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DIRITTO REGIONALE

Lineamenti di diritto regionale, Martines


13 dicembre, 12 gennaio, 7 febbraio
Disciplina rispetto alla quale le competenze richiesta sono di tipo specialistico. L’età moderna del diritto
regionale ha inizio nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione. Rappresenta una sorta di “dopo
Cristo”. Fino alla riforma del titolo V parte seconda, cioè alla riforma degli articoli dal 114 al 133 che vengono
interamente riscritti; alcuni addirittura risultano abrogati. La questione regionale in Italia. Escalation che
serviva ad alcune forze politiche la sopravvivenza. Le parole d’ordine sono: devoluzione, autonomia,
indipendenza. Oggi l’escalation ha assunto dimensioni nazionali, non è più declinata nell’accezione di
contrapposizione con il meridione. Antimeridionalismo ed indipendenza. Ad esempio, la questione del
regionalismo spagnolo si è mossa diversamente, da un certo punto di vista molto più seri. I primi corsi di
diritto regionale nascono in tutte le università dopo il 2001. Unica riforma costituzionale di ampio respiro
arrivata a compimento e arrivata in porto. L’unica riforma costituzionale organica, in cui è è stato preso un
blocco omogeneo di articoli che è stato riscritto. Ci sono stati svariati momenti di riforma costituzionale
organica, ma nessuno di loro è andato mai in porto. Tre momenti: 2006 e 2016 tentativi che sono rimasti tali
perché entrambi sono stati bocciati con referendum popolari, che erano comunque tentativi amplissimi ma
non organici. Terzo momento 2001 che ha segnato uno spartiacque. Perché? Perché il tema regionale è stato
posto al centro del dibattito pubblico. Lunga e faticosa gestazione delle regioni, le regioni iniziano ad operare
soltanto a partire dagli anni 70. Fino al 2001 lo Stato Centrale (ovvero il Parlamento) aveva competenza
legislativa esclusiva. Il Parlamento e il Governo producevano legislazione solo con leggi e atti aventi forza di
legge. Oggi l’art. 117 Costituzione è lunghissimo. Ma prima della riforma l’art 117 cost era comunque un
articolo molto lungo, il più lungo. Conteneva un elenco e solo su quell’elenco le Regioni potevano operare.

Art. 117

«La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato,

sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni:

▪ ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione;

▪ circoscrizioni comunali;

▪ polizia locale urbana e rurale;

▪ fiere e mercati;

▪ beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera;

▪ istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica;

▪ musei e biblioteche di enti locali;

▪ urbanistica;

▪ turismo ed industria alberghiera;

▪ tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale;

▪ viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale;

▪ navigazione e porti lacuali;

▪ acque minerali e termali;

▪ cave e torbiere;

▪ caccia;

▪ pesca nelle acque interne;


▪ agricoltura e foreste;

▪ artigianato;

▪ altre materie indicate da leggi costituzionali.

Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».

Possiamo prima di tutto notare le competenze arcaiche e di poco conto affidate alle regioni. Cornice, legge
quadro. Nonostante questo elenco su cui la regione poteva legiferare, ma comunque doveva rispettare i limiti
e i confini puntualizzati dallo Stato centrale. Elenco tassativo ovvero elenco chiuso. Ergo tutto il resto se lo
prendeva lo Stato. Lo Stato poteva legiferare su tutte le materie non contenute nell’elenco tassativo dell’art
117 e comunque poteva fissare i principi delle materie affidate alle regioni. Nel 2001 la prospettiva cambia
radicalmente, si parla di rivoluzione copernicana. La rivoluzione sta nell’imbrigliare le mani allo Stato: oggi
è presente un elenco chiuso e tassativo su cui lo Stato può legiferare. L’elenco tassativo oggi è stilato non più
per le regioni, ma per lo stato centrale.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei
cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato;
armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale;

n) norme generali sull'istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e
locale; opere dell'ingegno;

s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

Ma la vera novità della riferma è costituita dal quarto comma del nuovo articolo 117 della Costituzione che
così recita: Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato. Le zone grigie sembrerebbero quindi assegnate alle regioni. Nuovo
assetto regionale che dal punto di vista legislativo vede lo stato poter legiferare da solo soltanto sulle materie
contenute nell’elenco. Sull’elenco invece contenuto dal terzo comma intervengono sia lo stato sia le regioni.
Si opera quindi nel medesimo modo in cui si operava sempre previamente alla riforma: lo stato centrale fissa
i principi e le regioni operano specificamente.
Il quarto comma invece rappresenta la c.d. clausola di residualità. Si ragiona per sottrazioni. Competenze c.d.
innominate. Tutto ciò che non è ricompreso nei due precedenti elenchi la legislazione spetta alle regioni ed è
una legislazione autonoma, che non dipende da nessun principio dettato dallo stato centrale. Competenze
residue. Notiamo bene che non possiamo prendere letteralmente questo quarto comma. Ma è evidente che la
riforma è stata di una portata che ha richiesto tempo per essere completamente digerita. Ancora oggi ci sono
ancora problemi di tipo interpretativo. Riforma che ha aperto un’ampia stagione di conflitti tra stato centrale
e regioni. Riforma, comunque, male e in fretta scritta. Prendiamo l’art 127 cost, è sufficiente per lo stato la
dimostrazione dell’eccedenza mentre la regione deve dimostrare che lo stato lede le sue competenze. Concetto
di eccedenze e ledere completamente diversi, il secondo più incisivo. Giudizi di in via principali. La Corte
costituzionale a furia di sentenze ha riscritto un manuale di istruzioni del titolo V, manuale parallelo di diritto
regionale.
La dottrina è la riflessione affidata all’interprete, al giurista all’accademico. La dottrina è la parta rilegata
all’applicazione delle norme. Dal 2001 fino ad anni abbastanza recenti i dati che la corte costituzionale ha
fornito dimostrano un incremento fortissimo dello svolgimento del giudizio in via principale; nei primissimi
anni post riforma addirittura i giudizi in via principale superavano il numero di giudizi di legittimità
costituzionale.
Enti locali sono comuni e province. Le regioni sono enti territoriali. È sbagliato parlare della regione come
ente locale.
Posizione impari, precedente alla riforma, tra regione e stato perché una regione per poter impugnare una
legge dello stato poteva farlo nei confronti di una legge già entrato in vigore. Invece lo stato poteva impugnare
una legge regionale già durante la fase dell’iter legislativo. Impugnazione in fase gestazionale. In realtà nella
nuova versione dell’art 127 cost la situazione non sembra invariata. La parità delle armi non è stata
completamente raggiunta. Attualmente l’unica differenza rispetto al pre-riforma è che sia stato che regioni
possono impugnare le leggi dell’altro soltanto quando la legge è venuta ad esistenza. Ma le scelte lessicali
adottate per il 127 cost mette su due posizioni diverse ancora una volta stato e regioni. La regione per poter
impugnare la legge dello stato deve dimostrare alla corte la lesione e l’invasione nella sua specifica sfera di
competenza. Invece lo stato per poter impugnare una legge regionale è sufficiente che dimostri che quella
legge è fuoriuscita, è debordata dalla sfera di competenza della regione; non deve quindi dimostrare quale
competenza dello stato la regione ha intaccato con la legge regionale. Ricordiamo che le tempistiche per
impugnare una legge per il giudizio in via principale sono di 60 giorni, termine inadeguato. Giudizio astratto
che prescinde quindi dall’applicazione ad un caso concreto. Tutto questo discorso apparentemente tecnico ci
porta a riflettere sul disegno del 2001. Riflettiamo sull’art 114 cost. Tale articolo abbandona nel suo nuovo
testo la visione gerarchica. I livelli di governo sono equi ordinati:
La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo
Stato.
Abbandonando la visione gerarchica significa che nell’adempimento del principio di uguaglianza e l’art 2 cost
sono chiamati tutti, non soltanto più lo Stato centrale. Certo ognuno nei limiti e nel rispetto delle proprie
competenze, ma tutti sono chiamati ad applicare ed a garantire questi diritti fondamentali. Osserviamo come
toccando una parte in modo organico della costituzione in realtà tale modifica cambia la visione di insieme
della costituzione e modifica in parte le sfumature e le interpretazioni di tutti gli altri articoli della costituzione.
Fenomeno del crescente diritto prodotto altrove, quindi diritto prodotto altrove. Diritto di matrice sovra-
nazionale che è essenzialmente diritto dell’Unione Europea. Convezione europea dei diritti dell’uomo. Tanto
il momento sovra-nazionale quanto il momento infra-nazionale per scardinare il tradizionale monopolio
culturale che nella nostra idea ha sempre avuto la legge del Parlamento. La cultura europea ed occidentale
ascrive la legge come la volontà generale, il momento più importante. Primato indiscusso della legge.
Accezione che nasce dalla rivoluzione francese. Principio della legalità costituzionale in modo tale che anche
i soggetti che fanno la legge stanno sotto alla legge. Garante di tale principio è la giustizia costituzionale.
Controllo diffuso o controllo accentrato. Nell’ultimo ventennio la supremazia della legge è stata scardinata.
Le aggressioni normative provengono dal diritto prodotto altrove, ma non solo. Le aggressioni provengono
anche da un livello infra-statuale e quindi un livello regionale. Ultimo elemento di aggressione è l’iper-
attivismo del governo, in ossequio all’art 77 cost. Che richiedono certo una conversione in legge, ma che p
una conversione che solitamente non ha ostacoli soprattutto perché nella maggior parte dei casi il governo
appone la questione di fiducia sulla legge di conversione del decreto. Ricordiamo che la questione di fiducia
è uno strumento che se utilizzato in modo spropositato diventa strumento di abbattimento del dibattito
parlamentare e dell’iter legislativo. Alla crescita del diritto regionale e dell’unione ha fatto da contraltare
il depauperamento del prodotto normativo per eccellenza ovvero la legge. Costituzione, obblighi europei,
obblighi internazionali. Caso delle sentenze gemelle, sentenze n. 347 e 348 della Corte costituzionale. Dal
2001 il diritto comunitario e gli obblighi internazionali hanno arricchito l’armamentario che possiede il giudice
costituzionale per verificare la legittimità costituzionale sia della legge parlamentare sia della legge regionale.
Stato federale vs stato regionale: Stato federale centri e periferie forti. Centro forte che dialoga con periferie
forti. La forza sta nella quantità di potere che le une e le altre possono esercitare. Le periferie sono Stati dotati
ognuno di essi di propria costituzione, di un proprio sistema processuale dotato di regole proprie. Invece
l’unitarietà dei codici è requisito all’opposto dell’assetto regionale. Periferie territoriali che non assumono
all’assetto statale. Le chiamiamo comunità autonome, regioni. Dallo stato centrale ricevono solo funzioni
legislative e amministrative, ma mai poteri giudiziari. Uno stato federale decide di tutelare le diversità
spiccatamente, es Belgio. Lo stato regionale tutela certamente, ma non in modo spiccato. Sono scelte
chiaramente politiche. La forma di stato si decide prima di scegliere la forma di governo.
Forma di stato: interazione tra tre elementi popolo, territorio, sovranità
Forma di governo: interazione tra tre elementi parlamento, governo, capo dello stato
Forma di governo regionale: interazioni tra tre organismi consiglio regionale, giunta, presidente della regione.
La dottrina si interroga se possa esistere il concetto di “Forma di Regione”. Mutuare dal macro concetto di
forma di stato il concetto di forma di regione. È possibile introdurre questa nuova categoria? Il concetto di
forma di stato guarda essenzialmente ai principi essenziali enunciati dalla costituzione. È possibile guardare
all’enunciazione di principi fondamentali in ambito regiona
li. Quanto potere invia il centro invia alle periferie ovvero nel nostro caso alle regioni? Prospettiva sempre
centrale. Risposta che trae senso dalla carta costituzionale, cioè i principi fondamentali danno la misura di che
forma di stato abbiamo davanti.
➔ Sentenza Corte costituzionale n. 1146/1998: sentenza con cui la Corte costituzionale esclude che i
primi 12 articoli sono esclusi dalla revisione costituzionale. Questa sentenza rende i principi inziali
della nostra Costituzione come principi fondamentali. Limiti espliciti e limiti impliciti. La caratteristica
dei principi fondamentali è quella di inviare comandi a chi detiene i poteri. I principi fondamentali
sono destinati al legislatore.
Qualcuno nell’enfasi del momento, data dalla crisi terroristica, perché il girono in cui gli italiani hanno
votato per la riforma del titolo V, iniziava l’operazione militare statunitense in Afghanistan. Il referendum
costituzionale del novembre del 2001 fu la prima occasione in cui venne sperimentato questo istituito per
la prima volta in Italia, istituto eventuale e facoltativo dell’iter di revisione costituzionale. Prima del 2001
non era mai stato fatto un referendum costituzionale. Ad oggi abbiamo avuto quattro referendum
costituzionali. Sia nel 2001 che nel 2020 l’esito è stato affermativo. Mentre nel 2006 e nel 2016 l’esito è
stato oppositivo. Ricordiamo che per questo referendum non è previsto un quorum di partecipazione.
Perché il messaggio che si vuole mandare alla maggioranza che ha votato in aula la revisione costituzionale
è di dire “qui parola ce l’hanno pienamente gli elettori”. Referendum puramente oppositivo.
Ritornando a quel momento così difficile sia per le vicende internazionali, ma anche quelle nazionali.
Scelta obbligata. La riforma del titolo V si avviava a ricevere un’ampia approvazione parlamentare
nell’iter di approvazione di revisione costituzionale. Destra e sinistra condividono il testo. Ma poi ci si
accorse che di lì a poco ci si accorse che ci sarebbero state le elezioni politiche. Non era conveniente
presentarsi in campagna elettorale aver appena approvato un testo condiviso. La natura del referendum
costituzionale è di natura oppositiva.
Post referendum c’era la percezione che l’Italia fosse diventato uno stato federale. Alcune forze politiche
vivono la stagione del federalismo. In parte è vero, ma in parte purtroppo è falso. Esistono indubbiamente
nel titolo V campanelli che evocano scenari di tipo federale. Ad esempio, l’elenco specifico di competenze
attribuite allo Stato, altro elemento competenze concorrenti e residuali. Ancora un altro elemento è l’art
114 cost. Altro elemento a favore della tesi regionale è il fatto che il potere giurisdizionale è in capo solo
allo stato.
È possibile quindi parlare di forma di regione? Negli anni immediatamente successivi al referendum,
stagione che va dagli anni 2002-2005, comportò un onore importante per le regioni ordinarie la riscrittura
dei loro statuti. Necessità di riscrivere i loro statuti perché dovevano essere adeguati al nuovo titolo V.
Stagione statutaria, che da alcune regioni venne letta come una stagione costituente. Entusiasmati dalla
necessità della riscrittura si lasciarono un po’ prendere la mano e quindi volendosi atteggiare a costituenti
si lanciarono anche nella previsione di principi fondamentali. La formulazione di tali principi assumeva la
natura di un impegno a medio-lungo termine per le istituzioni regionali. Lo statuto della toscana, Umbria
e dell’Emilia, prevedono il principio di estendere il voto agli immigrati o stranieri, oppure l’impegno per
i matrimoni omosessuali. Ci sono stati comuni che hanno modificato i loro statuti comunali per dare il
voto agli stranieri del comune. Più che principi sono impegni politici. All’epoca destarono un particolare
allarme nei confronti del governo. All’epoca il governo attivò su questi tre statuti attivò il procedimento
di revisione costituzionale. Corte cost. n. 372, 378 e 379/2004. Questi tre statuti vengono ritenuti
costituzionalmente legittimi. Queste norme non sono incostituzionali perché hanno natura culturale, sono
enunciati culturali, danno un indirizzo politico. Se ne può parlare di forma di regione nei limiti del fatto
che hanno una portata politico-culturale.
Nei mesi precedenti alla pandemia sia era sviluppato un dibattito circa la necessità di iniziare ad utilizzare
quello che prevede il comma 3 dell’art 116 costituzione. Tale articolo dedicato in gran parte alle regioni a
statuto speciali.
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma
dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l),
limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre
Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali.
Art 116 terzo comma prevede per le regioni ordinarie la possibilità di accedere ad ulteriori forme di
autonomia per le materie elencate nell’art 117. Possiamo parlare di un terzo tipo di regione? Un tipo di
regione intermedio?

