’aumento della AMP ciclico glucagone mediato? Questo andrà ad attivare cAPK
(è la stessa cosa di PKA, soltanto un modo diverso di chiamarlo). La AMP ciclico attiva PKA, PKA da una
parte fosforila e attiva la glicogeno fosforilasi chinasi che a sua volta fosforila e attiva la glicogeno
fosforilasi attivando la glicogenolisi. Dall’altra parte, PKA fosforila l’inibitore per PP1 andando ad inibire
PP1, che quindi non potrà più ne defosforilare questi due enzimi inibendoli ne defosforilare la glicogeno
sintasi, attivandola. La glicogeno sintasi non più defosforilata da PP1, sarà invece fosforilata da PKA e la
fosforilazione andrà ad inibirne l’attività. Quindi grazie a questo processo AMP ciclico mediato si andrà
a stimolare la glicogenolisi e a inibire la glicogeno sintesi.
Quando lo stimolo del glucagone verrà meno e quindi i livelli di AMP ciclico cominceranno a calare,
chiaramente si verificherà l’effetto opposto. La fosfatasi PP1 non sarà più inibita quindi potrà di nuovo
a defosforilare i suoi substrati che saranno da una parte la glicogeno fosforilasi chinasi e la glicogeno
fosforilasi e con queste defosforilazioni inattiverà la glicogeno lisi, dall’altra potrà tornare a
defosforilare glicogeno sintasi attivando la glicogenolisi e questo sarà promosso anche dal segnale
insulina dipendente.
Metabolismo del glucosio: enzimi chiave regolati dal glucagone
L’attività del glucagone nel mediare questa attivazione della gluconougenesi si esplica sulla regolazione
dell’enzima bifunzionale. Quindi la PKA
va a fosforilare l’enzima bifunzionale e
la fosforilazione dell’enzima
bifunzionale porta allo spegnimento
dell’attività chinasica PFK2 e
attivazione dell’attività fosfatasica
fruttosio 2,6 bifosfatasi. Quindi la
fruttosio 2,6 bifosfatasi va a idrolizzare
il fruttosio 2,6 bifosfato a fruttosio 6
fosfato comportando un crollo dei
livelli di fruttosio 2,6. Se i livelli di
fruttosio 2-6 calano, da una parte si
inibisce la PFK-1, dall’altra si attiva la
fruttosio 1,6 bifosfatasi
e quindi avremo una
diminuzione della
glicolisi e un aumento
della gluconeogenesi.
(Niente di più di quello
che abbiamo visto al
contrario per
l’insulina).
Ruolo del glucagone a
livello del tessuto
adiposo
Stessa cosa per il metabolismo dei lipidi, anche in questo caso niente di diverso da quello che abbiamo
visto prima. Come fa il glucagone ad avere questa attività lipolitica a livello del tessuto adiposo? Perché
PKA attivata dal glucagone, da una parte fosforila la perilipina, la fosforilazione della perilipina consente
alle molecole di perilipina di dissociarsi le une dalle altre e questo va a rompere il guscio proteico che
mantiene isolati i trigliceridi all’interno. Questo fa si che la lipasi ormone sensibile, a sua volta fosforilata

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e attivata da PKA, possa entrare
all’interno della goccia lipidica e avere
accesso per la mobilizzazione dei
trigliceridi. (Lo avete già visto con il prof
Cirri ma sapete che la lipasi ormone
sensibile non trigliceride lipasi ma è una
digliceride lipasi.) Quindi ci vuole un
enzima che agisca prima sui trigliceridi
che vada a rimuovere il primo acido
grasso. La trigliceride lipasi, quindi il primo
enzima che agisce sui trigliceridi, in realtà
viene attivata dal distacco. ATGL è la
trigliceride lipasi che è la prima che agisce
sui trigliceridi e questa ATGL viene attivata
perché la fosforilazione della perilipina
non serve solo a aprile il varco ma serve
anche a liberare questa proteina che si
chiama CGI, che è un attivatore della
trigliceride lipasi. Finché CGI viene
mantenuta legata alla perilipina non può
attivare l’enzima, ma quando la perilipina viene fosforilata perde affinità per questa CGI, la quale viene
liberata e può andare ad interagire con
la trigliceride lipasi e quindi viene
attivata.
La trigliceride lipasi stacca il primo
acido grasso (quindi un acido grasso
più triacilglicerolo). È sul diacilglicerolo
che agirà la lipasi ormone sensibile
perché questa è una digliceridelipasi e
staccherà quindi il secondo acido
grasso. Si formerà un
monoacilglicerolo su cui agirà la
monoacilgicerololipasi che quindi
produrrà il glicerolo e l’ultimo acido
grasso.
La trigliceridelipasi in realtà è un
enzima citosolico che, nel momento in
cui la perilipina si apre, arriva e con la
dissociazione di CGI dalla perilipina si
attiva e quindi può cominciare la
mobilizzazione dei trigliceridi.
Profilo metabolico indotto da
glucagone
Questo è il profilo metabolico indotto
da glucagone. Il glucagone agisce
primariamente sul fegato e sul tessuto
adiposo. A livello del tessuto adiposo
induce la lipolisi, quindi si liberano
acidi grassi e glicerolo che entreranno nel circolo. A livello del fegato, invece, il glucagone induce sia la
glicogenolisi, quindi rende disponibile subito glucosio che può essere immesso all’esterno aumentando
la glicemia ematica e quindi andando a rifornire glucosio per il cervello, che è uno dei tessuti glucosio
dipendenti, ma visto che il glicogeno comunque limitante a livello del fegato si attiva anche la
gluconeogenesi, che chiaramente supporterà questo ruolo iperglicemizzante.
Come fa il fegato ad avare precursori per la gluconeogenesi? Li ha ha perché il glicerolo arriva dal tessuto
adiposo e può essere un precursore per gluconeogenesi, ma a livello del muscolo che non sente più lo
stimolo dell’insulina, in presenza del glucagone, si avrà un aumento della degradazione delle proteine,
quindi questo libererà amminoacidi e in particolare l’alanina andrà a diventare un precursore per la

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gluconeogenesi. Quindi in condizioni di digiuno si avrà anche un aumento della degradazione di
proteine a livello del muscolo che formeranno precursori per la gluconeogenesi.
Gli acidi grassi che si liberano dal tessuto adiposo serviranno per supportare l’attività anabolica
gluconeogenetica del fegato perché formeranno un nutriente che sarà utilizzato per via energetica.
Quindi siccome il fegato non può utilizzare glucosio perché sta producendo glucosio, utilizzerà per avere
energia gli acidi grassi che provengono dal tessuto adiposo. Quindi al livello del fegato si innescherà la
beta ossidazione e questa supporterà dal punto di vista energetico il fegato. Oltre a questo in condizioni
di digiuno e soprattutto di digiuno prolungato, vista questa forte attività catabolica nei confronti degli
acidi grassi, a livello del fegato si avrà anche la produzione di corpi chetonici perché c’è una forte
produzione di acetilcoenzimaA perché è fortemente stimolata la beta ossidazione. Ma tutto questo
acetilcoenzimaA non potrà essere smaltito per via ossidativa, perché contemporaneamente il fegato
sta facendo gluconeogenesi quindi utilizza e preleva ossalacetato dal ciclo di Krebs per garantire la
gluconeogenesi.
Quindi questa riduzione dei livelli di ossalacetato, perché questi sono utilizzati per la gluconeogenesi,
fa si che questa acetilcoenzimaA non trovi un corretto smaltimento via ciclo di Krebs ed è per questo
che l’acetilcoenzimaA viene deviato verso la sintesi dei corpi chetonici. Quindi in una situazione di
digiuno prolungato il fegato viene definitivo un fegato cheto genetico, vuol dire che ha fortemente
attivati il catabolismo degli acidi grassi, l’anabolismo del glucosio e la sintesi dei corpi chetonici. Corpi
chetonici che servono indubbiamente per rifornire, per garantire la presenza di un nutriente alternativo
in condizioni di emergenza, quando il glucosio può diventare limitante e che può essere utilizzato dal
cuore e dal cervello. Un nutriente che può essere utilizzato in condizioni di uricemia.
Patofisiologia della deficienza di insulina
E questi sono gli effetti dovuti al deficit di insulina, che si può verificarsi in pazienti affetti da diabete.
Che cosa succede quando c’è un deficit di insulina? Indubbiamente vengono meno tutte quelle
regolazioni insulina mediate, quindi viene meno l’attivazione della glicolisi, della glicogeno sintesi, il
blocco della lipolisi e oltre a questo se i livelli di insulina non sono sufficienti si ha anche una secrezione
compensatoria di glucagone. Quando le cellule alfa non sentono che c’è abbastanza insulina, queste
cominciano a secernere
glucagone. Quindi anche in una
condizione in cui in realtà non
siamo in condizioni
iperglicemiche ma siamo soltanto
in condizioni di carenza di
insulina, il pancreas risponde
andando a secernere il glucagone
che peggiora il quadro
iperglicemico perché stimola il
fegato a fare gluconeogenesi.
Quindi da una parte l’insulina non
è sufficiente quindi non attiva
l’aumento del trasporto di
glucosio nel muscolo e nel tessuto
adiposo (non c’è rimozione del
glucosio dal circolo) quindi
condizione iperglicemica
peggiorata dal fatto che il
pancreas secerne glucagone e questo stimola la gluconeogenesi epatica. Quindi un quadro
iperglicemico che peggiora.
Quando si raggiungono certi livelli di glucosio nel sangue, il glucosio non ce la fa neppure ad essere
riassorbito dal filtro renale quindi si ha anche una perdita di glucosio con le urine (glicosuria). Sapete
bene che il glucosio è una molecola osmoticamente attiva quindi richiama acqua. Se c’è perdita di
glucosio con le urine, ci sarà anche una perdita eccessiva di acqua e quindi diuresi osmotica e questo
comporterà anche una perdita di elettroliti. Quindi effetto di disidratazione e di squilibrio elettrolitico.
La carenza di insulina induce anche un aumento della degradazione delle proteine, quindi aumento dei
livelli di aminoacidi plasmatici e perdita di azoto con le urine e la carenza di insulina determina anche
un aumento dell’effetto lipolitico a carico del tessuto adiposo. Quindi aumento degli acidi grassi liberi
nel plasma e abbiamo detto che questo induce nel fegato un aumento dei corpi chetonici che quindi

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portano inizialmente a una chetosi e poi a una chetoacidosi perché i corpi chetonici liberano idrogenioni
nel plasma e quindi questo porta anche a una riduzione del pH ematico. L’organismo tende a rispondere
a questo effetto di disidratazione mediante polidipsia perché aumenta il senso di sete, ma c’è
comunque una poliuria, eccesso di perdita di acqua con le urine che porta a disidratazione e squilibrio
elettrolitico.
Il diabete (alta glicemia)
I tipi di diabete sono tre:
INSULINO DIPENDENTE e INSULINO INDIPENDENTE. Se non funziona la secrezione da parte delle cellule
pancreatiche si parla di insulino dipendente perché questo viene tamponato con la somministrazione
di insulina dall’esterno, se invece il sistema recettoriale ad essere deficitario si parla di INSULINO
INDIPENDENTE.
Un diabete particolare è il diabete giovanile ad insorgenza tardiva (MODY) che invece è dovuto a
mutazioni a livello di glucocinasi epatica, che non ce la fa a fosforilare il glucosio e quindi ad
intrappolarlo a livello del fegato con conseguente quadro iperglicemico.

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Sbobina n°35 – BIOCHIMICA 27/04/2021

Prof./Prof.ssa: Giannoni Elisa

Sbobinatore: Debora Alushi, Sara Kovacevik

Revisore: Mariantonia Dibisceglia

Gli ormoni caratteristici dell’asse ipotalamo-ipofisaro

Sono gli ormoni ipotalamici e pituitari, che possono agire direttamente su dei tessuti bersaglio, oppure
possono a loro volta andare a controllare l’attività di altre ghiandole endocrine.

L’Ipotalamo è una struttura del sistema


nervoso centrale che riceve afferenze
provenienti sia dal sistema nervoso centrale sia
da recettori sensoriali, per stimoli sensoriali
esterni o di natura viscerale. Diventa capace di
mediare l’informazione a valle producendo
fattori (ovvero ormoni proteici) che andranno
ad agire nell’ipofisi. L’ipotalamo è collegato
attraverso un peduncolo, infundibolo,
all’ipofisi. Quest’ultima è costituita da una
parte anteriore, adenoipofisi, e posteriore,
neuroipofisi, e da una porzione intermedia che
nell’uomo è poco sviluppata.

L’ipotalamo è costituito dai neuroni


parvicellulari e magnocellulari. Essi ricevono
informazioni da altre aree del SNC o da recettori sensoriali (quindi dati da depolarizzazione e ripolarizzazione
di membrana, come tutti i nervi). Ma essi non producono neurotrasmettitori ma secernono ormoni proteici.
I magnicellulari sono neuroni con un corpo cellulare ed un lungo assone che passa lungo il peduncolo e
raggiunge la parte posteriore della ipofisi, ovvero la neuroipofisi. Quello che viene prodotto dai neuroni
magnocellulari correrà lungo l’assone e andrà a liberare l’ormone prodotto direttamente a livello della
neuroipofisi. Teoricamente la neuroipofisi è quindi solo un’estensione dell’ipotalamo, ovvero non produce
niente in maniera indipendente, ciò che viene liberato è prodotto dall’ipotalamo. Vengono prodotti: ADH e
ossitocina.

Gli ormoni prodotti dai parvicellulari, vengono liberati direttamente a livello ipotalamico, dopo essere
rilasciati dagli assoni dei parvicellulari attraversando il circolo portale e rilasciati dalla adenoipofisi (la parte
anteriore). Qui questi ormoni stimoleranno le cellule della adenoipofisi a produrre altri ormoni, ovvero gli
ormoni pituitari.

ORMONI SECRETI

-L’ormone antidiuretico ADH o vasopressina e ossitocina vengono rilasciati dal lobo posteriore dell’ipofisi
(neuroipofisi), e prodotti a livello ipotalamico.

-Gli ormoni invece prodotti e secreti dalla adenoipofisi in seguito alla stimolazione da parte degli ormoni
ipotalamici da parte dei neuroni parvicellulari, sono l’ormone luteinizzante (LH) e l’ormone follicolo
stimolante (FSH), la prolattina, l’ormone adrenocorticotropo (ACTH), l’ormone della crescita (growth
hormon, GH) e l’ormone stimolate la tiroide (TSH).
-Alcune cellule della parte intermedia (quella poco sviluppata) producono l’ormone stimolante ovvero i
melanociti (MSH).

• Gli ormoni ipotalamici (rilasciati dai neuroni parvicellulari) che stimolano i pituitari sono:

-l’ormone CRH (ormone rilasciante la


corticotropina), che stimola la
secrezione della ACTH, che poi agirà a
livello della corticale del surrene.

-L’ormone rilasciante la tireotropina


(TRH) è l’ormone ipotalamico che
stimola nella adenoipofisi la secrezione
di TSH, che agirà sua volta sulla tiroide.

-La GnRH (ormone rilasciante le


gonadodropine) stimola la produzione
nell’adenoipofisi dell’ormone LH e FSH,
che a lor volta stimoleranno le gonadi,
testicoli e ovaio.

-Abbiamo poi altri 4 ormoni prodotti


dall’ipotalamo con azione inibitoria o
stimolante verso l’adenoipofisi, che
sono: la somatostatina prodotta
nell’ipotalamo (inibisce a livello
ipofisario la secrezione dell’ormone della crescita), l’ormone rilasciante il GH (ovvero GHRH) che ha invece
effetto di stimolazione sulla adenoipofisi per la secrezione del GH. Quindi il GH è regolato negativamente
dalla somatostatina ipotalamica e positivamente del GHRH ipotalamico. Abbiamo poi la prolattina può
essere stimolata da PRF ipotalamico, fattore rilasciante la prolattina, o inibita dalla dopamina (o prolactin
inibitor hormon, PIH).

Quindi a questo punto gli ormoni


ipofisari (in giallo, adenoipofisi),
stimolati opportunamente da quelli
ipotalamici (in rosa), andranno ad
agire direttamente su tessuti
bersaglio (ad esempio la prolattina
che agisce sulla ghiandola
mammaria inducendo la
contrazione delle cellule
mioepiteliali). Per quanto riguarda il
GH, che è prodotto a livello della
adenoipofisi, può stimolare
direttamente la cartilagine o l’osso,
ma ha anche azione di stimolazione
mediata (indiretta) da altri fattori,
poiché può agire anche a livello del
fegato andando a produrre
somatomedine (insulin like growth
factor), diretti responsabili degli
effetti sui tessuti bersaglio.
Tutti gli altri (TSH,ACTH,LH,FSH) non hanno attività diretta su tessuto bersaglio ma mediano la regolazione
su altre cellule endocrine. Il TSH stimolerà la tiroide per la produzione di ormoni tiroidei, l’ACTH stimola la
corticale del surrene a produrre corticosteroidi ed in parte gli androgeni, LH e FSH andranno ad agire sulle
gonadi per la produzione di androgeni ed estrogeni.

Quando l’azione è indiretta si parla di ormoni tropinici, ovvero ormoni che stimolano altre ghiandole
endocrine. In parte anche il GH può essere considerato tropinico anche se non regola in realtà una ghiandola
endocrina ma regola il fegato, che è un tessuto che produce non ormoni ma fattori di crescita.

La neuroipofisi, che è una estensione dell’ipotalamo, raggiunta dalle terminazioni assoniche dei
magnicellulari, andrà a determinare la secrezione di ADH e ossitocina che agiranno direttamente su tessuti
bersaglio. L’antidiuretico agirà a livello renale, l’ossitocina agirà sia a livello dell’utero sia a livello della
ghiandola mammaria.

L’asse ipotalamo-ipofisario è estremamente regolato, con regolazioni a feedback. Gli ormoni prodotti dalle
ghiandole bersaglio sono ormoni che quando aumentano di concentrazione, vanno ad inibire la loro
produzione dei corrispondenti ormoni stimolatori sulla ipofisi (feedback negativo. Anche un aumento degli
ormoni prodotti dalla adenoipofisi può mediare un feedback negativo, inibendo la sintesi di realising hormon
a livello dell’ipotalamo, quindi un doppio feedback negativo. In alcuni casi gli ormoni prodotti direttamente
dalle ghiandole bersaglio possono andare ad inibire direttamente il rilascio di RH a livello ipotalamico. Gli
stessi realising hormon possono indurre una autoinibizione, ovvero, superata una certa soglia, un loro
aumento impedisce della produzione degli stessi RH. La stimolazione positiva invece fa sì che i RH stimolino
gli ormoni pituitari e questi le ghiandole endocrine a valle.

• Ormoni secreti dalla neuroipofisi ossitocina e vasopressina (ADH).

Sintetizzati a livello dei neuroni magnocellulari dell’ipotalamo, che in seguito a depolarizzazione si va a


rilasciare l’ADH e ossitocina a livello ipofisario per movimento dei granuli che li contengono a livello delle
terminazioni assoniche.

• OSSITOCINA

L’ossitocina è un piccolo peptide costituito da soli 9 AA, con 2 cisteine che ripiegandosi possono formare un
ponte disolfuro. È un ormone che nel processo di sintesi passa attraverso il reticolo endoplasmatico e viene
immagazzinato in vescicole e poi granuli secretori dove vengono immagazzinati nelle terminazioni sinaptiche,
e verranno secreti in seguito a stimolo di depolarizzazione del neurone magnocelullare (questo vale per tutti
gli ormoni pituitari). L’ossitocina è prodotta come un pre-pro-ormone, che identifica la presenza di una
sequenza segnale che serve alla proteina per essere indirizzata a livello del reticolo, e una volta lì la sequenza
segnale N-term viene rimossa e rimarrà solo il pro-ormone. Quest’ultimo subirà un altro taglio proteolitico
(proteolisi limitata) che porta al
rilascio di due frammenti: neurofisina
1 (non ha effetto della ossitocina) e
ossitocina accumulati nei granuli
secretori. L’ossitocina è un ormone
peptidico, solubile nel torrente
circolatorio con però vita media di
2,4 minuti, quindi la sua produzione
deve essere continua. Ossitocina e
vasopressina sono molto simili per
catena, differiscono solo per 2 amminoacidi. Solo che l’ossitocina ha una isoleucina e leucina al posto di una
fenilalanina e arginina della vasopressina. L’ossitocina segnala attraverso un recettore accoppiato a G-
proteine, il recettore segnala attraverso la subunità GS-alfa (quindi è un recettore accoppiato ad una proteina
G trimerica, che oltre al dimero beta e gamma ha una subunità di tipo S, ovvero stimolatoria nei confronti
dell’ adenilatociclasi, recettore che segnala attraverso l’innalzamento dei livelli di un secondo messaggero,
che è l’AMPciclico che porterà all’attivazione della PKA). Questo è quello che succede a livello della ghiandola
mammaria, a livello dell’utero invece ci sono altri recettori che si possono legare all’ossitocina, sempre
recettori legati a G-proteine ma con subunità GQ-alfa, che trasduce il segnale andando ad attivare un altro
effettore, la fosfolipasi-C-gamma, che servirà per andare a tagliare un fosfolipide di membrana, il PIP2
(fofatidilinositolo 4,5 bisfosfato) e produrre diacilglicerolo e IP3, che agirà su canali IP3 dipendenti a livello
del reticolo determinando l’innalzamento dei livelli di calcio.

Effetti: a livello della mammella regola lo stato di contrazione delle cellule mioepiteliali, per regolare il rilascio
di latte dalla ghiandola mammaria. La contrazione ha effetto di feedback positivo, poiché stimola
ulteriormente la produzione di ossitocina, come a seguito dello stimolo da suzione dei capezzoli. A livello
dell’utero induce contrazioni uterine nel momento della mestruazione e del parto. Anche qui le contrazioni
uterine stimolano ulteriormente la produzione di ossitocina. Naturalmente (quindi non con farmaci)
l’ossitocina viene prodotta dall’ipotalamo quando abbiamo distensione della cervice uterina. La distensione
viene favorita dall’iniziale transito della testa del feto a livello della cervice. Questo fa sì che parta il rilascio
di ossitocina che induce contrazione uterina. Queste contrazioni fanno effetto di feedback positivo. Nel
momento in cui il feto esce, la cervice non è più distesa e cala lo stimolo e quindi anche i livelli di ossitocina.
Le forti contrazioni sono dovute e stimolate sia alla produzione di ossitocina dall’ipotalamo sia dagli estrogeni
(prodotti durante il parto) che aumentano l’espressione dei recettori per l’ossitocina a livello dell’utero,
facendo sì che l’utero sia più recettivo nei confronti dello stimolo ormonale. Oggigiorno per stimolare le
contrazioni del parto vengono usate le prostaglandine al posto dell’ossitocina.

• ADH o ormone antidiuretico o vasopressina

La vasopressina ha similitudini con ossitocina


per struttura primaria. Ricordiamo che
cambiano solo i 2 AA. Anche la vasopressina
viene prodotta come pre-pro-ormone e poi
rimossa la sequenza segnale. Con il suo
successivo taglio si andrà a liberare:
neurofisina 2 (con attività biologiche non ancora chiare) e vasopressina. Anche qui abbiamo emivita breve e
viene escreto con le urine. La vasopressina viene secreta in seguito alla stimolazione (3 tipi) dell’ipotalamo:

1) Stimolazione sensoriale da parte degli osmocettori ipotalamici, che sentono i cambiamenti


dell’osmolarità. Quando c’è una diminuzione di acqua nel plasma ovvero disidratazione, questi
osmocettori allora liberano acqua presente al loro interno, con un raggrinzimento. Questo è il
segnale di rilascio di vasopressina da parte delle terminazioni assoniche dei neuroni magnocellulari.
Questo, quindi, andrà a determinare a livello renale un recupero di acqua, per contrastare lo stimolo
che ne ha indotto il rilascio, stimolando così il riassorbimento di acqua. In questo modo si spegne la
segnalazione a livello degli osmocettori ipotalamici. Avremo così urine più concentrate e maggiore
volume plasmatico.

DOMANDA? RISPOSTA: se vuoi andare a regolare questi meccanismi in questo caso si deve agire con dei
farmaci, che però non consistono in vasopressina o ossitocina ricombinante. Perché anche nel caso del
parto, non abbiamo bisogno di sapere quanta ossitocina è prodotta durante il parto in quel momento. Non
hai la necessità di produrre qualcosa di diverso in condizioni equimolari. Nei pazienti diabetici trattati con
insulina esogena, invece lo facciamo.
2) Stimolo dell’ipotalamo da parte dei barocettori cardiaci, ovvero dei recettori sensoriali sensibili alla
distensione delle pareti vascolari. Sono localizzati nelle vene, nella carotide, nell’aorta e quando
subiscono distensione o rilassamento delle pareti fanno partire un segnale: la diminuzione del
volume plasmatico, associato ad uno stimolo ipotensivo, portano a un rilassamento delle pareti e
stimola rilascio di ADH che agirà a livello del rene determinando riassorbimento di acqua da parte
dei tubuli distali, quindi un aumento del volume plasmatico e quindi aumento anche della pressione
sanguigna, contrastando così lo stimolo che ne ha indotto il rilascio.
3) La vasopressina è stato visto che viene anche indotta da stress emozionali, fisici o da dolore, che
inibiscono così la sintesi di ADH.

La vasopressina agisce insieme a recettori accoppiati a G-proteine. Abbiamo recettori di 2 tipi (poiché in
realtà il terzo non è stato ancora ben caratterizzato):

- V1, ubiquitari, accoppiati a proteine G, che hanno come subunità GQ-alfa (la stessa su cui poteva andare
ad agire l’ossitocina) che stimola la fosfolipasi C-gamma che taglia il fosfatidil-inositolo 4,5 bisfosfato in
DAG e IP3. L’IP3 va ad agire sui canali per il calcio IP3 dipendenti presenti sul reticolo endoplasmatico,
che una volta legati ad IP3 fanno uscire Ca2+ dal reticolo (visto che il reticolo è una sorta di
immagazzinatore di calcio9. Così si attiva o la PKC (protein chinasi C), attivata dall’associazione con il
calcio e interazione con DAG, oppure il calcio può
mediare la trasduzione del segnale legandosi alla
calmodulina, proteina con alta affinità per il calcio,
e il complesso creato può andare a regolare effettori
a valle, ad esempio la protein chinasi calcio-
calmodulina dipendente, che è un’altra
serinotreonino chinasi che fosforilerà proteine
target a valle. Induce vasocostrizione, quindi agisce
sulle cellule muscolari lisce dei vasi e
conseguentemente ha effetto ipertensivo,
aumentando la pressione, rispondendo in maniera
opposta all’azione ipotensiva indotta dal rilascio di
ADH.

-V2 sono invece presenti a livello renale, sono GPCR associati ad una GS-alfa, ovvero che attivano
l’adenilatociclasi, aumentando la concentrazione di AMP ciclico e stimolando la PKA. Uno dei target
importanti di PKA a livello dei tubuli distali renali è l’acquaporina 2. Le acquaporine sono dei canali per
l’acqua, che servono a favorirne il trasporto attraverso la membrana. Ce ne sono di varie tipologie,
espresse in vari tessuti. L’acquaporina 1 è espressa a livello dei tubuli prossimali, la 2 a livello dei tubuli
distali. La 1 non subisce regolazione, è sempre presente e garantisce il riassorbimento costitutivo di
acqua. La 2 invece è regolata da ADH, che stimola i recettori dei tubuli distali. Si ha la fosforilazione PKA-
mediata della acquaporina 2 che porta ad una esposizione di questa acquaporina nella membrana e un
riassorbimento di acqua dei tubuli distali. Questo regola il riassorbimento del 10% di acqua, il restante
90% è gestito a livello dei tubuli prossimali in maniera non regolata.
• Ormoni secreti dalla adenoipofisi, in seguito alla stimolazione di RH prodotti a livello ipotalamico.

TRH, GnRH, CRH, somatostatina, GHRH e


dopamina, agiscono tutti con recettori accoppiati
a proteine G, ma vanno a stimolare le
corrispondenti cellule bersaglio con un
meccanismo di trasduzione del segnale diverso,
perché diverso sarà il recettore presente. Quindi le
cellule tireotrope e gonadodrope presenti
nell’adenoipofisi risponderanno rispettivamente al
TRH e GnRH attivando recettori accoppiati a
proteine G che agiscono con una proteina GQ-alfa,
stimolando la fosfolipasi C. Tutti gli altri avranno
recettori accoppiati proteine G che regolano
l’attività della adenilato ciclasi. In senso positivo, il
CRH e il GHRH stimolano la produzione a livello
delle cellule corticotrope e somatotrope di ACTH e
GH agendo attraverso una GS-alfa. Invece la somatostina e la dopamina inibiscono rispettivamente la
produzione di GH a livello delle cellule somatotrope e l’attività della adenilato ciclasi, ovvero riducendo i livelli
di AMP ciclico e spegnendo l’attività della PKA. Queste cellule dell’adenoipofisi a questo punto producono gli
ormoni tropinici che vanno ad agire su altre ghiandole endocrine o tessuti bersaglio. TSH,LH,FSH,ACTH e GH
agiscono attraverso recettori accoppiati a proteine G, tutte contenenti subunità GS-alfa, stimolatoria verso
l’adenilato ciclasi. Solo GH e prolattina andranno ad agire sui loro tessuti bersaglio attraverso recettori delle
citochine di classe 1. Sono dei recettori senza attività enzimatica intrinseca, ma attivano le tirosin chinasi
solubili.

