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CHIAMATA IN SUSSIDIARIETA: l’allocazione delle funzioni amministrative è di competenza esclusiva

della legge statale o regionale a seconda che la materia sia di competenza legislativa dello stato o della regione.
Il principio di legalità mi dice anche che la stessa fonte che colloca una funzione amministrativa ad un certo
livello di governo deve essere quella stessa che regola quella stessa funzione. Allocazione e disciplina e
funzione amministrativa. Se l’allocazione della funzione spetta allo stato perché la materia è dello stato sarà
una legge dello stato a disciplinare tale funzione. Antefatto ricorso alla Corte costituzionale della legge
433/2001 regime speciale e derogatorio per le procedure di appalto per la realizzazione degli insediamenti
strategici di preminente interesse nazionale, irrinunciabili per lo sviluppo economico del paese. Opere che
sono state ricondotte alla competenza dello stato. Realizzazioni di infrastrutture strategiche. Lo stato con
questa legge ha scippato una serie di funzioni alle regioni stesse. Violazione dell’art 117 cost secondo le
regioni, e violazione del 118 cost. La corte riconosce l’istituto dell’attrazione o chiamata in sussidiarietà.
Il principio di sussidiarietà ha un’attitudine di ascensore. Bisogna scegliere il livello di governo più adatto.
Impone una risalita verso l’alto laddove la funzione sia meglio esercitata verso livelli più alti. Ci sono delle
istanze, necessità che certe funzioni siano svolte in maniera unitaria su tutto il territorio nazionale, funzioni
che vanno al di la dei territori delle singole regioni. Il fatto che si dica che la funzione amministrativa può
essere esercitata dallo stato non può non incidere sulle funzioni normative. Il principio di legalità richiede che
questa funzione amministrativa sia organizzata e regolata e disciplinata dalla legge, questa legge non può che
essere logicamente quella statale. Perseguimento di interessi ultraregionali. La chiamata in sussidiarietà
sia delle funzioni amministrative sia le corrispondenti funzioni normative deve essere proporzionale e
ragionevole. Inoltre, la deroga al reparto di competenze, quindi l’attrazione, deve essere oggetto di una intesa
con la regione interessata. Darebbe attuazione al principio di collaborazione. Tale intesa è un obbligo
procedimentale e non di risultato per evitare un potere di veto da parte della regione stessa.
Riguardare lezione 3 novembre
Il potere sostitutivo prima della riforma del titolo V: il potere sostitutivo che viene riconosciuto ad organi
dello stato centrale non era stato previsto in costituzione, ma vigente la costituzione del 1948 l’istituito si
affermò da una parte come mossa, su iniziativa del legislatore ordinario dall’altra con l’avallo della
giurisprudenza costituzionale. Istituto che si è formato nel silenzio della costituzione del 48, ma considerato
comunque legittimo e conforme alla costituzione. Prima ondata del passaggio delle funzioni amministrative,
i famosi undici decreti legislativi materia per materia. Mancò il trasferimento a settori organici. Oltra al
trasferimento si è provveduto anche all’assegnazioni di alcune deleghe di funzioni amministrative. Lo stato
centrale si era trattenuto il potere sostitutivo, il governo poteva sostituirsi alle regioni quando quest’ultime
avessero mancato di dare attuazione alle deleghe in particolar modo alle direttive dell’unione europea. Questo
meccanismo ricevette l’avallo della corte con sentenza n 142/1972: lo stato e solo lo stato è responsabile
degli obblighi comunitari poiché è responsabile dei rapporti all’estero. La circostanza che la funzione di
attuazione di norme comunitarie possa essere riconosciuta ad enti territoriali porta con se e presuppone che
lo stato centrale abbia degli strumenti adeguati per far si che gli impegni assunti a livello comunitario vengano
rispettati. Superare inerzia ed inadempimento da parte delle regioni. Laddove solo la funzione sia delegata si
può concepire il potere sostitutivo, collegamento del potere sostitutivo alla circostanza che lo stato abbia
conservato la titolarità della funzione. Nel 75 venne approvata una legge cornice in materia di agricoltura per
attuazione di norme comunitarie. In questo caso con la legge 153 lo stato centrale trasferisce (e non delega) le
funzioni amministrative alle regioni, pur conservando lo stato centrale il potere sostitutivo. La corte deve
necessariamente intervenire nuovamente. Lo stato continua ad essere responsabile dell’attuazione degli
obblighi comunitari, titolari del potere estero. In questa ipotesi la corte afferma che lo stato centrale conserva
il potere sostitutivo anche in caso di trasferimento di funzioni, quindi ipotesi in cui lo stato ha perso la titolarità.