Diritto regionale come concetto nuovo e al tempo stesso antico. Le regioni sono un’invenzione dei
costituenti poiché prima della costituzione esse non esistevano. Concetto antico perché si riscoprì qualcosa
che aveva caratterizzato all’indomani dell’unità d’Italia. Stiamo parlando del 1861. I progetti che si
facevano avanti vedevano le regioni articolarsi come corpi intermedi di carattere territoriale, ma non dotati
di autonomia. Erano più che altro dei consorzi obbligatori di decentramento amministrativo tra province,
ricordiamo che le province esistevano già. Nella visione risorgimentale ci poteva e ci doveva essere spazio
per un’articolazione territoriale più alto della regione. Doveva servire per mandare nelle periferie funzioni
amministrative. Non se ne fece di nulla, ma quell’idea si sedimentò. I costituenti hanno riscoperto l’idea
della regione. Art 131 dove le regioni sono tutte elencate. Dal testo entrato in vigore uscirono 19 regioni
invece che 22 regioni come era stato previsto in sottocommissione. 1963 con la legge costituzionale n 3 le
due regioni Molise e Abruzzo vengono divise. La nascita del regionalismo italiano si interseca con le
vicende connesse al periodo dell’8 settembre 1943 e l’avvio dell’Assemblea costituente. Data cruciale,
l’Italia firma l’armistizio. Guerra civile, guerra di liberazione. Le responsabilità storiche sono chiare ed
evidenti e la nostra costituzione traccia un solco e un confine tra il prima e il dopo. Linea di antifascismo.
Il re scappa. I savoia, come casa regnante, sono la famiglia regnante che consegna l’Italia in mano ai
fascisti e ai nazisti. Il re Vittorio Emanuele III non ha firmato lo stato d’assedio nel 1922. L’Italia non può
dirsi immune dalla responsabilità storica della shoah. In questo contesto magmatico si cala la nascita del
regionalismo. Sardegna, Sicilia, Val d’Aosta sono calderoni di rivendicazioni storiche. Siamo nel 1944
serie di decreti di quel periodo cominciano a riconoscere alcune forme di autonomia in quelle regioni, si
introducono delle forme di decentramento per provare a calmare quella situazione in ebollizione. Istituiti
due alti commissari e delle consulte regionali. Siamo in un contesto in cui le regioni sono ancora nella
mente dei giuristi e dei politici. Contesto emergenziale. Nella valle d’Aosta con decreto luogotenenziale
del 1945 introduce un particolare regime di autonomia amministrativa con la soppressione della provincia
di Aosta. In Sicilia nel 1946 si arrivò al regio decreto-legge n 455 che approvò lo statuto siciliano
riprendendo quasi per filo e per segno quello statuto deliberato dalla consulta regionale siciliana che
designava un modello di regione con attribuzioni legislative. Disposizioni transitorie e finali. Legge
costituzionale n 2 del 1948 accoglie lo statuto della Sicilia come statuto speciale nella forma approvata da
regio decreto.
Il primo avvio del regionalismo riguarda le regioni speciali. Le prime regioni che nascono in Italia sono
proprio quelle che oggi noi definiamo speciali. C’è stata un’opera di conversione degli statuti delle regioni
speciali contestuale all’approvazione degli altri statuti. Procedimento aggravato sia per approvare le leggi
costituzionali sia per modificare, meglio dire revisionare la costituzione. Le leggi costituzionali servono
per inglobare gli statuti regionali.
Per capire la questione del Trentino-Alto Adige dobbiamo tornare sulle pagine della Prima guerra
mondiale. Discorso legato alla neutralità. Un anno dopo sotto la pressione degli interventisti si schiera
accanto alla triplice intesa e non con l’alleanza. Ecco perché alla fine l’Italia si siede al tavolo dei vincitori
contro i grandi sconfitti Germania ed Austria. Nella spartizione dei territori all’Italia spetterà quindi il
Trentino. Territorio geograficamente incastonato nella penisola italiana anche se territorio abitato da tante
persone germano-francofone. Formalmente la dittatura prende avvio nel 1925. All’interno del disegno
fascista vi è anche quello della snazionalizzazione del Trentino dall’imprinting germanico. Esigenza di
rendere sterile dal punto di vista linguistico culturale era avvertito. Obbligo di italianizzare i cognomi, il
tedesco non si insegna più nelle scuole. La questione trentina viene da lontano e che si trascinerà fino alla
fine della Seconda guerra mondiale, scenario in cui l’Italia è sconfitta. Roma Berlino Tokyo. Occasione
per ricomporre la dolorosa questione trentina. Settembre 1946 il ministro degli esteri De Gasperi, insieme
al suo omologo austriaco siglano l’accordo sul trentino. Accordo che sana la ferita, ma la sana in una
logica regionale. Accordi che sanciscono l’impegno a dar vita da parte dell’Italia a due province autonome.
Province autonome di Trento e Bolzano hanno gli stessi poteri delle regioni speciali. Coloro che avevano
optato verso nord gli è stata data la possibilità di ritornare, e ricordiamo che erano persona che si erano
compromessi con il regime nazista.
Regioni speciali→ tanta autonomia ma data dal governo centrale. Autonomia concessa e concordata.
Avvio dell’ordinamento repubblicano è la cosa più interessante che si possa studiare. Periodo in cui si
ricompongono le fratture della Seconda guerra mondiale e non tutte. Vi ricordo che l’Italia era passata da
due anni di guerra civile, e la guerra civile non la ricomponi con una stretta di mano. Forza cattolica, forze
di sinistra e liberale di tipo azionista. E la costituzione repubblicana rappresenta la sintesi. Compromesso
storico, accordo nobile raggiunto tra quelle forze. E nasce proprio da quelle tre forze il concetto di regione.
Quella esperienza però comincia ha presentare qualche scricchiolio perché l’assemblea costituente
funzionava da Parlamento e accanto al Parlamento la gestione amministrativa era affidata ad un Governo.
Con il passare dei mesi parallelamente dalla maggioranza di governo vennero estromesse le forze di
sinistra. Le forze di sinistra però continuano a dare il loro contributo in Assemblea costituente. In
Assemblea costituente la sinistra non è opposizione. Dicotomia: non forza di governo, ma si forza che
scrive le regole comuni. La regione in assemblea costituente non aveva grande consenso. Le forze di
sinistra e alcuni settori della destra la vedevano come un rischio. Moltiplicazione a livello periferico,
indebolimento dell’assetto centrale. Concetto ostacolato. Quando con il passare dei mesi vi è una
improvvisa riscoperta del concetto di regionalismo. Estromissione come viatico al regionalismo. Il
regionalismo appoggiato fortemente dalla democrazia cristiana. La sinistra vede l’occasione di diventare
forza di maggioranza nei governi regionali. È un’opportunità politica. E così prende avvio la repubblica.
1 gennaio 1948. Il resto è difficile da spiegare, lo si fa seguendo la sorte successiva di tutta la costituzione.
Per molti anni le regioni ordinarie sono esistite soltanto sulla carta. Le quindici regioni ordinarie non hanno
funzionato prima degli anni 70, quindi uno iato di più di vent’anni. Sorte successiva caratterizzata da ampie
parti rimaste inattuate, rimaste solo sulla carta. Tra queste l’ordinamento regionale. Attuazione in senso
tecnico. Fin quando il legislatore non opera in alcuni punti la costituzione resta congelata. La costituzione
dice tanto, ma non dice tutto. Mancato completamento da parte del legislatore ordinario delle discipline
richieste dalla costituzione. Ma perché c’è stato questo ritardo di attuazione? Questo accade per una precisa
volontà delle forze di maggioranza. Attentato a Togliatti, le forze di sinistra sono pronte a scendere per
una nuova guerra civile. In quel clima Gino Bartali ha vinto il tour de France. Notizia che anestetizza gli
animi. Togliatti non è più in pericolo di vita e quindi si va alle prime elezioni repubblicane in un clima
sereno. Esce vincente la Democrazia Cristiana, la minoranza più numerosa. Dal 48 agli anni 90 il partito
di centro è stato sempre “vincitore” poiché le altre forze non si sono mai messe insieme. Attore principale.
La maggioranza fa ostruzionismo. L’ostruzionismo è strumento solitamente utilizzato dall’opposizione.
Rallentare il lavoro parlamentare è condotta tipica e legittima delle minoranze e dell’opposizione. In
questo caso l’ostruzionismo è stato condotto dalla maggioranza. Ma chi me lo fa fare a me di avviare
un’ulteriore macchina e sistema che può indebolire la maggioranza, sistema quindi utilizzato
dall’opposizione? La contingenza politica per scongelare il referendum è quella della legge sul divorzio.
Battaglia parlamentare asperrima. Il divorzio è legge dal 1970. Primo referendum 1974 per la legge sul
divorzio che vede nuovamente sconfitta la democrazia cristiana. Quindi la DC da finalmente attuazione al
referendum solo quando è diventata minoranza in parlamento nel caso quindi della legge sul divorzio. Così
come accadde per il referendum abrogativo anche per l’ordinamento regionale c’è stato un forte ritardo
per i medesimi motivi politici. Sono diversi i punti in cui viene chiamato in causa il legislatore per
completare l’ordinamento regionale. Ad esempio, il legislatore nazionale deve fornire la legge elettorale
per eleggere le istituzioni regionali. La legge elettorale regionale arriva nel 1968. Ostruzionismo di
maggioranza. L’ordinamento regionale era visto dalla maggioranza come strumento pericoloso in mano
alla minoranza. Rappresentava un rischio. Le regioni sono rimaste quindi inattuate. I tempi erano maturi,
la società italiana non era più quella del ’48. È l’Italia del boom economico degli anni ’60. L’Italia che è
ormai uscita dalla Seconda guerra mondiale. Industriale e proiettata verso il futuro. L’attuazione delle
regioni ben si colloca all’interno di questo nuovo pensiero. Dalla legge elettorale inizia il procedimento
per trasferire quote di potere e competenze alle regioni. Prima ondata di trasferimenti costituisce
l’occasione per avviare l’opera di trasferimento in periferia ritagliando e conservando per se settori di
interesse statale. Nel 1972 non c’è una tabula rasa, c’è comunque una costituzione che detta le linee guida
dettate dal vecchio testo dell’art 117. Clausola dell’interesse nazionale era usata come calamita per
trattenere alcune competenze. La prima ondata è un’ondata significativa, ma incompleta ovvero effettuata
con il freno a mano tirato.
Gli anni ’70 rappresentano per il nostro Paese un momento storico, un momento in cui si fanno dei
grandissimi passi avanti. Basti pensare alla grande stagione di referendum con altissime affluenze, non
solo per questo tipo di elezioni, ma in generale; le tornate elettorali erano caratterizzate da fortissime
affluenze. È in questo periodo che vengono approvate delle leggi importantissime, basti pensare alla legge
sul divorzio, lo statuto dei lavoratori, la legge sull’aborto. Non è un periodo quindi fruttifero solo ed
esclusivamente per l’instaurazione degli ordinamenti regionali. Stagione di grandi ed importantissimi
cambiamenti, l’Italia fa passi avanti. Il flusso positivo si rompe a partire dagli anni ’90. Ricordiamo il
passaggio al modello maggioritario, la crisi della democrazia rappresentativa, la modifica delle leggi
elettorali, lo scandalo di tangentopoli. In televisione proliferano programmi nel quali il politico, il
candidato di successo viene ripreso in frammenti di vita quotidiana, il candidato si mostra vicino
all’elettorato. Le inchieste di mani pulite creano degli spazi vuoti che vengono riempiti da questi nuovi
attori politici. Anche le esperienze regionali seguono queste dinamiche.
Dopo gli anni ’70 si apre la prima grande stagione statutaria. Il 1971 è l’anno in cui vengono emanati
tutti gli statuti delle regioni ordinarie. Gli statuti però vengono contenuti all’interno di leggi, non di leggi
regionali. Il vecchio art 123 cost prevedeva che lo statuto venisse recepito, riconosciuto attraverso una
legge dello Stato. Dunque, la delibera statutaria che faceva il consiglio regionale doveva essere inviata a
Roma, tale delibera doveva seguire l’iter legislativo standard del Parlamento nazionale e vedere quindi il
suo momento di conclusione e concretizzazione nella promulgazione della legge. Lo statuto speciale
invece è contenuto all’interno di una legge costituzionale sia per quanto riguarda il vecchio e il nuovo
titolo V della costituzione. Il parlamento conserva un’ampia fetta di potere. Il parlamento poteva
modificare il testo base degli statuti inviati dalle regioni. Stiamo parlando di un’autonomia che è
riconosciuta dall’autorità centrale. Non è mero recepitore asettico con la possibilità quindi di apportare
emendamenti. Dopo il 2001 le regioni ordinarie devono riscrivere gli statuti per potersi adeguare alla
riforma. Oggi, infatti, lo statuto regionale di una regione ordinario è contenuto e recepito da una legge
regionale. Procedimento statutario completamente interno alle istituzioni regionali. Centralità del
momento amministrativo. Competenze destinate con alle regioni un po’ con il freno a mano tirato. Le
regioni potevano legiferare sulle materie contenute nell’elenco contenuto nell’ex art 117. Attualmente
invece tutto ciò che non è comma 2 (lettera a-s) e le materie concorrenti è di competenza regionale. È stato
tolto quindi il freno a mano. Tra mille resistente in ogni caso partire dal 1970 la macchina amministrativa
regionale. Nel 1977 vi è la seconda ondata di trasferimento di competenze. Servizi sociali, competenze
che riguardano l’uso del territorio. Lento, ma progressivo avvio della macchina regionale.
Quando la Costituzione raggiunge il suo picco massimo, diventa completamente attuata si inizia a
ragionare in tema di riforma costituzionale. Riforma Dalema Berlusconi ha sfiorato la poi successiva
modifica del titolo V. stagione significativa per il regionalismo perché arriva la legge Bassanini, la legge
che introduce un nuovo concetto. Primo concetto è la semplificazione amministrativa.
Legge Bassanini n 59/1997 → dava al governo un significativo numero di deleghe come, ad esempio,
nell’ambito della semplificazione amministrativa, soprattutto a livello regionale. Altra idea di questa legge
è il concetto della sussidiarietà (far fare a chi sta più vicino al destinatario dell’azione quella determinata
azione, poi se non c’è intervento interverrà qualcun’altro). Nuovo assetto, assetto neo-regionale. Qualcosa
che non era nell’imprinting nazionale. Si prova a trascinare l’ordinamento verso qualcosa di nuovo.
Chiama in causa però dinamiche delicatissime. Può una legge ordinaria può modificare sostanzialmente
la Costituzione? Può una legge ordinaria mettere a sistema oggi degli elementi che per andare a sistema
richiedono una modifica costituzionale? La Bassanini ha introdotto dei concetti che avrebbero richiesto
una riforma costituzionale. Non c’è una risposta univoca, probabilmente possiamo dire che tale pratica è
inopportuno. La costituzione consente di essere modificata con i soli numeri della maggioranza
parlamentare, è legittimo che ciò accada, ma è opportuno? È opportuno che una legge renda inevitabile
una riforma costituzionale?
La stagione di riforme costituzionali iniziata negli anni ’80 con la fine degli anni ’90 tè caratterizzata da
improvviso accelerazione. Come, ad esempio, la legge Bassanini con le sue nuove parole d’ordine.

