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Dal sistema prefettizio alla Repubblica delle autonomie

Le prime iniziative regionalistiche erano mirate ad un decentramento delle funzioni statali, i progetti prevedevano
l’istituzione dell’ente Regione, concepito come circoscrizione di decentramento amministrativo. Si apriva così la strada
alla piemontesizzazione dell’Italia, con l’estensione a tutti i territori del Regno della legislazione sarda del 1859
sull’amministrazione locale. Si trattava di un sistema prefettizio, in quanto l’amministrazione centrale esercitava il
controllo sugli enti locali (Province e Comuni) attraverso una rete di organi che facevano capo al Prefetto. La scelta per
un sistema amministrativo uniforme e centralizzato sembrava segnare l’abbandono dell’ipotesi regionale. L’idea era
quella di costruire Regioni aventi competenze su materie determinate, lasciando allo Stato la cura delle questioni
nazionali. Anche in questo caso il progetto non ebbe seguito per paura che una riforma regionale arrecasse pericoli
all’unità nazionale. Nella fase successiva alla Seconda guerra mondiale la spinta regionalista si traduceva, specie nelle
Regioni di confine e nelle Isole, in istanza separatista. Nel 1944 il Governo Badoglio creava un “Alto Commissariato”
ed una “Giunta consultiva” per la Sardegna e analoghe strutture per la Sicilia. Gli speciali ordinamenti autonomi
verranno confermati con l’approvazione di quattro leggi costituzionali contenenti gli statuti speciali della Sicilia,
Sardegna, Valle D’Aosta e Trentino-Alto Adige. Queste regioni, alle quali deve aggiungersi il Friuli-Venezia Giulia,
dispongono, infatti, in virtù dell’art. 116* Cost., di forme e condizioni particolari di autonomia. Le regioni ordinarie
furono in realtà istituite solo nel 1970 quando si svolsero le prime elezioni dei consigli regionale. Ma solo con il
trasferimento delle funzioni amministrative nelle materie elencate potevano esercitare in concreto le competenze
legislative e amministrative ad esse riconosciute dalla Costituzione repubblicana. Il dibattito sul regionalismo in
Assemblea costituente si incentrò non tanto sul quantum di autonomia che le alle regioni sarebbe dovuto spettare,
quanto l’opportunità o meno di riconoscere a queste ultime pienezze di potestà legislativa. Ancora una volta emergeva
la preoccupazione che la riforma regionale potesse comportare pericoli per l’unità dello Stato. La scelta fu, alla fine,
quella di privilegiare una competenza “concorrente” delle Regioni che sarebbe potute intervenire in forma legislativa
nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. L’autonomia trovava dunque espressione
principalmente nella forma “ordinaria” della competenza legislativa del principio di parallelismo. Lo Stato avrebbe
comunque delegare alle Regioni l’esercizio di altre funzioni amministrative indicate dall’art 117* Cost. A queste
previsioni si accompagnava l’attribuzione alle regioni dell’autonomia finanziaria, nelle forme e nei limiti stabiliti da
leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni (art. 119* Cost.). Il
quadro entro il quale le istanze regionalistiche venivano recepite nella Costituzione repubblicana era quello dello Stato
unitario, il cui riconoscimento veniva espresso nella formula dell’unità e indivisibilità della Repubblica. Entro questo
quadro la Costituzione repubblicana riconosce il pluralismo politico-istituzionale. Così la Repubblica, una e indivisibile,
riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento
amministrativo. La riforma del Titolo V, che si segnala come la prima revisione organica della Costituzione
repubblicana, ha inciso significativamente sull’assetto delle istituzioni politiche, accentuando i caratteri del pluralismo
politico istituzionale. Il testo originario prevedeva che “la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni”,
l’attuale significativamente dispone che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle regioni e dallo Stato”. Regioni, Comuni; Province e Città metropolitane sono dunque considerati
insieme allo Stato, come enti costitutivi dell’ordinamento repubblicano e come enti autonomi. va sottolineato che, dalla
lettura dell’art. 117 Cost., emerge la volontà di realizzare una equiparazione tra il tipo “legge regionale” e il tipo “legge
statale”, prevedendosi per entrambi i tipi di fonte i medesimi limiti. L’art 117 prevede inoltre che al fine di un miglior
esercizio delle funzioni regionale, queste possano essere svolte in collaborazione o in comune con altre Regioni sulla
base di intese ratificate con legge regionale.