Se il governo non avesse questo potere risulterebbe completamente disarmato perché non avrebbe strumento
di fronte alla comunità europea l’inadempimento dei propri impegni assunti. Questo vale sia per le regioni
ordinarie sia le regioni speciali. L’esercizio del potere sostitutivo deve essere assistito da idonee garanzie: tale
potere ammesso solo in riferimento di attuazione delle direttive comunitarie. Solo nel caso di persistente
inadempimento, inerzia conclamata, inattività protratta oltre ogni ragionevole limite. Tale esercizio del potere
deve essere autorizzato dal consiglio dopo aver sentito il presidente della regione che dovrebbe motivare le
ragioni della mancata attuazione, potrebbe quindi lo stato centrale accogliere tali giustificazioni. Nel
frattempo, arriva la legge 382/1975 corrispondente alla seconda ondata di trasferimento, quella per settori
organici. In questa legge resta il potere sostitutivo in presenza di funzioni delegate e viene meno il richiamo
al rispetto degli obblighi comunitari. Potere sostitutivo che spetta al governo quale che sia le funzioni affidate
alle regioni, sia che siano delegate o trasferimento, e a prescindere dalla presenza di obblighi comunitari.
Potere sostitutivo sempre giustificato. Notiamo che non esiste un limite temporale per l’esercizio del potere
sostitutivo. Ci troviamo adesso nella terza ondata di trasferimento corrispondente alla legge Bassanini, legge
in cui viene disciplinato il c.d. conferimento di funzione. Ciascuna regione deve adottare delle leggi per
allocare le funzioni che gli sono state conferite agli enti locali, passaggi a cascata da effettuarsi nel breve
termine di sei mesi. La legge Bassanini parla di potere sostitutivo non a funzione amministrative, ma
relativamente a funzioni legislative. Laddove la regione non intervenga con una legge regionale, lo stato
centrale ha il potere di intervenire con un decreto legislativo. Rispetto, comunque, del principio di leale
collaborazione, il governo infatti può sostituirsi solo dopo aver sentito le regioni. Potere nato nel silenzio
della costituzione del 48, ma comunque riconosciuto come implicito dalla Corte costituzionale. Potere
che nasce in relazione inizialmente agli obblighi comunitarie, altre volte in relazione a funzioni delegate. In
un primo momento ciò che emerge è la necessità di attuare il diritto comunitario. In un secondo momento
l’esercizio di tale potere si sgancia da questa iniziale necessità.
Potere sostitutivo post-riforma del titolo V: tale potere oggi viene espressamente previsto dalla costituzione
al quinto comma dell’art 117 costituzione. Lo stato è l’unico soggetto titolare del potere estero. La regione
non è titolare del potere estero. Più si accentua l’autonomia degli enti infrastatuali più è importante che certi
obbiettivi siano raggiunti, responsabilità che deve essere attribuita allo stato. Secondo l’art 120 cost il potere
sostitutivo è giustificato: quando è necessario garantire il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari,
la salvaguardi dell’incolumità e della sicurezza pubblica, tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali, la tutela dell’unità giuridica ed economica che si richiamano ad interessi
naturalmente facenti capo allo stato come ultimo responsabile del mantenimento dell’unità ed indivisibilità
della repubblica. L’idea in tema di unità giuridica ed economica era un’idea radicale, si pensava che la
regione con interventi legislativi ed amministrativi potesse avere intenzioni secessioniste. In realtà la corte
è tornata sull’interpretazione ed ha affermato che il potere sostitutivo è esercitabile in caso di inerzia di una
regione nell’applicare una sentenza della corte o la sua applicazione distorta potrebbe ledere l’unità giuridica
ed economica. A maggior ragione in caso di diritti civili e sociali delle persone. Sul procedimento e
presupposti per il legittimo esercizio di tale potere è intervenuto a più ripreso dalla Corte costituzionale,
integrato poi dalla legge ordinaria con la legge n 131/2003. L’esercizio del potere sostitutivo deve essere
regolato dalla legge, definirne i presupposti sostanziali e procedurali. La sostituzione deve riguardare il
compimento di atti o attività prive di discrezionalità nell’an (ipotesi in cui la regione può decidere se adottare
un atto oppure no, quindi la non scelta non può essere considerata inerzia). Il potere è attribuito al governo
oppure sulla base di una decisione del governo il potere viene affidato ad un commissario ad acta. In ogni caso
nell’esercizio del potere sostitutivo deve essere rispettato il principio di leale collaborazione. La legge invece
131 definisce il procedimento: prima che il governo possa esercitato il potere deve sussistere un’attività
prodromica. Interlocuzione seria e protratta tra governo e regione. Il presidente del consiglio, su proposta del
ministero competente, assegna all’ente un termine (mette in mora l’ente). Decorso inutilmente in termine, il
consiglio convoca l’organo interessato, il consiglio può adottare direttamente i provvedimenti necessari
oppure nomina un commissario ad acta. In ogni caso a tale convocazione partecipa il governatore della
regione. In caso di estrema necessità il governo può agire senza tale convocazione, ma comunque le decisioni
prese vengono comunicate in conferenza stato-regioni. I poteri sono: atti amministrativi anche generali,
ordinanze contingibili ed urgenti. Inoltre, il Consiglio dei ministri è legittimato ad intervenire anche un con
decreto-legge e regolamenti. Le ipotesi definite dal 120 non sono le sole esclusive, si concede con legge di
ampliare i casi in cui è esercitabile il potere sostitutivo. Tale potere infatti spesso è previsto da leggi di settori,
come ad esempio norme in materia di disavanzo sanitario delle regioni. Stipula dei piani di rientro. La legge
191/2009 sembrava che autorizzasse il commissario ad acta ogni atto e provvedimento non solo
amministrativo, ma anche normativo. Caso Loiero
AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE REGIONI:
Con autonomia finanziaria intendiamo: capacità impositiva (possibilità per l’ente di determinare le forme per
procurarsi entrate) e capacità di utilizzare le risorse senza vincolo di spesa (autonomia di spesa). Aspetti
strettamente correlati con l’autonomia politica. Autonomia finanziaria coessenziale all’autonomia politica.