Ci muoveremo a partire da questo momento intorno agli atti normativi principali del diritto regionale: lo
statuto regionale e la legge regionale. La riforma del 2001 in realtà è una riforma che parte da prima,
discorso legato al decadimento organico nel momento in cui la costituzione ha trovato la sua piena
attuazione. Gli anni ’80 si caratterizzano per alcuni tentativi di riforma rimasti solo un abbozzo che è
rimasto bloccato sempre in commissione. Quello invece degli anni ’90 fu un dibattito che culminò con le
idee condensate dal testo licenziate dalla bicamerale Dalema-Berlusconi e legge Bassanini. Questi eventi
forniranno sostanza alla riforma del titolo V del 2001. Se oggi parliamo di documento digitale e firma
digitale è grazie alla legge Bassanini, la legge quindi pensiona la carta. Queste intuizioni della legge
Bassanini hanno indotto a pensare ad una riforma costituzionale. È il legislatore che impone una riforma
costituzionale. Criticità dal punto di vista della disciplina delle fonti del diritto. Mal costume istituzionale.
Riforma che inizia nel 1999 e verrà completata nel 2001 a ridosso delle elezioni politiche. Riforma a due
tappe. Legge costituzionale n 1/1999 e legge costituzionale n 3/2001. La legge numero 1 va a toccare gli
articoli 121, 122, 123, 126. La legge n tre invece tocca il 114, 116, 117, 119, 120, 127 e abroga il 115,
124, 125, 123, 128. Questa riforma a due tappe riguarda esclusivamente le regioni ordinarie. Ma non
perché le regioni speciali non siano toccate, ma per il fatto che le leggi costituzionali che dettano gli statuti
speciali avviene con un’altra legge costituzionale n 2/2001 che va ad incidere su tutti gli statuto speciali.
Per capire che cosa ha significato la legge n. 2/2001 dobbiamo fare un piccolo passo indietro alla n.1/2009,
legge dedicata esclusivamente alle regioni ordinarie. È una legge che incide soprattutto sulla forma di
governo regionale. Art 122 e art 126 delineano una nuova forma di governo per le regioni ordinarie. Tutto
ruotava intorno al consiglio regionale, eletto con sistema proporzionale puro. Il consiglio eleggeva al suo
interno il presidente della regione, vertice dell’organo esecutivo. Forma pre 1999. Il titolo V arriva in
un’epoca in cui l’Italia ha conosciuto il sistema maggioritario. I nuovi 122 e 126 dettano una nuova forma
di governo provvisoria. Lo statuto ordinario non è più una legge dello stato, ma è una legge regionale a se
stante. Nello statuto le regioni ordinarie settano una forma di governo in armonia con la costituzione. Ma
fino a che non sono riscritti gli statuti ci vuole una forma di governo provvisorio. Il referendum del 2001
coinvolge solo la legge del 2001 perché quella del 1999 era stata approvata dai 2/3 del Parlamento. La
prima del 1999 era stata approvata sia da centro destra sia da centro sinistra. Nella legge del 2001 fanno
un passo indietro il centro destra poiché si avvicinavano le elezioni politiche ed era sconveniente approvare
una riforma costituzionale con il centro sinistra. Forma di governo provvisorio: gli elettori eleggono a
suffragio universale diretto il presidente della regione a meno che lo statuto disponga diversamente. Il
presidente eletto nomina e revoca la giunta. simul stabunt simul cadent: se cade uno cade tutto. Destino
che lega consiglio regionale e presidente della regione. Questa forma di governo provvisoria diventerà
forma di governo definitivo, perché le regioni riscrivendo gli statuti hanno ripreso le principali
caratteristiche di questa forma di governo provvisoria, salvo pochi ed alcuni accorgimenti. Era una forma
di governo appagante perché mette al centro la scelta dell’elettore. Quella del simul stabent è regola che
vuole rafforzare il sistema. Questo ha improvvisamente rafforzato gli esecutivi regionali. Le due regole
messe insieme hanno rovesciato quella impostazione consilio centrica che aveva caratterizzato il sistema
precedente. Mettono al centro la giunta e il suo vertice. Il consiglio passa in una dimensione più marginali.
Il consiglio può puntare la pistola alla testa della giunta, ma la punta anche a se stessa. Se parte il colpo il
colpo colpisce tutti. Le legge costituzionale n 2 del 2001 estende la forma di governo provvisoria delle
regioni ordinarie la impone per le leggi speciali tranne per Trentino e Valle d’Aosta. Conservano le ultime
due una forma di governo incentrata sull’assetto precedente alla riforma, quindi assetto consilio centrico.
La vera specialità del Trentino è la specialità provinciale e non regionale. Non è solamente la forma di
governo che è stata estesa alle regioni speciali. La legge costituzionale n 2 del 2001 esclude il passaggio
referendario per uno statuto speciale, ricordando che gli si dia attuazione con legge costituzionale.
Forma di governo provvisoria e nuova che strizza l’occhio alla forma di governo presidenziale, si ispira al
modello statunitense. Elezioni diretta del capo dello stato, elezione del presidente della regione. Il capo
dello stato statunitense oltre ad essere capo dello stato è anche capo del governo, presidente della regione
vertice della giunta quindi vertice dell’organo esecutivo regionale. Il presidente degli stati uniti però non
è legato dal rapporto fiduciario con le camere. Combinato disposto dell’art 122 e art 126 fornisce una
nuova forma di governo provvisorio in attesa che le regioni ordinarie, riscrivendo i propri statuti
stabiliscano una loro forma di governo. Gli ammiccamenti alle esperienze statunitensi finiscono però qui
in quanto il presidente regionale e la giunta sono legati al consiglio regionale dal rapporto fiduciario. La
riscrittura della forma di governo del ’99 ha guardato chiaramente verso gli stati uniti. Ma non
completamente. Regola del simul stabent. Si dimettono tutti e si va a votare nuovamente. Concretamente
però non è previsto un momento inziale con cui il consiglio battezzi l’inizio dell’operato della giunta
regionale. Tuttavia, è previsto che all’inizio, dopo le elezioni, il presidente regionale eletto direttamente si
presenti con la propria squadra di governo di fronte al consiglio regionale chiedendo voto favorevole. Voto
che deve essere positivo serve a dare un crisma politica. Nel remoto caso in cui il voto iniziale dovesse
essere negativo non comporterebbe la sfiducia, ma è un monito per il presidente, effetto di moral suasion.
Art 126 dimissione volontarie, morte, impedimento permanente, sfiducia del consiglio regionale,
rimozione del presidente sono ipotesi che travolgono giunta e consiglio. Se si parla di mozione di sfiducia
specularmente deve esistere un momento in cui la fiducia viene data. Momento non codificato in
costituzione. Momento logicamente necessario. La giunta si presenta di fronte al consiglio chiedendo un
avallo che se non concesso non comporta obbligo di dimissioni quindi nessuna conseguenza giuridica, ma
conseguenze politiche. Questo modello che doveva essere provvisorio è poi stato accolto definitivamente
dalle varie regioni nei loro statuti. Ma non è stata un’adozione “felice”. Ci sono varie sfumature tra le varie
regioni. Uno di questi esempi è il caso della Calabria. Fase di riscrittura ed adeguamento. Tale riscrittura
della Calabria è stata impugnata dal governo, ritenuto lesivo dell’art 122. Avevano previsto l’elezione sia
del presidente sia del suo vice, in modo tale che se si fossero verificate le ipotesi previste dall’art 126 lo
statuto calabrese aveva previsto che prendesse il posto del presidente il suo vice, anch’egli eletto dai
cittadini. Sistema per raggirare il sistema simul stabunt. Tra il ’93 e il ’95 cambia tutto, si passa dal modello
proporzionale ma al modello maggioritario. Ecco perché si adotta come forma di governo regionale e
provvisoria un modello di aspirazione statunitense e quindi presidenziale. Perché nel ’92 c’era stata
tangentopoli che aveva tirato giù tutto il sistema politico che era stato in piedi cinquant’anni. Crollo del
muro di Berlino, crollano le ideologie. Complici di questi eventi il mutamento dei sistemi elettorali.
Elettori smarriti pronti ad abbracciare nuovi messaggi. Contrapposizione che non è più ideologica, ma di
fazioni. L’esperienza politica di chi si presenta ad un seggio è vista di malocchio. Si apre anche la stagione
della religione fai da te, non c’è più il cemento che tiene insieme una comunità che si incontrava
abitualmente la domenica. Ma lo stesso discorso vale per la politica fai da te. Scienza come fai date.
(immissione in commercio condizionato, attivato dall’unione varie volte dal 2006).
Lo statuto ordinario che cos’è? Art 123 definisce la natura giuridica di uno statuto di una regione di
diritto ordinario. In precedenza, dal 1948 fino al 2001, lo statuto ordinario era una legge dello stato ovvero
il consiglio regionale doveva approvare un testo e su quello statuto poi si attivava il controllo da parte del
governo. Controllo che era rappresentato dal visto apposto dal commissario del governo. Quando quel
visto veniva apposto allora la deliberazione regionale transitava in parlamento e il parlamento doveva
convertirlo in legge. Infatti, lo statuto compariva in gazzetta ufficiale. Con il 1999 lo statuto diventa legge
regionale. Consiglio regionale organo monocamerale che si esprime con un’unica deliberazione a
maggioranza semplice (la maggioranza dei presenti purché sia presenti la metà più uno degli aventi diritto).
A livello regionale non sussiste il problema della navette. Ma la legge regionale che dà vita allo statuto
regionale è un iter legislativo para costituzionale. Fatte le debite proporzioni ricorda quanto previsto
dall’art 138, il quale prevede un raddoppio della procedura per l’approvazione di una legge costituzionale
o di revisione. L’art 138 prevede il c.d. procedimento aggravato che quindi si distingue ed è più complesso
dell’iter legislativo ordinario. Art 123 e 138 costituzione:
“Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi
componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta
l'apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di
legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione.
Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un
cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a
referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi.”

