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FISIOLOGIA STANDFIELD

SOMMARIO Cap. 1 - Introduzione alla fisiologia


RIASSUNTO
1.1 Organizzazione dell’organismo, p. 2:
 Le cellule le più piccole unità viventi sono specializzate per svolgere le diverse funzioni
dell’organismo.
 Specifici tipi di cellule sono organizzate in tessuti, che a loro volta si combinano per formare
gli organi.
 Gli organi svolgono funzioni specifiche. Più organi che collaborano a svolgere determinati
compiti costituiscono i sistemi di organi.
 Il corpo possiede quattro principali tipi di cellule: neuroni, cellule muscolari, cellule
epiteliali, e cellule del tessuto connettivo.
 L’ambiente interno dell’organismo è il liquido che circonda tutte le cellule del corpo.
 Le varie sostanze vengono sia rilasciate nell’ambiente interno che rimosse da esso per
mezzo del circolo sanguigno, che a sua volta scambia sostanze con l’ambiente esterno.
 Il corpo è diviso in vari compartimenti contenenti liquido.
 L’acqua corporea totale è il volume totale di acqua contenuto in tutti i compartimenti (Total
Body Water, TBW); comprende sia il liquido intracellulare (Intra Cellular Fluid, ICF) sia quello
extracellulare (Extra Cellular Fluid, ECF).
 ICF è localizzato dentro le cellule; ECF è localizzato fuori dalle cellule. I due tipi di liquido
sono separati dalle membrane cellulari.
 La parte di ECF che si trova nel sangue è chiamata plasma; quella che si trova fuori dal
sangue è chiamata liquido interstiziale (ISF).
 Plasma e ISF hanno una composizione molto simile e sono separati dal tessuto epiteliale
che riveste i vasi sanguigni.

1.2 L’omeostasi: un principio organizzativo fondamentale della fisiologia, p. 9


 L’omeostasi è la capacità dell’organismo di mantenere costanti le condizioni dell’ambiente
interno.
 Per mantenere l’omeostasi, meccanismi regolatori collaborano nel controllare le diverse
variabili fisiologiche (variabili regolate) riducendone al minimo le variazioni.
 Il feedback negativo è un meccanismo grazie al quale i cambiamenti di una variabile
regolata evocano risposte che producono cambiamenti in direzione opposta.
 I meccanismi di regolazione omeostatica includono i sensori, un centro di integrazione, e gli
effettori.
 Il feedback positivo regola alcune variabili fisiologiche in modo che il cambiamento di una
variabile evochi una risposta che va nella stessa direzione del cambiamento.
1.3 L’epidemia di diabete, p. 13
 L’obesità aumenta la probabilità di insorgenza del diabete mellito.
 Sono noti due tipi di diabete mellito, DM di tipo 1 e DM di tipo 2. Il DM di tipo 1 deriva da
un’inadeguata secrezione di insulina; il DM di tipo 2 dipende da un’inadeguata risposta dei
tessuti all’insulina.
 Il diabete gestazionale è un sottotipo di DM di tipo 2; si manifesta nel 4% delle donne in
gravidanza.
 Nei prediabetici, i livelli di glucosio sono elevati, ma non quanto nel diabete conclamato. I
prediabetici hanno una probabilità più alta di sviluppare successivamente il DM di tipo 2.
 Il diabete insipido è associato ad un’inadeguata secrezione di ADH e comporta la
produzione di quantità copiose di urina.
 Il principale sintomo del diabete mellito è l’iperglicemia. La diagnosi di questa patologia si
basa sui livelli di glucosio plasmatico e i livelli di emoglobina A1c.
 I trattamenti del diabete mellito includono la regolazione dei livelli di glucosio plasmatici
con la dieta, le iniezioni di insulina e l’utilizzo di farmaci per via orale.
SOMMARIO Cap. 2 - La cellula: Struttura e funzione
RIASSUNTO
2.1 Biomolecole, p. 19
 I quattro tipi principali di biomolecole sono i carboidrati, i lipidi, le proteine e i nucleotidi.
 I carboidrati che sono molecole polari, includono i monosaccaridi, i disaccaridi e i
polisaccaridi.
 I lipidi che sono generalmente molecole non polari, includono i trigliceridi, i fosfolipidi, gli
eicosanoidi e gli steroidi.
 I fosfolipidi sono molecole anfipatiche.
 Le proteine sono polimeri di amminoacidi.
 Gli acidi nucleici comprendono il DNA e l’RNA e sono polimeri di nucleotidi.
2.2 Struttura cellulare, p. 29
 La membrana plasmatica separa la cellula dal fluido extracellulare; è costituita da un
doppio strato di fosfolipidi con proteine e colesterolo immersi all’interno del doppio strato.
 I carboidrati si trovano sulla superficie esterna della membrana come glicolipidi o
glicoproteine.
 Il nucleo (all’interno della cellula) contiene DNA.
 Il citoplasma (anch’esso all’interno della cellula) è costituito da citosol e organuli.
 Il citosol contiene enzimi, depositi di glicogeno e trigliceridi e vescicole secretorie.
 Gli organuli includono il reticolo endoplasmatico liscio e rugoso, l’apparato del Golgi, i
mitocondri, i lisosomi e i perossisomi, e i ribosomi.
 Il citoscheletro conferisce alle cellule la loro forma, fornisce supporto strutturale, trasporta
varie sostanze all’interno della cellula, mantiene gli organuli in sospensione, contribuisce
all’adesione fra le cellule per formare i tessuti e produce la contrazione o il movimento in
alcuni tipi di cellule.
 Il citoscheletro è formato da filamenti proteici che includono microfilamenti, filamenti
intermedi e microtubuli.
2.3 Adesioni cellula-cellula, p. 39
 Tre tipi di strutture di adesione connettono le cellule tra loro: le giunzioni serrate, i
desmosomi e le giunzioni comunicanti.
2.4 Funzioni generali della cellula, p. 40
 Le funzioni generali svolte da quasi tutte le cellule includono il metabolismo, il trasporto
cellulare di molecole attraverso le membrane e la comunicazione intercellulare.
2.5 Sintesi proteica, p. 42
 I geni che si trovano nel DNA contengono i codici per la sintesi proteica, che vengono
trascritti nell’mRNA all’interno del nucleo.
 L’mRNA si sposta nel citoplasma, dove viene tradotto dai ribosomi per sintetizzare le
proteine.
 Nel momento in cui una proteina è stata sintetizzata nel citosol, la sequenza leader
determina se la proteina resterà nel citosol stesso, o entrerà in un mitocondrio, in un
perossisoma o nel nucleo.
 Le proteine sintetizzate in associazione con il reticolo endoplasmatico verranno infine
impacchettate all’interno di vescicole dall’apparato del Golgi e indirizzate all’appropriata
destinazione cellulare o secrete dalla cellula stessa.
2.6 Divisione cellulare, p. 50
 L’interfase è il periodo che intercorre tra le divisioni cellulari; la mitosi e la citochinesi
costituiscono il processo di divisione cellulare.
 Il DNA si duplica nella fase S dell’interfase in modo che ogni cellula figlia riceva una copia
esatta del DNA originale.
 Le cinque fasi della mitosi sono la profase, la prometafase, la metafase, l’anafase e la
telofase. La mitosi è seguita dalla citochinesi.
SOMMARIO Cap. 3 - Metabolismo cellulare
RIASSUNTO
3.1 Tipi di reazioni metaboliche, p. 57
 Il metabolismo è l’insieme di tutte le reazioni chimiche che si svolgono nelle cellule di un
organismo; le reazioni del metabolismo energetico sono coinvolte specificamente negli
scambi energetici.
 Le reazioni cataboliche generano prodotti più piccoli a partire da reagenti più grandi; le
reazioni anaboliche generano prodotti più grandi a partire da reagenti piccoli.
 Le tre reazioni metaboliche più comuni sono: idrolisi e condensazione, fosforilazione e
defosforilazione e ossidoriduzione.
3.2 Reazioni metaboliche ed energia, p. 59
 Le reazioni metaboliche permettono alle cellule di trasformare materie prime ricavate
dall’ambiente in componenti strutturali e funzionali e inoltre permettono alle cellule di
rifornirsi di energia.
 Due forme di energia sono riconoscibili: l’energia cinetica (associata con il movimento) e
l’energia potenziale (energia immagazzinata che può essere trasformata in cinetica).
 La variazione di energia di una reazione ne determina la direzione. Le reazioni cataboliche
(esoergoniche) sono, in genere, reazioni che liberano energia e che procedono
spontaneamente; le reazioni anaboliche (endoergoniche) richiedono energia per
procedere.
 L’equilibrio chimico è raggiunto quando i livelli di energia dei prodotti e dei reagenti sono
uguali.
 Una reazione può essere fatta procedere in una delle due direzioni variando la
concentrazione dei reagenti o dei prodotti, in accordo con la legge d’azione di massa.
 La velocità di una reazione è limitata dalla sua energia di attivazione, in quanto le molecole
devono passare attraverso uno stato di transizione ad alta energia prima di poter reagire.
3.3 Velocità delle reazioni, p. 63
 I fattori che influenzano la velocità di una reazione sono la concentrazione dei reagenti e
dei prodotti, la temperatura e l’altezza della barriera di energia di attivazione.
 Le reazioni metaboliche sono catalizzate da enzimi, una forma di speciali biomolecole (di
solito proteine). Essi agiscono su particolari substrati per generare e rilasciare un prodotto.
 Molti enzimi per poter funzionare hanno bisogno di cofattori non proteici. Importanti
cofattori sono il NAD+ e il FAD, che trasportano elettroni tra le reazioni.
 La velocità delle reazioni catalizzate dagli enzimi è influenzata dalla velocità catalitica
dell’enzima, dall’affinità enzima-substrato, dalla concentrazione dell’enzima e dalla
concentrazione del substrato. Anche la temperatura e il pH dei reagenti possono
influenzare la velocità della reazione.
 Alcuni enzimi possiedono dei siti regolatori specifici per particolari modulatori, molecole
che, legandosi all’enzima, ne alterano l’attività.
 Nella regolazione allosterica il legame del modulatore è reversibile. Nella regolazione
covalente l’attività dell’enzima viene modificata dal legame covalente di un gruppo chimico
(spesso un gruppo fosfato) a uno specifico sito dell’enzima.
 Le vie metaboliche vengono frequentemente regolate dall’inibizione a feedback, nella
quale un enzima viene inibito in maniera allosterica dal prodotto di una reazione a valle. A
volte gli enzimi vengono stimolati da prodotti intermedi che si trovano a monte (attivazione
a feedforward).
3.4 ATP: il mezzo utilizzato per scambiare energia, p. 72
 L’adenosina trifosfato (ATP) è un composto sintetizzato dalle cellule che serve come
magazzino temporaneo dell’energia rilasciata da alcune reazioni esoergoniche.
 Ci sono due processi di fosforilazione: una posforilazione a livello del substrato e una
fosforilazione ossidativa.
3.5 Ossidazione del glucosio: la principale reazione del metabolismo energetico, p. 73
 Le cellule ottengono la maggior parte della loro energia dall’ossidazione del glucosio:
C6H12O6 + 6 O2 → 6 CO2 + 6 H2O. Questa energia viene utilizzata dalle cellule per
sintetizzare ATP.
 Successivamente le cellule utilizzeranno l’energia rilasciata dalla scissione (idrolisi) dell’ATP
per svolgere lavoro.
3.6 Fasi dell’ossidazione del glucosio: glicolisi, ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa, p. 74
 L’ossidazione del glucosio avviene in tre passaggi: (1) la glicolisi (nel citosol), (2) il ciclo di
Krebs (nella matrice mitocondriale); (3) la fosforilazione ossidativa (nella membrana
mitocondriale interna).
 La fosforilazione ossidativa comprende due processi che avvengono simultaneamente: (1) il
movimento di elettroni lungo la catena di trasporto degli elettroni e (2) l’accoppiamento
chemiosmotico.
 Per ogni molecola di glucosio sono sintetizzate quattro molecole di ATP durante la
fosforilazione a livello del substrato nella glicolisi e nel ciclo di Krebs.
 6 molecole di CO2, 10 NADH e 2 FADH2 vengono anche prodotte nella ossidazione del
glucosio. Successivamente, il NADH e il FADH2 cedono i loro elettroni (idrogeni) alla catena
di trasporto degli elettroni, ove reagiranno con l’ossigeno per formare acqua.
 L’energia liberata in questo processo è utilizzata per sintetizzare ATP grazie alla
fosforilazione ossidativa, responsabile della produzione della maggior parte dell’ATP
generato dalla completa ossidazione di una molecola di glucosio (28 su 32 molecole totali).
3.7 Riserve energetiche e loro utilizzo: metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine, p.
84
 L’organismo è in grado di utilizzare le riserve di grassi e di proteine come fonti alternative di
energia quando il glucosio scarseggia e bisogna conservarlo.
 In alcuni tessuti, l’energia può essere immagazzinata convertendo il glucosio in glicogeno
(glicogenesi), che potrà essere eventualmente scisso successivamente per ricavare il
glucosio (glicogenolisi).
 Il glucosio può essere anche sintetizzato da precursori non carboidratici (gluconeogenesi),
che permettono in tal modo di mantenere un rifornimento continuo di glucosio al circolo
ematico, necessario per il funzionamento adeguato del sistema nervoso.
 Grassi e proteine possono essere scissi in molecole più piccole (rispettivamente dalla lipolisi
e dalla proteolisi), che possono entrare in vari punti del processo ossidativo del glucosio.
 L’organismo può anche immagazzinare energia sintetizzando grassi, che si trovano
prevalentemente nel tessuto adiposo, e proteine.
SOMMARIO Cap. 4 – Trasporti di Membrana
RIASSUNTO
4.1 Fattori che influenzano la direzione del trasporto, p. 94
 Le molecole che attraversano le membrane cellulari possono muoversi sia per diffusione
semplice attraverso il doppio strato lipidico sia per trasporto mediato, che coinvolge
proteine trasportatrici specializzate.
 Il trasporto attivo richiede energia ed è svolto da speciali proteine chiamate pompe.
 Il trasporto passivo non richiede energia e comprende la diffusione semplice e alcune
forme di trasporto mediato.
 Le molecole trasportate sono in genere influenzate da tre tipi di forze: (1) forze chimiche,
dovute alla presenza di gradienti di concentrazione; (2) forze elettriche, che dipendono
dall’influenza esercitata dal potenziale di membrana cellulare sul movimento degli ioni; (3)
forze elettrochimiche, una combinazione di forze elettriche e forze chimiche che
rappresentano la forza totale netta che agisce sulle molecole.
 Le molecole trasportate passivamente si muovono nella direzione della forza elettrochimica
ovvero secondo il loro gradiente elettrochimico.
 Le molecole trasportate attivamente si muovono in direzione opposta alla forza
elettrochimica, cioè contro il loro gradiente elettrochimico.
4.2 Velocità di trasporto, p. 100
 La velocità con la quale una sostanza si muove attraverso una membrana viene definita
flusso.
4.3 Trasporto passivo, p. 101
 La diffusione è il movimento di molecole da una zona ad un’altra in conseguenza della loro
agitazione termica casuale.
 La velocità di trasporto di una sostanza per diffusione semplice, dipende: dalla grandezza
della forza, dall’area e dalla permeabilità della membrana.
 La diffusione facilitata utilizza delle proteine trasportatrici, o carrier, che legano le molecole
da una parte della membrana e le trasportano dalla parte opposta, mediante cambiamenti
conformazionali.
 I canali ionici sono pori che si estendono da un lato all’altro della membrana.
 La velocità della diffusione facilitata è determinata dalla velocità di trasporto dei singoli
carrier dal loro numero e dal gradiente elettrochimico della sostanza trasportata.
 Nella diffusione facilitata e nei canali ionici, la permeabilità della membrana è determinata
dalla velocità di trasporto dei carrier e dei canali e dal loro numero nella membrana.
4.4 Trasporto attivo, p. 106
 Esistono due tipi principali di trasporto attivo, il trasporto attivo primario e secondario. Il
trasporto attivo primario utilizza ATP o altre forme di energia chimica; il trasporto attivo
secondario, che utilizza il gradiente elettrochimico di una sostanza come fonte di energia
per indurre il trasporto attivo di un’altra sostanza.
 Per una sostanza trasportata attivamente, la velocità del trasporto è determinata dalla
velocità con la quale le sostanze sono trasportate dai trasportatori attivi e dal loro numero
nella membrana.
4.5 Osmosi: trasporto passivo di acqua attraverso le membrane, p. 110
 L’acqua passa attraverso le membrane influenzando il volume cellulare ed è coinvolta nella
secrezione e nel riassorbimento di liquidi.
 L’osmosi, movimento dell’acqua attraverso le membrane lungo il suo gradiente di
concentrazione, è sempre passiva ed è generata dal gradiente di concentrazione dell’acqua
stessa.
 Poiché la concentrazione dell’acqua in una soluzione diminuisce all’aumentare della
concentrazione dei soluti, la differenza di concentrazione totale di soluti (osmolarità) tra i
due lati di una membrana comporta l’esistenza di un gradiente di concentrazione per
l’acqua.
 Poiché la pressione osmotica di una soluzione aumenta all’aumentare della concentrazione
dei soluti, il flusso di acqua secondo il proprio gradiente di concentrazione è equivalente al
flusso contro il gradiente della pressione osmotica.
 Il volume di una cellula è determinato dalla tonicità della soluzione che la circonda, che a
sua volta dipende dalla concentrazione di soluti e dalla permeabilità della membrana nei
confronti dei soluti in soluzione.
4.6 Trasporto di materiale all’interno di compartimenti delimitati da membrana, p. 114
 L’endocitosi avviene quando le molecole presenti nel liquido extracellulare entrano nella
cellula formando endosomi dalla membrana cellulare. L’esocitosi avviene quando le
molecole intracellulari vengono incluse in una vescicola secretoria, si fondono con la
membrana plasmatica e il contenuto rilasciato è nel liquido extracellulare.
 Esistono tre forme di endocitosi: fagocitosi, pinocitosi ed endocitosi mediata da recettore.
 La fagocitosi e l’endocitosi mediata da recettore sono specifiche per il trasporto di alcune
molecole o altro materiale inglobato all’interno della cellula. La pinocitosi è aspecifica.