Gli ormoni secreti dalla adenoipofisi sono classificati in 3


gruppi: ormoni glicoproteici (ovvero ormoni proteici che
subiscono glicosilazione e sono il TSH,LH,FSH), ormoni
proteici (GH e prolattina) e infine i peptidi derivati dalla
propiomelanocortina (ACTH), che è un grosso precursore
da cui derivano ACTH e le b-lipotropine e le b-endorfine.

ORMONI GLICOPROTEICI
TSH,LH,FSH e hGC (gonadodropina corionica umana) non secreta dalla adenoipofisi ma prodotta dalla
placenta, ma condivide la struttura e meccanismo di azione rispetto a questi ormoni glicoproteici. Tutti questi
ormoni hanno una struttura eterodimerica, sono cioè costituiti da una catena alfa e una beta. La alfa
presenterà sicuramente una N-glicosilazione (residui di asparagina glicosilati). La beta può esserlo o non
esserlo. La catena alfa è costante, è la stessa per tutti. La parte variabile che dà la specificità funzionale ad
ogni ormone è la catena beta. Le catene alfa e beta derivano da un’iniziale duplicazione genica, con
inizialmente un solo gene che codificava per una sola catena proteica (probabilmente per la catena alfa) e
quindi dopo, per duplicazione genica e per divergenza genica ha generato tutti i vari geni che codificano per
le catene beta. Queste sono proteine che subiscono modifiche post-traduzionali, perché non solo verranno
prodotti come pre-pro-ormoni (subendo taglio proteolitico), ma dovranno subire anche N-glicosilazione a
livello della catena alfa e formazione di ponti disolfuro intracatena, per la presenza di alcune cisteine, su alfa
e beta.

La trasduzione del segnale per LH,FSH,TSH,GnRH (quest’ultima promossa grazie a all’interazione con recettori
accoppiati a proteine G) presenta la segnalazione guidata dalla GS-alfa che stimola l’adenilato ciclasi e quindi
PKA.

• FSH e LH agiscono a livello delle gonadi (si vedranno nel dettaglio successivamente).

-FSH stimola la follicologenesi, ovvero maturazione delle cellule follicolari a livello dell’ovaio, mentre LH
stimola la produzione di progesterone da parte del corpo luteo (a livello femminile). A livello maschile FSH
stimola le cellule del Sertoli nei testicoli per indurre spermatogenesi e LH stimola la sintesi di testosterone da
parte delle cellule di Leydig. In entrambi i casi regolano quindi la gametogenesi, e in più nel caso della donna
regolano anche il ciclo di ovulazione. Visto che le gonadi producono ormoni steroidei (estrogeni, androgeni
o progesterone, derivanti tutti dal colesterolo, FSH e LH regolano anche la sintesi di colesterolo, e più a valle
quindi anche la sintesi degli ormoni steroidei.

Le tappe regolate da FSH e LH sono: nelle gonadi questi ormoni andranno ad incrementare e stimolare la fase
finale della sintesi del colesterolo (conversione dell’acetato in squalene, e in particolare la ciclizzazione dello
squalene) oppure promuovono il colesterolo in un metabolita che sarà il precursore sia degli ormoni
progestinici ed estrogenici, sia del testosterone, il pregnenolone. Ci sarà una prima fase di sintesi degli
ormoni steroidei in cui il colesterolo verrà indirizzato verso la sintesi degli ormoni steroidei, e questa sarà la
tappa limitante che verrà stimolata da FSH e LH. Quindi si stimolerà l’entrata del colesterolo all’interno del
mitocondrio, dove subirà una reazione particolare che lo convertirà in pregnenolone, precursore per tutti gli
ormoni steroidei prodotti dalle gonadi.

• hCG - GONADOTROPINA CORIONICA UMANA (anche questi trattati più nel dettaglio successivamente)

È una glicoproteina sintetizzata, non nell’adenoipofisi, ma nella placenta. I suoi livelli incrementano subito
dopo l’impianto dello zigote nell’endometrio, infatti viene utilizzato per la diagnosi precoce di gravidanza,
proprio perché il livello di hCG a livello sierico aumenta notevolmente in seguito all’impianto dello zigote.
L’hCG serve a sostenere il corpo luteo, poiché nelle fasi iniziali della gravidanza sarà questo a produrre
progesterone fino a quando la placenta non sarà in grado di sostituirvi e provvedere al sostegno della
gravidanza fino al suo termine. L’hCG a livello plasmatico cala drasticamente dopo il terzo mese di gestazione,
perché in questo caso la gravidanza si è già avviata e quindi verrà sostenuta dal progesterone prodotto a
livello della placenta.

Domanda: L’hCG funziona anche da marker tumorale? Sì, perché alcune cellule tumorali acquisiscono la
capacità di produrre la gonadotropina corionica, che può essere quindi utilizzata per valutare soprattutto il
breast cancer (carcinoma mammario) e il tumore dell’ovaio, che sono i tumori per cui è stato vista una
maggiore correlazione con l’aumento di hCG.

• TSH -THYROID STIMULATING HORMONE

È un ormone proteico con massa di 30kDa che stimola la produzione e la secrezione di ormoni tiroidei da
parte dei tireociti, che sono le cellule che costituiscono i follicoli della tiroide. Il TSH ha sia degli effetti a
breve termine che degli effetti a lungo termine (i vari step con cui agisce il TSH saranno visti più in dettaglio
con la sintesi degli ormoni tiroidei a livello della tiroide). Tra gli effetti a breve termine, che si esplicano a
pochi minuti dal rilascio del TSH da parte dell’adenoipofisi, si ha un aumento sia della sintesi che della
secrezione degli ormoni tiroidei perché si agisce in tre fasi diverse della biosintesi:

• nella fase iniziale, uno degli step più importanti affinché si possa avere la sintesi degli ormoni tiroidei a
livello dei follicoli tiroidei è l’aumento della concentrazione di iodio a livello dei tireociti: il TSH stimola
questo processo aumentando l’ingresso di iodio a livello dei tireociti e questo consiste in uno dei primi step
essenziali per formare la colloide, che sarà una sorta di proteina immatura da cui si origineranno gli ormoni
tiroidei;
• il TSH, in seguito, promuove l’organicazione dello iodio, in quanto lo iodio dovrà andare a unirsi a dei residui
di tirosina, a livello di un precursore proteico detto tireoglobulina;
• Prodotta la tireoglobulina (che contiene tante tirosine iodinate), essa dovrà essere degradata per andare a
liberare gli ormoni attivi; anche l’idrolisi della tireoglobulina (quindi la liberazione degli ormoni maturi che
saranno il T3 e il T4) è quindi indotta dal TSH.

C’è poi un effetto a lungo termine, che si esplica nell’ambito di ore, che è dovuto:

- al fatto che il TSH induce un aumento del flusso ematico che arriva alla tiroide, al fine di favorire il rilascio e
la distribuzione degli ormoni tiroidei.
-alla modulazione dell’espressione genica di tutti gli enzimi che agiscono per garantire la biosintesi degli
ormoni tiroidei.

Quindi l’effetto a breve termine è un’attivazione di alcuni enzimi, mentre l’effetto a lungo termine è un
aumento dell’espressione di questi enzimi, sia del canale dello iodio, sia di tutti gli enzimi che vanno ad agire
a livello di questa impalcatura proteica che è la tiroglobulina. Come effetto a lungo termine, il TSH induce
anche un’ipertrofia della tiroide, cioè un aumento sia del numero che delle dimensioni delle cellule follicolari,
quindi dei tireociti, che sono deputati alla sintesi degli ormoni.

ORMONI PROTEICI
Sono prodotti dalle cellule somatotrope e dalle cellule lattotrope e sono rispettivamente l’ormone della
crescita e la prolattina. Sono costituiti da circa 190 amminoacidi, entrambi possiedono un solo residuo di
triptofano in una posizione simile tra i due, due ponti disolfuro intracatena e presentano un’omologia di
sequenze del 35%. Anche in questo caso la secrezione di essi è regolata da fattori prodotti a livello
dell’ipotalamo e questi sono gli unici due ormoni ubiquitari che possono ricevere sia una stimolazione che
una inibizione dall’ipotalamo:

- la prolattina è stimolata dall'ormone di rilascio della prolattina prodotto dall'ipotalamo e viene inibita dalla
dopamina.
- il growth hormone viene stimolato dall’ormone di rilascio del growth hormone mentre è inibito dalla
somatostatina.

• GH - ORMONE DELLA CRESCITA o GROWTH HORMONE

Ha una massa molecolare di 22 kDa ed è essenziale per garantire l’accrescimento. L’ormone della crescita
non ha praticamente nessun effetto in fase prenatale (non è stato caratterizzato nessun effetto, o per lo
meno effetti non rilevanti), mentre ha un grosso effetto in fase post natale:

- Effetti diretti quando l’ormone agisce direttamente sui tessuti bersaglio


- Effetti indiretti se agisce indirettamente andando a stimolare a livello epatico la produzione delle
somatomedine, che sono fattori di crescita detti IGF (Insuline like Growth Factor), e sono in particolare
due, ossia l’IGF1 e l’IGF2, e saranno questi ad agire poi sui tessuti bersaglio.
Infatti, nelle persone affette da nanismo o nei pigmei ci sono delle mutazioni nelle cellule del fegato che
impediscono la produzione di IGF e quindi viene meno l’effetto indiretto del GH e ne deriva la bassa statura
di questi individui.

Quando si parla di fattore di crescita si pensa che questo induca un aumento della proliferazione cellulare
(aumento del numero di cellule) ma in realtà ci sono alcuni fattori di crescita che inducono una proliferazione
cellulare e altri che lasciano inalterato il numero di cellule, ma vanno ad agire come fattori di accrescimento
cellulare (quindi favoriscono un vero e proprio aumento delle dimensioni cellulari). L’IGF1 ha questo ruolo di
indurre non tanto la proliferazione quanto l’accrescimento cellulare, mentre l’IGF stimola la proliferazione
vera e propria. È stato visto che sia il GH che le IGF possono indurre sia l’accrescimento delle ossa lunghe nei
bambini che della cartilagine negli adulti, andando a regolare il processo di osteogenesi e di condrogenesi.

Sia il GH che le somatomedine possono essere anche regolatori metabolici in maniera diretta o indiretta:

- inducono anabolismo proteico, ossia stimolano la sintesi proteica.


- agiscono positivamente sia sulla glicogenolisi epatica che sulla gluconeogenesi epatica, quindi tendono ad
aumentare il livello glicemico.
- mobilizzano i trigliceridi a livello del tessuto adiposo.
Quindi hanno anche un ruolo metabolico che serve ad aumentare i metaboliti, i quali possono essere anche
utilizzati a scopo energetico, in modo da garantire questo effetto di accrescimento indotto dal GH.

Domanda: La sinergia tra IGF1 (fattore mitogeno) e IGF2 (fattore di accrescimento cellulare), che inducono
diversi tipi di processi, permette l’accrescimento del tessuto cartilagineo e del tessuto osseo.

Il recettore per l’ormone della crescita, che è presente a livello delle cellule epatiche (con cui si stimola la
produzione delle somatomedine e anche direttamente a livello dei tessuti bersaglio) non è un GPCR, a
differenza di tutto quello che è stato
visto finora, ma è un recettore
appartenente alla famiglia dei
recettori delle citochine di classe 1.
Il recettore per il GH, infatti, non ha
di per sé un’attività enzimatica ma
nel momento in cui interagisce col
ligando, riesce a reclutare, a livello
della porzione intracellulare del
recettore, delle tirosin-chinasi
citosoliche, le quali poi, in seguito ad
associazione con il recettore,
attivano la loro attività tirosin-
chinasica, quindi fosforilano sia delle
tirosine del recettore, sia si autofosforilano. In particolare, una delle tirosin-chinasi solubile maggiormente
reclutata da questi recettori è la tirosin-chinasi JAK.

Nello schema della via di signaling del GH è visibile che il passaggio fondamentale è il reclutamento da parte
del recettore del GH di queste tirosin-chinasi solubili JAK: queste vengono reclutate solo quando il recettore
entra in contatto col ligando, perché si ha una modificazione conformazionale della porzione intracellulare
del recettore che determina un aumento dell’affinità per le proteine JAK. Esse possono avere vari bersagli:

- in primis il recettore stesso: alcune tirosine del recettore vengono fosforilate e diventano un “docking site”
(sito di attracco) per il reclutamento di altri mediatori della segnalazione, per esempio le proteine STAT,
che sono dei fattori trascrizionali.
- le STAT vengono a loro volta fosforilate dalla tirosin-chinasi JAK e una volta fosforilate formano degli
eterodimeri diversi, ossia una proteina STAT si associa a un’altra proteina STAT (ne esistono diverse
isoforme come STAT1,STAT2,STAT3…) e a seconda di quello che si forma andrà nel nucleo e si legherà a dei
responsive element (promotori genici) specifici, andando quindi a regolare geni diversi in cellule diverse.

Questa è la via di segnalazione dell’ormone della crescita ed è grazie a questa che nel fegato, per esempio, il
GH induce la sintesi e la secrezione delle somatomedine, in quanto il gene che codifica per queste viene
attivato dalla via di segnalazione JAK-STAT. Tra i geni che hanno nel promotore gli elementi di risposta alle
proteine JAK, ci saranno anche i geni per IGF1 e IGF2, oppure nei tessuti bersaglio diversi dal fegato, il GH va
a indurre la sintesi di altre proteine specifiche.

È stato visto che sia il GH sia l’IGF possono andare a indurre la via delle MAP-chinasi: anche in questo senso
il GH può agire da mitogeno direttamente sui tessuti bersaglio perché, non solo può attivare la trascrizione
di geni dipendenti dall’asse JAK-STAT, ma può anche andare ad attivare la trascrizione di geni che sono
dipendenti dalle ERK-MAP chinasi, quindi esattamente gli stessi mediatori della segnalazione mitogenica del
recettore dell’insulina.

Anche in questo caso si attiva la proteina adattatrice GRB2, ma cambia la partenza: in questo caso chi recluta
GRB2 a livello del recettore del GH, non è IRS-1, ma è questa proteina SHP2 e da qui parte la cascata delle
MAP-chinasi, che è identica a quella attivata dal recettore dell’insulina. (vedi immagine precedente)

In alcuni casi, anche se questo ruolo non è stato ancora ben investigato, il recettore per il GH può anche
attivare IRS-1, perché IRS-1 può essere fosforilato da JAK e quindi dare origine alla stessa via di segnalazione
indotta dall’insulina (quindi a volta il GH fa partire una segnalazione insulino-mimetica).

! C’è però un’incongruenza, infatti questo ruolo del GH non è ancora stato chiarito: innanzitutto questa via
di segnalazione non è una via tra le prevalenti
indotte dal GH, ma guardando gli effetti metabolici
dell’ormone della crescita, questo aumenta la
gluconeogenesi e la glicogenolisi, ossia processi
opposti rispetto a quelli indotti dall’insulina; per
questo non è chiaro il ruolo del GH nell’attivare
questa via metabolica, ma si pensa che questo
ormone serva da stimolo anti-apoptotico: si attiva
la via di IRS-1, non tanto per una regolazione a
livello metabolico, ma perché comunque
l’attivazione di PI3K ad opera di IRS-1 porta
all’attivazione di AKT (altro nome di PKB), che oltre
ad avere tutti i suoi ruoli metabolici, è anche un
fattore anti-apoptotico.

La segnalazione indotta dagli IGF: gli IGF mediano


l’azione indiretta del GH, non agiscono attraverso
dei recettori privi di attività enzimatica intrinseca
come il GH, ma agiscono classicamente attraverso
degli RPK, quindi dei recettori a tirosin-chinasi, che tra l’altro hanno una segnalazione molto simile al
recettore per l’insulina: l’attivazione della via mitogenica, attraverso la cascata delle MAP-chinasi,
l’attivazione di AKT che anche in questo caso sembra avere un ruolo anti-apoptotico.

Ci sono dei casi in cui si presenta un deficit di growth hormone, fondamentale per la condrogenesi e
osteogenesi: questo può indurre un problema di nanismo, se c’è un deficit di GH o una carenza di produzione
di IGF1 e IGF2 (soprattutto nell’infanzia), oppure a gigantismo o acromegalia se c’è una produzione eccessiva
di GH e di IGF. Esistono anche delle forme ricombinanti di GH umano che possono servire come supplemento
nel caso ci siano dei ritardi nella crescita e queste forme ricombinanti non ci sono solo relativamente alla
forma umana dell’ormone, ma anche relativamente ad altre forme di GH di altre specie. Ad esempio, nella
industria ittica il GH specifico dei pesci viene somministrato negli allevamenti per favorire l’accrescimento
rapido delle orate e dei branzini.

• PRL - PROLATTINA

È un ormone proteico di 23 kDa. La sua secrezione aumenta soprattutto durante la gravidanza in seguito ad
una stimolazione estrogenica. La PRL agisce sulle cellule lattotrope della ghiandola mammaria, quindi
mantengono la lattazione, e induce anche il mantenimento del corpo luteo insieme all’LH (per questo la
prolattina viene anche definita LTH ormone luteotropo).

Anche questo ormone agisce attraverso recettori privi di attività tirosin-chinasica intrinseca, attraverso
l’attivazione dell’asse JAK-STAT come il growth hormone, anche se indubbiamente i target a livello genico
saranno diversi e determineranno l’attivazione del processo di lattazione.

Da un punto di vista di alterazioni nella sintesi o nella risposta alla prolattina, sono stati individuati ad esempio
dei tumori a livello delle cellule produttrici, quindi a livello dell’adenoipofisi, che possono indurre ad
amenorrea o ginecomastia, oppure a galattorrea o impotenza maschile.

PEPTIDI DERIVANTI DALLA PRO-OPIOMELANOCORTINA


La pro-opiomelanocortina è un grosso precursore
prodotto dalle cellule corticotrope dell’adenoipofisi, che
dà origine non solo all’ormone ACTH, ma anche alle β-
lipotropine e le β-endorfine. Gli ormoni che derivano
dalla pro-opiomelanocortina vengono definiti
melanocortine. Questo precursore può andare incontro
ad una proteolisi limitata e può indurre in cellule diverse
la produzione di diverse melanocortine. Il precursore
iniziale è una proteina di 267 AA che si chiama pre-pro-
opiomelanocortina (nella figura): il primo taglio
proteolitico che subisce è la rimozione del peptide
segnale (che in questo caso ha un’estensione di 26 AA),
in questo modo si ottiene la pro-opiomelanocortina che
ha una lunghezza di 241 AA.

A questo punto la pro-opiomelanocortina può andare incontro ad altri tagli proteolitici, che però sono diversi
a seconda del tessuto considerato (o comunque della porzione che si considera anche a livello
dell’adenoipofisi), in quanto cellule diverse esprimono enzimi proteolitici diversi, che di conseguenza
operano tagli proteolitici diversi a livello del precursore e quindi danno prodotti diversi. Questi enzimi
responsabili dei tagli proteolitici sono detti pro-ormone convertasi.

Nelle cellule corticotrope dell’adenoipofisi, che producono ACTH, ci saranno particolari tipi di pro-ormone
convertasi che verranno attivati dal CRH ipotalamico (Corticotropic Realising Hormone) e che indurranno la
sintesi di ACTH. In questo caso la pro-opiomelanocortina viene tagliata in due punti dando origine a due
prodotti: il primo, verso l’estremità N-terminale, è l’ACTH (che ha una lunghezza di 39 amminoacidi), il
secondo prodotto è la β-lipotropina. Nel caso delle cellule corticotrope dell’adenoipofisi il prodotto
principale è l’ACTH, perché la β-lipotropina viene secreta ma non viene ulteriormente degradata.

Nelle cellule nervose può essere rilasciato anche il γ-MSH (Melano Sidestimulating Hormone) e questo
avviene grazie a due tagli proteolitici che riguardano la porzione N-terminale della pro-opiomelanocortina;
questo γ-MSH prodotto non ha però grossa attività biologica. La grossa attività biologica nella stimolazione
della secrezione di melanina da parte dei melanociti è posseduta dall’ɑ-MSH, che viene sintetizzato solo e
soltanto nelle cellule melanotrope dell’ipofisi intermedia (che nell’uomo non è molto sviluppata, ma contiene
queste cellule che producono la pro-opiomelanocortina, la quale, in seguito al primo taglio che produce ACTH
e β-lipotropina, operano un secondo taglio proteolitico che fornisce l’ɑ-MSH). Le cellule melanotrope
dell’ipofisi quindi non producono ACTH perché questo va subito incontro a un secondo taglio, ma producono
l’ɑ-MSH che va ad agire a livello dei melanociti regolando quindi la pigmentazione della cute.

A livello delle cellule corticotrope, oltre all’ACTH, viene prodotta anche la β-lipotropina, che in alcuni casi può
andare incontro a tagli successivi: in seguito ad un primo taglio dà origine alla γ-lipotropina, che non ha una
grossa attività biologica, e alla β-endorfina, che invece è un oppiaceo endogeno, quindi ha un importante
effetto soprattutto analgesico a livello dell’organismo.

La β-endorfina può essere ulteriormente modificata dando origina alla ɑ-endorfina e alla γ-endorfina, ma
quella con attività biologia maggiore resta la β-endorfina.

• ACTH - ORMONE ADRENOCORTICOTROPO [Lo ritroveremo quando parleremo della corticale del surrene
e quindi della biosintesi degli ormoni steroidei a livello corticale]

L’ACTH è rilasciato prevalentemente in risposta a condizioni di stress sia fisico che psicologico e agisce a livello
della corticale del surrene, dove induce la produzione di ormoni steroidei come corticosterone, cortisolo e
delle forme poco attive degli androgeni che sono prodotte nella zona reticolata della corticale.

Questo ormone agisce mediante un recettore accoppiato a proteine G e accoppiato a una subunità GS-alfa,
che va a stimolare l’asse adenilato ciclasi-cAMP e attiva la PKA.

Così come è stato visto per l’LH e per l’FSH che stimolavano la produzione di ormoni steroidei a livello delle
gonadi, anche l’ACTH, che stimola la produzione di ormoni steroidei, ma a livello della corticale del surrene,
va un po’ a regolare le loro stesse tappe, anche se in una sede diversa poiché agisce nella corticale del surrene,
dove aumenta la sintesi di colesterolo, in particolare:

- agisce sulle prime fasi della conversione da acetil-coA a squalene.


- aumenta la conversione del colesterolo in pregnenolone. Questa
costituisce la tappa di commissionamento verso la sintesi degli ormoni
steroidei, in cui il colesterolo viene indotto a entrare nel mitocondrio, gli
viene rimossa la catena laterale ottenendo il pregnenolone, da qui questo
ha poi destini diversi a seconda dei citotipi.
- nella corticale del surrene aumenta il rilascio degli steroidi la cui sintesi
viene stimolata.

Un eccesso di ACTH può dare origine a una sindrome, detta sindrome di


Cushing, dovuta appunto a una sintesi incontrollata di ACTH da parte
dell’adenoipofisi. Ci sono caratteristiche particolari che aiutano a
riconoscere questa sindrome:

- la facies lunaris, ossia faccia a luna piena, che mostrano tutti i pazienti
affetti da questa sindrome.
- obesità centripeta prevalentemente in sede addominale.
- presenza di striature rosse a livello dell’addome.
- tendenza alla ecchimosi.
- arti molto sottili.
- resistenza all’insulina e iperglicemia: molto spesso questi pazienti acquisiscono anche una patologia da
sindrome metabolica e possono sviluppare un quadro di insulino-resistenza e, se questo va avanti, anche
di diabete, perché chiaramente il cortisone e i corticosteroidi hanno ruoli importanti come
iperglicemizzanti, quindi svolgono un ruolo simile al glucagone, il quale è rilasciato in seguito a ipoglicemia,
mentre questi sono rilasciati in seguito a stimolazione da parte di stress fisici e psicologici.

• B-ENDORFINE

Le endorfine agiscono da oppiodi endogeni,


quindi mediano quella che è la percezione del
dolore, e normalmente hanno un’attività e un
effetto analgesico. La β-endorfina è sicuramente
quella con attività biologica maggiore, deriva dal
taglio della β-lipotropina e può andare anch’essa
incontro ad altri tagli proteolitici, da cui derivano
le ɑ-endorfine e le γ-endorfine, che però sono
meno attive.

Queste endorfine, prodotte a livello


dell’adenoipofisi, normalmente vengono
riversate in circolo in forma inattiva, perché a
livello dell’adenoipofisi vengono subito anche
acetilate e l’acetilazione ne determina l’inattivazione. Le endorfine vengono attivate quando raggiungono il
SNC e il SNP, dove sono presenti delle deacetilasi che rimuovono questi gruppi acetilici, permettendo alle
endorfine di riacquisire la loro attività e possono andare così ad agire come neuromodulatori.

Le β-endorfine si legano a dei recettori accoppiati a proteine G e l’interazione può avere effetti diversi a
seconda del tipo di recettore. Questi recettori riescono anche a legare degli oppiacei esogeni, che possono
essere utilizzati o come antidolorifici o come sostanze stupefacenti, come la morfina: le endorfine scatenano
una risposta che è 50 volte superiore rispetto alla morfina, quindi come attività biologica gli oppiacei
endogeni hanno sicuramente un’attività maggiore di quelli esogeni, considerando ovviamente pari
concentrazioni.

In particolare, esistono tre tipologie di GPCR (recettori a proteine G): k, δ “delta” e µ “mu”:

• i recettori δ e µ, in seguito al legame con gli oppiacei, vanno a regolare dei canali per il potassio K+ (questi
recettori sono accoppiati a G, quindi hanno attività inibitoria nei confronti dell’adenilato ciclasi).
• il recettore k va invece a mediare un’attivazione dei canali per il calcio Ca2+ sempre via GPCR (nel caso in
questione sembra sia mediato da una GQ-alfa).
In entrambi i casi quello che cambia è lo stato di polarizzazione della membrana, quindi agiscono comunque
da neuromodulatori. Gli effetti però che si hanno in seguito a stimolazione dei recettori µ e in seguito a
stimolazione dei recettori k, sono diversi:

‣ la stimolazione dei k porta allo stimolo di sedazione e all’effetto analgesico; infatti i farmaci di tipo
endorfinico utilizzati a scopo sedativo e analgesico vanno a legare principalmente i recettori di tipo k
(chiaramente sono farmaci sintetizzati ad hoc per avere maggior affinità per questo tipo di recettori).
‣ la stimolazione dei recettori µ, oltre all’effetto analgesico, determina anche un effetto di dipendenza,
causato ad esempio dall’eroina e dalla morfina, un effetto di euforia generale e un effetto di depressione
respiratoria, quindi rallenta il ciclo respiratorio. Per evitare gli effetti indotti dalla stimolazione dei recettori
µ, ci sono degli agonisti specifici per il recettore k che, nonostante abbiano un effetto analgesico e sedativo,
evitano questo effetto di dipendenza e questo effetto euforico.

Domanda: A parità di concentrazione, le endorfine esogene hanno attività biologica minore di quelle
endogene probabilmente perché c’è una più rapida desensibilizzazione del recettore in seguito a stimolazione
con sostanze esogene; chimicamente queste molecole sono simili poiché hanno affinità per gli stessi recettori,
ma chiaramente non sono la stessa molecola, quindi probabilmente questo incide anche sulle modificazioni
che inducono nel recettore anche sul suo ciclo di spegnimento.
Sbobina n°37 – Biochimica Ormonale
Prof.ssa: Elisa Giannoni
Data: 29 Aprile 2021
Sbobinatore: Melissa Faggi
Revisore: Emma Deng

Ormoni del surrene


Gli ormoni prodotti dal surrene sono ormoni lipofili, prodotti dalle varie zone anatomiche che
costituiscono la corticale del surrene.

- Zona glomerulare (zona più esterna): vengono prodotti i mineralcorticoidi, sotto stimolo
dell’angiotensina II;

- Zona fascicolata: vengono prodotti principalmente i glucocorticoidi (cortisolo e


corticosterone), sotto stimolo dell’ACTH ipofisario;

- Zona reticolata (zona più interna, a contatto con la midollare): vengono prodotti sia i
glucocorticoidi, ma principalmente gli androgeni. Gli androgeni non hanno una attività
biologica importante, in quanto questi dovranno subire una modifica in modo da convertirsi
in androgeni più attivi: questa modifica la subiranno in sede extracorticale, principalmente
a livello delle gonadi.

I mineralcorticoidi, in primis l’aldosterone, sono composti a 21 atomi di carbonio che hanno il ruolo
di regolare il riassorbimento di sodio a livello dei tubuli renali, partecipando alla regolazione
dell’equilibrio idrosalino.

1
Questi vengono secreti in seguito a una riduzione del volume plasmatico e in seguito a uno stimolo
ipotensivo, contrastandolo e determinando un aumento del volume plasmatico e della pressione
sanguigna. Questa funzione è svolta in concomitanza con la vasopressina o ormone antidiuretico
che viene prodotto dalla neuroipofisi.