“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive
deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna
Camera nella seconda votazione.”

Anche se il consiglio regionale approvasse all’unanimità il nuovo statuto regionale è sempre possibile che
scatti la tagliola referendaria. Possibilità che non è esclusa quando tale approvazione sia stata effettuata
con una maggioranza ampia. Di che tipo di pubblicazione stiamo parlando? Inteso come momento ultimo
della vacatio legis? Non è la pubblicazione a scopo di efficacia, è una pubblicazione a scopo notiziario.
Una volta che lo statuto è stato votato secondo le modalità sancite dall’art 123 viene pubblicato dal BUR,
ma quella pubblicazione ha la funzione di pubblicità notizia. Fa decorrere due periodi: uno di un mese
durante i quali il governo può impegnare lo statuto, l’altro quello di tre mesi duranti i quali può essere
richiesto il referendum. Se tali termini decorrono inutilmente allora verrà effettuata una nuova
pubblicazione sul BUR che stavolta ha funzione di pubblicità validità.
Sentenza Corte costituzionale n. 445/2005 - impugnazione statuto Liguria.
L’art 123 dice che le regioni ordinarie scrivono i loro statuti facendo una serie di determinate cose.
Struttura l’iter approvativo dello statuto ordinario, prevedendo degli aggravamenti rispetto al normale iter
legis regionale ispirandosi alla ratio legis che sta dietro all’art 138 cost. Referendum statutario può essere
richiesto in qualunque circostanza. Nel referendum costituzionale no. L’idea che questi due refrendum si
discostino dal referendum abrogativo, perché non è previsto quorum di partecipativo, ha una profondità di
significato. Il cuore del rapporto tra governati e governanti. Una maggioranza politica, siano esse le
politiche sia le regionali, è una maggioranza che può mettere mano alla costituzione o allo statuto da soli,
ma non è opportuno che lo facciano. Lo statuto e la costituzione sono carte in cui tutti si devono
riconoscere. Sono carte fondamentali. La libertà in senso costituzionale, in senso giuridico è la libertà
di fare ciò che si può fare senza collidere le libertà altrui. Non è libertà senza regole. La libertà di fare ciò
che voglio non ha sede in un contesto costituzionale. Diritti, interessi e libertà devono essere sempre
bilanciati. Pubblicazione a mero scopo notiziario. E poi pubblicazione a scopo di efficacia. I problemi si
pongono quando i due termini vengono sfruttatati, problema più gravoso quando i termini vengono sfruttati
entrambi. Richiesta referendaria a poi impugnazione, ipotesi in cui vi è un’intersezione tra le due
casistiche. In questo caso l’iter referendario si congela, tutto l’iter non solo il decorrere del termine. Perché
il controllo attivato dal governo è un controllo preventivo cioè che avviene su un testo che ancora non è
diventato definitivo. Se i due procedimenti si intersecano si blocca l’iter referendario perché il controllo
preventivo del governo può far cambiare l’oggetto del referendum. Caso A la corte respinge
l’impugnazione del governo e l’iter referendario riprende dal punto in cui si era interrotto. Caso B il
governo impugna lo statuto e la corte lo caduca completamente, l’iter referendario si ferma. Caso C ipotesi
di annullamento parziale dello statuto, anche in questo caso che l’iter referendario si deve fermare
definitivamente perché anche in tal caso cambia l’oggetto su cui era stato chiesto il referendum. Bisogna
quindi ritornare in sede di consiglio regionale.
Dietro la specialità regionali c’è una falla, per accedere agli spazi di libertà le regioni devono attendere la
concessione di tale spazio dallo stato centrale. Poiché lo statuto di regione speciale è inglobato in un legge
costituzionale, legge che ai sensi dell’art 138 prevede un inter legislativo aggravato. Maggiore autonomia,
ma a prezzo di una concessione proveniente dal parlamento nazionale. È vero anche che rispetto a quella
dinamica la regione ha un peso in capitolo. La regione concorre alla redazione dello statuto speciale anche
se demandata al parlamento. Tuttavia, gli estremi di questo paradosso sono innegabili. Legge cost n 2/2001
ha cercato di attenuare tale paradosso. Niente esclude oggi che l’iniziativa di statuto o di revisione che
parta il tutto dal governo o dal parlamento, ma in tale caso bisogna ascoltare il parere obbligatorio ma non
vincolante proveniente dal consiglio regionale interessato. Paradosso che si basa sull’art 5 cost. Vaglio dal
centro. Altrimenti le pulsioni centrifughe potrebbero assumere contorni estremi. Eliminazione del
referendum del 138. Non ha senso che sullo statuto venga chiamato a pronunciarsi l’intero corpo elettorale
nazionale. Legge statutaria: è un tipo di legge approvata dal consiglio regionale attraverso un procedimento
peculiare su materie che sono riconducibili al concetto di forma di governo. Occorre che la legge venga
approvata dal consiglio regionale speciale con una maggioranza assoluta (di solito è richiesta la
maggioranza semplice). Queste leggi sono sottoposte a referendum regionale indipendentemente dalla
maggioranza che le ha approvate in consiglio. Entro 30 giorni il governo potrebbe impugnare la legge. A
che servono? Possono disciplinare temi connessi alla forma di governo regionale. Legge che noi non
conosciamo. Simile alla legge organica conosciuta dall’ordinamento spagnolo e ordinamento francese.
Approvate con procedimento diverso, ma non diverso al punto da considerarle leggi costituzionali e che
servono per disciplinare qualcosa di diverso. Sta a metà strada tra le fonti ordinarie e fonti costituzionali.
Un esempio di fonte che nel nostro ordinamento a cui potremmo attribuire tale qualifica è la legge
400/1988. Queste leggi statutarie servono per riacquistare spazi di autonomia. Per le regioni speciali la
forma di governo è fissata ed imposta dalla legge n 2/2002. Ma grazie alle leggi statutarie le leggi possono
integrare il loro statuto, contenuto in una legge costituzionale, materie connesse alla forma di governo.
Tra statuto ordinario e statuto speciale, il secondo prevede forti spazi di autonomia rispetto al primo. Lo
statuto regionale speciale va oltre. Ma è uno statuto che il centro, il parlamento da alle regioni speciali con
un paradosso che negli anni si è attenuato. Strumento principale è la legge statutaria, fonte utilizzabile solo
per le regioni speciali. Recuperare spazi di autonomia in tema di materie connesse alla forma di governo.
L’intervento del 2001 per le regioni speciali è un intervento per cui è difficile intravedere una direzione
unica. Decreto legislativo per l’attuazione dello statuto speciale. Azione normativa del governo sganciato
dal passaggio parlamentare. Servono a dare attuazione agli statuti speciali. Dare attuazione ad uno statuto
vuol dire né più né meno dare attuazione alla costituzione. È il governo che dà attuazione allo statuto
speciale. Strumento consegnato alle regioni speciali dalla legge costituzionale n2/2001. Questa legge
incide così tanto sugli statuti speciali. Estremamente pervasiva da far riscoprire quello strumento.
Strumento nelle mani del centro, ma di quel centro che sfugge alle dinamiche compromissorie.
Meccanismi che attenuano il paradosso storico.
Questione dell’armonia della costituzione non è il generico rispetto dello spirito della costituzione. Tema
dei principi, nel 123 le regioni possono prevedere dei principi fondamentali e dunque vincoli per il
legislatore di quella regione, ma sono principi in tema di organizzazione non principi tout court. Che peso
hanno i principi tout court? Peso di carattere politico. Ma cosa significa valore culturale? Tra questi
principi generali di funzione di organizzazione, quasi tutte le regioni hanno previsto le c.d. consulte
statutarie o come si chiama in Toscana collegio di garanzia statutaria. Art 57 dello statuto regionale
toscano, sorta di Corte costituzionale regionale. Presidente della giunta, del consiglio, può attivare questo
organismo. Organismo attivabile solo in ambito istituzionale. Il giudizio del collegio di garanzia comporta
il riesame della legge regionale. La consulta regionale per verificare la compatibilità allo statuto di una
legge o di un regolamento si ferma lì poiché lo statuto si presuppone già armonico con la costituzione.
Tentativo di riprodurre in scala la costituzione.
Legge regionale: il nuovo testo del titolo V ridisegna questa fonte del diritto, soprattutto dal punto di vista
di ciò che può accadere alla legge una volta entrata in vigore. Così come l’iter legis a livello nazionale
prende avvio con l’iniziativa anche quello regionale prende avvio così. Iniziativa demandata alla libera
determinazione dello statuto regionale. Es statuto toscano ciascun consigliere, iniziativa popolare. Il lavoro
di esame avviene, sulla falsariga di ciò che avviene a livello nazionale, in sede di commissioni consiliari.
La commissione regionale però non opera in sede deliberante, ma solo in sede riferente ovvero riferisce al
plenum il lavoro svolto. Possiede anche la funzione redigente, con limitati spazi di libertà per il plenum.
Perimetro della costituzione, diritto comunitario e diritto internazionale. La legge regionale viene
approvata a maggioranza semplice (la metà più uno dei favorevoli, a patto che siano presenti la metà più
uno degli aventi diritto). Posto che l’art 123 ci dice che gli statuti possono disciplinare l’iter legislativo, vi
è una norma che attribuisce al presidente della giunta il compito dio promulgare la legge regionale ed
emanare i regolamenti. il procedimento di promulgazione regionale non è come quello nazionale, nel quale
il presidente della repubblica può bloccare una proposta di legge (non ancora quindi perfetta) a seguito di
un controllo di legittimità costituzionale. Il presidente di regione essendo eletto direttamente dal corpo
elettorale è espressione di una maggioranza politica. È difficile quindi che quest’ultimo blocchi un progetto
di legge effettuato dalla maggioranza di cui lui ne è l’esponente principale. Può avvenire laddove magari
sia evidente un macro-incostituzionalità.
1. Stato impugna la legge regionale → sufficiente che dimostri che la regione è fuoriuscita dalla sua
competenza
2. Regione impugna la legge dello stato → necessario che la regione dimostri la lesione della sua sfera
di attribuzione
3. Regione impugna la legge regionale → necessario che la regione dimostri la lesione della sua sfera di
attribuzione
Nel 2001 vengono riscritte le materie di competenza regionale e competenza concorrente. Il nostro turismo e
la nostra industria alberghiera spariscono dai due nuovi elenchi dell’art 117. Concludo che le regioni in virtù
del quarto comma, trattandosi di materia innominata è di competenza esclusiva delle regioni. Nuova legge
quadro in materie di turismo e industria alberghiera, legge n. 135/2001. Lo stesso parlamento che sta
consegnando nelle mani delle regioni una nuova sfera di competenza vota anche questa legge quadro che
sarebbe diventata incompatibile con il nuovo titolo V di lì a poco approvato. Confusione sui nuovi titoli di
competenza. Il governo inizia ad impugnare le leggi regionali in materia di turismo. La corte costituzionale
conferma la posizione regionale. Col tempo la Corte costituzionale riorienta il suo giudizio e fa un’operazione
abbastanza spregiudicata, la corte afferma che il settore in questione è un settore nevralgico e determinante
per l’economia nazionale, non è possibile quindi avere venti discipline diverse per un settore così importante.
Gli interventi regionali sono possibili purché vengano confermati e discussi in sede di conferenza stato-
regioni. La conferenza stato-regione è quello che nel nostro ordinamento è più similare al senato federale dove
siedono i rappresentanti territoriali.
Fonte primaria a competenza separata: se mi trovo davanti ad un’antinomia fra fonte regionale e fonte
nazionale devo adottare il criterio non più cronologico, ma quello di competenza. Per cui dovrò guardare l’art
117 cost. In quell’articolo scoprirò se la competenza è regionale o nazionale anche se le due fonti potrebbero
essere più vecchie. Criterio gerarchico, applico la c.d. lex superior. Applico di conseguenza la superiorità della
Costituzione. In tal caso la norma inferiore viene annullata dalla corte, sanzione dell’espulsione
dall’ordinamento.
La legge 400/1988, la c.d. legge quadro sul governo ha disciplinato la fonte del diritto del regolamento, fonte
che a livello nazionale sono totalmente intestate all’organo esecutivo. Regolamenti di attuazione, esecuzione,
integrazione. Sono quindi fonti secondarie. Funzione servente alla fonte principale che è la legge. Strumento
utilizzato su iniziativa governativa quando già esiste la legge. Strumento che in teoria non dovrebbe alterare
il contenuto di senso della legge. Anche a livello regionale abbiamo potestà regolamentare regionale, art 117:
“La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà
regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. “

Prima della riforma del titolo V i regolamenti regionali erano di potestà in capo al consiglio regionale. La
corte costituzionale ha confermato che post-riforma, poiché la potestà regolamentare rientra tra le materie in
connessione alla forma di governo, è lo statuto che stabilisce che la competenza regolamentare sia della giunta
o del consiglio. La maggior parte dei nuovi statuti ha previsto la competenza consiliare.