4.7 Trasporto epiteliale: movimento di molecole attraverso due membrane, p. 117
 Alcuni epiteli sono specializzati per trasportare sostanze dentro e fuori dall’organismo,
mediante processi definiti rispettivamente assorbimento e secrezione.
 Le cellule epiteliali sono dette polarizzate in quanto le loro membrane ai due lati della
cellula sono diverse strutturalmente e funzionalmente.
 Gli epiteli formano delle barriere tra i compartimenti liquidi dell’organismo o tra l’ambiente
esterno e il mezzo interno.
 La membrana basolaterale, che si appoggia su una membrana non cellulare chiamata
lamina basale, è rivolta verso il mezzo interno; la membrana opposta è la membrana
apicale.
 Nella transcitosi, le macromolecole attraversano le cellule entrando per endocitosi e
uscendo per esocitosi.
SOMMARIO Cap. 5 – Messaggeri chimici
RIASSUNTO
5.1 Meccanismi di comunicazione intercellulare, p. 125
 La comunicazione tra cellule si attua: (1) tramite giunzioni comunicanti, che permettono ai
segnali elettrici e alle piccole molecole di muoversi direttamente da una cellula ad un’altra
adiacente e (2) tramite la secrezione di messaggeri chimici, che permettono ai segnali di
essere trasmessi da una cellula ad altre che possono anche essere distanti dalla prima.
 I messaggeri chimici producono risposte nelle cellule bersaglio legandosi a specifici
recettori.
5.2 Messaggeri chimici, p. 126
 I messaggeri chimici rientrano in tre categorie funzionali: (1) paracrini, (2)
neurotrasmettitori, (3) ormoni.
 Molti messaggeri esercitano la loro azione solo su cellule vicine a quelle che li secernono,
ma gli ormoni e i neurormoni possono agire a distanza poiché vengono trasportati in circolo
dal sangue per raggiungere le loro cellule bersaglio.
 Sulla base della loro struttura chimica i messaggeri vengono suddivisi in cinque categorie:
(1) amminoacidi, (2) ammine (derivate dagli amminoacidi), (3) peptidi e proteine, (4)
steroidi (derivati dal colesterolo) e eicosanoidi (derivati dall’acido arachidonico).
 Gli steroidi, gli eicosanoidi e alcune ammine (gli ormoni tiroidei) sono lipofilici; altri
messaggeri sono idrofilici (lipofobici).
5.3 Meccanismi di trasduzione del segnale, p. 134
 L’intensità della risposta di una cellula bersaglio ad un messaggero chimico dipende della
concentrazione del messaggero, dal numero di recettori presenti e dall’affinità del recettore
per il messaggero.
 La risposta delle cellule bersaglio aumenta all’aumentare della concentrazione del
messaggero. Quando le cellule bersaglio vengono esposte per lungo tempo a
concentrazioni o molto basse o molto alte di messaggero, esse modificano il loro numero di
recettori in modo da adattarsi alle nuove concentrazioni.
 Una riduzione del numero dei recettori viene chiamata downregulation; un suo aumento,
invece, upregolazione.
 I messaggeri lipofilici si legano a recettori citosolici o nucleari nelle cellule bersaglio; i
complessi messaggerorecettori risultanti si legano al DNA per regolare la trascrizione genica
e la sintesi proteica.
 I messaggeri idrofilici si legano a recettori posti sulla superficie cellulare, che possono
essere di tre tipi: (1) recettoricanale, che provocano l’apertura o la chiusura di canali rapidi
ligandodipendenti, (2) recettorienzima, che catalizzano reazioni all’interno della cellula e (3)
recettori accoppiati a proteine G, che attivano specifiche proteine di membrana chiamate
proteine G.
 Le proteine G attivate possono a loro volta attivare (o inibire) una gran varietà di proteine
intracellulari, inclusi enzimi o canali.
 Molti di questi enzimi catalizzano la produzione di secondi messaggeri all’interno della
cellula. Le sostanze più note che agiscono come secondi messaggeri sono l’AMP ciclico
(AMPc), il GMP ciclico (GMPc), il diacilglicerolo (DAG), l’inositolo trisfosfato (IP3) e gli ioni
Ca2+ (che spesso agiscono legandosi alla calmodulina per formare un complesso che attiva
le proteine chinasi).
5.4 Comunicazione a distanza mediante i sistemi nervoso ed endocrino, p. 144
 Nel sistema nervoso i neuroni inviano segnali a specifici gruppi di cellule bersaglio con cui
sono collegati tramite sinapsi.
 Il sistema endocrino trasmette segnali a cellule bersaglio che possono trovarsi ovunque
nell’organismo ed esercita effetti che in genere sono lenti a svilupparsi ma permangono nel
tempo.
 Gli ormoni vengono secreti da cellule endocrine specializzate che si trovano generalmente
nelle ghiandole endocrine.
SOMMARIO Cap. 6 – Il sistema endocrino: ghiandole endocrine e azioni
ormonali
RIASSUNTO
6.1 Organi endocrini primari, p. 149
 Gli organi endocrini primari comprendono l’ipofisi (che è suddivisa in adenoipofisi e
neuroipofisi), la ghiandola pineale, la tiroide, le paratiroidi, il timo, il pancreas e le gonadi.
 La secrezione ormonale dell’adenoipofisi è regolata da fattori trofici secreti da cellule
neurosecretorie ipotalamiche.
 La secrezione di questi e di altri ormoni viene regolata mediante un sistema a feedback
negativo.
6.2 Organi endocrini secondari, p. 156
 Gli organi endocrini secondari secernono ormoni come funzione secondaria, in quanto la
loro funzione primaria è un’altra.
 Esempi sono rappresentati da cuore, fegato e reni.
6.3 Azioni ormonali sulle cellule bersaglio, p. 158
 L’ampiezza della risposta di una cellula bersaglio ad un ormone dipende dalla
concentrazione ormonale nel plasma, che a sua volta dipende dalla velocità di secrezione,
dalla quantità di ormone legato a proteine trasportatrici nel sangue e dalla velocità con la
quale l’ormone viene metabolizzato.
 La maggior parte degli ormoni viene degradata dal fegato e i prodotti della degradazione
possono essere escreti con le urine.
6.4 Anomalie nella secrezione ormonale, p. 161
 Anomalie nella secrezione ormonale comprendono l’iposecrezione (secrezione
insufficiente) e l’ipersecrezione (secrezione eccessiva) e possono essere primarie o
secondarie.
 Le anomalie secretorie primarie si verificano quando una ghiandola endocrina è anormale e
secerne una quantità anomala di ormone.
 Le anomalie secretorie secondarie si manifestano quando l’ipotalamo o l’adenoipofisi sono
anormali e secernono quantità anomale di fattori trofici, che a loro volta alterano la
secrezione ormonale delle ghiandole endocrine bersaglio.
6.5 Interazioni ormonali, p. 162
Un singolo ormone può regolare più di una funzione corporea e una singola funzione corporea può
essere regolata da due o più ormoni, che possono esercitare effetti additivi, antagonistici, sinergici
o permissivi.
SOMMARIO Cap. 7 – Cellule nervose e segnali elettrici
RIASSUNTO
7.1 Panoramica del sistema nervoso, p. 167

 Il sistema nervoso può essere diviso in due parti: il sistema nervoso centrale e il sistema
nervoso periferico.
 Il sistema nervoso centrale comprende l’encefalo e il midollo spinale.
 l sistema nervoso periferico comprende la divisione afferente e quella efferente.
 La divisione afferente del sistema nervoso periferico è costituita da neuroni che
trasmettono informazioni dalla periferia al sistema nervoso centrale; la divisione efferente
è costituita da neuroni che trasmettono informazioni dal sistema nervoso centrale alla
periferia.
 La divisione efferente è divisa in due branche principali: (1) il sistema nervoso somatico, che
permette la comunicazione con il sistema muscolare scheletrico; (2) il sistema nervoso
autonomo, che comunica con la muscolatura liscia, con il muscolo cardiaco, con le
ghiandole e con il tessuto adiposo.
 Il sistema nervoso autonomo è diviso nella componente simpatica e in quella
parasimpatica.
7.2 Cellule del sistema nervoso, p. 168
 l sistema nervoso comprende i neuroni, cellule specializzate nella trasmissione degli impulsi
elettrici, e cellule gliali, che forniscono un supporto metabolico e strutturale ai neuroni.
 Le componenti del neurone sono il corpo cellulare, i dendriti e l’assone.
 I dendriti e, in misura minore, il corpo cellulare, ricevono informazioni da altri neuroni
attraverso le sinapsi.
 L’assone comprende il monticolo assonico, dove si genera il potenziale d’azione, e il
terminale assonico.
 Il terminale assonico trasmette l’informazione ad altri neuroni tramite la liberazione di un
neurotrasmettitore attraverso le sinapsi.
 Il trasporto assonico lento e il trasporto assonico rapido sono utilizzati per muovere
prodotti dal corpo cellulare al terminale assonico (trasporto anterogrado) o dal terminale
assonico al corpo cellulare (trasporto retrogrado).
 I neuroni sono classificati funzionalmente in tre classi: neuroni efferenti; neuroni afferenti;
interneuroni.
 Due tipi di cellule gliali sono deputati alla formazione della guaina mielinica intorno agli
assoni: (1) gli oligodendrociti nel sistema nervoso centrale; (2) le cellule di Schwann nel
sistema nervoso periferico.
 La mielina aumenta la velocità di propagazione dei potenziali d’azione fornendo uno strato
isolante all’assone.
7.3 Genesi del potenziale di membrana a riposo, p. 174
 A riposo, le cellule hanno un potenziale di membrana tale che l’interno della cellula risulta
carico negativamente rispetto all’esterno della cellula.
 Il potenziale d’azione è determinato da due fattori: (1) forze elettrochimiche che spingono il
potassio all’esterno della cellula e il sodio all’interno della cellula; (2) la membrana cellulare
a riposo è più permeabile agli ioni potassio.
 Il potenziale di membrana a riposo è vicino al potenziale di equilibrio dello ione potassio. Il
potenziale di membrana è mantenuto dalla pompa Na+/K+.
7.4 I segnali elettrici sono dovuti a variazioni del potenziale di membrana, p. 179
 Modificazioni del potenziale di membrana possono essere prodotte da variazioni della
permeabilità della membrana cellulare agli ioni.
 I potenziali graduati rappresentano piccole modificazioni del potenziale di membrana in
risposta ad uno stimolo che apre o chiude i canali ionici.
 Viene generato un potenziale d’azione quando i potenziali graduati determinano una
depolarizzazione del neurone fino al valore soglia.
 Un singolo potenziale graduato in genere non è in grado di depolarizzare la membrana fino
al valore soglia; tuttavia, i potenziali graduati possono sommarsi tra loro mediante una
sommazione spaziale e/o temporale.
 I potenziali d’azione sono rapide depolarizzazioni della membrana cellulare che si
propagano lungo l’assone, dal monticolo assonico fino al terminale assonico.
 La fase di rapida depolarizzazione di un potenziale d’azione è determinata dall’apertura dei
canali voltaggio-dipendenti per il sodio e dal conseguente movimento degli ioni sodio
dall’esterno verso l’interno della cellula.
 La fase di ripolarizzazione è determinata dalla chiusura dei canali per il sodio e dall’apertura
dei canali per il potassio, che determina la fuoriuscita dello ione potassio dalla cellula.
 L’iperpolarizzazione postuma è dovuta al fatto che i canali per il potassio si chiudono
lentamente, prolungando la fuoriuscita del potassio dalla cellula per un breve periodo.
 I canali voltaggio-dipendenti per il sodio hanno due tipi di porte, porte di attivazione e
porte di inattivazione; di conseguenza i canali esistono in tre configurazioni: chiuso ma
capace di aprirsi; aperto; chiuso e incapace di aprirsi.
 I potenziali d’azione rappresentano dei fenomeni “tutto-o-nulla”, in quanto la loro ampiezza
non varia al variare dell’intensità dello stimolo che li determina.
 L’intensità dello stimolo è codificata dalla frequenza dei potenziali d’azione: maggiore è
l’intensità dello stimolo, maggiore è il numero dei potenziali d’azione nell’unità di tempo.
 I periodi refrattari assoluti e relativi assicurano l’unidirezionalità della propagazione del
potenziale d’azione e limitano la massima frequenza dei potenziali d’azione.
7.5 Mantenimento della stabilità neuronale, p. 192
 La pompa Na+/K+ crea dei gradienti di concentrazione per il sodio e per il potassio che
generano il potenziale di riposo.
 La pompa Na+/K+ previene anche la dissipazione dei gradienti di concentrazione facendo in
modo che gli ioni di sodio e potassio che avevano attraversato la membrana cellulare
ritornino alle loro posizioni di partenza.
SOMMARIO Cap. 8 – Trasmissione sinaptica e integrazione neuronale
RIASSUNTO
8.1 Sinapsi elettriche, p. 197
 I neuroni comunicano con gli altri neuroni o con gli organi effettori attraverso le sinapsi.
 I neuroni comunicano attraverso sinapsi chimiche ed elettriche.
 Le sinapsi elettriche sono presenti laddove esistono giunzioni comunicanti che connettono
due neuroni.
8.2 Sinapsi chimiche, p. 197
 Nelle sinapsi chimiche, la trasmissione del messaggio nervoso dal neurone presinaptico a
quello postsinaptico si attua in risposta all’arrivo del potenziale d’azione nel neurone
presinaptico.
 Il potenziale d’azione si propaga dal monticolo assonico fino al terminale presinaptico, dove
determina l’apertura di canali voltaggio-dipendenti per il calcio.
 Il calcio entra nel terminale presinaptico, attivando il rilascio del neurotrasmettitore
mediante esocitosi.
 l neurotrasmettitore si lega al recettore presente sulla membrana del neurone
postsinaptico, modificandone le proprietà elettriche.
 La trasduzione del segnale è il meccanismo mediante il quale un messaggero produce una
risposta in una cellula.
 Se il neurotrasmettitore si lega ad un recettore ionotropo (risposta veloce), vi sarà una
rapida apertura di canali ionici, con un’immediata modificazione delle proprietà elettriche
della cellule.
 Se il neurotrasmettitore si lega ad un recettore metabotropico (risposta lenta), eserciterà la
sua azione attraverso una proteina G, generando una risposta lenta che porterà all’apertura
o alla chiusura di canali ionici, con un conseguente cambiamento delle proprietà elettriche
della cellula. Oppure porterà all’attivazione di un enzima, che produrrà un secondo
messaggero, il quale potrà a sua volta aprire o chiudere canali ionici o generare altri tipi di
risposte cellulari.
 Nelle sinapsi eccitatorie, il potenziale postsinaptico è depolarizzante (PPSE) e avvicina il
potenziale di membrana al valore soglia per la genesi di un potenziale d’azione.
 Nelle sinapsi inibitorie, il potenziale postsinaptico del neurone è iperpolarizzante (PPSI) e
allontana il potenziale di membrana dal valore soglia, riducendo così la probabilità che si
generi un potenziale d’azione.
8.3 Integrazione neuronale, p. 203
 L’integrazione neuronale è la sommazione spaziale e temporale dei potenziali che si verifica
sul monticolo assonico del neurone postsinaptico.
 Un potenziale d’azione viene generato solo quando il potenziale di membrana è
depolarizzato fino al valore soglia a livello del monticolo assonico; se il potenziale di
membrana è sottosoglia, non si genera alcun potenziale d’azione
 Una volta che la depolarizzazione raggiunge la soglia, maggiori depolarizzazioni
susciteranno una frequenza più alta dei potenziali d’azione.
8.4 Modulazione presinaptica, p. 205
 La modulazione più frequente si verifica a livello delle sinapsi asso-assoniche ed è definita
modulazione presinaptica.
 Nella sinapsi asso-assonica il neurone presinaptico modula il rilascio del neurotrasmettitore
dal neurone postsinaptico.
 Nella facilitazione presinaptica la trasmissione dell’informazione è facilitata, mentre
nell’inibizione presinaptica la trasmissione sinaptica è attenuata.
8.5 Neurotrasmettitori: struttura, sintesi e degradazione, p. 207
 I neuroni possono liberare una grande varietà di neurotrasmettitori.
 L’acetilcolina rappresenta il neurotrasmettitore più diffuso nel sistema nervoso periferico,
ma è presente anche nel sistema nervoso centrale.
 Le ammine biogene comprendono le catecolamine, la serotonina e l’istamina.
 Le catecolamine comprendono la noradrenalina, l’adrenalina e la dopamina. La
noradrenalina è un neurotrasmettitore molto comune nel sistema nervoso periferico.
 Altre classi di neurotrasmettitori comprendono alcuni amminoacidi e neuropeptidi.
 Recentemente sono stati identificati altri neurotrasmettitori, come l’ATP, l’ossido nitrico e gli
endocannabinoidi.
 I neurotrasmettitori permettono la comunicazione cellulare sinaptica mediante la loro
interazione con specifici recettori che si trovano localizzati sulla membrana postsinaptica.
 In genere esiste più di un tipo di recettore per ciascun neurotrasmettitore e per tale motivo
la risposta postsinaptica può variare considerevolmente sia in base al tipo di recettore che
interagisce con il neurotrasmettitore sia in base al tipo di accoppiamento che si verifica.
SOMMARIO Cap. 9 – Il sistema nervoso: sistema nervoso centrale
RIASSUNTO
9.1 Anatomia generale del sistema nervoso centrale, p. 216
 Il sistema nervoso centrale (SNC) consta dell’encefalo e del midollo spinale.
 I quattro tipi di cellule gliali, che si trovano nel SNC, sono le cellule di Schwann, gli
oligodendrociti, la microglia e gli astrociti (i più numerosi).
 Il SNC è protetto da varie strutture, fra cui il cranio, la colonna vertebrale, le meningi (la
dura madre, l’aracnoide e la pia madre) e la barriera ematoencefalica.
 Il liquido cerebrospinale svolge una ulteriore funzione di protezione sul SNC,
ammortizzando gli urti.
 l tessuto del SNC è organizzato in sostanza grigia e bianca.
 La sostanza grigia è costituita prevalentemente dai corpi cellulari, dai dendriti e dai
terminali assonici; la sostanza bianca è costituita prevalentemente da assoni mielinici.