La costituzione del 1948:
Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la
finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni. Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione
ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali. Per provvedere a scopi determinati, e
particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali. La
Regione ha un proprio demanio e patrimonio, secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica.

Primo pilastro è quello delle entrate. Quanto sono libere le regioni di imporre le forme per ottenere entrate?
Secondo l’art 119 precedente alla riforma le regioni godono di tributi propri, quote di tributi erariali
(finanza di trasferimento), contributi speciali, concessioni per i beni del demanio e del patrimonio
regionale.
Tributi propri in senso stretto→ ovvero tributi imposti dalle regioni, ovvero stabilire il presupposto d’imposta,
il soggetto attivo e quello passivo, le base imponibile, il metodo di calcolo, le sanzioni.
Tributi propri (o meglio derivati)→ tributi istituiti con legge statale e devoluti interamente alla regione.
Legge 281/1970 è la c.d. legge finanziaria per le regioni. Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle
regioni a statuto ordinario. Questa legge rappresenta la prima ondata di trasferimento delle funzioni
amministrative alle regioni. Venivano individuate delle entrate statali che poi venivano trasferite alle
regioni. Entrate che derivano dall’erario verso le regioni. Per questa tipologia di tributi la legge riconosce alle
regioni una mera potestà di fissazione delle aliquote fra un minimo ed un massimo fissati dalla legge stessa.
Intervallo spesso molto ristretto, quindi i tributi propri sono tributi propri devoluti. Visto che la legge statale
riconosceva questa tipologia di tributi ci si domandava se residuava alle regioni la possibilità di imporre tributi
propri in senso stretto? In realtà è intervenuta la corte sulla questione con sentenza, incostituzionalità di una
legge regionale che stabilisce l’importo di una tassa in misura superiore al massimo fissato dalla legge statale,
superato il limite fissato dalla legge dello stato. Ipotesi che significherebbe che la regione avesse creato un
nuovo tributo. Non riconoscimento di una vera e propria autonomia finanziaria. Se questo valeva se la legge
regionale aveva semplicemente superato il limite, a maggior ragione quando la legge statale non esisteva.
Inoltre, la legge trasferiva una parte dei tributi erariali alle regioni. Le regioni partecipavano ad una parte del
gettito delle risorse incamerate dallo stato. Costituzione di un fondo comune. Quote che alimentavano un
fondo comune al quale poi accedevano tutte le regioni. Somme che venivano assegnate venivano ripartite sulla
base di alcuni criteri. Ricordiamo che questa legge era una legge delega. La percentuale maggiore del fondo
era assegnata in proporzione alla cittadinanza della regione, tutti gli altri correttivi non erano in grado di
controbilanciare il criterio legato al numero dei residenti. La maggior parte di questi fondi sono stati assegnati
alle regioni del nord. Misura che accentua la differenza tra nord e sud. Per far fronte ad eventuali asimmetrie
prevede i contributi speciali per scopi determinati, solitamente riconosciuti alle regioni del sud. Poi fondo
per il finanziamento dei programmi regionali di sviluppo. Un'altra voce erano le concessioni per i beni
del demanio e del patrimonio regionale. Alle regioni veniva riconosciuto il demanio, venivano trasferiti dei
beni che erano già del demanio (beni demaniali definiti dal codice civile all’art 822). Patrimonio sono i beni
che appartengono alle regioni diversi dai beni demaniali e i beni trasferititi dalla legge al patrimonio
indisponibile della regione. Il demanio e il patrimonio regionali sono stati incrementati successivamente alla
riforma del 2001, si è trasferito un alto numero di beni che era rimasto in mano allo stato. Quali effetti ebbe la
legge 281/1970? I c.d. tributi propri attribuiti consistevano in realtà in entrate molto limitate. Coprivano una
percentuale estramemnte esigua delle reali spese regionali. Ricordiamo che il trasferimento era stato fatto alla
cieca. Nessun’altra voce del bilancio regionale era in grado di coprire le spese effettuate. Le regioni si
trovarono quindi in deficit dall’inizio. Strumenti insufficienti. Da dove si prendevano allora i soldi? Seguendo
un percorso parallelo rispetto a quello previsto dall’art 119 cost. Una legge dello stato di volta in volta
trasferiva alle regioni somme di denaro dai ministeri di riferimento, somme trasferite con vincolo di spese.