Il riparto di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali

Significative modifiche hanno anche segnato il riparto delle funzioni amministrative, per effetto dell’abbandono del già
richiamato principio di parallelismo e con la conferma dei Comune come sede propria dell’esercizio delle funzioni
amministrative. Il capovolgimento dei criteri tradizionali di ripartizione delle funzioni amministrative segue dunque la
linea della attribuzione tendenziale delle suddette funzioni in campo all’ente territorialmente più prossimo ai cittadini, il
Comune, che sia compatibile con l’esigenza di assicurare l’efficienza e l’effettività dell’azione dei pubblici poteri. Al
principio di sussidiarietà verticale, si accompagna peraltro quello della sussidiarietà orizzontale, rivolto a favorire
l’avvicinamento dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale (art. 118* Cost.). La Corte
costituzionale ha ritenuto che l’art. 118 introduca un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida la stessa
distribuzione delle competenze legislative. Il principio di sussidiarietà assurge così ad elemento di flessibilità,
permettendo di rispondere a quelle istanze di unificazione, le quali trovano sostegno nella proclamazione di unità e
indivisibilità della Repubblica. Le più ampie forme di autonomia assicurate dall’attuale Titolo V riguardano le sole
Regioni a statuto ordinario. Tuttavia, potendo ben darsi che il nuovo livello di attribuzioni riconosciuto alle Regioni
ordinarie sia superiore a quello disposto dagli statuti speciali, le disposizioni del Titolo V prevedono forme di
autonomia più ampie che si applicano anche alle regioni “Speciali” e alle province autonome di Trento e Bolzano. Il
Governo può esercitare poteri sostitutivi rispetto agli organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e
dei Comuni quando riscontri il mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, quando
vi sia pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica o, ancora, ove lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o
dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Occorre specificare che il c.d. potere sostitutivo del Governo riguarda in principio l’esercizio di poteri non legislativi,
come si desume dalla formulazione dell’art. 120* Cost. che non a casa attribuisce il relativo potere al governo. Tuttavia,
è stato sostenuto che proprio l’art. 120 permetterebbe di affermare la permanenza nel sistema di quel limite
dell’interesse nazionale che era espressamente menzionato nel previgente art. 117 e riferito alla potestà legislativa
regionale. Un’ultima notazione riguarda il potere sostitutivo regionale, a proposito del quale la Corte costituzionale ha
precisato che l’art. 120 non esaurisce tutte le possibili ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi e in particolare non
preclude che la legge regionale, disciplinando materie di propria competenza, possa anche stabilire, in caso di
inadempimento o inerzia dell’ente locale competente, poteri sostitutivi in capo ad organi regionali per il compimento di
atti obbligatori per legge. Elemento qualificante dell’autonomia di un ente è senz’altro quello della autosufficienza
finanziaria, della possibilità di disporre di fondi per il raggiungimento dei fini programmati. Il nuovo art. 119 Cost. si
apre con la previsione per cui “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria
di entrata e di spesa. L’esigenza del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario trova d’altra parte un
fondamento ulteriore nella attuazione degli obblighi comunitari che ormai impongono, in nome del c.d. patto di
stabilità, il rispetto di alcuni stringenti parametri al fine di garantire l’equilibrio finanziario dei sistemi nazionali e
dell’unione europea nell’equilibrio finanziario dei sistemi nazionali e dell’Unione europea nel suo complesso. Occorre
inoltre ricordare che le regioni e gli Enti locali hanno un proprio patrimonio attribuito secondo i principi generali
determinati dalla legge dello Stato e possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese d’investimento,
escludendosi ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.

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