I glucocorticoidi sono anch’essi ormoni a 21 atomi di carbonio e si occupano di regolare il


metabolismo del glucosio, promuovendo la gluconeogenesi e conseguentemente la glicolisi, e
regolano anche il metabolismo del glicogeno. Il più importante è il cortisolo, che viene secreto in
seguito a stimolazione con ACTH ipofisario.

Gli androgeni sono ormoni a 19 atomi di carbonio. Quelli che vengono prodotti in sede corticale
sono il deidroepiandrosterone e l’androstenedione, che hanno un’attività biologica piuttosto bassa
e che verranno convertiti in una forma più attiva in sede extracorticale.

Introduzione alla biosintesi

Gli ormoni steroidei derivano dal colesterolo. Il colesterolo può essere assunto con la dieta
(attraverso alimenti di origine animale): viene assorbito a livello intestinale e viene poi trasportato
al fegato e ad altri tessuti attraverso i chilomicroni. Una delle sedi principali dove viene accumulato
il colesterolo è il fegato, il quale non riceve soltanto quello alimentare ma può anche attivare una
sintesi endogena di colesterolo, soprattutto in alcune condizioni (es. grande disponibilità di Acetil-
CoA).
Il fegato provvede alla biosintesi endogena di colesterolo per il 20-25%, anche se gran parte di
questa sintesi può avvenire a livello della corticale del surrene e a livello delle gonadi, dove il
colesterolo svolge un ruolo molto importante come precursore degli ormoni steroidei.
Rimanendo nel contesto della corticale del surrene, il colesterolo che verrà utilizzato per la sintesi
dei mineralcorticoidi, glucocorticoidi e androgeni, può derivare dalle LDL ematiche oppure essere
sintetizzato a livello delle cellule corticali.

Il colesterolo, proveniente da entrambe le vie, viene accumulato nelle cellule della corticale del
surrene (sia fascicolata, reticolata e glomerulare) sottoforma di gocce lipidiche, che prendono il
nome di lipid droplets. Nel momento in cui vi è necessità di utilizzare questo colesterolo per
un’intensa sintesi di ormoni steroidei, questo deve essere liberato da questa forma di
immagazzinamento.
Un primo evento importante è l’azione dell’ACTH che agisce a livello della zona fascicolata e della
zona reticolata e dell’angiotensina II che agisce a livello della zona glomerulare, promuovendo la
mobilizzazione del colesterolo dalle gocce lipidiche.
Un altro step importante che commissiona il colesterolo verso la sintesi degli ormoni steroidei è la
sua conversione in pregnenolone, il quale è il precursore di tutti gli ormoni steroidei. Questo step
di commissionamento e di conversione in pregnenolone è la reazione limitante dell’anabolismo
degli ormoni steroidei. L’enzima che catalizza questa reazione si trova a livello del mitocondrio: il
colesterolo, dalla sua sede citosolica (dove viene accumulato nei lipid droplets), dovrà raggiungere
la matrice mitocondriale.
Nella traslocazione del colesterolo dal citoplasma alla matrice mitocondriale svolge un ruolo
importante l’ACTH, il quale la promuove a livello delle zone fascicolata e reticolata.

2
Questo stesso ruolo, nella zona glomerulare, verrà portata avanti dall’angiotensina II: innesca la
biosintesi dell’aldosterone quando arriva uno stimolo della riduzione del volume plasmatico o della
pressione plasmatica.

L’ACTH è un ormone ipofisario che, nelle zone fascicolata e reticolata, si lega a recettori accoppiati
a proteine Gsα, con conseguente aumento cAMP e attivazione della PKA. In questo modo, l’ACTH
può avere degli effetti a breve termine.
Gli effetti a breve termine sono l’attivazione della PKA che fosforilerà e attiverà una colesterolo
esterasi, che avrà il ruolo di mobilizzare il colesterolo dalle lipid droplets. Il secondo target della PKA
attivata è una proteina integrale della membrana mitocondriale interna, la StAR (Steroidogenic
Acute Regulatory protein), la quale ha la funzione di trasportare il colesterolo dal citoplasma verso
la matrice mitocondriale.
L’attivazione ACTH-mediata della colesterolo esterasi e della proteina StAR sono passaggi
fondamentali al fine di avere l’anabolismo degli ormoni steroidei a livello della corticale del surrene.

L’ACTH può avere anche degli effetti a lungo termine che riguardano la regolazione dell’espressione
genica, in particolare aumentando la trascrizione di tutti i geni codificanti enzimi coinvolti nella
biosintesi degli ormoni steroidei.

Lo step successivo per la biosintesi degli ormoni steroidei avviene a livello della matrice
mitocondriale, laddove il colesterolo è stato trasportato grazie alla proteina StAR. Questa reazione
è la reazione limitante della sintesi degli ormoni steroidei: il colesterolo viene commissionato e
convertito nel precursore di tutti gli ormoni steroidei che è il pregnenolone.

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Questa reazione è catalizzata da una monossigenasi mitocondriale, appartenente alla famiglia delle
citocromo P450 ossidasi (proteina CYP450 11A1), la quale viene stimolata a sua volta da ACTH e che
induce una idrossilazione di due carboni (in ordine, prima il 22 e poi il 20) a livello della catena
alifatica del colesterolo. L’attività di questo enzima, dipendente sia da O2 che da NADPH, porterà
alla doppia idrossilazione del colesterolo, alle cui seguirà un taglio della catena laterale con
conseguente formazione del pregnenolone e dell’isocaproaldeide che non ha più una funzionalità
biologica.

I citocromi P450 sono degli enzimi che utilizzano ossigeno e prendono il nome di monossigenasi
perché soltanto uno degli atomi di ossigeno verrà introdotto nel substrato, in questo caso verranno
introdotti due gruppi idrossilici (in posizioni 22 e 20). L’altro atomo di ossigeno verrà ridotto ad
acqua. Quindi, grazie agli elettroni donati dal NADPH, entrambi gli atomi di ossigeno della molecola
di O2 verranno ridotti ma soltanto uno dei due verrà introdotto nel substrato. In definitiva qui sono
2 step di idrossilazioni, verrano utilizzate 2 molecole di O2, 2 di NAPH e usciranno 2 molecole di
acqua.

A partire dal pregnenolone potranno essere sintetizzati con vie di sintesi particolari e specifiche, per
ogni zona della corticale del surrene, i diversi ormoni steroidei.
- Glucocorticoidi (zona fascicolata): cortisolo e corticosterone;
- Androgeni (zona reticolata): androstenedione e deidroepiandrosterone;
- Mineralcorticoidi (zona glomerulare): aldosterone.

Per quanto riguarda l’estradiolo e il progesterone non verranno sintetizzati a livello della corticale
del surrene, ma bensì:
- L’estradiolo a livello dell’ovaio e del tessuto adiposo;
- Il progesterone a livello dell’ovaio, del corpo luteo e della placenta.

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Biosintesi degli ormoni steroidei

Adesso vediamo come a partire dal pregnenolone possono essere sintetizzati i diversi ormoni
steroidei nei diversi livelli della corticale del surrene.
Il punto di partenza è uno, mentre le vie che si possono seguire sono diverse a seconda della
localizzazione anatomica.
- Box in rosa: identifica la via biosintetica che si segue a livello della zona glomerulare, con
sintesi dei mineralcorticoidi stimolata dall’angiotensina II;

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- Box in verde: via biosintetica che si segue a livello della zona fascicolata, dove vengono
sintetizzati i glucocorticoidi;
- Box in azzurro: via biosintetica che caratterizza la zona reticolata, dove vengono prodotti in
parte i glucocorticoidi ma in particolare gli androgeni a bassa attività.

Biosintesi a livello della zona glomerulare (box in rosa)

Inizialmente, il pregnenolone si forma a livello mitocondriale. Gli enzimi


coinvolti negli step successivi, che catalizzano le reazioni di biosintesi
dei mineralcorticoidi, si trovano a livello del reticolo endoplasmatico
liscio: quindi il pregnenolone dovrà essere trasferito qua.

A livello del REL, vi sono due enzimi, la 3-β-idrossisteroide deidrogenasi


e la Δ5,4-isomerasi, che provvedono a convertire il pregnenolone in
progesterone. Il progesterone che si forma in questo step non verrà
secreto all’esterno ma è soltanto un intermedio della via biosintetica.

Il progesterone si differenzia dal pregnenolone per l’ossidazione del


gruppo ossidrilico in posizione 3 (conversione dell’OH in gruppo
chetonico) e per lo spostamento del doppio legame dalle posizioni 5,6
alle posizioni 4,5.

Sempre a livello del REL, agirà una 21-idrossilasi (che appartiene sempre
alla famiglia delle citocromo P450 monossigenasi), la quale catalizzerà
l’idrossilazione del carbonio in posizione 21 del progesterone. Si viene a
formare così il deossicorticosterone, che verrà trasportato nuovamente
a livello del mitocondrio, sede dove agirà l’enzima successivo, ovvero la
11β-idrossilasi.

Questo enzima catalizza l’aggiunta di un OH in posizione 11, formando


il corticosterone, il quale può essere già secreto dalla corticale del
surrene, ma presenta una bassa attività biologica.

Per essere convertito nel mineralcorticoide, che è l’obiettivo della via


metabolica, il corticosterone non viene generalmente secreto e sarà
substrato di due enzimi mitocondriali, localizzati soltanto nella zona
glomerulare. Quindi i mineralcorticoidi vengono sintetizzati soltanto
nella glomerulare poiché soltanto qua sono presenti i due enzimi che
catalizzano questa reazione. Questi enzimi sono la 18-idrossilasi e la 18-
idrossisteroide deidrogenasi, la loro azione è quella di convertire ciò
che è rimasto della catena laterale (che parte dal ciclopentano) in un
gruppo aldeidico.

In questo modo si ha la sintesi dell’aldosterone che può essere rilasciato


dal surrene. Questa via metabolica viene stimolata dalla presenza
dell’angiotensina II.

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Biosintesi a livello della zona fascicolata (box in verde)

Come si può osservare in figura, il box verde


riguarda sia la sintesi di corticosterone che
quella di cortisolo, in quanto questi sono i due
ormoni glucocorticoidi che vengono sintetizzati
a livello della zona fascicolata del surrene.

In questo caso, la via biosintetica viene attivata


in seguito a stimolazione con ACTH.

Si parte sempre dal pregnenolone, il quale


soltanto in piccola parte subisce lo stesso
destino al quale va incontro nella zona
glomerulare, con conversione in progesterone.
Infatti, data la presenza nella zona fascicolata e
nella zona reticolata di un enzima, la 17α-
idrossilasi (enzima del REL, sempre
appartenente alla famiglia delle citocromo P450
monossigenasi), la maggior parte del
pregnenolone tende a seguire il destino con
conversione in 17-idrossipregnenolone.

Sempre nel REL, agiranno poi la 3-β-


idrossisteroide deidrogenasi e la Δ5,4-
isomerasi, che a pari di quello che avviene nella
glomerulare, catalizzeranno la conversione del
gruppo idrossilico in posizione 3 in gruppo
carbonilico e lo spostamento del doppio legame
dalle posizioni 5,6 alle posizioni 4,5, formando
17-idrossiprogesterone.

A questo punto agiranno la 21-idrossilasi e poi


la 11β-idrossilasi, con formazione del cortisolo.

Questa è la via principale che porta alla sintesi dei glucocorticoidi (nello specifico cortisolo), che
avviene a livello della zona fascicolata della surrene.
In piccola parte, il pregnenolone potrà seguire la stessa via che è prevalente nella zona glomerulare,
fermandosi però allo step di formazione del corticosterone, poiché qui non sono presenti gli enzimi
necessari.

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Biosintesi a livello della zona reticolata (box in azzurro)

A livello della zona reticolata avviene


qualcosa di molto simile, in quanto
qui può avvenire sia la sintesi di
cortisolo oltre a quella di androgeni a
bassa attività (questo è il suo ruolo
specifico e prevalente).

Come nella fascicolata, anche la


biosintesi di ormoni steroidei a livello
della reticolata è stimolata
dall’ACTH.

Si parte sempre dal pregnenolone, il


quale viene convertito in 17-
idrossipregnenolone mediante una
reazione catalizzata dalla 17α-
idrossilasi.
Il 17-idrossipregnenolone va
incontro per la maggior parte a una
reazione catalizzata da un enzima
che si trova solo nella zona reticolata,
la 17,20-liasi, la quale rompe il
legame C-C a livello del carbonio 17
con rimozione della catena laterale.
Otteniamo in questo modo la
formazione del
deidroepiandrosterone.
Il deidroepiandrosterone può essere rilasciato e, presentando una bassa attività, potrà essere
convertito in androgeni più attivi a livello di altre sedi, come nelle gonadi.

Altrimenti, invece di essere rilasciato, può andare incontro alla stessa reazione catalizzata dal 3-β-
idrossisteroide deidrogenasi e la Δ5,4-isomerasi (sempre nel reticolo), con formazione
androstenedione. Questo è l’androgeno a bassa attività che viene prodotto e rilasciato
principalmente a livello della reticolata del surrene.
L’androstenedione verrà poi convertito in testosterone mediante una riduzione a livello del C17 che
però avverrà in sede extracorticale. Una piccola quota di testosterone si può formare a livello della
reticolata del surrene, in quanto l’enzima che catalizza la reazione in esame è presente, ma è poco
rappresentato e presenta scarsa attività.

Compartimentazione subcellulare

In definitiva, la biosintesi degli ormoni steroidei riguarda diversi compartimenti subcellulari,


principalmente il mitocondrio e il reticolo endoplasmatico liscio.

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Per quanto riguarda il cortisolo,
possiamo vedere come il primo
e il quinto step avvengano nel
mitocondrio:
1. Conversione da
colesterolo a pregnenolone
(step limite);
5. Conversione da 11-
deossicortisolo a cortisolo.

Mentre gli altri tre step


avvengono nel REL, dove
risiedono la 3-β idrossisteroide-
deidrogenasi, la 17α idrossilasi
e la 21 idrossilasi.

GLUCOCORTICOIDI
Secrezione dei glucocorticoidi

La secrezione dei glucocorticoidi nella zona fascicolata e degli androgeni nella zona reticolata
dipende dalla sintesi di ACTH (ormone adrenocorticotropo), che a sua volta è stimolata dalla sintesi
ipotalamica di CRH (corticotropin releasing hormone), il quale è prodotti dai neuroni parvicellulari
dell’ipotalamo.

L’ipotalamo da una segnalazione di azione all’adenoipofisi per secernere l’ACTH, il quale stimola
recettori Gsα localizzati sulle cellule delle zone fascicolata e reticolata della corteccia surrenale, e
porta così a sintesi e secrezione di glucocorticoidi e androgeni surrenalici.

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Trasporto plasmatico dei glucocorticoidi

I glucocorticoidi sono ormoni steroidei e quindi, essendo lipofili, non possono circolare liberamente
nel torrente circolatorio ma hanno bisogno di una proteina carrier. Il carrier è costituito
principalmente dalla transcortina, che è detta anche CBG (globulina legante i corticosteroidi), la
quale è quindi deputata principalmente al trasporto di cortisolo e corticosterone a livello ematico.
In parte, anche l’albumina svolge questo ruolo, ma si occupa principalmente del trasporto
dell’aldosterone che viene secreto dalla zona glomerulare.

I glucocorticoidi vengono secreti dalla corticale del surrene e raggiungono i loro tessuti bersaglio,
dove andranno ad espletare il loro ruolo. Questi tessuti bersaglio possono essere diversi e per
quanto riguarda il controllo metabolico saranno principalmente il fegato, il muscolo scheletrico, in
parte il cardiaco: ovvero dove andranno a stimolare la glicogenolisi in sede muscolare e la
glicogenolisi e gluconeogenesi in sede epatica.

I glucocorticoidi segnalano anche a livello del tessuto adiposo, nel quale prosegue una parte del
loro metabolismo. Questo tessuto non è un bersaglio dell’attività dei glucocorticoidi ma una sede in
cui prosegue la via biosintetica e, in particolare, avverrà la conversione dei glucocorticoidi in ormoni
sessuali.

Il fegato e il rene, invece, hanno un ruolo importante nel catabolismo, degradazione ed escrezione
dei glucocorticoidi. Infatti, in queste sedi, gli ormoni vengono inattivati mediante la formazione di
17-idrossicorticosteroidi: l’idrossilazione in posizione 17 porta alla formazione di glucocorticoidi
inattivi che poi subiranno anche altre modifiche, tra cui una solfonazione e una glucurazione, che li
renderanno più solubili e permetteranno la loro escrezione con le urine.

Gli effetti dei glucocorticoidi

1. Regolare il metabolismo del glucosio e del glicogeno: incrementare i livelli plasmatici di


glucosio, in modo da renderlo disponibile per i vari tessuti, tra cui l’SNC. Questo aumento
del glucosio ematico si ha principalmente in seguito ad eventi di stress fisico e psicologico

10
(mediata principalmente dal cortisolo), a differenza dell’iperglicemia post digiuno che è
mediata dalla stimolazione da parte del glucagone.
Come abbiamo detto prima, a livello del muscolo scheletrico e del fegato, che sono gli organi
nei quali si ha una attivazione sostanziale di glicogenolisi (entrambi) e di gluconeogenesi
(solo nel fegato), si ha questa risposta che porta poi all’effetto iperglicemico.

2. Aumentano la degradazione delle proteine a livello muscolare: gli amminoacidi devono


essere disponibili per la gluconeogenesi. Il ruolo che ha l’aumento del catabolismo delle
proteine nel muscolo non è quello di ottenere amminoacidi che vengono catabolizzati per
ottenere energia; ma bensì ottenere amminoacidi che possano essere utilizzati per
supportare la gluconeogenesi (quindi principalmente amminoacidi glucogenici).

3. Incremento della lipolisi nel tessuto adiposo: il ruolo è sempre quello di sostenere la
glicemia ematica. Il tessuto adiposo fornisce acidi grassi, in modo che questi possano essere
utilizzati come substrati energetici per risparmiare il glucosio. A livello epatico, questi acidi
grassi sosterranno anche l’intensa gluconeogenesi che viene attivata dal cortisolo.
Se si stimola lipolisi a livello del tessuto adiposo al fine di immettere in circolo acidi grassi,
un effetto contrario si ha a livello del tessuto adiposo che si trova nel volto e nel tronco: in
questo caso, i glucocorticoidi, invece di indurre un effetto lipolitico, inducono un effetto
lipogenico.

4. Aumento della ritenzione idrica: lieve effetto ipertensivo.

5. Soppressione della risposta infiammatoria e immunitaria: questo perché aumentano la


produzione di citochine che agiscono come mediatori anti-infiammatori e riducono la
produzione di citochine pro-infiammatorie. Hanno anche un’azione diretta a livello dei
leucociti circolanti, sui quali vanno a ridurre la motilità, impedendo loro di raggiungere la
sede dell’infiammazione, e inducono anche la produzione di lipocortine, che sono prodotti
lipofili che sono sintetizzati a partire dall’acido arachidonico, e hanno il ruolo di inibire la
fosfolipasi A2 (che ha il ruolo di rilasciare acido arachidonico da parte dei fosfolipidi di
membrana), così da garantire disponibilità di acido arachidonico e quindi inibire la sintesi di
prostaglandine e leucotrieni. In particolare, le prostaglandine che sono i mediatori
dell’infiammazione.

Secrezione degli steroidi

La secrezione degli steroidi segue un ritmo circadiano. Gli ormoni steroidei, i glucocorticoidi, quando
vengono sintetizzati non vengono accumulati, ma vengono secreti immediatamente.
Esiste un ritmo circadiano: è stato visto che sotto stimolo di ACTH, che ha a sua volta una liberazione
ipofisaria che segue un certo ritmo circadiano, il cortisolo viene secreto soprattutto intorno alle ore
8 del mattino. Quindi questo ritmo circadiano prevede un elevata concentrazione di cortisolo al
mattino con una rapida riduzione alla sera/notte. Questo suggerisce l’esistenza di un ruolo cruciale
di questo ormone nel preparare il nostro cervello alle migliori prestazioni sia mentali che fisiche
subito dopo il risveglio.
Anche quando si utilizzano farmaci che mimano l’effetto dei glucocorticoidi, questi devono essere
somministrati ad orari specifici, in modo da riuscire a mimarne l’effetto.

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MINERALCORTICOIDI
Secrezione dei mineralcorticoidi

I mineralcorticoidi vengono prodotti a livello della zona glomerulare, mediante stimolazione da


parte dell’angiotensina II, che è prodotta in seguito a uno stimolo di riduzione del volume ematico
e della pressione sanguigna. Il processo che porta alla sintesi di angiotensina II si ha a partire da uno
stimolo recettoriale, che viene “sentito” dai barocettori che si trovano a livello della zona
iuxtaglomerulare del rene.
I barocettori sono molto sensibili alla distensione o rilassamento della parete del vaso. Quindi,
quando si ha rilassamento a livello della parete del vaso, dovuto a un crollo della pressione
sanguigna o a una riduzione del volume plasmatico, i barocettori inviano un segnale che a livello del
rene si traduce con l’attivazione di una proteasi, la renina.

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La renina viene attivata da questi barocettori che “sentono” il rilassamento della parete dei vasi,
dovuto a uno stimolo ipotensivo o a una riduzione del volume plasmatico.
La renina è una proteasi che va a tagliare l’angiotensinogeno, che è una proteina plasmatica
prodotta dal fegato, convertendola in angiotensina I.
L’angiotensina I è una proteina costituita da 10 amminoacidi che va incontro a un altro taglio
proteolitico controllato ad opera di un enzima che prende il nome di ACE (angiotensin converting
enzyme), che è sintetizzato in sede polmonare e che esegue un taglio proteolitico, convertendo
l’angiotensina I in angiotensina II, che è costituita da 8 amminoacidi.

L’angiotensina II ha una doppia funzione:


- Da una parte, va a stimolare le cellule della glomerulare del surrene a produrre aldosterone;
- Dall’altra parte, può avere un effetto diretto a livello delle cellule renali nel garantire un
riassorbimento di sodio, con un conseguente riassorbimento di acqua a livello dei tubuli
renali, in modo da avere come risposta un aumento del volume plasmatico (effetto
ipertensivo).
L’effetto ipertensivo è supportato anche dal fatto che l’angiotensina II può andare
direttamente a stimolare la muscolatura liscia dei vasi e a indurre un effetto di contrazione,
con risultato la vasocostrizione e l’aumento della pressione sanguigna.
L’angiotensina II può essere convertita anche in angiotensina III da parte di una amminopeptidasi,
ma l’angiotensina III è una proteina con scarsa attività biologica e che solo debolmente riesce a
stimolare la sintesi di aldosterone a livello surrenale. Infatti, l’angiotensina IIIì tende ad andare
incontro a degradazione da parte dell’angiotensinasi, che è un’altra proteasi.
L’angiotensina più attiva è l’angiotensina II.

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L’aldosterone viene immesso in circolo e trasportato prevalentemente dall’albumina. La sua azione
si ha a livello delle cellule dei tubuli distali del rene, andando a stimolare principalmente il
riassorbimento di sodio, a cui segue un riassorbimento di acqua, e stimola anche la secrezione di
potassio, idrogenioni e ione ammonio.
L’aldosterone viene catabolizzato a livello epatico attraverso una coniugazione con l’acido
glucuronico, che lo rende più solubile e così escreto a livello delle urine.

In questa immagine possiamo osservare ciò che abbiamo descritto poco fa, ovvero il sistema di
regolazione renina-angiotensina-aldosterone, con una sola differenza: infatti, in questa immagine
può essere osservato come l’angiotensina II, prodotta in seguito alla stimolazione delle cellule della
zona iuxtaglomerulare del rene, non va a stimolare solo direttamente il riassorbimento di sodio a
livello dei tubuli distali del rene e la vasocostrizione a livello dei vasi, ma va a stimolare anche la
corticale del surrene e anche a livello della neuroipofisi. Quindi non induce soltanto il rilascio di
aldosterone, ma anche di vasopressina, che è un ormone antidiuretico.
Quindi queste sono diverse azioni che hanno lo stesso scopo di favorire un riassorbimento idrico a
livello renale e di favorire un aumento del volume plasmatico, con effetto ipertensivo.
L’effetto ipertensivo andrà a “spegnere” la produzione di renina e, con un processo di feedback
negativo, andrà a “spegnere” l’intero sistema renina-angiotensina-aldosterone.

Meccanismo di segnalazione degli ormoni steroidei

Questi effetti, sia dei mineralcorticoidi che dei glucocorticoidi, sono mediati a livello dei tessuti
bersaglio (cellule muscolari lisce dei vasi, cellule dei tubuli distali del rene) da dei recettori che
servono a recepire il segnale portato dagli ormoni della corticale del surrene.

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I recettori per gli ormoni della corticale del surrene (aldosterone, glucocorticoidi, androgeni) sono i
cosiddetti “recettori per gli ormoni steroidei”. Sono recettori localizzati a livello citosolico, in quanto
questi ormoni sono lipofili ed entrano direttamente nelle cellule del tessuto bersaglio.
A differenza dei recettori per gli ormoni tiroidei, i quali erano già presenti in sede nucleare e già
associati alla cromatina, i recettori per gli ormoni della corticale del surrene si trovano a livello
citosolico, resi inattivi mediante il legame con delle heat shock protein (hsp). Questa inibizione è
analoga a quella del recettore dell’acido retinoico (rxr) per il recettore degli ormoni tiroidei.
Le hsp che si associano al recettore per questi ormoni della corticale e che inibiscono la sua attività
sono diversi a seconda del tipo di ormone (vedi figura).

Queste hsp mantengono in uno stato inattivo questi recettori citosolici. Nel momento in cui arriva
l’ormone, questo si lega al recettore spiazzando il legame che questi avevano con le hsp, rendendo
attivo il recettore.
Quindi, a questo punto il recettore può migrare nel nucleo e legarsi ai cosiddetti hormone
responsive elements a livello dei promotori dei geni specifici, regolando così la trascrizione di geni
responsivi all’ormone che sta portando avanti la sua segnalazione.
Ci troviamo in un tipo di regolazione a lungo termine.

Importante però sottolineare che prima di migrare nel nucleo, i recettori per gli ormoni corticali
subiscono anche una dimerizzazione. Non si tratta di omodimerizzazione come nel caso degli ormoni
tiroidei che aveva un ruolo inattivante, ma bensì si tratta di una omodimerizzazione in senso
attivante.
Affinché i recettori per gli ormoni corticalici siano attivi devono legare l’ormone, formare un
omodimero ed essere fosforilati; una volta attivi potranno entrare nel nucleo e legarsi a specifici
elementi sul DNA, attivando la trascrizione di geni specifici.

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Chiaramente, ogni tipo di recettore riconosce una sequenza specifica. Vi sarà un hormone
responsive element (HRE) diverso per i diversi recettori dei vari ormoni.
Una volta che questi HRE saranno occupati dal recettore omodimerico e fosforilato, andranno a
reclutare anche dei coattivatori, tra cui la RNA polimerasi per portare avanti l’effetto di trascrizione.

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Nonostante i recettori per gli ormoni steroidei (in generale e non solo della corticale del surrene, in
quanto vale anche per quelli prodotti a livello delle gonadi), “sentono” ligandi diversi e agiscono su
geni diversi, hanno una struttura molto simile.
Infatti, tutti questi recettori sono formati da 4 domini, dove ciascuno di questi ha una attività
particolare.
- Il dominio AB: contiene delle sequenze che modulano la trascrizione, ruolo che condivide
con il dominio E;
- Il dominio C: è implicato nella formazione dell’omodimero, ruolo condiviso a sua volta con il
dominio E, e anche nella funzione di legare il DNA, che è una funzione esclusiva del dominio
C dei diversi recettori per gli ormoni steroidei. Qua sarà presente una particolare struttura
della proteina (nello specifico a dita di zinco) che avrà un’estrema affinità per il DNA e che
garantirà il legame dei recettori con le specifiche sequenze, per ogni recettore si andranno
a legare zone diverse del DNA;
- Il dominio D: contiene il sito di localizzazione nucleare, ovvero è qua che si trova la sequenza
del recettore per l’ormone steroideo che serve per far migrare il recettore nel nucleo. Questa
funzione è condivisa con il dominio E;
- Il dominio E presenta tante funzioni che vengono condivise con gli altri domini del recettore,
ad eccezione della funzione di garantire il legame con l’ormone, specifica per ciascun
recettore nei confronti di ciascun ormone.

Le sequenze consenso (le HRE) che vengono legate dai vari recettori attivati sono diverse a seconda
dell’ormone. In alcuni casi sono delle sequenze palindromiche con tre nucleotidi spaziatori (come
per i recettori dei glucocorticoidi GRE o per gli estrogeni ERE). In altri casi sono delle sequenze
palindromiche senza nucleotidi spaziatori (come per i recettori tiroidei) oppure addirittura non
palindromiche (come per la vitamina D).