Sono i c.d. fondi settoriali. Erano in genere tutte leggi cornice. Se l’80% dei finanziamenti statali arrivano con
vincolo di destinazione (es materia di sanità e trasporti) è evidente che l’autonomia delle regioni per quello
che riguarda la capacità di allocare le risorse finanziare è decisamente compressa, se non erosa del tutto.
Malgrado il dettato costituzionale dell’art 119. In realtà le regioni non si sentirono mai obbligate a rispettare i
vincoli di spesa imposti dalla legge statale. L’evoluzione patologica dello stato sociale è lo stato assistenziale.
È lo stato che cerca di garantire tutto a tutti a fronte di moltissimi fattori. A volte lo si fa per ottenere consenso
politico, lo stato arriva al default. Ma non avendo sufficienti risorse le regioni cominciarono a fare un
massiccio ricorso ai debiti, ad esempio attraverso la stipula di contratti di mutuo. Anche quando i nodi
venivano al pettine, il legislatore statale contro ogni principio di pedagogia ripianava i bilanci di deficit delle
regioni. Quindi non si prevedevano sanzioni, soprattutto se il colore politico dello stato centrale e quello delle
regioni era lo stesso. Fenomeno che si chiama perequazione avveniva sulla base della c.d. spesa storica,
meccanismo premiante per quelle regioni che avevano sforato i bilanci. Effetto carta moschicida: chi spende
è molto reattivo agli aumenti di trasferimenti e molto poco reattivo alle riduzioni; una volta che i soldi sono
stati destinati ad un determinato soggetto è come se rimanessero appiccicato. Innesca un circolo vizioso. Se la
regione ha la certezza che le spese saranno comunque ripianate parte già male, non tenta nemmeno di stare
dentro al budget. Aspettativa da parte dei governi regionali, aspettativa accresce dall’inizio la probabilità che
le regioni sfori. Credibilità del soggetto che eroga. Sindrome da vincolo di bilancio soffice. (riprendere gli
appunti di diritto sanitario in tema di usl).
Negli anni 80 qualcosa comincia a cambiare qualcosa, modello tacher modello del welfare state. Il legislatore
comincia piano piano ad intervenire. Il legislatore comincia ad erogare finanziamenti alle regioni soltanto con
leggi finanziarie, non sono quindi più fondi settoriali, ma sono fondi erogati annualmente. Dall’altra parte
comincia questo tentativo di fare un po’ marcia indietro, tentare di contenere la spesa delle regioni facendo
dei tagli ai trasferimenti. Si danno meno soldi. Questa tendenza verrà anche avallata dalla corte costituzionale,
l’art 119 non dice quanti finanziamenti devono arrivare alle regioni a patto che il ridimensionamento
non sia tale da menomare le funzioni delle regioni.
Anni 90, periodo del federalismo fiscale a costituzione invariata: periodo corrispondente alla legge
Bassanini. Sono gli anni della riforma della repubblica amministrazione con la legge 240/1999. Si riorganizza
il sistema sanitario. Sul fronte delle entrate riconoscimento di un più consistente spazio di capacità impositiva
delle regioni. Sul fronte delle spese la rivalutazione dell’autonomia delle regioni per la gestione delle risorse
che transitano dal loro bilancio. Primi tentativi dello stato di costruire un sistema con un regionalismo più
marcato, dal punto di vista politico sono gli anni in cui nasce la Lega. Manca ancora una vera capacità
impositiva. Lo stato non riesce ancora ad affrancarsi dalla tendenza a ripianare il disavanzo dei bilanci
regionali sulla base della spesa storica. Modello lombardo e modello toscano come risposta alla riforma del
sistema sanitario del 1992. La Lombardia è la scelta più aderente al dettato legislativo perché effettivamente
scorpora i suoi ospedali e accredita sia le aziende pubbliche sia quelle private. Si innesca un meccanismo
perverso, la sanità privata offre le prestazioni più costose. I soldi pubblici vanno a remunerare i privati che
contrattano con le asl. Le aziende ospedaliere pubbliche hanno pochi soldi, fanno solo le operazioni di routine.