9.2 Il midollo spinale, p. 224
 Dal midollo spinale emergono 31 paia di nervi spinali, un paio per ciascun livello vertebrale.
 Tutti i nervi spinali sono misti, in quanto contengono assoni sia afferenti che efferenti.
 La sostanza bianca del midollo spinale contiene fibre sia ascendenti che discendenti che
portano informazioni dalla periferia verso l’encefalo e viceversa.
 La sostanza grigia del midollo spinale si divide in corna dorsali e ventrali; i corpi cellulari e i
dendriti dei neuroni efferenti sono localizzati nelle corna ventrali; le terminazioni dei
neuroni afferenti raggiungono, invece, le corna dorsali. Gli interneuroni sono intercalati tra
le afferenze e le efferenze.
9.3 L’encefalo, p. 229
 L’encefalo è formato da tre parti principali: il prosencefalo, il cervelletto e il tronco
encefalico.
 Il prosencefalo include il cervello (corteccia cerebrale e nuclei sottocorticali) e il diencefalo
(talamo ed ipotalamo).
 Il cervelletto è responsabile della coordinazione motoria e dell’equilibrio.
 Il tronco encefalico comprende il mesencefalo, il ponte e il midollo allungato (o bulbo).
 All’interno del tronco encefalico originano 10 delle 12 paia di nervi cranici; contiene anche
la formazione reticolare.
 La corteccia cerebrale è responsabile delle funzioni più evolute dell’encefalo, quali, per
esempio, il controllo motorio, la percezione, il linguaggio, le emozioni, l’apprendimento e la
memoria.
 La corteccia cerebrale è divisa in quattro lobi: frontale, parietale, occipitale e temporale.
 I nuclei sottocorticali, addensamenti di sostanza grigia nel cervello, comprendono i nuclei
della base e i nuclei del sistema limbico.
 I nuclei della base svolgono funzioni importanti nel controllo motorio, mentre il sistema
limbico è coinvolto nelle emozioni, nell’apprendimento e nella memoria.
 Il diencefalo, localizzato al di sotto del cervello, al centro del prosencefalo, comprende il
talamo, che serve da stazione di ritrasmissione dei segnali che vanno verso la corteccia, e
l’ipotalamo, che regola alcune funzioni implicate nel mantenimento dell’omeostasi.
9.4 Funzioni integrate del SNC: i movimenti involontari prodotti dai riflessi, p. 236
 I riflessi rappresentano le risposte più semplici del SNC all’applicazione di uno stimolo
(risposte automatiche).
 I riflessi possono realizzarsi a livello cranico o spinale, si dividono in somatici e autonomi e
possono essere innati o acquisiti.
 La via riflessa più semplice (arco riflesso) consta di un recettore sensoriale, un neurone
afferente, un centro di integrazione, un neurone efferente e un organo effettore.
 I riflessi possono essere spinali o craniali, somatici o autonomi, innati o condizionati, e
monosinaptici o polisinaptici. Ogni riflesso è classificato in base a queste quattro
caratteristiche.
 Tre esempi di riflessi spinali sono rappresentati dal riflesso da stiramento, evocato
dall’eccitazione del fuso neuromuscolare, dal riflesso flessorio (o di allontanamento) e dal
riflesso estensorio crociato.
9.5 Funzioni integrate del SNC: il controllo dei movimenti volontari, p. 238
 Il controllo volontario dell’attività motoria coinvolge molte regioni del SNC.
 Molte aree dell’encefalo sono coinvolte nella formulazione e nella preparazione dei
comandi necessari per il movimento, fra cui la corteccia prefrontale, le aree associative
della corteccia cerebrale, i nuclei della base e il sistema limbico.
 I tratti piramidali e rubrospinali trasmettono informazioni relative al piano motorio ai
motoneuroni del midollo spinale, che determinano la contrazione muscolare. Il cervelletto
e i nuclei della base contribuiscono a rendere coordinati e armonici i movimenti volontari.
 Le vie ventromediali, più che per effettuare movimenti precisi, sono importanti per i
movimenti di supporto al movimento volontario, come per il controllo e il mantenimento
della postura. Si verificano anche contrazioni involontarie dei muscoli scheletrici.
 Le vie ventromediali includono i tratti vestibolospinali, i tratti tettospinali e i tratti
reticolospinali.
9.6 Funzioni integrate del SNC: il linguaggio, p. 242
 Le aree corticali coinvolte nel linguaggio sono quella di Wernicke, nel lobo temporale, e
quella di Broca, nel lobo frontale.
 Un’anomalia del linguaggio è definita afasia.
9.7 Funzioni integrate del SNC: il sonno, p. 242
 Lo scopo e i meccanismi del sonno non sono ancora completamente noti.
 Le fasi del sonno possono essere identificate mediante EEG.
 Il sonno ad onde lente è caratterizzato da onde di EEG a bassa frequenza ed elevata
ampiezza, mentre il sonno REM è caratterizzato da onde di EEG ad alta frequenza e bassa
ampiezza.
 Durante il sonno, l’organismo attraversa varie fasi.
9.8 Funzioni integrate del SNC: emozioni e motivazione, p. 245
 Le emozioni si generano a livello del sistema limbico, in base alle afferenze sensoriali.
 Il sistema limbico trasmette poi le informazioni alla corteccia, dove le emozioni sono
percepite.
 Le risposte relative agli stati emozionali comportano modificazioni della funzionalità del
sistema nervoso autonomo.
 Le motivazioni dirigono le azioni e sono strettamente associate al piacere.
9.9 Funzioni integrate del SNC: apprendimento e memoria, p. 247
 L’apprendimento rappresenta l’acquisizione di nuove informazioni, mentre la memoria è
l’immagazzinamento di ciò che si apprende.
 L’apprendimento e la memoria richiedono plasticità.
 Un tipo di plasticità è il potenziamento a lungo termine, in cui viene prolungata l’efficacia
della trasmissione sinaptica.
SOMMARIO Cap. 10 – Il sistema nervoso: sistemi sensoriali
RIASSUNTO
10.1 Principi generali di fisiologia sensoriale, p. 254
 La nostra capacità di percepire il mondo che ci circonda dipende dalla presenza di recettori
sensoriali e di vie nervose specifiche che portano informazioni alla corteccia cerebrale.
 Uno specifico stimolo è codificato dal tipo di recettore e dalla via nervosa attivata.
 L’intensità dello stimolo è codificata mediante un codice di frequenza e un codice di
popolazione.
 La capacità di localizzare uno stimolo dipende dalle dimensioni dei campi recettivi, dal loro
grado di sovrapposizione e dall’inibizione laterale.
10.2 Il sistema somatosensoriale, p. 262
 Il sistema somatosensoriale rende possibile la percezione di stimoli associati alla superficie
corporea (sensazioni somestesiche) o alla posizione delle parti del corpo (propriocezione).
 Alcuni recettori del sistema somatosensoriale sono costituiti da terminazioni nervose
specializzate, mentre altri sono costituiti da terminazioni nervose libere.
 Le informazioni relative a tatto, pressione, vibrazione e propriocezione sono trasmesse al
talamo attraverso la via delle colonne dorsali-lemnisco mediale.
 Le informazioni circa il dolore e la temperatura sono trasmesse al talamo attraverso il tratto
spinotalamico.
 Infine, le informazioni sono trasmesse dal talamo alla corteccia somato-sensoriale primaria.
10.3 La vista, p. 269
 Gli occhi funzionano trasformando l’energia luminosa in segnali elettrici.
 Per focalizzare la luce sulla retina, l’occhio può cambiare la curvatura del cristallino e
pertanto modificarne il potere di rifrazione.
 Molti difetti clinici influenzano la capacità degli occhi di focalizzare la luce; tra questi vi sono
la miopia, l’ipermetropia, l’astigmatismo, la presbiopia, la cataratta e il glaucoma.
 Le pupille sono capaci di restringersi e dilatarsi al fine di regolare il quantitativo di luce che
penetra negli occhi.
 Il processo di fototrasduzione si attua nella retina, costituita da tre strati di tessuto nervoso:
fotorecettori, cellule bipolari e cellule gangliari.
 I fotorecettori, bastoncelli e coni, contengono fotopigmenti che assorbono la luce.
 Al buio, i fotorecettori sono depolarizzati e rilasciano un neurotrasmettitore.
 In condizioni di luminosità, i fotopigmenti assorbono la luce e si dissociano, determinando
una catena di reazioni che porta all’iperpolarizzazione dei fotorecettori e ad un diminuito
rilascio di neurotrasmettitore.
 I fotorecettori comunicano con le cellule bipolari e le cellule orizzontali rilasciando
glutammato. Le cellule bipolari poi comunicano con le cellule gangliari e amacrine. Se le
cellule gangliari si depolarizzano fino al valore soglia, insorge un potenziale d’azione.
 Gli assoni delle cellule gangliari formano il nervo ottico.
 Le cellule bipolari e le cellule gangliari hanno campi recettivi complessi; le risposte delle
cellule cambiano a seconda che lo stimolo luminoso sia nel centro del campo recettivo o
nella periferia (parte più esterna) del campo recettivo.
 Le informazioni sono trasmesse dal nervo ottico al chiasma ottico, dove la metà degli assoni
di un occhio incrocia passando nel lato opposto del SNC, in modo tale che tutti i segnali
provenienti dal campo visivo destro raggiungano il lato sinistro e quelli del campo visivo
sinistro raggiungano il lato destro.
 Gli assoni delle cellule gangliari, dopo il chiasma ottico, formano il tratto ottico.
 Il tratto ottico termina nel corpo genicolato laterale del talamo, dove gli assoni delle cellule
gangliari comunicano con neuroni talamici che trasmettono informazioni alla corteccia
visiva.
10.4 L’orecchio e l’udito, p. 285
 L’orecchio, che è costituito da orecchio esterno, medio e interno, contiene cellule
recettoriali che forniscono informazioni relative all’udito e all’equilibrio.
 Relativamente all’udito, le onde sonore penetrano attraverso l’orecchio esterno
nell’orecchio medio, dove sono amplificate, e poi nell’orecchio interno dove, a livello
cocleare, sono trasdotte in impulsi nervosi.
 La trasduzione del suono si verifica nelle cellule ciliate dell’organo del Corti, localizzate nella
coclea.
 Quando le onde sonore raggiungono il liquido cocleare, causano un movimento ondulatorio
della membrana basilare che, a sua volta, determina la deflessione delle stereociglia. Ciò
causa l’apertura o la chiusura di canali per il potassio, con conseguenti modificazioni delle
proprietà elettriche delle cellule ciliate.
 Quando le cellule ciliate sono depolarizzate, rilasciano un neurotrasmettitore che eccita le
afferenze nervose del nervo cocleare.
 Le informazioni sonore sono trasmesse al corpo genicolato mediale del talamo e quindi alla
corteccia uditiva.
 Nella corteccia uditiva vi è una rappresentazione tonotopica dei suoni.
 L’intensità dei suoni è codificata dal grado di deflessione delle stereociglia, mentre la
tonalità è codificata in base alla localizzazione delle cellule ciliate sulla membrana basilare.
10.5 L’orecchio e l’equilibrio, p. 292
 L’apparato vestibolare dell’orecchio interno comprende i canali semicircolari (che rilevano
l’accelerazione angolare) e l’otricolo e il sacculo (che rilevano l’accelerazione lineare).
 L’apparato vestibolare contiene cellule ciliate, con stereociglia che si piegano in seguito alle
accelerazioni della testa. Nei canali semicircolari, le cellule ciliate sono localizzate
nell’ampolla.
 Le cellule ciliate nell’otricolo e nel sacculo hanno stereociglia che si proiettano all’interno di
una massa gelatinosa contenente gli otoliti.
 La deflessione delle stereociglia apre o chiude canali ionici, influenzando il rilascio di un
trasmettitore chimico che eccita le afferenze del nervo vestibolare.
 Le informazioni vestibolari sono quindi trasmesse ai nuclei vestibolari del tronco encefalico
e quindi al talamo e alla corteccia per il controllo dell’equilibrio.
 Questi nuclei comunicano anche con il cervelletto, per il mantenimento dell’equilibrio, e
con i nuclei del tronco encefalico, per controllare i movimenti degli occhi.
10.6 Il gusto, p. 295
 Entrambi i sensi chimici, gusto e olfatto, dipendono dal legame di specifiche sostanze
chimiche presenti nel cibo o nell’aria con specifici chemocettori localizzati sulle cellule
recettoriali.
 Le cellule recettoriali gustative sono localizzate all’interno delle papille gustative.
 Le molecole che si legano ai recettori gustativi sono dette gustanti.
 Ciascuno dei quattro sapori primari richiede un differente meccanismo di trasduzione.
 Una singola cellula recettoriale gustativa risponde ai quattro sapori fondamentali, ma in
maniera più accentuata ad uno soltanto.
 L’informazione gustativa è trasmessa, attraverso i nervi cranici, al nucleo gustativo del bulbo
e quindi proiettata al talamo e alla corteccia gustativa.
10.7 L’olfatto, p. 297
 I recettori olfattivi, localizzati nell’epitelio olfattivo della cavità nasale, rispondono a
odoranti aerei disciolti nel muco ivi secreto.
 Nell’epitelio olfattivo si trovano anche cellule basali, che sono i precursori delle cellule
recettoriali.
 Prima di legarsi ai recettori, l’odorante si lega a proteine di trasporto presenti nel muco.
 In seguito all’interazione recettore-o-dorante, viene attivata la produzione di AMP ciclico
nel citosol della cellula recettoriale che, attraverso una serie di fasi, determina
depolarizzazione.
 Se la depolarizzazione raggiunge il valore soglia, si genera un potenziale d’azione
nell’assone del recettore.
 L’assone del recettore insieme agli assoni degli altri recettori, forma il nervo olfattivo. Le
afferenze olfattive formano sinapsi con le cellule mitrali nel glomerulo del bulbo olfattivo.
 Le cellule mitrali trasmettono informazioni attraverso due vie: una termina nella corteccia
olfattiva, l’altra nel sistema limbico.
SOMMARIO Cap. 11 – Il sistema nervoso: sistema motorio autonomo e
somatico
RIASSUNTO
11.1 Il sistema nervoso autonomo, p. 304
 Vi sono due principali branche del sistema nervoso efferente: quella autonoma e quella
somatica.
 Il sistema nervoso autonomo comprende il sistema simpatico e il sistema parasimpatico,
che innervano il muscolo cardiaco, le cellule muscolari lisce, le ghiandole e il tessuto
adiposo.
 Gli organi effettori sono generalmente innervati sia dal parasimpatico che dal simpatico.
 Il sistema nervoso parasimpatico è più attivo a riposo, mentre quello simpatico è più attivo
durante i periodi di attività o eccitazione ed è responsabile della risposta lotta - o - fuggi.
 L’organizzazione del sistema nervoso autonomo consta di due tipi neuroni che mettono in
comunicazione il sistema nervoso centrale con l’organo effettore: un neurone pregangliare
e un neurone postgangliare. I neuroni postgangliari innervano gli organi effettori.
 Il sistema nervoso simpatico consta anche di una componente endocrina, in quanto un
gruppo di neuroni pregangliari innerva la midollare del surrene, determinando il rilascio di
adrenalina.
 Tutti i neuroni pregangliari contengono il neurotrasmettitore acetilcolina.
 I neuroni postgangliari parasimpatici utilizzano acetilcolina mentre la grande maggioranza
dei neuroni postgangliari simpatici utilizza come mediatore la noradrenalina.
 Nelle giunzioni neuroeffettrici tra i neuroni postgangliari autonomi e i loro organi effettori, il
neurotrasmettitore viene rilasciato in maniera diffusa con un meccanismo simile a quello
delle sinapsi neurone-neurone, diffonde dalle varicosità dell’assone e si lega ai recettori
dell’organo bersaglio.
 Il sistema nervoso autonomo è soggetto a meccanismi di controllo indipendenti dalla
volontà.
 Le aree encefaliche che influenzano il sistema nervoso autonomo comprendono il tronco
encefalico, l’ipotalamo ed il sistema limbico.
11.2 Il sistema nervoso somatico, p. 315
 Il sistema nervoso somatico efferente consta di vie composte da singoli motoneuroni che
originano dal corno ventrale del midollo spinale e innervano le cellule muscolari
scheletriche.
 Un singolo motoneurone e le cellule muscolari da esso innervate costituiscono un’unità
motoria.
 La sinapsi tra un motoneurone e la fibrocellula muscolare scheletrica è definita giunzione
neuromuscolare.
 Il neurotrasmettitore del motoneurone è l’acetilcolina.
 L’acetilcolina interagisce con recettori colinergici nicotinici. Il legame dell’acetilcolina con i
recettori colinergici nicotinici presenti sulla placca motrice dà origine al potenziale di
placca, che permette la contrazione muscolare.
SOMMARIO Cap. 12 – Fisiologia del muscolo
RIASSUNTO
12.1 Struttura del muscolo scheletrico, p. 323
 La maggior parte dei muscoli scheletrici contiene al suo interno un numero elevato di
cellule di forma allungata (fibre muscolari), che sviluppano forza contrattile utilizzando
l’energia liberata in seguito all’idrolisi dell’ATP.
 All’interno delle fibre muscolari sono presenti le miofibrille, che a loro volta contengono
l’apparato contrattile.
 Il reticolo sarcoplasmatico circonda le miofibrille, immagazzina ioni calcio al suo interno, ed
è strettamente associato con i tubuli trasversi (T), i quali traggono origine dal sarcolemma e
penetrano all’interno della cellula.
 Il muscolo scheletrico e quello cardiaco sono striati, poiché riflettono la disposizione
ordinata dei filamenti spessi e sottili all’interno delle miofibrille; queste sono formate da
unità fondamentali capaci di generare la forza di contrazione (i sarcomeri), unite tra di loro
alle estremità.
 I filamenti spessi e quelli sottili contengono rispettivamente le proteine contrattili miosina e
actina.
 Le teste della molecola della miosina (ponti trasversali) sono responsabili della generazione
del movimento che determina la contrazione, e possiedono due siti di fondamentale
importanza: un sito capace di legare l’actina e uno con attività ATPasica.
 Due proteine regolatrici (troponina e tropomiosina), presenti sul filamento sottile, hanno la
funzione di dare il via o di far terminare la contrazione.