17
Gli ormoni delle gonadi
Gli ormoni che vengono prodotti a livello delle gonadi (testicoli e ovaie) sono
ormoni steroidei (e lipofili) che garantiscono sia la gametogenesi sia lo sviluppo
dei caratteri sessuali primari e secondari, sia nell’uomo che nella donna.
Gli androgeni e gli estrogeni, quindi gli ormoni che vengono prodotti in sede
gonadica sia nei testicoli che nelle ovaie, vengono regolati dalle gonadotropine
(FSH e LH) che sono secrete dall’adenoipofisi, che a loro volta sono regolati dal
rilascio del Gn-RH (ormone di rilascio delle gonadotropine) a livello
ipotalamico.
Si ha quindi una stimolazione che prevede quest’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi
che porta alla sintesi degli androgeni, estrogeni e progestinici. Questi tre tipi
di ormoni vengono prodotti sia dall’uomo che dalla donna (quindi non esistono
ormoni maschili o femminili), quindi ciò che varia è la percentuale in cui
vengono sintetizzati nell’uomo e nella donna questi ormoni steroidei, e quindi
la percentuale che si ritroverà in circolo e che svolgerà la propria funzione.
Nell’uomo, l’ormone gonadico prevalente è il testosterone, mentre nella
donna saranno gli estrogeni e i progestinici.

Biosintesi degli ormoni delle gonadi

La biosintesi di questi ormoni è molto simile a quella degli ormoni che vengono prodotti dalla
corticale del surrene e la prima fase è esattamente identica. Cambia la stimolazione, nel senso che
nella corticale del surrene la produzione degli ormoni steroidei veniva indotta dall’ACTH nella zona
fascicolata e reticolata, mentre dall’angiotensina II nella zona glomerulare; per quanto riguarda la
sintesi degli ormoni gonadici, questa viene stimolata dall’FSH e dall’LH prodotti a livello della
ghiandola pituitaria.

Le fasi iniziali della via biosintetica sono essenzialmente le stesse. Anche in questo caso, il precursore
per la sintesi degli ormoni delle gonadi è il colesterolo, che può derivare dalle LDL ematiche oppure
biosintetizzato a livello delle gonadi e viene accumulato a livello delle lipid droplets nelle gonadi.
Nel momento in cui arriva la stimolazione con LH o FSH, si ha liberazione di colesterolo da parte
dagli accumuli lipidici e la stimolazione, mediante fosforilazione, della proteina StAR che media la
traslocazione del colesterolo nella matrice mitocondriale.
A livello della matrice mitocondriale sarà presente lo stesso enzima di commissionamento, la
citocromo P450 11A1, che verrà stimolata principalmente da LH e che medierà l’idrossilazione in
posizione 22 e 20 del colesterolo, il taglio della catena laterale e la formazione del pregnenolone,
che sarà il vero precursore degli ormoni delle gonadi.

18
SINTESI DI TESTOSTERONE

Si ha sia a livello delle gonadi maschili (cellule di Leydig e del Sertoli) che femminili (cellule della
teca e della granulosa dell’ovaio).
Parte del testosterone può essere prodotto anche in sede extragonadica e quindi provenire anche
dalla zona reticolata della corticale del surrene (anche se la quota è minima).

Il pregnenolone che viene prodotto a livello delle gonadi potrà seguire due vie biosintetiche distinte,
per arrivare al testosterone.

Una via è quella del deidroepiandrosterone,


che è prevalente a livello delle gonadi maschili
(testicoli), mentre l’altra, via del progesterone,
è prevalente a livello delle gonadi femminili
(ovaie).

Via del deidroepiandrosterone (via di sinistra)


Il pregnenolone subisce una idrossilazione ad
opera della 17α-idrossilasi, che è un enzima
che si trova nel REL e che agisce anche a livello
della corticale del surrene. Si forma il 17α-
idrossipregnenolone.

Analogamente a ciò che avveniva a livello della


corticale del surrene, si ha l’azione della 17,20
liasi: si ha la rimozione della catena laterale in
posizione 17, con formazione del
deidroepiandrosterone.

Grazie a un enzima che è presente soltanto


nelle gonadi, la 17β—idrossisteroide
deidrogenasi, si avrà la conversione del
deidroepiandrosterone in androstenediolo,
mediante la riduzione del gruppo carbonilico a
gruppo idrossilico.

L’androstenediolo potrà essere convertito in


testosterone grazie all’attività di due enzimi
che agiscono anche a livello della corticale del
surrene, la 3-β-idrossisteroide deidrogenasi e
la Δ5,4-isomerasi.

Via del progesterone (via di destra)


È una via diversa che parte sempre dal pregnenolone, il quale viene però convertito in progesterone
grazie all’azione di la 3-β-idrossisteroide deidrogenasi e la Δ5,4-isomerasi.

Agiscono gli stessi enzimi che si ritrovano anche nell’altra via:


- 17α-idrossilasi: converte il progesterone in 17α-idrossiprogesterone;

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- 17,20-liasi: rimozione della catena laterale in posizione 17, con formazione di
androstenedione;
- 17β—idrossisteroide deidrogenasi: converte l’androstenedione in testosterone.

Possiamo osservare come da deidroepiandrosterone e da androstenedione possiamo ottenere


testosterone: questo vuol dire che anche gli androgeni a bassa attività che vengono prodotti a livello
della corticale del surrene possono essere convertiti in testosterone a livello delle gonadi, grazie
all’enzima 17β—idrossisteroide deidrogenasi, che è espresso in minima parte a livello del surrene
è invece tipico delle gonadi.

TRASPORTO DEL TESTOSTERONE


Il testosterone viene trasportato in circolo legato a proteine plasmatiche, in particolare:
- SHBG (sex hormone binding globulin), sintetizzata dal fegato;
- TEBG (testosterone-estrogen binding globulin), prodotta nel testicolo dalle cellule del
Sertoli;
- Albumina: presenta bassa affinità nei confronti degli ormoni steroidei ma ha comunque la
capacità di legarli e di trasportarli tutti; l’affinità più alta che ha è quella nei confronti
dell’aldosterone.

DESTINO DEL TESTOSTERONE


Il testosterone è un androgeno che ha una bassa attività, che rimane comunque più alta di quella di
deidroepiandrosterone e androstenedione prodotti a livello della corticale del surrene.
Per convertirsi nel vero androgeno con massima attività biologica, il testosterone deve subire una
conversione a livello dei tessuti bersaglio, che possono essere ad esempio la ghiandola prostatica e
i genitali esterni. Quindi, dove il testosterone andrà ad agire è presente un enzima che lo convertirà
in DHT (o 5α-diidrotestosterone), che è un androgeno ad alta attività, ovvero vuol dire che è
l’androgeno che presenta maggiore affinità per il recettore del testosterone.

L’enzima che catalizza questa reazione è la 5α-reduttasi, che è espressa dalle cellule bersaglio e che
riduce il doppio legame presente nell’anello A, rimuovendo in questo modo l’insaturazione. Per
ridurre l’insaturazione, l’enzima necessita di NADPH.

Nonostante il DHT sia l’androgeno può attivo, la sua concentrazione in circolo è circa 10 volte
inferiore rispetto alla concentrazione di testosterone, poiché il testosterone verrà convertito in DHT
soprattutto a livello dei tessuti bersaglio. Possiamo confrontarlo a ciò che abbiamo detto per gli
ormoni tiroidei: il T3 è più attivo del T4, ma presenta una concentrazione circa 10 volte inferiore.

20
Mentre il testosterone può essere un precursore per la sintesi degli estrogeni, una volta che è stato
ridotto in DHT, questo non può essere convertito in estrogeni. Per questo nelle donne l’ormone
principale è l’estrogeno, perché il testosterone verrà subito convertito in estrogeni.

Vi sono degli individui che presentano delle mutazioni a carico della 5α-reduttasi che sono
associate a ermafroditismo maschile.

Oltre ai tessuti bersaglio, un’altra sede che viene raggiunta dal testosterone e quindi un altro destino
che ha il testosterone oltre a quello di essere convertito in DHT, è quello di raggiungere il tessuto
adiposo dove il testosterone viene aromatizzato (l’anello A viene convertito in anello aromatico) e
convertito in 17β-estradiolo dall’enzima aromatasi.
L’aromatasi è presente principalmente in sede gonadica e, in piccola parte, può essere presente
anche a livello del tessuto adiposo. Il 17β-estradiolo è l’ormone estrogenico a più alta attività.

Un altro destino del testosterone è quello di raggiungere il fegato e di andare incontro a reazioni di
degradazione. Qui, infatti, il testosterone verrà ossidato in posizione 17 mediante l’azione
dell’enzima 17β-idrossisteroide deidrogenasi II, con produzione dei 17-chetosteroidi inattivi
(principalmente androsterone).
I 17-chetosteroidi hanno la funzione di essere associati con acido glucuronico o con solfati ed essere
resi quindi più idrosolubili, ed essere eliminati con le urine.

Soltanto nelle donne, a livello delle ovaie, il testosterone sarà il precursore degli estrogeni,
mediante l’azione dell’enzima aromatasi, il quale è maggiormente rappresentato in questa sede.

Durante la vita fetale, si producono grandi quantità di DHT e questo rende conto dello sviluppo dei
genitali esterni maschili nei maschi, ma alla nascita la sintesi viene inibita. Riprenderà alla pubertà
e durerà per tutta la vita nei maschi; nelle femmine si arriva al massimo alla produzione di
testosterone in quanto non si ha la presenza di 5α-reduttasi e quindi non si ha la produzione di DHT.

21
RECETTORI PER GLI ANDROGENI
I recettori per gli androgeni sono recettori per gli ormoni steroidei e quindi vale ciò che è stato detto
per i recettori per gli ormoni della corticale del surrene.
La produzione di testosterone a livello del testicolo è stimolata dall’LH e principalmente sono le
cellule di Leydig che “sentono” questa stimolazione. La segnalazione dell’LH si ha attraverso un
GPCR, associato alla proteina Gsα e stimolazione del cAMP e della PKA, la quale andrà a stimolare
(come l’ACTH nella corticale del surrene) sia la colesterolo esterasi che la proteina StAR per la
traslocazione del colesterolo a livello del mitocondrio.

Il testosterone ha vari ruoli, tra cui quello di aumentare la gametogenesi (spermatogenesi nel
maschio), di determinare il differenziamento e la maturità sessuale e quello di andare a promuovere
anabolismo a livello del tessuto muscolare.

Tra gli effetti mediati dagli androgeni troviamo:


- Promozione della comparsa dei caratteri sessuali secondari durante la pubertà e il
raggiungimento della maturità sessuale;
- Induzione della virilizzazione: crescita dei peli pubici, degli arti e del volto; modifiche del
tono di voce; stimola l’attività delle ghiandole sebacee, etc;
- Controllo della spermatogenesi, della fertilità e della funzione riproduttiva maschile;
- Hanno effetti anabolici su massa muscolare e tessuto osseo (condizionano in questo modo
la crescita corporea che segue la pubertà, lo sviluppo della massa muscolare e della massa
ossea.

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Nella figura di seguito possono essere osservate delle mutazioni che si possono avere a carico della
biosintesi del testosterone che possono riguardare step diversi:
- mutazioni a carico della via biosintetica, dovuto a deficit di enzimi che portano avanti la
biosintesi del testosterone (una delle varie idrossilasi, oppure della 17,20-liasi, oppure
dell’enzima tipico delle gonadi);
- mutazione che riduce l’attività della 5α-reduttasi, mutazione tipica dell’ermafroditismo
maschile;
- difetti nella segnalazione: riduzione dell’affinità dei recettori per il testosterone nei confronti
dell’ormone oppure alterazioni a livello degli HRE (in questo caso si parla di receptor-positive
resistance).
Queste alterazioni, dovute a un motivo o ad un altro, portano a ipogonadismo che può essere
primitivo o secondario.
- Primitivo: insufficienza congenita o acquisita di produzione del testosterone a livello dei
testicoli;
- Secondario: ridotta secrezione di gonadotropine a livello delle ipofisi.

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MATERIA Biochimica ormonale

DATA 30 aprile 2021

SBOBINATORI Federico Giugno, Lorenzo


Bambino

REVISORI Marianna Fabbiani

BIOCHIMICA

Abbiamo visto come gli estrogeni sono sinte1zza1 primariamente nelle gonadi femminili, ossia le
ovaie, ed in piccola percentuale anche a livello del tessuto adiposo.
Abbiamo visto come gli
androgeni e gli
estro g en i , ossi a gl i
ormoni steroidei
prodo: principalmente
a livello delle gonadi
maschili e quelli prodo:
principalmente a livello
delle gonadi femminili,
hanno come precursore
il colesterolo che può
essere sinte1zzato in
sede gonadica o che può
essere prelevato dal
circolo ema1co, dove
viene principalmente
trasportato nelle LDL.
Dal colesterolo vi è la
prima conversione in
Pregnenolone, che viene poi conver1to in due vie dis1nte in testosterone:
1. A livello dei tes1coli (nelle cellule di Leydig e del Sertoli) la via principale di conversione
del pregnenolone in testosterone è la cosiddeFa via del Deidroepiandrosterone.
2. Nelle ovaie, questa conversione avviene tramite la cosiddeFa via dell’Androstenedione
(Pregnenolone! Progesterone, che viene poi idrossilato in posizione 17! 17a-
idrossiprogesterone! Androstenedione (tramite 17,20 liasi che elimina
completamente la catena laterale)! Testosterone (soFo l’azione della 17b-
deidrogenasi, che porta a riduzione del gruppo carbonilico in 17 in gruppo ossidrilico).

Nelle ovaie sia l’Androstenedione che il Testosterone possono essere conver>> in ESTROGENI
grazie alla presenza dell’enzima Aromatasi, che catalizza l’aroma>zzazione dell’anello A degli
Androgeni.
L’aromatasi può agire sia sull’androstenedione e sul testosterone sinte1zza1 in sede ovarica, sia su
androstenedione e testosterone sinte1zza1 in zone diverse, ma che raggiungono sempre le le
ovaie, provenendo ad esempio dalla cor1cale del surrene. Infa: livello della zona re1colare della
cor1cale del surrene, viene prodoFo principalmente l’androstenedione, androgeno a bassa a:vità
che viene rilasciato principalmente sempre dalla cor1cale del surrene. Tu2avia sappiamo che
anche in sede cor;cale può avvenire una parziale conversione dell’androstenedione in
testosterone.
- L’aroma1zzazione dell’Androstenedione ! Estrone, un estrogeno che non ha elevata
a:vità biologica.
- L’aroma1zzazione del Testosterone ! 17beta-Estradiolo, il principale estrogeno che poi
verrà secreto dalle ovaie ed è indubbiamente il più a:vo.

Nel caso sia l’androstenedione che viene usato per sinte7zzare estrone, questo può essere
conver1to in 17b-Estradiolo dall’enzima 17b-idrossideidrogenasi, che porta alla riduzione del
gruppo carbonilico 17 in gruppo -OH.
In ul1ma analisi, sia mediante l’aroma1zzazione dell’androstenedione che del testosterone, le
ovaie producono principalmente 17b-Estradiolo.

• Il terzo estrogeno in figura, l’estriolo, che si forma grazie all’a:vità della 16alfa-idrossilasi che
idrossila in posizione 16 l’anello B dell’estrone, si forma solo e soltanto a livello della placenta.
Infa:, l’estriolo è il principale estrogeno di origine placentare prodoFo quando si instaura una
gravidanza.

La sintesi degli estrogeni a livello ovarico vede la collaborazione streFa tra le Cellule della Teca e le
Cellule della Granulosa, con ruoli diversi. Soltanto una sinergia tra le due par7, porterà alla sintesi
e alla secrezione dell’estrogeno a@vo, cioè principalmente il 17b-Estradiolo.
- Infa:, le Cellule della teca, s1molate dalle gonadotropine, LH e FSH, hanno la funzione di
conver1re il colesterolo in androgeni, quindi possono sinte1zzare tramite la via del
Progesterone sia l’androstenedione che il testosterone, che sinte1zzare il colesterolo a
par1re dall’Ace1l-CoA e conver1rlo in pregnenolone, ma non hanno la capacità di
conver1re androstenedione e testosterone in estrogeni, perché non esprimono. Quindi le
cellule della teca possono sinte;zzare androgeni ma non possono conver;rli in estrogeni,
in quanto non esprimono l’enzima aromatasi.
- L’aromatasi è invece espressa dalle Cellule della Granulosa (anch’esse s1molate dalle
Gonadotropine LH e FSH) che sono quindi in grado di conver1re gli androgeni, prodo:
dalle cellule della Teca, in estrogeni; non però hanno la capacità di sinte;zzare androgeni
a par;re da Progesterone.

La via principale di produzione del testosterone a livello delle ovaie, che vediamo in figura
riquadrata in rosso, avviene esclusivamente a livello delle Cellule della Teca, ma non in quelle della
Granulosa. Invece, la reazione catalizzata dall’aromatasi che porta a sintesi di estrogeni, può
avvenire esclusivamente nelle Cellule della Granulosa ma non nelle Cellule della Teca .
Per questo mo1vo parliamo di una collaborazione tra Cellule della Teca e della Granulosa,
essenziale affinché l’ovaio diven7 efficiente nel produrre e secernere estrogeni.
Quindi, riassumendo, le Cellule della Teca si occupano della prima parte, ossia sintesi del
colesterolo, conversione in pregnenolone e sintesi del testosterone aKraverso la via del
progesterone. Successivamente androstenedione e testosterone saranno veicola> verso le
cellule della granulosa dove avverranno reazioni di aroma>zzazione, con produzione di 17beta-
estradiolo. Le Cellule della Granulosa e le Cellule della Teca vengono s>molate nelle loro varie
fasi da FSH ed LH.

LA SINTESI DEI PROGESTINICI


Questa può avvenire anche in sede ovarica, sopraFuFo durante la Fase Luteinica del ciclo
mestruale, ma principalmente vengono sinte1zza1 a livello del corpo luteo e della placenta.
L’ovaio quindi riveste sicuramente un ruolo nella sintesi e nella produzione di proges1nici ma solo
in una fase ben precisa del ciclo mestruale. La maggior parte di proges1nici, sopraFuFo
progesterone, viene
prodoFo dal corpo luteo,
deputato alla sintesi
durante primi 2-3 mesi di
gravidanza, poi in questo
ruolo verrà sos1tuito
dalla placenta che invece
sarà la maggior
responsabile della
produzione di
progesterone per
sostenere la gravidanza
fino al suo termine.
OVAIO: Fase Luteinica
CORPO LUTEO: primi 2-3
mesi di gravidanza
PLACENTA: dal Terzo
mese fino alla fine della
gravidanza
In una piccola quota non rilevante, il progesterone può essere prodoFo a livello del tessuto
adiposo, della cute, del fegato ma con un ruolo marginale.
Nell’ovaio, nel momento in cui comincerà la sintesi di progesterone, quindi nella fase luteinica del
ciclo mestruale, il mo1vo per cui verrà sinte1zzato e secreto il progesterone e non più estrogeni,
risiede nel faFo che tuM gli enzimi, a valle del progesterone, nella fase luteinica, subiranno una
down-regolazione. L’ovaio diventa quindi incapace di produrre estrogeni.

ESTROGENI: TRASPORTO
Al pari di tu: gli ormoni steroidei, gli estrogeni non possono circolare liberamente all’interno del
torrente ema1co in quanto lipofili. Perciò, il loro trasporto è principalmente garan1to dalla
proteina SHBG, che trasportava anche testosterone.
Il meccanismo di trasduzione del segnale degli estrogeni, al pari di quello degli androgeni,
coinvolge receKori citosolici: gli estrogeni entrano all’interno dei tessu1 bersaglio dove trovano i
receFori citosolici tenu1 nello stato ina:vo mediante il legame con Hsp (Heath shock protein). Nel
momento in cui si lega l’ormone, le Hsp vengono dissociate dal receFore, il quale va incontro a
omodimerizzazione e
fosforilazione; riesce così a
traslocare nel nucleo e a
trascrivere geni specifici soFo
il controllo degli ormoni
estrogenici.

Quali sono gli effeM media;


dagli estrogeni?
Gli effe: sono principalmente:
1.L a m a t u r a z i o n e e d i l
mantenimento dell’apparato
riproduJore femminile (utero,
ovaie così come anche le
ghiandole mammarie)
2.Sviluppo dei caraJeri sessuali
secondari
3. Ruolo importante nella gametogenesi: come gli androgeni svolgevano un ruolo importante nella
spermatogenesi, così gli estrogeni hanno un ruolo nell’ovogenesi e nella follicologenesi.
4. Quindi garan7sce la maturazione delle cellule germinali, lo sviluppo dei follicoli e regola di
conseguenza anche il ciclo ovarico (orologio biologico dell’ovulazione).
5. Regola la funzione riprodu@ve della donna perciò tuFe le fasi del parto e della laFazione
6. Dona anche un input al ciclo mestruale.
7. Hanno anche target a livello delle ossa ! promuovono maturazione ossea durante pubertà e
inibiscono riassorbimento osseo, fornendo una buona matrice organica a livello osseo. Per
questo durante la menopausa quando vengono meno i livelli estrogenici, si può avere anche
osteoporosi proprio in quanto viene a mancare l’inibizione di riassorbimento osseo, cosa che
porterà ad una graduale demineralizzazione dell’osso.

CONCENTRAZIONE DEGLI ORMONI SESSUALI


• infanzia: molto bassa perché è minima l’espressione della aromatasi, accompagnata ad una
bassa liberazione di gonadotropine a livello ipofisario, perciò in questa fase non si ha una
sufficiente s1molazione della sintesi di estrogeni a livello ovarico. In contemporanea abbiamo
però un forte aumento dell’espressione dei receFori per gli ormoni LH e FSH a livello delle Cellule
della Teca e della Granulosa dell’ovaio. Perciò anche se gli estrogeni non vengono prodo:, si ha
una preparazione alla riceMvità dell’ovario nel momento in cui avremo un’adeguata sintesi di
estrogeni.
• pubertà: si ha un’adeguata sintesi di estrogeni in quanto il sistema ipotalamo-ipofisario
raggiunge la sua piena funzionalità; quindi si comincia ad avere un rilascio adeguato di
gonadotropine a livello dell’adenoipofisi soFo lo s1molo di GnRH ipotalamico e questo
determina un forte incremento di s1molazione da parte di LH/FSH dell’ovaio, laddove si è avuto
un incremento dei receFori espos1. L’ovaio è pronto a ricevere tale s;molazione e quindi le
Cellule della Teca e della Granulosa sono pronte a produrre estrogeni che garan;ranno la
maturazione e la funzionalità dell’apparato riproduMvo femminile.
PROGESTINICI: TRASPORTO
Anch’essi sono veicola1 in circolo prevalentemente dall’albumina; anche per i receFori proges1nici
troviamo dei receKori citosolici, ina:va1 nel momento in cui sono lega1 alle Hsp, e che in seguito
al legame con l’ormone, si a:vano e migrano nel nucleo, dove trascrivono geni soFo il controllo
del progesterone.
I receJori soJo il controllo del progesterone sono up-regola; dagli estrogeni che quindi hanno un
ruolo nel preparare la rice:vità nei tessu1 bersaglio del progesterone.

Quali sono gli effeM media; dagli proges;nici?


1. Predisporre apparato riprodu@vo alla gravidanza
2. Preparare l’endometrio ad accogliere l’ovocita fecondato
3. Inibire produzione di FSH ipofisario bloccando la produzione di altri follicoli, impedendo la
follicologenesi quando c’è già una gravidanza in aFo.
4. Inibizione della contra@lità dell’utero, sia inibendo l’espressione dei canali per il calcio a livello
uterino, in quanto ques1ono implica1 nell’azione contra:le a livello delle cellule uterine, sia
inibendo la sintesi di prostaglandine, che hanno un effeFo pro-contra:le sull’utero.

Domanda: quale è la funzione in inibire


la contra@lità dell’utero?
Serve perché nella prima fase di
alles7mento della gravidanza è
necessario che non ci sia questa forte
contra@lità dell’utero altrimen7
rischierebbe di espellere lo zigote:
perciò dev’essere mantenuto l’utero
poco contra@le in modo tale che si
abbia una situazione ideale affinché la
gravidanza possa procedere.
Caso contrario si avrà durante la fase
luteinica del ciclo mestruale in cui la
contra@lità dell’utero dev’essere
aumentata proprio per espellere
l’endometrio e preparare una nuova
follicologenesi.
Quindi è una sorta di protezione della prima fase della gravidanza, impedire l’eccessiva contra@lità
dell’utero che potrebbe avere un ruolo dannoso nelle prime fasi della gravidanza. Ciò è mediato
grazie all’inibizione dell’espressione del canali al calcio e
L’ossitocina, che anch’essa determina un aumento della contra@lità dell’utero, è s7molata
principalmente dalle contrazioni uterine quindi nel momento in cui viene meno l’effeJo delle
prostaglandine e non si ha contra@lità uterina, anche l’ossitocina viene meno.
È un processo di feedback.

Come avviene il ciclo mestruale?


È composto da 2 fasi: Fase Follicolare e Fase Luteinica.
1. Fase
Follicolare: s1molazione sopraFuFo da parte di di FSH, la gonadotropina prevalente in questa
prima fase del ciclo mestruale, che induce le cellule dell’ovario a produrre 17beta-estradiolo. Il
17beta-Estradiolo comincia quindi ad aumentare durante la fase follicolare fino a raggiungere
un picco 2 giorni prima dell’ovulazione. In seguito a questo picco di estradiolo, si osserva anche
dopo circa 24 ore dal picco del 17beta-estradiolo, avremo anche un picco di LH, ormone
luteinizzante, che precede di 18-24 ore l’ovulazione.
2. Fase Luteinica: viene iniziata da FSH ed LH, ossia avviene una “luteinizzazione” sia delle Cellule
della Teca sia delle Cellule della Granulosa: si comincia ad avere una riduzione della sintesi e
secrezione di estrogeni, con un crollo dei livelli di 17b-Estradiolo, che viene seguito da un
innalzamento dei livelli di progesterone. Durante la fase luteinica, infa@, si ha una down-
regolazione di tu@ gli enzimi che servono a conver7re il progesterone prima in androgeni e poi
in estrogeni e quindi sarà prevalente la sintesi e secrezione di progesterone.
Il progesterone inizia quindi a preparare l’endometrio all’arrivo dello zigote fecondato.
- Se non arriva lo zigote: ci sarà un brusco crollo dei livelli di progesterone che innescano il
flusso mestruale, facendo sì che si ristabilisce anche la contraPlità dell’utero che renderà
più semplice l’espulsione dell’endometrio.
- Se arriva lo zigote: si avrà una fecondazione dell’ovulo, ossia se lo zigote riuscirà ad
impiantarsi a livello dell’endometrio, avremo il mantenimento della gravidanza. Il
progesterone, che inizialmente sarà prodoJo dal corpo luteo soFo s1molazione dell’LH,
verrà mantenuto; il ruolo dell’LH nel mantenimento del corpo luteo, sarà poi sos1tuito dalla
gonadotropina corionica umana (hCG). Infa: l’hGC inizierà ad essere prodoFa nei primi
2-3 mesi di gravidanza, ossia nel momento in cui lo zigote si impianta nella cellula uovo,
con1nuando ad indurre quindi la produzione di progesterone.

Perciò se non abbiamo la con1nuazione della gravidanza, i livelli di progesterone crollano con inizio
del flusso mestruale; in caso contrario, qualora sia avvenuto l’impianto dello zigote
nell’endometrio, il corpo luteo viene mantenuto soFo s1molazione dell’LH, e con1nua a produrre
progesterone, che man1ene l’endometrio in condizioni o:mali per proseguire la gravidanza. In
par1colare, i livelli di progesterone sono mantenu1 tali anche dalla gonadotropina corionica
umana.
Al terzo mese di gravidanza, il corpo luteo viene sos>tuito dalla placenta, che diventa il principale
organo produJore di progesterone. Il progesterone si manterrà alto fine alla fine della gravidanza
per garan1rne il proseguimento.
Durante la gravidanza avremo un innalzamento dei livelli di estriolo, derivato dall’estrone, che
garan7ranno il mantenimento della gravidanza fino ad arrivare al termine; la placenta garan1sce
anche la produzione di laKogeno placentare.
Il parto è innescato da un crollo sia dell’estriolo, sia dei livelli di progesterone; la fase del parto è
supportata anche dalle contrazioni uterine, s1molate dalla distensione delle pare1 della cervice
uterina in quanto questa sarà occupata dal feto in tale momento. Infa: la distensione della cervice
uterina diventa uno s1molo per la produzione e secrezione dell’ossitocina da parte della
neuroipofisi; l’ossitocina andrà a s1molare le contrazioni uterine, le quali a feedback posi1vo,
s1moleranno
un’ulteriore
produzione di
ossitocina. Gli
e s t r o g e n i ,
sopraFuFo l’estriolo,
aumentano il
numero di receKori
di ossitocina a livello
dell’utero, così che
questo sia rice:vo
all’aumento dei livelli
di ossitocina e che
quindi si verifichino
le contrazioni
u t e r i n e ,
fondamentali per
l’espulsione del feto.