Le strutture pubbliche lombarde vengono estremamente ridotte. La toscana invece effettua una scelta diversa:
le asl mantengono al loro interno gli ospedali, ad eccezioni delle aziende ospedaliere universitarie. Si sono
scorporate solo le aziende universitarie. La asl acquista dall’esterno le prestazioni erogate dai privati, ma
quando acquista le prestazioni dalle proprie strutture interne vengono remunerate attraverso il criterio della
spesa storica. La spesa sanitaria in Italia è cresciuta perché il legislatore statale non è riuscito ad affrancarsi
sulla base del rimborso fatto con la spesa storica.
Legge finanziaria per il 1996 → eliminazione del fondo, comunque, e delle sue voci, eliminazione del fondo
per i programmi regionali di sviluppo, elimina i fondi settoriali che erano rimasti fuori dal fondo comune e
anche i fondi della sanità e del trasporto pubblico. Si semplifica il quadro perché alle regioni vengono
riconosciuti dei tributi propri attribuiti che dovrebbero coprire il fabbisogno delle regioni. Quota sull’accisa
della benzina. Tassa regionale dsu. Tributo per il conferimento di rifiuti in discarica e agli inceneritori.
L’accisa è un’imposta che grava sulla vendita di prodotti di consumo, è diversa dall’iva perché l’iva grava sul
prezzo del prodotto. Le accise vengono applicate sulla quantità di produzione di un prodotto. Dovevano essere
imposte per problemi e cause specifiche. In realtà poi si sono accumulate tutte insieme, aliquota unica. L’idea
era che le regioni fruissero di una parte delle accise che sostanzialmente che lo stato poi avrebbe preveduto
che l’eventuale differenza tra quelli che erano i finanziamenti che spettavano alle regioni e gli introiti delle
regioni sarebbe stato colmato tramite fondo perequativo alimentato da risorse statale. Intervento sussidiario
dello stato. Il fondo perequativo finiva poi per alimentare comunque principalmente le regioni più in difficoltà
e quindi le regioni del sud. Attraverso questi finanziamenti le regioni non sono in grado di svolgere il proprio
operato, mentre lo stato persevera nel cercare di contenere le spese pubbliche.
Legge 133/1999 e d.lgs. 56/2000 → la legge 133 all’art 10 incarica il governo per costruire il c.d. federalismo
fiscale. Immaginiamo di voler costruire un’azienda e di aver bisogno di finanziamenti e immaginiamo di
vincere l’enalotto. Immaginiamo invece di chiedere ai nostri amici e parenti di finanziare la nostra azienda.
Nel primo caso non si bada molto al risultato, mentre nel secondo caso ci sentiremo più obbligati al
raggiungimento del risultato. Il principio di responsabilità di spesa e responsabilità delle entrate. Le
regioni prende i soldi dalle collettività, ma tali soldi non arrivano dai cittadini ma dallo stato, stato come entità
non tangibile. Se la regione ha finanziamenti che derivano dallo stato si preoccuperà fino ad un certo punto di
spendere in maniera efficiente le somme percepite dallo stato. Corrispondenza tra chi spende e chi fornisce
le risorse. D.lgs. 56/2000 → Nuovo fondo perequativo alimentato dalle regioni questo dovrà coprire i
LEU.
REGIONI A STATUTO SPECIALE post riforma: godono di un’autonomia maggiore. Hanno l’obbligo
dell’equilibrio di bilancio applicabile a tutte le autonomie speciali. Soggette al rispetto dei principi di
coordinamento della finanza pubblica.
AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO DOPO LA RIFORMA
DEL TITOLO V → la riforma modifica l’art 119 costituzione. Legge costituzionale n.3/2001 modifica l’art
119 costituzione. Altra importante riforma è la legge costituzionale n. 1/2012. Principio del pareggio del
bilancio, è la legge che modifica l’art 81 cost introducendo il c.d. fiscal compact. Introduce vincoli sul bilancio
statale, vincoli che avranno dei riflessi anche per i bilanci delle singole regioni. Si impone alle pubbliche
amministrazioni di mantenere l’equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito pubblico. Viene modificato
anche l’art 117 perché stralcia l’armonizzazione dei bilanci pubblici della competenza concorrente e la risporta
alla competenza esclusiva dello stato. Nuovo articolo 119:
“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate
propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo
perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti
di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale,
per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi
diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di
determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un
proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato (3). Possono ricorrere
all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione dei piani di ammortamento e a
condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio (4). È esclusa ogni garanzia
dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti”

Questa norma deve comunque essere letta alla luce dell’art 23 costituzione. In realtà vi è asimmetria tra regioni
e gli latri enti locali. Ne consegue che la possibilità di stabilire dei tributi propri può essere attribuita in realtà
alle sole regioni. Si conferma la possibilità di stabilire ed applicare tributi con leggi. A loro volta le regioni
partecipano a quote di gettito erariali in riferimento ai loro territori. Viene istituito un fondo perequativo per
le regioni con minor capacità fiscale per abitante, senza vincolo di destinazione. Questo fondo viene alimentato
dalle regioni stesse. Tutto ciò dovrebbe coprire integralmente il finanziamento per le funzioni pubbliche
attribuite, fatta salva la possibilità per lo stato di riconoscere risorse aggiuntive per riequilibrare situazioni di
asimmetria economico e sociale. Si conferma i vincoli per il ricorso all’indebitamento, ma solo per le spese di
investimento ed a certe condizioni. Golden rule: il ricorso all’indebitamente è consentito solo per contribuire
per i finanziamenti di investimenti, ma non per pagare le spese correnti. Ci si può indebitare solo per poter
investire. Si riconosce alle regioni un proprio patrimonio a loro attribuito. Con proprie leggi regionali le regioni
possono direttamente istituire tributi nei limiti e previa legge statale. Sui tributi propri delle regioni è
intervenuta la corte costituzionale, la quale ha detto che i tributi propri sono solo quelli istituiti dalle leggi
regionali, non sono quindi i c.d. tributi propri attribuiti. Da questo è possibile desumere un elenco di tributi
secondo questo criterio rigido sono tributi regionali, ma non possono essere considerati tributi propri come ad
es la tassa regionale sul diritto allo studio universitario. Per questi tributi la legge dello stato infatti è molto
dettagliata. Divieto della doppia imposizione.
Quali sono i limiti all’autonomia? I primi limiti sono già elencati nell’art 119 cost primo comma. Rispetto
dell’equilibrio di bilancio e l’obbligo di osservare i vincoli economici e finanziari derivanti dalla appartenenza
alla Unione europea. Rispetto della c.d. armonia con la Costituzione da intendersi come necessario rispetto
non solo delle singole disposizioni, ma anche dello spirito della Costituzione. Rispetto dei principi dii
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario fissati dal legislatore, sulle entrate è
rappresentato dal divieto di doppia imposizione del medesimo presupposto. Fino al 2011 la corte
costituzionale ha sempre detto che per garantire l’autonomia finanziaria, l’intervento delle regioni doveva
tradursi nel limite complessivo della spesa. Incostituzionali quelle norme statali che avevano tentato di
individuare modalità concrete per limitare le spese. Limiti di spesa puntuali diventano dei principi. A seguito
della riforma del 2001 ci domandiamo se le regioni godono realmente di autosufficienza finanziaria. Le regioni
a statuto speciale incassano molto di più di quanto spendono. Per quanto riguarda le regioni ordinarie le entrate
non coprono le spese, fatto più marcato per le regioni del sud.
La legge delega n. 42/2009 introduce una serie di principi e criteri direttivi. Alle regioni devono essere
riconosciuti risorse autonome in misura adeguata al finanziamento integrale delle funzioni attribuite,
determinato sulla base dei costi e fabbisogni standard individuati dalle norme statali. Si ritrova il criterio
della territorialità e previsione di meccanismi perequativi. Principio fondamentale perché era già precedente
al 2001 quello della responsabilità di spesa e responsabilità delle entrate. Coincidenza o correlazione tra
prelievo fiscale è spesa. Dal punto di vista delle spese, le entrate dovrebbero coprire interamente l’esecuzione
delle funzioni correlate alle materie attribuite dall’art 117 o eventualmente di quelle funzioni amministrative.
Spese LEP e spese non-LEP. (le regioni in genere sono incapaci di accedere alle risorse e finanziamenti
provenienti dall’unione europea poiché tali richieste sono molto complesso, master in euro-progettazione). Le
spese LEP sono le spese che sono correlate ai livelli essenziali delle prestazioni, si teatta di quelle spese
correlate ai diritti fondamentali sia civili che sociali relativamente ai quali la corte si è espressa. La corte ha
detto che l’importo di queste spese deve essere correlata alla garanzia del contenuto minimo ed essenziale del
diritto. I c.d. diritti di prestazione, livelli base del diritto. qui lo stato può andare in perdita, nucleo
incomprimibile. Principio universalistico. Spese non LEP spese non riconducibili all’art 117. Le spese LEP
sono quelle correlate all’art 117 lettera m. Tra le spese non LEP rientra il trasporto pubblico locale, in realtà
tale spesa grava sugli enti locali, però la regione contribuisce all’organizzazione del trasporto pubblico,
finanziamenti dei servizi minimi laddove magari il tratto non sia economicamente produttivo. Il legislatore
però ha sempre considerato il TPL rientrante nelle spese LEP. Lo si considera un servizio pubblico essenziale.
Viene introdotto il c.d. patto di convergenza, è un processo che porta ad un obbiettivo comune ovvero
raggiungimento di uguaglianza tra tutte le regioni. Vengono inoltre introdotti meccanismi premiali e
meccanismi sanzionatori. Si suggerisce come potrebbero le regioni raggiungere l’equilibrio del bilancio.