SECONDA PARTE
Argomenti del modulo: 1. Le funzioni amministrative delle regioni 2. Art 120 primo comma 3. Il potere
sostitutivo 4. Autonomia finanziaria 5. Le regioni in un sistema di multilevel governance
Le funzioni amministrative delle regioni
Art 5 e 118 Costituzione. Lo stato assoluto nasce nel XV secolo, richiesta al re ordine e sicurezza. Sistema in
cui il re è il detentore di produzione del diritto. Il Re ha bisogno però di concentrare su di se altre funzioni che
sono strumentali alla funzione di produzione di diritto. Il re monopolizza le funzioni serventi alla funzione di
ordine e sicurezza. Potere estero, difesa esterna, esecuzione ed applicazione del diritto, imposizione fiscale.
Si crea in unico centro di potere politico cioè governo sovrano titolare esclusivo del supremo potere di
comando ovvero la sovranità. Organizzato attraverso i ministeri e attraverso articolazioni periferiche dei
ministeri (c.d. decentramento). Questo modello viene arricchito dal punto di vista organizzativo dalla
Rivoluzione francese. Esaltazione del potere municipale cioè concentrato sul Comune. Modello che arriverà
fino al XX secolo, modello francese secondo il quale il comune diventa un ente necessario, articolazione
minima necessaria in cui è diviso il territorio dello stato. Nel periodo napoleonico vengono istituiti al di sopra
dei comuni i dipartimenti, che in parte corrispondo alle nostre province. Avevano la funzione di mantenimento
dell’ordine pubblico, costituivano la c.d. longa manus per l’esecuzione dei provvedimenti dei ministri. Il
prefetto è di nomina statale e costituisce lo snodo tra amministrazione centrale e comunità locali. L’unità di
Italia prende spunto dal modello piemontese che lo aveva ricevuto dal modello francese. Il regno di Italia
viene modellato sulla base dell’organizzazione del regno di Piemonte. Ministeri con articolazioni periferiche,
comuni e province, enti pubblici strumentali. Enti pubblici territoriali ed enti pubblici non territoriali.
Nell’anno di approvazione della costituzione l’autonomia regionale verte su autonomia: politica, normativa,
amministrativa, organizzativa e regolamentare, finanziaria, contabile e di bilancio. Tema degli enti locali
era un tema conosciuto e tema caldo nel dibattito costituzionale. Una volta sterilizzato dai segni fascisti la
disciplina degli enti locali è passata dalla monarchia alla repubblica senza forti traumi. Mentre le regioni erano
un tema nuovo. Le regioni vennero dato come qualcosa di già acquisito, abbiamo scoperto di avere delle
regioni prima che ci fossero. Erano semplicemente delle perimetrazioni arbitrarie da chi doveva procedere a
censimento, senza tener conto delle identità locali. Frutto di un’operazione quasi chirurgica. Le regioni
strutterarnno i propri organi di vertici in modo tale che gli assessori siano posizionati in ciascun ramo
amministrativo, riprendendo il modello ministeriale centrale. Modello unico e generalizzato per l regioni
ordinarie. Regime giuridico uniforme previsto in parte dalla costituzione e in parte dalla legge. Sistema di
controllo molto pervasivo, sistema di controllo di legittimità e di merito. Per tutte si prospetta la necessità di
istituire degli enti pubblici strumentali. L’organizzazione e la costruzione dell’apparato non è altro che il
prodotto della storia. Atteggiamenti del legislatore già presenti nel passato. Le fonti dell’autonomia
amministrativa sono diverse per le regioni ordinari e speciali: nel primo caso art 118 cost, nel secondo caso
negli statuti. In entrambi i casi l’autonomia amministrativa si fondava su un principio di parallelismo delle
funzioni solo tendenziale. 1. Delega di funzioni 2. Trasferimento di funzione 3. Avvalimento. Per le regioni
speciali invece si applica il principio del parallelismo laddove la regione o la provincia ha potestà normativa
ha anche potestà amministrativa. Principio solo tendenziale nel senso che si assiste in tutti i casi al ritaglio
verso il basso cioè su materia di competenza regionali le funzioni amministrative sono attribuite agli enti locali
dallo stato centrale. In alcuni casi queste funzione amministrative regionali vengono aumentate attraverso
delega. In generale poi le regioni sono invitate ad avvalersi o delegare agli uffici degli enti locali. Funzione
amministrative come esecuzione della legge, programmazione e pianificazione, amministrazione attiva. Per
le regioni ordinarie l’assetto delineato dall’art 118 è profondamente modificato.
Le regioni sono di fatto un nuovo ente poiché l’unica regione presente prima del 1948 era la regione Sicilia.
Una volta costituito tale ente si trattava di trasferire le funzioni. Non è un passaggio banale. Creare una
struttura ex novo comporta anche creare delle nuove competenze per assumere decisioni e interloquire con gli
altri soggetti.
Passaggio alle regioni speciali delle funzioni amministrative: avvio più semplice. Gli statuti prevedevano una
serie di materie sulle quali le regioni hanno potestà normativa. Il passaggio di funzioni amministrative avvenga
attraverso le c.d. norme di attuazione. Fonti del diritto sui generis. Sono dei decreti legislativi adottati dal
governo, ma senza previa legge delega approvata dal Parlamento. Decreti legislative senza previa legge
delega, ma sulla base di un testo predisposto da una commissione paritetica composta da rappresentanti del
governo e rappresentanti delle regioni. La corte ha detto che il testo elaborato dalla commissione è un testo
vincolante per il governo, in questo modo si dà importanza alla collaborazione tra centro e periferia. Le
trattative avvengono però in modo quasi sotterraneo. È un procedimento che a un certo punto emerge come
decreto legislativo. Forte anomalia. A contenuto norme di esecuzione, ma anche argomenti che non sono negli
statuti a condizione che lo spirito degli statuti vengano conservati. Per il passaggio invece alle regioni ordinarie
tale passaggio doveva avvenire tramite legge formale, cioè legge del parlamento. Passaggio delle funzioni
annesso al passaggio dei dipendenti statali che sarebbero diventati dipendenti regionali. In realtà poi queste
leggi sono state leggi delega con cui poi i governi hanno emanato i decreti legislativi. Si è dato ai ministeri la
facoltà di scegliere quali e quante funzioni trasferire alle regioni e i ministeri hanno chiaramente fatto
resistenza. Il trasferimento di funzioni è avvenuto a ondate, dilazionato nel tempo. Ogni ondata ha comportato
un trasferimento sempre maggiore. L’autonomia ha preso sempre più corpo. Ogni volta che si lasciava andare
una funzione in realtà tale funzione era trattenuta dallo stato centrale. Tira e molla molto complesso. Per quello
che riguarda il personale, il personale statale ha rifiutato in massa il trasferimento nelle regioni. In realtà il
personale rimase alle dipendenze dei ministeri anche se tante funzioni erano passate alle regioni, e quindi le
regioni hanno assunto nuovo personali. Surplus di personale nei ministeri, le regioni chiedono risorse per
assumere personale regionale. Leggi delega che rappresentano le tre ondate:
1. Legge n 281/1970
2. Legge n 328/1975
3. Legge n 59/1997
Prima ondata: legge finanziaria delle regioni, la legge che in attuazione dell’art 119 cost indica le risorse
finanziarie a disposizione delle regioni. Il trasferimento dovrà avvenire per settori organici. Per gruppi di
materie e materie collegate tra loro. Creare qualcosa di omogeneo. Questo trasferimento avrebbe dovuto essere
accompagnato dall’indicazione del numero di dipendenti statali da trasferire. Quante unità di personale
perdevano i ministeri e venivano acquistate dalle regioni. Sempre rispettando le attribuzioni degli enti locali.
Devoluzione controbilanciata dal riconoscimento in capo allo stato della c.d. funzione di indirizzo e di
coordinamento, ratio del limite dell’interesse nazionale che caratterizzavano le fonti primarie. In realtà il
governo approva 11 decreti legislativi in corrispondenza delle famose 11 materie dettate in costituzione previa
riforma titolo V. quindi niente trasferimento organico. E poi opera un ritaglio, ritagli arbitrari ovvero senza
ragioni.
Seconda ondata: le materie dell’art 117 cost vengono accorpate in quattro macrosettori, quindi viene effettuato
il trasferimento organico. Ordinamento ed organizzazione amministrativa, servizi sociali, sviluppo
economico, assetto ed utilizzazione del territorio. L’idea è quella di trasferire il più possibile funzioni
amministrative alle regioni, e che rimanessero in capo allo stato centrale funzioni più importanti. Confluiscono
nelle macroaree anche materie impliciti, materie funzioni a quelle indicate all’art 117 cost. Principio del
parallelismo alla rovescia. Il trasferimento nella seconda ondata ha effetti anche sulle competenze legislative
delle regioni. Tecniche del legislatore delegato di riunire materie connesse, ma anche materie implicitamente
riconducibili a quel settore ha delle conseguenze che vanno al di là delle mere funzioni amministrative. Le
competenze e le funzioni amministrative regionali definite per settori organici finiscono per far si che anche
le materie del 117 vengono ricostruite. Laddove la regione ha funzioni amministrative là gode anche di
competenze di rango primario.
Terza ondata: il regime approdato con la terza ondata è praticamente il regime attualmente vigente, nonostante
l’attuazione della riforma del titolo V. siamo di fronte alla c.d. riforma federale a Costituzione vigente.
Abbiamo ancora a che fare con la costituzione non ancora modificata. Tra stato federale e stato regionale è
una differenza di tipo quantitativo e non qualitativo. Vigente la costituzione del 48 è stato possibile
l’organizzazione dello stato e costruire il sistema delle autonomie in senso federale, spingere verso il più alto
grado di decentramento. Regionale in senso forte. Sistema di autonomie territoriale in cui il decentramento
politico e amministrativo è spinto al massimo livello. Con la legge Bassanini sono stati attribuite il maggior
numero di funzioni amministrative senza violare la costituzione. È andato oltre il dettato costituzionale nel
momento in cui l’art 118 spettano alle regioni le materie dell’art 117. Ma ne ha preservato il testo
costituzionale. Regionalismo spinto al massimo. Decentramento il più ampio possibile. Radicare verso il basso
tutte le funzioni, avvicinare l’esercizio delle funzioni ai cittadini. Lo stato snellisce la sua struttura, ma anche
le regioni devono delegare agli enti locali quindi anche le regioni devono snellire la loro struttura burocratica.
Procedimento a cascata. Principio di sussidiarietà verticale, corollari di tale principio: adeguatezza,
differenziazione, omogeneità, unicità dell’amministrazione.
Principi fondamentali: principio di responsabilità, principio di autonomia organizzativa e regolamentare,
principio della copertura finanziaria e patrimoniale, principio di completezza, principio di cooperazione fra i
diversi livelli di governo.
Principio di sussidiarietà orizzontale: chiama a svolgere le funzioni amministrative anche da parte di
soggetti della società civile. Valorizzazione delle formazioni sociali. I soggetti esterni alle amministrazioni
chiamate a compartecipare agli interessi pubblici. Ci si riferisce ad organizzazioni strutturate magari costituite
in enti. Come ad esempio camere di commercio, università. In genere enti pubblici che curano gli interessi dei
loro iscritti. Enti pubblici o privati che hanno base associativa.
Il legislatore provvede ad una serie di decreti delegati, il più importante è il 112/1998. Troviamo quasi tutto
in questo decreto. Testo organico per l’assetto delle funzioni organizzative e il riparto tra i vari livelli di
governo. Punto di arrivo del processo di trasferimento di funzioni amministrative con tutte le remore iniziato
negli anni 70. Il ministro Bassanini invece di far scrivere i decreti dai dipendenti dei ministeri, ma li fa scrivere
da soggetti esperti. Questo garantiva un miglior trasferimento delle funzioni perché i soggetti erano super
partes. Buona riuscita di questo decreto. Logica ed andamento ripetitivo della struttura del decreto. Articolo
che individua le funzioni statali soppresse, articolo che comprende elenco tassativo di funzioni statale che
rimangono in capo al governo centrale. Poi seguono una serie di articoli in cui vi è un elenco di funzioni che
vengono trasferite alle regioni e funzioni conferite ad enti infra-regionali. Ed infine il decreto prevede il fatto
che le regioni debbono individuare quali delle funzioni loro conferite dovranno essere nuovamente conferite
con legge regionale agli enti territoriali. Le regioni ordinarie aveva un termine di sei mesi per recepire il
decreto.
Tale riforma aveva finito per costruire un sistema di funzioni amministrative di un regionalismo in senso forte.
Però ricordiamo che tale riforma riguardava solo le regioni ordinarie. Il risultato quindi paradossale della
riforma emerge una asimmetria che gioca tutto a favore delle regioni a statuto ordinario. La riforma fa pendere
il piatto della bilancia a favore delle regioni ordinarie. Allo stato resta poco perché le funzioni tendono tutte
verso il basso ai sensi del principio di sussidiarietà. Si crea una sorta di specialità alla rovescia. Se la riforma
si applicasse solo alle regioni ordinarie, le regioni speciali che è ancora ancorata al principio del parallelismo,
si vede menomata. Risultato in contro tendenza rispetto al concetto che sta alla base di regione a stuto speciale,
ente regionale che dovrebbe godere di uno status di maggior favore. Status che si vede parificato al nuovo
status delle regioni ordinarie a seguito della riforma Bassanini. Il decreto 11/1998 si preoccupa di stabilire una
situazione di equilibrio, ovvero di consentire alle regioni speciali di accedere ad una maggiore autonomia
consentita alle regioni ordinarie con la riforma. Hanno diritto quindi di avvicinarsi. La riforma non avrebbe
potuto dire “tutte le funzioni amministrative che riconosce alle regioni ordinarie sono estese ex lege alle
regioni speciali” perché tali funzioni devono essere individuate nel decreto legislativo frutto della
commissione paritetica (ogni regione ha una sua funzione paritetica). Il riequilibrio, quindi, arriva in