Domanda: I farmaci
an7concezionali, forma7 di solito da estrogeni e proges7nici, come fanno a impedire l’ovulazione?
Perché si gioca sui livelli di estrogeni e progesteroni. Quindi in par7colari momento del ciclo, se si
sbilanciano i livelli di estrogeni e progesteroni, visto che ci dev’essere un picco di estrogeni prima
della fase luteinica, e poi un picco di progesterone nella fase luteinica, si interrompe la fase di
ovulazione: si basa sulla concentrazione di estrogeni e proges7nici in par7colari giorni del ciclo.

MENOPAUSA
Nel momento in cui si raggiunge un’età variabile, 45-55 anni, interviene nelle donne la
menopausa. CaraFerizzata dalla perdita di tuM i follicoli e quindi la cessazione di estrogeni, in
par1colare 17beta-estradiolo, e di proges1nici.
In realtà rimane una piccola produzione di estrogeni: viene infa: prodoFo estrone (derivante dalla
reazione catalizzata dall’aromatasi a carico dell’androstenedione) sopraFuFo a livello dei tessu1
periferici, anche nel tessuto adiposo.
Questa bassa produzione non è sufficiente a garan7re il ciclo riprodu@vo della donna, ma è
sufficiente per inibire l’atrofia dei genitali e per contrastare i fenomeni di osteoporosi.
Per contrastare questa demineralizzazione ossea, in parte garan1ta da bassi livelli di estrone, di
solito viene affiancata una terapia con supplemento estrogenico per minimizzare i danni dovu1 a
questa carenza di estrogeni.
• CARCINOMA MAMMARIO: I receFori per gli estrogeni sono espressi anche a livello delle
ghiandole mammarie, in quanto gli
estrogeni hanno anche il ruolo di
garan1re la maturazione della
ghiandola mammaria. In seguito ad
una patologia neoplas1ca, come
quella del carcinoma mammario, si
nota un forte incremento
dell’espressione dei receKori per gli
estrogeni a livello della ghiandola
mammaria, che quindi diventa
estremamente dipendente dagli
estrogeni per garan;re la
proliferazione delle cellule di

ca r c i n o m a m a m m a r i o . Q u e sta
caraFeris1ca è 1pica della maggior
parte carcinoma mammari, defini1
come “Oestrogen receptor-posi>ve
breast cancer (ER+)”; ques1 1pi di
carcinoma vengono affrontan1 a livello
farmacologico con la terapia
endocrina. I cancri mammari posi1vi a
ques1 receFori per gli estrogeni, ossia
dove possiamo vedere questa up-
regolazione del receFore estrogenico,
cos1tuiscono i 2/3 dei carcinoma
mammari. Lo Standard of care è proprio
questa terapia endocrina, che consiste in farmaci che bloccano la segnalazione estrogenica,
principalmente a livello della ghiandola mammaria ipersensibile e iperdipendente dagli
estrogeni per garan1re la proliferazione delle cellule di carcinoma mammario, ma che avrà
effe@ collaterali di 7po chemioterapico anche su altri tessu7 estrogeno-dipenden7,
sebbene non si possa definire questo 1po di farmaci dei chemioterapici.

Domanda: In questo modo è possibile evitare la risoluzione chirurgica?


Dipende dagli stadi in cui viene diagnos7cato il carcinoma mammario; se viene diagnos7cato in
fase precoce, viene usata la terapia farmacologica, per cui il primo approccio non è chirurgico,
anche se questa terapia endocrina può essere somministrata anche in fase post-chirurgica, qualora
ci siano recidive.

Domanda: Come funziona? La cellula mammaria diventa ipersensibile agli estrogeni perché c’è il
tumore o è il contrario?
Perché le cellule tumorali over-esprimono i receJori per gli estrogeni e quindi diventano i principali
ormoni che garan7scono la trascrizione di geni per la proliferazione del carcinoma mammaria: il
carcinoma mammario è dipendente dagli estrogeni per crescere. Avremo la trascrizione di geni che
controllano la proliferazione del carcinoma mammario, ed è per questo mo7vo che andiamo a
colpire la regolazione estrogenica: vogliamo ridurre l’accrescimento del carcinoma mammario. A
volte possiamo avere una regressione del carcinoma spesso ma dipende molto dalla paziente, che
quindi deve essere inquadrata correJamente da un punto di vista diagnos7co.

Farmaci u;lizza; per bloccare la regolazione estrogenica


Sono di tre 1pi diversi:
1. Tamoxifen: mime1co degli estrogeni, che si lega al receFore per gli estrogeni, il quale va
incontro a dimerizzazione, entra nel nucleo e si colloca sugli Oestrogen Responsive Elements
(ERE) ma non riesce a reclutare i coa:vatori della trascrizione. Quindi la trascrizione dei geni a
valle è bloccata, quindi la trascrizione estrogenica non giunge a termine.
2. Fulvestrant (ICI): interagisce col receFore degli estrogeni ed induce la degradazione ubiqui1na-
dipendente: serve a degradare il rece2ore per gli estrogeni.
3. Inibitori dell’aromatasi: si usa sopraFuFo in fase post-menopausa. Ricordiamo che l’aromatasi
converte gli androgeni in estrogeni; questo enzima viene bloccato grazie all’u1lizzo di inibitori
specifici che impediscono
di sinte1zzare estrogeni e
perciò di a:vare il
receFore estrogenico. È
come se le cellule tumorali
si “affamassero”:
impediamo infaM che una
certa quan;tà di estrogeni
vada a segnalare a livello
di queste cellule. Si è
osservato che il
traJamento con AI nel 20%
dei pazien7 porta ad una
recidiva entro 7-9 anni: in
realtà gli AI non riescono a
b l o c c a r e l ’a Mv a z i o n e
ligando-indipendente dei
rece2ori per gli estrogeni.
A b b i a m o i n fa : s o n o
alcuni receFori a Tirosina-
Chinasi, in par1colare
IGFR, HER2, EFGR, che possono a:vare il receFore per gli estrogeni con una modalità ligando-
indipendente, ossia non hanno bisogno della presenza degli estrogeni per a:vare il receFore.
Quando c’è una up-regolazione di ques7 TRK e questo succede nel carcinoma mammario che
spesso è ER+ ed HER+ (receFore appartenete alla classe dei receFori EGF). Nel momento in cui
c’è up-regolazione, anche esclusivamente di uno di ques1 RTK, ques1 possono andare ad
a:vare in modo ligando-indipendente, ossia estrogeni indipendente, il receFore degli estrogeni.
Infa: la loro fosforilazione e a:vazione può andare a fosforilare ed aPvare il receKore degli
estrogeni, così che possa entrare nel
nucleo ed indurre la trascrizione dei
geni soFo il controllo delle ERE
(estrogen responsive elements).
Inibire quindi la sintesi di estrogeni,
non può quindi inibire questo
processo di a:vazione del receFore
per gli estrogeni ligando-
indipendente.
4. E’ stata tentata un’inibizione di ques1
RTK usando RTKI (inibitori delle RTK),
ma in realtà per un processo di
compensazione, quando si inibisce
un par1colare RTK, gli altri RTK
compensano la sua inibizione e si ha
comunque una fosforilazione dei
receFori degli estrogeni: questo
rende conto della resistenza agli inibitori dell’aromatasi e degli RTK.

Sono ancora in vie di studio vie alterna1ve per contrastare crescita e poi metasta1zzazione del
tumore primario del carcinoma mammario, cercando eventuali altri target che possano impedire
ques1 processi di resistenza associa1 alle terapie per ora u1lizzate.

Domanda: In caso di carcinoma che segue la menopausa, è più frequente un carcinoma che sfruJa
l’a@vazione ligando-indipendente oppure no?
In fase post menopausa, la maggior parte dei carcinomi mammari sono ER+ ed HER+ (quindi Sì)
Di solito lo Standard of care è l’u7lizzo di AI associa7 a RTKI, quindi abbiamo indubbiamente
un’a@vazione dei receJori ligando-indipenden7.

ORMONI DELLA MIDOLLARE DEL SURRENE: LE CATECOLAMMINE


Fino ad ora la ghiandola surrenale è stata analizzata in relazione alla sua a:vità rela1va alla
cor1cale del surrene, ossia la sintesi
di mineralcor1coidi, glucocor1coidi e
androgeni a bassa a:vità.
In realtà le ghiandole surrenali
hanno anche una parte interna, ossia
la midollare del surrene, che è
deputata alla sintesi delle
catecolammine, adrenalina e
noradrenalina.
In realtà, tra le catecolammine si
annovera anche la dopamina, la
quale però è sinte1zzata a livello del
Sistema Nervoso Centrale.
Infa: le catecolammine posso avere
due ruoli:
1. NeurotrasmePtori, se prodo@ a livello del SNC , in par1colare nel sistema nervoso simpa1co;
parliamo di Dopamina, Adrenalina e Noradrenalina.
2. Ormoni, se prodo@ nella midollare del Surrene; parliamo di Adrenalina e Noradrenalina.

La midollare del surrene è definito un “ganglio specializzato”, in quanto cos1tuito da cellule


endocrine senza assone che riescono a ricevere la s1molazione da parte di una cellula nervosa ma
che non possono a loro volta propagare un potenziale d’azione e a s7molare un neurone post-
sinap7co perché hanno perso l’assone. Perciò nel momento in cui vengono s1molate dal SNC
diventano cellule endocrine che producono e meFono in circolo adrenalina e noradrenalina.
Le cellule della midollare del surrene vengono anche deFe “cromaffini” , proprio per la loro
caraFeris1ca di
essere sensibili alla
colorazione con il
cromo.

Le Catecolammine
sinte1zzate a livello
della midollare del
surrene, vengono
inquadrate come
“ormoni deriva; da
un Amminoacido”
proprio come gli
ormoni 1roidei, al
cui pari derivano,
mediante una via
biosinte1ca diversa,
dalla >rosina.
La 1rosina è un
amminoacido
“essenziale”, perché
può anche essere viene sinte1zzata a livello dell’organismo a par1re dalla fenilalanina; la
fenilalanina è tuFavia un amminoacido essenziale, perciò solo in sua presenza è possibile
sinte1zzare la 1rosina a livello endogeno.
La Fenilalanina forma Tirosina tramite la Fenilanalina-drossilasi.
La Tirosina, nelle cellule cromaffini della midollare del surrene, diventa il precursore della
biosintesi delle catecolammine.
1. La prima reazione a cui va incontro la Tirosina è catalizzata dalla Tirosina Idrossilasi, che è
l’enzima della tappa limitante dell’intero sistema. Questo enzima viene inibito tramite
“feedback nega>vo” dalle Catecolammine (Adrenalina,Noradrenalina) e questa ha il ruolo di
impedire un’eccessiva produzione di catecolammine quando queste sono già prodoFe in
maniera idonea (azione retroaMva da prodo2o, per cui i prodo@ finali della via biosinte7ca
vanno ad inibire l’enzima della prima tappa della stessa via). Questa idrossilasi è un enzima
redox, che i catalizza la riduzione dei due atomi di ossigeno molecolare, inserendone uno a
livello di un gruppo idrossilico che viene inserito nel substrato (monossigenasi), l’altro viene
ridoFo ad acqua (uno dei prodo: di questa reazione). Affinché ci possa essere questa riduzione
a livello dell’ossigeno a gruppo -OH e ad H2O, ci vuole un donatore di eleFroni: questo è la
tetroidrobiopterina, che contestualmente sarà ridoFa a diidrobiopterina; questa è un cofaJore
essenziale per garan7re la funzionalità della 7rosina-idrossilasi.
2. A questo punto si forma la DOPA (diidrossifenilalanina), perché la 1rosina deriva da
un’idrossilazione della fenilalanina, e a sua volta la 1rosina viene idrossilata dalla 1rosina-
idrossilasi, e perciò avremo due gruppi idrossilici sull’anello aroma1co: parliamo quindi di DOPA.
3. La DOPA va incontro alla seconda reazione catalizzata dalla DOPA Decarbossilasi (genericamente
definita Amminoacido-Aroma7co Decarbossilasi), che è un enzima PLP dipendente, ossia che
dipende dal piridossalfosfato, u1lizzato come cofaFore.
4. La DOPA viene quindi decarbossilata: perde gruppo carbossilico -COO- legato al C alpha con
formazione della DOPAMINA

Nei neuroni dopaminergici nel SNC, la dopamina può essere il prodoKo finale della via
biosinte>ca ed essere rilasciato come neurotrasmePtore; nelle cellule della midollare del surrene
questo non avviene, e la dopamina deve obbligatoriamente proseguire nella via biosinte1ca:non
c’è rilascio di dopamina a
livello della midollare del
surrene.
A questo punto, la
dopamina diventa
substrato della dopamina
beta-idrossilasi, un’altra
monossigenasi, che
idrossila il substrato
andando a ridurre
l’ossigeno da una parte in
-Hh e da una parte in H20,
ma a differenza della
1rosina-idrossilasi, qui il
donatore di eleFroni non è
la tetroidrobiopterina, ma
l’acido ascorbico, ridoFo in
acido deidroascorbico.
Quindi la Vitamina C è
importante anche per garan7re la funzionalità della Dopamina b – idrossilasi e quindi per garan7re
un’adeguata sintesi di catecolamine a livello delle cellule della midollare del surrene.
La dopamina beta-idrossilasi è un metallo-enzima contenente rame, ed ha la peculiarità di essere
relegato nel Re7colo endoplasma7co delle cellule cromaffini della midollare del surrene. Siccome a
livello del RE, gemmano le vescicole che poi andranno a immagazzinare l’adrenalina e la
noradrenalina, prima che arrivi lo s1molo e che quindi possono essere secrete a livello ema1co,
l’enzima viene introdoJo all’interno delle vescicole di secrezione insieme agli intermedi della via
biosinte7ca.
La sintesi di Noradrenalina (prodoFo della dopamina b-idrossilasi) può avvenire anche all’interno
dei granuli di secrezione: quindi questo enzima re1colare, che verrà localizzato anche a livello dei
granuli secretori, potrà mediare il proseguimento della sintesi della dopamina in noradrenalina
proprio a livello di queste vescicole.
Quando arriva lo s1molo, allora, insieme alla noradrenalina verrà secreto anche l’enzima dopamina
beta-Idrossilasi; per questo mo1vo, le cellule della midollare del surrene dovranno andare incontro
a con>nua neosintesi di
quest’enzima che non rimane
costante in sede ma che verrà
secreto insieme all’ormone.
In alcune cellule, però, la via
biosinte7ca con7nua e la
Noradrenalina viene conver7ta
in Adrenalina dall’enzima
feniletanolammina N-
me;ltransferasi (PNMT), che
però è un enzima che si trova a
livello citosolico e non nei
granuli di secrezione.
In tuFe le cellule in cui il
prodoJo finale è adrenalina, la
noradrenalina dovrà uscire dai
granuli di secrezione affinchè
nel citosol possa incontrare
PNMT, ch e co nver1rà l a
noradrenalina in adrenalina.
PNMT trasferisce un gruppo
me1lico dal donatore di me1li,
è quindi una me>li-transferasi,
che trasferisce un gruppo
me1le da S-
adenosilme;onina, al gruppo
amminico della noradrenalina.
SAM, ceduto il suo gruppo
me1lico, esce come S-
adenosilcisteina.
Una volta che si è formata
adrenalina nel citosol, questa
deve essere reimmessa nei
granuli di secrezione, con un
processo che spende energia
come ATP (Trasporto a:vo) in quanto ci saranno delle punte che andranno a concentrare
l’adrenalina nei granuli di secrezione.

I Glucocor;coidi, in par1colare il Cor>solo (prodoFo dalla cor1cale del surrene) s1mola la sintesi e
a:vità della PNMT e quindi s>mola la midollare a produrre e a secernere adrenalina.

Alcuni granuli contengono solo adrenalina (o epinefrina), altri solo noradrenalina (o


norepinefrina), altri ancora conterranno entrambi; infa:, una volta che l’adrenalina è portata fuori
dai granuli secretori e viene conver7ta, grazie alla PNMT citosolica, ed accumulata nei granuli di
secrezione, ques1 potranno contenere o adrenalina o noradrenalina.
Perciò esistono cellule che secernono solo adrenalina e sono Adrenergiche, e cellule che
secernono solo noradrenalina, e quindi Noradrenaliniche, in quanto sintesi a livello di queste è
interroFa alla
noradrenalina.
Il rilascio dei granuli
secretori sarà indoFo
da un’innalzamento
dei livelli di calcio,
dovuto alla
s1molazione
colinergica da parte
in neuroni simpa1ci
p re - ga n g l i a r i c h e
cos1tuiscono il nervo
splacnico, rilasciando
ace1lcolina a livello
delle cellule
cromaffini (cosa che
provoca un
i n n a l za m e nto d e i
livelli di calcio).

Le catecolammine non possono aFraversare la barriera ematoencefalica e perciò, per essere


u1lizza1 come neurotrasme:tori, devono essere prodoM in sede, ossia nel cervello e non nella
midollare del surrene, per essere u1lizzate a questo livello.
Verrà perciò prodoJa anche la dopamina anche a livello dei neuroni dopaminergici, che verrà
u1lizzata come altro ormone adrenegico.
Ci sono alcune patologie del SNC, tra cui il Morbo Di Parkinson, in cui c’è una carenza nella sintesi
nel SNC delle catecolammine: si può prevedere un traFamento con L-Dopa, che è una forma
modificata della DOPA che può aJraversare adesso la barriera ematoencefalica e quindi garan1re,
a livello dell’SNC, un intermedio della via biosinte1ca nel favorire la sintesi di dopamina,
adrenalina e noradrenalina, contrastando in parte quest’alterazione 1pica di queste disfunzioni
neurologiche.

Così come le catecolammine sono sinte1zzate, devono anche andare incontro ad un processo di
degradazione che avviene ad opera dell’a:vità sinergica di due enzimi che sono:
• Catecol-O me1li-transferasi (o COMT): enzima che catalizza il trasferimento di un me7le in
posizione 3 dell’anello benzenico ed è un processo SAM dipendente così come la reazione
catalizzata dalla PNMT.
• Mono-amminoossidasi (o MAO): enzima redox che determina una deaminazione
ossida7va delle catecolammine. Esistono due isoforme della MAO che si dividono nella
MAO-A che è espressa principalmente nel tessuto nervoso e nella MAO-B che invece è
espressa in tu: i tessu1; inoltre gli inibitori delle MAO vengono u1lizza1 anche come
an1depressivi.
I deriva1 di questa a:vità catali1ca portata avan1 dalle MAO e dalla COMT saranno poi soFopos1
a glucuronazione a livello epa1co per favorire l’escrezione a livello renale.
Reazioni di degradazione di adrenalina (o epinefrina), noradrenalina (o norepinefrina) e
dopamina (solo a livello del Sistema Nervoso Centrale):

È necessario che agiscono sia le MAO che le COMT, ma non è deJo che ci sia un’azione primaria
obbligatoria dell’una o dell’altra: nel senso che prima può agire la MAO e poi la COMT e viceversa.
In tu: e due i casi si forma comunque un prodoFo finale che è iden1co: acido vanilmandelico per
la degradazione di adrenalina e noradrenalina e acido omovanillico per la degradazione di
dopamina, sia che prima agisca la MAO, sia che prima agisca la COMT.

Per quanto riguarda adrenalina e noradrenalina (che differiscono soltanto per quanto riguarda il
gruppo me7lico presente nell’adrenalina), se prima agisce la MAO si ha questa deaminazione
ossida1va e quindi si rimuove il gruppo amminico, con formazione di quello idrossilico per andare
a formare l’acido diidrossimandelico. A questo punto agisce la COMT, che determina l’aggiunta del
gruppo me1lico per la formazione del prodoFo finale che consiste nell’acido vanilmandelico.
Se al contrario agisce prima la COMT si avranno prodo@ intermedi differen7: per quanto riguarda
l’adrenalina si aggiunge un gruppo me1lico e si va a formare la metanefrina (o metadrenalina),
mentre per quanto riguarda la noradrenalina il gruppo me1lico che viene aggiunto andrà a
cos1tuire la normetanefrina e solo successivamente, con l’azione della MAO, si formerà l’acido
vanilmandelico.
Stessa ques1one vale anche per la dopamina qualsiasi enzima agisca prima.

La parte finale dell’escrezione dei prodo: di degradazione sarà l’aggiunta di un gruppo


glucuronico sia sull’acido vanilmandelico, sia sull’acido omovanillico a livello del fegato e quindi poi
si avrà l’escrezione con le urine.
Come segnalano le catecolammine quando agiscono da ormoni?
Quando agiscono da ormoni le catecolammine segnalano aJraverso receJori accoppia7 a proteine
G, chiama1 appunto receKori adrenergici che possono andare ad interagire sia con l’adrenalina
che con la noradrenalina; nel caso del Sistema Nervoso Centrale quando viene prodoFa
dopamina , questa andrà a reagire su un neurone postsinap;co andando a legarsi a dei receFori,
de: dopaminergici, che possono essere di due 1pi: receKore D1 e receKore D2 che andranno a
determinare la s7molazione di una depolarizzazione di membrana e quindi propagazione del
potenziale d’azione.

Nel caso invece dei receFori adrenergici che vanno a cogliere lo s7molo proveniente dalle
catecolammine circolan7 (quelle prodoFe dalla midollare del surrene), abbiamo i receKori alfa
adrenergici (alfa1 e alfa2) e beta adrenergici (beta1, beta2 e beta3).
Tu: i receFori adrenergici, indipendentemente che siano alfa o beta, sono receFori accoppia1 a
proteine G, quello che cambia sarà la composizione della sub-unità alfa della proteina G trimerica
che sarà diversa a seconda che si tra: di receFori alfa1, alfa2 o beta (indipendentemente che
siano beta1, 2 o 3: hanno tu: e tre la stessa composizione della sub-unità alfa).

Mentre i receJori alfa sono più affini all’adrenalina, i receJori beta sono più affini alla
noradrenalina, ciò però non impedisce che gli alfa si possano legare alla noradrenalina e i beta con
l’adrenalina, diminuisce soltanto l’affinità.

Le varie >pologie di receKori adrenergici differiscono per:


• Localizzazione: receJori adrenergici diversi saranno espos7 e presen7 in tessu7 diversi:
alcuni tessu1 porteranno avan1 determinate risposte in base ai propri receFori adrenergici,
mentre altri tessu1 indurranno risposte diverse. Per ogni tessuto abbiamo risposta specifica
e meccanismi di segnalazione diversi.
• Meccanismo di segnalazione: andrà ad evocare risposte diverse nei diversi tessu1 bersaglio

Tabella che riassume le localizzazioni principali dei vari receJori adrenergici e gli effe@ provoca7
dalla s7molazione adrenergica di essi:
Per quanto riguarda i receFori alfa1 adrenergici essi sono espressi principalmente a livello della
muscolatura liscia dei vasi, dei bronchi, del traFo genito-urinario, ma anche del traFo
gastrointes1nale. La s1molazione alfa1 adrenergica a livello di queste cellule muscolari per quanto
riguarda i vasi, i bronchi e il traFo genito-urinario indurrà un effeFo di contrazione della
muscolatura liscia:
• A livello dei bronchi indurrà una broncocostrizione (chiusura delle vie aeree)
• A livello dei vasi (sia vene che arterie) indurrà una vasocostrizione (s1molo ipertensivo)
• A livello del traKo genito-urinario anche qui si avrà uno s7molo ipertensivo con un
aumento della contra:lità delle cellule della muscolatura liscia che farà contrarre la
muscolatura liscia del traFo
• A livello del traKo gastrointes>nale i receFori alfa1 adrenergici indurranno l’effeFo
opposto: la s1molazione adrenergica dei receFori alfa1 determina rilassamento della
muscolatura liscia del traJo gastrointes7nale inducendo quindi un arresto temporaneo
della diges1one.

I receJori alfa1 sono anche espressi però a livello del muscolo scheletrico e a livello del fegato: la
s1molazione adrenergica dei receFori alfa1 in essi andrà a mediare effe: metabolici:
• Nel muscolo andrà ad a:vare la glicogenolisi
• Nel fegato andrà ad a:vare la glicogenolisi e la gluconeogenesi
Avrà quindi:
• Un effeFo catabolizzante: andare a demolire il glicogeno.
• Un effeFo iperglicemico: andare ad aumentare la gluconeogenesi e perciò incrementare la
disponibilità di glucosio in circolo.

Il receFore alfa2 invece può avere due localizzazioni dis1nte: può essere espresso in sede
presinap>ca a livello del Sistema Nervoso Centrale o, se si parla di localizzazione a livello di tessu1
che non riguardino il Sistema Nervoso Centrale, questo è espresso a livello della muscolatura liscia
dei vasi. A livello di quest’ul1ma, al pari del receFore alfa1, il receFore alfa2 induce contrazione
della muscolatura liscia (vasocostrizione ! effeFo ipertensivo).

Per quanto riguarda invece la localizzazione dei receFori beta adrenergici:

1. ReceFore beta1: localizzato principalmente a livello del cuore. Esso media una contrazione
delle cellule del miocardio e quindi induce un aumento della frequenza cardiaca e della
forza di contra:lità del miocardio.
2. ReceFore beta2: espresso a livello della muscolatura liscia dei bronchi, dei vasi e del traKo
genito-urinario (come i receFori alfa1). In tuFe e tre queste sedi la s1molazione del
receFore beta2 induce rilassamento della muscolatura liscia, quindi va a contrastare
l’effeKo della s>molazione alfa1 adrenergica: dove la s1molazione alfa1 adrenergica
induce contrazione della muscolatura liscia, la s1molazione beta2 adrenergica induce
rilassamento della muscolatura liscia:
• A livello dei bronchi indurrà dilatazione delle vie aeree (broncodilatazione)
• A livello dei vasi indurrà una vasodilatazione (effeFo ipotensivo)
• A livello del traKo genito-urinario anche qui si avrà un effeFo ipotensivo con
rilassamento del traFo

Il receJore beta2 essendo espresso, come il receFore alfa1, a livello del muscolo scheletrico
e del fegato, può indurre una risposta metabolica:
• Glicogenolisi a livello muscolare
• Glicogenolisi e gluconeogenesi al livello epa>co
Al pari della s1molazione alfa1 adrenergica, anche la beta2 induce un effeFo di
iperglicemia: maggior rilascio di glucosio nel sangue.
3. ReceFore beta3: è espresso prevalentemente nel tessuto adiposo dove determina
un’a@vazione della glicolisi favorendo quindi la mobilizzazione dei trigliceridi e l’immissione
in circolo di acidi grassi liberi affinché possano servire a scopo energe1co

Immagine riassun7va:

L’informazione in più presente nell’immagine è il 1po di sub-unità alfa caraFeris1ca della proteina
G trimerica che è associata alla segnalazione di ques1 receFori:

1. Il receFore alfa1 adrenergico è un receFore a G proteine che sfruFerà come effeFore una
proteina G trimerica che possiede come sub-unità alfa la sub-unità Gaq (si legge “G alfa q”),
quella che porta all’a:vazione della fosfolipasi C, che agisce sul fosfa>ldinositolo 4-5
bifosfato (o PIP2) andando a liberare diacilglicerolo e IP3 che a sua volta sarà coinvolto
nella liberazione di calcio dal re1colo endoplasma1co. Effe: indo: quindi dalla
s1molazione del receFore alfa1 adrenergico sono:
• Aumento della glicogenolisi muscolare e glicogenolisi e gluconeogenesi epa7ca
• Contrazione della muscolatura liscia dei vasi, dei bronchi e del traJo genito-
urinario
• Rilassamento della muscolatura liscia del traJo gastrointes7nale
2. I receFori alfa2 adrenergici invece, dipende da dove sono espressi:
• A livello del SNC in sede presinap>ca portano ad inibire il rilascio dei
neurotrasme:tori
• Al di fuori del SNC la loro espressione agisce a livello della muscolatura liscia di
bronchi e vasi dove induce contrazione come l’alfa1 adrenergico
Gli alfa2 segnalano aFraverso una Gai (si legge “G alfa i”) inibitoria nei confron1 della
adenilato ciclasi; questa inibizione dell’adenilato ciclasi porta alla riduzione dei livelli di
AMP ciclico e all’inibizione dell’a:vità della PKA.
3. I receJori beta, sia che si traFa di beta1, 2 o 3, sono tu: associa1 ad una proteina G
trimerica che ha come sub-unità alfa Gas (si legge “G s alfa”), s1molatoria nei confron1
dell’adenilato ciclasi. La segnalazione beta1, beta2 e beta3 adrenergica prevede
comunque l’a:vazione dell’adenilato ciclasi, l’aumento dei livelli di MP ciclico e l’a:vazione
della PKA.

- I receFori beta1 adrenergici sono espressi principalmente a livello cardiaco


dove mediano la contrazione del miocardio
- I receFori beta2 adrenergici sono espressi a livello di muscolo e fegato
aumentando rispe@vamente la glicogenolisi (muscolo) e la glicogenolisi e la
gluconeogenesi (fegato).
Inducono rilassamento della muscolatura liscia di bronchi, vasi e traKo genito-
urinario andando a opporsi all’effeFo dei receFori alfa1 adrenergici e alfa2
adrenergici (almeno sulla muscolatura liscia dei vasi)
- I receFori beta3 adrenergici sono espressi principalmente a livello del tessuto
adiposo dove mediano la lipolisi

Come inducono questo effe2o i rece2ori adrenergici?