Forme premiali per regioni che abbiano ottenuto risultati positivi nel contrasto all’evasione ed all’elusioni
fiscali. Forme sanzionatorie: divieto di assunzioni a tempo indeterminato, divieto di iscrivere a bilancio spese
per attività discrezionali, meccanismi automatici a carico dei vertici politici ed amministrativi degli enti.
MISURE DI SOSTEGNO FINANZIARIO IN RELAZIONE ALL’EMERGENZA COVID: decreto cura
Italia, decreto rilancio, decreto agosto, decreto sostegni. Sostegno finanziario agli enti territoriali anche in
relazione alla perdita di gettito da entrate proprie (i cittadini non riuscivano a pagare le tasse, gli enti locali
non hanno riscosso tributi). Istituzione del fondo per l’esercizio delle funzioni in materia di sanità, assistenza
e istruzione delle regioni. Fondo per concorso nell’acquisto di DPI. Fondo ristori per mancato gettito
dell’IRAP.
LE REGIONI IN UN SISTEMA DI GOVERNANCE MULTILEVVOLO: ci sono delle ipotesi in cui le
regioni partecipano direttamente a delle funzioni statali come, ad esempio, l’elezione del presidente della
repubblica, diritto di iniziativa legislativa per leggi ordinarie e costituzionale, richiesta di referendum
abrogativo o costituzionale, richiesta di accesso a più ampie forme di autonomia. Commissione parlamentare
per le questioni regionali, partecipazione che dovrebbe essere prevista dai regolamenti parlamentari. Non
esistono oggi regolamenti di tal tipo forse per ragioni prettamente politiche. l’art 83 cost al comma 2 prevede
che all’elezioni del presidente partecipino tre delegati per ogni regione eletti dal consiglio regionale. In totale
i delegati regionali sono 58, i quali rappresentano il 5,8 per cento del totale. Con la legge costituzionale
n.1/2020 mediante la quale si è operato il taglio dei parlamentari il numero dei delegati è rimasto di 58 con
incidenza quindi dell’8,8%. Volendo riportare la % percentuale a quella precedente alla legge ad un numero
di 39 delegati per regioni con incidenza del 6%.
Regionalismo garantista è un modello che tutela le regioni da ingerenze statale, sfera di autonomia che il
legislatore non avrebbe potuto toccare. Le regioni però non sono due monadi separate. Il titolo V deve essere
letto alla luce della teoria del regionalismo cooperativo e del conseguente principio di leale collaborazione.
Scelta condivise anche per le materie attribuite in via esclusiva alle regioni. Il principio di leale collaborazione
si affida a meccanismi di raccordo: 1. Organi composti da rappresentanti del centro e dell’ente territoriali 2.
Procedimento che prevede collaborazione da parte di tutti i livelli di governo. Molto spesso le decisioni dei
vari livelli di governo sono precedute da accordi che fanno si che la volontà politica e regolatoria dei vari
livelli sia omogenea. Espressione di decisioni omogenee. Le intese sono un istituto amorfo, proteo multiforme.
Intesa forte è quella insuperabile, se tale intesa non è stata raggiunta chi la doveva acquisire non l’ha acquisita
non può operare. Se invece l’intesa è debole basta che si dimostri di aver attivato il procedimento. L’intesa
può essere imposta o dalla legge o dalla costituzione. Accordi, accordi di programma, convenzioni,
coordinamento preventivo strumenti per operare in modo omogeno. Pareri possono essere vincolanti e non
vincolanti. La cooperazione può essere sia verticale sia orizzontale. Prima della riforma del titolo V era
pacifico che il dialogo tra stato e regione c’era se era previsto solo dal legislatore statale, era pacifico che le
regioni potessero intrattenere rapporti tra loro; in vari statuti erano previsti meccanismi di raccordo tra varie
regioni. Il legislatore statale aveva tentato di limitare queste iniziative per cui aveva messo dei limiti. Ad
esempio, possibilità di stipulare intese tra regioni confinanti. In realtà le regioni se ne sono sempre fregate. Le
intese possono essere stipulate anche con gli enti locali, con le associazioni private. Strumento per raggiungere
degli obbiettivi e predeterminare il contenuto delle decisioni degli enti. Dopo la riforma la cooperazione
orizzontale è stata costituzionalizzata nell’art 117 comma 8. Impone la riserva di legge regionale per la ratifica.
L’intesa, quindi, deve essere validata dalla legge regionale, solo le fonti regionali e lo statuto possono
disciplinare le forme di collaborazioni tra regioni. Si parla di intese siglate dalle regioni per il miglior esercizio
delle funzioni proprie. Regolare reciprocamente i rapporti, in particolare per la cura di interessi interregionali.