12.2 Meccanismo con cui il muscolo genera forza, p. 326
 Quando un muscolo si contrae, i filamenti spessi e sottili scorrono, sovrapponendosi gli uni
sugli altri.
 Lo scorrimento è dovuto al ciclo dei ponti trasversali, nel corso del quale il movimento dei
ponti è legato a un fenomeno ciclico di formazione e distacco di legami tra i ponti stessi e le
molecole di actina presenti nei filamenti sottili adiacenti.
 Nel muscolo scheletrico, ciascuna fibra riceve segnali da un solo motoneurone, che si
ramifica e innerva più di una fibra.
 Un potenziale d’azione che si sviluppa in un motoneurone induce il rilascio di acetilcolina,
che si lega ai suoi recettori presenti sulla placca neuromuscolare della fibra muscolare. Ne
risulta un segnale elettrico (potenziale di placca), che determina l’insorgenza di un
potenziale d’azione nel sarcolemma.
 Il potenziale di placca è seguito dalla propagazione del potenziale d’azione lungo i tubuli T,
dalla liberazione del Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico, dal legame del Ca2+ alla troponina,
dallo spostamento della tropomiosina dai siti dell’actina capaci di legarsi alla miosina, e
dall’avvio del ciclo dei ponti trasversali.
12.3 Meccanica della contrazione del muscolo scheletrico, p. 331
 L’insieme di un motoneurone più le fibre muscolari che esso innerva costituisce una unità
motoria.
 Quando un motoneurone sviluppa un potenziale d’azione, tutte le fibre muscolari che
fanno parte dell’unità motoria si contraggono insieme.
 La risposta meccanica di una unità motoria ad un singolo potenziale d’azione è la scossa
muscolare, che è rappresentata da una risposta costante.
 Le scosse possono essere di tipo isometrico, nel caso in cui il muscolo sviluppa forza ma non
si accorcia, o isotonico, quando il muscolo si accorcia.
 Esistono due tipi di contrazione isotonica: concentrica ed eccentrica.
 La forza sviluppata dal muscolo nel suo complesso è determinata sia dalla forza generata
dalle singole fibre (che dipende dalla frequenza di stimolazione, dal diametro e dalle
variazioni di lunghezza delle fibre), sia dal numero di fibre che sono in stato di attività.
 La stimolazione ad alta frequenza porta alla sommazione delle scosse, in maniera tale che
la forza cresce progressivamente, fino al raggiungimento di un plateau (tetano).
 Il sistema nervoso centrale regola la forza muscolare facendo variare sia la frequenza dei
potenziali d’azione nei motoneuroni, sia il numero delle unità motorie attive
(reclutamento). In concomitanza con l’aumento della forza muscolare, le unità motorie
vengono reclutate in un ordine che è in accordo con l’aumentare delle dimensioni, un
fenomeno chiamato “principio della dimensione”.
12.4 Metabolismo nel muscolo scheletrico, p. 340
 I muscoli dipendono dal creatinfosfato come fonte iniziale di ATP.
 I muscoli scheletrici contengono tipi diversi di fibre, presenti in proporzioni variabili.
 Le fibre rapide e le fibre lente si differenziano in base alla loro velocità di contrazione, che
dipende dal tipo di miosina che contengono.
 Le fibre glicolitiche producono ATP per la maggior parte attraverso il processo della glicolisi
e generano acido lattico, cosa che le porta rapidamente ad affaticarsi.
 Le fibre ossidative sintetizzano ATP soprattutto attraverso il processo della fosforilazione
ossidativa e sono più resistenti alla fatica.
 I tre tipi pricipali di fibra muscolare sono le fibre lente ossidative, le fibre rapide glicolitiche
e quelle un po’ meno diffuse chiamate veloci ossidative.
12.5 Controllo dell’attività del muscolo scheletrico, p. 347
 I muscoli scheletrici sono di solito organizzati in coppie che agiscono in modo antagonistico
ai lati opposti delle articolazioni.
 Il movimento di una articolazione di regola comporta la contrazione di un gruppo
muscolare e il rilasciamento di quello antagonista.
 Il controllo dell’attività muscolare dipende da segnali a feedback, che dai fusi
neuromuscolari o dagli organi tendinei del Golgi vanno verso il sistema nervoso centrale.
 I fusi neuromuscolari misurano la lunghezza dei muscoli, mentre gli organi tendinei del
Golgi ne misurano lo stato di tensione.
12.6 Muscolo liscio e cardiaco, p. 350
 Il muscolo liscio si trova negli organi interni e in altre strutture del corpo, le cui attività non
sono sotto il controllo volontario, ma regolate dal sistema nervoso autonomo.
 Le contrazioni sono innescate dal legame del Ca2+ alla calmodulina, cosa che, in seguito
all’attivazione della miosina chinasi, dà come risultato la fosforilazione dei ponti trasversali
della miosina.
 Il muscolo liscio è regolato dai neuroni del sistema nervoso autonomo – dal simpatico, dal
parasimpatico o da entrambi; l’effetto può essere eccitatorio o inibitorio.
 Le cellule muscolari lisce mostrano due tipi di potenziali d’azione spontanei: potenziali
pacemaker e potenziali a onda lenta.
 Nel muscolo cardiaco, le contrazioni si sviluppano in seguito alla generazione di potenziali
d’azione che si originano nelle cellule pacemaker.
 I potenziali d’azione si diffondono da una cellula all’altra attraverso le giunzioni
comunicanti, in modo che l’intera rete di cellule si contragga come un tutt’uno.
SOMMARIO Cap. 13 – Il sistema cardiocircolatorio: funzione cardiaca
RIASSUNTO
13.1 Visione d'insieme del sistema cardiocircolatorio, p. 360
 Il sistema cardiocircolatorio comprende il cuore, il sangue e i vasi sanguigni.
 Il cuore è un organo muscolare dotato di quattro cavità: gli atri destro e sinistro, che
ricevono il sangue che ritorna al cuore dai vasi, e i ventricoli destro e sinistro, che pompano
il sangue nei vasi.
 I vasi sanguigni (arterie, arteriole, capillari, venule e vene) hanno la funzione di far circolare
il sangue.
 Il sangue è costituito da una parte liquida (plasma) in cui sono sospese altre componenti
(eritrociti, leucociti e piastrine).
 Il sangue ha la funzione di veicolare ossigeno e nutrienti alle cellule del corpo e di
rimuovere l'anidride carbonica e i prodotti di scarto.
13.2 Circolazione del sangue nel cuore e nei vasi, p. 362
 Il sistema vascolare si divide in un circolo polmonare, che porta il sangue ai polmoni, e un
circolo sistemico, che porta il sangue a tutti gli organi e i tessuti.
 Nel circolo polmonare il sangue viene ossigenato e cede anidride carbonica; nel circolo
sistemico cede ossigeno e si carica di anidride carbonica.
 Il sangue deossigenato viene pompato dal ventricolo destro e, attraverso la valvola
semilunare polmonare, passa nel tronco polmonare, che si suddivide nelle arterie
polmonari di destra e di sinistra, dirigendosi ai polmoni.
 Le vene polmonari trasportano il sangue dai polmoni all'atrio sinistro. Da qui, il sangue
passa nel ventricolo sinistro attraverso la valvola bicuspide.
 Il ventricolo sinistro pompa il sangue nell'aorta che attraverso il circolo sistemico lo
trasporta fino agli organi e ai tessuti.
 Il sangue ritorna nell'atrio destro mediante le vene cave. Da qui il sangue passa nel
ventricolo destro.
 Il flusso nel cuore destro e nel cuore sinistro viaggia in serie, mentre è in parallelo nella
circolazione sistemica, dove arterie differenti portano sangue ai vari organi.
 Inoltre, la ramificazione dei vasi sanguigni assicura che in tutti i letti capillari vi sia un giusto
apporto di sangue.
13.3 Anatomia del cuore, p. 365
 Il cuore è situato nella cavità toracica ed è circondato dal sacco pericardico.
 La parete del cuore è costituita da epicardio, miocardio, la parte più cospicua, ed
endocardio.
 Il flusso del sangue è unidirezionale grazie alla funzione delle valvole cardiache. Il sangue
passa dagli atri ai ventricoli attraverso le valvole atrioventricolari e dai ventricoli nelle
arterie attraverso le valvole semilunari (dal ventricolo sinistro nell'aorta e dal ventricolo
destro nel tronco polmonare).
13.4 L'attività elettrica del cuore, p. 367
 Fibre del muscolo cardiaco specializzate nel generare potenziali d'azione e condurli
rapidamente attraverso il miocardio, costituiscono il sistema di conduzione.
 Il cuore si contrae, in maniera ritmica e regolare, in risposta ai potenziali d'azione che
originano nelle cellule pacemaker distribuite in regioni specifiche del miocardio.
 Generalmente, la frequenza cardiaca è determinata dalle cellule pacemaker del nodo
senoatriale (SA), localizzate nella parte superiore dell'atrio destro.
 Dopo ciascun potenziale d'azione, le cellule pacemaker mostrano una depolarizzazione
lenta e spontanea (potenziale pacemaker) che depolarizza la membrana fino al valore
soglia, innescando così un nuovo potenziale d'azione.
 Nella maggior parte delle cellule contrattili cardiache, i potenziali d'azione sono
caratterizzati da un'ampia fase di plateau, sostenuta dall'aumento della permeabilità della
membrana al calcio; il flusso del calcio nella cellula è importante per attivare le contrazioni
del muscolo cardiaco.
 L'attività elettrica del cuore può essere registrata mediante elettrodi posizionati sulla
superficie cutanea, che permettono di rilevare l'elettrocardiogramma (ECG), che consiste di
tre fasi: un'onda P, che corrisponde alla depolarizzazione atriale; un complesso QRS, che
corrisponde alla depolarizzazione ventricolare; un'onda T, che corrisponde alla
ripolarizzazione ventricolare.
13.5 Il ciclo cardiaco, p. 377
 Il ciclo cardiaco è diviso in due distinte fasi: diastole (rilasciamento ventricolare), durante la
quale avviene il riempimento ventricolare, e sistole (contrazione ventricolare), durante la
quale il sangue esce dai ventricoli (eiezione).
 La pressione aortica varia durante il ciclo cardiaco, raggiungendo un massimo (pressione
sistolica, SP) durante la sistole ed un minimo (pressione diastolica, DP) durante la diastole.
 La pressione media misurata durante il ciclo cardiaco rappresenta la forza di spinta
impressa al sangue nel circolo sistemico e rappresenta la pressione arteriosa media (MAP).
 Il volume ventricolare raggiunge un minimo alla fine della sistole (volume telesistolico, ESV),
e un massimo alla fine della diastole (volume telediastolico, EDV).
 La differenza fra questi due volumi rappresenta il volume di eiezione ventricolare (SV), che
corrisponde al volume di sangue che ciascun ventricolo pompa in un battito cardiaco.
 La curva pressione-volume fornisce informazioni sulla qualità di funzionamento del cuore.
13.6 Gittata cardiaca e suo controllo, p. 382
 Il volume di sangue pompato da ciascun ventricolo ogni minuto è la gittata cardiaca che
dipende dalla frequenza cardiaca (HR) e dal volume di eiezione ventricolare (SV): CO = HR ×
SV.
 Il cuore è regolato dall'attività dei neuroni simpatici e parasimpatici e da ormoni (controllo
estrinseco), come anche da fattori che operano interamente all'interno del cuore (controllo
intrinseco).
 La frequenza cardiaca, determinata dalla frequenza di scarica del nodo SA, è
completamente sotto il controllo estrinseco.
 Il volume di eiezione ventricolare è sotto il controllo estrinseco e intrinseco ed è influenzato
principalmente da tre fattori: la contrattilità ventricolare, il volume telediastolico e il
postcarico.
 L'influenza del volume telediastolico sul volume di eiezione ventricolare è alla base della
legge del cuore di Starling, un esempio di controllo intrinseco della funzione cardiaca.
 Il volume telediastolico è principalmente determinato dalla pressione telediastolica
(precarico).
SOMMARIO Cap. 14 – Il sistema cardiocircolatorio: vasi sanguigni, flusso
ematico e pressione del sangue
RIASSUNTO
14.1 Leggi fisiche che regolano il flusso e la pressione del sangue, p. 395
 Il flusso di sangue attraverso ciascun vaso della rete circolatoria dipende dal gradiente di
pressione (ΔP) e dalla resistenza vascolare (R): flusso = ΔP/R.
 Il gradiente pressorio che guida il flusso attraverso il circolo sistemico è la differenza tra la
pressione arteriosa media (MAP, Mean Arterial Pressure) e la pressione venosa centrale
(CVP, Central Venous Pressure) ed è virtualmente identico alla pressione arteriosa media.
 Il fattore più importante che influenza la resistenza è il diametro dei vasi.
 La resistenza combinata di tutti i vasi del circolo sistemico costituisce la resistenza periferica
totale (TPR, Total Peripheral Resistance).
 Tenendo conto della gittata cardiaca (CO, Cardiac Output), il flusso può essere espresso
dalla relazione CO = MAP/TPR.
14.2 Panoramica dei vasi sanguigni, p. 398
 Tutti i vasi sanguigni presentano un lume rivestito da uno strato di cellule endoteliali.
 Le loro pareti contengono quantità variabili di muscolatura liscia e tessuto connettivo, che
ne determinano le proprietà funzionali.
14.3 Arterie, p. 399
 Le arterie che portano il sangue dal cuore verso i tessuti hanno pareti spesse e sono perciò
capaci di opporre resistenza alle alte pressioni del sangue. La loro compliance è bassa.
 Le loro pareti sono ricche di fibre elastiche e ciò spiega la loro capacità di espandersi
durante la sistole e di retrarsi durante la diastole.
 Per via del loro ritorno elastico, funzionano come un serbatoio di pressione, che mantiene il
flusso sanguigno durante tutto il ciclo cardiaco.
 La pressione arteriosa varia durante il ciclo cardiaco. La pressione sistolica è la pressione
massima che si registra durante la sistole mentre quella diastolica è la pressione minima
che si registra durante la diastole.
 La pressione arteriosa media è la pressione media che si verifica durante un ciclo cardiaco.
14.4 Arteriole, p. 402
 Le arterie permettono al sangue di entrare dei capillari. Le loro pareti sono caratterizzate da
una quantità di muscolatura liscia relativamente elevata, che le rende capaci di contrarsi e
dilatarsi per regolare il flusso attraverso il letto capillare.
 Le arteriole sono importanti nel controllo della pressione arteriosa media e nella
distribuzione della gittata cardiaca ai vari tessuti.
 La regolazione della distribuzione del flusso verso i vari organi viene effettuata tramite il
controllo intrinseco della resistenza vasale nei vari organi.
 Il flusso è determinato sempre dalla resistenza vascolare e dalla pressione arteriosa media,
secondo la relazione MAP/resistenza.
 Cambiamenti chimici associati ad un aumentato metabolismo determinano
vasodilatazione, diminuzione della resistenza e aumento della quantità di sangue che
giunge all'organo o al tessuto (iperemia attiva).
 La resistenza allo scorrimento del sangue in un organo può anche cambiare in risposta alle
variazioni locali del flusso stesso.
 Se la quantità di sangue che giunge in un organo non è più sufficiente per soddisfare le
richieste metaboliche (ischemia), entrano in gioco dei meccanismi locali che provocano
vasodilatazione e ne risulta un aumento del flusso (iperemia reattiva).
 La muscolatura liscia vascolare può rispondere allo stiramento; pertanto, se la pressione di
perfusione nelle arteriole aumenta, si verifica vasocostrizione e, di conseguenza, il flusso si
riduce. Questa risposta è definita miogenica.
 Il controllo estrinseco del diametro arteriolare (quindi della resistenza periferica totale)
regola la pressione arteriosa media, secondo la relazione MAP = CO × TPR.
 I fattori estrinseci che concorrono a questo controllo sono rappresentati dal sistema
nervoso autonomo e dagli ormoni adrenalina, vasopressina e angiotensina II.
14.5 Capillari e venule, p. 409
 I capillari sono i vasi dotati delle pareti più sottili e sono altamente permeabili all'acqua e ai
piccoli soluti.
 La loro funzione principale è quella di permettere lo scambio dei materiali tra il sangue e i
tessuti: sono classificati in continui, fenestrati e discontinui a seconda della loro capacità di
far passare sostanze.
 Il passaggio di liquido attraverso le pareti dei capillari dipende dalla pressione netta di
filtrazione, la quale è il risultato dell'azione delle forze di Starling (pressione idrostatica
capillare, pressione idrostatica del liquido interstiziale, pressione osmotica capillare,
pressione osmotica del liquido interstiziale).
 La maggior parte del liquido che viene filtrato dai capillari viene riassorbita per tornare al
sistema cardiovascolare.
 Il liquido filtrato in eccesso ritorna al sistema cardiovascolare tramite il sistema linfatico.
 Anche le venule hanno pareti sottili e partecipano allo scambio di sostanze tra sangue e
interstizio.
14.6 Vene, p. 416
 Sono dei vasi alquanto ampi, con la parete sottile.
 La maggior parte delle vene è dotata di valvole che consentono al sangue di arrivare al
cuore, ma non di refluire verso la periferia.
 Le vene hanno un'alta compliance e funzionano da serbatoi di volume.
 La pressione venosa influenza la pressione arteriosa in quanto può influenzare il ritorno
venoso, il volume telediastolico, il volume di eiezione e la gittata cardiaca.
 Ad influenzare la pressione venosa centrale vi sono fattori quali la pompa muscolare e
respiratoria, il volume del sangue e il tono venomotorio (il quale viene regolato dalle fibre
simpatiche che innervano le vene).
14.7 Sistema linfatico, p. 419
 È costituito da un sistema aperto di vasi che hanno origine da capillari periferici.
 I capillari drenano l'eccesso di liquido filtrato nei tessuti, formando così la linfa.
 Questo liquido viaggia attraverso le vene linfatiche fino al dotto toracico, che convoglia la
linfa nel sangue dell'atrio destro.
14.8 Pressione arteriosa media e sua regolazione, p. 419
 Perché gli organi e i tessuti ricevano un adeguato apporto di sangue, è necessario che
venga mantenuta la pressione arteriosa media.
 Questa viene controllata da meccanismi regolatori sia a breve termine che a lungo termine.
 Mentre i primi chiamano in causa il sistema nervoso e taluni ormoni, i secondi richiedono il
controllo del volume del sangue attuato dal rene.