1. ReceKore alfa1 (Gaq): ha ruolo metabolico (principalmente muscolare e poco per


quanto riguarda il fegato). Nel caso del muscolo scheletrico la s1molazione alfa1
adrenergica andrà a determinare un aumento della glicogenolisi in quanto la
segnalazione Gaq mediata, che consiste nella s7molazione della fosfolipasi C e quindi
aumento dei livelli di diacilglicerolo e di IP3 che a sua volta indurrà un aumento di calcio
per rilascio da parte del re7colo endoplasma7co. Questo aumento di calcio come fa a
determinare questo effeFo metabolico di incremento della glicogenolisi muscolare? La
glicogenofosforilasi chinasi (enzima che fosforila e a:va la glicogenofosforilasi e quindi
a:va la glicogenolisi) è un enzima che è cos1tuito da 4 sub-unità: sub-unità delta della
glicogenofosforilasi chinasi è una sub-unità di 1po calmodulinico, cioè ha affinità con la
calmodulina, proteina legante calcio. Nel momento in cui il calcio si lega alla sub-unità
delta della glicogenofosforilasi chinasi questo legame induce un’a@vazione di questo
enzima; per avere l’a:vazione completa di questo enzima manca però la fosforilazione
PKA mediata dell’enzima. Per mediare la fosforilazione della glicogenofosforilasi e
quindi a@vare la glicogenolisi però basta avere anche una parziale a@vazione
dell’enzima, quella dovuta al legame con il calcio. TuFo questo è per quanto riguarda
l’effeFo metabolico dell’alfa1.

Per quanto riguarda l’aumento della contrazione della muscolatura liscia dei bronchi,
dei vasi e del traFo genito-urinario, la fosfolipasi C, che viene a:vata in queste cellule
della muscolatura liscia, andrà, come nel caso del muscolo scheletrico, a idrolizzare PIP2
e quindi produrre DAG e IP3: quindi aumento di calcio nel citosol per rilascio di calcio dal
re7colo endoplasma7co. A questo punto questo calcio e questo diacilglicerolo
andranno ad a:vare alcune protein-chinasi tra cui la PKC (a:vata sia da calcio che da
DAG) o la proteina chinasi calcio calmodulina dipendente a:vata soltanto dal calcio.
Entrambe queste due protein-chinasi sono delle serinotreoninochinasi; in par1colare la
PKcalcio calmodulina dipendente ha come target la catena leggera della miosina:
proteina MLC che quando viene fosforilata potrà associarsi all’ac7na a formare i pun7
acto-miosinici fondamentali affinché si abbia il processo di contrazione.

Quindi la s1molazione alfa1 adrenergica via Gaq e via PLC produce DAG e IP3 il quale
porta ad un aumento di calcio. Il calcio poi a:va la PK calcio calmodulina dipendente la
quale fosforila la catena leggera della miosina (proteina MLC) che fosforilata può
interagire con l’ac1na per dare via al processo di contrazione.

Questa è una
prima modalità
con cui la
s1molazione
a l f a 1
adrenergica
media la
contrazione della
muscolatura
liscia dei vasi, dei
bronchi e del traFo genito-urinario perché in realtà il calcio fa anche qualcos’altro: è in grado di
unirsi ad una calmodulina libera nel citoplasma e formare un complesso calcio-calmodulina che si
andrà a legare alla MLCK (chinasi della catena leggera della miosina) che ha un doppio
meccanismo di regolazione:
- Se si lega al complesso calcio-calmodulina verrà a:vata e poi potrà andare a fosforilare il
suo target specifico, MLC, per poterla poi far interagire con l’ac7na e favorendo il processo
di contrazione. In defini1va la MLC viene fosforilata aFraverso due meccanismi:
- Fosforilata direFamente dalla protein-chinasi calcio calmodulina dipendente
- Fosforilata direFamente dalla MLCK a sua volta a:vata mediante il legame con il
complesso calcio-calmodulina

- La regolazione della MLCK in senso opposto la vedremo fra un po’ (per ora la prof ci ha
deJo solo questo) ! La MLCK è inibita se fosforilata da PKA, quando quindi MLCK è
fosforilata non è più a:va e non potrà più andare a fosforilare la catena leggera della
miosina

Perché a livello del traFo gastrointes1nale la stessa segnalazione alfa1 adrenergica ha un effeKo
opposto (rilassamento della muscolatura liscia del traFo)?

Perché qui la stessa segnalazione PLC dipendente, lo stesso aumento di calcio indoFo dai receFori
alfa1 adrenergici a:va1 ha in realtà un effeFo diverso perché non andrà ad a:vare la MLCK o la
PK calcio-calmodulina dipendente inducendo contrazione, ma avrà un target diverso: l’aumento del
calcio nella muscolatura liscia del traFo gastrointes1nale andrà ad a:vare dei canali per il KCa
(potassio-calcio) dipenden> inducendo un’iperpolarizzazione di membrana che determina un
effeJo di rilassamento della muscolatura liscia del traJo gastrointes7nale. Effe: diversi nelle due
sedi perché il target del calcio è diverso.
2. I receKori alfa2 adrenergici invece, dipende dove agiscono:

- Per quanto riguarda la funzione presinap>ca di questa segnalazione (che avviene


aFraverso la Gai: sub-unità che inibisce l’adenilato ciclasi, riduce i livelli di AMP
ciclico e inibisce l’a:vità della PKA). In sede presinap1ca quindi, quando si ha una
s1molazione aFraverso il receFore alfa2 adrenergico succede che si ha questo
crollo dell’AMP ciclico e questa inibizione della PKA che però, questa PKA, in sede
presinap1ca è importante per a:vare i canali per il calcio, è fondamentale per
garan7re la fusione delle vescicole contenen7 i neurotrasme@tori con la
membrana presinap7ca e quindi il rilascio di essi in sede intersinap7ca dove
andranno a s7molare il neurone postsinap7co. Se quindi si ha la s1molazione da
parte dei receFori alfa2 adrenergici e l’aPvità della PKA viene meno, non si potrà
più avere l’apertura dei canali per il calcio, perciò non si potrà più avere la fusione
con le vescicole e quindi si andrà ad inibire il rilascio di neurotrasme:tori e perciò
l’a:vazione del neurone post sinap1co. In questo modo si avrà sia un’inibizione
del rilascio di neurotrasme:tori adrenergici, sia un’inibizione del rilascio di
ace1lcolina da parte dei neuroni colinergici.
Quindi la s1molazione alfa2 adrenergica riassumendo, a livello del SNC, è inibitoria
nei confron1 della trasmissione sinap1ca sia di 1po adrenergico che di 1po
colinergico.
- A livello della muscolatura liscia dei vasi invece agisce andando a determinare lo
stesso effeFo indoFo dalla s1molazione alfa1 adrenergica: cioè andando a indurre
contrazione della muscolatura liscia dei vasi. Ma perché fa questo? I receJori
adrenergici alfa2 inibiscono la PKA, in quanto quest’ul1ma è una protein-chinasi
che, se è a:va, va a fosforilare e inibire la MLCK, impedendo a quest’ul1ma di
fosforilare la MLC, indurre la contrazione muscolare e quindi rilassare il muscolo.
Quindi quando la segnalazione alfa2 adrenergica va a interrompere questa
fosforilazione PKA
mediata della MLCK,
la PKA manterrà la
MLCK defosforilata e
quindi a@va, dunque
in grado di indurre la
fosforilazione di MLC
e quindi in grado di
indurre contrazione
della muscolatura
liscia dei vasi. Alfa2
adrenergica media
q u i n d i
vasocostrizione
perché inibisce PKA
che a sua volta è inibitoria nei confron1 di MLCK: mo1vo per cui la segnalazione
alfa2 adrenergica è sinergica con la segnalazione alfa1 a livello della muscolatura
liscia dei vasi nell’indurre vasocostrizione.

3. I receKori beta adrenergici segnalano tu: allo stesso modo, sia che si tra: di beta1, di
beta2 o di beta3: tuP segnalano aKraverso Gas (alfa G s):

-A u m e n t a n o a @ v i t à
dell’adenilato ciclasi
-Aumentano i livelli di
AMP ciclico
-A@vano la PKA

Saranno diversi poi i


target di PKA e gli effe:
indo: a livello delle varie
sedi in cui viene espresso
il receFore beta
adrenergico.

I receFori beta sono localizza1 in sedi diversi a seconda della 1pologia come deFo
prima.
- La s1molazione dei receFori beta1 adrenergici cardiaci, sia con catecolammine
endogene, sia con agonis1 farmacologici determina aumento della contraPlità
del miocardio e aumento della frequenza cardiaca.
- La s1molazione dei beta2 induce invece rilassamento dei vasi (effeFo
ipotensivo) e dei bronchi (broncodilatazione); hanno a:vità anche a livello del
traFo genito-urinario.
- Gli agonis1 dei receFori beta3 invece hanno un’azione lipoli1ca: mobilizzano i
trigliceridi a livello del tessuto adiposo

Ma come fanno ad avere ques; effeM?


- ReceFori beta1 adrenergici: parte la s1molazione del receFore quindi la s7molazione della
via mediata dalla G alfa s, aumento dell’a@vità di PKA che fosforila e apre canali per il
calcio che si trovano a livello della membrana plasma7ca delle cellule del miocardio;
aumenta la concentrazione di Ca nel citosol, si forma complesso calcio-calmodulina che
a:va la chinasi della
catena leggera della
miosina (MLCK) che a
sua volta fosforila MLC
i n d u c e n d o
contrazione (come gli
alfa1 adrenergici). La
s1molazione di ques1
receFori quindi
aumenta la forza di
c o n t ra z i o n e d e l l e
cellule del miocardio
(effeKo inotropo
posi>vo), aumenta
frequenza cardiaca
(effeKo cronotropo
posi>vo), aumenta la velocità di conduzione. Visto tale effeFo, l’uso di farmaci che
funzionano da agonis1 sele:vi dei receFori beta1 adrenergici, che sono i digitalici, sono
usa1 nel traJamento dell’insufficienza cardiaca perché hanno un effeJo inotropo e
cronotropo posi7vo, quindi contrastano l’insufficienza cardiaca. Invece i beta bloccan1
cardio-sele:vi, quelli che inibiscono la segnalazione beta1 adrenergica nel cuore, hanno
l’effeFo opposto: effeJo inotropo e cronotropo nega7vo, perciò servono nei casi di
ipertensione e tachicardia perché inducono un effeJo di bradicardia: inibiscono la
contraPlità cardiaca e abbassano la frequenza cardiaca.
- ReceKori beta2
adrenergici: effeFo di
rilassamento della
muscolatura liscia di
bronchi, vasi e traFo
genito-urinario, quindi
contrastano l’effeFo
della s1molazione
alfa1 adrenergica,
perché? Se i receFori
beta2 a:vano la PKA,
nelle cellule della
muscolatura liscia essa
andrà a fosforilare ed
inibire MLCK la quale
non sarà più in grado
di fosforilare MLC e
quindi non avremo un
effeFo di contrazione, bensì di rilassamento della muscolatura liscia. È perciò diversa
l’a:vità dei receFori beta adrenergici nel cuore e nelle cellule della muscolatura liscia dei
vasi:

- nel muscolo liscio dei vasi la MLCK è inibita da una fosforilazione PKA mediata

- nel cuore la MLCK è aPvata dal complesso calcio-calmodulina un po’ come


avviene nella s1molazione alfa1 adrenergica

Nel cuore perciò i receJori beta1 inducono contrazione, nella muscolatura liscia dei vasi, dei
bronchi e del traJo genito-urinario la segnalazione beta2 adrenergica induce rilassamento.
Nella muscolatura liscia dei vasi la s7molazione alfa1 indurrà contrazione aumentando
calcio e a@vando la MLCK, mentre la s7molazione beta2 indurrà rilassamento a@vando
PKA e inibendo invece la MLCK: segnalazione beta2 andrà dunque a contrastare la
segnalazione alfa1 e questo dipenderà dai livelli di adrenalina e noradrenalina in circolo in
quanto ques7 due receJori hanno affinità diverse per queste due catecolammine.

Se andiamo a vedere un po’ più in senso lato il meccanismo di contrazione della


muscolatura liscia dei vasi, vediamo che oltre al receKore alfa1 e beta2, la muscolatura
liscia dei vasi esprime anche altri receKori che hanno un ruolo nel regolare il processo di
contrazione. Quindi oltre alla contrazione indoFa dal receFore alfa1 e dal rilassamento
indoFo dal receFore
beta2 la muscolatura
liscia dei vasi esprime
anche il receKore alfa2
(come abbiamo già
deFo): il receFore alfa2
fa i l co nt ra r i o d e l
receFore beta2:
-Beta2 a:va PKA e
inibisce MLCK !
rilassamento della
muscolatura liscia
-Alfa2 inibisce PKA e
a:va MLCK !
contrazione della
muscolatura liscia
ReceFori alfa1 e alfa2
determinano quindi
contrazione della muscolatura liscia, uno aFraverso il Ca e uno aFraverso l’inibizione di
PKA; il receFore beta2 invece determina rilassamento perché a:va PKA.
La muscolatura liscia dei vasi esprime anche il receKore per la vasopressina e il receKore
per l’angiotensina le quali andranno ad a@vare una piccola GTPasi Rho che andrà a sua
volta ad inibire l’a@vità di MLCK: inibizione di a:vità di MLCK potrà comunque portare
quindi ad un effeFo di contrazione della muscolatura liscia infa: anche angiotensina e
vasopressina hanno questo effeFo di vasocostrizione che poi porta ad una risposta
ipertensiva.

Anche l’ossido di azoto (NO) è un


gas che agisce come ormone che a
livello delle cellule della
muscolatura liscia di vasi può
a:vare una guanilato ciclasi
solubile, aumentare i livelli di GMP
ciclico il quale andrà ad a:vare
una pKG (protein chinasi GMP
ciclico dipendente), quest’ul1ma a
sua volta fosforila la MLCK e la
ina:va al pari di quello che fa
PKA. Quindi NO che è
responsabile dell’a:vazione di
questa pKG, in defini1va inibisce la
MLCK determinando questo effeJo di rilassamento della muscolatura liscia dei vasi, un po’
come fa la s1molazione alfa2 adrenergica.

Riassumendo, la muscolatura liscia dei vasi può rispondere a diversi s1moli:


- ReceFore alfa1 e alfa2 adrenergici inducono contrazione della muscolatura liscia dei
vasi, così come i receFori per la vasopressina e l’angiotensina
- ReceFore beta2 adrenergico, al pari di NO determina rilassamento della
muscolatura liscia dei vasi

Domanda: “Ma il receJore per la piccola GTPasi Rho favorisce la contrazione perché inibisce la
fosfatasi?”
In quest’immagine è scriJo in questo modo ma in realtà non è chiaro come la GTPasi Rho
determina questa contrazione, sembra però che la GTPasi Rho vada ad a@vare la MLCK, punto
però non molto chiaro quindi la prof ha deJo che non si è spinta a parlare della fosfatasi della
MLCK.

È chiaro però che la GTPasi Rho, a:vata dalla vasopressina e dall’angiotensina, determina
un’a:vazione di MLCK e quindi ha un effeFo procontraPle nei confron1 della muscolatura
liscia dei vasi.

EffeFo metabolico dei receKori alfa1 e beta2 adrenergici è stato già un po’ deFo: nella
muscolatura scheletrica si esprimono entrambi ques1 due receFori ed entrambi cooperano
nell’aumentare un effeJo di glicogenolisi. Per quanto riguarda la s1molazione alfa1
adrenergica abbiamo deFo che questo si ha perché gli alfa1 aumentano la concentrazione
di Ca che si lega alla sub-unità delta della glicogeno fosforilasi chinasi e ne aumenta
l’a@vità. Contemporaneamente se c’è anche una s7molazione beta2 essa andrà ad a@vare
la PKA la quale fosforilerà la
glicogeno fosforilasi chinasi
che quindi assumerà una
piena a@vità, perché non solo
è fosforilata da PKA, ma
prevede anche il legame con il
Ca con il complesso calcio-
calmodulina a livello della
sub-unità delta perché la sub-
unità delta è in realtà una
calmodulina. Perciò la
glicogeno fosforilasi chinasi
così a:vata, in presenza di
calcio e in presenza di
fosforilazione PKA mediata,
potrà andare a fosforilare la
glicogeno fosforilasi e quindi
indurre una glicogenolisi: questo è importante per le catecolammine che sono ormoni
importan1 per la risposta “fight or flight” (comba: o fuggi). Devono quindi a:vare queste
vie cataboliche, in par1colare la glicogenolisi, ma poi i receFori beta3 adrenergici anche la
lipolisi, perché devono preparare l’organismo o alla loFa o alla fuga ed è perciò importante
avere disponibilità di substra1 energe1ci: la degradazione del glicogeno da disponibilità di
glucosio, la mobilizzazione (degradazione) di trigliceridi a livello del tessuto adiposo darà
disponibilità di acidi grassi comunque u1lizzabili a scopo energe1co.

Il metabolismo del glicogeno è quindi controllato in maniera sinergica sia dalla


s;molazione alfa1 adrenergica, sia dalla s;molazione beta2 adrenergica.
- ReceKori beta3 inducono mobilizzazione dei trigliceridi a livello del tessuto adiposo perché
è qui che sono principalmente espressi e lo fanno aFraverso la via della PKA che andrà a
fosforilare da una parte le perilipine andando quindi a rendere disponibili i trigliceridi
presen7 nelle gocce lipidiche all’azione della trigliceridi lipasi, dall’altra andrà ad a@vare
proprio la lipasi ormone sensibile che altro non è che una digliceride lipasi che non è
soltanto target del glucagone (per questo si chiama ormone sensibile), ma diventa anche
target della PKA a:vata dalla segnalazione beta3 adrenergica. La PKA da una parte quindi
fosforila le perilipine e apre il varco al raggiungimento dei trigliceridi, dall’altra parte
aMva la diacilglicerolo lipasi che andrà a degradare (mobilizzare) ques; trigliceridi
perme2endo quindi la fuoriuscita, da parte degli adipoci;, non solo del glicerolo, ma
anche degli acidi grassi.
In realtà la trigliceride lipasi, la prima quindi che ha a:vità sui trigliceridi, come abbiamo già
parlato, non viene a:vata da quest’enzima PKA regolato, ma viene a:vata da una proteina che
inizialmente è
mantenuta legata
alle perilipine e che
si chiama proteina
CGI, la quale,
quando le perilipine
saranno fosforilata,
ve r rà l i b e rata e
andrà ad interagire
con la trigliceride
lipasi a:vandola.
Quest’ul1ma infine
andrà a scindere il
primo acido grasso
dal trigliceride
formando un acido
grasso libero e il
diacilglicerolo. Sarà
su quest’ul1mo che
agirà la
diacilglicerolo lipasi
che è quell’enzima fosforilato da PKA, a:vata dal receFore beta3 adrenergico, e che sarà anche
fosforilata dalla PKA a:vata dal glucagone nel caso in cui si sia in condizioni ipoglicemiche.
La diacilglicerolo lipasi andrà quindi poi a rimuovere il secondo acido grasso dal diacilglicerolo
formando monoacilglicerolo che sarà ulteriormente idrolizzato dalla monoacilglicerolo lipasi.
La segnalazione beta3 adrenergica porta quindi una liberazione di acidi grassi liberi dal tessuto
adiposo.

Ci sono delle forme di tumore, in par1colare il Feocromocitoma, che sono dei tumori delle cellule
cromaffini della midollare del surrene che porta iperproduzione di adrenalina e noradrenalina; in
par1colare l’overproduzione di adrenalina porta ad un effeFo ipermetabolico quindi eccesso di
lipolisi nel tessuto adiposo e di glicogenolisi nel muscolo, mentre l’eccesso di noradrenalina porta
ad un effeFo ipertensivo per l’a:vità a livello della muscolatura liscia dei vasi.
Sbobina n° 39 – Biochimica ormonale
Prof.ssa: Giannoni
Data: 03/05/2021
Sbobinatori: Lucrezia Forti e Susanna Feldi
Revisore: Nicola Giambalvo e Teresa Codrino

GLI EICOSANOIDI: MEDIATORI PARACRINI DERIVATI


DALL’ACIDO ARACHIDONICO

Gli eicosanoidi sono dei mediatori


che non possono essere definiti in
realtà ormoni perché gli ormoni
sono quei mediatori che agiscono a
distanza e che sfruttano il torrente
circolatorio per raggiungere i tessuti
bersaglio (che sono distanti dalla
ghiandola di origini), quindi che
hanno un ruolo endocrino. In realtà
gli eicosanoidi agiscono a breve
raggio quindi nelle immediate
vicinanze della cellula che li
produce, per questo si parla di una
segnalazione di tipo paracrina. In
realtà per gli eicosanoidi può essere
anche una segnalazione di tipo
autocrino perché le stesse cellule
produttrici possono diventare anche le cellule che rispondono allo stesso stimolo che producono, quindi gli
eicosanoidi sono dei mediatori a corto raggio che posso agire o in modalità paracrina o in modalità autocrina.

L’ACIDO ARACHIDONICO: IL PRECURSORE DEGLI EICOSANOIDI

Sono dei derivati dell’acido


arachidonico, un acido grasso
polinsaturo a venti atomi di
carbonio che presenta 4
insaturazioni a livello dei carboni
5, 8, 11 e 14. L’acido arachidonico
è un acido grasso polinsaturo
appartenente alla classe dei
PUFAs (polyunsaturated fatty
acids) che viene definito un acido
grasso essenziale perché deriva
da un acido grasso essenziale, che
è l’acido linoleico (o linoleato)
che è un 18 con 2, vuol dire che è
un acido grasso a 18 atomi di
carbonio che presenta due
insaturazioni: una a livello del
carbonio 9 e una a livello del
carbonio 12 (è un delta 9,12).
Visto che l’uomo non può introdurre insaturazioni oltre il delta 9 il fatto che l’acido linoleico abbia
un’insaturazione in posizione 12 fa capire che questo è un acido grasso che non può essere sintetizzato a
livello dell’organismo e per questo motivo viene definito un acido grasso essenziale.
A partire da questo acido grasso essenziale per ottenere l’acido arachidonico si procede con delle modifiche
che riguardano due insaturazioni e un processo di allungamento che possono perfettamente essere portate
avanti dall’organismo, ma partendo da un acido grasso essenziale. Per questo l’acido arachidonico viene
definito un acido grasso essenziale. Abbiamo notato una situazione analoga nel caso della tirosina, che deriva
dalla fenilalanina (amminoacido essenziale) a cui aggiungiamo un’idrossilazione. L’idrossilazione la possiamo
introdurre, ma la fenilalanina è un amminoacido essenziale quindi anche la tirosina viene considerata
essenziale perché se non c’è la fenilalanina non si può ottenere tirosina.
Solo in presenza di adeguate disponibilità di acido linoleico si può sintetizzare endogenamente a livello
dell’organismo l’acido arachidonico e per far questo c’è bisogno di una insaturazione, si introduce un nuovo
doppio legame in posizione 6 e siamo perfettamente in grado di farlo perché è entro il delta nove, si procede
poi con un allungamento che allunga l’acido gamma linolenico (quello che deriva dall’acido linoleico dopo
aver aggiunto questa insaturazione in 6 ) di altri due atomi di carbonio e si passa da un C18 a un C20
ottenendo l’eicosatrienoato. Dopo di che si promuove un’altra insaturazione in posizione 5 (cambiano i
numeri perché si allunga di due atomi di carbonio) e si ottiene l’acido arachidonico, un 20 con 4 delta
5,8,11,14. Questo come nome da un punto di vista di nomenclatura classica è un acido eicosatetraenoico
5,8,11,14 ma viene definito come acido arachidonico. L’acido arachidonico viene “accumulato” a livello dei
fosfolipidi di membrana e normalmente occupa la posizione 2 dei fosfolipidi di membrana; questi diventano
una riserva di acido arachidonico e una fonte per quando c’è bisogno di liberare questo acido grasso (per
esempio al fine di sintetizzare eicosanoidi). Chi promuove il distacco di acido arachidonico dalla posizione 2
dei fosfolipidi di membrana è la fosfolipasi A2, un enzima che rompe il legame estere tra la posizione 2 del
glicerolo e il gruppo carbossilico dell’acido grasso legato in posizione 2 (prevalentemente in questa posizione
è legato l’acido arachidonico). Fa parte di quella famiglia di enzimi che sono le fosfolipasi, che agiscono
idrolizzando i fosfolipidi di membrana. A questa famiglia delle fosfolipasi appartiene:

• la fosfolipasi A1 che rompe il legame estere tra il primo gruppo idrossilico del glicerolo e il primo
acido grasso
• la fosfolipasi A2 che rompe il legame estere tra la seconda posizione alcolica del glicerolo e il secondo
acido grasso
• la fosfolipasi C che invece rompe il legame tra il terzo gruppo idrossilico del glicerolo e la testa polare
facendo uscire la testa polare insieme al gruppo fosfato e lasciando quindi diacilglicerolo
• la fosfolipasi D invece rompe il legame tra il fosfato e la testa polare facendo uscire l’acido fosfatidico
e la testa polare non fosforilata

La fosfolipasi A2 è quella che libera acido arachidonico perché in posizione 2 del glicerolo frequentemente è
presente questo acido grasso polinsaturo. La
fosfolipasi A2 si attiva o in seguito ad uno stimolo
ormonale o in seguito a stimoli che non sono di
origine ormonale e porta alla liberazione di
questo acido arachidonico.

L’acido arachidonico diventa punto di partenza


per la sintesi di una vasta classe di eicosanoidi
all’interno della quale sono presenti mediatori
locali che hanno una diversa struttura chimica,
una diversa funzione e che hanno anche una
diversa localizzazione come un diverso effetto su
specifici tessuti bersaglio. La reazione limitante
dell’intera via di biosintesi degli eicosanoidi è
l’attivazione della fosfolipasi A2, infatti, quando
l’acido arachidonico viene liberato subirà altri
tipi di reazioni che sono quelle caratteristiche delle varie vie biosintetiche che portano alla generazione degli
eicosanoidi e subirà anche altri sistemi di regolazione. La modalità con cui si va ad inibire in maniera molto
efficace la sintesi di tutti gli eicosanoidi è proprio inattivando la reazione catalizzata dalla fosfolipasi A2 e
questo punto di regolazione è proprio il target dei glucocorticoidi. I glucocorticoidi sono quelli sintetizzati
dalla corticale del surrene e in particolare il corticosterone e il cortisolo hanno un’attività antiinfiammatoria
poiché inibiscono la fosfolipasi A2, uno degli effetti mediati dalla classe degli eicosanoidi, infatti, sarà proprio
quello di promuovere il processo infiammatorio. Interrompendo l’attività della fosfolipasi A2 si va ad
interrompere questa risposta pro-infiammatoria indotta da una classe degli eicosanoidi, in particolare dalle
prostaglandine.
A partire dall’acido arachidonico si può procedere in due direzioni, o verso la sintesi dei leucotrieni e questa
sarà una via catalizzata da una classe di enzimi che si chiamano lipossigenasi o LOX, che inseriscono
all’interno dell’acido arachidonico una molecola di ossigeno sotto forma di idroperossido e formano delle
molecole lineari. Questa, infatti, sarà anche una via biosintetica che verrà definita come via lineare. L’altra
via biosintetica che parte dall’acido arachidonico è quella mediata dalle ciclossigenasi dette anche COX che
catalizzano delle reazioni in cui si prevede l’inserimento di due molecole di ossigeno a livello del substrato
(l’acido arachidonico), portando alla sintesi di molecole non più lineari ma cicliche e infatti questa via di
biosintesi degli eicosanoidi viene anche detta via ciclica. Attraverso la via ciclica vengono sintetizzati tre
tipologie di eicosanoidi, che sono:
• le prostacicline
• le prostaglandine
• i trombossani
tutti e tre queste classi di eicosanoidi derivano da un precursore comune che è un diretto derivato dall’acido
arachidonico che è la prostaglandina H2.

ALCUNI EICOSANOIDI

Queste sono alcune delle formule di struttura di


alcuni eicosanoidi, in particolare in alto a sinistra
vedete la formula di struttura di una delle
prostaglandine. Tutte le prostaglandine sono
costituite da un anello ciclo pentanico quindi a
cinque termini, che però può avere una diversa
composizione per quanto riguarda i sostituenti e
quindi si distinguono diverse tipologie di
prostaglandine a seconda dei sostituenti di questa
struttura generica (costituita da un ciclo pentano
e da queste due catene lineari che dipartono dal
ciclo pentano). In particolare, ci sono queste
sottoclassi di prostaglandine definite come
prostaglandine PGA (si legge prostaglandina A,
prostaglandina B etc..), PGB, PGC, PGD, PGE, PGF,
PGG, PGH. La PGI rientra in un’altra classe e ciascuna classe è a sua volta divisa in sottogruppi e si può parlare
di prostaglandina A1, A2 prostaglandina E1, E2 e questo identifica il numero di doppi legami presenti sulla
catena laterale. Questa è la formula di struttura generica di una prostaglandina e quella che vedete mostrata
in figura è la prostaglandina A2, che infatti presenta nella catena laterale 2 insaturazioni.