commissione paritetica. Le commissioni paritetiche però decidono molto lentamente, quindi la fase di
riequilibrio è stata estremamente lunghe. Rincorsa lenta delle regioni speciali.
Riforma titolo V in particolare riforma dell’art 118 cost: il vecchio articolo consentiva immediatamente le
funzioni delle regioni, il nuovo articolo è più sibillino. Dice sostanzialmente secondo quali criteri queste
funzioni devono essere allocate. Criteri secondo cui a quali enti devono essere poste in capo certe funzioni. Il
primo comma costituzionalizza l’idea di fondo che aveva innervato la riforma Bassanini. Costituzionalizza il
principio di sussidiarietà temperato dal principio di differenziazione ed adeguatezza. Vi è una tendenziale
preferenza per i comuni ovvero il livello di governo più basso, più vicino alla popolazione. Se poi il comune
non è in grado per esercitare una funzione, tale funzione viene trasferita al livello di governo più alto. Se però
leggiamo il secondo comma ne evinciamo che ci sono delle funzioni che sono già a prescindere allocate ai
vari livelli governative. Sembra un ritorno al modello universalistico. Sembrano due primi commi, che però si
escludono.
Lettera p art 117 cost post-riforma titolo V: funzioni invarianti ed indefettibili, cioè quelle che
effettivamente spettano a ciascun livello di governo indipendentemente da qualsiasi caratteristiche di quel
particolare livello di governo. Funzioni che ad esempio spettano sia al comune polvere e al comune di Milano.
Funzioni che devono essere per forza allocate a quel livello di governo. Queste funzioni fondamentali erano
inserite nel TUEL che però sono state riviste da un decreto del 2012 e legge del rio del 2014.
Le funzioni fondamentali sono quelle funzioni attribuite ai vari enti locali indipendentemente dalle
caratteristiche dell’ente. Funzioni fondamentali sono le funzioni indefettibili, per tali funzioni non si applica
il principio sussidiario.
Roma capitale come ente locale che sostituisce di Roma. Il sindaco di Roma è sindaco di Roma Capitale.
Roma capitale ricompresivi di una serie di municipi. Ci sono funzioni ulteriori rispetto alle funzioni tipiche
dei comuni.
Le funzioni amministrazioni che siano proprie o conferite o fondamentali sono SEMPRE attribuite con legge
statale o legge regionale. Il diritto amministrativo sottostà al principio di legalità. L’art 118 cost si applica solo
alle regioni ordinarie. A seguito della riforma per le materie sulle quali la regione ha potestà legilslativa in
base allo statuto si applica il principio del parallelismo. Per le materie sulle quali la regione acquista potestà
legislativa ex art 10 legge cost n3/2001 spetterebbero le funzioni amministrative sulla base del principio di
sussidiarietà ex art 118 cost.
CHIAMATA IN SUSSIDIARIETA: l’allocazione delle funzioni amministrative è di competenza esclusiva
della legge statale o regionale a seconda che la materia sia di competenza legislativa dello stato o della regione.
Il principio di legalità mi dice anche che la stessa fonte che colloca una funzione amministrativa ad un certo
livello di governo deve essere quella stessa che regola quella stessa funzione. Allocazione e disciplina e
funzione amministrativa. Se l’allocazione della funzione spetta allo stato perché la materia è dello stato sarà
una legge dello stato a disciplinare tale funzione. Antefatto ricorso alla Corte costituzionale della legge
433/2001 regime speciale e derogatorio per le procedure di appalto per la realizzazione degli insediamenti
strategici di preminente interesse nazionale, irrinunciabili per lo sviluppo economico del paese. Opere che
sono state ricondotte alla competenza dello stato. Realizzazioni di infrastrutture strategiche. Lo stato con
questa legge ha scippato una serie di funzioni alle regioni stesse. Violazione dell’art 117 cost secondo le
regioni, e violazione del 118 cost. La corte riconosce l’istituto dell’attrazione o chiamata in sussidiarietà.
Il principio di sussidiarietà ha un’attitudine di ascensore. Bisogna scegliere il livello di governo più adatto.
Impone una risalita verso l’alto laddove la funzione sia meglio esercitata verso livelli più alti. Ci sono delle
istanze, necessità che certe funzioni siano svolte in maniera unitaria su tutto il territorio nazionale, funzioni
che vanno al di la dei territori delle singole regioni. Il fatto che si dica che la funzione amministrativa può
essere esercitata dallo stato non può non incidere sulle funzioni normative. Il principio di legalità richiede che
questa funzione amministrativa sia organizzata e regolata e disciplinata dalla legge, questa legge non può che
essere logicamente quella statale. Perseguimento di interessi ultraregionali. La chiamata in sussidiarietà
sia delle funzioni amministrative sia le corrispondenti funzioni normative deve essere proporzionale e
ragionevole. Inoltre, la deroga al reparto di competenze, quindi l’attrazione, deve essere oggetto di una intesa
con la regione interessata. Darebbe attuazione al principio di collaborazione. Tale intesa è un obbligo
procedimentale e non di risultato per evitare un potere di veto da parte della regione stessa.
Riguardare lezione 3 novembre
Il potere sostitutivo prima della riforma del titolo V: il potere sostitutivo che viene riconosciuto ad organi
dello stato centrale non era stato previsto in costituzione, ma vigente la costituzione del 1948 l’istituito si
affermò da una parte come mossa, su iniziativa del legislatore ordinario dall’altra con l’avallo della
giurisprudenza costituzionale. Istituto che si è formato nel silenzio della costituzione del 48, ma considerato
comunque legittimo e conforme alla costituzione. Prima ondata del passaggio delle funzioni amministrative,
i famosi undici decreti legislativi materia per materia. Mancò il trasferimento a settori organici. Oltra al
trasferimento si è provveduto anche all’assegnazioni di alcune deleghe di funzioni amministrative. Lo stato
centrale si era trattenuto il potere sostitutivo, il governo poteva sostituirsi alle regioni quando quest’ultime
avessero mancato di dare attuazione alle deleghe in particolar modo alle direttive dell’unione europea. Questo
meccanismo ricevette l’avallo della corte con sentenza n 142/1972: lo stato e solo lo stato è responsabile
degli obblighi comunitari poiché è responsabile dei rapporti all’estero. La circostanza che la funzione di
attuazione di norme comunitarie possa essere riconosciuta ad enti territoriali porta con se e presuppone che
lo stato centrale abbia degli strumenti adeguati per far si che gli impegni assunti a livello comunitario vengano
rispettati. Superare inerzia ed inadempimento da parte delle regioni. Laddove solo la funzione sia delegata si
può concepire il potere sostitutivo, collegamento del potere sostitutivo alla circostanza che lo stato abbia
conservato la titolarità della funzione. Nel 75 venne approvata una legge cornice in materia di agricoltura per
attuazione di norme comunitarie. In questo caso con la legge 153 lo stato centrale trasferisce (e non delega) le
funzioni amministrative alle regioni, pur conservando lo stato centrale il potere sostitutivo. La corte deve
necessariamente intervenire nuovamente. Lo stato continua ad essere responsabile dell’attuazione degli
obblighi comunitari, titolari del potere estero. In questa ipotesi la corte afferma che lo stato centrale conserva
il potere sostitutivo anche in caso di trasferimento di funzioni, quindi ipotesi in cui lo stato ha perso la titolarità.
Se il governo non avesse questo potere risulterebbe completamente disarmato perché non avrebbe strumento
di fronte alla comunità europea l’inadempimento dei propri impegni assunti. Questo vale sia per le regioni
ordinarie sia le regioni speciali. L’esercizio del potere sostitutivo deve essere assistito da idonee garanzie: tale
potere ammesso solo in riferimento di attuazione delle direttive comunitarie. Solo nel caso di persistente
inadempimento, inerzia conclamata, inattività protratta oltre ogni ragionevole limite. Tale esercizio del potere
deve essere autorizzato dal consiglio dopo aver sentito il presidente della regione che dovrebbe motivare le
ragioni della mancata attuazione, potrebbe quindi lo stato centrale accogliere tali giustificazioni. Nel
frattempo, arriva la legge 382/1975 corrispondente alla seconda ondata di trasferimento, quella per settori
organici. In questa legge resta il potere sostitutivo in presenza di funzioni delegate e viene meno il richiamo
al rispetto degli obblighi comunitari. Potere sostitutivo che spetta al governo quale che sia le funzioni affidate
alle regioni, sia che siano delegate o trasferimento, e a prescindere dalla presenza di obblighi comunitari.
Potere sostitutivo sempre giustificato. Notiamo che non esiste un limite temporale per l’esercizio del potere
sostitutivo. Ci troviamo adesso nella terza ondata di trasferimento corrispondente alla legge Bassanini, legge
in cui viene disciplinato il c.d. conferimento di funzione. Ciascuna regione deve adottare delle leggi per
allocare le funzioni che gli sono state conferite agli enti locali, passaggi a cascata da effettuarsi nel breve
termine di sei mesi. La legge Bassanini parla di potere sostitutivo non a funzione amministrative, ma
relativamente a funzioni legislative. Laddove la regione non intervenga con una legge regionale, lo stato
centrale ha il potere di intervenire con un decreto legislativo. Rispetto, comunque, del principio di leale
collaborazione, il governo infatti può sostituirsi solo dopo aver sentito le regioni. Potere nato nel silenzio
della costituzione del 48, ma comunque riconosciuto come implicito dalla Corte costituzionale. Potere
che nasce in relazione inizialmente agli obblighi comunitarie, altre volte in relazione a funzioni delegate. In
un primo momento ciò che emerge è la necessità di attuare il diritto comunitario. In un secondo momento
l’esercizio di tale potere si sgancia da questa iniziale necessità.
Potere sostitutivo post-riforma del titolo V: tale potere oggi viene espressamente previsto dalla costituzione
al quinto comma dell’art 117 costituzione. Lo stato è l’unico soggetto titolare del potere estero. La regione
non è titolare del potere estero. Più si accentua l’autonomia degli enti infrastatuali più è importante che certi
obbiettivi siano raggiunti, responsabilità che deve essere attribuita allo stato. Secondo l’art 120 cost il potere
sostitutivo è giustificato: quando è necessario garantire il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari,
la salvaguardi dell’incolumità e della sicurezza pubblica, tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, la tutela dell’unità giuridica ed economica che si richiamano ad interessi
naturalmente facenti capo allo stato come ultimo responsabile del mantenimento dell’unità ed indivisibilità
della repubblica. L’idea in tema di unità giuridica ed economica era un’idea radicale, si pensava che la
regione con interventi legislativi ed amministrativi potesse avere intenzioni secessioniste. In realtà la corte
è tornata sull’interpretazione ed ha affermato che il potere sostitutivo è esercitabile in caso di inerzia di una
regione nell’applicare una sentenza della corte o la sua applicazione distorta potrebbe ledere l’unità giuridica
ed economica. A maggior ragione in caso di diritti civili e sociali delle persone. Sul procedimento e
presupposti per il legittimo esercizio di tale potere è intervenuto a più ripreso dalla Corte costituzionale,
integrato poi dalla legge ordinaria con la legge n 131/2003. L’esercizio del potere sostitutivo deve essere
regolato dalla legge, definirne i presupposti sostanziali e procedurali. La sostituzione deve riguardare il
compimento di atti o attività prive di discrezionalità nell’an (ipotesi in cui la regione può decidere se adottare
un atto oppure no, quindi la non scelta non può essere considerata inerzia). Il potere è attribuito al governo
oppure sulla base di una decisione del governo il potere viene affidato ad un commissario ad acta. In ogni caso
nell’esercizio del potere sostitutivo deve essere rispettato il principio di leale collaborazione. La legge invece
131 definisce il procedimento: prima che il governo possa esercitato il potere deve sussistere un’attività
prodromica. Interlocuzione seria e protratta tra governo e regione. Il presidente del consiglio, su proposta del
ministero competente, assegna all’ente un termine (mette in mora l’ente). Decorso inutilmente in termine, il
consiglio convoca l’organo interessato, il consiglio può adottare direttamente i provvedimenti necessari
oppure nomina un commissario ad acta. In ogni caso a tale convocazione partecipa il governatore della
regione. In caso di estrema necessità il governo può agire senza tale convocazione, ma comunque le decisioni
prese vengono comunicate in conferenza stato-regioni. I poteri sono: atti amministrativi anche generali,
ordinanze contingibili ed urgenti. Inoltre, il Consiglio dei ministri è legittimato ad intervenire anche un con
decreto-legge e regolamenti. Le ipotesi definite dal 120 non sono le sole esclusive, si concede con legge di
ampliare i casi in cui è esercitabile il potere sostitutivo. Tale potere infatti spesso è previsto da leggi di settori,
come ad esempio norme in materia di disavanzo sanitario delle regioni. Stipula dei piani di rientro. La legge
191/2009 sembrava che autorizzasse il commissario ad acta ogni atto e provvedimento non solo
amministrativo, ma anche normativo. Caso Loiero
AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE REGIONI:
Con autonomia finanziaria intendiamo: capacità impositiva (possibilità per l’ente di determinare le forme per
procurarsi entrate) e capacità di utilizzare le risorse senza vincolo di spesa (autonomia di spesa). Aspetti
strettamente correlati con l’autonomia politica. Autonomia finanziaria coessenziale all’autonomia politica.
La costituzione del 1948:
Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la
finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni. Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione
ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali. Per provvedere a scopi determinati, e
particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali. La
Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.