 È il riflesso barocettivo ad essere principalmente responsabile della regolazione a breve
termine. Questo riflesso rappresenta un sistema di controllo a feedback negativo nel quale i
barocettori, dopo aver rilevato le variazioni della pressione arteriosa media, inviano
informazioni al centro di regolazione cardiovascolare, il quale, a sua volta, agendo
attraverso fibre del sistema nervoso autonomo, apporta le necessarie variazioni alle
funzioni cardiovascolari.
 Il controllo autonomo della pressione arteriosa media viene attuato tramite: (1) influenze
simpatiche e parasimpatiche al nodo SA, il quale controlla la frequenza cardiaca; (2)
influenze simpatiche al miocardio, che modulano la contrattilità e il volume di eiezione; (3)
influenze simpatiche alla muscolatura liscia arteriolare di gran parte dei tessuti, che
regolano la resistenza periferica totale.
14.9 Altri sistemi di regolazione cardiovascolare, p. 426
 L'apparato cardiovascolare viene controllato dai chemocettori, i quali rilevano le variazioni
delle concentrazioni nel sangue arterioso di ossigeno e di anidride carbonica.
 Un altro esempio di regolazione si ha nella termoregolazione, dove l'innervazione simpatica
dei vasi cutanei è importante per regolare il flusso cutaneo a seconda della necessità di
disperdere o trattenere calore.
 Nell'esercizio fisico si verificano risposte del cuore e dei vasi attraverso variazioni
dell'attività delle fibre del sistema nervoso autonomo ad essi dirette, che vengono stabilite
da aree corticali e dal sistema limbico.
 Infine, il flusso attraverso il miocardio e il muscolo scheletrico può essere regolato anche da
fattori tissutali locali.
SOMMARIO Cap. 15 – Il sistema cardiovascolare: sangue
RIASSUNTO
15.1 Panoramica della composizione del sangue: l'ematocrito, p. 433
 La determinazione dell'ematocrito viene effettuata centrifugando in una provetta il sangue
reso incoagulabile in maniera da separare il plasma da eritrociti, leucociti e piastrine.
 L'ematocrito esprime la percentuale del volume del sangue costituita da eritrociti, valore
pari a circa il 42-45%.
 Il plasma occupa circa il 55% del volume ematico.
 I leucociti e le piastrine, nel complesso, costituiscono meno dell’1% del volume ematico
totale.
15.2 Plasma, p. 434
 Il plasma costituisce la parte liquida del sangue e contiene acqua e sostanze disciolte, come
proteine ed elettroliti.
 Il plasma è importante per il trasporto di ormoni, sostanze nutritive, cataboliti, proteine
della coagulazione e proteine che svolgono funzioni di difesa.
15.3 Eritrociti, p. 434
 Gli eritrociti sono piccoli e privi di nucleo e organuli citoplasmatici.
 La loro funzione è quella di trasportare ossigeno e anidride carbonica, consentendone così
lo scambio a livello polmonare e tissutale.
 Nel loro interno si trovano emoglobina, una proteina che lega e trasporta sia ossigeno che
anidride carbonica, e anidrasi carbonica, un'enzima che converte l'anidride carbonica in ioni
bicarbonato e ioni idrogeno.
 La loro sede di produzione è il midollo osseo, sotto l'azione dell'eritropoietina secreta dal
rene. L'eritropoiesi richiede ferro, che è un costituente essenziale dell'emoglobina.
 Gli eritrociti restano in circolo per circa 120 giorni e successivamente vengono rimossi e
degradati principalmente dalla milza.
 Quando l'emoglobina viene catabolizzata, il ferro che si libera viene riutilizzato nella sintesi
di nuova emoglobina.
 La diminuzione della capacità di trasporto dell'ossigeno da parte degli eritrociti causa
l'anemia. Questa può essere dovuta sia ad una diminuzione della quantità di emoglobina
per eritrocita che ad un abbassamento del numero di eritrociti circolanti.
15.4 Leucociti, p. 438
 Noti anche come globuli bianchi, i leucociti sono più grandi degli eritrociti, ma meno
numerosi.
 Le loro funzioni rientrano nei compiti del sistema immunitario, costituendo una difesa
contro l'aggressione di agenti estranei.
 Nel sangue sono presenti cinque tipi di leucociti: neutrofili, eosinofili, basofili, monociti e
linfociti.
 Si possono eseguire due tipi di test per analizzare i leucociti circolanti nel sangue: la conta
totale (che dà il numero totale di leucociti nell'unità di volume di sangue) e la conta
differenziale, o formula leucocitaria (che dà la percentuale di ciascuna classe di leucociti).
 Anche se si trovano nel sangue, i leucociti possono migrare nei tessuti, dove agiscono come
agenti di difesa. Nei tessuti, i monociti si trasformano in macrofagi.
 I neutrofili, i monociti e i macrofagi (e in misura minore anche gli eosinofili) possiedono
capacità fagocitaria, sono cioè in grado di inglobare particelle estranee o altri detriti per
allontanarli dall'organismo.
 I macrofagi possono differenziarsi in cellule dendritiche.
15.5 Piastrine ed emostasi, p. 441
 I meccanismi che arrestano il sanguinamento (emostasi) comprendono lo spasmo vascolare
(costrizione dei vasi ematici), la formazione del tappo piastrinico e la formazione del
coagulo, che si manifestano sequenzialmente in risposta ad un danno vascolare.
 Nella formazione del tappo piastrinico, le piastrine si aggregano attorno al sito danneggiato,
formando una barriera fisica che ostacola l'uscita del sangue. Durante questo processo, le
piastrine vengono anche attivate per preparare la fase della formazione del coagulo.
 Nella formazione del coagulo, il fibrinogeno (una proteina plasmatica solubile) è
trasformato mediante proteolisi in fibrina, che forma una rete attorno al tappo piastrinico.
Questa trasformazione avvia una serie di reazioni a cascata (la cascata della coagulazione).
 La cascata della coagulazione può essere iniziata mediante la via intrinseca, che richiede
solo componenti presenti nel plasma, o la via estrinseca, che coinvolge fattori presenti nei
tessuti al di fuori dei vasi sanguigni. La diffusione del coagulo oltre la sede del danno viene
impedita mediante sostanze rilasciate dal tessuto non danneggiato e da altri meccanismi.
15.6 Diabete e malattie cardiovascolari, p. 445
 Le malattie cardiovascolari - che includono coronaropatie, ipetertensione, ictus e
insufficienza cardiaca - affliggono oltre 80 milioni di americani, con netta maggiore
incidenza di ipertensione rispetto alle altre condizioni.
 Le malattie cardiovascolari sono due volte più frequenti nei diabetici rispetto ai non
diabetici, e tendono a colpire soggetti che manifestano diabete in età giovanile.
 Nel diabete si ha un aumento del colesterolo ematico, predisponendo all'insorgenza
dell'aterosclerosi, (nota anche come irrigidimento delle arterie). A sua volta, l'aterosclerosi
può causare infarto, ictus e altre gravi conseguenze.
 La diminuzione del flusso sanguigno che di solito è associata al diabete può portare a gravi
conseguenze nel piede fino a richiederne l'amputazione, e a malattia renale terminale, la
quale deve essere trattata sistematicamente con la dialisi, per poter assicurare ancora la
vita del paziente.
SOMMARIO Cap. 16 – Il sistema respiratorio: ventilazione polmonare
RIASSUNTO
16.1 Breve sintesi della funzione respiratoria, p. 449
 La respirazione è il processo che consente gli scambi gassosi e include la respirazione
interna ed esterna.
 I quattro processi della respirazione esterna sono (1) la ventilazione polmonare, (2) lo
scambio di ossigeno e di anidride carbonica tra gli spazi aerei polmonari e il sangue, (3) il
trasporto di ossigeno e anidride carbonica nel sangue, e (4) lo scambio di ossigeno e
anidride carbonica tra il sangue e i tessuti.
 Tra le funzioni del sistema respiratorio vi sono il rifornimento di ossigeno ai tessuti e
l'eliminazione di anidride carbonica, il mantenimento dell'equilibrio acido-base nel sangue,
la fonazione e la protezione contro i fattori patogeni e irritanti che si trovano nell'aria.
16.2 Anatomia del sistema respiratorio, p. 449
 I polmoni sono i principali organi del sistema respiratorio; il polmone destro è suddiviso in
tre lobi e il polmone sinistro in due lobi.
 Le vie aeree superiori includono la cavità nasale, la cavità orale e la faringe.
 Dopo la faringe, che costituisce una via di passaggio comune per l'aria e per il cibo, le vie
per il passaggio del cibo e dell'aria divergono.
 Il tratto respiratorio forma la via per l'aria e può essere diviso funzionalmente in due
componenti: la zona di conduzione e la zona respiratoria.
 La zona di conduzione (laringe, trachea, bronchi e bronchioli) permette il passaggio dell'aria
dalla faringe ai polmoni; è ricoperta da un epitelio che contiene le cellule caliciformi e le
cellule ciliate.
 La zona respiratoria (bronchioli respiratori, dotti alveolari, alveoli e sacchi alveolari) è la
sede degli scambi di gas nei polmoni; gli alveoli costituiscono la sede principale di scambio.
 La parete di un alveolo contiene cellule di tipo I e di tipo II (pneumociti di I tipo e di II tipo).
 Le cellule di tipo I e le cellule endoteliali dei capillari formano la membrana respiratoria
attraverso cui ha luogo lo scambio gassoso. Le cellule di tipo II secernono la sostanza
tensioattiva polmonare.
 Negli alveoli si trovano anche i macrofagi alveolari.
 La parete toracica è formata dalla gabbia toracica, dallo sterno, dalle vertebre toraciche, dai
muscoli e dal tessuto connettivo associati.
 I muscoli della parete toracica includono i muscoli intercostali interni ed esterni e il
diaframma.
 Le pleure sono membrane che ricoprono la parete toracica e i polmoni, formando il sacco
pleurico attorno a ciascun polmone.
 Lo spazio tra le due membrane, chiamato spazio intrapleurico, è riempito da un sottile
strato di liquido intrapleurico.
16.3 Forze che intervengono nella ventilazione polmonare, p. 457
 La pressione atmosferica è la pressione dell'aria all'esterno dell'organismo. È sempre
negativa durante la respirazione tranquilla, ed è sempre inferiore a quella intraalveolare.
 La pressione intraalveolare è la pressione dell'aria negli alveoli.
 La pressione intrapleurica è la pressione del liquido intrapleurico. È sempre negativa
durante la respirazione tranquilla ed è sempre inferiore a quella intraalveolare.
 In posizione di riposo, tra due respiri, l'elasticità dei polmoni e della parete toracica
permette ai polmoni di ritrarsi e alla parete toracica di espandersi. Queste forze opposte
tendono a far separare la parete toracica dai polmoni, creando una pressione intrapleurica
negativa.
 La pressione transpolmonare è la differenza tra la pressione intraalveolare e la pressione
intrapleurica.
 L'inspirazione e l'espirazione sono guidate dalla differenza tra la pressione atmosferica e
quella alveolare.
 Questi gradienti di pressione si instaurano quando il volume polmonare si modifica.
L'inspirazione viene determinata dalla contrazione del diaframma e dei muscoli intercostali
esterni; quando questi muscoli si contraggono, il volume della cavità toracica aumenta.
 All'espandersi della cavità toracica, la pressione intrapleurica diminuisce, dando luogo ad
una forza che espande i polmoni.
 La pressione intraalveolare scende a valori più bassi di quella atmosferica e si verifica quindi
l'inspirazione.
 Durante la respirazione a riposo, l'espirazione si ha quando la parete toracica e i polmoni
ritornano passivamente nella loro posizione iniziale.
 L'espirazione attiva coinvolge la contrazione dei muscoli intercostali interni e di quelli
addominali.
16.4 Fattori che influenzano la ventilazione polmonare, p. 461
 La velocità del flusso d'aria dentro e fuori dai polmoni è determinata dall'entità del
gradiente pressorio all'origine del flusso e dalla resistenza delle vie respiratorie.
 I polmoni hanno un'alta compliance; ossia, essi possono essere facilmente stirati
all'aumentare del volume polmonare durante l'inspirazione.
 La resistenza delle vie respiratorie dipende principalmente dal raggio dei condotti del tratto
respiratorio.
 La resistenza delle vie respiratorie è generalmente bassa, ma può essere influenzata dai
meccanismi respiratori, dal sistema nervoso autonomo, da fattori chimici e da stati
patologici.
16.5 Il significato clinico dei volumi respiratori e dei flussi d'aria, p. 465
 I volumi e le capacità polmonari possono essere misurati utilizzando lo spirometro.
 I volumi polmonari includono il volume corrente, il volume di riserva inspiratoria, il volume
di riserva espiratoria e il volume residuo.
 Le capacità polmonari includono la capacità inspiratoria, la capacità vitale, la capacità
funzionale residua e la capacità polmonare totale.
 Altre misure polmonari prendono in considerazione la velocità del flusso d'aria.
 La capacità vitale forzata è la quantità di aria che un individuo può emettere in seguito ad
un'inspirazione massimale, espirando il più velocemente e con la maggior forza possibile.
 Il volume espiratorio forzato è la misura della percentuale di capacità vitale forzata che può
essere espirata in un certo periodo di tempo.
 La ventilazione al minuto è la quantità totale di aria che fluisce dentro e fuori dal sistema
respiratorio in un minuto.
 La ventilazione alveolare al minuto è una misura del volume di aria fresca che raggiunge gli
alveoli ogni minuto e corrisponde alla differenza tra la ventilazione al minuto e il volume
dello spazio morto.
 Per aumentare la ventilazione alveolare al minuto è più efficace aumentare il volume
corrente piuttosto che la frequenza respiratoria.
 Il livello massimo che una persona può espirare è chiamato picco di flusso espiratorio (Peak
expiratory flow rate, PEFR), che varia in base all'età e al sesso.
SOMMARIO Cap. 16 – Il sistema respiratorio: ventilazione polmonare
RIASSUNTO
17.1 Panoramica della circolazione polmonare, p. 474
 Le concentrazioni di ossigeno e di anidride carbonica nel sangue arterioso sistemico sono
mantenute a livelli relativamente costanti, in quanto l'ossigeno si muove dall'aria alveolare
al sangue alla stessa velocità con cui viene consumato dai tessuti, e l'anidride carbonica si
muove dal sangue all'aria alveolare alla stessa velocità con cui viene prodotta.
 Il rapporto tra la quantità di anidride carbonica prodotta dall'organismo e la quantità di
ossigeno consumata viene chiamato quoziente respiratorio.
 La parte destra del cuore pompa sangue deossigenato ai capillari polmonari. L'ossigeno
diffonde dagli alveoli al sangue e l'anidride carbonica dal sangue agli alveoli.
 La membrana respiratoria fornisce un'ampia superficie e uno spessore esiguo, permettendo
quindi una velocità di diffusione estremamente rapida.
 Il sangue ossigenato ritorna alla parte sinistra del cuore, dove viene pompato ai capillari
sistemici dei tessuti dell'organismo.
 L'ossigeno diffonde dal sangue ai tessuti e l'anidride carbonica dai tessuti al sangue.
 Il sangue deossigenato ritorna alla parte destra del cuore.
17.2 La diffusione dei gas, p. 476
 Le pressioni dei singoli gas in una miscela sono chiamate pressioni parziali e sono
determinate dalla concentrazione frazionaria di quel gas che corrisponde al rapporto tra la
quantità di quel gas e la quantità totale di gas nella miscela.
 I gas possono disciogliersi nei liquidi più o meno facilmente a seconda della loro solubilità e
pressione parziale.
 Maggiori sono la solubilità e la pressione parziale, maggiore è la quantità di gas che si
discioglie nel liquido.
 L'ossigeno e l'anidride carbonica sono poco solubili nell'acqua, anche se l'anidride
carbonica è circa 20 volte più solubile dell'ossigeno.
17.3 Gli scambi di ossigeno e anidride carbonica, p. 478
 Lo scambio dei gas si attua per diffusione in base ai gradienti di pressione parziale.
 Nei polmoni l'ossigeno diffonde dagli alveoli al sangue e l'anidride carbonica dal sangue agli
alveoli.
 Nei tessuti l'ossigeno diffonde dal sangue ai tessuti e l'anidride carbonica dai tessuti al
sangue.
 Le quantità di ossigeno e di anidride carbonica che diffondono attraverso un particolare
capillare sistemico dipendono dall'attività del tessuto; tessuti più attivi causano maggiori
gradienti di pressione parziale e di conseguenza una maggiore velocità di diffusione.
 La PO2 e la PcO2 alveolari sono determinate da: (1) la e la PO2 e la PcO2 dell'aria inspirata, (2) la
ventilazione alveolare e (3) la velocità di consumo di ossigeno e di produzione di anidride
carbonica nei tessuti.
 A loro volta, la PO2 e la PcO2 alveolari determinano la e la PO2 e la PcO2 arteriose.
 Normalmente, la ventilazione alveolare è regolata in base al consumo di ossigeno e
produzione di anidride carbonica.
 Se si intensifica l'attività metabolica, la ventilazione alveolare aumenta per rispondere alle
richieste dei tessuti, una condizione chiamata iperpnea.
17.4 Il trasporto dei gas nel sangue, p. 481
 L'ossigeno è trasportato nel sangue in due modi: disciolto nel sangue (1,5%) e legato
all'emoglobina (98,5%).
 La relazione tra La PO2 e quantità di ossigeno legato all'emoglobina è descritta dalla curva di
dissociazione dell'ossiemoglobina.
 Molteplici fattori influenzano il legame dell'ossigeno con l'emoglobina: la temperatura, il
pH, la PcO2, il 2,3-DPG, il monossido di carbonio e la PO2..
 L'effetto Bohr è la diminuzione dell'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno, che interviene
quando gli ioni idrogeno si legano all'emoglobina.
 L'effetto carbamminico è la diminuzione dell'affinità dell'emoglobina per l'ossigeno, che
interviene quando l'anidride carbonica si lega all'emoglobina.
 L'effetto Haldane è la diminuzione dell'affinità dell'emoglobina per gli ioni idrogeno e
l'anidride carbonica, che interviene quando l'ossigeno si lega all'emoglobina.