La prostaglandina I altro non è che la prostaciclina, in particolare la prostaciclina I2 (PGI2). Le prostacicline


sono costituite da due anelli, da due ciclo pentani quindi al classico anello a 5 termini della prostaglandina si
unisce un altro anello eterociclico e quello che deriva sono le prostacicline.

I trombossani sono invece costituiti da un anello a 6 termini e questo anello contiene anche un ossigeno
sotto forma di endoperossido e quello che vediamo rappresentato è il trombossano A2.
C’è infine la classe dei leucotrieni, che a differenza delle altre tre non contiene anelli ciclici, e per questo
vengono definite molecole lineari. Presentano 3 doppi legami coniugati, e questa è la caratteristica della
classe dei leucotrieni.

A partire dall’acido arachidonico, dunque, la via che porta a sintesi


di eicosanoidi -o meglio dire le vie che possono portare a sintesi
delle varie classi di eicosanoidi- sono classificate in due tipologie:
• la via ciclica, che porta alla sintesi di eicosanoidi in forma
ciclica quali le prostaglandine, le prostacicline e i
trombossani. Tutti contengono un anello di cui uno a 5
atomi le prostaglandine, due anelli a 5 atomi le
prostacicline, un anello a 6 atomi i trombossani. Questa via
viene portata avanti grazie alla reazione di un enzima che
si chiama ciclossigenasi o COX.
• la via lineare è quella che porta a sintesi dei leucotrieni, che sono molecole che non contengono
anelli e quindi sono molecole lineari. Viene portata avanti da un enzima che è la lipossigenasi o LOX.

LA VIA CICLICA

La via ciclica è una via che parte


dall’acido arachidonico che è stato
liberato dai fosfolipidi di membrana
grazie all’attività della fosfolipasi A2 e
sarà il substrato della ciclossigenasi
(detta anche prostaglandina H2 sintasi)
perché il prodotto dell’attività della
ciclossigenasi è la prostaglandina H2
dalla quale derivano tutte le altre
prostaglandine o le prostacicline oppure
i trombossani. La ciclossigenasi è un
enzima che ha due attività funzionali,
due attività catalitiche:
• un’attività ciclossigenasica
• un’attività perossidasica.
Questo è un enzima che contiene un
gruppo eme e che come prima cosa
porta avanti l’attività ciclossigenasica andando a formare appunto questo ciclo pentano e quindi andando a
chiudere questa molecola lineare che è l’acido arachidonico in una molecola ciclica (da qui il nome della via).
Da questo punto attiverà l’inserimento di due molecole di ossigeno a livello dell’intermedio di reazione
formando un endoperossido, quindi una molecola di ossigeno che si unisce a ponte a livello del ciclo pentano
e un idroperossido che invece è legato in posizione 15. Quindi l’attività ciclossigenasica della COX porta a
ciclizzazione dell’acido arachidonico e formazione di questo ciclo pentano e all’inserzione di due molecole di
ossigeno a livello di questo intermedio:
o una sotto forma di endoperossido che va a legare le posizioni 9 e 11 del ciclo pentano
o una sotto forma di idroperossido legato alla posizione 15 di questo intermedio che si chiama
prostaglandina G2, che però è solo un intermedio di reazione perché subito la ciclossigenasi porta
avanti anche la seconda attività catalitica perossidasica con cui va a convertire questo idroperossido
in posizione 15 nel corrispondente gruppo idrossilico formando la prostaglandina H2.
La prostaglandina G2 è molto instabile ed è solo un intermedio di reazione, subisce velocemente l’attività
perossidasica della COX mentre il prodotto finale della COX o prostaglandina H2 sintasi è appunto la
prostaglandina H2.
LA COX ESISTE IN DUE ISOFORME

La COX è un enzima che esiste in realtà in due isoforme,


due sono le più caratterizzate, poi ci sarebbe anche una
terza che però è poco caratterizzata. Le due più
caratterizzate sono la COX-1 e la COX-2. Queste
condividono un’omologia di sequenza del 35%, la stessa
modalità di azione (quindi stesso meccanismo catalitico),
ma differiscono perché la COX-1 è espressa
costitutivamente in tutti i tessuti, quindi è presente in
maniera ubiquitaria, è sempre espressa. La COX-2 invece è
un enzima inducibile, la cui espressione viene indotta in
seguito a particolari stimoli, per esempio uno stimolo
portato avanti dall’interleuchina-1 o dalla presenza di LPS batterico (quindi in seguito ad un’infezione
batterica) e questa induzione dell’espressione della COX-2 si verifica soprattutto a carico dei macrofagi, dei
monociti e in cellule che fanno parte dei tessuti sede di informazione.

La COX-1 che è l’enzima costitutivamente espresso è particolarmente importante e presente a livello delle
cellule della mucosa gastrica laddove induce la sintesi di mucina gastrica (quel muco protettivo che va a
proteggere le pareti dello stomaco) impedendo che l’acido cloridrico possa agire sulle cellule della mucosa
gastrica andando quindi a promuovere un effetto di ulcerazione. Quindi la COX-1 riveste un ruolo essenziale
per proteggere la mucosa gastrica contro una possibile ulcerazione della parete gastrica.

La COX-2 che invece è indotta dall’interleuchina-1 che è una classica citochina pro-infiammatoria o dall’LPS
batterico quindi da un’infezione batterica. Porta soprattutto a sintesi di prostaglandine che sono coinvolte
come mediatori dell’infiammazione del dolore e della febbre. L’induzione dell’espressione della COX-2 viene
inibita dai glucocorticoidi, che non agiscono solo inibendo l’attivazione della fosfolipasi A2, ma anche
inibendo l’espressione della COX-2 soprattutto a livello delle cellule dei tessuti sede di infiammazione.

EFFETTI DELLE PROSTAGLANDINE

Le prostaglandine hanno diversi tipi di funzioni,


prostaglandine diverse avranno azioni diverse su tessuti
diversi e chiaramente risposte diverse ma in generale
diciamo che le prostaglandine
o sono i mediatori dell’infiammazione, del dolore e
della febbre (in primis questo è il ruolo della
prostaglandina E2 PGE2);
o partecipano come regolatori della temperatura corporea, quindi prendono parte alla
termoregolazione e per questo motivo c’è un controllo a livello ipotalamico delle prostaglandine
perché è lì che si svolgono i centri termoregolatori;
o partecipano anche a garantire le contrazioni uterine (in particolare questo è il ruolo della classe delle
PGE e delle PGF). La produzione infatti di prostaglandine viene inibita dal progesterone che per
garantire il mantenimento della gravidanza inibisce la sintesi di prostaglandine e quindi inibisce
questa contrattilità dell’utero, inibita anche perché il progesterone va a down regolare quelli che
sono i canali per il calcio a livello delle cellule uterine.
o inducono vasocostrizione, questo è tipico delle prostaglandine F e possono agire anche come
anticoagulanti. In realtà questo non è il ruolo delle prostaglandine ma è un ruolo delle prostacicline
però visto che la prostaciclina viene definita anche come prostaglandina I2 diciamo che viene vista
anche come un membro un po' assestante delle prostaglandine, per questo alle prostaglandine viene
conferito anche questo ruolo, però il ruolo di anticoagulanti e vasodilatatori viene un po' in maniera
più specifica assegnato come ruolo alle prostacicline.

INIBITORI DELLA COX

La via di sintesi definita via ciclica, quella


catalizzata dalla COX è una via che può essere
bersaglio di alcuni farmaci antiinfiammatori che
vengono definiti farmaci antinfiammatori non
steroidei (i cosiddetti FANS o NSAID se
consideriamo il loro nome in inglese). I FANS
sono dei classici inibitori della COX e quindi
mediano un effetto a breve termine a differenza
dei farmaci antinfiammatori steroidei che altro
non sono che corticosteroidi, i quali inibiscono
l’espressione della fosfolipasi A2 e quindi hanno
un’azione un po' più a lungo termine. Tra i FANS
con azione a breve termine ricordiamo per
esempio l’asprina o acido acetilsalicilico, un
farmaco che inibisce in maniera irreversibile
l’attività della COX perché promuove l’acetilazione di un residuo importante per la catalisi che è una serina
che si trova a livello del sito catalitico dell’enzima. Questa è un’acetilazione irreversibile e come tale l’aspirina
porta ad una inibizione irreversibile della COX. Purtroppo l’aspirina non è selettiva per le due isoforme della
COX, quindi, non agisce solo sulla COX-2 responsabile dei processi infiammatori, ma agisce anche sulla COX-
1. Usi prolungati di aspirina possono anche avere effetti indesiderati ossia provocare dei bruciori gastrici e se
l’uso è molto prolungato anche aumentare il rischio di ulcere gastriche perché inibiscono anche l’attività della
COX-1 (quindi inibiscono la produzione di mucina gastrica che è il protettivo nei confronti dell’azione degli
acidi gastrici sulle pareti gastriche).

Domanda n.1
Mi sembrava di sapere che stanno studiando l’aspirina anche come prevenzione in alcuni tipi di tumore, è
possibile?

Si, soprattutto tumori del colon perché questa capacità che ha di promuovere questa acetilazione sembra che
abbia un ruolo nell’acetilare anche delle proteine che intervengono in alcune vie di signaling soprattutto dei
fattori di crescita. Sembra che abbia un’azione di inibizione di questi mediatori della segnalazione e che quindi
vada ad interrompere o a contrastare la segnalazione dei fattori di crescita e per questo l’attività proliferativa
indotta da alcuni fattori di crescita e per questo è in studio anche come prevenzione. Al momento se ne sta
proponendo anche se bisogna andarci molto cauti come possibile trattamento con dosi particolari ma ancora
niente di definitivo nel trattamento dei carcinomi del colon.

L’aspirina ha questo nome perché viene isolata da un principio attivo presente nella pianta spirea, è stata
isolata per la prima volta dalla pianta spirea e quindi per questo prende il nome di aspirina. In realtà la prima
volta che è stato definito il ruolo dell’acido acetilsalicilico è perché è stato visto che degli estratti del salice
potevano avere queste proprietà antiinfiammatorie perché il salice contiene acido acetilsalicilico ma siccome
poi l’acido acetilsalicilico è stato trovato anche in altre specie vegetali come la spirea, la spirea è stata quella
da cui per primo è stato poi estratto il principio attivo ed è per questo che l’acido acetilsalicilico prende il
nome di aspirina.
IBUPROFENE

Tra i FANS non c’è solo l’aspirina ma c’è anche l’ibuprofene


che agisce sempre inibendo la COX però con un meccanismo
diverso perché non determina un acetilazione dell’enzima e
quindi un’inibizione irreversibile dell’enzima ma determina
un’inibizione reversibile dell’enzima perché è un mimetico
del substrato quindi va ad occupare il sito catalitico al posto
dell’acido arachidonico quindi agisce da inibitore
competitivo e solo quando le concentrazioni di ibuprofene
superano le concentrazioni di acido arachidonico questo può agire da inibitore. Nel momento in cui le
concentrazioni di ibuprofene calano la COX può riprendere la sua attività. In questo caso l’inibizione è di tipo
reversibile da parte di un inibitore competitivo a differenza del ruolo e della funzione dell’aspirina che invece
inibisce irreversibilmente l’enzima e quindi è necessaria una neo sintesi dell’enzima per recuperare l’attività.

EFFETTI DEI TROMBOSSANI

A partire dalla prostaglandina H2 non si


sintetizzano soltanto le prostaglandine che
hanno appunto svariati effetti a seconda del
tipo di tessuto su cui agiscono ma derivano
anche i trombossani, in particolare sia il
trombossano A2 che il trombossano B2
(anche se il più attivo è il trombossano A2). I
trombossani hanno come funzione quella di
promuovere vasocostrizione e aggregazione
piastrinica e quindi hanno un’azione
antagonista rispetto alle prostacicline che
invece avevano come effetto
vasodilatazione e inibizione
dell’aggregazione piastrinica. Quando ci
sono dei pazienti che hanno un altro rischio
trombotico questi vengono spesso trattati con basse dosi di aspirina, la cosiddetta “aspirinetta” perché
piccole dosi quotidiane di aspirina limitano queste patologie trombotiche e limitano anche il rischio di infarto
e di ictus cerebrale. Questo perché l’aspirina interrompendo e bloccando l’attività della COX inibisce la sintesi
di trombossani (e quindi inibisce l’aggregazione piastrinica che da origine a questi effetti trombotici). Le dosi
di aspirina che vengono somministrate quotidianamente sono delle dosi molto basse e che hanno un effetto
irrilevante a livello della mucosa gastrica anche se a volte chi prende l’aspirinetta prende anche dei protettori
gastrici proprio per impedire che ci siano questi effetti
collaterali.

Domanda n.2: la cardio aspirina è la stessa cosa?


Sì, è la cosiddetta aspirinetta

I LEUCOTRIENI

Per quanto riguarda invece i leucotrieni, questi


vengono sintetizzati a partire dall’acido arachidonico
non attraverso la via ciclica catalizzata dalla COX ma
attraverso la via lineare catalizzata dalla LOX o meglio
dalle LOX perché le lipossigenasi possono appartenere a diversi membri.
Le lipossigenasi inseriscono non due molecole di ossigeno ma una molecola di ossigeno a livello dell’acido
arachidonico e la inseriscono sotto forma di idroperossido. A seconda della posizione in cui viene inserito
questo idroperossido si andranno a formare dei derivati idroperossidici dell’acido arachidonico in posizione
5, 12 o 15 catalizzati rispettivamente dalla 5-LOX, dalla 12-LOX o dalla 15-LOX. Queste sono le modifiche che
i tre tipi di lipossigenasi possono indurre a livello dell’acido arachidonico, quindi inserimento di un
idroperossido in posizione 5 da parte della 5-LOX, in posizione 12 da parte della 12-LOX, in posizione 15 da
parte della 15-LOX.

La 5-LOX è un enzima che è molto


espresso a livello dei leucociti, da qui
anche il nome dei leucotrieni che
prendono questo nome perché sono
dei mediatori particolarmente prodotti
a livello dei leucociti che vedono alti
livelli di espressione delle lipossigenasi
in particolare della 5-LOX. “Trieni”
deriva invece dal fatto che questa
classe di mediatori locali possiede tre
doppi legami coniugati. La 5-LOX è
espressa abbondantemente a livello
dei granulociti neutrofili e basofili e a
livello dei linfociti B ma è espressa
anche a livello dei macrofagi e dei
mastociti. Il prodotto diretto
dell’attività della 5-LOX sull’acido
arachidonico è l’acido 5-HETE, l’acido
idroperossieicosatetraenoico che poi può andare incontro a diversi destini. Un primo destino è quello di
essere convertito nel corrispondente gruppo idrossilico quindi l’idroperossido viene ridotto a gruppo
idrossilico e si forma il 5-HETE 5-idrossieicosatetraenoato, oppure può essere convertito nei leucotrieni della
serie A4, qua nell’immagine c’è anche un altro tipo di destino ma è una via che non viene seguita in maniera
rilevante. I due prodotti dell’attività della 5-LOX sono in realtà l’acido 5 idrossieicosatetraenoico e i leucotrieni
della serie A4 (LTA4, che però ha una bassa attività biologica e rapidamente viene convertito nei leucotrieni
della serie B quindi nei leucotrieni B4).
Sia il 5-HETE che l’LTA4 (seppur con bassa attività biologica) e l’LTB4 sono dei mediatori con attività pro-
infiammatoria. I leucotrieni B4 sono anche prodotti della 12-LOX quindi quando l’enzima inserisce questo
idroperossido a livello della posizione 12 dell’acido arachidonico si formerà in primis questo idroperossido il
12-HPETE che poi può essere convertito nel corrispondente gruppo idrossilico, il 12-HETE che a sua volta
viene convertito nei leucotrieni B4. Quindi i leucotrieni B4 che sono i veri mediatori pro-infiammatori nella
classe dei leucotrieni possono essere formati sia dall’attività della 5-LOX che dall’attività della 12-LOX, anche
se la 5-LOX può formare anche il 5-HETE che ha di per sé un’attività pro-infiammatoria.

Diversa è la funzione della 15-LOX che forma inizialmente il 15-HPETE quindi l’idroperossido che però si
converte nel corrispondente gruppo mediatore idrossilico15-HETE che però da origine alle lipossine. Le
lipossine a differenza dei leucotrieni B4 del 5-HETE sono mediatori ad attività antinfiammatoria. La 15
lipossigenasi è espressa soprattutto a livello dei linfociti T e delle cellule dell’epitelio della trachea ed è
l’enzima deputato alla sintesi di questi mediatori ad attività anti-infiammatoria che sono le lipossine.
EFFETTI DEI LEUCOTRIENI

L’effetto maggiore dei leucotrieni al di là di questa


loro proprietà pro-infiammatoria o
antiinfiammatoria per quanto riguarda le lipossine
è quella di regolare la contrazione delle cellule
della muscolatura liscia dei bronchi e in
particolare sono coinvolte anche in processi
allergici. È stato visto che i leucotrieni hanno una
grossa attività nel mediare la costrizione
bronchiolare a lenta insorgenza ma a lunga
persistenza dei muscoli delle vie respiratorie,
quindi è per questo che quando si fanno dei
trattamenti con farmaci anti-infiammatori non
steroidei come aspirina o ibuprofene si ha una inibizione della COX e in generale della via ciclica ma non si ha
assolutamente un’inibizione della via lineare mediata dalla LOX. Andando ad inibire la COX aumenta la
disponibilità di acido arachidonico che può entrare nella via lineare e può diventare il precursore dei
leucotrieni. Questo fa si che questi trattamenti prolungati con aspirina negli individui che hanno una
predisposizione all’asma e alla broncocostrizione possano indurre questi effetti collaterali. Quindi
broncocostrizione da asma dovuto al fatto che l’inibizione della COX porta ad una maggior disponibilità di
acido arachidonico e per legge di azione di massa ad una maggior sintesi di leucotrieni.

RECETTORI PER GLI EICOSANOIDI

Come segnalano le prostaglandine? Ci sono


tantissimi recettori per le varie tipologie di
prostaglandine, di prostacicline, di trombossani e
di leucotrieni. I recettori per gli eicosanoidi sono
tutti recettori a G proteine che però possono
segnalare attraverso diverse proteine G
trimetriche, sia attraverso proteine contenenti
GαS (G alfa S) che GαQ (G alfa Q), quindi mediare
la segnalazione attraverso l’attivazione della PKA o
attraverso l’attivazione della fosfolipasi C gamma e
quindi l’aumento della concentrazione di calcio a
livello cellulare.
A seconda dei mediatori della segnalazione gli
effetti sono diversi. Le prostaglandine possono
avere i più svariati effetti in sede diverse.
Indubbiamente i trombossani e le prostacicline hanno una maggiore attività a livello delle piastrine, a livello
della muscolatura liscia dei vasi e qui saranno i recettori per questi tipi di eicosanoidi, ma oltre a portare
avanti un’attività di tipo paracrino, le prostaglandine prodotte da certi tessuti, da certe cellule possono
andare ad agire a breve raggio su tessuti vicini, avere anche un’attività di tipo autocrino. Le prostaglandine
sintetizzate da una cellula possono uscire all’esterno tramite un trasportatore delle prostaglandine e non solo
andare ad agire su cellule limitrofe ma anche sulle stesse cellule che le hanno prodotte e a volte una cellula
può rispondere contemporaneamente ad una prostaglandina prodotta dalla stessa cellula (quindi in modalità
autocrina) ma anche ad una prostaglandina prodotta da una cellula limitrofa (quindi modalità paracrina).
Questo rende ancora più complessa la risposta agli eicosanoidi ed in particolare alle prostaglandine perché a
volte bisogna mediare l’effetto di una segnalazione paracrina e di una segnalazione autocrina e cercare di
rispondere in modo tale da avere una risposta netta alla stimolazione contemporanea da parte di più
prostaglandine che magari sfruttano recettori diversi e meccanismi di segnalazione diversi. La segnalazione
indotta dalle prostaglandine può essere anche concomitante su una stessa cellula e può dare origine a vie di
segnalazione che poi vengono integrate a livello cellulare e portano ad una risposta adeguata da parte della
cellula che ha ricevuto lo stimolo. Non entriamo in dettaglio nelle vie di segnalazione indotte dalle
prostaglandine.

ORMONI CHE REGOLANO L’OMEOSTASI


DEL CALCIO

Chiudiamo la parte relativa ai derivati


dell’acido arachidonico e chiudiamo questa
carrellata sulla biochimica ormonale
vedendo alcune informazioni relative agli
ormoni che regolano il metabolismo e
l’omeostasi del calcio.

Noi il calcio abbiamo avuto modo di


ricordarlo più volte perché per quanto ne
abbiamo parlato finora lo abbiamo visto
come mediatore intracellulare, come
secondo messaggero in grado sia di
trasdurre il segnale innescato da ormoni
(che agiscono per esempio su recettori a G proteine) che hanno come effettore la fosfolipasi C e che quindi
determinano un innalzamento delle concentrazioni di calcio a livello intracellulare, ma abbiamo anche visto
il ruolo del calcio sempre a livello intracellulare come regolatore dei processi di secrezione. Spesso abbiamo
infatti visto come cellule anche appartenenti a ghiandole endocrine, oppure neuroni a livello del SNC (che
sintetizzano ormoni o neurotrasmettitori) possono andare a cumulare queste molecole informazionali a
livello di granuli o vescicole secretorie e questi granuli secretori verranno fusi con la membrana plasmatica e
riverseranno all’esterno il loro contenuto quando riceveranno un segnale. Spesso indipendentemente
dall’origine del segnale quello che è l’effetto finale che poi porta alla fusione di questi granuli secretori e al
riversamento all’esterno del loro contenuto è proprio l’innalzamento della concentrazione di calcio. Questo
è quello che avviene a livello dei neuroni per liberare i neurotrasmettitori in sede presinaptica, ma è quello
che avviene anche a livello delle ghiandole endocrine quando lo stimolo ricevuto da queste (soprattutto
quelle che sintetizzano ormoni idrofili di tipo proteico o glicoproteico e che accumulano questi ormoni nei
granuli secretori) porterà ad un aumento della concentrazione di calcio intracellulare e quindi alla liberazione
del contenuto di queste vescicole.
È chiaro che la concentrazione di calcio intracellulare deve essere mantenuta relativamente bassa,
nell’ordine del nano molare affinché incrementi della concentrazione citosolica di calcio possano indurre o
l’avvio di un processo secretorio o l’avvio di un processo di trasduzione del segnale. Anche il calcio a livello
plasmatico deve essere mantenuto in un range molto stretto, deve essere estremamente regolato perché il
calcio riveste ruoli importanti anche per altri tipi di processi tra cui la contrazione muscolare, la coagulazione
del sangue e quindi regolare la concentrazione di calcio plasmatico che poi diverrà anche la concentrazione
di calcio intracellulare diventa estremamente importante.

Il calcio è un elemento molto abbondante nell’organismo, basti pensare che in un individuo di 75Kg, 1Kg è
la quantità stimata di calcio.

Si presenta sotto due forme di accumulo:

1. Pool fisso: costituisce il 99% della riserva di calcio e si ritrova sottoforma di idrossiapatite a livello
osseo (la matrice inorganica dell’osso). Il tessuto osseo viene considerato una riserva di calcio
dell’organismo, a livello della quale si andrà a mobilizzare il calcio nel momento in cui le concentrazioni
dei livelli plasmatici di quest’ ultimo diminuiscono.
2. Pool miscibile: è l’1% della quantità totale di calcio che si trova nell’organismo ed è il calcio disperso a
livello plasmatico. Non è presente solo a livello del plasma, ma si ritrova anche nella matrice
extracellulare e negli interstizi cellulari.
Il calcio plasmatico ha una concentrazione che si attesta attorno a 2,2/2,6 mMol/L e si presenta in tre
forme diverse:

1. Forma diffusibile: rappresenta il 50% del calcio plasmatico.E’ la forma ionizzata libera (Ca2+) ed è il
calcio che può entrare liberamente nel citoplasma cellulare. Le sue concentrazioni si attestano tra
1,1/1,3 mMol/L.
2. Forma non diffusibile: è 45% il calcio plasmatico, che è invece legato a proteine, in particolare
all’albumina. Affinché possa entrare nelle cellule, deve staccarsi da questa proteina plasmatica di
trasporto e convertissi in forma ionizzata libera (ovvero in forma miscibile), che è quella disponibile
per le cellule.
3. Forma diffusibile legata: per il 5% il calcio plasmatico è complessato con anioni come fosfato e
bicarbonato.

Cosi come la concentrazione intercellulare di calcio deve essere strettamente regolata, perché il calcio ha
un ruolo importante nei processi di secrezione e di trasduzione del segnale, anche il calcio che si trova
livello plasmatico deve contenersi in limiti molto stretti. Quindi la tolleranza dell’organismo alle fluttuazioni
di calcio plasmatico è veramente minima, perché anche scarse variazioni possono portare ad effetti molto
importanti come:

• Un rapido aumento potrebbe portare a paralisi muscolare, coma e morte


• Un rapido decremento potrebbe portare a tetano e morte

Quindi è necessario che ci sia uno


stretto controllo del livello di calcio
plasmatico, mantenendo quindi questo
pool miscibile con concentrazioni che si
attestano sui 2,2/2,6 mMol/L e che
variano di poco rispetto a questa
concentrazione normocalcemica.

Gli ormoni responsabili dell’omeostasi


del calcio che hanno azione diretta e
specifica sono principalmente 3, a
questi si possono aggiungere alti che
però hanno un azione meno specifica:

1. Calcitriolo detto anche 1,25


diidrossicolecalciferolo: è un derivato
della vitamina D, è lipofilo e ha un’azione ipercalcemizzante.
2. Ormone paratiroideo PTH: è prodotto a livello delle paratiroidi, è peptidico ed ha anch’esso una
funzione ipercalcemizzante.
3. Calcitonina: prodotta dalle cellule C della tiroide, che non sono i tireociti che producono ormoni
tiroidei, ma sono cellule che stanno al di fuori dei follicoli tiroidei; è un ormone peptidico e ha un’
attività ipocalcemizzante.

Ci sono poi altri ormoni che, nonostante abbiano altri ruoli primari, riescono a regolare il calcio in maniera
indiretta, tra questi troviamo:

1. Estrogeni e gli androgeni: che inibiscono il riassorbimento osseo, riducono la concentrazione di


calcio plasmatico che viene liberata dal tessuto osseo ad hanno quindi un’ azione ipoclacemizzante.
2. Ormone della crescita: promuove l’allungamento delle ossa lunghe, portando chiaramente a
mineralizzazione ossea, di conseguenza anche questi riducono il calcio plasmatico.
3. Ormoni tiroidei: hanno un ruolo lievemente ipercalcemizzante, perché aumentano l’attività di
demineralizzazione e riassorbimento osseo.

ORMONI DERIVATI DALLA VITAMINA D


Vediamo per primi gli ormoni derivati dalla vitamina D, si parla al plurale e non al singolare, perché in realtà
non c’è solo il calcitriolo che ha un’azione di regolazione del metabolismo del calcio, ma c’è un altro
derivato della vitamina D che può avere lo stesso effetto. Infatti due derivati attivi della vitamina D, sono:
sia la vitamina D2 o ergocalciferolo, che ha
origine vegetale, sia la vitamina D3 o Ormoni derivati dalla Vitamina D
colecalciferolo, che invece ha origine animale e
che noi possiamo sintetizzare. I due derivati attivi della vitamina D sono:
- l’ergocalciferolo (Vit D2) di origine vegetale;
Il colecalciferolo deriva, a livello dell’epidermide, - il colecalciferolo (Vit D3) di origine animale.
dal 7-deidrocolesterolo (uno degli ultimi
intermedi della biosintesi del colesterolo), in Il colecalciferolo (Vit D3) deriva dal 7-deidrocolesterolo nella
presenza di raggi UV (nello specifico gli UVB), pelle. La reazione è fotochimica favorita dai raggi UV.
anziché andare incontro all’ultima reazione che lo La forma attiva è però la forma di-idrossilata:
porterebbe a sintetizzare il colesterolo, viene 1,25-diidrossicolecalciferolo o calcitriolo, idrossilato nel
deviato verso la sintesi del colecalciferolo. fegato e nel rene.

In realtà il colecalciferolo non è l’ormone attivo


perché, per convertirsi a forma attiva, deve
andare incontro a due idrossilazioni: una a livello renale e una a livello del fegato, formando la forma
ormonale attiva del derivato della vitamina D, che è il calcitriolo, detto anche 1,25 diidrossicolecalciferolo.