Mutuare scelte condivide da sottoporre ad altri livelli di governo (stato ed UE). Oggetto dell’intesa è
rappresentato sull’esercizio coordinato sia di funzione amministrative sia funzioni normative → diritto
interregionale. Vi è inoltre la possibilità che la legge statale preveda intese tra regioni, quantomeno su materie
di competenza esclusiva dello stato. L’art 117 prevederebbe che tutte le intese stipulate fossero poi ratificate
dalla legge della regione, le regioni però avrebbero fatto i c.d. accordi in forma semplificata del diritto
internazionale.
Raccordo per organi → si sono previste sedi stabili in cui i livelli di governo si incontrano con cadenz
abbastanza regolare. Questi luoghi sono diversi perché ci sono delle sedi che consentono il dialogo tra il
governo centrale e gli enti territoriali (conferenza stato regioni, stato città ed autonomie locali, conferenza
unificata, permanente per il coordinamento della finanza pubblica), sedi di raccordo tra enti regionali
(conferenza delle regioni e province autonome, conferenza dei presidenti delle assemblee legislative), sedi
non istituzionali (ANCI e UPI). Anci e Upi sono associazioni di diritto privato, ma sono spessissimo
richiamate dalle leggi, quindi partecipano ad organismi pubblici.
Conferenza Stato-Regione: è nata nel 1983, ma istituita ufficialmente dalla legge 400/88. Ministri ed assessori
regionali si trovavano insieme per parlare di ripartizioni da erogare, stabilire delle nomine ecc sistema di
contatti e collegamenti escludeva il presidente del consiglio e il presidente della regione. Meccanismo di
collegamento diretto. Oggi è la sede privilegiata per il raccordo tra centro e periferia. Concezione orizzontale,
è collegiale. Decisioni condivise. Luogo in cui il principio di leale collaborazione trova la sua naturale
attuazione. Composto dal presidente del consiglio o sostituito dal ministro per gli affari regionali, presidenti
delle regioni interessate, più eventuali ministri interessati. Attività: pareri ed intese. Voto per delegazioni.
Prima della riunione della conferenza stato regione i vari presidenti di regioni si riuniscono nella conferenza
delle regioni e delle province autonome. Il vero dibattito avviene nella conferenza preliminare e si cerca di
trovare posizione condivisa, a quel punto se tale soluzione c’è si presenta un solo presidente della regione
rappresentante di tutti gli altri. Sfumano le posizioni politiche, contrapposizione tra regioni e centro. Devono
trovare un accordo a prescindere del coloro politico del governo e delle regioni.
Queste conferenze sono ancora attive, ma si sono creati canali di dialoghi diversi e paralleli. Si parla a volte
di “fuga dalle conferenze”. Ad esempio, incontri a livello politico fra governo e autonomie territoriali e
formalizzazione in sede conferenza stato regione. La sede della conferenza diventa il luogo in cui
semplicemente si formalizza ciò su cui le parti si sono accordate in questi canali di dialogo alternativi. Le
regioni inoltre hanno cercato canali privilegiati di contatto diretto con il governo, soprattutto laddove il
governo regionale e quello nazionale possiedono il medesimo colore politico. Sono poi state istituite le c.d.
cabine di regina che sono nuovi organismi che sostituiscono le conferenze.
Rapporti all’estero ed unione europea → solo lo stato possiede il potere estero, le regioni non possono
stipulare trattati internazionali. Solo la Sardegna può partecipare alla stipulazione di trattati internazionale che
abbiano ad oggetto commercio strategico per questa regione. Prima della riforma del 2001 sia gli statuti
speciali, sia i decreti di attuazione e la corte hanno riconosciuto alle regioni la possibilità di trattenere rapporti
all’estero. 1. Attività promozionali all’estero, per acquisire visibilità per il turismo e per il commercio dei
propri prodotti sempre previo consenso e parere del governo centrale 2. Attività di mero rilievo internazionale,
nei confronti di enti stranieri omologhi, per affrontare problemi comuni. Dopo la riforma del titolo V ci si è
occupato della questione. Le regioni possono dare seguito ai trattati internazionali nelle materie di competenza
regionali, scrivere le norme di dettaglio. Procedura osservata dal ministero degli esteri.
L’art 117 prevede al comma cinque prevede che le regione partecipino sia alla fase ascendente e discendente
per gli impegni europei. Fase discendente: legge di delegazione europea e legge europea + legge europea
regionale. Nella fase ascendente: a livello europeo, a livello nazionale. A livello europeo è stato istituito il
comitato delle regioni organo consultivo di commissione, consiglio e parlamento su temi concernenti interessi
locali o regionali. Possono ricorrere alla corte di giustizia nel caso di violazione del principio di sussidiarietà.
A livello nazionale le regioni hanno il diritto di far partecipare alla formazione degli atti comunitari sia in
modo diretto sia in modo indiretto.

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