 L'anidride carbonica è trasportata nel sangue in tre modi: disciolta nel sangue come tale (5-
6%), legata all'emoglobina (5-8%) e disciolta nel sangue sotto forma di ioni bicarbonato (86-
90%).
 La conversione dell'anidride carbonica in bicarbonato ha un ruolo significativo nel
mantenimento dell'equilibrio acido-base nel sangue e il bicarbonato costituisce la forma
principale con la quale l'anidride carbonica è trasportata dai tessuti ai polmoni.
 L'anidrasi carbonica, un enzima che si trova negli eritrociti, catalizza la reazione reversibile
che converte l'anidride carbonica e l'acqua in acido carbonico che a sua volta si dissocia in
ioni idrogeno e bicarbonato.
 Il contemporaneo spostamento di ioni cloruro all'interno degli eritrociti e di ioni
bicarbonato nel plasma è chiamato scambio dei cloruri.
17.5 La regolazione centrale della ventilazione, p. 489
 La respirazione è un processo ritmico generato dall'eccitazione nervosa ciclica dei muscoli
respiratori.
 La generazione del ritmo respiratorio richiede l'azione dei centri respiratori del tronco
encefalico.
 Il centro respiratorio bulbare include il gruppo respiratorio dorsale e il gruppo respiratorio
ventrale.
 I neuroni inspiratori di queste regioni attivano i motoneuroni che innervano i muscoli
respiratori, determinando l'inspirazione.
 Il gruppo respiratorio pontino (chiamato originariamente centro pneumotassico) potrebbe
essere coinvolto nel passaggio tra l'inspirazione e l'espirazione. Anche centri encefalici
superiori possono influenzare la respirazione.
 Molteplici stimoli influenzano la ventilazione, inclusi i cambiamenti arteriosi della P O2 e della
PcO2 lo stiramento dei polmoni, le particelle irritanti nelle vie respiratorie, i propriocettori, i
barocettori arteriosi, i nocicettori, i termocettori, le emozioni e il controllo volontario.
17.6 Il controllo della ventilazione da parte dei chemocettori, p. 492
 I chemocettori periferici e centrali individuano cambiamenti della P O2, della Pco2 e del pH
del sangue arterioso.
 La Pco2 è lo stimolo principale per l'attivazione dei chemocettori centrali, ma i suoi effetti
sono sempre indiretti: la CO2 deve essere prima convertita in ioni idrogeno (e bicarbonato).
 I chemocettori periferici localizzati nei glomi carotidei rispondono direttamente alle
modificazioni del pH e della Pco2 e alla diminuzione della Pco2 sotto il valore di 60 mmHg.
 I chemocettori centrali si trovano nel bulbo e rispondono alle modificazioni del pH del
liquido cerebrospinale.
17.7 La regolazione locale della ventilazione e della perfusione, p. 495
 Il rapporto tra il flusso d'aria agli alveoli e il flusso di sangue ai capillari alveolari è chiamato
rapporto ventilazione-perfusione.
 Nei polmoni normali, il flusso di sangue e la ventilazione sono regolati in modo tale che il
rapporto ventilazione-perfusione sia circa 1.
 Se la ventilazione di un particolare alveolo diminuisce, la perfusione diminuisce in seguito a
vasocostrizione, per mantenere un rapporto ventilazione-perfusione unitario.
 In modo simile, se la perfusione di un particolare alveolo diminuisce, allora il flusso d'aria è
diminuito dalla broncocostrizione.
17.8 Il sistema respiratorio nell'omeostasi acido-base, p. 496
 Il pH del sangue è strettamente mantenuto ad un valore compreso tra 7,38 e 7,42 per poter
preservare la funzione normale delle proteine necessarie all'omeostasi.
 L'acidosi è una diminuzione del pH ad un valore pari o inferiore a 7,35, mentre l'alcalosi è
un aumento del pH ad un valore pari o superiore a 7,45. I sistemi respiratorio e urinario
lavorano assieme per mantenere il pH del sangue normale e quindi regolare l'equilibrio
acido-base.
 Il contributo principale del sistema respiratorio all'equilibrio acido-base è la regolazione
della Pco2 arteriosa.
 L'anidride carbonica può essere convertita in acido carbonico; una tale modificazione può
causare sia acidosi respiratoria che alcalosi respiratoria.
 Il sistema respiratorio lavora assieme ai reni per mantenere un rapporto tra bicarbonato e
anidride carbonica di 20 : 1.
SOMMARIO Cap. 18 – Il sistema urinario: la funzione renale
RIASSUNTO
18.1 Funzioni del sistema urinario, p. 504
 La funzione principale dei reni è quella di filtrare il sangue allo scopo di regolare la
composizione ionica, l'osmolarità, il volume e il pH del plasma.
 Inoltre i reni rimuovono i prodotti metabolici di scarto e le sostanze estranee dal plasma e
formano le urine.
18.2 Anatomia del sistema urinario, p. 505
 Il sistema urinario è formato dai reni (due), dagli ureteri (due), dalla vescica e dall'uretra.
 Le unità funzionali del rene sono i nefroni, formati dalla capsula di Bowman, dal tubulo
prossimale, dal tratto discendente dell'ansa di Henle, dal tratto ascendente dell'ansa di
Henle e dal tubulo distale.
 Il tubulo distale riversa il suo contenuto nel dotto collettore.
 Il processo di filtrazione avviene nel corpuscolo renale, che comprende la capsula di
Bowman e il glomerulo.
 La composizione del filtrato glomerulare assomiglia a quella del plasma, eccetto che nel
primo mancano le proteine.
 Durante il suo percorso lungo il nefrone, il filtrato glomerulare si riduce di volume e la sua
composizione si modifica in seguito ai processi di riassorbimento e di secrezione dell'acqua
e dei soluti.
 Le sostanze riassorbite si muovono dal liquido tubulare, presente nel lume del tubulo, al
liquido peritubulare che circonda esternamente il tubulo, e successivamente nuovamente
nel plasma dei capillari peritubulari posti attorno al tubulo.
 Il processo di secrezione fa sì che le sostanze si muovano dal plasma verso il filtrato.
 I reni ricevono una grande percentuale della gittata cardiaca attraverso l'arteria renale.
 Il sangue raggiunge ogni glomerulo attraverso un'arteriola afferente e lascia il glomerulo
mediante una arteriola efferente.
 L'arteriola efferente si suddivide a formare i capillari peritubulari e i vasa recta, da dove il
sangue, attraverso il sistema venoso renale, raggiunge la vena renale.
 L'apparato juxtaglomerulare, formato dalle cellule della macula densa nel tubulo distale e
dalle cellule granulari poste nelle pareti delle arteriole afferenti ed efferenti, è importante
per la regolazione della filtrazione glomerulare e per il riassorbimento di sodio e di acqua.
18.3 Processi fondamentali di scambio renale, p. 508
 La filtrazione glomerulare è governata dalle quattro forze di Starling che contribuiscono alla
pressione di filtrazione glomerulare: la pressione idrostatica nei capillari glomerulari, la
pressione idrostatica nella capsula di Bowman, la pressione osmotica (oncotica) del plasma
nei capillari glomerulari e la pressione osmotica (oncotica) del liquido presente nella
capsula di Bowman.
 La pressione di filtrazione glomerulare e la presenza di fenestrature nei capillari glomerulari
e di pori nell'epitelio della capsula di Bowman favoriscono il flusso di liquido, libero da
proteine, dal sangue al lume della capsula di Bowman.
 La velocità di filtrazione glomerulare normale è approssimativamente 125 mL/min.
 La frazione di filtrazione è la percentuale del plasma renale che viene filtrata ed è in media
circa il 20%.
 Il carico filtrato è la quantità di un determinato soluto che viene filtrato dai glomeruli.
 Nel caso di un soluto liberamente filtrato, il carico filtrato equivale al prodotto della VFG per
la concentrazione plasmatica del soluto.
 Tre meccanismi di controllo intrinseci mantengono costante la velocità di filtrazione
glomerulare: la regolazione miogenica della muscolatura liscia dell'arteriola afferente, il
feedback tubuloglomerulare e la contrazione delle cellule del mesangio.
 Il controllo estrinseco della VFG si realizza attraverso l'azione del sistema nervoso simpatico
sulla muscolatura liscia dell'arteriola afferente ed efferente.
 Il trasporto massimo avviene quando la concentrazione di un soluto è abbastanza elevata
da determinare la saturazione delle proteine carrier durante il trasporto del soluto stesso.
 La concentrazione plasmatica in corrispondenza della quale il soluto inizia ad apparire nelle
urine viene definita soglia renale.
18.4 Proprietà distrettuali dei tubuli renali, p. 519
 Il tubulo prossimale è specializzato per riassorbire grandi quantità di soluti e di acqua,
restituendo tali sostanze al flusso ematico.
 Al contrario, il tubulo distale e il dotto collettore sono specializzati per la regolazione del
trasporto, fondamentale per il controllo del volume e della composizione del plasma.
18.5 Escrezione, p. 520
 La velocità con la quale una sostanza viene escreta nelle urine è determinata da tre fattori:
la velocità con la quale viene filtrata nel glomerulo, la velocità con la quale viene riassorbita
e la velocità con la quale viene secreta.
 Se la quantità di soluto escreto al minuto è più bassa del carico filtrato, allora il soluto è
stato riassorbito nei tubuli renali.
 Se la quantità di soluto escreto al minuto è maggiore del carico filtrato, allora il soluto è
stato secreto nei tubuli renali.
 La clearance è una misura del volume di plasma da cui una sostanza è stata completamente
rimossa o “depurata” dai reni nell'unità di tempo.
 La clearance dell'inulina e della creatinina può essere usata per stimare la VFG.
 La clearance dell'acido para-amminoippurico (PAI)/acido uremico può essere usata per
stimare il flusso plasmatico renale e di conseguenza il flusso ematico renale.
 Il liquido che rimane nei tubuli renali dopo filtrazione, riassorbimento e secrezione viene
escreto sotto forma di urina.
 L'urina, attraverso i dotti collettori, raggiunge la pelvi renale e quindi entra nell'uretere.
 Contrazioni peristaltiche della muscolatura liscia delle pareti dell'uretere spingono l'urina
verso la vescica.
 La vescica contiene l'urina fino a quando essa non viene escreta durante la minzione.
 La minzione è sotto controllo di due riflessi e un controllo volontario. Il riflesso della
minzione viene scatenato dallo stiramento delle pareti vescicali.
SOMMARIO Cap. 19 – Il sistema urinario: bilancio idroelettrolitico
RIASSUNTO
19.1 Concetto di bilancio, p. 532
 Per essere in bilancio, la somma dell'assunzione e della produzione di una sostanza deve
essere uguale alla somma della perdita e dell'utilizzazione di quella sostanza.
 Il plasma può ricevere o perdere sostanze in seguito a scambi con le cellule o con il tessuto
connettivo extracellulare e/o come scambio tra esso e l'ambiente esterno.
 Quando i soluti e l'acqua entrano ed escono dal plasma alla stessa velocità, il plasma è in
bilancio.
 Quando una sostanza entra nell'organismo ad una velocità maggiore di quella con cui
fuoriesce, si verifica un bilancio positivo.
 Quando una sostanza esce dal corpo ad una velocità maggiore di quella con cui entra, si
verifica un bilancio negativo.
19.2 Bilancio idrico, p 534
 Affinché l'acqua sia in bilancio, la quantità in ingresso, dovuta all'ingestione di alimenti e
liquidi, e la quantità prodotta dal metabolismo cellulare devono essere uguali alle perdite
che si verificano con le urine, le feci e la perspiratio insensibilis.
 Il controllo dell'escrezione di acqua da parte dei reni regola il volume e l'osmolarità del
plasma.
 Nei tubuli renali, il riassorbimento dell'acqua avviene per via osmotica ed è accoppiato al
riassorbimento attivo di soluti.
 Il gradiente osmotico midollare crea una forza per il riassorbimento dell'acqua per osmosi
durante il suo percorso lungo il tubulo distale e il dotto collettore.
 L'osmolarità varia da 300 mOsm nella superficie della midollare a circa 1200-1400 mOsm in
profondità; tale gradiente è dovuto al meccanismo di moltiplicazione controcorrente.
 La presenza dell'urea, prodotto di scarto generato dal fegato, che rappresenta la prima
modalità con cui viene eliminato l'azoto dal corpo, serve per mantenere il gradiente
osmotico midollare.
 Siccome il tratto ascendente dei vasa recta non ha trasportatori per l'urea, questa viene
riassorbita nel plasma contribuendo in questo modo a mantenere alta l'osmolarità del
plasma nel momento in cui questo lascia la midollare renale.
 La maggior parte dell'acqua filtrata viene riassorbita nel tubulo prossimale.
 Quanto del rimanente 30% possa essere riassorbito nel tratto terminale del tubulo distale e
nel dotto collettore dipende dai livelli di ADH nel plasma.
 Il fluido tubulare nel tratto terminale del tubulo distale e nei dotti collettori è ipo-osmotico
rispetto al fluido interstiziale, determinando un gradiente osmotico tra il lume e l'interstizio,
che permette il riassorbimento di acqua.
 L'ADH aumenta la permeabilità tubulare all'acqua, permettendone il riassorbimento.
 L'ADH viene secreto dall'ipofisi posteriore in risposta sia all'aumento di osmolarità del
liquido extracellulare che alla diminuzione della pressione e del volume del sangue.
19.3 Bilancio del sodio, p. 543
 La regolazione del riassorbimento del sodio è critica per mantenere una normale
concentrazione di sodio nel plasma che mantiene l'osmolarità del liquido extracellulare e
una normale attività dei tessuti eccitabili.
 Il riassorbimento di sodio influenza anche il riassorbimento di altri soluti e dell'acqua e la
secrezione di alcuni soluti.
 Il sodio è attivamente riassorbito attraverso i tubuli renali e questo riassorbimento è
regolato dalla pompa Na+/K+ localizzata nella membrana basolaterale delle cellule epiteliali
dei tubuli.
 L'aldosterone e il peptide natriuretico atriale regolano il riassorbimento del sodio.
 La liberazione di aldosterone è controllata dai livelli plasmatici di potassio e dal sistema
renina-angiotensina-aldosterone.
 La secrezione di renina è stimolata da un aumento dell'attività dei nervi simpatici, da una
diminuzione della pressione delle arteriole afferenti o da una diminuzione delle
concentrazioni di sodio e cloro nei tubuli distali.
 La renina converte l'angiotensinogeno in angiotensina I, la quale viene convertita
dall'enzima convertitore dell'angiotensina in angiotensina II, che stimola la secrezione di
aldosterone da parte della corteccia surrenale.
 L'aldosterone aumenta il riassorbimento di sodio e la secrezione di potassio.
 Il peptide natriuretico atriale viene secreto dalle cellule degli atri cardiaci in risposta alla
distensione delle pareti atriali determinate da un aumento del volume del plasma.
 Il peptide natriuretico atriale diminuisce la velocità di filtrazione glomerulare e il
riassorbimento di sodio, aumentando l'escrezione di tale ione.
19.4 Bilancio del potassio, p. 548
 Il bilancio del potassio è fondamentale per il normale funzionamento delle cellule eccitabili.
 Il potassio viene sia riassorbito che secreto nei tubuli renali.
 Nonostante l'effetto netto del movimento di potassio attraverso i tubuli renali sia il
riassorbimento, è la secrezione di potassio ad essere regolata.
 La secrezione di potassio viene aumentata dall'aldosterone.
 Concentrazioni elevate di potassio plasmatico stimolano la secrezione di aldosterone.
19.5 Bilancio del calcio, p. 549
 Il calcio, che è fondamentale per il funzionamento della maggior parte delle cellule del
corpo.
 Viene aggiunto al plasma dalle ossa o in seguito ad assorbimento da parte del tratto
digerente e viene rimosso dal plasma in seguito all'azione di sequestro svolta dalle ossa e
dall'escrezione renale.
 L'ormone paratiroideo (PTH) stimola il riassorbimento osseo, l'assorbimento di calcio nel
tratto digerente e il riassorbimento di calcio e l'attivazione del 1,25-(OH)2D3 (calcitriolo) nel
rene.
 Il calcitriolo, a sua volta, stimola l'assorbimento di calcio nel tratto digerente e nel rene.
 La calcitonina diminuisce i livelli di calcio plasmatico aumentando la calcificazione delle
ossa e diminuendo il riassorbimento del calcio nel rene.
19.6 Interazioni tra regolazione dei liquidi e regolazione elettrolitica, p. 551
 Esiste una considerevole sovrapposizione funzionale tra la regolazione dei liquidi e quella
elettrolitica in quanto spesso un singolo ormone influenza sia l'escrezione renale di acqua
che quella di elettroliti.
 Inoltre, il movimento dei soluti genera forze che agiscono sulle molecole d'acqua e il
movimento dell'acqua genera forze che agiscono sulle molecole di soluto.
 L'emorragia fornisce un esempio di come vari sistemi interagiscano per mantenere
l'omeostasi. In tale stato, le interazioni tra i sistemi che regolano il bilancio idroelettrolitico
(sistema renale e cardiocircolatorio) tendono a riportare la pressione sanguigna a valori
normali.
19.7 Equilibrio acido-base, p. 553
 Il pH arterioso è attentamente regolato affinché rimanga entro il normale intervallo tra 7,38
e 7,42.
 Una diminuzione del pH sotto il valore di 7,35 viene chiamata acidosi, mentre un aumento
sopra il valore di 7,45 viene chiamato alcalosi.
 Il sistema respiratorio contribuisce all'equilibrio acido-base regolando i livelli di anidride
carbonica nel sangue.
 L'anidride carbonica può essere convertita in acido carbonico dall'enzima anidrasi
carbonica.
 L'acidosi respiratoria è causata da un aumento della P CO2, mentre l'alcalosi respiratoria da
una diminuzione della PCO2.
 L'acidosi e l'alcalosi metabolica sono alterazioni del pH del sangue causate da motivi diversi
dalle variazioni della PCO2.
 Tre “linee di difesa” proteggono contro le modificazioni del pH del sangue: l'azione dei
sistemi tampone sugli ioni idrogeno, la compensazione respiratoria e la compensazione
renale.
 L'azione dei sistemi tampone agisce immediatamente, in quanto i tamponi chimici sono
sempre presenti nel sangue.