Questi sono i diversi step della sintesi del calcitriolo:

1. Partiamo dal 7-diidrocolesterolo, presente a


livello dell’epidermide
2. L’epidermide è esposta all’azione dei raggi
UV
3. Il 7-diidrocolesterolo va incontro a fotolisi
mediata dai raggi UV
4. Si ha la rottura fotolitica dell’anello B (vedi
figura), che si apre e si forma la previtamina
D
5. La previtamina D va incontro a una
isomerizzazione spontanea, si ha quindi una
conversione da un isomero cis a un isomero
trans, a livello di questo doppio legame e si
forma il colecalciferolo (vitamina D3),
(Questa ha una scarsissima attività quindi,
affinché si possa convertire nell’ormone
attivo, deve subire due idrossilazioni: una a
livello renale e una a livello epatico)
6. Successivamente viene immesso in circolo,
legato a delle proteine di trasporto, a causa
della sua lipofilicità, e viene trasportato a
livello del fegato
7. A livello del fegato, subisce la prima idrossilazione in posizione 25, ad opera di un enzima che è la
25 a-idrossilasi epatica, la quale converte il colecarciferolo in 25-idrossicolecalciferolo, detto
anche calcidiolo, che però non ha ancora ottenuto una piena attività
8. Il calcidiolo, per diventare attivo, viene trasferito nel rene, dove subirà un'altra idrossilazione che lo
convertirà nell’ormone attivo.

Il calcidiolo è la forma più abbondante di vitamina D, non ancora attiva, che si ritrova nel sangue. Questo
infatti ha una lunga emitiva, proprio perché è legato a queste proteine di trasporto, in particolare: la
proteina legante la vitamina D “VDBP”, che è una glicoproteina, il cui ruolo è quello di andare ad
aumentare l’emivita di questi precursori dell’ormone attivo e di trasferirli: nel fegato, nel caso della
vitamina D3, o nel rene, nel caso del calcidiolo, dove subirà un’idrossilazione attivante in posizione 1,
catalizzata dalla 1 a-idrossilasi, che lo convertirà nell’ormone attivo calcitriolo. Quest’ultimo potrà uscire
dal rene. legarsi alla proteina legante la vitamina D e quindi raggiungere i tessuti bersaglio.

Ma a livello del rene può avvenire anche un altro tipo di idrossilazione, perché il calcidiolo, oltre ad essere
idrossilato in posizione 1, sarà idrossilato in particolari situazioni, anche a livello della posizione 24. Questa
specifica idrossilazione in 24 , catalizzata da una 24-idrossilasi, a differenza dell’ idrossilazione in posizione
1, non è un’idrossilazione attivante, ma è un idrossilazione che inibisce l’ormone. Quindi abbiamo due casi,
se il il 25-idrossicolecalciferolo, che arriva nel rene, viene idrossilato:

• In posizione 1: si forma l’ormone attivo


• In posizione 24: si forma il 24-25 idrossicolecalciferolo, completamente inattivo.

Quindi l’idrossilazione in posizione 24, in un certo senso, può essere visto come un meccanismo di
regolazione negativa della sintesi si 1-25 diidrossicolecalciferolo o calcitriolo (l’ormone attivo), perché se
invece dell’idrossilazione in 1 avviene quella in 24, questa previene la sintesi dell’ormone attivo.

La 24-idrossilasi può agire non soltanto sul 25-idrossi colecalciferolo, impedendo la sua attivazione verso la
forma diidrossilata, ma può agire direttamente anche sul calcitriolo andando ad idrossilarlo in posizione 24,
formando un 1-24-25 triidrossi colecaciferolo, che è una forma inattiva dell’ormone.

• La prima è l’idrossilazione in 24 che avviene direttamente sul 25-idrossicolecalciferolo , impedisce


proprio la formazione della forma attiva.
• Mentre la seconda idrossilazione in 24 che avviene sul calcitriolo, va a convertire una forma attiva
in una forma inattiva. Questo è un modo di inattivare un ormone che è già stato sintetizzato a
livello renale.

Entrambi i meccanismi determinano quella che è una diminuzione della concentrazione dell’ormone
calcitriolo.

REGOLAZIONE VIA DI SINTESI DEL CALCITRIOLO


I principali punti di regolazione della via di sintesi del calcitriolo è l’attività dell’ 1-alpha idrossilasi del rene,
che appunto è quella che attiva l’omone e lo converte nella forma a piena attività.

• Regolato positivamente: dal paratormone, l’altro ormone che regola il metabolismo del calcio, le
paratiroidi sentono l’ipocalcemia, rispondono andando a secernere il paratormone, che va ad
aumentare l’attività dall’1-alphaidrossilasi renale; comportando quindi un aumento della sintesi e
della secrezione del calcitriolo, che al pari del paratormone, avrà un’azione ipercalcemizzzante.
Ci sarà un a sinergia tra paratormone e calcitriolo nell’indurre questo aumento della calcemia
ematica.
• Regolata negativamente: dal
calcitriolo stesso, quindi La regolazione della sintesi di Vit D3
quest’ultimo, attraverso un
processo di feedback
Il principale punto di
negativo, quando aumentano regolazione è l'enzima 1α-
idrossilasi del rene, che
molto le sue concentrazioni attiva definitivamente la
plasmatiche va ad inibire l’ vitamina D3.
Questo enzima è regolato:
alpha 1 idrossilasi renale, in - positivamente dal PTH, che
aumenta l'attività dell'enzima ;
modo tale da inibire la sintesi - negativamente dal calcitriolo ,
con un feedback negativo che
di calcitriolo stesso. riduce la biosintesi dell'enzima; di
contro, l'ormone upregola la 24α-
Contemporaneamente per idrossilasi (idrossilazione
inattivante) .
inibire la sintesi della forma - negativamente dai livelli
attiva del calcitriolo, questo plasmatici di calcio ; feedback
negativo.
va non solo a inibire l’ alpha
1 idrossilasi, ma va anche ad attivare la 24 idrossilasi, che potrà andare ad agire sul 25
colecalfiferolo. Il calciferolo inibisce quindi la sua stessa sintesi; formando il 24-25
dididrossicolecalciferolo (forma inattiva), oppure andando ad agire direttamente sul calcitriolo già
formato, creando l’1-24-25 tridrosssicolecalciferolo, che è una forma inattiva.

La sintesi del calcitriolo è anche negativamente regolata dai livelli plasmatici di calcio, perché l’
ipercalcemia inibisce la sintesi di calcitriolo, proprio perché si è già ristabilita la corretta normocalcemia e
quindi non c’è bisogno di attivare ulteriormente la sintesi di calcitriolo. Quando aumenta il livello di calcio
plasmatico, questi inibiscono la sintesi di calcitriolo, andando sempre a inibire l’attività della alpha 1
idrossilasi.

Domanda n.3

C’è un motivo per cui questa via biosintetica è regolata così infondo? Se si guarda la via precedente, questa
è regolata ancor prima che possa iniziare, ma anche molte altre, perché di solito si evita di creare degli
intermedi inutili.

Indubbiamente c’è subito un’inibizione del paratormone. Gli alti livelli calcemici che inibiscono proprio la
secrezione di paratormone, si va quindi ad inibire tutti gli effetti a valle. L’attività del paratormone è
comunque sull’1 idrossilasi, quindi gli intermedi a monte saranno tuttavia già prodotti. E’ una forma
diciamo di “spreco”, perché non c’è nessun enzima delle tappe a monte, che viene regolato dai livelli di
calcio. La fotolisi chiaramente non è regolabile, quindi la vitamina D3 sarà prodotta comunque e
l’isomerizzazzione è anch’essa un processo non regolabile. In realtà l’unico processo regolabile a monte
dell’1-idrossilasi renale è soltanto l’idrossilasi epatica, che purtroppo però non ha un meccanismo di
regolazione. In definitiva, non si ha una regolazione a monte della via biosintetica finale che avviene a livello
renale. Vi è comunque la presenza, a livello plasmatico, del calcitriolo (che è inattivo), poiché non si può
prevenire, dato che la 25 idrossilasi non è regolata ne dal paratormone ne dai livelli di calcemia. Non viene
regolato il primo enzima della via, ma il secondo. La via è molto breve e si agisce a valle.

Domanda n.4

Se il calcitriolo, quindi la forma già attiva, viene idrossilato anche in posizione 24, c’è una certa reversibilità
di questa reazione?

Assolutamente no, una volta formata la forma triidrossilata questa viene degradata, ma non può più
recuperare nessuna attività. Queste idrossilazioni non sono mai reversibili, se si idrossila il 25-
idrossicolacifrerolo in posizione 24, resta una forma inattiva, così come se idrossila il calcidiolo non si potrà
più perdere l’idrossilazione inattivante.
EFFETTI DEL CALCITRIOLO
Agisce andando a legarsi a dei recettori
citosolici, che poi svolgeranno la loro
funzione a livello nucleare, cosi come tutti i
recettori per gli ormoni lipofili. Il recettore
per i derivati della vitamina D o VDR, è un
recettore che è presente a livello citosolico,
che in seguito al legame con il suo ligando,
che è il calcitriolo, potrà formare un
eterodimero insieme al recettore per acido
retinoico RXR. In questa forma
eterodimerica, legante il calcitriolo, il
recettore potrà entrare nel nucleo e andare
a regolare positivamente i geni che sono
responsivi a questo recettore.

Ha un ruolo diverso del recettore per l’acido reteinoico, rispetto a quello per gli ormoni tiroidei; nel caso
degli ormoni tiroidei infatti il recettore, l’RXR, era un repressore del recettore per gli ormoni tiroidei, era
quello che lo manteneva legato alla cromatina, ma in forma inattiva fino a che non arrivava il T3. In questo
caso invece, l’RXR ha un ruolo attivante perché quando il VDR lega il calcitriolo, smaschera un sito di
legame per l’RXR, si forma questo eterodimero che, solo in forma eterodimerica, potrà andare a legare gli
elementi di risposta al recettore della vitamina D e quindi andare a trascrivere i geni sotto il controllo di
questo ormone (effetto a lungo termine).

In realtà è stato visto, anche se si sa pochissimo ancora, che esiste anche un recettore G-proteine, che è in
grado di legare e rispondere al calcitriolo. Questo appartiene a una classe dei recettori che sono i MARS
(membran associated rapid responsive steroid), che danno questo segnale mediato dall’attivazione di una
proteina Gmerica, che contiene un unità Alpha e una G+ alpha; che vanno ad attivare la fosforilasi C, porta
all’innalzamento di calcio e attiva la PKC. Non è ancora ben chiaro come procede la via di trasduzione del
segnale e quali siano i suoi effetti a breve termine.

EFFETTI FISIOLOGICI DEL


CALCITRIOLO
Il calcitriolo è un ormone che ha un’
azione ipercalcemica e questo può
avere effetti a 3 livelli

1. A livello delle cellule


dell’epitelio intestinale, qui
aumenta l’assorbimento di
calcio a livello dell’intestino
(primo modo per aumentare
la calcemia). Si vanno a
regolare due tipi di proteine:

• la prima è un canale presente


a livello della porzione apicale
delle cellule dell’epitelio
intestinale.
E’ un canale per il calcio che appartiene alla classe dei TRPV (canale TRPV 6), che serve a far entrare
nella cellula epiteliale il calcio presente nel lume dell’intestino. Quindi attraverso l’overespressione
e l’aumento dell’esposizione sulla porzione apicale delle cellule intestinale di questo canale per il
calcio, se ne facilita l’ingresso a livello dell’intestino.
• Si ha l’aumento di espressione della Carbindina, presente sempre a livello delle cellule dell’epitelio
intestinale, che serve a portare il calcio che è stato introdotto a livello della porzione apicale verso
la porzione baso-laterale, dove potrà uscire dalla cellula epiteliale ed entrare nel circolo ematico.

Quindi l’aumento di espressione, del TRPV 6 e della Carbimdina, sono due modalità con cui il
calcitriolo agisce a livello dell’intestino, andando a favorire all’assorbimento di calcio, portando
conseguentemente a un aumento della calcemia ematica.

A livello delle cellule dei tubuli distali renali e a livello delle ossa e in questo caso agisce in sinergia
con il paratormone, che va a stimolare la sintesi del calcitriolo andando a regolare positivamente
l’espressione e l’attività dell’ alpha1-idrossilasi.
Quindi paratormone e calcitriolo vanno ad agire, in maniera sinergica, a livello del rene a stimolare
il riassorbimento di calcio a livello dei tubuli distali, mentre e a livello delle ossa favoriscono il
processo di demineralizzazzione ossea.

2. Per quanto riguarda quello che succede a livello renale, anche qui si ha un aumento di espressione
dei canali per il calcio a livello della porzione apicale delle cellule dei tubuli renali e anche un
aumento di espressione di calmindina che, al pari del ruolo che ha nelle cellule intestinali, serve per
il trasporto di calcio da una porzione apicale a una baso -laterale, favorendone l’uscita verso il
circolo ematico.

3. A livello osseo il calcitriolo va a determinare un attivazione degli osteoclasti, che sono le cellule che
promuovono questa demineralizzazione ossea e quindi liberano il calcio.

4. Il calcitriolo ha anche un meccanismo di auto-inibizione, perché nel momento in cui aumenta la


concentrazione di calcitriolo nel plasma o aumenta la calcemia ematica, questo va a determinare un’
attivazione della 24-idrossilasi nel rene e quindi inibisce la stessa sintesi di calcitriolo. Oltre a questo la
calcemia ematica riduce anche la sintesi del paratormone nelle paratiroidi, e quindi va a eliminare lo
stimolo attivante nei confronti dell’ 1-alpha idrossilasi, conseguentemente si ha un calo nella
concentrazione di calcitriolo. (feedback negativo).

EFFETTI DELLA CARENZA DI VITAMINA D

Spesso dovuta a scarsa esposizione solare, non si


sono ritrovate mutazioni, che riguardino gli enzimi a
valle. Se questa carenza avviene nei:

• Bambini: si hanno casi di rachitismo; caratterizzati


dalla presenza di ossa fragili, per ridotta
mineralizzazione ossea e quindi un’ alta
predisposizione a traumi o fatture
• Adulti: osteomalacia, che è caratterizzata da
fragilità ossea e da predisposizione a fratture.
Si può prevenire, specialmente in zone in cui non si può avere un adeguata esposizione solare, sia andare
a risolvere queste patologie caratterizzate da una bassa presenza di ormone attivo della vitamina D;
somministrando in maniera esogena vitamina D2 o ergocalciferolo, infatti quest’ ultima può andare
incontro alle stesse idrossilazioni attivanti che subisce il colecalciferolo. Il colecalciferolo può essere
prodotto a livello endogeno, ma se si somministra in maniera esogena la vitamina D2, questa potrà
essere processata nello stesso identico modo e quindi potemmo comunque ottenere un ormone attivo
cha ha la stessa funzionalità del calcitriolo. La vitamina D2 si ottiene, nelle industrie farmacologiche,
mediante estrazione dal lievito; si irradia il lievito con UVB, si ha la fotolisi dell’ergosterolo e la
formazione dell’ ergocolacifrerolo e quindi della
vitamina D2. Questa vitamina è normalmente
addizionata sia al latte sia ai suoi derivati, come
supplemento dietetico.

Il deficit di vitamina D3 possono avere anche degli


effetti molto devastanti. Questo mostrato in figura è
un tipico caso di rachitismo, tuttavia un trattamento
con vitamina D2, può revertire questo stato
patologico, infatti in solo poco più di un anno di
questo trattamento, la condizione patologica viene
completamente superata e si recupera una piena
funzionalità e mineralizzazione del tessuto.

Domanda n.5

E’ per questo che, visto che nei paesi scandinavi ci sono dei periodi di buio e scarsa esposizione solare,
viene dato l’olio di fegato di merluzzo?

Si, perché oltre all’olio di fegato di merluzzo, in generale alimenti che contengono la vitamina D2 (che è
prevalentemente addizionata ai latticini, perché sembra essere molto più statbile in questi alimenti) e l’
uso di integratori di vitamina D2, risolve il problema di una scarsa esposizione solare per lunghi periodi
di tempo. Nei paesi scandinavi è assolutamente fondamentale integrare con questa vitamina esogena.

Il calcitriolo non fa tutto da solo come ormone ipercalcemizzante, perché è fortemente dipendente
anche per la sua stessa sintesi, da un altro ormone che è il paratormone.

PARATORMONE
Il paratormone, diversamente dal
calcitriolo, è un ormone
peptidico prodotto a livello delle
paratiroidi. È un peptide di 84
amminoacidi, la cui sintesi e
secrezione è indotta dalla
riduzione della calcemia ematica.

Il paratormone, cosi come tutti


gli ormoni peptidici che vengono
secreti, viene sintetizzato
sottoforma di pre-proromne,
contenete quindi una sequenza
segnale, che è la prima ad essere
rimossa. Questo precursore di
115 AA va incontro al primo taglio proteolitico, che rimuove la sequenza segnale, sempre a livello delle
cellule della paratiroide, e forma il pro-paratormone. A questo punto il pro-paratormone viene portato,
attraverso delle vescicole, dal reticolo endoplasmatico, dove avviene la rimozione della sequenza
segnale, verso l’apparato del Golgi e qui viene eliminato un altro frammento ammino terminale, di 6
amminoacidi, dando origine al paratormone attivo. (ovvero questo peptide di 84 amminoacidi), che
viene accumulato nelle vescicole di secrezione e secreto nel momento in cui avremo il corretto segnale.

In realtà, a livello dei granuli di secrezione, nelle cellule della paratiroide, c’è una intensa attività di
degradazione del paratormone. E’ stato visto che è presente un elevata espressione, già a livello delle
paratiroidi, di questi enzimi proteolitici che, a livello del granulo di secrezione, possono indurre dei tagli
sul paratormone attivo e andare a formare dei frammenti che perdono completamente l’attività.

Quindi le cellule delle paratiroidi formano paratormone attivo, ma lo degradano anche rapidamente,
trasformandolo in frammenti non più attivi.

È per questo che a livello delle


paratiroide c’è una sintesi costitutiva di
paratormone, per garantire quei livelli
di paratormone attivo a livello dei
granuli di secrezione, che poi potranno
essere messi in circolo ne momento in
cui arriverà lo stimolo.

Questi tagli proteolitici inattivanti non


avvengono soltanto a livello delle
paratiroidi, ma possono avvenire anche
in sedi extrapartiroidee, in particolare a
livello epatico e a livello delle cellule di
Kupfer. Questi tagli sono per l’appunto
inattivanti e portano alla formazione di
frammenti inattivi, che poi rimangono
in circolo, ma che non hanno attività nel
regolare la calcemia.

Quindi a livello delle paratiroidi non si hanno solo quei tagli che avvengono, a livello della porzione N-
ter, che rimuovono sia la sequenza segnale sia l’ulteriore frammento di 6 amminoacidi e che quindi
portano all’ormone attivo di 84
amminoacidi; ma nei granuli
secretori avvengono anche questi
tagli proteolitici, aventi invece un
ruolo inattivante.

Per questo nelle paratiroidi la


sintesi è costitutiva e nel momento
in cui avremo una regolazione della
sintesi del paratormone, o meglio
della quantità di paratormone attivo
a livello del sangue, si dovrà agire su
due livelli: bisognerà andare a
regolare sia il processo di
degradazione che quello di
secrezione.
Un’ipocalcemia andrà a regolare positivamente la sintesi di paratormone, quindi stimolerà le cellule
della paratiroide a sintetizzare paratormone attivo, ma contestualmente porterà avanti anche altri due
tipi di regolazione:

1. Regolazione positiva della sintesi


2. Regolazione negativa della degradazione: perché per avere più paratormone attivo che possa
rispondere allo stimolo ipocalcemico, bisogna andare a downregolare questi processi di
degradazione che avvengono non solo nelle paratiroidi stesse, ma anche a livello delle cellule di
Kupfer. Quindi un modo per innalzare la quantità circolante di paratormone attivo è anche quello di
inibire i processi di degradazione, andando a spegnere l’attività di quelle proteasi che normalmente
degradano l’ormone attivo, in frammenti inattivi.
Quindi un calo della calcemia attiva la sintesi del paratormone nelle paratiroidi, ma nelle stesse
paratiroidi inibisce anche i processi di degradazione. Oltre a questo l’ipocalcemia aumenta anche la
secrezione dei granuli secretori,
andando quindi a mettere in circolo
il paratormone attivo (perché c’è
stata una downregolazione delle
proteasi che sono responsabili della
degradazione del paratormone
attivo in frammenti inattivi).
Fondamentalmente l’ipocalcemia
agisce a 3 livelli:
• Regola positivamente la sintesi
del paratormone
• Regola negativamente la
degradazione, quindi l’attività
delle proteasi.
• Regola positivamente il
processo di secrezione.

Il paratormone viene secreto in risposta a uno stimolo di tipo ipocalcemico, quando la calcemia ematica
va sotto ai 7,5 mg/dl e il suo ruolo ipercalcemizzante serve a ristabilire la normocalcemia. E ‘ un
ormone idrofilo, quindi polare, reagisce con recettori esposti sulla membrana, in particolare a recettori
accoppiati a proteine G, dove la proteina dimerica possiede una subunità GSa e quindi provoca un
aumento del CAMP e quindi l’attivazione della PKA. Questo agisce in sinergia con il calcitriolo, sia a
livello delle cellule del tubolo distale del rene sia a livello delle ossa.

A livello del rene stimola il riassorbimento del calcio a livello delle cellule epiteliali renali e ha lo stesso
tipo di funzione che ha il calcitriolo, ossia va a determinare l’attivazione di trasportatori per il calcio a
livello della porzione apicale delle cellule dei tubi distali e va a aumentare anche la sintesi di calbidina in
modo tale da mediare questo trasporto di calcio, dalla porzione apicale verso quella baso laterale.

E’ vero infatti, che il paratormone agisce attraverso la PKA, ma la PKA non ha solo una funzione a breve
termine ma anche una a lungo termine, andando ad attivare la via della chinasi e quindi andando a
determinare la trascrizione di geni sotto il controllo della MAP chinasi (la calbidina è una di queste).
Oltre a questo, il paratormone serve anche ad attivare la 1-alpha idrossilasi a livello renale che stimola
la produzione di calcitriolo. Dunque, a livello renale il paratormone ha un doppio ruolo:
• Serve direttamente ad aumentare la calcemia ematica, favorendo il riassorbimento di calcio a
livello dei tuboli distali del rene.
• Serve ad attivare la 1 alpha-idrossilasi, che può produrre la sintesi di calcitriolo, il quale andrà
ad agire in sinergia con il paratormone.

A livello delle ossa il paratormone, al pari di calcitriolo, promuove la demineralizzazione ossea,


conseguentemente facilita il recupero di calcio dal tessuto osseo e quindi determina un aumento della
calcemia ematica. Il paratormone opera però, con una modalità diversa dal calcitriolo.

Il calcitriolo andava a determinare un’attivazione degli osteoclasti, che poi sono direttamente coinvolti
in questo processo di demineralizzazione ossea; mentre il paratormone non attiva direttamente gli
osteoclasti, ma determina un differenziamento degli osteroblasti in osteoclasti, i quali avranno
dissolveranno questi cristalli di idrossipatite.

I livelli plasmatici del paratormone sono regolati a tre livelli:

1. Una relazione a livello della sintesi


2. della degradazione
3. della secrezione.

In particolare, una riduzione della calcemia ematica, aumenta la trascrizione del gene per il
paratormone, quindi favorisce la sintesi di paratormone attivo. E’ è stato visto che un’ ipocalcemia
prolungata può anche determinare un incremento del numero e delle dimensioni delle cellule
paratiroidi, quindi andare a determinare un ipertrofia a livello delle ghiandole paratiroidi, le quali
promuoveranno anche un aumento della sintesi dell’ormone attivo, cioè un maggior numero di cellule
produttrici.

Il paratormone regola anche la degradazione proteolitica dell’ormone attivo, sia a livello delle
paratiroidi sia a livello periferico; andando ad inibire l’attività di queste proteasi che tagliano il
paratormone e producono frammenti inattivi.

La calcemia regola anche la secrezione del paratormone a livello delle paratiroidi con un meccanismo
leggermente diverso rispetto a quello che abbiamo visto finora, perché fino a questo momento
abbiamo studiato come i processi di secrezione erano sempre indotti da un aumento della
concentrazione citosolica di calcio; nel caso delle cellule paratiroidi invece, la secrezione dei granuli
contenenti paratormone è stimolata da una diminuzione della concentrazione di calcio a livello del
citosol.

Quindi quando si ha un ipocalcemia plasmatica, questa si traduce anche in una riduzione del calcio
presente nelle cellule delle paratiroidi e questo è uno stimolo per secernere i granuli all’esterno; in
maniera assolutamente contraria a come avviene in tutte le altre ghiandole endocrine.
Questa è la regolazione tra paratormone
e calcitriolo, come questi due ormoni
rispondono alla calcemia ematica (vedi
immagine)

• La riduzione della calcemia ematica,


per prima cosa stimola sia la sintesi sia
la secrezione del paratormone, il quale
può avere delle attività dirette: può
andare a stimolare il riassorbimento di
calcio a livello del rene, la
demineralizzazione ossea; oppure può
anche aumentare la sintesi di un latro
ormone ipercalcemizzante che è il
calcitriolo, andando quindi ad attivare
l’1 idrossilasi renale. A questo punto,
grazie anche ad un aumento di
calcitriolo, paratormone e calcitriolo agiranno in maniera sinergica, sia a livello renale sia a livello
delle ossa e in più il calcitriolo determinerà un riassorbimento di calcio a livello intestinale.
• Quando si avrà un aumento della calcemia ematica, questo sarà uno stimolo che inibirà sia la
sintesi di paratormone che la sintesi di altro calcitriolo. Inoltre, il calcitriolo ha anche un’attività di
feedbak negativo, quindi andando ad aumentare la sintesi della alpha 1 idrossilasi, che riduce la
forma attiva dell’ormone, una volta raggiunta la normocalcemia, si impedisce che ci sia uno stimolo
che promuove l’ulteriore aumento del cacio plasmatico, andando ad inibire sia la sintesi di
calcitriolo che quella di paratormone.

LA CALCITONINA
È un ormone proteico che è prodotto dalle cellule C della tiroide, che non hanno niente a che vedere con le
cellule che producono ormoni tiroidei, sono cellule che circondano i follicoli tiroidei e che producono
questo ormone peptidico di 32 amminoacidi, che ha un azione ipocalcemizzante, a differenza del calcitriolo
e del paratormone.

La calcitonina viene rilasciata dalle cellule C


La calcitonina della tiroide quando la calcemia plasmatica
La calcitonina è un polipeptide di 32 aminoacidi sintetizzato
dalle cellule C della tiroide. Ha azione ipocalcemizzante. supere i 9/10 mg/dl, perché questo
Il rilascio della calcitonina è sotto il controllo della calcemia aumento della calcemia stimola la
plasmatica: quando questa supera i 9-10mg/dL, viene secrezione di calcitonina che è stata
innescata l'esocitosi. Questo effetto è mediato da un recettore accumulata all’interno di vescicole
sensibile al calcio.
secretorie all’interno delle cellule C.
Agisce a livello di:
RENE: inibisce il riassorbimento di Ca2+ a livello dei tubuli Chiaramente anche la calcitonina verrà
distali e ne favorisce la escrezione con le urine prodotta come pre-prormone, verrà
OSSO: inibisce l’attività degli osteoclasti e il riassorbimento
osseo, diminuendo così i livelli plasmatici di Ca2+ rimossa la sequenza segnale e trasformata
in pro-calcitonina, che successivamente
subirà un altro taglio proteolitico che la convertirà in calcitonina attiva; essa verrà accumulata a livello
delle vescicole, che la rilasceranno a fronte dello stimolo ipercalcemico.

La calcitonina agisce al pari del calcitriolo e del paratormone, ovvero sia a livello renale che a livello
dell’intestino, chiaramente con attività opposte. A livello del rene inibisce l’assorbimento di calcio nei
tuboli distali, mentre a livello dell’osso inibisce l’attività degli osteoclasti. Sembra che il calcitriolo abbia un
effetto nel promuovere la sintesi di calcitonina, per impedire che quest’effetto ipercalcemizzante del
calcitriolo possa superare certi livelli. Quindi così come il calcitriolo inibisce la sintesi di se stesso attivando
la 24 idrossilasi renale, sembra abbia anche un attività di stimolo della secrezione della calcitonina, con lo
scopo di mantenere una regolazione del calcio plasmatico entro i termini della normocalcemia.

Una cosa particolare che è stata notata è: che se si va a valutare come viene regolato il metabolismo del
calcio in pazienti affetti da carcinoma della tiroide o in pazienti che abbiano subito un rimozione della
tiroide; si vede che andando quindi a rimuovere la tiroide e quindi non solo i tireociti che determinano
sintesi di ormoni steroidei, ma anche le cellule C che producono calcitonina, non si ha i realtà un effetto di
alterazione della calcemia ematica. Nei casi di carcinoma della tiroide, dove si ha un iperproliferazione
delle cellule C della tiroide, non si assiste a nessuna alterazione della calcemia ematica.

Quindi rimane in dubbio di quanto in realtà sia rilevante l’effetto della calcitonina. L’organismo ha la
capacità di regolare il calcio plasmatico, quindi sembra che andare ad alterare la produzione di calcitonina,
non ha tutto questo effetto sul mentalismo del calcio; probabilmente perché già queste regolazioni a
feedback positivo, tra paratormone e calcitriolo hanno già la capacitò di regolare sia in senso positivo che in
senso negativo la calcemia ematica. Rimane quindi un punto interrogativo sulla rilevanza della calcitonina
in questo metabolismo, è tuttavia giusto menzionarla in quando ha un effetto a livello degli stessi tessuti
bersaglio del calcitriolo e de paratormone: quindi rene e tessuto osseo.

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