Primo pilastro è quello delle entrate. Quanto sono libere le regioni di imporre le forme per ottenere entrate?
Secondo l’art 119 precedente alla riforma le regioni godono di tributi propri, quote di tributi erariali
(finanza di trasferimento), contributi speciali, concessioni per i beni del demanio e del patrimonio
regionale.
Tributi propri in senso stretto→ ovvero tributi imposti dalle regioni, ovvero stabilire il presupposto d’imposta,
il soggetto attivo e quello passivo, le base imponibile, il metodo di calcolo, le sanzioni.
Tributi propri (o meglio derivati)→ tributi istituiti con legge statale e devoluti interamente alla regione.
Legge 281/1970 è la c.d. legge finanziaria per le regioni. Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle
regioni a statuto ordinario. Questa legge rappresenta la prima ondata di trasferimento delle funzioni
amministrative alle regioni. Venivano individuate delle entrate statali che poi venivano trasferite alle
regioni. Entrate che derivano dall’erario verso le regioni. Per questa tipologia di tributi la legge riconosce alle
regioni una mera potestà di fissazione delle aliquote fra un minimo ed un massimo fissati dalla legge stessa.
Intervallo spesso molto ristretto, quindi i tributi propri sono tributi propri devoluti. Visto che la legge statale
riconosceva questa tipologia di tributi ci si domandava se residuava alle regioni la possibilità di imporre tributi
propri in senso stretto? In realtà è intervenuta la corte sulla questione con sentenza, incostituzionalità di una
legge regionale che stabilisce l’importo di una tassa in misura superiore al massimo fissato dalla legge statale,
superato il limite fissato dalla legge dello stato. Ipotesi che significherebbe che la regione avesse creato un
nuovo tributo. Non riconoscimento di una vera e propria autonomia finanziaria. Se questo valeva se la legge
regionale aveva semplicemente superato il limite, a maggior ragione quando la legge statale non esisteva.
Inoltre, la legge trasferiva una parte dei tributi erariali alle regioni. Le regioni partecipavano ad una parte del
gettito delle risorse incamerate dallo stato. Costituzione di un fondo comune. Quote che alimentavano un
fondo comune al quale poi accedevano tutte le regioni. Somme che venivano assegnate venivano ripartite sulla
base di alcuni criteri. Ricordiamo che questa legge era una legge delega. La percentuale maggiore del fondo
era assegnata in proporzione alla cittadinanza della regione, tutti gli altri correttivi non erano in grado di
controbilanciare il criterio legato al numero dei residenti. La maggior parte di questi fondi sono stati assegnati
alle regioni del nord. Misura che accentua la differenza tra nord e sud. Per far fronte ad eventuali asimmetrie
prevede i contributi speciali per scopi determinati, solitamente riconosciuti alle regioni del sud. Poi fondo
per il finanziamento dei programmi regionali di sviluppo. Un'altra voce erano le concessioni per i beni
del demanio e del patrimonio regionale. Alle regioni veniva riconosciuto il demanio, venivano trasferiti dei
beni che erano già del demanio (beni demaniali definiti dal codice civile all’art 822). Patrimonio sono i beni
che appartengono alle regioni diversi dai beni demaniali e i beni trasferititi dalla legge al patrimonio
indisponibile della regione. Il demanio e il patrimonio regionali sono stati incrementati successivamente alla
riforma del 2001, si è trasferito un alto numero di beni che era rimasto in mano allo stato. Quali effetti ebbe la
legge 281/1970? I c.d. tributi propri attribuiti consistevano in realtà in entrate molto limitate. Coprivano una
percentuale estramemnte esigua delle reali spese regionali. Ricordiamo che il trasferimento era stato fatto alla
cieca. Nessun’altra voce del bilancio regionale era in grado di coprire le spese effettuate. Le regioni si
trovarono quindi in deficit dall’inizio. Strumenti insufficienti. Da dove si prendevano allora i soldi? Seguendo
un percorso parallelo rispetto a quello previsto dall’art 119 cost. Una legge dello stato di volta in volta
trasferiva alle regioni somme di denaro dai ministeri di riferimento, somme trasferite con vincolo di spese.
Sono i c.d. fondi settoriali. Erano in genere tutte leggi cornice. Se l’80% dei finanziamenti statali arrivano con
vincolo di destinazione (es materia di sanità e trasporti) è evidente che l’autonomia delle regioni per quello
che riguarda la capacità di allocare le risorse finanziare è decisamente compressa, se non erosa del tutto.
Malgrado il dettato costituzionale dell’art 119. In realtà le regioni non si sentirono mai obbligate a rispettare i
vincoli di spesa imposti dalla legge statale. L’evoluzione patologica dello stato sociale è lo stato assistenziale.
È lo stato che cerca di garantire tutto a tutti a fronte di moltissimi fattori. A volte lo si fa per ottenere consenso
politico, lo stato arriva al default. Ma non avendo sufficienti risorse le regioni cominciarono a fare un
massiccio ricorso ai debiti, ad esempio attraverso la stipula di contratti di mutuo. Anche quando i nodi
venivano al pettine, il legislatore statale contro ogni principio di pedagogia ripianava i bilanci di deficit delle
regioni. Quindi non si prevedevano sanzioni, soprattutto se il colore politico dello stato centrale e quello delle
regioni era lo stesso. Fenomeno che si chiama perequazione avveniva sulla base della c.d. spesa storica,
meccanismo premiante per quelle regioni che avevano sforato i bilanci. Effetto carta moschicida: chi spende
è molto reattivo agli aumenti di trasferimenti e molto poco reattivo alle riduzioni; una volta che i soldi sono
stati destinati ad un determinato soggetto è come se rimanessero appiccicato. Innesca un circolo vizioso. Se la
regione ha la certezza che le spese saranno comunque ripianate parte già male, non tenta nemmeno di stare
dentro al budget. Aspettativa da parte dei governi regionali, aspettativa accresce dall’inizio la probabilità che
le regioni sfori. Credibilità del soggetto che eroga. Sindrome da vincolo di bilancio soffice. (riprendere gli
appunti di diritto sanitario in tema di usl).
Negli anni 80 qualcosa comincia a cambiare qualcosa, modello tacher modello del welfare state. Il legislatore
comincia piano piano ad intervenire. Il legislatore comincia ad erogare finanziamenti alle regioni soltanto con
leggi finanziarie, non sono quindi più fondi settoriali, ma sono fondi erogati annualmente. Dall’altra parte
comincia questo tentativo di fare un po’ marcia indietro, tentare di contenere la spesa delle regioni facendo
dei tagli ai trasferimenti. Si danno meno soldi. Questa tendenza verrà anche avallata dalla corte costituzionale,
l’art 119 non dice quanti finanziamenti devono arrivare alle regioni a patto che il ridimensionamento
non sia tale da menomare le funzioni delle regioni.
Anni 90, periodo del federalismo fiscale a costituzione invariata: periodo corrispondente alla legge
Bassanini. Sono gli anni della riforma della repubblica amministrazione con la legge 240/1999. Si riorganizza
il sistema sanitario. Sul fronte delle entrate riconoscimento di un più consistente spazio di capacità impositiva
delle regioni. Sul fronte delle spese la rivalutazione dell’autonomia delle regioni per la gestione delle risorse
che transitano dal loro bilancio. Primi tentativi dello stato di costruire un sistema con un regionalismo più
marcato, dal punto di vista politico sono gli anni in cui nasce la Lega. Manca ancora una vera capacità
impositiva. Lo stato non riesce ancora ad affrancarsi dalla tendenza a ripianare il disavanzo dei bilanci
regionali sulla base della spesa storica. Modello lombardo e modello toscano come risposta alla riforma del
sistema sanitario del 1992. La Lombardia è la scelta più aderente al dettato legislativo perché effettivamente
scorpora i suoi ospedali e accredita sia le aziende pubbliche sia quelle private. Si innesca un meccanismo
perverso, la sanità privata offre le prestazioni più costose. I soldi pubblici vanno a remunerare i privati che
contrattano con le asl. Le aziende ospedaliere pubbliche hanno pochi soldi, fanno solo le operazioni di routine.
Le strutture pubbliche lombarde vengono estremamente ridotte. La toscana invece effettua una scelta diversa:
le asl mantengono al loro interno gli ospedali, ad eccezioni delle aziende ospedaliere universitarie. Si sono
scorporate solo le aziende universitarie. La asl acquista dall’esterno le prestazioni erogate dai privati, ma
quando acquista le prestazioni dalle proprie strutture interne vengono remunerate attraverso il criterio della
spesa storica. La spesa sanitaria in Italia è cresciuta perché il legislatore statale non è riuscito ad affrancarsi
sulla base del rimborso fatto con la spesa storica.
Legge finanziaria per il 1996 → eliminazione del fondo, comunque, e delle sue voci, eliminazione del fondo
per i programmi regionali di sviluppo, elimina i fondi settoriali che erano rimasti fuori dal fondo comune e
anche i fondi della sanità e del trasporto pubblico. Si semplifica il quadro perché alle regioni vengono
riconosciuti dei tributi propri attribuiti che dovrebbero coprire il fabbisogno delle regioni. Quota sull’accisa
della benzina. Tassa regionale dsu. Tributo per il conferimento di rifiuti in discarica e agli inceneritori.
L’accisa è un’imposta che grava sulla vendita di prodotti di consumo, è diversa dall’iva perché l’iva grava sul
prezzo del prodotto. Le accise vengono applicate sulla quantità di produzione di un prodotto. Dovevano essere
imposte per problemi e cause specifiche. In realtà poi si sono accumulate tutte insieme, aliquota unica. L’idea
era che le regioni fruissero di una parte delle accise che sostanzialmente che lo stato poi avrebbe preveduto
che l’eventuale differenza tra quelli che erano i finanziamenti che spettavano alle regioni e gli introiti delle
regioni sarebbe stato colmato tramite fondo perequativo alimentato da risorse statale. Intervento sussidiario
dello stato. Il fondo perequativo finiva poi per alimentare comunque principalmente le regioni più in difficoltà
e quindi le regioni del sud. Attraverso questi finanziamenti le regioni non sono in grado di svolgere il proprio
operato, mentre lo stato persevera nel cercare di contenere le spese pubbliche.
Legge 133/1999 e d.lgs. 56/2000 → la legge 133 all’art 10 incarica il governo per costruire il c.d. federalismo
fiscale. Immaginiamo di voler costruire un’azienda e di aver bisogno di finanziamenti e immaginiamo di
vincere l’enalotto. Immaginiamo invece di chiedere ai nostri amici e parenti di finanziare la nostra azienda.
Nel primo caso non si bada molto al risultato, mentre nel secondo caso ci sentiremo più obbligati al
raggiungimento del risultato. Il principio di responsabilità di spesa e responsabilità delle entrate. Le
regioni prende i soldi dalle collettività, ma tali soldi non arrivano dai cittadini ma dallo stato, stato come entità
non tangibile. Se la regione ha finanziamenti che derivano dallo stato si preoccuperà fino ad un certo punto di
spendere in maniera efficiente le somme percepite dallo stato. Corrispondenza tra chi spende e chi fornisce
le risorse. D.lgs. 56/2000 → Nuovo fondo perequativo alimentato dalle regioni questo dovrà coprire i
LEU.
REGIONI A STATUTO SPECIALE post riforma: godono di un’autonomia maggiore. Hanno l’obbligo
dell’equilibrio di bilancio applicabile a tutte le autonomie speciali. Soggette al rispetto dei principi di
coordinamento della finanza pubblica.
AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO DOPO LA RIFORMA
DEL TITOLO V → la riforma modifica l’art 119 costituzione. Legge costituzionale n.3/2001 modifica l’art
119 costituzione. Altra importante riforma è la legge costituzionale n. 1/2012. Principio del pareggio del
bilancio, è la legge che modifica l’art 81 cost introducendo il c.d. fiscal compact. Introduce vincoli sul bilancio
statale, vincoli che avranno dei riflessi anche per i bilanci delle singole regioni. Si impone alle pubbliche
amministrazioni di mantenere l’equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito pubblico. Viene modificato
anche l’art 117 perché stralcia l’armonizzazione dei bilanci pubblici della competenza concorrente e la risporta
alla competenza esclusiva dello stato. Nuovo articolo 119:
“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate
propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo
perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti
di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale,
per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi
diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di
determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un
proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato (3). Possono ricorrere
all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione dei piani di ammortamento e a
condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio (4). È esclusa ogni garanzia
dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti”