 Il sangue, però, ha una capacità tampone limitata e quando un eccesso di ioni idrogeno
viene aggiunto al plasma, quelli tamponati devono essere eliminati dal corpo per non
saturare la capacità tampone.
 Il sistema respiratorio agisce entro alcuni minuti eliminando ioni idrogeno sotto forma di
anidride carbonica.
 Il sistema renale richiede invece ore o giorni per sintetizzare nuovo bicarbonato e per
eliminare gli ioni idogeno in eccesso.
SOMMARIO Cap. 20 – Il sistema gastrointestinale
RIASSUNTO
20.1 Panoramica dei processi del sistema gastrointestinale, p. 566
 La principale funzione del sistema digerente è di estrarre i nutrienti dal cibo ingerito e
riversarli nel torrente ematico per distribuirli alle cellule dell'organismo.
 Le molecole di nutrienti sono troppo grandi per essere trasportate in circolo, devono quindi
essere ridotte in molecole più piccole da enzimi presenti nel lume del canale
gastrointestinale (digestione).
 I prodotti che risultano dalla digestione sono immessi nel torrente ematico.
 Per facilitare questi processi, i fluidi e gli enzimi sono riversati nel lume del canale GI e la
motilità intestinale spinge il contenuto del lume da un organo digerente a quello
successivo.
20.2 Anatomia funzionale del sistema gastrointestinale, p. 566
 Il sistema gastrointestinale comprende il canale gastrointestinale (GI) e le ghiandole
accessorie.
 Quattro strati formano la parete del canale GI: la mucosa, la sottomucosa, la muscularis
externa, e la sierosa.
 La mucosa, che riveste il lume del canale GI, contiene la membrana mucosa, uno strato
epiteliale che contiene cellule secretorie, assorbenti ed endocrine.
 Il confine periferico della sottomucosa è costituito dal sistema nervoso enterico, che
consiste del plesso sottomucoso e del plesso mioenterico.
 La muscularis externa è formata da muscoli con orientamento longitudinale e circolare che
spingono il contenuto del lume attraverso il canale GI.
 La sierosa è composta da uno strato interno di tessuto connettivo e dal mesotelio.
 Gli organi del tratto GI includono la bocca, l'esofago, lo stomaco, l'intestino tenue, il colon, il
retto e l'ano.
 La funzione primaria dell'esofago è di condurre il cibo dalla bocca allo stomaco.
 Il flusso di materiale tra gli organi è regolato da sfinteri.
 La funzione chiave dello stomaco è di immagazzinare il cibo dopo che è stato deglutito e
rilasciarlo nell'intestino tenue.
 L'intestino tenue è il sito principale nel quale avvengono la digestione e l'assorbimento di
tutti i nutrimenti.
 La principale funzione del colon è di trasformare il chimo (cibo mescolato con il succo
gastrico) in feci.
 La materia fecale è spinta dal colon al retto, dove è espulsa dall'organismo attraverso l'ano.
 Le ghiandole accessorie comprendono le ghiandole salivari (che secernono saliva), il
pancreas (che secerne succo pancreatico contenente enzimi e bicarbonato) e il fegato (che
secerne bile e metabolizza i nutrienti assorbiti).
20.3 Digestione e assorbimento dei nutrienti e dell'acqua, p. 578
 La digestione dell'amido e del glicogeno inizia nella bocca con l'azione dell'amilasi salivare e
prosegue nell'intestino tenue grazie all'azione dell'amilasi pancreatica.
 Gli enzimi dell'orletto a spazzola nell'intestino tenue riducono i carboidrati in
monosaccaridi, che vengono trasportati attraverso l'epitelio della mucosa e diffondono in
circolo.
 La digestione delle proteine inizia con l'azione della pepsina nello stomaco e continua
nell'intestino tenue ad opera degli enzimi pancreatici (incluse tripsina, chimotripsina e
carbossi-peptidasi, secrete come zimogeni inattivi che vengono attivati una volta entrati nel
tratto GI) e di enzimi di membrana (incluse l'enterochinasi e l'amminopeptidasi).
 La maggior parte delle proteine è ridotta completamente in amminoacidi, che vengono
trasportati in circolo.
 I grassi alimentari (principalmente trigliceridi) vengono ridotti ad acidi grassi e
monogliceridi dalle lipasi pancreatiche e dai sali biliari che emulsionano le goccioline di
grasso.
 I prodotti della digestione dei grassi entrano nelle cellule epiteliali per diffusione semplice e
vengono poi riassemblati in trigliceridi, che sono trasportati (insieme ad altri lipidi) nel
sistema linfatico sotto forma di chilomicroni, un tipo di lipoproteine.
 Le vitamine e i sali minerali vengono assorbiti chimicamente inalterati.
 L'assorbimento dell'acqua è secondario all'assorbimento dei soluti ed è guidato da un
gradiente osmotico.
20.4 Principi generali della regolazione gastrointestinale, p. 587
 I meccanismi regolatori gastrointestinali massimizzano l'efficienza della digestione e
dell'assorbimento, ma generalmente non agiscono per mantenere l'omeostasi.
 La funzione digestiva è regolata da vie riflesse brevi e lunghe che coinvolgono il sistema
nervoso enterico, il sistema nervoso autonomo e alcuni ormoni (tra cui gastrina, secretina,
colecistochinina e peptide insulinotropico glucosio-dipendente - GIP).
 Il sistema nervoso enterico riceve segnali sia dal sistema nervoso autonomo sia da
meccanocettori, chemocettori e osmocettori che monitorano le condizioni nel canale GI.
20.5 Secrezione gastrointestinale e sua regolazione, p. 590
 La secrezione della saliva è innescata da un segnale autonomo che giunge alle ghiandole
salivari ed è coordinata dal centro salivare bulbare.
 La secrezione gastrica dell'acido e del pepsinogeno è influenzata dagli stimoli della fase
cefalica, della fase gastrica e della fase intestinale ed è controllata da riflessi nervosi e
ormonali.
 Anche la secrezione pancreatica è controllata da segnali nervosi e ormonali (principalmente
secretina e colecistochinina).
 La secrezione della bile dal fegato è stimolata dalla secretina e dalla colecistochinina, che
provoca anche la contrazione della cistifellea.
20.6 Motilità gastrointestinale e sua regolazione, p. 594
 Le contrazioni della muscolatura liscia gastrointestinale sono indotte da onde lente
generate dalle cellule pacemaker.
 Nervi e ormoni in genere influenzano la forza delle contrazioni, ma non la frequenza.
 Lo stomaco e l'intestino hanno dei tipi di motilità che cambiano a seconda delle condizioni
nel lume.
SOMMARIO Cap. 21 – Il sistema endocrino: regolazione del
metabolismo energetico e della crescita
RIASSUNTO
21.1 Una panoramica del metabolismo dell'intero organismo, p. 603
 Il metabolismo dell'organismo richiede la coordinazione dell'attività metabolica delle
singole cellule.
 Le cellule utilizzano l'energia contenuta nell'ATP che ottengono dall'ossidazione di piccole
molecole nutrienti quali glucosio, acidi grassi e amminoacidi.
 Il metabolismo cellulare deve essere coordinato in modo da poter fornire i nutrienti alle
singole cellule nel momento in cui ne hanno bisogno.
21.2 Assunzione, utilizzazione e immagazzinamento dell'energia, p. 604
 L'energia è fornita alle cellule dalla scissione di nutrienti in molecole più piccole: ad
esempio il glucosio, gli amminoacidi e gli acidi grassi vengono ossidati fino a produrre
molecole da eliminare.
 La mobilizzazione delle scorte energetiche si attua mediante la demolizione di
macromolecole in molecole di nutrienti più piccole che vengono rilasciate in circolo.
 L'energia è immagazzinata trasformando piccole molecole di nutrienti in macromolecole.
 Il glucosio è immagazzinato come glicogeno nella muscolatura scheletrica e nel fegato.
 Gli acidi grassi e il glicerolo sono immagazzinati come trigliceridi nel tessuto adiposo.
 Gli amminoacidi sono immagazzinati come proteine in tutte le cellule, ma soprattutto nelle
cellule del muscolo scheletrico.
21.3 Bilancio energetico, p. 605
 Per mantenere il bilancio energetico la quantità di energia in entrata deve essere uguale a
quella in uscita.
 L'energia in entrata proviene dai nutrienti digeriti, mentre l'energia in uscita è quella spesa
sotto forma di calore e lavoro.
 Il bilancio energetico è positivo quando l'energia in entrata supera quella in uscita; è
negativo quando l'energia in uscita supera quella in entrata.
 La velocità metabolica dell'organismo è l'energia totale prodotta nell'unità di tempo come
risultato dell'ossidazione dei nutrienti.
 La velocità metabolica a riposo è il metabolismo basale, MB.
21.4 Metabolismo energetico durante le fasi di assorbimento e postassorbimento, p. 607
 Nella fase di assorbimento il glucosio è utilizzato dalla maggior parte dei tessuti come
“combustibile” primario.
 I nutrienti assorbiti sono, inoltre, convertiti in glicogeno, trigliceridi e proteine.
 Gli amminoacidi e il glucosio in eccesso sono trasformati prevalentemente in acidi grassi e
immagazzinati come trigliceridi.
 Nella fase di postassorbimento il glicogeno, i trigliceridi e le proteine immagazzinati sono
catabolizzati per ottenere energia.
 Gli acidi grassi sono utilizzati dalla maggior parte dei tessuti come “combustibile” primario.
 Un'eccezione è rappresentata dal sistema nervoso, che dal punto di vista energetico
dipende da un apporto costante di glucosio.
 L'utilizzazione di materiali “combustibili” diversi dal glucosio in altri tessuti consente di
risparmiare glucosio, che può così essere utilizzato dal sistema nervoso; questo fenomeno è
definito “risparmio del glucosio”.
 Il fegato può produrre quantità aggiuntive di glucosio mediante la gluconeogenesi.
21.5 Regolazione del metabolismo durante le fasi di assorbimento e postassorbimento, p. 611
 Le variazioni metaboliche nel corso della fase di assorbimento sono favorite dall'insulina e
comprendono la sintesi di riserve energetiche (glicogeno, proteine, acidi grassi e trigliceridi)
e la captazione di glucosio e amminoacidi da parte delle cellule di molti tessuti.
 L'insulina inibisce la gluconeogenesi e regola i livelli plasmatici del glucosio con un
meccanismo a feedback negativo.
 Le variazioni metaboliche nella fase di postassorbimento sono favorite dal glucagone e
comprendono la glicogenolisi, il catabolismo delle proteine da parte del fegato, la lipolisi, la
gluconeogenesi e la sintesi di corpi chetonici.
 Anche il glucagone contribuisce alla regolazione dei livelli plasmatici di glucosio.
 Le variazioni metaboliche nel corso della fase di postassorbimento sono favorite anche da
un incremento della secrezione di adrenalina e dell'attività del sistema nervoso simpatico.
21.6 Termoregolazione, p. 616
 Il sistema termoregolatore agisce per mantenere costante la temperatura del nucleo
centrale, coinvolgendo le seguenti strutture: i centri ipotalamici della termoregolazione, i
termocettori centrali e periferici, i quali rilevano rispettivamente la temperatura del nucleo
centrale e della pelle, gli organi effettori come i vasi sanguigni cutanei, le ghiandole
sudoripare e il muscolo scheletrico.
 Quando la temperatura ambientale è situata nella zona termica neutra, le variazioni del
flusso di sangue cutaneo regolano la temperatura corporea.
 Quando la temperatura ambientale è inferiore a quella della zona termica neutra, per
generare calore sono necessari anche i brividi.
 Quando la temperatura ambientale è superiore a quella della zona termica neutra, la
sudorazione contribuisce a dissipare il calore attraverso l'evaporazione.
21.7 Regolazione ormonale della crescita, p. 619
 La crescita corporea durante la fanciullezza è favorita dalle azioni dell'ormone della crescita
(GH), che è secreto dall'adenoipofisi e agisce facilitando la crescita dei tessuti molli e
dell'osso.
 In età adulta l'azione dell'ormone della crescita consiste nel mantenere la massa ossea e la
massa magra.
 Le azioni favorite dall'ormone della crescita comprendono l'ipertrofia, l'iperplasia, la sintesi
delle proteine, la lipolisi, la gluconeogenesi e l'assunzione di amminoacidi da parte delle
cellule.
 L'ormone della crescita inibisce l'assunzione di glucosio da parte del tessuto adiposo e
muscolare.
 Azioni metaboliche combinate agiscono per incrementare i livelli plasmatici di glucosio,
acidi grassi e glicerolo, rendendo così l'energia più disponibile per i tessuti in
accrescimento.
 Molte delle azioni dell'ormone della crescita sono mediate dalle somatomedine (fattori di
crescita insulino simili, IGF) sintetizzate dal fegato e da altri tessuti.
21.8 Ormoni tiroidei, p. 624
 Gli ormoni tiroidei sono secreti dalla tiroide a velocità costante; la loro azione accelera la
velocità metabolica nella maggior parte dei tessuti dell'organismo.
 Ad alte concentrazioni mobilizzano le riserve energetiche.
 Questi ormoni sono, inoltre, necessari per una crescita e uno sviluppo normali e per il
mantenimento della normale funzionalità di molti tessuti, in particolare del tessuto
nervoso.
 Gli ormoni tiroidei sono secreti in due forme: T3 e T4; il T4 è più abbondante, mentre il T3 è
più attivo.
21.9 Glucocorticoidi, p. 626

 I glucocorticoidi sono rilasciati dalla corteccia surrenale e sono importanti nella risposta
dell'organismo allo stress.
 I glucocorticoidi favoriscono il processo di mobilizzazione delle riserve energetiche durante
la fase di postassorbimento.
SOMMARIO Cap. 22 – Il sistema riproduttivo
RIASSUNTO
22.1 Panoramica della fisiologia del sistema riproduttivo, p. 632

 La riproduzione umana comprende i processi fondamentali di gametogenesi, fecondazione,


gravidanza e del parto.
 La capacità riproduttiva viene acquisita durante la pubertà, periodo in cui gli organi
riproduttivi maturano, inizia la gametogenesi e si sviluppano le caratteristiche sessuali
secondarie.
 I maschi sono in grado di riprodursi durante tutta la loro vita adulta, mentre nelle femmine
la capacità riproduttiva è ciclica e si perde con la menopausa.
 I sistemi riproduttivi maschile e femminile comprendono le gonadi (testicoli nei maschi e
ovaie nelle femmine) e gli organi riproduttivi accessori.
 Le gonadi portano avanti la gametogenesi e secernono gli ormoni sessuali (androgeni nei
maschi ed estrogeni e progesterone nelle femmine).
 Gli organi riproduttivi accessori includono gli organi del tratto riproduttivo e varie ghiandole
che secernono fluidi nel tratto stesso.
22.2 Il sistema riproduttivo maschile, p. 638
 Il sistema riproduttivo maschile comprende i testicoli, i genitali esterni (il pene e lo scroto),
il tratto riproduttivo (l'epididimo, i vasi deferenti, il dotto eiaculatorio e l'uretra) e le
ghiandole accessorie (vescicole seminali, ghiandole bulbouretrali e ghiandola prostatica).
 Gli spermatozoi vengono formati nei tubuli seminiferi dei testicoli, che sono rivestiti dalle
cellule del Sertoli.
 Durante l'eccitazione sessuale, un insieme di spermatozoi e liquido seminale (seme, o
sperma) viene energicamente espulso dal pene attraverso l'uretra, un evento chiamato
eiaculazione.
 La funzione riproduttiva maschile è controllata dalle gonadotropine, nello specifico gli
androgeni (incluso il testosterone) e i fattori di rilascio delle gonadotropine (GnRH).
 Le GnRH stimolano la secrezione delle gonadotropine e tendono a promuovere la
secrezione degli androgeni.
 L'FSH e l'LH sono gonadotropine, ovvero ormoni proteici secreti dall'adenoipofisi.
 La spermatogenesi e le altre funzioni delle cellule del Sertoli sono stimolate dall'FSH.
 L'LH stimola la secrezione degli androgeni da parte delle cellule di Leydig.
 Durante la vita riproduttiva dei maschi, i livelli di androgeni sono abbastanza costanti
poiché questi ormoni controllano la loro stessa secrezione attraverso un meccanismo a
feedback negativo sulla secrezione di GnRH e delle gonadotropine.
22.3 Il sistema riproduttivo femminile, p. 645
 Il sistema riproduttivo femminile comprende le ovaie, il tratto riproduttivo (l'utero, le tube e
la vagina) e i genitali esterni (il monte del pube, le grandi labbra, le piccole labbra, il
vestibolo, il clitoride e le ghiandole vestibolari).
 Il sistema riproduttivo femminile ha le seguenti tre caratteristiche: cambiamenti ciclici di
attività, periodi ristretti di fertilità, e produzione limitata di gameti.
 Il ciclo mestruale, comincia con la mestruazione, il distacco di tessuto e sangue
dall'endometrio.
 Il ciclo mestruale dura circa 28 giorni ed è caratterizzato da cambiamenti ciclici della
secrezione di ormoni da parte dell'ipofisi e delle ovaie.
 Gli ovuli si sviluppano da un insieme di cellule germinali il cui numero è fissato alla nascita,
e che non diventano completamente mature finché non avviene la fecondazione.
 Ogni ovaia contiene numerosi follicoli, ciascuno dei quali contiene un oocita.
 I follicoli contengono anche le cellule della granulosa, che nutrono l'oocita, regolano il suo
sviluppo e secernono estrogeni.
 Negli ultimi stadi di sviluppo, le cellule della granulosa proliferano e lo strato più esterno si
trasforma nelle cellule della teca.
 Il ciclo ovarico viene suddiviso nella fase follicolare e in quella luteinica.
 La fase follicolare, comincia con il reclutamento dei follicoli preantrali, che si sviluppano
ulteriormente, e termina con il rilascio dell'oocita (ovulazione), che poi entra nelle vicine
tube.
 La fase luteinica comincia con l'ovulazione e finisce o con la fecondazione dell'oocita e la
gravidanza o con la degenerazione del corpo luteo e la mestruazione.
 In coincidenza con il ciclo ovarico vi è il ciclo uterino che consiste in una fase mestruale, una
fase proliferativa e una fase secretoria.
 Nella fase follicolare, l'FSH agisce sulle cellule della granulosa per stimolarne la crescita e la
secrezione di estrogeni. L'LH stimola le cellule della teca a secernere androgeni, che
saranno convertiti in estrogeni dalle cellule della granulosa.
 Gli estrogeni promuovono l'oogenesi (insieme all'FSH) e i cambiamenti della fase
proliferativa uterina.
 Nella fase follicolare tardiva, l'aumento dei livelli di estrogeni provoca un picco di LH, che è
responsabile dell'ovulazione e dello sviluppo del corpo luteo.
 Nella fase luteinica, il corpo luteo secerne estrogeni e progesterone, che sopprimono la
secrezione di LH e FSH e promuovono i cambiamenti della fase secretoria uterina.
 In assenza di fecondazione il corpo luteo degenera, causando una diminuzione dei livelli di
estrogeni e progesterone, che induce poi la mestruazione.
22.4 Fecondazione, impianto e gravidanza, p. 655
 Dopo la fecondazione, che normalmente avviene nelle tube uterine, lo zigote si trasforma
in una blastocisti, che si impianta nell'endometrio.
 Nel punto di impianto nell'utero, il tessuto embrionale e quello endometriale si sviluppano
a formare la placenta, che permette lo scambio di materiali tra la madre e l'embrione in via
di sviluppo.
 Durante la gravidanza, gli estrogeni e il progesterone (secreti all'inizio dal corpo luteo e poi
dalla placenta) promuovono molti effetti, tra cui la crescita e lo sviluppo delle ghiandole
mammarie, la secrezione di prolattina da parte dell'adenoipofisi e il mantenimento delle
condizioni della fase secretoria uterina.
22.5 Parto e lattazione, p. 661
 Il parto avviene normalmente 40 settimane dopo la fecondazione ed è accompagnato da
ondate di forti contrazioni uterine (travaglio), dalla dilatazione della cervice, dall'espulsione
del feto dall'utero e dalla separazione della placenta dalla parete uterina.
 Dopo il parto, il nutrimento al neonato è assicurato dal latte secreto dalle ghiandole
mammarie.
 La suzione del neonato causa la secrezione di prolattina, che promuove la produzione di
latte, e di ossitocina, che stimola l'eiezione del latte.
SOMMARIO Cap. 23 – Il sistema immunitario
RIASSUNTO
Generalità sul sistema nervoso
 Le componenti del sistema immunitario (barriere fisiche, tessuti linfoidi, leucociti e
molecole da essi prodotte) lavorano insieme per attuare e regolare la risposta immunitaria.
 La funzione del sistema immunitario è duplice: rimuovere dall'organismo materiali estranei
e conferire un'immunità permanente contro le malattie infettive.
23.1 Anatomia del sistema immunitario, p. 669
 Le barriere fisiche della risposta immunitaria sono la pelle e le membrane mucose.
 Ci sono cinque tipi principali di leucociti: neutrofili, eosinofili, basofili (i granulociti), più i
monociti e i linfociti (gli agranulociti).
 I neutrofili, i monociti e i macrofagi (che derivano dai monociti) sono fagociti; essi
inglobano e distruggono sostanze estranee e detriti.
 Gli eosinofili e i basofili proteggono dai parassiti di grandi dimensioni e sono anche coinvolti
nelle reazioni allergiche.
 I linfociti si dividono in linfociti B (cellule B), linfociti T (cellule T), che hanno una specificità,
e cellule nulle, che sono aspecifiche.
 Le cellule B si differenziano in plasmacellule che secernono anticorpi o immunoglobuline,
quando vengono a contatto con gli antigeni.
 Alcune cellule T si sviluppano in cellule T citotossiche che eliminano cellule infettate o
anormali distruggendo la loro membrana.
 La maggioranza delle cellule nulle sono grandi linfociti granulari noti come cellule natural
killer (NK), che costituiscono un'importante e precoce difesa contro le infezioni virali.
 I leucociti si sviluppano fino alla maturità nei tessuti linfoidi centrali (il midollo osseo e, nel
caso delle cellule T, il timo).
 I tessuti linfoidi centrali includono: il midollo osseo, il timo e il fegato fetale; quando le
cellule B e T raggiungono la maturità migrano dai tessuti centrali linfoidi a quelli periferici.
 I tessuti linfoidi periferici hanno un'architettura reticolare che intrappola materiale estraneo
presente nel sangue (milza), nella linfa (linfonodi), nell'aria (tonsille e adenoidi) e nel cibo e
nell'acqua (appendice e placche del Peyer).
23.2 Patogeni che attivano la risposta immunitaria, p. 673
 Esistono quattro classi di patogeni: virus, batteri, funghi e parassiti.
 I virus invadono alcune cellule e le usano per produrre nuovi virus.
 I batteri provocano infezioni sia invadendo e colonizzando i tessuti che rilasciando
esotossine o endotossine.
 Le infezioni fungine hanno luogo quando i funghi rilasciano spore nell'aria che vengono
inalate o entrano in contatto con la pelle.
 I parassiti invadono l'ospite per ottenere dei nutrienti, un processo che danneggia l'ospite; i
parassiti diffondono l'infezione attraverso un vettore o per via orofecale.

23.3 Organizzazione delle difese dell'organismo, p. 675


 Quando un agente infettivo supera la prima linea di difesa (per esempio, la cute e le
mucose), deve fronteggiare sia meccanismi di difesa aspecifici che la risposta immunitaria.
 I meccanismi di difesa aspecifici (innati) costituiscono la reazione di difesa più rapida
dell'organismo contro un'infezione o un danno.
 I meccanismi di difesa aspecifici sono rappresentati da barriere fisiche, infiammazione,
interferoni e sistema del complemento.
 Nell'infiammazione, ossigeno, nutrienti, molecole per la difesa e cellule fagocitiche vengono
trasportati nella regione colpita.
 Gli interferoni, secreti dalle cellule infettate da virus, proteggono le cellule circostanti
ancora immuni dall'infezione, mentre le cellule NK possono riconoscere e uccidere le cellule
infettate.
 Il sistema del complemento può essere attivato in tre modi diversi: la via classica, la via
della lectina, la via alternativa.
 Queste vie si uniscono per generare lo stesso insieme di proteine del complemento.
 Le cellule B e T determinano le caratteristiche della risposta immunitaria: specificità,
diversità, memoria e autotolleranza.
 Ci sono due tipi di risposta immunitaria: l'immunità umorale e l'immunità cellulo-mediata.
23.4 Immunità umorale, p. 685
 La risposta umorale è il risultato dell'attivazione delle cellule B.
 Dopo essere entrati in contatto con specifici antigeni, i linfociti B proliferano e si
differenziano in linfociti B della memoria a lunga vita e plasmacellule a vita breve.
 Mentre i linfociti B della memoria sono responsabili dell'immunità permanente ad un
antigene, le plasmacellule secernono anticorpi che si legano e marcano l'antigene, e poi
reclutano altre difese (per esempio, le cellule fagocitarie) per distruggerlo.
23.5 Immunità cellulo-mediata, p. 687
 La risposta cellulo-mediata si verifica quando le cellule T citotossiche riconoscono uno
specifico antigene presentato da una molecola MHC di classe I (su una cellula infettata da
un virus o da un batterio o su una cellula tumorale) e si differenziano in cellule killer.
 Le cellule T citotossiche distruggono il loro bersaglio in due modi: rilasciando perforine, che
formano dei pori nella membrana della cellula colpita, e rilasciando le frammentine, che
entrano nella cellula e determinano l'apoptosi.
 Sia la risposta umorale che quella cellulo-mediata sono supportate e regolate dalle
citochine secrete dalle cellule T helper attivate.
 Le cellule T helper sono attivate a proliferare e secernere citochine quando vengono a
contatto con uno specifico antigene presentato da una molecola MHC di classe II (su un
macrofago, una cellula dendritica o su un linfocita B). Allo stesso tempo vengono generati
linfociti T di memoria a lunga vita.
 Le risposte combinate dei linfociti T helper, dei linfociti T citotossici e dei linfociti B
coordinano la specifica rimozione di antigeni dannosi e forniscono l'immunità permanente
verso di essi.
23.6 La risposta immunitaria in condizioni di salute e di malattia, p. 690
 Lo scopo della vaccinazione o immunizzazione è fornire protezione verso un'infezione.
 Sia l'immunizzazione che l'infezione naturale inducono l'immunità attiva, perché dipendono
dalla risposta del sistema immunitario, e generano una memoria contro l'agente patogeno.
 L'immunità passiva si genera quando degli anticorpi sono trasferiti da una persona ad
un'altra.
 Questi anticorpi già pronti marcano rapidamente e rimuovono gli antigeni per i quali sono
specifici.
 L'immunizzazione passiva viene utilizzata quando un virus o un batterio pericoloso è
penetrato nell'organismo di una persona non ancora immunizzata.
 La capacità del sistema immunitario di distinguere tra il self e il non-self limita la possibilità
di condividere tessuti tra individui attraverso la trasfusione di sangue o i trapianti.
 La sopravvivenza di un trapianto dipende dal miglior abbinamento possibile degli HLA e
dall'uso di farmaci immunosoppressori atti a diminuire la risposta immunitaria del
ricevente.
 Il trapianto di midollo osseo pone un problema particolare quando i tessuti non sono ben
abbinati: il midollo del donatore, che contiene linfociti, può sviluppare una reazione
immunitaria contro il ricevente dando luogo ad un tipo di rigetto noto come reazione del
trapianto contro l'ospite.
 Una disfunzione del sistema immunitario può provocare allergie, malattie autoimmuni o
immunodeficienza.
 Un'allergia deriva da una risposta esagerata ad antigeni presenti nell'ambiente (allergeni).
 Le malattie autoimmuni si verificano quando il sistema immunitario reagisce contro ciò che
è considerato self, come nell'artrite reumatoide o nella sclerosi multipla.
 Un'immunodeficienza può verificarsi quando un componente del sistema immunitario non
è funzionante per una condizione congenita o acquisita.
 Le immunodeficienze possono riguardare l'immunità umorale, l'immunità cellulo-mediata o
entrambe (come nella SCID).
 Alcune evidenze suggeriscono che il sistema immunitario, il sistema nervoso e il sistema
endocrino sono fisiologicamente integrati.
 È stato dimostrato che meccanismi neuroendocrini regolano la risposta immunitaria e che
la risposta immunitaria, a sua volta, può influenzare sia l'attività del sistema endocrino che
di quello nervoso.
SOMMARIO Cap. 24 – Il diabete mellito
RIASSUNTO
24.1 Classificazione del diabete mellito, p. 702
 Le due forme principali di diabete mellito (DM) sono chiamate di tipo 1 e di tipo 2.
 Il DM di tipo 1 è ulteriormente suddiviso in DM di tipo 1a e DM di tipo 1b.
 Il DM di tipo 1a è una malattia autoimmune nella quale il sistema immunitario causa la
distruzione delle cellule beta pancreatiche, che porta alla produzione di quantità
insufficienti di insulina.
 Il DM di tipo 1b (DM di tipo idiopatico), più raro del tipo 1a, comporta la distruzione delle
cellule beta pancreatiche, con un meccanismo ancora ignoto.
 Nel DM di tipo 2, le cellule bersaglio presentano una ridotta sensibilità nei confronti
dell'insulina.
 Il numero di persone che soffre di una delle due forme di diabete mellito è in progressivo
aumento, benché il DM di tipo 2 sia di gran lunga prevalente, costituendo circa il 90% dei
casi.
24.2 Effetti acuti del diabete mellito, p. 704
 Le manifestazioni acute o occasionali del diabete mellito variano da relativamente lievi a
gravi e pericolose per la vita.
 L'iperglicemia acuta, o livelli di glucosio nel sangue estremamente elevati, possono portare
a chetoacidosi.
 La chetoacidosi, che rappresenta la complicanza più comune nel DM di tipo 1, deriva
dall'aumento del processo di lipolisi che porta alla produzione di chetoni, un tipo di acido
organico.
 In forma leggera, la chetoacidosi provoca uno stato di disidratazione e alterazione
dell'equilibrio idricosalino; una grave chetoacidosi può portare a coma e a morte.
 I pazienti anziani possono andare incontro a coma iperosmolare non chetosico, causato dal
fatto che le perdite di glucosio nelle urine determinano una disidratazione di grave entità,
portando l'osmolarità del sangue a valori pari o superiori a 325 mOsm.
 I sintomi dell'ipoglicemia variano da stati confusionali e vertigini fino a sincope e perdita di
coscienza.
 Il coma ipoglicemico può avvenire quando un soggetto sofferente di diabete assume una
quantità troppo elevata di insulina; la glicemia può ridursi fino a valori pericolosamente
bassi, che portano al coma e alla morte.
24.3 Complicanze croniche del diabete mellito: stadi iniziali, p. 705
 Le fasi iniziali del diabete mellito si manifestano come le “tre poli”: poliuria, polidipsia e
polifagia.
 La poliuria, o produzione di urine in eccesso, deriva direttamente dall'iperglicemia.
 La polidipsia, aumento del senso di sete, insorge come conseguenza delle perdite di acqua
ed eventuale disidratazione che derivano dalla poliuria.
 La polifagia si manifesta perché la carenza di insulina non permette di segnalare il senso di
sazietà e non si avverte di avere assunto cibo in quantità sufficiente.
24.4 Complicanze croniche del diabete mellito: stadi avanzati, p. 706
 Le complicazioni croniche che derivano dal diabete mellito sono per lo più dovute
all'iperglicemia o ai danni a livello del microcircolo.
 Anche se nel paziente diabetico la quantità di glucosio circolante è abbondante, le cellule
non sono in grado di utilizzarlo per ricavarne energia e devono consumare lipidi e
amminoacidi. Pertanto, lo stato letargico è un sintomo comune nel paziente diabetico.
 L'iperglicemia induce la glicosilazione di numerose proteine in diversi distretti del corpo, e
promuove la conversione del glucosio in sorbitolo.
 Il diabete mellito causa indebolimento dei vasi sanguigni in ogni parte del corpo, causando
un processo di sclerotizzazione a carico dei vasi del microcircolo, riducendone la capacità di
dilatarsi in risposta a fattori locali, in modo da regolare il flusso di sangue sulla base delle
richieste metaboliche.
 I danni subiti dai vasi del microcircolo possono contribuire all'insorgere di retinopatia,
neuropatia e cicatrizzazione ritardata delle ferite.
 La retinopatia diabetica si instaura in seguito al danno riportato dai vasi sanguigni presenti
nell'occhio.
 La nefropatia diabetica avviene in seguito all'alterazione dell'epitelio renale, e rappresenta
la causa responsabile della fase terminale della malattia renale.
 La neuropatia diabetica comprende alterazioni del sistema nervoso periferico, e può essere
causata dall'iperglicemia, dall'ipertensione o dall'iperlipidemia che si manifestano nel
diabete; le conseguenze sono sensazione di dolore, cattivo funzionamento del sistema
nervoso autonomo, fino all'amputazione.
24.5 Progressione del diabete mellito fino a gravi condizioni, p. 711
 Una volta instauratosi, il diabete continua a progredire per tutto il resto della vita;
numerose persone che ne soffrono perdono la vita a causa delle complicazioni della
malattia.
 Una delle complicanze è la malattia del macrocircolo, che colpisce i grandi vasi sanguigni e
rende la persona maggiormente soggetta ad attacchi cardiaci, ictus, malattie delle arterie
periferiche e cardiomiopatie.
 Il diabete fa aumentare la quantità di lipidi trasportati alle cellule e la produzione di specie
reattive dell'ossigeno e radicali liberi, che contribuiscono allo sviluppo dell'aterosclerosi.
24.6 Cicatrizzazione ritardata delle ferite, p. 712
 Nel diabete il processo di cicatrizzazione delle ferite è notevolmente rallentato.
 Nella zona ferita, i macrofagi sono reclutati verso l'area lesa e innescano il processo
infiammatorio.
 I neutrofili e i monociti seguono i macrofagi nella zona ferita e liberano mediatori chimici
per attrarre fibroblasti in quest'area.
 I fibroblasti danno inizio alla fase proliferativa, deponendo nuova matrice extracellulare;
essi liberano, inoltre, mediatori chimici che stimolano i cheratinociti a proliferare.
 Nella fase di ricostruzione, il collagene deposto dai fibroblasti forma un intreccio di fibre,
portando alla formazione di tessuto cicatriziale.
 Nel diabete, il processo di riparazione delle ferite è ritardato sia nel corso della fase
infiammatoria sia in quella proliferativa; diminuisce inoltre la produzione di collagene e di
diversi mediatori chimici implicati nel processo di cicatrizzazione.
 L'iperglicemia determina la riduzione dell'attività dei neutrofili e dei macrofagi.
24.7 Trattamento e gestione del diabete mellito, p. 714
 Il trattamento del diabete mellito si concentra sulla gestione della malattia, principalmente
per quanto riguarda la glicemia; le modificazioni del proprio comportamento, ad esempio il
fatto di seguire una dieta e di svolgere attività fisica, sono d'aiuto in questo tentativo, ma gli
interventi farmacologici sono spesso necessari.
 Nel caso del DM di tipo 1, per mantenere la glicemia nella norma, sono necessarie iniezioni
di insulina.
 Per regolare la glicemia nel DM di tipo 2, sono disponibili quattro classi diverse di agenti
ipoglicemizzanti: sulfoniluree, biguanidi, inibitori delle α-glicosidasi e tiazolidinedioni.
24.8 Ricerche in corso sul diabete mellito, p. 715
 Le ricerche sul DM sono concentrate sull'individuazione del miglior sistema di trattamento
e di nuovi farmaci da utilizzare, o sulla comprensione più completa della malattia.
 Alcune delle attuali linee di ricerca su quale sia il trattamento preferibile comprendono lo
studio di sistemi migliori per somministrare insulina, il trapianto di cellule beta e la
modificazione genetica di cellule, per renderle capaci di produrre insulina.
 Sono in corso ricerche su nuovi farmaci, compresi gli inibitori dell'aldoso reduttasi o della
sorbitolo deidrogenasi.
 La maggior parte delle ricerche sui meccanismi con cui il diabete progredisce si concentra
sui mediatori chimici che sono alla base della malattia o ne causano i sintomi.
 Una volta identificati tali mediatori, si potranno sviluppare farmaci indirizzati verso di loro.

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