Questa norma deve comunque essere letta alla luce dell’art 23 costituzione. In realtà vi è asimmetria tra regioni
e gli latri enti locali. Ne consegue che la possibilità di stabilire dei tributi propri può essere attribuita in realtà
alle sole regioni. Si conferma la possibilità di stabilire ed applicare tributi con leggi. A loro volta le regioni
partecipano a quote di gettito erariali in riferimento ai loro territori. Viene istituito un fondo perequativo per
le regioni con minor capacità fiscale per abitante, senza vincolo di destinazione. Questo fondo viene alimentato
dalle regioni stesse. Tutto ciò dovrebbe coprire integralmente il finanziamento per le funzioni pubbliche
attribuite, fatta salva la possibilità per lo stato di riconoscere risorse aggiuntive per riequilibrare situazioni di
asimmetria economico e sociale. Si conferma i vincoli per il ricorso all’indebitamento, ma solo per le spese di
investimento ed a certe condizioni. Golden rule: il ricorso all’indebitamente è consentito solo per contribuire
per i finanziamenti di investimenti, ma non per pagare le spese correnti. Ci si può indebitare solo per poter
investire. Si riconosce alle regioni un proprio patrimonio a loro attribuito. Con proprie leggi regionali le regioni
possono direttamente istituire tributi nei limiti e previa legge statale. Sui tributi propri delle regioni è
intervenuta la corte costituzionale, la quale ha detto che i tributi propri sono solo quelli istituiti dalle leggi
regionali, non sono quindi i c.d. tributi propri attribuiti. Da questo è possibile desumere un elenco di tributi
secondo questo criterio rigido sono tributi regionali, ma non possono essere considerati tributi propri come ad
es la tassa regionale sul diritto allo studio universitario. Per questi tributi la legge dello stato infatti è molto
dettagliata. Divieto della doppia imposizione.
Quali sono i limiti all’autonomia? I primi limiti sono già elencati nell’art 119 cost primo comma. Rispetto
dell’equilibrio di bilancio e l’obbligo di osservare i vincoli economici e finanziari derivanti dalla appartenenza
alla Unione europea. Rispetto della c.d. armonia con la Costituzione da intendersi come necessario rispetto
non solo delle singole disposizioni, ma anche dello spirito della Costituzione. Rispetto dei principi dii
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario fissati dal legislatore, sulle entrate è
rappresentato dal divieto di doppia imposizione del medesimo presupposto. Fino al 2011 la corte
costituzionale ha sempre detto che per garantire l’autonomia finanziaria, l’intervento delle regioni doveva
tradursi nel limite complessivo della spesa. Incostituzionali quelle norme statali che avevano tentato di
individuare modalità concrete per limitare le spese. Limiti di spesa puntuali diventano dei principi. A seguito
della riforma del 2001 ci domandiamo se le regioni godono realmente di autosufficienza finanziaria. Le regioni
a statuto speciale incassano molto di più di quanto spendono. Per quanto riguarda le regioni ordinarie le entrate
non coprono le spese, fatto più marcato per le regioni del sud.
La legge delega n. 42/2009 introduce una serie di principi e criteri direttivi. Alle regioni devono essere
riconosciuti risorse autonome in misura adeguata al finanziamento integrale delle funzioni attribuite,
determinato sulla base dei costi e fabbisogni standard individuati dalle norme statali. Si ritrova il criterio
della territorialità e previsione di meccanismi perequativi. Principio fondamentale perché era già precedente
al 2001 quello della responsabilità di spesa e responsabilità delle entrate. Coincidenza o correlazione tra
prelievo fiscale è spesa. Dal punto di vista delle spese, le entrate dovrebbero coprire interamente l’esecuzione
delle funzioni correlate alle materie attribuite dall’art 117 o eventualmente di quelle funzioni amministrative.
Spese LEP e spese non-LEP. (le regioni in genere sono incapaci di accedere alle risorse e finanziamenti
provenienti dall’unione europea poiché tali richieste sono molto complesso, master in euro-progettazione). Le
spese LEP sono le spese che sono correlate ai livelli essenziali delle prestazioni, si teatta di quelle spese
correlate ai diritti fondamentali sia civili che sociali relativamente ai quali la corte si è espressa. La corte ha
detto che l’importo di queste spese deve essere correlata alla garanzia del contenuto minimo ed essenziale del
diritto. I c.d. diritti di prestazione, livelli base del diritto. qui lo stato può andare in perdita, nucleo
incomprimibile. Principio universalistico. Spese non LEP spese non riconducibili all’art 117. Le spese LEP
sono quelle correlate all’art 117 lettera m. Tra le spese non LEP rientra il trasporto pubblico locale, in realtà
tale spesa grava sugli enti locali, però la regione contribuisce all’organizzazione del trasporto pubblico,
finanziamenti dei servizi minimi laddove magari il tratto non sia economicamente produttivo. Il legislatore
però ha sempre considerato il TPL rientrante nelle spese LEP. Lo si considera un servizio pubblico essenziale.
Viene introdotto il c.d. patto di convergenza, è un processo che porta ad un obbiettivo comune ovvero
raggiungimento di uguaglianza tra tutte le regioni. Vengono inoltre introdotti meccanismi premiali e
meccanismi sanzionatori. Si suggerisce come potrebbero le regioni raggiungere l’equilibrio del bilancio.
Forme premiali per regioni che abbiano ottenuto risultati positivi nel contrasto all’evasione ed all’elusioni
fiscali. Forme sanzionatorie: divieto di assunzioni a tempo indeterminato, divieto di iscrivere a bilancio spese
per attività discrezionali, meccanismi automatici a carico dei vertici politici ed amministrativi degli enti.
MISURE DI SOSTEGNO FINANZIARIO IN RELAZIONE ALL’EMERGENZA COVID: decreto cura
Italia, decreto rilancio, decreto agosto, decreto sostegni. Sostegno finanziario agli enti territoriali anche in
relazione alla perdita di gettito da entrate proprie (i cittadini non riuscivano a pagare le tasse, gli enti locali
non hanno riscosso tributi). Istituzione del fondo per l’esercizio delle funzioni in materia di sanità, assistenza
e istruzione delle regioni. Fondo per concorso nell’acquisto di DPI. Fondo ristori per mancato gettito
dell’IRAP.
LE REGIONI IN UN SISTEMA DI GOVERNANCE MULTILEVVOLO: ci sono delle ipotesi in cui le
regioni partecipano direttamente a delle funzioni statali come, ad esempio, l’elezione del presidente della
repubblica, diritto di iniziativa legislativa per leggi ordinarie e costituzionale, richiesta di referendum
abrogativo o costituzionale, richiesta di accesso a più ampie forme di autonomia. Commissione parlamentare
per le questioni regionali, partecipazione che dovrebbe essere prevista dai regolamenti parlamentari. Non
esistono oggi regolamenti di tal tipo forse per ragioni prettamente politiche. l’art 83 cost al comma 2 prevede
che all’elezioni del presidente partecipino tre delegati per ogni regione eletti dal consiglio regionale. In totale
i delegati regionali sono 58, i quali rappresentano il 5,8 per cento del totale. Con la legge costituzionale
n.1/2020 mediante la quale si è operato il taglio dei parlamentari il numero dei delegati è rimasto di 58 con
incidenza quindi dell’8,8%. Volendo riportare la % percentuale a quella precedente alla legge ad un numero
di 39 delegati per regioni con incidenza del 6%.
Regionalismo garantista è un modello che tutela le regioni da ingerenze statale, sfera di autonomia che il
legislatore non avrebbe potuto toccare. Le regioni però non sono due monadi separate. Il titolo V deve essere
letto alla luce della teoria del regionalismo cooperativo e del conseguente principio di leale collaborazione.
Scelta condivise anche per le materie attribuite in via esclusiva alle regioni. Il principio di leale collaborazione
si affida a meccanismi di raccordo: 1. Organi composti da rappresentanti del centro e dell’ente territoriali 2.
Procedimento che prevede collaborazione da parte di tutti i livelli di governo. Molto spesso le decisioni dei
vari livelli di governo sono precedute da accordi che fanno si che la volontà politica e regolatoria dei vari
livelli sia omogenea. Espressione di decisioni omogenee. Le intese sono un istituto amorfo, proteo multiforme.
Intesa forte è quella insuperabile, se tale intesa non è stata raggiunta chi la doveva acquisire non l’ha acquisita
non può operare. Se invece l’intesa è debole basta che si dimostri di aver attivato il procedimento. L’intesa
può essere imposta o dalla legge o dalla costituzione. Accordi, accordi di programma, convenzioni,
coordinamento preventivo strumenti per operare in modo omogeno. Pareri possono essere vincolanti e non
vincolanti. La cooperazione può essere sia verticale sia orizzontale. Prima della riforma del titolo V era
pacifico che il dialogo tra stato e regione c’era se era previsto solo dal legislatore statale, era pacifico che le
regioni potessero intrattenere rapporti tra loro; in vari statuti erano previsti meccanismi di raccordo tra varie
regioni. Il legislatore statale aveva tentato di limitare queste iniziative per cui aveva messo dei limiti. Ad
esempio, possibilità di stipulare intese tra regioni confinanti. In realtà le regioni se ne sono sempre fregate. Le
intese possono essere stipulate anche con gli enti locali, con le associazioni private. Strumento per raggiungere
degli obbiettivi e predeterminare il contenuto delle decisioni degli enti. Dopo la riforma la cooperazione
orizzontale è stata costituzionalizzata nell’art 117 comma 8. Impone la riserva di legge regionale per la ratifica.
L’intesa, quindi, deve essere validata dalla legge regionale, solo le fonti regionali e lo statuto possono
disciplinare le forme di collaborazioni tra regioni. Si parla di intese siglate dalle regioni per il miglior esercizio
delle funzioni proprie. Regolare reciprocamente i rapporti, in particolare per la cura di interessi interregionali.
Mutuare scelte condivide da sottoporre ad altri livelli di governo (stato ed UE). Oggetto dell’intesa è
rappresentato sull’esercizio coordinato sia di funzione amministrative sia funzioni normative → diritto
interregionale. Vi è inoltre la possibilità che la legge statale preveda intese tra regioni, quantomeno su materie
di competenza esclusiva dello stato. L’art 117 prevederebbe che tutte le intese stipulate fossero poi ratificate
dalla legge della regione, le regioni però avrebbero fatto i c.d. accordi in forma semplificata del diritto
internazionale.
Raccordo per organi → si sono previste sedi stabili in cui i livelli di governo si incontrano con cadenz
abbastanza regolare. Questi luoghi sono diversi perché ci sono delle sedi che consentono il dialogo tra il
governo centrale e gli enti territoriali (conferenza stato regioni, stato città ed autonomie locali, conferenza
unificata, permanente per il coordinamento della finanza pubblica), sedi di raccordo tra enti regionali
(conferenza delle regioni e province autonome, conferenza dei presidenti delle assemblee legislative), sedi
non istituzionali (ANCI e UPI). Anci e Upi sono associazioni di diritto privato, ma sono spessissimo
richiamate dalle leggi, quindi partecipano ad organismi pubblici.
Conferenza Stato-Regione: è nata nel 1983, ma istituita ufficialmente dalla legge 400/88. Ministri ed assessori
regionali si trovavano insieme per parlare di ripartizioni da erogare, stabilire delle nomine ecc sistema di
contatti e collegamenti escludeva il presidente del consiglio e il presidente della regione. Meccanismo di
collegamento diretto. Oggi è la sede privilegiata per il raccordo tra centro e periferia. Concezione orizzontale,
è collegiale. Decisioni condivise. Luogo in cui il principio di leale collaborazione trova la sua naturale
attuazione. Composto dal presidente del consiglio o sostituito dal ministro per gli affari regionali, presidenti
delle regioni interessate, più eventuali ministri interessati. Attività: pareri ed intese. Voto per delegazioni.
Prima della riunione della conferenza stato regione i vari presidenti di regioni si riuniscono nella conferenza
delle regioni e delle province autonome. Il vero dibattito avviene nella conferenza preliminare e si cerca di
trovare posizione condivisa, a quel punto se tale soluzione c’è si presenta un solo presidente della regione
rappresentante di tutti gli altri. Sfumano le posizioni politiche, contrapposizione tra regioni e centro. Devono
trovare un accordo a prescindere del coloro politico del governo e delle regioni.
Queste conferenze sono ancora attive, ma si sono creati canali di dialoghi diversi e paralleli. Si parla a volte
di “fuga dalle conferenze”. Ad esempio, incontri a livello politico fra governo e autonomie territoriali e
formalizzazione in sede conferenza stato regione. La sede della conferenza diventa il luogo in cui
semplicemente si formalizza ciò su cui le parti si sono accordate in questi canali di dialogo alternativi. Le
regioni inoltre hanno cercato canali privilegiati di contatto diretto con il governo, soprattutto laddove il
governo regionale e quello nazionale possiedono il medesimo colore politico. Sono poi state istituite le c.d.
cabine di regina che sono nuovi organismi che sostituiscono le conferenze.
Rapporti all’estero ed unione europea → solo lo stato possiede il potere estero, le regioni non possono
stipulare trattati internazionali. Solo la Sardegna può partecipare alla stipulazione di trattati internazionale che
abbiano ad oggetto commercio strategico per questa regione. Prima della riforma del 2001 sia gli statuti
speciali, sia i decreti di attuazione e la corte hanno riconosciuto alle regioni la possibilità di trattenere rapporti
all’estero. 1. Attività promozionali all’estero, per acquisire visibilità per il turismo e per il commercio dei
propri prodotti sempre previo consenso e parere del governo centrale 2. Attività di mero rilievo internazionale,
nei confronti di enti stranieri omologhi, per affrontare problemi comuni. Dopo la riforma del titolo V ci si è
occupato della questione. Le regioni possono dare seguito ai trattati internazionali nelle materie di competenza
regionali, scrivere le norme di dettaglio. Procedura osservata dal ministero degli esteri.
L’art 117 prevede al comma cinque prevede che le regione partecipino sia alla fase ascendente e discendente
per gli impegni europei. Fase discendente: legge di delegazione europea e legge europea + legge europea
regionale. Nella fase ascendente: a livello europeo, a livello nazionale. A livello europeo è stato istituito il
comitato delle regioni organo consultivo di commissione, consiglio e parlamento su temi concernenti interessi
locali o regionali. Possono ricorrere alla corte di giustizia nel caso di violazione del principio di sussidiarietà.
A livello nazionale le regioni hanno il diritto di far partecipare alla formazione degli atti comunitari sia in
modo diretto sia in modo indiretto.

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